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L' ESAME DI COSCIENZA.......e la preparazione per una buona Confessione dei peccati!

Ultimo Aggiornamento: 29/10/2013 03:16
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29/01/2011 19:09
 
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"A chi rimetterete i peccati saranno rimessi"

La confessione sacramentale dei peccati è la via stabilita da Cristo stesso per ristabilire la nostra alleanza con Dio e con la sua Chiesa dopo che abbiamo peccato. Cioè, quando abbiamo anteposto la nostra volontà a quella del Vangelo. Ma quale visione di questo sacramento conviene avere prima di accostarsi al confessionale?


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Vogliamo confessarci? Bene. Ciò vuol dire che Dio bussa alle porte del nostro cuore. Vuol dire che siamo cattolici e che ci riconosciamo peccatori. Questo è un buon punto di partenza.

La confessione è un atto di fede nel Vangelo

Iniziamo dunque dal seguente passaggio del Vangelo di Gesù Cristo secondo san Giovanni: «La sera di quello stesso giorno, il primo dopo il sabato mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, si fermò in mezzo a loro e disse: “Pace a voi!”. Detto questo, mostrò loro le mani e il costato. E i discepoli gioirono al veder il Signore. Gesù disse loro di nuovo: “Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi”. Dopo aver detto questo, alitò su di loro e disse: “Ricevete lo Spirito Santo, a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi”» (Gv. 20, 19-23).

Così, dunque, un uomo limitato entrerà nella nostra coscienza e noi gliela apriremo in compimento del mandato di Gesù Cristo. Ciò è possibile perché quest’uomo è sacerdote e con l’ordinazione sacerdotale ha ricevuto il potere di rimettere i peccati, conferito da Cristo stesso ai suoi apostoli.

Il sacerdote si carica davanti a Dio di una pesante responsabilità. Se ci ascolta, non lo fa per affliggerci  ma per servirci; per riconciliarci con la Chiesa e darci il perdono di Dio. Il suo compito non è facile. Preghiamo per lui perché il Padre dei Cieli gli dia amore, perché Gesù Cristo gli conceda lo zelo per la salvezza dei suoi fratelli, perché lo Spirito Santo lo illumini.

Quando ci confessiamo facciamo un atto di fede in Gesù Cristo e nel suo Vangelo.

Onoriamo Dio sottoponendoci al modo che Egli ha stabilito per la remissione dei nostri peccati. Facciamo anche un atto di umiltà corrispondente all’atto di superbia compiuto nel peccare, preferendo la nostra volontà a quella del Vangelo.

Nell’atto di confessarci conviene aver presente cosa dobbiamo fare. Indichiamo quindi ciò che non dobbiamo fare: non faremo l’elenco dei nostri meriti perché il confessore ci faccia i complimenti; non dobbiamo trovare “giustificazioni” ai nostri peccati, ancor meno dobbiamo accusare i peccati degli altri; né dobbiamo andare al confessionale per compiere una formalità al fine di comunicarci, senza maggiori impegni per il futuro. La confessione non è una semplice conversazione né una narrazione di tutti i più infimi dettagli di quanto accaduto.

Gesù non ha istituito per questo il sacramento della penitenza. Senza essere la cosa principale, ci sono altri effetti da raggiungere con la confessione: la consolazione, non puramente umana ma quella che proviene dal perdono di Dio; il consiglio per risolvere qualche problema spirituale determinato o per orientare meglio l’insieme della nostra vita cristiana; il sollievo della coscienza, tuttavia non quello che si potrebbe aspettare da un buon psicologo o psichiatra, perché generalmente il confessore non è uno specialista in queste materie.

Non dimentichiamo che il sacerdote non sempre è un saggio o un profeta. Non tutti i sacerdoti hanno le stesse qualità, né lo stesso talento, né la stessa preparazione, né la stessa virtù. Non sono infallibili nei loro consigli e possono sbagliare, soprattutto se il penitente non gli ha fornito antecedenti sufficienti e oggettivi.
Perciò è importante concentrasi su quello che nella confessione è la cosa principale, ciò che Dio vuol darci mediante questo ministero di qualsiasi sacerdote.
 
Cosa è principale nella confessione?

Ci confessiamo anzitutto per cercare di correggere la nostra vita in conformità col Vangelo di Gesù Cristo e ottenere il perdono di Dio Padre per i meriti del Figlio e per la Grazia dello Spirito Santo.

I nostri peccati hanno costituito un rifiuto dell’Alleanza alla quale Dio ci ha chiamati col Battesimo, ma egli continua offrendoci il suo amore e il suo perdono. Egli vuole reintegrarci interiormente ed esteriormente alla comunità di salvezza, al suo popolo santo che è la Chiesa.
Tutto ciò si esprime nella parola “conversione”. La “conversione” è rifiuto del peccato e ritorno all’amore di Dio o, se volete, allontanamento dal peccato per amore di Dio. Se avessimo sempre amato Dio al di sopra di ogni cosa, non avremmo mai peccato.

Nella misura che accettiamo nella nostra vita il peccato, non possiamo dire che siamo in tutta pienezza “cristiani”, cioè, discepoli di Gesù Cristo e membri della sua Chiesa. In fondo, la Chiesa è una comunità di “conversi” o almeno una comunità di persone che cercano seriamente di “convertirsi”.
Perciò il sacramento della Penitenza (che vuol dire lo stesso che sacramento della conversione) è una “celebrazione”, un avvenimento gioioso: è il trionfo dell’amore di Dio e il ristabilimento della sua Alleanza con un cristiano peccatore.

 Adesso comprendiamo perché anche se non abbiamo ricevuto un consiglio saggio, anche se non “sentiamo” una grande consolazione, anche se abbiamo l’impressione che il confessore non ci ha capito bene, se egli, comunque, dopo aver sentito la nostra confessione sincera, ci ha dato l’assoluzione, siamo riconciliati con Dio e con la sua Chiesa. Questo costituisce la cosa principale. Vi sembra poco?

Questione solo personale?

È una questione personale fra Dio e me soltanto? Qualcuno pensa così ma sbaglia di grosso. Perché non abbiamo offeso soltanto Dio ma anche la Chiesa, cioè, la comunità dei cristiani. Con i nostri peccati, spesso abbiamo dato il cattivo esempio agli altri. Non abbiamo dato testimonianza del Vangelo di Gesù Cristo. Abbiamo occultato ai nostri fratelli il viso di nostro Padre Dio, che dovrebbe sempre riflettersi in noi, nelle nostre parole e attitudini. Abbiamo scoraggiato il prossimo sulla strada della vita cristiana.
Forse abbiamo indotto altri a fare il male, gli abbiamo associati ai nostri peccati, facendo così un’opera di demolizione del Regno di Dio.

Persino i peccati più occulti e personali, quelli di cui sono testimoni solo Dio e la nostra coscienza, hanno ritardato il nostro dinamismo cristiano: ci ha hanno resi meno snelli nella carità, meno puri nei nostri moventi, meno generosi nell’apostolato. E tutto ciò fa danno alla Chiesa.
Non dimentichiamoci che il cristianesimo non è la somma dei rapporti individuali con Dio, bensì la vita secondo il Vangelo nella comunità dei cristiani.  
  

Superando i nostri timori

Forse sentiamo timore di accostarci al confessionale. Pensiamo che il confessore brontolerà. Verrà meno l’apprezzamento che ha per noi, nel caso ci conosca. Oppure che resterà sorpreso di quanto gli diremo o scandalizzato della nostra malvagità.
Riflettiamo. Se il timore di Dio non ci ha impedito di peccare, meno ci dovrebbe impedire il timore umano di confessare i nostri peccati. Del resto noi non abbiamo offeso il confessore. Più che dispiacere (che anche noi dobbiamo sentire), egli sentirà pena e dolore perché abbiamo offeso Dio nostro Padre e abbiamo raffreddato il fervore della carità nella Chiesa, nostra madre.

Ricordiamoci poi che il confessore è vincolato da un segreto assoluto: a nessuno potrà dire i nostri peccati, neanche sotto minaccia di morte. Neppure può parlare con noi dei nostri peccati fuori dalla confessione, almeno che noi glielo permettiamo. Né può neanche indirettamente far capire cosa gli abbiamo detto in confessione.
Per la dolorosa esperienza acquisita lungo la sua vita personale e l’esercizio del suo ministero, il sacerdote conosce abbastanza le debolezze e le cattiverie umane. È difficile trovarlo impreparato. Questa esperienza, maggiore o minore secondo ogni caso, lo aiuterà a soccorrerci nella ricerca di Dio.

Forse ci sentiamo confusi, e non sappiamo da dove iniziare, soprattutto se è da molto che non ci confessiamo. Ebbene, se è così, possiamo chiedere al confessore di orientarci. Ma è meglio dirgli subito quali sono le cose più serie che ci pesano sulla coscienza. In questo modo anche noi lo aiutiamo e gli diamo un orientamento perché ci domandi ciò che è necessario.

Sentiamo vergogna? È naturale.

Più vergogna avremmo dovuto sentire quando abbiamo peccato. Ora l’unico atteggiamento giusto è la sincerità. Parliamo col confessore come se dovessimo parlare con Gesù Cristo. Ed egli cercherà di ascoltarci come se ci ascoltasse Cristo stesso. Indirizziamo tutti questi sentimenti verso ciò che è fondamentale: verso il dolore e il pentimento per avere offeso Dio e verso la conversione del cuore per vivere d’ora in poi secondo gli insegnamenti del Vangelo.

In altre parole, in accordo con la bella espressione di san Paolo, perché sia Gesù Cristo che vive in noi. O, come dice lo stesso Gesù nel Vangelo di san Giovanni, perché viviamo uniti a Lui come i rami dell’albero sono uniti al tronco. Perché possiamo essere membri vivi della Chiesa e possiamo dare il nostro generoso contributo con la testimonianza di fede in Gesù Cristo, incoraggiando così i nostri fratelli ad avere fedeltà al Signore.


(Radici Cristiane n. 37 - Ago/Set 2008)

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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