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L' ESAME DI COSCIENZA.......e la preparazione per una buona Confessione dei peccati!

Ultimo Aggiornamento: 29/10/2013 03:16
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Sesso: Femminile
26/11/2011 12:51
 
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Peccati e Confessione

 
Una persona mi ha scritto per pormi il seguente quesito:
 
[…] ho un mio dubbio che vorrei chiederti ...mi succede a volte di confessarmi e di uscire dal confessionale...con la sensazione di non essermi confessata bene, (mi si bloccano le parole e non riesco a dire quello che voglio al padre confessore, che fare?) così poi non mi sento degna di fare la Comunione [...]
 
 
dall'amico Diego di Cordialiter:

Carissima in Cristo,
ti ringrazio per avermi scritto.
 
Spero che tu possa trovare presto un buon confessore che possa aiutarti nella vita spirituale. Purtroppo oggi non è raro trovare dei preti che insegnano errori dottrinali su questioni morali. Per questo motivo è necessario affidarsi a dei sacerdoti fedeli al Magistero della Chiesa.
 
Adesso rispondo al quesito circa le tue confessioni. Innanzitutto quella sensazione di non sentirti ben confessata, o di non sentirti degna di comunicarti col Corpo di Cristo, è un segno di delicatezza di coscienza, e ciò è molto positivo. Magari avessero tutti una coscienza delicata!
 
Dunque, che cosa può essere quella tua sensazione? Se è senza fondamento può essere ciò che in Teologia Morale si definisce “scrupolo”, nel qual caso le tue confessioni sono buone e valide, e non devi tenere più in conto questi pensieri che ti tolgono la devozione. Non preoccuparti, adesso ti spiego come fare a scoprirlo.
 
Se le parole che ti si sono “bloccate” riguardavano peccati con materia “leggera” (ad esempio piccole bugie), oppure peccati gravi compiuti senza piena avvertenza (cioè in quel momento, ad esempio in un momento di distrazione, non avvertivi al 100% che stavi commettendo un peccato grave), oppure compiuti senza pieno consenso della volontà, in questo caso non c'è nessun problema, perché confessare queste cose è facoltativo. Anche i peccati mortali dubbi, cioè quando non sei in grado di giurare di aver avuto piena avvertenza o pieno consenso, non sei tenuta a dirli al confessore.
 
Se invece le parole “bloccate” riguardavano peccati gravi, commessi con piena avvertenza e deliberato consenso, in questo caso bisogna fare una distinzione. Se erano parole “non necessarie” allora non c'è problema. Ad esempio se uno ha rubato della frutta, non è necessario specificare se erano mele o pere. Se invece ha rubato un oggetto antico, potrebbe essere necessario specificare ulteriormente il tipo di oggetto rubato nel caso in cui si tratti di un oggetto sacro, poiché in quel caso oltre al peccato di furto si commette anche peccato di sacrilegio. Era solo un esempio per farti capire cosa intendevo per parole “non necessarie”.
 
Se una persona non è riuscita a dire cose “necessarie”, la prossima volta che si confesserà, basterà che dica che nelle precedenti confessioni ha avuto un blocco e non è riuscita a confessare bene certe cose, e sono certo che un buon confessore capirà tutto e l'aiuterà ad accusarsi di quelle cose in maniera naturale, con semplicità e tranquillità. Quando uscirà dal confessionale, quel penitente si sentirà sollevato e pieno di gioia interiore.
 
Un errore che spesso si commette è quello di vedere la Confessione con paura, in realtà è un sacramento gioioso perché l'unica sentenza che può essere emessa è l'assoluzione. Come è buono Gesù, basta che noi confessiamo con pentimento un peccato a un suo sacerdote, ed Egli ce lo perdona generosamente. Prima di entrare nel confessionale è cosa ottima pregare la Madonna, ella è nostra Madre e Mediatrice di tutte le grazie, e come tutte le madri è felicissima di aiutare i figli, anche se sono ingrati.
 
Hai fatto bene a pormi questo quesito, perché è meglio chiarire certe cose prima di confessarsi, così quando entrerai in confessionale, saprai già cosa dire e cosa non è necessario dire. Se hai altre domande da farmi, ti risponderò molto volentieri.
 
In Gesù e Maria.
 
Cordialiter

[SM=g1740722]

[SM=g1740733] riflessione

La messa alla domenica, la confessione a Natale e Pasqua. Il “gruppo” settimanale. Qualche preghiera. Insomma la norma. Il cristiano medio che si ritiene impegnato. Fino a quando in quella Veglia di Pasqua (o era la Vigilia di Natale?), ci fu l’incontro con D.D. che minacciò la non assoluzione. Troppo tiepidismo aveva riscontrato. Troppa normalità. Poca fede. Poco amore. Come si può avere fede, del resto, se non ci si comunica tutte le domenica?

Fu un trauma. Inizialmente scattò la ribellione. Mica si è ucciso nessuno. Tipico di chi non ha capito. Tipico del cristiano tiepido del so tutto io. Poi, violentandosi, il rapporto diviene più costante, il dialogo sempre più approfondito. D.D. con pazienza e amore fa apprendere anche le cose più ostiche, addirittura la messa quotidiana, al cui solo sentirne parlare fa scattare risolini su bigottismi e dintorni. Soprattutto ai cristiani adulti, del so tutto io.

Macché bigottismi: “Dacci oggi il nostro Pane quotidiano”. E se ci cibiamo di pane quotidiano, non si capisce perché il cristiano non si debba cibare di altro Pane, il “pane elfico” di gergo tolkeniano. Anzi, il Pane di Vita di cui parla Cristo.

O come l’Adorazione Eucaristica, o l’adorazione di chi entra per pochi minuti in chiesa, alla ricerca del silenzio dentro e fuori di sè. Al solo sentirne parlare gli occhi strabuzzano. Ma di che parla? Poi al ritorno da Roma, quella battuta improvvisa: “Dopo il discorso del Papa, volevo chiamarti”.

È così. D.D. è stato colui che ha illuminato il cammino di un fedele poco fedele.
Grazie D.D .

 

anche noi ringraziamo D.D.

[SM=g1740722] 

 

 

Responsabilità da prendersi

Ci sono responsabilità che nessuno si assume a cuor leggero. Un padre che punisce un figlio; un insegnante che richiama un alunno; un allenatore sportivo che deve prendere provvedimenti contro un ragazzo che si comporta male…: sono tutte situazioni spiacevoli, che si vorrebbero evitare, ma che a volte vanno affrontate, con fermezza. Fa parte del nostro essere uomini assumerci la responsabilità, in certi momenti, di prendere provvedimenti spiacevoli, ma giusti, e, in ultima analisi, improntati alla vera carità. Certo, bisogna prima provare tutte le vie alternative possibili: come diceva san Giovanni Bosco, a riguardo dell’educazione dei giovani, è sempre meglio prevenire che curare; prendere i ragazzi dal verso giusto, piuttosto che punirli. Ma a volte il castigo è doveroso ed inevitabile. San Francesco di Sales, il santo della mitezza, per il quale si conquista molto di più il cuore degli altri con una goccia di miele che con un barile di aceto, scriveva però che a volte “urlare al lupo”, dire la verità tutta intera riguardo a chi professa eresie, per quanto sia spiacevole, è opera di carità, cui non ci si può sottrarre.


Eppure, come cattolico, mi sembra che esista un luogo in cui ognuno può troppo spesso fare e dire ciò che vuole, senza tema di smentita, di richiamo, di ammonizione alcuna. Un partito espelle chi, facendone parte, si schiera sempre con gli avversari e mina l’unità del proprio schieramento; un allenatore mette in panchina il giocatore che usa fare gol nella propria porta; un datore di lavoro richiama il dipendente che agisce a vantaggio della concorrenza… Nella Chiesa cattolica, no. Da quasi quarant’anni, l’ortodossia non esiste quasi più, la disciplina nemmeno. Sarà perché si vuole apparire “aperti” di fronte al mondo; sarà perché crediamo meno nella Verità e nella responsabilità che ognuno di noi ha verso di essa; sarà perché il valore dell’obbedienza ha perso forza; sarà per il buonismo secondo cui l’arte del governare e il rispetto dell’autorità sono esigenze del passato… Fatto sta che se volete professare eresie gratis, anzi, pagati, da un pulpito, da una cattedra, da un settimanale diocesano, la Chiesa cattolica è oggi il posto giusto. Nessuno vi dirà niente, soprattutto se il vostro pensiero, pur cozzando con il magistero e con il Vangelo, piace al mondo.


Prendiamo qualche esempio: il sacerdote che sul settimanale diocesano della mia città difende l’aborto, elogia la Ru 486, propone come rimedio ai mali dei poveri la teologia della liberazione, può farlo, indisturbato, anzi, ripeto, pagato e omaggiato. Riceverà, honoris causa, il titolo di “profeta”. Finirà, come un don Gallo di provincia, sulle tv e sui media locali, intervistato, omaggiato, consultato. Diverrà la voce della Chiesa che piace, quella che “ha compreso i tempi”. Prendiamo quel monaco di Bose, Enzo Bianchi, che elogia pubblicamente la teologia eterodossa e papofoba di Hans Küng; che si indigna con vigore insolito di fronte alla posizione della (sua) Chiesa sul caso Eluana Englaro; che schierandosi apertamente contro i principi non negoziabili proclamati da Benedetto XVI, proclama, in nome di “un’etica condivisa” non si sa con chi, “l’assoluto diritto dello stato di legiferare su tutte quelle realtà sociali fondate o meno sul matrimonio (sia religioso che civile)”, e cioè il presunto dovere per un cattolico di accettare leggi che impongano i pacs, il matrimonio omossessuale, il divorzio ecc… Non si alzerà una voce della gerarchia ad ammonirlo.


Prendiamo quel cardinale di Milano che da vent’anni almeno fa l’antipapa, seminando confusione, discordia nell’ovile di Cristo, e alimentando veri e propri scismi, non di diritto, ma di fatto (quanti cattolici dichiarano di “seguire Martini piuttosto che il Vaticano”?). Non vi sarà alcun Sant’Uffizio non dico a richiamarlo, ma neppure a rispondergli per le rime, al momento opportuno, a costo di un poco di impopolarità.
Come indignarsi, poi, se vediamo cinema parrocchiali in cui vengono proiettati film pornografici, senza che nessuno si opponga? Come stupirsi se in quel di Modena, i responsabili del Centro Famiglia di Nazaret, il cui nome dovrebbe essere un programma, finiscono per ospitare, per incuria e superficialità, un convegno dal titolo “Donne allo specchio”, in cui parlano ginecologi abortisti e favorevoli a tutte le pratiche contrarie al diritto naturale?


Torno all’esempio inziale: un padre, un professore, un vescovo…devono talora avere il coraggio di correggere, con amore e per amore: amore per la verità, per l’errante che ha il diritto ad essere richiamato dai suoi superiori, e per coloro che rischiano di essere ingannati. Tirarsi da parte, far finta di non vedere, evitare le “grane”, è comodo, ma sterile. Assomiglia più all’indifferenza, all’ignavia, che alla misericordia. San Paolo metteva in guardia da coloro che “non sopportano la sana dottrina” e che “cercano maestri secondo le proprie voglie” e invitava i fratelli a “combattere la buona battaglia”. Esortava con coraggio: “predica la parola, insisti in ogni occasione favorevole e sfavorevole, convinci, rimprovera, esorta con ogni tipo di insegnamento e pazienza”.

Francesco Agnoli, Il Foglio


[SM=g1740733]
[Modificato da Caterina63 09/04/2012 13:00]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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