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Sant'Agostino ai Chierici e ai Presbiteri

Ultimo Aggiornamento: 12/07/2010 09:02
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SUL COMPORTAMENTO DEI CHIERICI DELLA SUA COMUNITÀ
DISCORSO (356)  di SANT' AGOSTINO.

La vita comune nella Chiesa primitiva è il modello dei suoi chierici.

1. Sono in debito con voi, miei cari, di un discorso su noi stessi. Dal momento che, come dice l'Apostolo: Siamo dati in spettacolo al mondo, agli angeli e agli uomini 1, quelli che ci amano cercano nel nostro operato di che lodarci, quelli che ci odiano di che criticarci. Noi, in mezzo tra gli uni e gli altri, dobbiamo, con l'aiuto del Signore Dio nostro, sorvegliare la nostra condotta e la nostra reputazione in modo che quelli che ci lodano non debbano vergognarsi di noi di fronte a quelli che ci criticano. Il nostro modello di riferimento e la pratica che già realizziamo, con l'aiuto di Dio, sono indicati nei brani degli Atti degli Apostoli di cui sarà data lettura ora, per ricordarvelo, anche se molti di voi già ben conoscono la sacra Scrittura.

Così vi sarà davanti agli occhi il modello che desideriamo realizzare. Vorrei che foste molto attenti mentre viene fatta questa lettura, in modo che io possa, subito dopo, parlare di ciò che ho in mente di dire, con l'aiuto di Dio, a persone che mi seguono con attenzione. (E il diacono Lazzaro legge:) Quand'ebbero terminato la preghiera il luogo in cui erano radunati tremò e tutti furono ripieni di Spirito Santo e annunziavano la parola di Dio con franchezza a tutti quelli che erano disposti a credere. La moltitudine dei credenti aveva un cuore solo e un'anima sola; e nessuno diceva sua proprietà quello che gli apparteneva, ma ogni cosa era tra loro comune. E con grande forza gli Apostoli rendevano testimonianza della risurrezione del Signore Gesù, e grazia abbondante era in tutti loro. Nessuno infatti fra loro era bisognoso perché quanti possedevano campi o case li vendevano, portavano il ricavato di ciò che era stato venduto e lo deponevano ai piedi degli Apostoli. Poi esso veniva distribuito a ciascuno secondo il bisogno 
2. (Dopo aver letto il diacono Lazzaro consegnò il codice al vescovo e Agostino vescovo disse:) " Voglio leggerlo anch'io questo brano.

Preferisco essere un lettore di questa parola che un assertore della mia. Quand'ebbero terminato la preghiera il luogo in cui erano radunati tremò e tutti furono ripieni di Spirito Santo e annunziavano la parola di Dio con franchezza a tutti quelli che erano disposti a credere. La moltitudine dei credenti aveva un cuore solo e un'anima sola; e nessuno diceva sua proprietà quello che gli apparteneva, ma ogni cosa era tra loro comune. E con grande forza gli Apostoli rendevano testimonianza della risurrezione del Signore Gesù, e grazia abbondante era in tutti loro. Nessuno infatti fra loro era bisognoso perché quanti possedevano campi o case li vendevano, portavano il ricavato di ciò che era stato venduto e lo deponevano ai piedi degli Apostoli. Poi esso veniva distribuito a ciascuno secondo il bisogno ". (Dopo aver letto il vescovo disse:).

Le ciarle sull'episcopio.

2. Avete sentito quale è il nostro progetto di vita: pregate perché riusciamo a realizzarlo. Un caso si è verificato che rende necessario trattare la cosa con maggiore diligenza. Come già sapete, un presbitero ammesso nella nostra società - e quale società voglia essere lo attesta la lettura che avete or ora ascoltato - fece in morte una donazione per testamento: aveva dunque di che farla; c'era qualcosa che poteva dire " sua ", pur vivendo in una società in cui a nessuno era lecito avere nulla di proprio perché tutto è in partecipazione comune. Se qualcuno di quelli che ci amano e ci apprezzano vantasse i meriti di questa società e a chi ci critica dicesse: " Tutti quelli che abitano con il vescovo Agostino vivono esattamente secondo il modello descritto negli Atti degli Apostoli ", il nostro detrattore potrebbe subito scuotere il capo e tirare fuori il morso della sua accusa: " Veramente si vive così come dici? Perché menti? E onori con false lodi gli indegni? Non si è dato forse il caso proprio ora di un presbitero della loro comunità che ha fatto testamento?
 
Ha disposto di quello che aveva come ha voluto, e come ha voluto lo ha lasciato in eredità. Veramente lì ogni cosa è in comune? Veramente nessuno si ritiene proprietario di qualche cosa? ". All'attacco di queste accuse che cosa potrebbe fare il nostro difensore? Quel detrattore gli tapperebbe la bocca come col piombo. Ed egli forse sarebbe pentito di averci lodato. Pieno di vergogna, confuso da quelle parole, finirebbe per insultare sia noi sia colui che ha fatto il testamento. Questa è la circostanza che ci ha portato alla necessità di una precisazione.

Esito della verifica sul voto di povertà. Valente, Patrizio.

3. Vi dò intanto una notizia che vi farà piacere: tutti i miei confratelli e compagni di sacerdozio che fanno qui con me vita comune, presbiteri, diaconi e suddiaconi, come pure il mio nipote Patrizio, ho constatato che sono proprio tali quali desideravo trovarli. Due ci sono: il diacono Valente e mio nipote Patrizio suddiacono, quello che ho or ora menzionato, i quali non hanno ancora attuato la loro decisione riguardo alla loro, per piccola che sia, proprietà. In quanto al diacono glielo impediva il fatto che era in vita la madre, usufruttuaria di questa proprietà; inoltre si aspettava che giungesse all'età legale perché la sua decisione fosse dettata da una ben ferma consapevolezza.

Comunque non lo può ancora fare anche perché alcuni poderetti in proprietà comune col suo fratello, sono in possesso indiviso. Egli desidera dare quelli che spettano a lui alla Chiesa, a sostentamento, finché vivono, di quelli che gli sono compagni nel proposito di vita santa. E` stato scritto infatti, lo dice l'Apostolo, che: Chi non provvede ai suoi di casa, smentisce la sua fede, è peggiore di un infedele 
3. Egli possiede tuttora degli schiavi, anche questi in proprietà comune col fratello, non ancora divisi. Li vuole affrancare ma non può farlo prima della divisione perché non sa quale è la parte che tocca a lui. La divisione è di sua pertinenza perché è il maggiore dei fratelli, ma la scelta è dell'altro. Anche questo suo fratello è servo di Dio, è suddiacono nella chiesa di Milevi presso il santo fratello mio e coepiscopo Severo.

Ci si sta occupando della cosa, bisogna far presto, onde, fatta la divisione di quegli schiavi, essi possano essere affrancati, ed egli possa darli alla Chiesa perché pensi al loro sostentamento. In quanto al nipote, Patrizio, da quando si è convertito e ha incominciato a stare con me, era impossibilitato anche lui a disporre di certi suoi poderetti finché era in vita la madre che ne era usufruttuaria. Quest'anno è morta e gli resta da comporre qualche vertenza con le sue sorelle, cosa che sarà fatta al più presto, con l'aiuto di Cristo, in modo che anche lui realizzi quello che si addice ad un servo di Dio, quello che esigono la sua professione e il monito che viene da questa lettura che abbiamo fatta.

I diaconi: Faustino,

4. In quanto al diacono Faustino, come quasi tutti sapete, è venuto qui, convertendosi dalla milizia del secolo al monastero. Qui fu battezzato, poi ordinato diacono. Quello che possedeva sembra ben poco e lo aveva lasciato iure non corpore, come dicono i giuristi, e lo tenevano i suoi fratelli. Dal momento della conversione non se ne era più occupato, non aveva mai chiesto nulla ai fratelli e a lui non si era mai chiesto nulla al riguardo. Ma ora, trovandoci in questa circostanza, fece, per mio consiglio, la divisione della sua sostanza; metà la diede ai fratelli, metà a una chiesa povera che si trova nella località del suo paese natale.

Severo,

5. In quanto al diacono Severo sapete a quale prova e tormento sia sottoposto da Dio, ma la luce della mente gli è rimasta. Egli aveva acquistato qui una casa per la madre e la sorella che desiderava far venire dalla patria. L'aveva acquistata non con denaro suo, che non ne aveva, ma da una colletta fatta da pia gente, persone di cui mi ha dato anche i nomi quando gli ho chiesto chi fossero. Di lui non ho altro da dire riguardo a che cosa abbia fatto e che cosa pensi di fare, se non che ha rimesso tutto alla mia volontà, perché si faccia esattamente quello che decido io. Ha anche qualche questione in pendenza con la madre ed è stato disposto che io ne sia il giudice in modo che, chiusa la pendenza, si faccia della casa quello che avrò stabilito io. E che cosa potrò volere, con la guida di Dio, se non quello che giustizia comanda e pietà filiale richiede? Ha anche, in patria, qualche campicello. Ebbene, vuole distribuirli in modo che sia fatta beneficenza anche lì, a una chiesa povera di quei posti.

il diacono d'Ippona,

6. In quanto al diacono d'Ippona, è un uomo povero: non ha nulla da dare a nessuno. Tuttavia, prima di farsi chierico, aveva, coi risparmi dei suoi lavori, ricavato di che comprarsi degli schiavi. Oggi stesso, sotto i vostri occhi, li affrancherà con decreto episcopale.

Eraclio.

7. In quanto al diacono Eraclio la sua vita è davanti ai vostri occhi. Le fondazioni da lui fatte sono in vista. Grazie al denaro ricavato dal suo lavoro abbiamo una cappella dedicata al santo martire. Egli ha acquistato, per mio consiglio, anche una piccola proprietà con denaro che voleva dare a me perché fosse distribuito dalle mie mani, a mio piacere. Se io amassi il denaro o se mi fossi preoccupato in questa circostanza delle incombenze che personalmente mi addosso per i poveri, mi sarei tenuto quel denaro. " Perché dunque non lo hai fatto? " potrebbe dire qualcuno. Quella proprietà, da lui acquistata e donata alla Chiesa, non dà ancora beneficio alcuno alla Chiesa. Egli aveva una somma inferiore a quella occorrente per l'acquisto e a tutt'oggi quel che se ne ricava va ad estinguere il debito fatto allora. Io sono vecchio. Quanto frutto potrà arrivare a me di quella proprietà? Posso aggiudicarmi tanti anni di vita quanti sono necessari perché sia estinto quel debito [e la proprietà diventi redditizia]?

Quello che egli a stretta misura e in tempi lunghi dà in parziali acconti [ai creditori] io avrei potuto averlo tutto subito a disposizione se avessi voluto. Non l'ho fatto. Ho pensato diversamente. Vi confesso che avevo qualche incertezza per la sua giovane età. E anche temevo le eventuali reazioni di sua madre che la cosa - come è umano - finisse per dispiacerle e dicesse che l'adolescente era stato plagiato da me per consumargli l'eredità paterna, e che l'avrei lasciato nel bisogno. Così ho voluto che il suo denaro fosse investito in quella proprietà in modo che se si dovessero verificare eventi diversi da quelli che desideriamo (li tenga lontani Dio, li tenga lontani!), gli sia restituito il suo terreno e la reputazione del vescovo non sia compromessa. Mi rendo conto infatti che se a me basta la mia buona coscienza, per voi è necessaria anche la mia buona reputazione. Eraclio acquistò anche un terreno nella località retrostante questa chiesa, dove è lo sapete, e col suo denaro vi costruì una piccola casa; anche questo lo sapete, ma pochi giorni prima che parlassi a voi di queste cose, ne ha fatto dono alla Chiesa. La cosa vi è nota. Aveva voluto aspettare che la costruzione fosse ultimata per donarmela finita. Non aveva alcun bisogno lui personalmente di una casa, se non ché pensava che vi sarebbe potuta venire sua madre.
 
Se fosse venuta prima infatti avrebbe preso dimora nella proprietà di suo figlio. Se viene ora abiterà nel fabbricato della chiesa dove abita suo figlio. Rendo testimonianza per lui: è rimasto povero, in possesso della carità è rimasto. Gli appartenevano ancora alcuni schiavetti, tuttora nel monastero, ma proprio oggi egli li affranca con regolare atto ecclesiastico. Dunque nessuno dica più: " E` ricco ". Nessuno pensi male. Nessuno faccia maldicenze. Nessuno coi suoi propri denti faccia strazio di se stesso, della sua anima; denaro da parte non ne ha. E Dio voglia che possa pagare i suoi debiti.

I suddiaconi.

8. Quanto agli altri diaconi, sono tutti poveri per grazia di Dio e stanno alla misericordia divina. Non hanno nulla di cui poter disporre e il fatto di non avere nulla ha stroncato le cupidige mondane. Vivono con noi in comune società e nessuno qui fa alcuna distinzione tra loro e quelli che hanno portato qualcosa. L'unità della carità è preferibile a qualunque vantaggio di eredità terrene.

I presbiteri:

9. Rimangono i presbiteri, cui sono giunto gradualmente. In due parole: sono tutti poveri di Dio. Non hanno arrecato nulla alla nostra comunità, tranne quel dono, il più caro di tutti, della carità. Tuttavia, poiché so che anche su loro corre voce di presunte ricchezze, voglio farne parola, non perché io debba indurli a fare qualcosa, ma perché siano giustificati ai vostri occhi dalla mia dichiarazione.

Leporio,

10. Parlo per quelli che non lo sanno: sono cose che la maggior parte di voi sa. Il presbitero Leporio, quando fu accolto qui da me, era povero nonostante i suoi illustri natali e di famiglia altolocata, perché già servo di Dio, aveva ormai lasciato tutto ciò che possedeva; non era uno che non possedesse dei beni, ma ne aveva già fatto l'uso che la lettura testé fatta ci invita a fare. Non lo ha fatto qui, ma ci risulta dove lo ha fatto. Cristo fa unità, la Chiesa è una sola. Ovunque sia stata fatta quest'opera buona essa appartiene anche a noi, purché ne godiamo insieme.

C'è un orto situato dove voi sapete, in cui aveva costruito un monastero per i suoi, al servizio, anch'essi, di Dio. Quell'orto non appartiene alla Chiesa e neppure a lui. " Di chi è allora? " dirà qualcuno. E` del monastero che si trova nel luogo. In verità egli ne aveva tanta cura che anche alle spese del monastero finora provvedeva lui; si era addossato personalmente - sembra - le loro necessità. Ma ora, per non dare occasione alle sospettose dicerie di chi critica a vuoto senza essere mai sazio, si è deciso insieme io e lui: i monaci vivano come se Leporio fosse morto. Se fosse morto darebbe forse loro qualcosa? In quanto a lui è meglio che egli si contenti di guardarli vivere bene, con l'aiuto di Dio, e obbedire alla disciplina di Cristo; egli, senza più occuparsi delle loro necessità, di loro si limiti a godere. Egli non ha denaro che possa ed osi chiamare suo. L'ospizio per pellegrini che era da costruire ora lo vedete costruito. Io gliel'ho richiesto, io gliel'ho ordinato. Lietissimo mi ha ubbidito, lo ha realizzato, come potete vedere. Ugualmente su mia richiesta ha costruito la basilica agli otto martiri con i proventi che Dio ci ha fatto pervenire in base alle vostre offerte.

Cominciò infatti col denaro che era stato dato alla Chiesa per l'ospizio e dopo l'inizio della costruzione ebbe contributi da persone religiose, che volevano i loro nomi scritti in cielo; lo aiutarono ciascuno secondo le proprie disponibilità ed egli portò a termine la fabbrica. La abbiamo davanti agli occhi. Che cosa è stato realizzato ognuno lo può vedere. In quanto a denaro lui non ne ha, credetemi. E chi ha criticato si rimangi la critica, non denigri. Aveva usato parte degli stessi fondi, destinati alla foresteria, per l'acquisto di una casa in località Carraria, dal cui frutto pensava di fare provvista di pietrame per la sua costruzione. Ma poi le pietre per quella fabbrica non risultarono più necessarie perché gli vennero da altra via. La casa così è rimasta e dà un frutto, ma alla Chiesa, non a quel presbitero. Nessuno deve più dire: " nella casa del presbitero ", " alla casa del presbitero ", " davanti alla casa del presbitero ". Volete sapere invece dov'è la casa di quel presbitero? Dove c'è la mia lì c'è anche la sua casa. Non ha casa altrove, ma ovunque ha Dio.

i figli di Gennaro.

11. Che cosa andate cercando ancora? Ricordo però anche una mia promessa: che vi avrei riferito sul risultato del mio intervento nella contesa tra due persone, un fratello e una sorella, i figli del presbitero Ianuario tra i quali era sorta, per questioni di denaro, una controversia, che tuttavia lasciava salva, per grazia di Dio, la carità, come si conviene a fratelli. Vi avevo promesso che avrei stabilito un'udienza per loro e che, comunque stessero le cose, avrei posto fine con un giudizio alla vertenza. Mi ero dunque preparato ad assolvere la funzione di giudice, ma prima di cominciare il giudizio essi composero la questione su cui avrei dovuto giudicare. Ho trovato solo da rallegrarmi, non ho trovato più materia di giudizio. Essi in perfetta armonia accettarono il suggerimento che avevo dato, quella che era la mia volontà, cioè di fare parti uguali del denaro che il padre lasciò, dato che la Chiesa aveva rinunciato all'eredità.

la maldicenza.

12. Dopo questi miei chiarimenti la gente parlerà. Ma qualunque cosa dicano, quali che siano le voci che corrono, qualcosa mi giungerà all'orecchio; se sarà materia tale da richiedere ancora una rettifica, risponderò ai detrattori, ai maldicenti, agli increduli, a coloro che non credono a noi benché siamo i loro superiori. Risponderò come potrò, così come il Signore m'ispirerà. Intanto, al momento, non è necessario perché forse ora non hanno nulla da dire. Chi ci ama può godere liberamente, chi ci odia si roderà in silenzio. Tuttavia se ci saranno critiche si udranno anche le mie risposte, non polemiche, con l'aiuto di Dio. Certo io mi guarderò dal far nomi. Non dirò: " Il tale mi ha detto così; il tal altro ha fatto queste critiche ". Possono anche riferirmi il falso. E` cosa che avviene. Tuttavia qualunque cosa mi venga riferita, se mi parrà opportuno, ve ne parlerò: voglio che la nostra vita sia sotto i vostri occhi. So bene che chi cerca giustificazione al suo cattivo comportamento si industria di trovare esempi di chi vive male e ne infama molti per apparire in buona compagnia. Per non dare pretesti a costoro ho fatto le precisazioni che mi competevano. Più di questo non posso fare: eccoci sotto i vostri occhi. Da nessuno di voi desideriamo altro che le vostre opere buone.

I regali.

13. Se voi volete regalare qualcosa ai chierici, sappiate che non dovete giungere ad attizzare i loro difetti in senso contrario alle mie norme. Se avete la buona intenzione di offrire qualcosa, offritela in modo che possa essere per tutti: ciò che sarà messo in comune verrà distribuito secondo il bisogno di ciascuno. Tenete presente la cassa comune delle elemosine e tutti ne avremo parte. Mi piace pensare che quella sia come la nostra mangiatoia: noi essere come i giumenti di Dio e voi il campo di Dio. Nessuno dia un mantello, una tunica di lino al singolo.

Dia solo alla comunità, chi riceverà qualcosa, lo riceverà dal fondo comune. Io stesso, poiché so di voler avere in comune tutto quello che ho, non voglio che mi facciate regali che mi distinguano sugli altri: che mi sia offerto ad esempio un mantello prezioso. Forse si addice al vescovo ma non ad Agostino, un uomo povero, nato da povera gente. Direbbero subito che qui indosso vesti preziose quali non avrei mai potuto avere dalla casa paterna né dalla professione che esercitavo nel mondo. A me non si addice. Io debbo avere un vestito che potrei regalare, se non lo avesse, a un mio fratello; un vestito quale può avere un presbitero, quale può dignitosamente indossare un diacono, un suddiacono. Quello solo accetto, perché accetto in vista della comunità. Se mi si offre un vestito più prezioso lo vendo: così sono solito fare perché il ricavo della vendita si può mettere in comune mentre un vestito così non può essere messo in comune. Vendo e dò ai poveri. Se uno vuole proprio farmi il regalo di un vestito me lo dia tale che non mi faccia arrossire. Io - vi confesso - di un vestito troppo bello mi vergogno; non si addice a questo mio ministero, a questi miei insegnamenti, al mio povero fisico, alla mia canizie.

Altro avviso: se nella nostra comunità c'è qualcuno ammalato o convalescente che ha bisogno di ristorarsi prima dell'ora del pasto, non proibisco che persone religiose, uomini o donne, gli facciano avere quello che credono. Ma il pranzo e la cena fuori di qui, no. Per nessuno.

Agostino rifiuta nell'elenco dei chierici chi ha possedimenti.

14. Ecco, lo dichiaro, avete sentito, [tutti] sentono. Chi vorrà tenere qualcosa di proprio, vivere del proprio, contro questi regolamenti, è troppo poco dire che non rimarrà con me, ma anche non sarà ecclesiastico. Avevo detto prima, so bene di averlo detto, che non avrei tolto il chiericato a quelli che non avessero accettato la vita comunitaria con me, ma purché rimanessero al di fuori, vivessero fuori della comunità, vivessero per Dio a modo loro; anche se avevo posto davanti ai loro occhi quanto male sia recedere da un proposito. Ho preferito infatti tenermi degli zoppicanti che piangere dei morti, perché l'ipocrita è un morto. In conclusione, chiunque abbia voluto in qualunque modo rimanere fuori della comunità e vivere del suo, non si vedrà tolto il chiericato. Ma se fra quelli che hanno deciso di stare in questa società ve ne è qualcuno che vive con ipocrisia, che si trovi ad aver mantenuto qualche suo possesso, non gli permetto di arrivare a fare testamento; questo sì lo cancello dall'elenco dei chierici.

Può anche ricorrere contro di me, appellandosi a mille concili, giungere contro di me fin dove vuole, risiedere dove gli sarà possibile stare, ma il Signore mi aiuterà finché io sarò vescovo, costui non sarà chierico nella mia giurisdizione. Avete sentito. Hanno sentito. Ma io spero nel Dio nostro, spero nella sua misericordia. Spero che, come lietamente è stata accolta questa mia disposizione, così la si osservi con animo puro e fedele.

Dicerie sul conto di Barnaba.

15. Ho detto prima che i presbiteri che abitano con me non posseggono nulla di proprio. Fra di essi c'è il presbitero Barnaba. Anche sul suo conto ho sentito che si sono fatte illazioni. Anzitutto lo si accusa di aver acquistato una villa dal diletto e rispettabile figlio mio Eleusino. E` falso. Eleusino non ha venduto. Ha fatto una donazione al monastero, non una vendita. Io ne sono testimonio. Non so che cosa vogliate sapere di più. Io ne sono testimonio. Ha donato, non venduto. Che abbia potuto donare non lo si crede; che abbia potuto vendere sì. Veramente beato l'uomo il quale fa azioni tanto buone che appaiono incredibili. Ma almeno ora siatene certi e cessate di dare facile credibilità ai maldicenti. Ve l'ho già detto: ne sono io il testimone.

Poi è sorta anche una diceria sul suo conto, che avrebbe, nell'anno del suo incarico di amministratore, per un suo preciso disegno, contratto dei debiti in modo tale che per pagarli io gli avrei dato, dietro sua richiesta, il fondo Vittoriano, come se avesse fatto con me un accordo di questo tenore: " Per pagare i debiti, dammi per la durata di dieci anni il podere Vittoriano ". Anche questo è falso. Ma ecco la materia da cui nacque questa diceria. Fece effettivamente dei debiti che bisognava pagare. Noi li abbiamo pagati in parte, come è stato possibile. Ma rimase qualcosa che si doveva restituire anche a quel monastero, che Dio fondò per opera sua. Essendovi questa pendenza, cominciammo dunque a cercare come estinguere il debito. Per la conduzione di quel podere non si presentò alcuno che proponesse un reddito superiore a quaranta soldi l'anno. Noi sapevamo che il fondo poteva rendere di più e in tal modo fornirci la possibilità di liberarci del debito in tempi più corti.

Così diedi a lui, su fiducia, l'amministrazione del podere con il patto che tutti i proventi si riservassero al debito, senza ricavarne più alcun guadagno per i fratelli. Fu un affare di fiducia e il presbitero è pronto a lasciare l'incarico se stabilisco che un altro amministri quel reddito per i fratelli. Si presenti per questo incarico qualcuno di voi, tra coloro stessi che mi hanno riferito tali dicerie. Vi sono infatti tra voi uomini di buona coscienza religiosa che si dolsero di vederlo criticato da questa falsa voce, tuttavia hanno prestato fede al fatto. Di costoro venga qui dunque qualcuno, accetti l'amministrazione di questa proprietà, venda regolarmente al suo prezzo tutto ciò che frutta, in modo che si possa al più presto pagare il debito e da oggi stesso cesserà l'incarico dato al presbitero. Anche in quanto al luogo in cui fu costruito il monastero dal su ricordato stimatissimo figlio mio Eleusino, esso era stato donato al presbitero Barnaba prima della sua ordinazione sacerdotale.

Quivi costruì il monastero. Ma egli, giacché la donazione era stata iscritta a suo nome, fece mutare l'atto di donazione per intestarlo al monastero stesso. In quanto al fondo Vittoriano sono qui a pregarvi, esortarvi, chiedervi pressantemente che se qualcuno è di sentimenti religiosi accetti in fiducia questo incarico, dia questa prestazione alla Chiesa, in modo che presto il debito sia pagato. Se non si trova nessun laico io affido l'incarico a un altro ecclesiastico, perché costui ormai ne sarà esonerato. Che cosa volete di più? Nessuno faccia strazio della reputazione dei servi di Dio. I detrattori non ci guadagnano nulla. Per i servi di Dio invece cresce il merito quando sono colpiti dalla falsità delle calunnie, ma cresce anche la pena dei detrattori. Non senza ragione infatti è stato detto: Godete ed esultate quando, mentendo, diranno male di voi, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli 
4. Noi però non vogliamo acquistare un grande merito a prezzo del vostro danno. Preferiamo avere minore ricompensa ma essere insieme con voi nel regno dei cieli
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Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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Omelia (41)

La santità del presbitero

10. La prima libertà, quindi, consiste nell'essere immuni da colpe gravi. Perciò l'apostolo Paolo dovendo scegliere chi doveva essere ordinato presbitero o diacono, e chiunque altro per il governo della Chiesa, non ha detto "Se uno è senza peccato"; perché se avesse detto questo, tutti dovevano essere riprovati e nessuno ordinato. Ha detto: Se uno è senza colpa grave (Tt 1, 6; 1 Tim 3, 10), come sarebbe l'omicidio, l'adulterio, la fornicazione, il furto, la frode, il sacrilegio, e così via. Quando uno comincia a non avere questi crimini (e nessun cristiano deve averli), comincia a levare il capo verso la libertà; ma questo non è che l'inizio della libertà, non la libertà perfetta.

Perché, domanderà qualcuno, non è la libertà perfetta? Perché sento nelle mie membra un'altra legge in conflitto con la legge della mia ragione; per cui non quello che vorrei io faccio, - dice l'Apostolo - ma quello che detesto (Rm 7, 23 19). La carne ha voglie contrarie allo spirito e lo spirito desideri opposti alla carne, così che voi non fate ciò che vorreste (Gal 5, 17). Libertà parziale, parziale schiavitù: non ancora completa, non ancora pura, non ancora piena è la libertà, perché ancora non siamo nell'eternità. In parte conserviamo la debolezza, e in parte abbiamo raggiunto la libertà. Tutti i nostri peccati nel battesimo sono stati distrutti; ma è forse scomparsa la debolezza, dato che è stata distrutta l'iniquità? Se essa fosse scomparsa, si vivrebbe in terra senza peccato.

Chi oserà affermare questo se non chi è superbo, se non chi è indegno della misericordia del liberatore, se non chi vuole ingannare se stesso e nel quale non c'è la verità? Ora, siccome è rimasta in noi qualche debolezza, oso dire che nella misura in cui serviamo Dio siamo liberi, mentre nella misura in cui seguiamo la legge del peccato siamo schiavi. L'Apostolo conferma ciò che noi stiamo dicendo: Secondo l'uomo interiore io mi diletto nella legge di Dio (Rm 7, 22). Siamo liberi, in quanto ci dilettiamo nella legge di Dio: è la libertà che ci procura questo diletto. Finché è il timore che ti porta ad agire in modo giusto, vuol dire che Dio non forma ancora il tuo diletto. Finché ti comporti da schiavo, vuol dire che ancora non hai riposto in Dio la tua delizia: quando troverai in lui la tua delizia, sarai libero. Non temere il castigo, ama la giustizia. Non sei ancora arrivato ad amare la giustizia? Comincia ad aver timore del castigo, onde giungere ad amare la giustizia.

11. L'Apostolo si sentiva già libero nella parte superiore, quando diceva: Secondo l'uomo interiore io mi diletto nella legge di Dio. Acconsento cordialmente alla legge, mi compiaccio in ciò che la legge comanda, e la giustizia stessa mi procura gioia. Ma vedo un'altra legge nelle mie membra - questa è la debolezza che è rimasta - che è in conflitto con la legge della mia mente e mi rende schiavo sotto la legge del peccato che è nelle mie membra (Rm 7, 22-23). In quella parte dove la giustizia era incompleta, si sente schiavo, mentre dove si diletta nella legge di Dio, non si sente schiavo, ma amico della legge; ed essendo amico è perciò libero.

Che dobbiamo fare nei confronti della debolezza che resta in noi? Ci rivolgiamo a colui che dice: Se il Figlio vi libererà, sarete veramente liberi (Gv 8, 36). A lui si rivolge lo stesso Apostolo, esclamando: O me infelice, chi mi libererà da questo corpo di morte? La grazia di Dio per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore. Dunque se il Figlio vi libererà, sarete veramente liberi. E così conclude: Io dunque, quanto alla mente, servo alla legge di Dio, quanto alla carne invece alla legge del peccato (Rm 7, 24-25). Io stesso, dice; poiché non si tratta di due persone fra loro contrarie, provenienti da origine diversa; ma io stesso quanto alla mente, servo alla legge di Dio, quanto alla carne invece alla legge del peccato, fintanto che l'infermità in me resisterà alla salute.

[Al servizio di Dio, nella libertà di Cristo.]

12. Ma se quanto alla carne sei soggetto alla legge del peccato, fa' quanto dice l'Apostolo: Il peccato, dunque, non regni più nel vostro corpo mortale sì da piegarvi alle sue voglie, né vogliate offrire le vostre membra quali armi di iniquità al servizio del peccato (Rm 6, 12-13). Non ha detto: non ci sia, ma non regni. E' inevitabile che il peccato perduri nelle tue membra; gli si tolga almeno il regno, non si faccia ciò che comanda. Insorge l'ira? non concedere all'ira la lingua per maledire, non offrire all'ira la mano o il piede per colpire. Non insorgerebbe questa ira irragionevole se nelle tue membra non esistesse il peccato; però privala del potere, sicché non possa disporre di armi per combattere contro di te; quando non troverà più armi, cesserà d'insorgere.

Non vogliate offrire le vostre membra quali armi di iniquità al servizio del peccato; altrimenti sarete del tutto schiavi e non potrete dire con la mente servo alla legge di Dio. Se la mente infatti controlla le armi, le membra non potranno muoversi al servizio delle voglie insane del peccato. Il comandante interiore occupi la fortezza, perché il subalterno si muova agli ordini del comandante superiore; freni l'ira, reprima la concupiscenza. Sempre vi è qualcosa da frenare, qualcosa da reprimere, qualcosa da dominare. Che altro voleva quel giusto, che con la mente serviva alla legge di Dio, se non che non ci fosse assolutamente nulla da frenare? E questo deve sforzarsi di ottenere chiunque tende alla perfezione, che la concupiscenza, privata di membra obbedienti, diminuisca via via che uno progredisce. Sono in grado di volere il bene, - dice ancora l'Apostolo - ma non di portarlo a compimento (Rm 7, 18).
 
Ha forse detto che non è in grado di fare il bene? Se avesse detto questo, non rimarrebbe alcuna speranza. Ha detto che non è in suo potere non il "fare", ma il portare a compimento. E in che consiste la perfetta attuazione del bene, se non nella distruzione e nella radicale eliminazione del male? E in che consiste la eliminazione del male se non in ciò che dice la legge: Non aver concupiscenze (Es 20, 17)? La perfezione del bene consiste nell'essere totalmente liberi dalla concupiscenza, perché in ciò consiste la eliminazione del male.

Questo è ciò che afferma l'Apostolo: L'attuazione perfetta del bene non è in mio potere. Non era in suo potere non sentire la concupiscenza: era in suo potere frenare la concupiscenza per non assecondarla, e rifiutarsi di offrire le sue membra al servizio della concupiscenza. Compiere perfettamente il bene, non è in mio potere, dato che mi è impossibile adempiere il comandamento: Non aver concupiscenze. Che cosa è dunque necessario?
Che tu metta in pratica il precetto: Non seguire le tue concupiscenze (Sir 18, 30). Fa' così finché nella tua carne permangono le concupiscenze illecite: Non seguire le tue concupiscenze. Rimani fedele nel servizio di Dio, permani nella libertà di Cristo; assoggettati con la mente alla legge del tuo Dio. Non seguire le tue concupiscenze: seguendole, le rinforzi; e se le rinforzi come potrai vincerle? Come potrai vincere i tuoi nemici, se li nutri contro di te con le stesse tue forze?

13. E' questa la libertà piena e perfetta dono del Signore Gesù che ha detto: Se il Figlio vi libererà, allora sarete veramente liberi. Ma quando sarà veramente piena e perfetta? Quando non ci saranno più nemici, quando sarà distrutta l'ultima nemica che è la morte. Bisogna infatti che questo corpo corruttibile rivesta l'incorruttibilità, che questo corpo mortale rivesta l'immortalità; ma quando questo corpo mortale si sarà rivestito dell'immortalità, allora si compirà quella parola della Scrittura: La morte è stata ingoiata nella vittoria. Dov'è, o morte, la tua vittoria? (1 Cor 15, 26 53-55).
 
Che significa: morte, dov'è la tua vittoria? Che quando dominava la carne del peccato, la carne aveva desideri contrari allo spirito e lo spirito desideri contrari alla carne. Morte, dov'è la tua vittoria? Ormai vivremo, non dovremo più morire, grazie a colui che per noi è morto ed è risorto affinché coloro che vivono - dice l'Apostolo - non vivano più per se stessi, ma per colui che morì e risuscitò per essi (2 Cor 5, 15). Chiamiamo il medico, noi che siamo feriti, e facciamoci portare all'albergo per essere curati. Chi assicura la guarigione è colui che ebbe misericordia di quell'uomo che i briganti abbandonarono sulla strada mezzo morto: ne curò le ferite versandovi sopra olio e vino, se lo mise sulla cavalcatura, lo portò all'albergo e lo raccomandò all'albergatore.

A quale albergatore? Penso a colui che disse: Noi siamo gli ambasciatori di Cristo (2 Cor 5, 20). Perché il ferito fosse curato, sborsò due denari (cf. Lc 10, 30-35); che credo siano i due precetti che racchiudono tutta la legge e i profeti (cf. Mt 22, 37-40). Anche la Chiesa dunque, o fratelli, è quaggiù un albergo per i viandanti, poiché in essa si ha cura di chi è ferito; ma è in alto l'eredità a lei destinata.


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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