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Cent'anni fa san Pio X donava la Prima Comunione ai Bambini "Quam singulari Christus amore"

Ultimo Aggiornamento: 29/07/2012 17:38
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08/08/2010 18:06
 
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Cent'anni fa Pio X abbassava l'età per la prima comunione

Gesù e i bambini

                                              

Nel centenario del decreto "Quam singulari Christus amore" (8 agosto 1910) di Pio X, il Papa beatificato nel 1951 e canonizzato nel 1954, pubblichiamo una riflessione del cardinale prefetto della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti.

di Antonio Cañizares Llovera

Cento anni fa con il decreto Quam singulari Pio X, seguendo fedelmente gli insegnamenti dei concili Lateranense iv e Tridentino, fissò la prima comunione e la prima confessione dei bambini all'età dell'uso della ragione, cioè intorno ai sette anni. Questa disposizione implicava un cambiamento molto importante nella pratica pastorale e nella concezione abituale di allora, che per diverse ragioni avevano ritardato questo avvenimento così fondamentale per l'uomo.

Con questo decreto Pio X, il grande e santo Papa della pietà e della partecipazione eucaristica, con il desiderio di rinnovamento ecclesiale che ispirò il suo pontificato, insegnò a tutta la Chiesa il senso, il momento, il valore e la centralità della santa Comunione per la vita di tutti i battezzati, compresi i bambini. Nello stesso tempo sottolineava e ricordava a tutti l'amore e la predilezione di Gesù per i bambini poiché egli, oltre a farsi bambino, manifestò il suo amore verso di loro con gesti e parole, al punto di dire: "Se non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli"; "Lasciate che i bambini vengano a me, non glielo impedite: a chi è come loro infatti appartiene il regno di Dio". Essi sono sempre amici molto speciali del Signore.


Con la stessa predilezione, lo stesso sguardo amorevole e la stessa attenzione e sollecitudine speciale la Chiesa guarda, segue, si prende cura e si preoccupa dei bambini. Per questo, come madre amorevole, auspica che i suoi figli piccoli, i primi nel regno dei cieli, partecipino presto, con la debita disposizione, del dono migliore e più grande che Gesù ci ha lasciato in memoria sua: il suo corpo e il suo sangue, il pane della vita. Grazie alla santa Comunione, Gesù in persona, Figlio unico di Dio, entra nella vita di chi lo riceve e prende dimora in lui.

Non esiste amore più grande, né più grande regalo. Questo è un dono di amore che vale più di ogni altra cosa nella vita di ogni uomo. Essere con il Signore; che il Signore sia in noi, dentro di noi; che ci alimenti e ci sazi; ci prenda per mano e ci guidi; che ci vivifichi e che noi si resti fedeli nella comunione e nell'amicizia con lui: è senza dubbio la cosa più grande, più gratificante, più gioiosa che possa capitare. Come rimandare, allora, per i bambini, questo incontro con Gesù, visto che sono i suoi migliori amici, coloro che sono amati in modo speciale da Dio Padre, oggetto delle cure speciali della Chiesa, madre santa?

La prima comunione dei bambini è come l'inizio di un cammino insieme a Gesù, in comunione con lui: l'inizio di un'amicizia destinata a durare e a rafforzarsi per tutta la vita con lui; l'inizio di un cammino perché con Gesù, uniti senza separarci, procediamo bene e la vita diventa buona e gioiosa; con lui dentro di noi possiamo essere senza dubbio persone migliori. La sua presenza tra noi e con noi è luce, vita e pane nel cammino. L'incontro con Gesù è la forza di cui abbiamo bisogno per vivere con allegria e speranza.
Non possiamo, ritardando la prima comunione, privare i bambini - l'anima e lo spirito dei bambini - di questa grazia, opera e presenza di Gesù, di questo incontro di amicizia con lui, di questa partecipazione singolare di Gesù stesso e di questo alimento del cielo per poter maturare e arrivare così alla pienezza. Tutti, specialmente i bambini, hanno bisogno del pane disceso dal cielo, perché anche l'anima deve nutrirsi, e non bastano le nostre conquiste, la scienza, le tecniche, per quanto importanti siano. Abbiamo bisogno di Cristo per crescere e maturare nelle nostre vite.

Questo è ancora più importante nei momenti che viviamo e lo è in modo speciale per i bambini, la cui grandezza, purezza, semplicità, "santità", attitudine verso Dio e amore che li costituiscono sono per disgrazia di frequente manipolati e distrutti. I bambini vivono immersi in mille difficoltà, circondati da un ambiente difficile che non li incoraggia a essere ciò che Dio vuole da loro; molti, vittime della crisi della famiglia. In questo clima sono ancora più necessari per loro l'incontro, l'amicizia, l'unione con Gesù, la sua presenza e la sua forza. Essi sono, grazie alla loro anima immacolata e aperta, coloro che sono meglio disposti, senza dubbio, a questo incontro.

Il centenario del decreto Quam singulari è un'occasione provvidenziale per ricordare e insistere di prendere la prima comunione quando i bambini abbiano l'età dell'uso della ragione, che oggi sembra addirittura essersi anticipata. Non è dunque raccomandabile la prassi che si sta introducendo sempre più di elevare l'età della prima comunione. Al contrario, è ancora più necessario anticiparla. Di fronte a quanto sta accadendo con i bambini e all'ambiente così avverso in cui crescono, non priviamoli del dono di Dio: può essere, è la garanzia della loro crescita come figli di Dio, generati dai sacramenti dell'iniziazione cristiana in seno alla santa madre Chiesa. La grazia del dono di Dio è più potente delle nostre opere, e dei nostri piani e programmi.

Quando Pio X anticipò l'età della prima comunione, insistette anche sulla necessità di una buona formazione, di una buona catechesi. Oggi dobbiamo accompagnare questa stessa anticipazione dell'età con una nuova e vigorosa pastorale di iniziazione cristiana. Le linee tracciate dal Catechismo della Chiesa cattolica, dal direttorio generale per la catechesi e da quello per le messe dei fanciulli sono una guida imprescindibile in questa pastorale nuova o rinnovata dell'iniziazione cristiana così fondamentale per il futuro della Chiesa, la madre che, con l'aiuto della grazia dello Spirito, genera e fa maturare i suoi figli attraverso i sacramenti dell'iniziazione, la catechesi e tutta l'azione pastorale che l'accompagna.

Non chiudiamo allora le orecchie alle parole di Gesù: "Lasciate che i bambini vengano a me, non glielo impedite". Egli vuole stare in loro e con loro, perché "ai bambini e a chi è come loro appartiene il regno di Dio".

(©L'Osservatore Romano - 8 agosto 2010)

Cento anni fa il decreto "Quam singulari" sintetizzava il disegno riformatore di Papa Sarto

La rivoluzione eucaristica di Pio X

di Gianpaolo Romanato

Non si comprende il pontificato di Pio X (1903-1914) se non si tiene presente che al centro del suo universo mentale c'era il problema dell'atto di fede. Se la Chiesa è lo strumento della salvezza, l'istituzione ecclesiastica deve servire a conservare e a rinforzare la fede dei cristiani, a salvaguardarne i contenuti, a chiarirne il significato, a tutelarne l'integrità, a garantire la vita sacramentale e di grazia. Durante tutta la sua vita sacerdotale, infatti, trascorsa tra canoniche di paese e curie di provincia, Giuseppe Sarto aveva considerato l'insegnamento del catechismo come il primo e il principale dei suoi doveri. Essendo stato eletto Papa, era naturale che imponesse questa priorità a tutta la Chiesa.
Nascono di qui prima l'enciclica Acerbo nimis (15 aprile 1905), volta a illustrare la fondamentale importanza dell'istruzione religiosa, poi il celebre catechismo, che da lui prese il nome, e quindi il decreto Quam singulari (8 agosto 1910), di cui ricordiamo oggi il centenario della promulgazione, che anticipava verso i sette anni di età la prima comunione dei fanciulli.

Pur condizionata dal contesto teologico del tempo, l'enciclica andava diritta al suo scopo. "La dottrina di Cristo - scrive il Papa - ci disvela Iddio e le infinite perfezioni di Lui con assai maggiore chiarezza che non lo manifesti il lume naturale dell'umano intelletto. Quella stessa dottrina ci impone di onorare Dio con la fede, che è l'ossequio della mente; con la speranza, che l'ossequio della volontà; con la carità, che è l'ossequio del cuore; e per tal guisa lega tutto l'uomo e lo soggetta al suo supremo Fattore e Moderatore".

In poche righe e con poche parole, come nello stile di Giuseppe Sarto, è detto perché l'istruzione religiosa debba essere il centro del centro delle preoccupazioni della Chiesa. E l'enciclica prescriveva infatti norme precise e tassative affinché in ogni parrocchia si desse spazio all'istruzione catechistica, in ogni diocesi si istituissero specifiche scuole di religione. Anche la predicazione dei sacerdoti doveva fondarsi non su "fioriti sermoni", come suggerivano i canoni dell'oratoria sacra del tempo, ma su una solida e sicura esposizione delle verità di fede. Ciò che oggi indichiamo con la parola "evangelizzazione", Pio X definiva più semplicemente e didatticamente "istruzione" sulle "cose divine", prescrivendola ai sacerdoti come loro compito precipuo: "Pel presente scopo meglio è soffermarci su un punto solo, e su di esso insistere, non esservi cioè per chiunque sia sacerdote né dovere più grave né più stretto obbligo di questo. E per fermo chi è il quale neghi che al sacerdote alla santità della vita debba andare congiunta la scienza? Le labbra del sacerdote custodiranno la scienza. E la Chiesa infatti severissimamente la richiede in coloro i quali devono essere assunti al ministero sacerdotale".

La compilazione del catechismo fu perciò quasi il coronamento della missione di governo di Pio X. Nel suo studio Il catechismo di Pio X (Roma, Las, 1988), Luciano Nordera ha documentato con quanto impegno Giuseppe Sarto avesse lavorato, fin dagli anni dell'episcopato a Mantova (1885-1894), perché si giungesse a un catechismo unico, se non universale, almeno italiano. Era stato uno dei primi vescovi ad accorgersi dell'imponenza del fenomeno dell'emigrazione, sia interna sia estera, un fenomeno che divenne drammatico proprio negli anni tra la fine dell'Ottocento e la prima guerra mondiale. Ne aveva percepito tutte le dirompenti conseguenze sociali e culturali, ma anche quelle inerenti la fede.

Da uomo attento ai problemi del proprio tempo, s'era accorto che la crescente mobilità umana, sottraendo la gente all'ambiente tradizionale, alle abitudini di sempre, incideva negativamente sulle credenze religiose, sulla fede, esponendola al rischio di diventare insignificante se non sostenuta da un'adeguata istruzione.
Anche in riferimento a tale problema, perciò, auspicò che si giungesse a predisporre un testo catechistico unificato, cioè una specie di prontuario della fede cui il cristiano potesse far riferimento indipendentemente dal luogo, dall'ambiente e dalle circostanze di vita. In tale auspicio c'era la profonda consapevolezza che una religione complessa come il cattolicesimo doveva porsi in via assolutamente prioritaria l'esigenza di definire con la maggior precisione e chiarezza possibili l'oggetto della propria credenza. Una Chiesa sempre più sola e indifesa non poteva permettersi il lusso di lasciare a se stessa la fede dei battezzati proprio nel momento in cui molti di questi non potevano più contare sul sostegno del tradizionale ambiente di vita.

Ecco allora che con il testo da lui approntato per la diocesi di Roma, le cui periferie erano già allora in drammatiche condizioni di abbandono non solo civile ma anche religioso, "egli si proponeva di dare in mano ai sacerdoti un volume chiaro e completo in cui la precisione delle definizioni dogmatiche non permettesse interpretazioni personali o omissioni". Rispetto al catechismo che Sarto stesso aveva concepito e trascritto diligentemente in un quadernetto autografo quand'era stato parroco a Salzano (1867-1875), un paese di campagna posto nella provincia di Venezia e nella diocesi di Treviso, si nota che la vivacità delle espressioni, l'immediatezza didattica dello schema a domande e risposte, sono state talvolta sacrificate alla necessità della precisione dottrinale.

Ma i limiti che subito vi furono ravvisati (intellettualismo, debolezza di riferimenti biblici, prevalenza delle intenzioni precettistiche) non impedirono a quel catechismo di diventare un punto fermo per diverse generazioni di cristiani. Accanto ai limiti, presentava, infatti, pregi non meno evidenti: precisione concettuale, chiarezza di dottrina, facilità didattica tanto per il sacerdote che doveva usarlo quanto per il fedele che ne doveva fruire. Questo spiega perché, pur essendo stato prescritto come obbligatorio solo nella diocesi di Roma (a partire dal 1905), abbia finito per imporsi non solo in Italia, ma in tutta la Chiesa. D'altronde, lo stesso Pio X era perfettamente consapevole che si trattava di un'opera in fieri, tutt'altro che compiuta e sempre perfettibile.

La prima formulazione subì, infatti, ritocchi e adattamenti vivente ancora il Papa. Probabilmente sarebbe stato il primo a stupirsi della sua durata nel tempo. A suo merito, possiamo aggiungere che il faticoso lavoro di redazione dei nuovi catechismi compiuto dopo il Vaticano ii da intere équipes di specialisti, ha dimostrato quanto sia difficile trasmettere all'uomo moderno il contenuto di fede.

L'intento del Papa di proporre alla Chiesa una vita di fede più solida si accompagnava all'idea che la fede dovesse essere espressa attraverso una pratica liturgica più sobria, meno formale ed esteriore. La riforma della musica sacra e il ripristino del canto gregoriano andavano appunto in questa direzione. Questo complessivo disegno riformatore tanto della lex credendi quando della lex orandi trovarono una specie di sintesi nella sua rivoluzionaria decisione di riavvicinare le anime all'Eucaristia - intesa come il fulcro della vita di fede - incoraggiando e quasi imponendo la pratica della comunione frequente.

Va ricordato che una radicata mentalità di origine giansenistica aveva dissuaso i cristiani dalla pratica eucaristica assidua, quasi che questa fosse il coronamento del cammino verso la perfezione cristiana, piuttosto che la via per raggiungerla, "un premio e non un farmaco all'umana fralezza" scriverà il Papa. Con l'intuizione di quel grande pastore d'anime che era stato e continuò a essere durante il pontificato, Pio X troncò tentennamenti, timori e perplessità, ancora assai diffusi tra i teologi, promuovendo e incoraggiando invece, con il decreto Tridentina synodus del 16 luglio 1905, la pratica opposta: la comunione frequente, anche quotidiana. Cinque anni dopo, con il decreto Quam singulari - del quale, come già ricordato, celebriamo oggi il centenario della pubblicazione - completò il complessivo progetto di riforma della cura d'anime prescrivendo l'anticipazione della prima comunione dei fanciulli verso i sette anni di età, cioè, per usare le sue parole, "quando il fanciullo comincia a ragionare".

Con questi due provvedimenti veniva superata e messa da parte una secolare cultura rigorista per tornare a una prassi già in vigore nei primi secoli cristiani e successivamente ribadita tanto dal concilio Lateranense IV nel 1215 quanto dai decreti del concilio di Trento. Si recuperava insomma una pratica millenaria, posta in ombra solo negli ultimi secoli, scrisse allora "La Civiltà Cattolica", a causa di "usanze inveterate, difetto di idee esatte, trascuratezza". Pietro Gasparri, che in quegli anni lavorava per ordine del Papa alla codificazione del diritto canonico, collocò questo decreto fra gli atti "memorandi" del pontificato, e aggiunse: "Dio volesse che fosse ovunque osservato".

(©L'Osservatore Romano - 8 agosto 2010)

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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I Vescovi del Triveneto e i cent'anni della "Quam Singulari"


Il decreto "Quam Singulari" di San Pio X compie cent'anni e i Vescovi del Triveneto dicono la loro: la nota La prima comunione all'età dell'uso della ragione, diffusa dalla Congregazione Episcopale Triveneta, mette in luce in undici punti la grande eredità formativa del Papa Sarto e l'attuale "iniziazione cristiana", ribadendo (l'urgente?) necessità di una completa formazione cattolica, della necessità "dell’incontro sacramentale con Lui nell’Eucaristia".

Di seguito pubblicheremo qualche interessante stralcio del documento, che potrete trovare
completo qui.

Noi continuiamo ad ammettere i ragazzi alla prima Comunione anche oggi in un’età molto giovane: a 9-10 anni. Ma quello che ci sta a cuore non è solo la partecipazione dei ragazzi al sacramento dell’Eucaristia, ma il loro cammino globale di iniziazione alla vita cristiana.
«Per iniziazione cristiana si intende… un cammino diffuso nel tempo e scandito dall’ascolto della parola di Dio, dalla celebrazione e dalla testimonianza dei discepoli del Signore, attraverso il quale il credente compie un apprendistato globale della vita cristiana e si impegna a una scelta di fede e a vivere come figlio di Dio, ed è assimilato, con il Battesimo, la Confermazione e l’Eucaristia al mistero pasquale di Cristo nella Chiesa». Attraverso il cammino di iniziazione cristiana noi introduciamo i ragazzi nelle dimensioni fondamentali della vita cristiana, che sono: «l’adesione personale al Dio vero e al suo piano salvifico in Cristo; la scoperta dei misteri principali della fede e la consapevolezza delle verità fondamentali del messaggio cristiano; l’acquisizione di una mentalità cristiana e di un compor-tamento evangelico; l’educazione alla preghiera; l’iniziazione e il senso di appartenenza alla Chiesa; la partecipazione sacramentale e liturgica; la formazione alla vita apostolica e missio-naria; l’introduzione alla vita caritativa e all’impegno sociale».

Anche gli attuali Orientamenti dei Vescovi italiani che regolano l’iniziazione cristiana dei ragazzi, avvertono che l’itinerario di iniziazione non termina con la celebrazione del battesimo, cresima ed eucaristia, ma continua con il tempo della mistagogia.
I ragazzi, una volta ricevuti i sacramenti dell’iniziazione cristiana, vanno aiutati a crescere in una sempre più grande fedeltà a Cristo. Attraverso la meditazione del Vangelo, la catechesi, l’esperienza dei sacramenti e l’esercizio della carità, devono essere condotti «ad approfondire i misteri celebrati e il senso della fede, a consolidare la pratica della vita cristiana, a stabilire rapporti più stretti con gli altri membri della comunità».

La prassi dell’iniziazione cristiana deve confrontarsi con i tempi che cambiano e con gli uomini e le donne che incontra.
Ma il papa S. Pio X, con il decreto “Quam singulari Christus amore”, ci ricorda che, al di là dei metodi e dei percorsi, deve rimanere fondamentale l’intento del nostro impegno educativo: favorire l’incontro con l’amore di Dio, che si è manifestato in Cristo crocifisso e risorto e si è fatto Pane di vita per noi nell’Eucaristia, per renderci partecipi della vita del Signore risorto, per rinnovare tutta la nostra vita e per farci di-ventare testimoni credibili dell’amore di Dio nel mondo.

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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«Quam singulari Christus amore...»

Decreto emanato da S.S.Pio X l’8 agosto 1910.



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Gesù e i bambini
Di qual affetto particolare abbia Cristo sulla terra amato i bambini, ne fan chiara testimonianza i sacri Evangeli, dai quali si apprende com’Egli gioisse di trovarsi in mezzo a loro, come usasse imporre su di loro le mani, stringerli al seno e benedirli, mal sopportando che venissero respinti dai suoi discepoli, cui diresse quelle gravi parole: «Lasciate stare i piccolini e non impedite loro che vengano a me; imperocchè di tali è il regno dei cieli» (Mc 10,13-16). Qual conto poi Egli facesse della loro innocenza e del loro candore, lo dimostrò abbastanza allorquando, chiamato a sé un fanciullo, disse ai discepoli: «In verità vi dico che, se non diventerete come fanciulli, non entrerete nel Regno de’Cieli. Chiunque pertanto si farà piccolo come questo fanciullo, quegli sarà il più grande nel Regno de’cieli, e chiunque accoglierà nel nome mio un fanciullo come questo, accoglie me stesso» (Mt 18,3-5).

La Comunione ai bambini lattanti nell’antica disciplina della Chiesa
Queste cose ricordando la Chiesa cattolica procurò fin da’ primi tempi di avvicinare i pargoli a Cristo per mezzo della Comunione Eucaristica, che usò amministrare anche a’ lattanti. Ciò, come trovasi prescritto in quasi tutti gli antichi Rituali fino al secolo XIII, si faceva nel battesimo, e siffatta consuetudine in qualche luogo durò anche più a lungo; presso i greci e gli orientali vige tuttora. Per allontanare poi il pericolo che i bambini, specialmente se lattanti, emettessero fuori il pane consacrato, invalse il costume di amministrar loro l’Eucaristia sotto la sola specie del vino.
Né soltanto nel battesimo, ma in seguito anche si facevan più volte partecipare alla celeste vivanda. Infatti secondo l’uso di alcune Chiese si porgeva l’Eucaristia a’ bambini immediatamente dopo il clero; in altri luoghi se ne davano ad essi frammenti dopo la comunione degli adulti.

Età della discrezione stabilita dal Concilio Lateranense IV per la Comunione.
Tal costume in appresso venne a cessare nella Chiesa latina, e si cominciò a non ammettere i fanciulli alla sacra mensa se non quando avessero qualche uso incipiente di ragione e una proporzionata cognizione dell’augusto Sacramento. La qual nuova disciplina, già ammessa da alcuni Sinodi particolari, fu confermato solennemente dal Concilio Lateranense IV, l’anno 1215, col celebre canone XXI, che prescrive ai fedeli, non appena giunti all’età della ragione, la Confessione sacramentale e la Santa Comunione, con queste parole: «Ogni fedele dell’uno e dell’altro sesso, giunto all’età della discrezione, confessi da solo e fedelmente tutti i suoi peccati, almeno una volta l’anno, al suo sacerdote, e procuri di adempiere secondo le forze la penitenza ingiuntagli, ricevendo riverentemente, almeno alla Pasqua, il sacramento dell’Eucaristia, salvo che per consiglio del suo sacerdote o per qualche ragionevole motivo credesse doversene temporaneamente astenere».
Il Concilio di Trento (Sess.XXI, De Communione, cap.4), senza punto riprovare l’antica disciplina di amministrare l’Eucaristia ai bambini prima che abbian raggiunto l’uso della ragione, confermò il decreto Lateranense e pronunciò anatema contro chiunque la pensasse altrimenti: «Chi negasse che tutti e singoli i cristiani fedeli dell’uno e dell’altro sesso, giunti all’età della discrezione, siano obbligati ogni anno, almeno nella Pasqua a comunicarsi, secondo il precetto della Santa Madre Chiesa, sia “anatema”» (Sess. XIII, De Eucharistia, cap.8, can.9).

In forza dunque del citato e tuttora vigente decreto Lateranense, i fedeli, non appena giunti all’età della discrezione, sono obbligati ad accostarsi, almeno una volta l’anno, ai sacramenti della Penitenza e dell’Eucaristia.

Errori ed abusi nell’interpretare l’età della discrezione.
Senonchè, appunto nel determinare qual sia cotesta età della ragione o discrezione, s’introdussero col tempo non pochi errori e abusi deplorevoli. Altri credettero che l’età della discrezione da fissarsi per l’Eucaristia dovesse esser diversa da quella che si richiede per il sacramento della Penitenza, sostenendo che, per questa ultima, l’età della discrezione sia quella in cui si arriva a discernere il bene dal male, e si è quindi capace di peccare; per l’Eucaristia invece si esiga un’età maggiore, in cui possa aversi una conoscenza più piena della fede e recarvi una più matura preparazione. E così, a seconda delle varie consuetudini locali e delle opinioni diverse, fu stabilita per la prima Comunione quando l’età di dieci o dodici anni, quando di quattordici o più; non ammettendosi frattanto fanciulli o giovani prima di quell’età che era stata prescritta.
Siffatta consuetudine, che col protesto di tutelare il decoro dell’augusto Sacramento, tiene da esso lontani i fedeli, fu cagione di molti danni. Avveniva infatti che i fanciulli innocenti, distaccati da Cristo, venissero a mancare di ogni nutrimento della vita interiore; di che anche seguiva che la gioventù, priva di un aiuto efficacissimo, circondata da tante insidie, perduto il suo candore, si gittasse nel vizio prima di aver gustato i santi misteri. E sebbene la prima Comunione suole esser preceduta da più diligente istruzione e da un’accurata confessione sacramentale, ciò che veramente non si pratica da per tutto, è sempre tuttavia dolorosa la perdita della prima innocenza, perdita che forse sarebbe potuta evitarsi, se si fosse in età più tenera ricevuta l’Eucaristia.

Né men riprovevole è l’uso, vigente in parecchi luoghi, di proibire la Confessione sacramentale ai fanciulli non ancora ammessi alla mensa eucaristica, o di non impartir loro l’assoluzione. Di che avviene che, stretti da lacci di peccati, forse gravi, se ne rimangono a giacere in essi con grave loro pericolo.
Ma il colmo si è che in certi luoghi a’ fanciulli, non per ancor ammessi alla prima Comunione, non si permette neppure in punto di morte di ricevere il Santo Viatico, e così defunti e portati al sepolcro col rito dei bambini, vengono ad esser privati dei suffragii della Chiesa.

La Chiesa riprova errori ed abusi.
Son questi i danni recati da coloro che insistono oltre il dovere nell’esigere preparazioni straordinarie alla prima Comunione senza accorgersi forse che siffatte cautele provengono dagli errori dei Giansenisti, i quali sostengono essere la SS.ma Eucaristia un premio, non un farmaco all’umana fralezza. Ma ben altrimenti la intese il Concilio di Trento, quando insegnò che essa «è un antidoto per liberarci dalle colpe quotidiane e preservarci dai peccati mortali»; dottrina testé inculcata e ribadita dalla S.C. del Concilio con decreto 26 dicembre 1905, pel quale si apriva l’accesso alla Comunione quotidiana a tutti i fedeli, tanto adulti quanto fanciulli, a due sole condizioni, cioè, stato di grazia e retta intenzione.
Ed invero, non apparisce nessuna buona ragione, perché, mentre anticamente si distribuivano i frammenti delle Sacre Specie ai bambini anche lattanti, si debba ora esigere una preparazione straordinaria da fanciulli, che hanno ancor la fortuna di possedere il candore della prima innocenza, e che a cagione delle tante insidie e pericoli dell’età presente, han grandissimo bisogno di quel mistico cibo.

Senso vero circa l’età della discrezione.
Gli abusi che riproviamo derivano dal non essersi saputo precisare qual sia l’età della discrezione da coloro che ne stabilirono una per la Confessione, l’altra per la Comunione. Ora il Concilio Lateranense richiede una stessa età tanto per l’uno quanto per l’altro Sacramento, imponendo ad un tempo stesso l’obbligo di confessarsi e comunicarsi.
Dunque, come per la Confessione l’età della discrezione s’intende quella in cui si arriva a distinguere il bene dal male, così per la Comunione convien dire sia quella in cui si sappia distinguere il Pane eucaristico dal pane comune; ed è appunto questa l’età in cui il fanciullo ha raggiunto l’uso della ragione.
Nè altrimenti la intesero i principali interpreti del Concilio Lateranense e i loro contemporanei. Si sa infatti dalla storia ecclesiastica come molti sinodi e decreti episcopali, fin dal secolo XIII, poco dopo il Concilio di Laterano, ammisero alla prima comunione fanciulli di sette anni.

Testimonianze di Dottori e Teologi.
Abbiamo inoltre una testimonianza autorevolissima, quella del Dottore di Aquino, che così lasciò scritto: «Quando i fanciulli ormai cominciano ad avere un cotal quale uso di ragione da poter concepire devozione verso questo Sacramento (l’Eucaristia), allora si può ad essi conferire questo Sacramento» (Sum. Theol. 3. part.q.80,a.9, ad.3).
E ciò così viene spiegato dal Ledesma: «Dico per consenso di tutti che l’Eucaristia deve darsi a tutti quelli che hanno l’uso della ragione, per quanto presto lo abbiano; sia pure che quel fanciullo conosca tuttora in confuso quello che fa» (In S. Thom. 3. part.q.80,a.9, dub.6). Lo stesso passo dell’Aquinate è così dichiarato dal Vasquez: «Il fanciullo, giunto che sia a quest’uso della ragione, immediatamente e per diritto divino, contrae tal obbligo, da cui non può essere affatto liberato dalla Chiesa» (In 3 P.S. Thom., disp.214, c.4, n.43). Identico è l’insegnamento di S.Antonino, il quale così scrive: «Ma quando il fanciullo è capace di malizia, ossia quando può peccare mortalmente, allora è obbligato al precetto della Confessione e per conseguenza della Comunione» (P.III, tit.14, c.2,25). E alla stessa conclusione ne conduce il Concilio di Trento, il quale ricordando nella Sess. XXI, c.IV, che «i fanciulli, non aventi ancora l’uso della ragione, non sono obbligati da nessuna necessità alla sacramentale Comunione eucaristica» ne assegna come unica ragione questa, cioè, che essi non sono in grado di peccare: «Perciocché, dice esso, non possono in quella età perdere la grazia, da loro acquistata, di figliuoli di Dio». Ond’è manifesto essere stata questa la mente del Concilio, che i fanciulli siano di necessità obbligati alla Comunione quando possono perdere la grazia peccando. Consone a queste sono le parole del Concilio Romano, celebrato sotto Benedetto XIII, con le quali s’insegna che l’obbligo di comunicarsi comincia «dopo che i fanciulli e le fanciulle sono giunti all’anno della discrezione, cioè a quell’età in cui sieno in grado di discernere dal pane comune e profano questo cibo sacramentale, il quale non è altro che il vero Corpo di G.C. e sappiano accostarvisi con la dovuta pietà e religione» (Istruzione per quei che debbono la prima volta ammettersi alla S.Comunione (App. XXX; p.II). E il Catechismo romano dice: «Qual sia l’età in cui si debbano dare ai fanciulli i sacri misteri, nessuno può stabilirlo meglio, quanto il padre e il confessore dei medesimi. Ad essi infatti incombe il dovere di esaminare e interrogare i fanciulli per sapere, se di questo ammirabile Sacramento abbiano acquistata alcun’idea e se ne provino qualche gusto» (P.II, De Sacr. Euchar. n.63).

Insegnamento della S. Sede
Da tutto ciò si raccoglie che l’età della discrezione per la Comunione è quella in cui il fanciullo sa distinguere il Pane eucaristico dal pane comune e materiale, da potere divotamente accostarsi all’altare. Non si ricerca dunque una perfetta conoscenza in materia di fede, essendo sufficienti pochi elementi, cioè una qualche cognizione; né è necessario il pieno uso della ragione, bastando un uso incipiente, cioè un cotal quale uso della ragione. Laonde protrarre in lungo la Comunione e fissar per essa un’età più matura, è uso del tutto riprovevole e condannato più volte dalla Sede Apostolica. Così il Pontefice Pio IX di fel. me., per lettera del Cardinale Antonelli indirizzata ai Vescovi di Francia il 12 marzo 1866, ebbe parole severe contro l’uso invalso in alcune diocesi di rimandare la prima Comunione ad età più matura e prestabilita. E la Sacra Congregazione del Concilio il 14 marzo 1851 emendò un punto del Sinodo provinciale di Rouen, dove si proibiva ai fanciulli di accostarsi alla Comunione prima dei dodici anni. Né diverso fu il modo tenuto da questa Sacra Congregazione della disciplina dei Sacramenti nella causa di Strasburgo il 25 marzo 1910, nella quale, trattandosi la questione se fanciulli di dodici o quattordici anni potessero ammettersi alla Sacra Comunione, fu risposto che «fanciulli e fanciulle, quando fossero giunti agli anni della discrezione, cioè all’uso della ragione, dovessero essere ammessi alla sacra mensa».

Ponderate con maturità di giudizio tutte le esposte ragioni, questa S.Congregazione della disciplina dei Sacramenti, nella Congregazione generale tenuta il 15 luglio 1910, a far che i menzionati abusi vengan rimossi e che i fanciulli fin dai teneri anni sieno a Cristo strettamente congiunti, vivan della sua vita e trovino in lui una difesa contro i pericoli della corruttela, ha creduto opportuno di stabilire le seguenti norme, da osservarsi dappertutto per ciò che riguarda la prima Comunione dei fanciulli.

Comunione obbligatoria all’inizio dell’uso della ragione.
I. - L’età della discrezione tanto per la Confessione quanto per la Comunione è quella in cui il fanciullo comincia a ragionare, cioè verso il settimo anno, sia al di sopra di esso, sia anche al di sotto. Da questo momento comincia l’obbligo di soddisfare all’uno e all’altro precetto della Confessione e della Comunione.

Istruzione non necessaria
II. - Per la prima Confessione e per la prima Comunione non è necessaria una piena e perfetta cognizione della dottrina cristiana. Però il fanciullo dovrà in seguito venire imparando il catechismo intero, in modo proporzionato alle forze della sua intelligenza.

Istruzione necessaria e sufficiente
III. - La conoscenza della Religione che si richiede nel fanciullo, perché possa prepararsi convenientemente alla prima Comunione, consiste in questo, che egli comprenda, per quanto lo consentano le forze della sua intelligenza, i misteri della Fede necessari di necessità di mezzo, e sappia distinguere il Pane eucaristico dal pane comune e materiale, per potersi accostare alla SS.ma Eucaristia con quella divozione di cui è capace la sua età.

Responsabilità e diritto circa la prima Comunione
IV. - L’obbligo di soddisfare al precetto della Confessione e Comunione imposto al fanciullo ricade su quelli cui ne spetta la cura, cioè sui genitori, sul confessore, sugli istitutori e sul parroco. L’ammettere poi il fanciullo alla prima Comunione appartiene, secondo il Catechismo romano, al padre, o a chi ne fa le veci, e al confessore.

Comunioni generali e solenni
V. - Procurino i parroci di annunziare e di far tenere una o più volte all’anno, la Comunione generale dei fanciulli, ed ammettervi non solo i nuovi comunicandi, ma anche altri, che col consenso dei genitori o del confessore, come si è detto, hanno già partecipato alla mensa divina. Sì per gli uni come per gli altri si premettano alcuni giorni di istruzione e di preparazione.

Comunione frequente, quotidiana ed obbligo di ulteriore istruzione.
VI. - Chi ha cura di fanciulli deve procurare con ogni impegno che i medesimi, dopo la prima Comunione, si accostino spesso alla sacra Mensa, e, se è possibile, anche ogni giorno, conforme al desiderio di Gesù Cristo e della Madre Chiesa, e vi rechino quella divozione di cui è capace la loro età. Ricordino inoltre tutti quelli, cui è affidata tal cura, il dovere gravissimo che loro incombe di provvedere che i detti fanciulli continuino a frequentare l’insegnamento del catechismo che si dà in pubblico, o almeno suppliscano in altra maniera all’istruzione religiosa dei medesimi.

Confessione e assoluzione.
VII. - La consuetudine di non ammettere alla Confessione o di non assolvere i fanciulli pervenuti all’uso della ragione, è del tutto riprovevole. Perciò gli Ordinari prenderan cura che siffatta consuetudine sia interamente soppressa, servendosi anche dei mezzi che ne porge il diritto.

Viatico, Estrema Unzione e funeri.
VIII. - Detestabile al tutto è l’abuso di non amministrare il Viatico e la Estrema Unzione ai fanciulli pervenuti all’uso della ragione e di farne l’esequie col rito dei bambini. Contro gli ostinati nel mantenere siffatte consuetudini procedano gli Ordinari con tutto il rigore.

Approvazione Pontificia e clausole del Decreto.
Tutte le presenti disposizioni sancite dagli E.mi Cardinali di questa S.Congregazione furono approvate dalla Santità di N.S.Pio PP.X nell’Udienza del 17 corrente, con ordine dello stesso Santo Padre che il presente decreto venisse pubblicato e promulgato. La medesima Santità Sua intimò ai singoli Ordinari che il presente decreto non solo venisse partecipato ai parroci e al clero, ma anche al popolo, volendo inoltre che sia letto ogni anno, nella sua versione in volgare, durante il tempo pasquale. I predetti Ordinari poi dovranno, al compiersi di ogni quinquennio, presentare alla S.Sede relazione, come degli altri affari della rispettiva diocesi, così anche del fedele adempimento del presente decreto.
Non ostante qualunque cosa in contrario.

Roma, dal Palazzo della detta S.Congregazione, il dì 7 agosto 1910.

D.Card. FERRATA, Prefetto

Fil. Giustini, Segretario.

 
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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I SACRAMENTI DI GESÙ E I BAMBINI

[SM=g1740733] «Dovunque la Chiesa di Cristo si diffonde attraverso dei bambini santi»


 


di Paolo Mattei

«Il centenario del decreto Quam singulari è un’occasione provvidenziale per ricordare e insistere di prendere la prima comunione quando i bambini abbiano l’età dell’uso della ragione, che oggi sembra addirittura essersi anticipata. Non è dunque raccomandabile la prassi che si sta introducendo sempre più di elevare l’età della prima comunione. Al contrario, è ancora più necessario anticiparla».
Sono parole tratte da un articolo che il cardinale Antonio Llovera Cañizares, prefetto della Congregazione per il Culto divino e la Disciplina dei sacramenti, ha scritto per
L’Osservatore Romano di domenica 8 agosto 2010.
L’intervento del cardinale Cañizares, che ripubblichiamo integralmente alle pagine 92-95, ci ha suggerito il contenuto della rubrica “Nova et Vetera” di questo mese: si tratta di un articolo di Lorenzo Cappelletti, dell’aprile 1998, in cui, tra l’altro, vengono riproposti gli otto punti normativi del decreto
Quam singulari, emanato nel 1910 da Pio X. (1)

Papa Sarto, che già nel 1905, promulgando il decreto
Sacra Tridentina Synodus, aveva voluto invitare tutti i fedeli giunti all’uso di ragione alla comunione frequente – abitudine fortemente affievolitasi fin dai tempi in cui il «contagio del giansenismo» si era «sparso ovunque» –, con il decreto Quam singulari volle regolare l’ammissione dei bambini alla confessione e alla comunione

Su questo importante documento intervenne, nel 2005, in occasione dell’Anno dell’Eucaristia, anche il cardinale Darío Castrillón Hoyos, allora prefetto della Congregazione per il Clero, che, in una lettera inviata a tutti i sacerdoti, spiegava: «Non pochi sono convinti, insieme a san Pio X, che questa prassi di far accedere i bambini alla prima comunione fin dall’età di sette anni abbia portato alla Chiesa grandi grazie. Del resto non bisogna dimenticare che nella Chiesa primitiva veniva amministrato il sacramento dell’eucaristia ai neonati, subito dopo il battesimo, sotto le specie di poche gocce di vino. Permettere che i bambini possano ricevere il prima possibile Gesù eucaristico è stato per molti secoli uno dei punti fermi della pastorale per i più piccoli nella Chiesa, consuetudine che venne ripristinata da san Pio X ai suoi tempi e che è stata lodata dai suoi successori» (cfr. 30Giorni, n. 1/2, 2005, pp. 18-20).

La diffusa propensione a posticipare l’ammissione alla prima confessione, alla cresima e alla prima comunione, costituisce forse l’indizio più grave della ancora estesa e attiva presenza dell’eresia di Pelagio, «il quale ha oggi molti più seguaci di quanto non sembri a prima vista», osservò nel 1990 l‘allora cardinale Ratzinger al Meeting di Rimini. Il pensiero pelagiano induce infatti a considerare i sacramenti alla stregua di un premio da concedere a chi abbia compiuto un lungo percorso di presa di coscienza. Questa è l’essenza del pelagianesimo: concepire la grazia come presa di coscienza delle verità e negare il proprium della grazia, cioè l’attrattiva della carità. È lo stesso Agostino, nel De gratia Christi et de peccato originali, a osservare come Pelagio riconosca il dono minore, cioè l’insegnamento, l’esempio da seguire per prendere coscienza, ma neghi quello maggiore, cioè il dono dell’inspiratio dilectionis, l’attrattiva della carità. Proprio da questa tendenza metteva in guardia papa Benedetto XVI, quando, nel 2006, ricordava ai sacerdoti della diocesi di Albano che «non dobbiamo trasformare la cresima in una specie di “pelagianesimo”».

L’anticipare il più possibile l’età per l’ammissione dei bambini piccoli alla prima comunione e agli altri sacramenti, può essere, da un lato, la riaffermazione del primato della grazia; e può evitare, dall’altro, che i genitori e i bambini percepiscano come un ricatto i lunghi anni di catechesi preparatoria. Di fronte alla sempre crescente quantità di adolescenti che si allontanano dalla pratica cristiana, non sarebbe meglio confidare di più nella grazia che nei mezzi umani? E non sarebbe meglio sperare che, anche se si allontanano – pure il figlio più giovane della parabola evangelica si allontanò –, la memoria dei sacramenti resti in loro come una cosa bella e non come un impegno faticoso ai limiti del ricatto?
Nella memoria del giovane della parabola, la casa del padre, anche se lontana, rimaneva come un luogo bello cui comunque sarebbe sempre potuto ritornare.


Possono confortare questa speranza le parole di sant’Agostino: «Quacumque in parvulis sanctis Ecclesia Christi diffunditur / Dovunque la Chiesa di Cristo si diffonde attraverso dei bambini santi» (Enarrationes in psalmos 112, 2).

(1) seguirà il testo sopra accennato)


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Archivio di 30Giorni

[SM=g1740733] Quando si credeva nell’azione della grazia


Per fare la prima comunione basta che, a giudizio dei genitori e del confessore, il bambino conosca, secondo le sue capacità, i misteri della fede necessari di necessità di mezzo e distingua il pane eucaristico dal pane comune


di Lorenzo Cappelletti

Pio X in una foto del 1904

Pio X in una foto del 1904

Il giorno 8 agosto 1910 la Sacra Congregazione dei sacramenti promulgava il decreto Quam singulari. Questo decreto, trattando dell’età in cui ammettere i bambini alla prima comunione eucaristica (de aetate admittendorum ad primam communionem eucharisticam), veniva a completare una serie di pronunciamenti che a partire dal pontificato di Leone XIII avevano visto con sempre maggior favore la comunione frequente.

Problema tutt’altro che marginale in epoca moderna. Non per niente dalla metà del Seicento differenti scuole, che solo per pigrizia storiografica sono identificate
sic et simpliciter con quella gesuitica e quella giansenista, si erano date battaglia intorno a tale problema. Che è pastorale sì, ma in quanto catalizza tutta una dogmatica e una ecclesiologia, tocca il cuore del fatto cristiano.


Dicevamo di Leone XIII. Ebbene, uno degli ultimi atti solenni del suo pontificato fu l’enciclica Mirae caritatis del 28 maggio 1902, dedicata proprio alla santissima eucaristia. «Noi, cui resta poco da vivere,» scrive il Papa, «nulla possiamo desiderare di meglio che ci sia dato di eccitare negli animi di tutti e di alimentare l’affetto di memore gratitudine e di debita devozione verso il mirabile Sacramento nel quale giudichiamo basarsi in modo speciale la speranza e l’efficacia di quella salvezza e di quella pace a cui ognuno tende con passione».

Per questo il Papa vuole fra l’altro che «si corregga quel dannosissimo, diffuso errore di coloro che pensano che l’uso dell’eucaristia sia da riservare a quelle persone che, in mancanza di [altre] preoccupazioni e con animo gretto, si beano di propositi di vita devota. Mentre quella cosa, di cui nulla è più eccellente e salutare, appartiene assolutamente a tutti, qualunque sia il loro grado o il loro ufficio, a tutti quanti vogliono (e non c’è chi non debba volerlo) alimentare in sé la vita della grazia divina, il cui scopo è il conseguimento della vita beata in Dio».


Pio X, succeduto a Leone XIII, persegue lo stesso intento del predecessore e con il decreto Sacra Tridentina Synodus, emanato dalla Sacra Congregazione del Concilio il 20 dicembre 1905, invita tutti i fedeli giunti all’uso di ragione alla comunione frequente e anche quotidiana, dettando come uniche condizioni lo stato di grazia e la retta intenzione.

Col decreto
Quam singulari Pio X non farà altro che determinare quale sia l’età in cui tale uso di ragione sia da considerare raggiunto e quali siano le conseguenze dal punto di vista sacramentale di tale determinazione. Il decreto non si raccomanda soltanto per le otto norme puntuali (e che riportiamo per intero) che regoleranno fin quasi ai nostri giorni l’ammissione dei bambini alla confessione e alla comunione, ma anche per il realismo e la pietà con cui è riguardata la fragilità della condizione umana: «Per quanto si premetta alla prima comunione una istruzione particolarmente diligente e una accurata confessione sacramentale, cosa che comunque non accade dappertutto, è tuttavia sempre da lamentare la perdita della primitiva innocenza, che magari poteva essere evitata se fosse stata ricevuta l’eucaristia in anni più precoci».

Ci sia permesso rilevare in quel «cosa che non accade dappertutto», contrapposto a «sempre», il realismo di ordine naturale e soprannaturale di una Chiesa ancora esperta in umanità. Nell’evidenziare danni maggiori dei pretesi vantaggi di una preparazione «particolarmente diligente» («cosa che non accade dappertutto», ricordiamo), il decreto prosegue: «Danni di questo genere infliggono coloro che insistono più del giusto su una preparazione particolare alla prima comunione, senza rendersi conto magari che quel genere di garanzia ha preso le mosse dagli errori dei giansenisti, che pretendono che la santissima eucaristia sia un premio e non un rimedio all’umana fragilità.
Diversamente intese però il Concilio tridentino (Sess. XIII, cap. 2) quando insegnò che “essa è un antidoto in virtù del quale siamo liberati dalle colpe quotidiane e preservati dai peccati mortali” [...]. D’altronde non sembra che ci sia motivo di esigere ora, quando in antico le parti restanti delle sacre specie venivano distribuite pure ai lattanti, una particolare preparazione per bambini che si trovano nella felicissima condizione del primo candore e innocenza e che hanno bisogno speciale di quel mistico cibo, visti i tanti pericoli e insidie del tempo presente».

A volte l’attualità non coincide con la contemporaneità.


Riportiamo di seguito gli otto punti normativi del decreto Quam singulari.

I. L’età del discernimento sia per la confessione sia per la comunione è quella nella quale il fanciullo comincia a ragionare, cioè intorno ai sette anni, sia sopra che anche sotto. Da questo momento comincia l’obbligo di soddisfare ad entrambi i precetti della confessione e della comunione.
II. Per la prima confessione e per la prima comunione non è necessaria la piena e perfetta conoscenza della dottrina cristiana. Tuttavia il fanciullo in seguito dovrà imparare gradualmente il catechismo per intero secondo la capacità della sua intelligenza.
III. La conoscenza della religione che è richiesta nel fanciullo per una sua conveniente preparazione alla prima comunione consiste nel percepire, secondo la sua capacità, i misteri della fede necessari di necessità di mezzo*, e nel distinguere il pane eucaristico dal pane comune che nutre il corpo, per accedere alla santissima eucaristia con quella devozione che la sua età comporta.
IV. L’obbligo del precetto della confessione e della comunione che grava sul fanciullo ricade particolarmente su coloro che debbono avere cura di lui, cioè sui genitori, sul confessore, sugli istitutori e sul parroco. Al padre poi o a chi ne fa le veci e al confessore spetta, secondo il Catechismo Romano, ammettere il fanciullo alla prima comunione.
V. Una o più volte l’anno i parroci si preoccupino di indire la comunione generale dei fanciulli, alla quale ammettere non solo i novelli comunicandi ma anche gli altri che col consenso dei genitori o del confessore, come si è detto sopra, già prima si erano cibati per la prima volta del santo altare. In favore degli uni e degli altri siano premessi alcuni giorni di istruzione e di preparazione.
VI. Coloro che hanno la cura dei fanciulli devono preoccuparsi con ogni diligenza che dopo la prima comunione i medesimi fanciulli accedano spesso alla sacra mensa e, se possibile, anche quotidianamente, come desiderano Cristo Gesù e la madre Chiesa, e che lo facciano con quella devozione dell’anima che tale età comporta. Chi ha quella cura ricordi inoltre il compito gravissimo cui è tenuto di fare in modo che i fanciulli continuino a partecipare alle istruzioni pubbliche di catechismo, o quanto meno supplisca in altro modo alla loro istruzione religiosa.
VII. La consuetudine di non ammettere alla confessione i fanciulli o di non assolverli mai, quando sono giunti all’uso di ragione, deve essere assolutamente riprovata. Perciò gli Ordinari locali, prendendo anche provvedimenti giuridici, faranno in modo che sia del tutto eliminata.
VIII. È assolutamente detestabile l’abuso di non amministrare il viatico e l’estrema unzione ai fanciulli che hanno l’uso di ragione e di seppellirli con il rito dei bambini. Gli Ordinari locali riprendano severamente coloro che non recedono da usi del genere.


* «Un atto si dice di necessità di mezzo quando, sia per sua stessa natura, sia in virtù del divino disegno, è il solo mezzo per ottenere la vita eterna e gli aiuti necessari per raggiungerla, di modo che la sua omissione anche involontaria mette nell’impossibilità di conseguire la propria salvezza» (dalla voce necessité curata da Émil Amman nel Dictionnaire de Théologie catholique).

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I sacramenti di Gesù e i bambini


Il prefetto della Congregazione per il Culto divino e la Disciplina dei sacramenti, su L’Osservatore Romano di domenica 8 agosto 2010 afferma che oggi è ancora più necessario anticipare l’età della prima comunione


del cardinale Antonio Cañizares Llovera


Benedetto XVI dà la comunione a un bambino nella Basilica di San Lorenzo fuori le Mura, Roma <BR>[© Osservatore Romano]

Benedetto XVI dà la comunione a un bambino nella Basilica di San Lorenzo fuori le Mura, Roma
[© Osservatore Romano]

Cento anni fa con il decreto Quam singulari Pio X, seguendo fedelmente gli insegnamenti dei concili Lateranense IV e Tridentino, fissò la prima comunione e la prima confessione dei bambini all’età dell’uso della ragione, cioè intorno ai sette anni.

Questa disposizione implicava un cambiamento molto importante nella pratica pastorale e nella concezione abituale di allora, che per diverse ragioni avevano ritardato questo avvenimento così fondamentale per l’uomo.


Con questo decreto Pio X, il grande e santo Papa della pietà e della partecipazione eucaristica, con il desiderio di rinnovamento ecclesiale che ispirò il suo pontificato, insegnò a tutta la Chiesa il senso, il momento, il valore e la centralità della santa comunione per la vita di tutti i battezzati, compresi i bambini.

Nello stesso tempo sottolineava e ricordava a tutti l’amore e la predilezione di Gesù per i bambini poiché egli, oltre a farsi bambino, manifestò il suo amore verso di loro con gesti e parole, al punto di dire: «Se non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli»; «Lasciate che i bambini vengano a me, non glielo impedite: a chi è come loro infatti appartiene il regno di Dio». Essi sono sempre amici molto speciali del Signore.

Con la stessa predilezione, lo stesso sguardo amorevole e la stessa attenzione e sollecitudine speciale, la Chiesa guarda, segue, si prende cura e si preoccupa dei bambini. Per questo, come madre amorevole, auspica che i suoi figli piccoli, i primi nel regno dei cieli, partecipino presto, con la debita disposizione, del dono migliore e più grande che Gesù ci ha lasciato in memoria sua: il suo corpo e il suo sangue, il pane della vita. Grazie alla santa comunione, Gesù in persona, Figlio unico di Dio, entra nella vita di chi lo riceve e prende dimora in lui.

Non esiste amore più grande, né più grande regalo. Questo è un dono di amore che vale più di ogni altra cosa nella vita di ogni uomo. Essere con il Signore; che il Signore sia in noi, dentro di noi; che ci alimenti e ci sazi; ci prenda per mano e ci guidi; che ci vivifichi e che noi si resti fedeli nella comunione e nell’amicizia con lui: è senza dubbio la cosa più grande, più gratificante, più gioiosa che possa capitare. Come rimandare, allora, per i bambini, questo incontro con Gesù, visto che sono i suoi migliori amici, coloro che sono amati in modo speciale da Dio Padre, oggetto delle cure speciali della Chiesa, madre santa?

La prima comunione dei bambini è come l’inizio di un cammino insieme a Gesù, in comunione con lui: l’inizio di un’amicizia destinata a durare e a rafforzarsi per tutta la vita con lui; l’inizio di un cammino, perché con Gesù, uniti senza separarci, procediamo bene e la vita diventa buona e gioiosa; con lui dentro di noi possiamo essere senza dubbio persone migliori. La sua presenza tra noi e con noi è luce, vita e pane nel cammino. L’incontro con Gesù è la forza di cui abbiamo bisogno per vivere con allegria e speranza.

Non possiamo, ritardando la prima comunione, privare i bambini – l’anima e lo spirito dei bambini – di questa grazia, opera e presenza di Gesù, di questo incontro di amicizia con lui, di questa partecipazione singolare di Gesù stesso e di questo alimento del cielo per poter maturare e arrivare così alla pienezza. Tutti, specialmente i bambini, hanno bisogno del pane disceso dal cielo, perché anche l’anima deve nutrirsi, e non bastano le nostre conquiste, la scienza, le tecniche, per quanto importanti siano. Abbiamo bisogno di Cristo per crescere e maturare nelle nostre vite.

Questo è ancora più importante nei momenti che viviamo e lo è in modo speciale per i bambini, la cui grandezza, purezza, semplicità, “santità”, attitudine verso Dio e amore che li costituiscono sono per disgrazia di frequente manipolati e distrutti. I bambini vivono immersi in mille difficoltà, circondati da un ambiente difficile che non li incoraggia a essere ciò che Dio vuole da loro; e molti vittime della crisi della famiglia. In questo clima sono ancora più necessari per loro l’incontro, l’amicizia, l’unione con Gesù, la sua presenza e la sua forza. Essi sono, senza dubbio, grazie alla loro anima immacolata e aperta, coloro che sono meglio disposti a questo incontro.

Il centenario del decreto Quam singulari è un’occasione provvidenziale per ricordare e insistere di prendere la prima comunione quando i bambini abbiano l’età dell’uso della ragione, che oggi sembra addirittura essersi anticipata. Non è dunque raccomandabile la prassi che si sta introducendo sempre più di elevare l’età della prima comunione. Al contrario, è ancora più necessario anticiparla. Di fronte a quanto sta accadendo con i bambini e all’ambiente così avverso in cui non priviamoli del dono di Dio: può essere, è la garanzia della loro crescita come figli di Dio, generati dai sacramenti dell’iniziazione cristiana in seno alla santa madre Chiesa. La grazia del dono di Dio è più potente delle nostre opere e dei nostri piani e programmi.

Quando Pio X anticipò l’età della prima comunione, insistette anche sulla necessità di una buona formazione, di una buona catechesi. Oggi dobbiamo accompagnare questa stessa anticipazione dell’età con una nuova e vigorosa pastorale di iniziazione cristiana. Le linee tracciate dal Catechismo della Chiesa cattolica, dal direttorio generale per la catechesi e da quello per le messe dei fanciulli sono una guida imprescindibile in questa pastorale nuova o rinnovata dell’iniziazione cristiana così fondamentale per il futuro della Chiesa, la madre che, con l’aiuto della grazia dello Spirito, genera e fa maturare i suoi figli attraverso i sacramenti dell’iniziazione, la catechesi e tutta l’azione pastorale che l’accompagna.
Non chiudiamo allora le orecchie alle parole di Gesù: «Lasciate che i bambini vengano a me, non glielo impedite». Egli vuole stare in loro e con loro, perché «ai bambini e a chi è come loro appartiene il regno di Dio».

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