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“Gaudente in Domino”: Esortazione alla gioia, quella autentica che parte proprio DALLA CROCE

Ultimo Aggiornamento: 09/03/2011 15:55
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21/08/2010 22:40
 
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La gioia: una esperienza liturgica

Di gioia parlano tanti testi liturgici, oltre a quelli dei salmi e dei cantici, che mettono sulle labbra dei fedeli, più che parole, sentimenti che fanno commuovere il cuore nella esperienza ineffabile del canto, spesso accompagnato da felici melodie che sono chiamate “jubilus”, come l’alleluia del gregoriano, un modo di gioire e far gioire con il canto che si eleva e cade, si rialza e si slancia, quasi con un desiderio di non finire mai.

“Luce gioiosa”, “Phos ilaron” cioè “Ilare luce”, luce che procuri la gioia, il gaudio che generi il sorriso del cuore e della labbra, è l’inizio di uno degli inni più antichi della Chiesa, rivolto a Cristo, cantato ancora oggi tutti i giorni nel vespro nella liturgia bizantina, quando scende la sera. Bisogna ascoltare quell’antica melodia cantata dai nostri fratelli ortodossi della Grecia per sperimentare la vera gioia spirituale dell’invocazione a Cristo mentre il sole tramonta e il giorno volge al termine. Canti della Chiesa antica e moderna che hanno prodotto tanta gioia nei cuori nella celebrazione della santa liturgia, come quelli che ricorda Agostino nel momento della sua conversione o Paul Claudel, più vicino a noi, nel giorno del suo battesimo a Notre Dame de Paris.

La gioia vissuta nella liturgia si porta in terra con la carità vissuta, affinché secondo la bella espressione del Crisostomo, facendo a Cristo quello che è fatto al più piccolo “la terra diventi cielo”. Un messaggio sempre attuale: portare la gioia, dono di Dio, dove c’è la tristezza per essere veicoli della gioia di Cristo nel mondo…
Per questo la liturgia, specialmente la liturgia pasquale, che prende spunto dalla notte santa di Pasqua, è piena di inviti alla gioia, ad incominciare dal grane preconio pasquale, che dà il “la” di una tonalità gioiosa e pasquale alla vita cristiana: “Esulti il coro degli angeli, esulti l’assemblea celeste, sia in festa tutta la Chiesa…”. Un canto nel quale la gioia profonda e travolgente non manca dell’umorismo della sfida teologica di Agone, quando si arriva a riconoscere come “felice” la colpa di Adamo che ci ha procurato un tale Redentore. Il testo attuale dell’Exultet, canto e sfida del gaudio della Chiesa nella proclamazione della risurrezione del Signore, conserva ancora gli echi del cantico antico iniziale dell’Anonimo quartodecimano in una delle prime omelie pasquali.

Una ondata di letizia percorre i canti liturgici pasquali di Oriente e di Occidente, il saluto pasquale che si rivolgono i cristiani durante il tempo di Pasqua e con motivo della morte di un cristiano come sfida alle ragioni della tristezza e della morte: “Cristo è risorto”; “Sì è veramente risorto”. Gioia che si rinnova e si prolunga in ogni domenica.
E’ nota la famosa frase della Didascalia degli apostoli: “Chi è triste nella domenica commette peccato”. Perché se l’enigma che fa piangere, ci fa essere tristi e talvolta porta a stravolgere la gioia in lutto, è paura della morte, la vittoria di Cristo rimane la ragione definitiva della gioia cristiana. Per i cristiani è emblematico il canto dell’Alleluia, che è sinonimo di gioia cantata al Signore; alleluia è il canto nuovo della Pasqua, il canto del cammino verso la patria, con quel “canta e cammina” dei pellegrini verso la patria, secondo la bella espressione di Agostino; pellegrini che condividono la stessa letizia traboccante della speranza e che si fanno coraggio nella stanchezza guardando in avanti prendendosi per mano, cantando camminando e camminando cantando (4).

Davvero un cammino gioioso è quello del cristiano. Un autore cristiano dei primi secoli, Eusebio di Seleucia, ha potuto scrivere una frase ad effetto che rivela un valore perenne della spiritualità cristiana, attinta alla gioia della pasqua: “La risurrezione di Gesù ha fatto della vita dei cristiani una festa senza fine” (5). Questa frase, letta da un monaco di Taizé afflitto da cancro e comunicata a Roger Schutz, ha dato origine a un libro che ha avuto molta risonanza presso i giovani pellegrini della comunità di Taizé: La tua festa non abbia fine (6). “Festa senza fine”, una “sacra celebrazione”, un giorno senza tramonto è stata definita la vita dei cristiani che credono nella Pasqua. Non è motivo di gioia e di realismo sentirsi dire dal serio “didascalo” di Alessandria, Origene, che il cristiano è il luogo della celebrazione e della festa con tutte le opere della sua vita quotidiana e che si deve ritenere sempre un tempio, abitato da Dio, anche se ti trovi nel teatro, perché sei il santuario di Dio? (7).

Forse dobbiamo ritornare alla Pasqua come ad un punto di riferimento essenziale per la gioia cristiana. La certezza della Risurrezione di Gesù è anche certezza della vittoria del bene sul male, dell’amore sulla morte, la vittoria del Padre del nostro Signore Gesù Cristo, cioè del Padre che ha risuscitato Gesù e lo ha costituito Signore. Egli è la garanzia della vittoria finale ma anche della presenza con noi e in noi di una sorgente di gioia infinita. Un autore spagnolo, J. Martin Descalzo, ha scritto un succoso libretto dal titolo Le ragioni della gioia. 70 motivi per trovare la serenità (8). Alla fine del libro sintetizza tutto il suo insegnamento con una considerazione sul tempo di Pasqua ed una serie di ragioni fondamentali che partono dalla risurrezione di Cristo come motivi essenziali e definitivi di letizia. La Pasqua è stata considerata un “laetissimum spatium”, uno spazio traboccante di gioia, come afferma Tertulliano da celebrare durante cinquanta giorni, e poi ogni settimana. Non dimentichiamo la profonda affermazione di Paolo VI: “Per essenza la gioia cristiana è partecipazione alla gioia insondabile, insieme divina ed umana, che è nel cuore di Gesù Cristo glorificato”. E’ Cristo che vive in noi e gioisce in noi con la stessa esaltazione dello Spirito.

“Gaudente in Domino”: Esortazione alla gioia

Ma ecco che dobbiamo parlare di Paolo VI, il Papa che ha scritto un bel documento sulla gioia cristiana (9). Sì, abbiamo anche fra i documenti recenti del Magistero un bel trattato sulla gioia cristiana. L’ha scritto un Papa che aveva piuttosto un volo mesto, lo chiamavano alcuni maliziosamente “Paolo mesto”, ma forse non avevano mai fissato gli occhi di quel Papa luminoso e non avevano mai ascoltato certe parole di fuoco dette in determinati momenti. Ecco cosa ha detto parlando dello Spirito Santo in un inno al Consolatore, in una pagina fra le più belle forse scritte sul Paraclito in tutta la storia della Chiesa: Egli è “animatore e santificatore della Chiesa, suo respiro divino, il vento delle sue vele, suo principio unificatore, sua sorgente interiore di luce e di forza, suo sostegno e suo consolatore, sua sorgente di carismi e di canti, sua pace e suo gaudio, suo pegno e preludio di vita beata ed eterna” (10).

Un testo che fa gioire dal più profondo del cuore e dice che non solo la gioia è dono dello Spirito, ma che lo Spirito è la gioia e la sorgente perenne della letizia cristiana.
Ecco quindi che Paolo VI, nel 1975, celebrando l’anno giubilare ha voluto donare alla Chiesa il manifesto della gioia cristiana con l’Esortazione Apostolica “Gaudente in Domino” del 9 maggio 1973. Tutto quanto si può dire a livello biblico e teologico della gioia cristiana si trova scritto lì come in una sintesi della gioia. Gioia come espressione caratteristica della natura umana; è, infatti, una delle “passioni” della persona umana, cioè di quei sentimenti ricchi di risonanza e di bellezza che sono il patrimonio antropologico più bello. Gioia non frenata e non offuscata dalle contraddizioni che la minacciano e la fanno venire meno, per i mille fenomeni che la mettono in difficoltà.

Paolo VI annunzia le grandi verità della Bibbia, l’esempio dei Santi Martiri gioiosi che hanno dato testimonianza della gioia e perfino dell’umore davanti ai carnefici, come si racconta di san Lorenzo sulla graticola. Figure luminose di apologisti, testimoni e dottori della gioia come Agostino, testimoni come Francesco, Bernardo, Domenico, Ignazio, Teresa d’Avila, Giovanni della Croce e Giovanni Bosco, Teresa de Lisieux e Massimiliano Kolbe. Anche se mancano all’appello Francesco di Sales e Filippo Neri.

Non manca quindi nella Chiesa cattolica una buona teologia della gioia radicata nella stessa psicologia umana, nelle ragioni più profonde della fede, della natura e della grazia, nelle certezze che ci vengono dalla paternità di Dio, della presenza di Cristo, della nostra vita destinata alla gloria, delle mille gioie della vita, seminate lungo le strade della nostro giornata. Gioie che fanno la storia del quotidiano.

Spiritualità della gioia

Esiste una considerazione particolare della gioia nell’ambito della spiritualità? Ad essere sistematici nelle nostre considerazioni dobbiamo dire che non esiste una vita cristiana, cimentata sulle ragioni della fede, che non sia per forza piena della letizia che è uno dei frutti dello Spirito. Anche se spesso gli spirituali scientifici dimenticano di inserirla nelle loro considerazioni sistematiche, i veri spirituali la mettono al centro delle loro testimonianze. Oggi ritorna di moda il tema della gioia e della festa. In realtà è da tempo che è ritornato. Con estrema regolarità, in tempi in cui il rigorismo e la freddezza prevalgono nella vita della Chiesa, lo Spirito Santo suscita una ventata di teologia e spiritualità della gioia, un’ondata carismatica. E’ capitato anche nei decenni passati. Quando il vento di tramontana della secolarizzazione ha spazzato via tante cose nella Chiesa, lo Spirito Santo ha soffiato un po’ di scirocco di fervore e semplicità per ridare equilibrio alla sua Chiesa. Basti pensare a quanto è avvenuto nella Chiesa con le espressioni di gioia del rinnovamento carismatico. Quando, i seri teologi hanno inondato con volumi ponderosi ed interminabili la teologia, è ritornata di moda la saggezza degli apologhi, delle fiabe e dei racconti.

E’ la teologia della gioia che risplende nella spiritualità della liberazione, gioia dei poveri di Yahvè che si “abbeverano nel proprio pozzo”, è la saggezza della vita che porta a festeggiare in letizia la creaturalità, la fede in Dio Padre, la speranza, la dimestichezza tutta familiare con la Vergine Maria ed i Santi, come accade nei popoli del così detto terzo mondo, veri maestri della gioia e della semplicità cristiana. Certo la gioia è un dono ed un cammino, una responsabilità ed un compito. Alcuni potrebbero ricondurre tutto ad una certa superficialità che metterebbe in pericolo la serietà della croce e il superamento ontologico del dolore e della morte con la risurrezione del Signore. Per questo non possiamo dimenticare che la gioia vera, come la Risurrezione del Signore, sorge dall’abisso del suo abbandono sulla Croce, limite di ogni limite. Ancora oggi la gioia più vera ed autentica nasce da questo abbraccio generoso del Dio Crocifisso e Risorto.

Ci sono di esempio i santi, i quali sanno distinguere alcuni processi ed alcuni momenti di questo stato luminoso e radioso della vita e del cristiano autentico. Uomo della gioia vera, provata ma autentica, comunicatore di entusiasmo e di speranza. Uomini e donne delle notti oscure e delle giornate luminose della quotidiana esperienza cristiana. Se è vero come dice il noto documento del Vaticano II dal titolo Gaudium et spes (Le gioie e le speranze) al n. 1 che nulla di quanto è umano è alieno al cuore del discepolo di Cristo, come possiamo togliere la gioia, con i suoi sentimenti più veri e le sue ragioni più umane, dal vocabolario, dalla teologia e dalla spiritualità di Colui che ci ha parlato della gioia ed è lui stesso, come dicono gli antichi inni latini dell’Ascensione è “il nostro gaudio”?

Scorrendo le pagine dei mistici, come Teresa d’Avila, s’impongono alcune considerazioni basilari. Ogni incontro con il Signore lungo il cammino della vita è sorgente di felicità sempre più piena, sempre più vera, travolgente, comunitaria.
E’ frutto delle prove superate, della maturità acquisita, dell’esperienza che si afferma con il procedere nel cammino di Dio.
Ma ci sono due aspetti della gioia che sono quasi al vertice dell’esperienza umana e cristiana dei santi. La prima è la gioia pura che brilla come una luce attorno al buio della sofferenza, delle prove accettate e subite, quelle di Dio e quelle degli uomini. E’ la gioia non facile, contraddittoria, mistica – perché puro dono di Dio –, come quella sperimentata e cantata da Paolo in mezzo alle tribolazioni. Il sovrabbondare della gioia in mezzo al dolore fisico o morale, spirituale, è puro dono di Dio, esperienza forte e chiara della grazia.

Il sorriso di un malato, gli occhi luminosi di un cristiano in mezzo alla sofferenza, l’impasto di lacrime e di sorriso che spesso vediamo in cristiani e cristiane che vivono la croce luminosa e gloriosa, sono segni vivi della presenza di un dono dello Spirito. Queste scintille di gioia che si sprigionano dagli occhi dei nostri fratelli e sorelle nel momento del dolore, sostenuto con eroismo, aiutato dalla carità della presenza e della compagnia, sono manifestazioni di risurrezione, dimostrazioni dell’esistenza di Dio, proprio come l’evidenza dell’esistenza di una logica divina, un modo nuovo di essere, una testimonianza della trascendenza, come un risalire dell’abisso. Sono segni veri e propri della risurrezione, tanto più credibili quanto più contrari alla logica del mondo.

Sorrisi di malati e carcerati, di poveri e di sofferenti, di perseguitati e di condannati ingiustamente, sono luci che accende solo lo Spirito Santo, luce dei cuori…

La letteratura antica cristiana è piena di testimonianze della gioia dei martiri portati al rogo, nella compostezza delle loro risposte, nelle espressioni quasi liturgiche di un Amen o di un Alleluia, nell’umorismo con cui rispondono ai persecutori, quasi sollevando un velo sulle certezze interiori. Ricordiamo il Vescovo Policarpo che al giudice che lo esorta a rinnegare Cristo risponde che è da 85 anni che lo serve e non gli ha fatto alcun male e non può rinnegarlo ora. [SM=g1740722]

I martiri di Abitene ai quali il giudice dice di consegnare le Scritture che hanno letto nell’assemblea rispondono che le scritture le hanno tutte scritte nei loro cuori e affermano, quando sono rimproverati per aver celebrato il loro culto proibito dalle leggi imperiali, che i cristiani non possono vivere senza celebrare l’Eucaristia.

Una gioia contagiosa si sprigiona dai martiri nel giorno della loro passione. Nel martirio di Perpetua e Felicita si afferma: “Splendette infine il giorno della vittoria e passarono dalla prigione all’anfiteatro, come se fosse in cielo, esultando, ma piene di dignità, trepidanti forse ma di gioia, non di paura” (11).

E’ questa la vera letizia pasquale, dono di Dio, frutto dello Spirito, prova dell’esistenza del soprannaturale. Anche se corriamo il pericolo di idealizzare la vita dei primi cristiani essi sono sempre punto di riferimento anche per oggi. Di essi è stato scritto: “La gioia dei primi cristiani come del resto quella dei cristiani di tutti i secoli, là dove il cristianesimo è compreso nella sua essenza e vissuto nella sua radicalità, la gioia dei primi cristiani era una gioia invero nuova, mai conosciuta fino allora. Non aveva niente a che fare con l’ilarità, con il buon umore, con l’allegria…
Né era semplicemente la gioia esaltante dell’esistenza e della vita – come direbbe Paolo VI – né la gioia pacificante della natura e del silenzio; né la gioia o soddisfazione per il lavoro compiuto, né solamente la gioia trasparente della purezza o dell’amore casto. Tutte gioie belle.

Quella dei primi cristiani era diversa: una gioia simile a quella ebbrezza che aveva invaso i discepoli alla discesa dello Spirito Santo. Era la gioia di Gesù…E la gioia dei primi cristiani sgorgava spontanea dal fondo del loro essere, saziava completamente il loro animo. Essi avevano trovato veramente ciò di cui l’uomo di oggi, di sempre va in cerca: Dio che lo soddisfa pienamente. Avevano trovato la comunione con Dio, elemento essenziale alla loro piena realizzazione
Questa era la felicità dei primi cristiani adulti e giovani (l’unità fra l’amore di Dio e l’amore dei fratelli) che si sprigionava in liturgie festose, traboccanti di inni di lode e di ringraziamento…” (12).

Una gioia che conquistava, una evangelizzazione per irradiazione che ha conquistato l’impero romano. Una lezione sempre viva per noi cristiani di oggi, doverosi testimoni della gioia in favore dell’uomo e della donna del “postmoderno”, tutti attirati dalla soggettività e dal desiderio di sentire più che di pensare, che vuole fare esperienza e si convince solo con le ragioni del cuore e la riprova del sentimento, come convinzione totale.

continua..............



Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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