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Dieci anni fa il 3 settembre la beatificazione di due Pontefici: Pio IX e Giovanni XXIII

Ultimo Aggiornamento: 02/09/2010 19:29
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Il 3 settembre di dieci anni fa la beatificazione di Pio IX e di Giovanni XXIII

Fede e ragione nel pontificato di Mastai Ferretti


di Francesco M. Valiante

Semplificazioni e luoghi comuni creano miti duri a morire, anche nella storia della Chiesa. È il caso di certi cliché applicati alla figura di Pio IX, il Pontefice del Sillabo e della questione romana, del dogma dell'Immacolata e del concilio Vaticano I, pastore di solida spiritualità ma anche uomo di governo, considerato ora liberale e riformatore, ora intransigente e antimoderno. Ma chi fu davvero Papa Mastai Ferretti? Monsignor Walter Brandmüller non ha dubbi:  "Il suo - afferma - è stato un pontificato essenzialmente religioso e come tale va giudicato". Parziali e, dunque, inattendibili le interpretazioni ideologiche o i bilanci politici del pontificato di Pio IX. Che il prelato tedesco, professore di storia della Chiesa medievale e moderna all'università di Augusta (1970-1997) e presidente del Pontificio Comitato di Scienze Storiche dal 1998 al 2009, invita a rileggere a partire da due aspetti sorprendentemente moderni e vicini alla sensibilità del suo attuale successore Benedetto XVI:  l'apertura al dialogo tra fede e ragione, e l'attenzione alla dimensione soprannaturale della vita del cristiano. In questa intervista al nostro giornale monsignor Brandmüller ricorda la figura di Giovanni Maria Mastai Ferretti a dieci anni dalla beatificazione. E parla di un pontificato, il più lungo (1846-1878) della storia della Chiesa tra i successori di san Pietro, da rivalutare e approfondire "con gli occhi dello storico e del teologo". Non omettendo una tirata d'orecchie a chi accusa di oscurantismo le posizioni del Syllabus errorum del 1864, magari senza nemmeno averne letto il testo. "Io non conosco - sentenzia - nessuna affermazione del Sillabo che contraddica apertamente il concilio Vaticano II".

Cominciamo dalle questioni politiche cruciali che Pio IX si trovò ad affrontare durante il pontificato:  come leggere le sue scelte, in particolare di fronte al Risorgimento, alla rivoluzione del 1848 e alla questione dell'unificazione italiana?

Più che cominciare, direi di chiudere subito questo discorso. Capisco la sensibilità di una certa storiografia verso queste tematiche, che tanta importanza hanno avuto per l'Italia. Ma nel giudicare un Papa noi ci muoviamo su un livello ben più alto, essenzialmente religioso. Per questo motivo non è possibile capire veramente Pio IX leggendo la sua persona e la sua azione in chiave politica, soprattutto italiana. Prescindiamo quindi da questa visione troppo riduttiva. In primo luogo, un Pontefice è maestro e pastore della Chiesa di Cristo. Ed è in questa prospettiva che si spiega l'atteggiamento di Mastai Ferretti, anche durante la prima guerra d'indipendenza italiana e nei confronti del movimento risorgimentale.

E il mito del Papa liberale?

Conviene accantonare queste semplificazioni che non sono in grado di ricostruire una personalità complessa e importante come quella di Pio IX. Che fu visto senza dubbio anche sotto questa luce, e non senza qualche ragione. Anche se erano eccessive, oltre che interessate, le manifestazioni di entusiasmo repubblicano suscitate dall'atteggiamento di apertura del futuro Pontefice negli anni del suo episcopato a Spoleto e poi a Imola.

Non si può negare, tuttavia, che la sua azione abbia avuto una forte valenza politica in quel tumultuoso frangente storico.

Certo, ma a prevalere nel Papa sono state sempre la dimensione autenticamente pastorale e le motivazioni religiose delle sue scelte. Sotto questo profilo, è davvero impressionante il suo magistero. Ed è ammirevole soprattutto la sensibilità con la quale egli reagisce alle correnti intellettuali che si andavano diffondendo. Siamo ad appena mezzo secolo dalla rivoluzione francese e i credenti si trovano a fare i conti con il suo insidioso retaggio. Ebbene, già nella prima enciclica, la Qui pluribus, del 1846, Papa Mastai affronta una questione fondamentale e perciò decisiva per il futuro del cattolicesimo:  il rapporto tra fede e ragione.

Tema oggi particolarmente caro a Benedetto XVI.

Per l'appunto. Non dimentichiamo che Pio IX dedica alla questione una serie di documenti - dei quali di norma non si parla - allo scopo di difendere la verità cattolica dai due estremismi opposti:  il razionalismo, che assolutizzava la ragione, e il cosiddetto tradizionalismo, che la sottovalutava. In quei testi il Pontefice mette in evidenza la necessità di coniugare fede e ragione in un insieme armonioso secondo la tradizione cattolica:  una dottrina riproposta nel 1870 con la Dei filius del concilio Vaticano i. Non è difficile vedere i punti di contatto con Benedetto XVI, che fin dall'inizio del suo pontificato sta approfondendo questo tema proprio per rispondere alle sfide poste dal dibattito culturale e dai fermenti intellettuali della nostra epoca. In questa luce, non si può non ammirare la lungimiranza di Mastai Ferretti.

Che però è passato alla storia come il Papa del Sillabo.

Anche qui occorre sgombrare il campo dagli equivoci, generati soprattutto dall'ignoranza o dalla scarsa conoscenza dei testi. Il Sillabo di Pio IX denuncia tutte le forme ideologiche, politiche e sociali di violazione della fede cattolica e dei diritti della Chiesa:  in sostanza, condanna quegli errori da cui sarebbero scaturite poi le grandi tragedie del Novecento. Non sono dunque fondate l'agitazione e l'ostilità di fronte a quel documento, spesso giudicato - allora e anche oggi - a priori, magari senza neanche averlo letto.

Eppure viene generalmente considerato una condanna della libertà di pensiero e del progresso.

Io non conosco nessuna affermazione del Sillabo che contraddica il concilio Vaticano II. La questione è un'altra. Si tratta di conoscere e di leggere correttamente un documento magisteriale:  leggerlo, intendo, con gli occhi dello storico e del teologo. Ci sono regole precise, basate sulla più elementare logica, che vanno seguite per interpretare nella sua intenzione questo testo.

Lo stesso discorso vale per il concilio Vaticano i, aperto nel 1869?

Sicuramente. Basti considerare le due costituzioni dogmatiche approvate nel 1870:  la Dei filius, dedicata appunto al rapporto tra fede e ragione, e la Pastor aeternus, sul primato e l'infallibilità del Romano Pontefice. A mio avviso la prima riveste un'importanza addirittura maggiore della seconda, perché in essa si affronta direttamente la questione delle ideologie e dei movimenti che inquietavano il panorama intellettuale ed esigevano una risposta anche sul piano teologico. Per il futuro della Chiesa questo era un passaggio fondamentale. D'altra parte, va anche detto che la Dei filius non ha potuto evitare la nascita del modernismo. Ma ritengo che ciò sia stato appunto favorito dalla mancata recezione dell'insegnamento di Pio IX da parte della teologia dell'epoca.

Il pontificato di Mastai Ferretti ha dato un notevole impulso alla pietà e alla vita spirituale del popolo di Dio. Che cosa ha rappresentato in questo senso il dogma dell'Immacolata Concezione?

Al di là del significato dottrinale di quella definizione - basata su una consultazione dell'episcopato a livello mondiale - va sottolineato appunto il suo valore spirituale. Essa dimostra soprattutto la grande sensibilità di Pio IX verso la realtà soprannaturale della fede, con particolare riguardo alla questione del peccato e della grazia. Un discorso che trovo di grande attualità, perché la medesima consapevolezza manca a moltissimi uomini del nostro tempo e agli stessi cristiani:  non a caso questo è un altro dei temi che sta particolarmente a cuore a Benedetto XVI.

In questa direzione va anche lo sforzo di rinnovamento e di promozione della vita consacrata intrapreso da Pio IX?

Si tratta di un aspetto assolutamente singolare del suo pontificato. In 32 anni Papa Mastai Ferretti approvò canonicamente ben 160 ordini religiosi, molti dei quali femminili e missionari. Un dato sorprendente se si considera, oltretutto, che diverse comunità sono sorte proprio in Francia, dove la rivoluzione aveva lasciato intorno a sé terra bruciata. E questo conferma che buona parte della messe del pontificato di Pio IX è stata raccolta dopo la sua morte. Come continua oggi a venire raccolta.


(©L'Osservatore Romano - 3 settembre 2010)

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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Quell'Angelus di Roncalli
all'alba del concilio Vaticano II



di Nicola Gori

Ascoltando l'arcivescovo Loris Francesco Capovilla, già prelato di Loreto, parlare di Angelo Giuseppe Roncalli - del quale è stato segretario per lunghi anni - si ha l'impressione che Giovanni XXIII sia ancora accanto a noi. Ne parla come di una persona ancora viva, presente non solo nella sua vita, ma anche in quella della Chiesa. Racconta il Papa del concilio Vaticano II, il grande seminatore di pace, del dialogo con l'Oriente, l'abile diplomatico e il pastore pronto a donare se stesso per il gregge, nei suoi momenti più intimi. Lo descrive mentre si prepara nel suo appartamento privato, la mattina del 25 gennaio 1959, mentre recita l'Angelus e celebra la messa prima di recarsi alla basilica di San Paolo fuori le Mura per indire il concilio Vaticano II, oppure quando si interroga sul come presentare nella sua interezza il messaggio cristiano alla gente del tempo. Monsignor Capovilla ne parla con "L'Osservatore Romano" nel decennale della beatificazione di Papa Roncalli, avvenuta il 3 settembre 2000, nel corso del grande Giubileo.

Iniziamo dai ricordi più significativi della sua esperienza vissuta accanto a Papa Giovanni, in particolare quelli legati all'evento di dieci anni fa.

Col trascorrere degli anni la mia timidezza, nel parlare di Giovanni XXIII, aumenta. Del resto parlare di lui spetta al magistero, ai teologi, agli storici. Il piccolo contubernale, che io sono, può balbettare poche cose, essendo stato impari al servizio misteriosamente affidatogli. Se mi chiedono quanti anni ho trascorso accanto ad Angelo Giuseppe Roncalli rispondo senza esitazione:  75. Per quanto attiene all'evento del 3 settembre 2000 l'ho vissuto nell'intimo e nell'ombra. Naturalmente, ad normam iuris, ho fatto le mie deposizioni ai processi, ma non presenziai a nessuno dei momenti successivi che prepararono l'iscrizione del servo di Dio nell'albo dei beati. Ebbi rapporti solo col primo postulatore della causa, il francescano Antonio Cairoli. Testimoniare! Non è compito facile. Ho chiesto perdono a Dio, e lo chiedo agli uomini, di aver detto poco, di non aver messo del tutto il mio io sotto i piedi, come mi esortava Papa Giovanni. Qualche dato. Nel 1960 mi arresi a pubblicare Cinque Letture per i tipi della Tipografia Poliglotta Vaticana, passate al vaglio della critica e della pulitura di don Giuseppe De Luca. Quel libro, messo insieme con estrema cautela, riveduto dalla Segreteria di Stato e dal teologo della Casa Pontificia Luigi Ciappi non dispiacque nel complesso all'opinione pubblica. Se quelle note son servite a qualcosa non ho motivo di vantarmene. Appartengono all'uomo e sacerdote Roncalli e ai suoi carteggi su cui mi sono soffermato a lungo, rimanendone segnato indelebilmente.

Cosa rimane nei suoi ricordi del tempo conciliare?

Sono trascorsi cinquantuno anni dal triplice annuncio:  concilio, sinodo romano, aggiornamento del Codice di diritto canonico. Riecheggiano nel mio animo due emblematiche affermazioni giovannee di allora:  l'una contenuta nel discorso ai cardinali:  "Amore e santità"; l'altra, trasparente tra le righe di una lettera inviata a un condiscepolo, parroco di campagna:  "prontezza a tutto". I singoli momenti del 25 gennaio 1959 rivivono nella mia memoria. Rivedo il Papa con le 13 pagine dattiloscritte dei discorsi, e risento la sua voce, la stessa che nell'ora estrema ripeterà identico concetto che gli stava fisso nel cuore. Il Papa si alzò all'alba avviando la sua preghiera mattutina con l'Angelus recitato sopra il solenne abbraccio del colonnato berniniano. Celebrò la messa nella cappella privata e assistette alla mia. Rimase in ginocchio più a lungo del solito. Sostò al tavolo di lavoro per una rapida scorsa ad alcune pratiche della Segreteria di Stato. Mi pare di sentire ancora il suo interrogativo:  "Come ripresentare nella sua interezza il messaggio cristiano alla gente del nostro tempo? L'uomo moderno non è insensibile alla parola di Cristo, non è del tutto restio ad afferrare l'àncora di salvezza che gli viene offerta". In macchina verso San Paolo disse poche parole. Presiedette la messa celebrata dall'abate e tenne omelia. Il rito si prolungò più del previsto e il Papa varcò la soglia dell'aula capitolare del monastero benedettino poco dopo mezzogiorno, l'ora in cui cessava l'embargo dell'annuncio. Così accadde che la notizia del concilio venne divulgata dai mass media prima che il Pontefice l'avesse comunicata ai cardinali.

Dopo l'annuncio cosa cambiò nella vita della Chiesa?

Da quell'annuncio sino all'indizione propriamente detta, del Natale 1961, nella laboriosa parentesi delle fasi antepreparatoria e preparatoria, il Papa moltiplicò in proposito la sua catechesi compendiata nelle tre articolazioni, che segnalavano il cammino dell'evento ecclesiale, come verrà precisato nel discorso di apertura:  promuovere il rinnovamento interiore della cattolicità, porre i cristiani dinanzi alla realtà della Chiesa di Cristo e dei suoi compiti istituzionali, sollecitare i vescovi, coi loro presbiteri e laici, a sentirsi collegialmente corresponsabili della salvezza di tutti gli uomini e a farsi carico di tutti i loro problemi, affinché l'assise conciliare si rivelasse veramente ecumenica, anche nei rapporti con l'intera famiglia umana. Queste articolazioni, per nulla esaurite, sono state ulteriormente esplicitate durante i pontificati di Paolo VI, Giovanni Paolo I, Giovanni Paolo II, Benedetto XVI. Ricordo per esempio che qualche giorno dopo il 25 gennaio 1959, esaltando l'Immacolata di Lourdes, Giovanni XXIII sentì il bisogno "di esprimere un pensiero in grande confidenza paterna". Infatti già lo si era collocato tra gli uomini inclini alla mitezza e all'ottimismo, ed egli non negò questa sua connotazione, ma volle renderne ragione. Si avverte in questo brano il preannuncio della "medicina della misericordia", tuttavia senza compromessi tattici, senza collocare nell'ombra uno solo dei princìpi e dei valori che sono tutt'uno col cristianesimo. Non a caso quattro Papi hanno ripetutamente asserito che il Vaticano II è stato evento voluto da Dio, condotto dallo Spirito, approdato alle sue evangeliche conclusioni; hanno riconosciuto che Papa Giovanni ha ringiovanito la Chiesa - stupendo paradosso:  il vecchio che compie opera di ringiovanimento!

E che dire del sinodo romano e del rinnovamento del codice?

La vox populi attribuisce il carisma profetico al pastore che nell'annunciare l'assise ecumenica affermò di aver voluto cogliere la buona ispirazione celeste, scoprendone la premessa nella Bibbia. Giovanni XXIII ha detto le parole del Signore? Le ha dette al popolo romano col sinodo? All'umanità col concilio? Ha interpretato l'esigenza incontrovertibile dell'aggiornamento del Codice? Se il sinodo romano, che va letto nell'ottica della legislazione degli anni Sessanta del secolo XX, è stato oggetto di non pochi strali, è segno che i suoi articoli non sono stati considerati alla luce della disciplina ecclesiastica e della passione pastorale. Se il Codice, promulgato dopo personale vaglio compiuto da Giovanni Paolo II con estrema sensibilità, al fine di renderlo strumento di liberazione per i credenti, incontra qualche difficoltà di interpretazione e di applicazione, dipende dal fatto che taluno dimentica la costituzione gerarchica della Chiesa. Se il concilio non ha raggiunto tutte le mete prefissate, o stenta a conseguirle, ciò significa che la nostra conversione è di là da venire.

Come vivono la Chiesa e la comunità di Bergamo la sua eredità spirituale?

La robusta e solida gente bergamasca ha fatto tesoro della lezione e pur tra scotimenti che preoccupano, si interroga sul proprium del suo Papa e sa di doverne custodire non solo l'immagine ma la promessa di indefettibile fedeltà a Cristo e alla Chiesa cattolica; sa che di lui rimane vivo e stimolante l'appello alla verità e alla bontà. Non dimentichiamo che dopo l'elogio tributatogli il 28 ottobre 1963, nell'aula conciliare, dal cardinale Léon Josef Suenens, prese la parola il vescovo polacco Bogdan Bejze, per presentare il cosiddetto schema 13:  "la Chiesa e il mondo", schema consegnato e raccomandato ai Padri dal Papa stesso in limine vitae. Al termine del suo intervento egli propose ai Padri conciliari di riconoscere le virtù del defunto pontefice e proclamarlo santo. Nelle incertezze di quei giorni faticosi, la proposta rimase come sospesa per aria; tuttavia due Padri scesero dai loro seggi e si recarono a congratularsi con l'oratore:  il cardinale Stefan Wyszynski e il vescovo Karol Wojtyla. Ricordarlo oggi alimenta sensi di stupore e gratitudine.

Cosa è rimasto secondo lei dell'evento conciliare?

Si tratta di un cammino irreversibile, tanto più che i benefici apportati dall'assise ecumenica superano di gran lunga disagi, indiscipline, strumentalizzazioni che non neghiamo, che saremmo anzi in grado di elencare e descrivere. Taluni chiedono ancor oggi cosa intendesse raggiungere Papa Giovanni con la celebrazione del concilio; altri vorrebbero sapere se non siano stati bruciati i tempi; se durante i lavori non sia successo qualcosa di inatteso, come lo scoppiare di un ordigno in mani inesperte; se semplicità e innocenza non abbiano giocato brutti scherzi; se la prudenza nell'annuncio, nella preparazione e nell'indizione abbia avuto, sin dalla prima scintilla, il suo posto d'onore, considerata com'è la prima delle virtù cardinali. A non volerci lanciare alla ventura, risposta esaustiva troviamo nei deliberati stessi del concilio, nella testimonianza profusa da Paolo VI, poi nell'unico radiomessaggio di Papa Luciani, negli insegnamenti di Giovanni Paolo II, nei propositi annunciati da Benedetto XVI all'indomani della sua elezione. Bastano le testimonianze dei successori di Papa Giovanni a fugare indebite obiezioni sulla provvidenzialità dell'evento, e a dimostrare il convinto coinvolgimento e l'assunzione di responsabilità dei Pontefici. Grazie anche a Papa Giovanni, sul cui petto esultavano le aspirazioni e le illuminazioni dei suoi immediati antecessori, di vescovi e di teologi, di uomini e donne timbrati a fuoco dalla parola rivelata, oggi noi sappiamo, meglio di ieri, chi siamo e dove siamo diretti.

(©L'Osservatore Romano - 3 settembre 2010)

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(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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