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Il valore del rito romano antico (ossia, perchè andare a questa Messa?)

Ultimo Aggiornamento: 03/01/2012 21:22
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Omelia: "Il valore del rito romano antico"

di Padre Konrad zu Loewenstein, parroco di Simonin Piccolo - Venezia -



Per valutare i meriti di un rito di Messa bisogna prima considerare la natura della Messa. Ora, la Santa Messa è nient’altro che il Santo Sacrificio del Calvario: il sacerdote è lo stesso, ossia Gesù Cristo nella persona del celebrante; la vittima è la stessa, ossia Gesù Cristo sotto l’apparenza del pane e del vino. Lo stesso sacerdote, la stessa vittima: lo stesso sacrificio. Ogni rito di Messa della Chiesa Cattolica rende presente questo sacrificio; ci sono molti riti, tra i quali il rito bizantino, il rito ambrosiano, il rito siro-malabarese, il rito nuovo di Paolo VI, ma per valutare un rito particolare bisogna chiedersi quanto esso è adeguato al Sacrificio del Calvario.


Sacrificio, umiltà e riverenza

Quanto al rito romano antico dobbiamo subito constatare che esso è molto adeguato al sacrificio del Calvario e questo in tre modi generali, cioè il rito antico manifesta chiaramente la natura sacrificale della Messa, e la debita umiltà e riverenza di coloro che partecipano a questo Sacrificio. Il rito antico manifesta la natura sacrificale della Messa innanzitutto nel suo uso di un altare sacrificale (piuttosto di una tavola) che contiene le reliquie dei martiri, un altare sacrificale in posizione sopraelevata (come suggerisce l’etimologia del termine altare, ovvero alta ara) che rappresenta il monte Calvario; manifesta la natura sacrificale della Messa nel suo uso costante dei termini “sacrificio” e “oblazione”, e nei moltissimi segni di croce. Il rito antico manifesta l’umiltà in parecchi modi, tra cui i due Confiteor, con il loro ricorso agli angeli e ai santi, la preghiera Domine non sum dignus per tre volte prima della Santa Comunione, il battersi il petto tre volte nel Confiteor e nel Domine non sum dignus e la Comunione in ginocchio e sulla lingua – perché la Santa Comunione non è un oggetto qualsiasi di cui ci si appropria, ma Iddio Stesso che si riceve, in tutta indegnità, umiliazione e raccoglimento. Il rito antico manifesta anche la riverenza in tutti questi modi e, inoltre, nei moltissimi inchini e genuflessioni del celebrante; nella sua attenzione a non lasciar cadere alcun frammento, neppure il più piccolo del Santissimo Sacramento, a tenere chiuse le dita e a purificare scrupolosamente la patena, il corporale, le dita, e similmente anche il calice. Questi tre aspetti del rito antico: la sua chiara manifestazione del sacrificio, dell’umiltà, della riverenza vengono espressi in modo esemplare nella preghiera Placeat Tibi, recitata dal celebrante verso la fine della Santa Messa con un profondo inchino: «Sia a Voi gradito, o Santa Trinità, l’ossequio della mia servitù, e concedete che il Sacrificio da me indegno offerto agli occhi della Vostra maestà, sia accetto a Voi e fecondo di bene per Vostra bontà a me e a tutti coloro ai quali l’ho offerto, per Cristo Signore nostro. Così sia».


La posizione del celebrante, il latino, il silenzio

Consideriamo adesso tre modi particolari in cui il rito antico è adeguato al Santo Sacrificio del Calvario, cioè la posizione del celebrante, l’uso del latino, e il silenzio. Questi tre elementi sono stati oggetto di critica da parte di coloro che non amano questo rito.
Il primo elemento viene criticato con frasi come: «Il prete dà le spalle ai fedeli». La risposta semplice a questo è: «Il prete dà la faccia a Dio». Abbiamo visto che la santa Messa è il Sacrificio del Calvario. Questo sacrificio, nelle parole di San Giovanni della Croce, è il Sacrificio di Dio, da Dio, a Dio: è il Sacrificio che nostro Signore Gesù Cristo fa di se stesso a Dio Padre. Durante la Santa Messa il celebrante (nella persona di Cristo) offre questo Sacrificio a Dio realmente presente nel tabernacolo e rappresentato in croce. Non offre il sacrificio al popolo, ma con il popolo e per il popolo, come significa anche la parola "liturgia", che significa “l’opera (ergon) per il popolo (laos)” e questo spiega la posizione del celebrante che sta a capo del popolo rivolto come loro e con loro verso Iddio. Criticare questa posizione del celebrante è come criticare un avvocato che non sta di fronte ai suoi clienti nel tribunale. Sarebbe una critica assurda, perché l’avvocato deve presentare il suo caso al giudice per i suoi clienti, e dunque deve essere rivolto al giudice come i suoi clienti e con i suoi clienti che si trovano quindi dietro di lui. Il secondo elemento, l’uso del latino, viene criticato con frasi come: «Nessuno capisce il latino». La risposta a questo è che, in realtà, alcuni lo capiscono, e molti capiscono almeno qualche elemento, come le preghiere, Gloria in excelsis Deo, Agnus Dei; e tuttavia ci sono libretti con traduzioni per aiutarci a capire, e ci sono stati sempre. E’ pur vero che il latino esige un certo sforzo per i fedeli, ma ci sono buoni motivi per fare questo sforzo.

Un primo motivo sarebbe che il latino è una lingua sacra, maggiormente adeguata al Santo sacrificio della Messa che è un’opera di Dio che trascende assolutamente tutte le cose di questo mondo; un secondo motivo è che il latino è una lingua immutabile, e perciò conviene al Santo Sacrificio che è anch’esso immutabile e reso presente nella sua forma identica con ogni celebrazione della Messa; un terzo motivo è che il latino è una lingua tradizionale che ci unisce con la Santa Messa come fu celebrata nel corso dei secoli; un quarto motivo è che il latino è una lingua universale per tutti coloro che pregano secondo il rito romano, proprio come il sacrificio del calvario è un sacrificio universale: per tutti gli uomini – almeno per tutti gli uomini che vogliono accettarlo. Fino a poco tempo fa un fedele poteva andare a Messa in qualsiasi paese del mondo: Polonia, Cina, Olanda, Germania ecc. e mediante questo rito essere unito agli altri cattolici presenti, ed essere accolto nel seno consolante della madre Chiesa.

Infatti in quanto il latino è tradizionale e universale può unire tutti i cattolici di rito romano di tutte le nazioni e di tutte le epoche. Il latino è una lingua sacra, immutabile, tradizionale e universale, e per questo è più adeguato al Sacrificio della Messa, così come lo è alla Chiesa e al Cattolicesimo stesso.Si può aggiungere che rigettare il latino dalla Messa significa rigettare anche la più bella musica del mondo, la quale fu scritta per la Chiesa: il canto gregoriano e le opere di musica dei più grandi compositori classici, la qual musica è stata bandita dalla Chiesa e profanata, confinandola nelle sale da concerto e negli studi di registrazione. Ci si può chiedere se la critica della posizione del celebrante e del latino non contenga qualcosa di egocentrico: «Io voglio che il celebrante si indirizzi a me e voglio capire subito». Perché nella Santa Messa non si abbassa qualcosa a livello dell’uomo, ma ci si innalza a livello di Dio; non si rimane rinchiusi nella propria umanità, ma si esce da se stessi verso la Divinità; non ci si appropria, ma si dà di se stessi; non si domina, ma ci si umilia davanti alla Maestà infinita di Dio.

E non si tratta tanto di conoscere, quanto di amare. Difatti la santa Messa, il Sacrificio del Calvario sono una cosa che non riusciremo mai a comprendere completamente. Se il latino è un modo eccellente per esprimere ciò che possiamo capire, il resto è silenzio. Ora, le persone che non apprezzano il silenzio, che dicono: «Non si dice niente, non si fa niente, non si partecipa», trascurano che il silenzio rende possibile ciò che è più grande delle parole o dei gesti, che permette una partecipazione più profonda nei santi misteri della Messa: ossia la contemplazione e l’adorazione di Dio, l’umiliazione di se stessi e l’offerta di se stessi a Dio. «Fa silenzio e sappi che sono Iddio».


Opera perfetta e mistero

Ci sono due ultimi aspetti del Santo Sacrificio della Messa che vengono ben espressi nel rito antico romano e questi sono la sua perfezione e il suo mistero. Il Santo Sacrificio della Messa è un’opera perfetta perché opera di Dio, Opus Dei nelle parole di San Bernardo, anzi la sua opera più grande: esige dunque una collaborazione corrispondente da parte degli uomini, infatti la Messa solenne secondo questo rito è stata definita il più grande compimento della civiltà occidentale. Tutti gli elementi devono contribuire a quest’opera sublime, divina e umana allo stesso tempo: i gesti, i movimenti, l’architettura della Chiesa, i paramenti, le candele, l’incenso, il canto, la musica, i fiori. Tutto deve essere perfetto (humano modo), bello e degno di Dio.

In ultima analisi tutti questi elementi esprimono un mistero che, come abbiamo detto, non potremo mai comprendere: il mistero che Iddio viene chiamato sull’altare da un uomo, che il pane e il vino diventano Dio e rendono presente il Sacrificio del Calvario, che questo Sacrificio unico si ripete nel corso dei secoli, che Iddio sacrifica Dio a Iddio, che Iddio viene consumato dalle Sue creature, che così vengono unite con Lui e con tutti i membri della Chiesa, che tutta la Chiesa sulla terra, nel Purgatorio e nel Paradiso ne godono. Questi misteri esigono un quadro adeguato, un quadro che il rito antico fornisce in modo mirabile, nel quale i fedeli, almeno una volta alla settimana, possano uscire dal mondo moderno e dalla vita quotidiana, dura e talvolta anche brutta e dolorosa, per ritrovare un riflesso della bellezza e del mistero di Dio sublime e assolutamente trascendente, Colui che solo può dare un senso alla loro vita; un quadro, infine, dove possano abbassarsi davanti alla Sua divina Maestà, adorarLo e offrirsi completamente a Lui in unione con il Santo Sacrificio del Calvario.


Venezia, Domenica 22 Ottobre 2006






La presenza del Superiore Generale della Fraternità del nostro cappellano, Padre Konrad zu Loewenstein, diventa anche occasione di rinnovare la nostra gratitudine alla Fraternità stessa per il fatto di assicurare il prezioso servizio di quest'ultimo nel Patriarcato di Venezia

Don Konrad (cliccare sull'immagine per ingrandirla)

 




Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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15/04/2011 19:04
 
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Tratto dal sito la bussolaquotidiana.it

 La Messa antica non si può più negare


di Andrea Tornielli08-04-2011

Nel 2007 Benedetto XVI pubblicò il motu proprio Summorum Pontificum, un documento che liberalizzava l’uso del messale antico, quello preconciliare del 1962, concedendone l’uso e stabilendo che laddove un gruppo di fedeli ne facesse richiesta, i parroci erano chiamati a venire loro incontro con una celebrazione ad hoc. Con quella decisione, il Papa voleva venire incontro sia ai fedeli tradizionalisti rimasti sempre in comunione con Roma, i quali non senza molte difficoltà e avversità - nonostante l’indulto concesso da Giovanni Paolo II - erano rimasti legati al vecchio rito.

Mentre Papa Wojtyla aveva legato la concessione alla decisione del vescovo, Benedetto XVI è andato molto oltre, stabilendo che accanto alla forma ordinaria del rito romano vi fosse quella straordinaria rappresentata dal messale preconciliare. L’intento di Ratzinger, esplicitato nella lettera ai vescovi che accompagnava il motu proprio, era quello di favorire una riconciliazione tra le comunità e far sì che le due sensibilità liturgiche si aiutassero a vicenda: il rito antico avrebbe aiutato a sottolineare una maggiore sacralità nelle celebrazioni di quello postconciliare, quest’ultimo avrebbe aiutato a sottolineare la ricchezza di riferimenti biblici che rappresenta una delle maggiori novità introdotte dal Concilio Vaticano II.

Poco a poco, in diverse comunità sparse per il mondo, la Messa antica ha preso a essere celebrata. Non sono mancate le difficoltà: ci sono stati vescovi che hanno posto condizioni restrittive (non previste dal motu proprio papale, che è legge universale della Chiesa).

Proprio per chiarire i dubbi e permettere una più consapevole applicazione delle direttive di Benedetto XVI, sta per essere pubblicata un’istruzione della commissione Ecclesia Dei (dal 2009 messa sotto l’egida della Congregazione per la dottrina della fede e presieduta dal Prefetto dell’ex Sant’Uffizio, il cardinale William Levada). Il testo, approvato dal Papa, è finalmente ultimato e viene tradotto in questi giorni nelle varie lingue. Dovrebbe essere pubblicato nella prima decade di maggio e portare la data del 30 aprile, memoria di san Pio V.

L’istruzione con i suoi contenuti conferma che il motu proprio è legge universale della Chiesa e che tutti sono tenuti ad applicarla e a garantire che venga applicata. Afferma inoltre che va assicurata la possibilità della celebrazione in rito antico dovunque vi siano dei gruppi di fedeli che la richiedono. Nel testo non viene precisato alcun numero minimo di fedeli che devono costituire il gruppo.

Si dice ancora che è bene - in accordo anche con l’esortazione postsinodale sull’Eucaristia - che i seminaristi studino il latino. Ma il documento prevede anche che conoscano la celebrazione secondo la forma antica. Il “sacerdos idoneus” per la celebrazione con il messale preconciliare non occorre che sia un latinista provetto, ma che sappia leggere e capisca ciò che legge ed è chiamato a pronunciare durante il rito.

Una delle novità più importanti contenuta nel documento è questa: la Pontificia commissione Ecclesia Dei viene giuridicamente costituita con l’istruzione come l’organismo chiamato a dirimere le questioni e le controversie. Avrà la facoltà di decidere in nome del Papa, e rappresenterà dunque l’istanza a cui ricorrere per quei gruppi di fedeli che incontreranno difficoltà nell’ottenere la celebrazione della messa antica.

I vescovi non non dovranno né potranno promulgare norme che restringano le facoltà concesse dal motu proprio, o ne mutarne le condizioni, come invece è accaduto in qualche diocesi. Sono chiamati invece ad applicarlo.

Secondo l’istruzione può essere celebrato anche il Triduo pasquale in rito preconciliare là dove ci sia un gruppo stabile di fedeli legati alla liturgia antica. Gli appartenenti agli ordini religiosi possono usare i messali con i rispettivi riti propri preconciliari.

Il rito ambrosiano non viene citato nell’istruzione: il motu proprio infatti si applica soltanto al rito romano (Ecclesia Dei non è competente sul rito ambrosiano, sul quale ha invece giurisdizione la Congregazione del Culto divino). Ciò però non significa che il motu proprio, o meglio, che la chiara ed esplicita volontà papale non sarà applicata nella diocesi di Milano.

È sempre accaduto, con la riforma liturgica, ma prima ancora con i cambiamenti introdotti nei riti della Settimana Santa del 1954 da Pio XII, che il rito ambrosiano abbia fatto proprie istanze e modifiche, seppure in tempi successivi. Ed è possibile che - stante l’evidente volontà del Papa di rendere disponibile per tutti i fedeli il rito antico, visto l’inquadramento giuridico precisato nel documento sull’applicazione del motu proprio di imminente pubblicazione, in considerazione del fatto che anche l’ambrosiano è un rito latino riformato nel postconcilio - possa essere studiato in un prossimo futuro un documento analogo che estenda il motu proprio Summorum Pontificum anche alla diocesi di Milano.

Fraternamente CaterinaLD

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(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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08/05/2011 10:38
 
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La Vita di Cristo ripresentata nalla Santa Messa (di S. Vincenzo Ferreri) - I parte

grazie a un padre francescano conventuale per la traduzione.





LA VITA DI CRISTO RIPRESENTATA NELLA SANTA MESSA
di S. Vincenzo Ferreri




Fate quello che Egli vi dirà (Gv. 2,5). Prendiamo queste parole dall’originale del Vangelo di san Giovanni capitolo secondo versetto cinque.
Oggi predicherò a voi un tema molto devoto e poco frequente, cioé la vita santa di Nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo, così come si ripresenta nella Messa solenne. A me pare sia un argomento molto gradito e amato da Dio, e per tutti voi vantaggioso e meritorio. In modo speciale per noi Sacerdoti, che celebriamo questo santo sacramento della Messa.
Però perché questo nostro sermone serva in primo luogo di lode, gloria e onore a Dio e possa in secondo luogo giovare a tutti, specialmente ai chierici, così come anche ai fedeli laici, saluteremo la Vergine Maria dicendo: Ave Maria.

*
[Dopo un’articolata introduzione che spinge alla docile obbedienza del discepolo verso il Maestro, del malato verso il medico, il santo predicatore così continua:]






La Vergine Maria, Madre della Grazia, sapendo che chi desidera salvarsi é necessario che si guidi e si governi secondo la volontà del suo divin Figlio, a tal fine ci dà un prezioso e grande consiglio: che sempre ci guidiamo e governiamo con la volontà di suo Figlio, e dichiara il tema: Fate quello che Egli vi dirà (Gv. 2,5). Ecco il tema del sermone. E così entro nell’assunto.
Esattamente, tra tutte le cose che Gesù comandò a noi cristiani per conseguire e raggiungere la gloria, c’è questa: che ripresentiamo la sua santa e benedetta vita nella Messa. Perché quando il giorno del Giovedì santo della Cena istituì questo santo sacramento della Messa, ordinò: Fate questo in mio ricordo (Lc. 22,19 e 1Cor. 11,23). Non disse solo in memoria e commemorazione della Passione, ma in mio ricordo; ossia, di tutta la vita di Cristo, che deve ripresentarsi dal giorno della nascita fino al giorno dell’Ascensione.
Alcuni potrebbero dire: “Questo comando fu dato solo ai chierici”. Ma io vi dico che quest’ordine è sia per i chierici che per i fedeli laici. Per i chierici perchè commemorino la vita di Cristo celebrando; per i fedeli perchè commemorino la vita di Cristo udendo e ascoltando. Esattamente quel che il tema dice: Fate quello che Egli vi dirà (Gv. 2,5). E’ questo, cioè, commemorare la vita di Cristo, i chierici celebrando e i laici udendo e ascoltando devotamente.


E già entriamo nell’assunto.
Abbiate presente quanto vi indico: sin dal giorno in cui Gesù scese dal Cielo per incarnarsi, fino al giorno in cui salì al Cielo, tutta la sua vita è ripresentata nella Messa solenne principalmente per mezzo di trenta azioni, anche se ben sappiamo che ci sono molte altre opere che non conosciamo. Perciò l’evangelista Giovanni nell’ultimo capitolo dice: Ci sono molte altre cose che Gesù ha fatto. Se si scrivessero una per una, penso che neppure tutto il mondo basterebbe a contenere i libri che si scriverebbero (Gv. 21,25). Furono tante le opere di Nostro Signore Gesù Cristo che se si specificassero tutte e ognuna in modo dettagliato, non ne potremmo raccontare né cento né mille, neppure diecimila, perché bocca d’uomo non potrebbe dire quanti sono i misteri.
Ora questi sono riassunti e condensati come gli atomi stanno nel sole, e pertanto non possono conoscersi e scoprirsi.





Però il chierico è in cammino verso Colui che è il mistero. Perciò adesso vi dico quali sono i principali misteri. Già altre volte ho predicato su quest’argomento, però mai ho detto tutti i misteri. Alcune volte ho predicato suddividendo la vita di Cristo ripresentata nella Messa in dieci opere, altre volte in quindici, altre in venti. Ora la vita di Cristo l’ho suddivisa in trenta opere. Pertanto ascoltate devotamente.

1.- E la prima opera che realizzò Gesù Cristo, Figlio di Dio e nostro Salvatore, in questo mondo fu l’Incarnazione, quando discese dal Cielo ed entrò nel seno verginale di Maria Vergine, rivestendosi dell’umanità. Pertanto vi dico che si rivestì di umanità, perché la divinità è segretamente nascosta sotto l’umanità. E dovete sapere che l’Incarnazione si realizza da parte di tutta la Trinità perché le opere della Trinità sono indivisibili, però tuttavia solo il Figlio è rivestito di umanità.
Questo si dimostra per mezzo di una comparazione di tre che indossano a uno una unica tunica. E’ certo che tutti lo rivestono, però soltanto uno permane rivestito e non gli altri. Così, il Padre, il Figlio, e lo Spirito Santo rivestirono dell’umanità il Figlio, però solo il Figlio rimase vestito di umanità e incarnato.
E quanto vi dico viene ripresentato nella Messa solenne e non nell’altra. Perché quando il sacerdote [san Vincenzo, in verità, usa sempre la parola presbitero] entra nella sacrestia, ivi i tre lo rivestono, cioè: il diacono, il suddiacono e il medesimo sacerdote che si riveste, aiutato dagli altri, però lui solo rimane vestito. Così il Nostro Salvatore Gesù Cristo, grande e sommo Sacerdote, fu rivestito in quella gloriosa sacrestia [nel manoscritto al margine: reliquie, gemme, ed altri ornamenti preziosi si conservano per davvero in quella gloriosa sacrestia], cioè, la Beata Vergine, piena di virtù, di grazia e di perfezioni, lo conserva tutto come un tesoro per la nostra salvezza, ossia: il Salvatore del mondo, Gesù, Dio e uomo e gli ornamenti sono l’umanità.

E se volete una più alta contemplazione: così come il sacerdote è rivestito nella sacrestia e nessuno del popolo l’ha visto vestirsi, così ugualmente quando Gesù Cristo, Sommo Sacerdote, si rivestì di umanità nella sacrestia, ch’è la Beata Vergine, per dire la Messa nell’altare della croce, nessuno del popolo giudeo lo seppe, né lo vide quando si incarnò, perché questo avvenne molto segretamente.
E se ancora volete più profondamente contemplare: così come il sacerdote si riveste nella sacrestia con sette vestiti, cioè: la cotta, se è semplice sacerdote, o se vescovo il rocchetto, o se religioso lo scapolare che supplisce la cotta; perché il presbitero non deve rivestirsi direttamente sul suo proprio vestito [su propia ropa]. Il secondo vestito è l’amitto [nel manoscritto: lo amit]. Il terzo è l’alba [o càmice, -nel manoscritto: la camisa]. Il quarto è il cingolo. Il quinto è la stola. Il sesto è il manipolo. Il settimo è la càsula [nel manoscritto: la casulla]. Così il sommo sacerdote Gesù fu rivestito nel ventre della Vergine Maria, che si dice sacrestia, con sette vestiti che sono i sette doni dello Spirito Santo. Di questi vestiti parla Isaia 11, 1-2, quando dice: Un germoglio spunterà dal tronco di Iesse, un virgulto germoglierà dalle sue radici. Su di lui si poserà lo spirito del Signore: spirito di sapienza e di intelligenza, spirito di consiglio e di fortezza, spirito di conoscenza e di timore del Signore. Si compiacerà del timore del Signore. Ecco come i sette doni dello Spirito Santo di cui fu rivestito sono ripresentati dai sette vestiti con cui il sacerdote si riveste in sacrestia.
E in queste altre parole di Isaia (Is. 4,1) parlando di questi vestiti, o doni dello Spirito Santo, li chiama donne quando dice: Sette donne afferreranno un uomo solo in quel giorno, cioè nell’incarnazione. Sette donne, è come dire che i sette doni dello Spirito Santo, ricevono un solo uomo, ossia Gesù Cristo. E questo lo ripresentano i sette indumenti del sacerdote. E perciò il sacerdote prima di tutto deve indossare la cotta [el sobrepelliz] che è il primo di questi sette vestiti. Fin qui la prima opera di Gesù Cristo ripresentata nella Messa solenne. Pertanto molto bene si dice: Fate questo in mia memoria (Lc. 22, 19 ; 1 Cor. 11,23).


2. – La seconda opera che compì nostro Signore Gesù Cristo fu la Natività, perché Egli non volle nascere in un palazzo come il Pretorio pieno di magnificenze. E la notte fu chiara come il giorno. E volle nascere tra Giuseppe e la Vergine, e giacere coricato tra il bue e l’asino. Le schiere angeliche cantavano: Gloria a Dio nel più alto dei cieli (Lc. 2, 14). I pastori vennero ad adorarlo. Ecco allora che (Cristo) dapprima stava in quella gloriosa sacrestia, cioè la Beata Vergine, però in seguito si manifestò pubblicamente e si rivelò.
E questo lo ripresenta il sacerdote quando esce dalla sacrestia, giacchè il sacerdote ripresenta Cristo; mentre il diacono e il suddiacono stanno a ripresentare la Vergine e Giuseppe che stavano a ciascun lato di Cristo; i due accoliti ripresentano il bue e l’asino; e la luce che portano gli accoliti sui candelieri ripresentano quel chiarore che brillò alla nascita di Gesù Cristo, sommo sacerdote; il coro dei chierici che cantano “Gloria al Padre e al Figlio”, ecc. quando il sacerdote esce dalla sacrestia ripresenta il coro degli Angeli cantando: Gloria in excelsis Deo (Lc. 2,14) durante la nascita di Gesù Cristo. In alcune chiese esiste il lodevole uso che quando si dice “Gloria al Padre” suonano i campanelli, così si ripresenta la gioia dei pastori che suonavano le loro zampogne.
Così ugualmente, il sacerdote esce con il volto e le mani lavate, ben pettinato, per cui in alcune sacrestie esiste un pettine, ed esce con il piviale dorato [nel manoscritto: capa dorada] ed egli tutto puro senza colpa [sine taca] né macchia. Questo è così per dimostrare che Gesù Cristo esce, o nasce, senza alcuna colpa, né macchia, né corruzione della Vergine e nasce con grande gioia. Per questo il re Davide canta nel Salmo (Sal. 18,6): I cieli narrano … nel sole pose la sua tenda; ed egli medesimo come sposo che esce dalla stanza nuziale. Perché esce bello e rasato [nel manoscritto: affaytàs], così come lo sposo esce dall’abitazione con anelli alle mani. E tutto ciò nella Messa solenne.

3. – La terza opera realizzata meravigliosamente dal Figlio di Dio fu che l’ottavo giorno volle esser circonciso. E a quanti si interrogano con certa diligenza perché mai si esegua la circoncisione (cf. Lc. 2,21) (dico) guardate l’eccellenza di quest’opera, quanto Cristo si umiliò. Giacché così come il ladro si marca col fuoco, o gli si accorciano le orecchie in seguito a un furto perché sia conosciuto, così Dio per segnalare quel furto (latrocinio), quello che fece Adamo, ordinò di circoncidere gli uomini senza escludere il nostro Gesù Cristo per quanto Egli non era obbligato alla circoncisione perché non venne dalla corrotta generazione di Adamo, ma era puro e senza macchia, però volle ugualmente circoncidersi.
E questo il sacerdote lo ripresenta quando ai piedi dell’altare dice: “Io peccatore”, ecc. Giacché anche se il sacerdote si fosse già sacramentalmente confessato, sale all’altare con altre mancanze, e perciò si proclama peccatore benché sia santo, come santo è Giovanni Battista.
E così mostra e fa capire che Gesù Cristo, che possiede la pienezza e la fonte della santità, volle mostrarsi anche peccatore e soggetto alla legge della circoncisione. Così il sacerdote confessandosi è come se togliesse il velo o il panno che tiene davanti a sé, e questo ripresenta quanto avviene nella circoncisione di Gesù Cristo: la pelle fu tolta e messa a parte. E guardate a quanto con autorità afferma la lettera ai Romani (Rm. 8,3): Dio …: mandando il proprio Figlio in una carne simile a quella del peccato e in vista del peccato, Egli ha condannato il peccato nella carne, ecc. Non dice che avesse il peccato della carne, ma che inviò suo Figlio in una carne simile a quella del peccato e volle passare per la circoncisione, come se fosse carne del peccato, ecc.

4. – La quarta opera fatta da Gesù fu il guidare col segno d’una stella dagli estremi confini del mondo orientale i santi Re Magi che L’adorarono coricato poveramente nel presepio tra gli animali: Aprirono poi i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra (Mt. 2,11).
E questo il sacerdote lo ripresenta quando dopo fatta la confessione, inchina il capo profondamente [nel testo: fino alle ginocchia], e così con la testa inchinata adora e dice questa preghiera: “Togli da noi, o Signore, le nostre iniquità, affinché possiamo entrare con mente pura nel Santo dei Santi …”.
Allora come i santi Re Magi offrirono tre doni – oro, incenso e mirra – così il sacerdote quando è inchinato offre l’incenso della devota orazione dicendo: “Togli da noi”, ecc. e offre oro quando s’abbraccia all’altare con una grande e riverente adorazione, offre mirra amara al segnarsi con la santa croce ricordando la dolorosa e crudele Passione di nostro Signore Gesù Cristo, come dicendo col profeta Geremia nelle Lamentazioni, secondo il terzo lamento (Lm. 3, 20-21): Ben se ne ricorda e si accascia dentro di me la mia anima. Questo intendo richiamare alla mia mente, e per questo voglio riprendere speranza. E questa memoria dolorosa è ripresentata nell’amarezza della mirra.

5. – La quinta opera realizzata dal nostro Salvatore Gesù Cristo in questo mondo fu quando volle presentarsi nel Tempio e la Beata Vergine e Madre sua lo portò allo stesso Tempio e l’offrì al sacerdote, stando lì presenti anche Simeone e quella santa profetessa Anna che lodavano Dio.
Questo il sacerdote lo ripresenta quando passa all’angolo dell’altare e preso il libro dice l’Introito della Messa; il diacono e il suddiacono che gli sono accanto ripresentano Simeone e Anna. Gli accoliti e tutti gli altri che ascoltano l’ufficio, ma che non devono salire all’altare, ripresentano quando la Vergine Maria e Giuseppe e altri amici stavano di lontano ascoltando umilmente [da altri manoscritti: la Vergine Maria era degna di avvicinarsi all’altare] dov’era il santissimo Bambino, però non volle farlo per darci esempio di come non dobbiamo avvicinarci all’altare [da altri manoscritti: quando non c’è necessità; nel caso contrario sempre ne avremo responsabilità]. E quando San Simeone ricevette tra le sue braccia il prezioso e glorioso Figlio della Vergine, intonò quel canto (Lc. 2, 29-32): Ora lascia, o Signore, che il tuo servo vada in pace secondo la tua parola, che ha quattro strofe che si cantano [nel manoscritto: capella] e perciò il sacerdote ripresentando questo compie quattro azioni. Dapprima: l’Introito della Messa; poi: i Kyrie eléison [nel manoscritto: los kirios]; poi ancora: il Gloria in excelsis e infine: l’orazione.


6. – La sesta opera compiuta dal Salvatore e Signore Nostro Gesù Cristo in questo mondo fu la fuga dalla Terra Promessa verso la terra d’Egitto, scappando dal pazzo furore di Erode, ed ivi per sette anni visse in esilio e nascosto con la sua divina Madre e Giuseppe. Ciò è ripresentato nella Messa quando il suddiacono con un accolito si appresta a pronunciare (proclamare) l’Epistola mentre il sacerdote e il diacono restano seduti separati dall’altare, e così stando seduto alla sede compie sette opere che ripresentano quei sette anni che Gesù Cristo con Maria e Giuseppe passò in esilio. Prima: si legge l’Epistola; secondo: si dice o legge il Responsorio; terzo: si legge l’Alleluia; quarto: si legge il verso e la prosa della Messa solenne; quinto: si prepara un servizio per sé medesimo, l’acqua e il vino; sesto: benedice l’incenso; settimo: dà la benedizione al diacono.
Queste sette cose le compie restando nel medesimo posto per dimostrare che il Salvatore dimorò sette anni in Egitto.

7. – La settima opera fatta dal nostro Salvatore Gesù Cristo in questo mondo fu, una volta morto il Re Erode, ritornare dall’Egitto verso la terra Promessa, e la sua Madre e Giuseppe Lo condussero al Tempio di Gerusalemme per sacrificare e lì si perdette e dopo tre giorni fu trovato tra i dottori della legge; e veniva interrogato di qualche questione e come dice san Girolamo nel prologo della Bibbia: “Insegna molto più che prudentemente interroga”.
E questo è ripresentato dal sacerdote quando dalla sede va all’altare e con gran diligenza pensa ciò che ascolta del Vangelo; e insegna molto più quando medita e ascolta, e con ciò può dirsi che così Gesù Cristo nel Tempio ascoltava i giudei e li interrogava. Proprio così san Luca nel suo Vangelo (2,46) dice: ascoltandoli attentamente e interrogandoli. Allo stesso modo la contemplazione che fa il sacerdote udendo il Vangelo non è altro se non una interrogazione. E così mostra che Gesù Cristo interrogando prudentemente istruiva i dottori nella fede. Perciò immediatamente il sacerdote dopo [in altri manoscritti: che il diacono termina] l’Evangelo, canta il “Credo in Dio”, dove sono contenuti i princìpi della fede (le sue verità fondamentali).


8. – L’ottava opera che il nostro Salvatore Gesù Cristo fece in questo mondo fu l’incontro nel Tempio con Maria sua Madre che fu benedetta col gusto di così grande gaudio che non poté contenere le lacrime e benedì il Signore. Ora ammirate che cosa fece il glorioso Signore e quanta fu la sua abbondantissima e grande umiltà, che appena intravide sua madre benedetta si avvicinò a lei e a Giuseppe e confortava la sua sacralissima Madre, asciugandole le lacrime [nel manoscritto: torquant – li les làgrimes] e ritornò con gli stessi a Nazareth, e pur essendo il Re dei Re e il Signore di tutto il mondo, pur tuttavia voleva essere suddito di sua Madre e di Giuseppe. Lo dice Luca (Lc. 2,51): Ed era loro sottomesso.
Queste consolazioni che Gesù offriva a sua Madre le ripresenta il sacerdote quando, detto il Credo, si volge al popolo dicendo: Il Signore sia con voi. E dopo ciò segue tutto quel che fa il sacerdote sull’altare preparando i corporali e l’ostia e il calice che appartengono al sacrificio e ripresenta quel ministero e servizio che offrì nostro Signore Gesù Cristo alla sacralissima sua Madre. Perciò Egli medesimo diceva in Matteo (Mt. 20,28): Il Figlio dell’uomo non è venuto ad essere servito, ma a servire.


9. – La nona opera, realizzata dal Signore e nostro Salvatore Gesù Cristo, fu che dopo aver accudito e servito sua Madre, per quel che si legge in san Matteo e san Marco (cf. Mt. 13,55; Mc. 6, 3) il nostro Salvatore nella sua umiltà aiutava suo padre putativo Giuseppe nell’ufficio (professione) di carpentiere [nel manoscritto: fuster], dal momento che nella sua anzianità non poteva più maneggiare la sega, e pertanto l’aiutava a maneggiarla. Perciò riferendosi a questo passo evangelico il Maestro Nicolàs di Lyra dice che Gesù esercitò questa professione. A ragione i giudei, vedi in Matteo (cf. Mt. 13, 55) e Marco (cf. Mc. 6, 3), dicevano: Non è questi il figlio del carpentiere? Perché nostro Signore Gesù Cristo aiutava Giuseppe per poter vivere, perciò credevano i giudei che fosse suo figlio. [Nel manoscritto a continuazione si legge: Qué estùpidos!].(!)
Dopo di ciò il benedetto Signore arrivò all’età di trent’anni e fu a battezzarsi per quanto Egli non ne avesse necessità. Ma lo fece per santificare le acque per nostra salvezza.
Questo si ripresenta nella Messa quando il sacerdote lava le sue mani. Adesso vi domando: Perché il sacerdote si lava le mani? Forse non lavò la sua coscienza con la confessione sacramentale nonché le mani prima della Messa? Certo che sì, giacché non facendolo direbbe la Messa per la condanna della sua anima. Pertanto buona gente, il sacerdote lava le sue mani non perché sia bisognoso di pulizia, bensì per ripresentare il Salvatore e nostro Signore Gesù Cristo che ha la pienezza d’ogni santità e non necessitava di battesimo, però per umiltà e per nostra utilità Egli stesso volle battezzarsi e darci la virtù dell’acqua per lavarci.

A tal fine il sacerdote pur sacramentalmente confessato, benché sia santo e senza alcuna macchia di peccato, deve lavarsi le mani. Perciò il sacerdote dice: Lavo le mie mani nell’innocenza e mi muovo attorno al tuo altare, o Signore, come dice il Salmo (Sal. 25, 6) supplica di un giusto nella persecuzione. In sintesi voglio dire: Ch’io sia puro e senza alcuna macchia di peccato, per essere annoverato tra gli innocenti; ma tu, Signore, che sei pienezza di santità, per ripresentare quel salutare bagno del nostro battesimo volesti esser lavato, e per questo io mi laverò adesso [nel
manoscritto: Quaix que vulla dir: jatseia que yo sia pur, et net de màcula de peccat, per
lo qual sia computat entre los innocents, emperò, Senyor, per representar aquell
llavament del nostre baptisme, que jatseia que vós fósseu plenitudo de santedat, emperò
volgués ésser llavat, perço yo·m llavaré ara].
10. – La 10ma opera che fece il nostro Salvatore Gesù Cristo in questo mondo fu – secondo quanto si legge in san Marco (cf. Mc. 1, 12) e san Matteo (Mt. 4, 1-11) – che dopo essere battezzato

venne condotto nel deserto dove per quaranta giorni e quaranta notti digiunò, in questo tempo non prese nessun alimento corporale, ma se ne stette sempre in orazione non per sé stesso, non avendone bisogno, ma per noi peccatori.
E ciò si ripresenta nella Messa quando il sacerdote davanti al centro dell’altare a mani giunte si umilia tanto quanto può chinando la testa e dicendo: Guarda l’umiltà delle nostre anime e la contrizione dei nostri cuori, per mostrare quelle umiliazioni e prostrazioni che il nostro Salvatore faceva nel deserto pregando. Poi il sacerdote volgendosi verso il popolo dice: “Pregate, fratelli, affinché il mio e vostro sacrificio sia gradito”, col fine di mostrare che Gesù Cristo pregava per noi. E così come le orazioni che Gesù Cristo elevava nel deserto erano molto segrete e non le udiva nessun

altro uomo, così anche questa preghiera Segreta che dice il sacerdote, la deve dire anche in segreto e non può essere ascoltata da altri.



(continua)



fonte: MariaGiglioDellaTrinità blog


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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La Vita di Cristo ripresentata nella Santa Messa - II parte

(segue da Link1 )




11. – L’11ma opera fatta dal nostro Salvatore e Signore Gesù Cristo in questo mondo fu che dopo aver digiunato nel deserto cominciò a predicare e proclamare ad alta voce: Convertitevi, perché è vicino il Regno dei Cieli! (Mt. 4, 17). Prima del digiuno non si manifestò, ma volle fare penitenza di nascosto e in occulto nel deserto. Lasciato poi il deserto, istruiva le genti dicendo: “Fate penitenza” e indicava loro qual vita dovevano vivere e insegnava loro come potessero evitare i peccati. E facendo questo ricorreva villaggi, città e castelli. E come con parole insegnava la sua santa dottrina, così anche la mostrava con le sue opere. Perciò il libro degli Atti degli Apostoli (At. 1, 1) dice: Ciò che Gesù fece ed insegnò fin dal principio.
Buona gente [nel manoscritto: bona gent], grande sarebbe la benignità del re di Aragona se egli medesimo percorresse l’intero suo Regno ed egli stesso nelle piazze pubblicasse e raccomandasse la sua legge e i suoi ordinamenti. Bene, proprio così ha fatto Gesù, Re dei Re e Signore dei signori, lodando potentemente la sua legge, e nel caso non trovasse un pulpito adatto niente lo fermava ma usava qualunque podio o scala delle piazze e di là esponeva la sua legge; se all’inizio non aveva tanta reputazione tra giudei e farisei perché si fermassero ad ascoltare le sue prediche, dopo però, perché la sua fama crebbe tanto volevano toglierlo di mezzo.
Questo lo ripresenta il sacerdote quando dice ad alta voce il Prefazio: “In alto i cuori!”. Per mostrare che così come Gesù Cristo parlava con la bocca e insegnava con l’esempio, ugualmente anche il sacerdote, dicendo il Prefazio, tiene o deve tenere le mani alzate e non abbassate, per così mostrare ch’egli, che predica la parola di Dio, deve con l’esempio e i fatti dimostrare quelle parole che annunzia e proclama. Perciò san Paolo attribuendo a Gesù Cristo tutto questo diceva: Non oserei infatti parlare di ciò che Cristo non avesse operato per mezzo mio per condurre i pagani all’obbedienza, con parole e opere, con la potenza di segni e di prodigi, con la potenza dello Spirito Santo (Rm. 15, 18-19). Così ogni predicatore, ecc.

12. – La 12ma opera che realizzò il nostro Salvatore e Signore Gesù Cristo fu che non solamente mostrava con le sue opere quel che predicava, bensì anche confermava la sua dottrina con miracoli che nessuno, che non fosse Dio, poteva fare. E questo lo realizzava principalmente come Signore. Ai ciechi dava la luce; i paralitici, mal ridotti a pelle e ossa, ringiovanivano; ai sordi ridonava l’udito; i muti parlavano e i morti risuscitavano (Mt. 11, 5).
Tutto ciò lo ripresenta nella Messa il sacerdote quando dice: “Santo, Santo, Santo è il Signore Dio delle schiere celesti”, ecc. Tre volte dice Santo per mostrare che i miracoli che Gesù Cristo faceva non li realizzava per virtù umana bensì in virtù delle tre divine persone Padre, Figlio e Spirito Santo, un solo Dio. Dice poi l’ “Osanna” – che è come dire: “salvaci!” – per mostrare che Gesù Cristo faceva i miracoli, e li faceva per la nostra salvezza.

13. – L’opera 13ma che il nostro Salvatore Gesù Cristo realizzò in questo mondo – dopo aver perfettamente predicato ed essersi mostrato chiaramente per quel che era e aver completato in modo eccellente la sua opera evangelizzatrice durata quasi quattro anni completi, e confermata con le sue opere, con miracoli – vedendo vicino il tempo della sua passione si riunì per cenare con i suoi discepoli e lì in segreto tenne loro un gran sermone che nessun evangelista riferisce se non il solo san Giovanni e questo sermone va dal capitolo 13 non completo fino al capitolo 17.
Questo si ripresenta nella Messa quando il sacerdote dice il Cànone segretamente e lo dice talmente in segreto che nessuno lo ode fuorché quanti sono con lui, ossia il diacono e il suddiacono. Perché quel sermone che tenne Gesù nell’altare della Cena fu anche segreto, giacché nessuno l’udì tranne i seduti a mensa con Lui, cioè, gli Apostoli.

14. – La 14ma opera fatta dal nostro Salvatore e Signore Gesù Cristo dopo aver tenuto quel gran sermone a cena con gli Apostoli fu l’incamminarsi verso l’orto degli ulivi per fare orazione e pregò tre volte Dio Padre dicendo: Padre mio, se è possibile, passi da me questo calice! … Lo spirito è pronto, ma la carne è debole (Mt. 26, 39.41). Gesù in quanto Dio non temeva la morte, però sì come uomo. E pertanto, consapevole delle sofferenze che avrebbe patito, diceva: Padre mio, se è possibile, che passi, ecc. Quest’amarezza della passione si basa nella sensualità che è inferma, però lo spirito sta pronto. Pregando per la terza volta, sperimentò un tremore e un sudore di sangue, fu allora che gli apparve l’angelo a confortarlo (Lc. 22, 43-44). Non come se Gesù avesse bisogno di coraggio, ma come lo scudiero che conforta il suo signore forse dicendogli: “Signore sforzatevi, perché adesso otterrete vittoria sui vostri nemici” [nel manoscritto: Senyor sforçau-vos, que ara haurem victória de vostres
enemichs]; così l’angelo diceva al nostro Salvatore: “Guardate mio Signore alle anime sante che v’aspettano nel Limbo dell’inferno e che già bramano la gloria, e così conforterete l’umanità vostra”. E il clementissimo Signore pregò per sé e per noi. Per sé medesimo pregando Dio Padre per la sua risurrezione; non perché stesse dubbioso della sua risurrezione, o impotente per risuscitare, ma perché così conveniva che fosse. E questo lo faceva come uomo. E pregò anche per noi: perché non mancasse a Lui la costanza e la volontarietà di morire per noi, e a noi il costante ardore e la fermezza nel sostenere anche la morte per Lui medesimo e così risuscitare gloriosi.
Si ripresenta nella Messa quando il sacerdote traccia tre croci sul calice dicendo: “Benedetta (bene+dictam), gradita (adscrì+ptam) e approvata (ra+tam)”, significando quelle tre orazioni che il Salvatore elevò nell’orto. Fa poi altre due croci sull’ostia mostrando così che [Gesù] pregava per due, ossia, per sé medesimo [in quanto uomo] e per noi.

15. – La 15ma opera che il nostro Salvatore e Signore Gesù Cristo fece in questo mondo fu che dopo l’orazione nell’orto arrivò una gran moltitudine di gente con spade e bastoni, e il benigno Signore volle esser preso e legato. Così stretto con funi Lo condussero con grande obbrobrio e gravi insulti davanti a Pilato. Dove finalmente gli fu annunziata la sentenza di condanna ad esser crocifisso, (sentenza) alla quale il benignissimo Signore non volle appellare, ma anzi abbracciando la stessa croce sulla quale sarebbe stato crocifisso, la caricò sulle spalle e la portò fino al luogo dove doveva essere appeso.
E questo si ripresenta nella Messa quando il Sacerdote tiene l’ostia nelle mani per consacrarla e traccia il segno di croce sull’ostia. E questa croce fatta sull’ostia significa la sentenza di morte data da Pilato su Gesù Cristo.

16. – La 16ma opera di Gesù Cristo in questo mondo dopo la lettura della sentenza di morte fu l’esser condotto al monte Calvario e lì fu appeso in mezzo a due ladroni. E fu elevato in alto fino a tener sospeso tutto il suo corpo fissato con i chiodi delle sue due mani.
E questo si ripresenta nella Messa quando il sacerdote innalza l’Ostia tra la mano destra e la sinistra, che sono i due ladroni, che stavano uno a destra e l’altro alla sinistra. E l’Ostia nel mezzo significa Gesù che stava in mezzo ad entrambi. E la bianchezza dell’Ostia indica come Gesù in croce impallidì e perse il colorito e il sangue. Poi il sacerdote elevando il calice ripresenta quando Gesù Cristo in croce offrì il suo sangue, dicendo: “Padre mio, benedici e accetta il mio sangue , che Ti offro per la remissione dei peccati di tutto il genere umano”. E perciò il sacerdote eleva il calice come dicendo:”Padre, Ti offriamo il prezzo della nostra redenzione”.

17. – La 17ma opera fatta da Gesù Cristo in questo mondo fu che durante tutto il tempo che stette inchiodato sulla croce non cessò di pregare, dicendo ad alta voce: “¡Elí, Elí! ¿lemá sabactaní?”, ebraico che in latino vuol dire: “Deus meus, Deus meus , ut quid dereliquisti me?” (Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?) (Mt. 27, 46).
Dice san Girolamo che in quel momento Gesù iniziò la recita del salmo “Dio mio, Dio mio!” (Sal. 21) e prolungò la sua orazione dicendo i salmi seguenti fino a quel passo che dice: “Nelle tue mani raccomando il mio spirito” (Sal. 30, 6; Lc. 23, 46). In tutto sono 150 versetti, e Cristo li recitò tutti dalla croce: e corrispondono al numero dei salmi del Salterio. E mentre stette in croce quei giudei non cessarono di lanciarGli ingiurie e vituperi dicendoGli: “Malvagio tu, che hai ingannato il mondo [nel manoscritto: O, tu malvat, que has enganat lo món!] Imbroglione!, che salvò altri e non può ora salvare se stesso”. Altri dicevano: “Falso profeta! Dicesti avresti distrutto il Tempio di Dio e in tre giorni l’avresti ricostruito”. Un altro ancora diceva: “Se è il Figlio di Dio, che discenda immediatamente dalla croce!” (cf. Mt. 27, 40-42). E altre ingiurie Gli dicevano. E il benigno Signore nulla diceva, ma teneva pazienza e continuava orando.
E questo lo ripresenta il Sacerdote quando stende le braccia e poi dice: “Pertanto, Signore, noi tuoi servi ricordando …”. Così ugualmente il Sacerdote non cessa di dire queste parole per mostrarci che Gesù in croce continuava la preghiera e non desisteva.

18. – La 18ma opera compiuta da Gesù in questo mondo fu che nonostante Egli fosse tutta una ferita e avesse quattro piaghe alla mani e ai piedi, pur tuttavia volle ancora sopportare per amore nostro che gliene aprissero un’altra nel costato, e uscì sangue e acqua. Fu questo un gran miracolo perché il suo sangue fu sparso nel sudore e nella flagellazione, e nell’atto della coronazione di spine, ed altresì nella perforazione delle mani e dei piedi, eppure dopo essere morto all’aprirGli il costato uscì sangue e acqua (cf. Gv. 19, 34).
Tutto ciò si ripresenta nella Messa quando il Sacerdote con l’Ostia traccia cinque croci, dicendo: “Per Lui, con Lui ed in Lui”, per significare in questo modo le cinque piaghe di nostro Signore Gesù Cristo, ecc.

19. – La 19ma opera che in questo mondo fece il nostro Salvatore e Signore Gesù Cristo fu, quando crocifisso, disse ad alta voce le sette parole. La prima parola fu quando Egli pregò per tutti i suoi crocifissori dicendo: Padre, perdona loro, perché non sanno quel che fanno (Lc. 23, 34). Difatti credevano di appendere al legno un imbroglione o un uomo peccatore, mentre in realtà crocifiggevano proprio il Figlio di Dio Redentore.
La seconda parola quando disse al ladrone: Oggi, sarai con me in Paradiso (Lc. 23, 43).
La terza parola è, o fu, quando vedendo sua Madre che se ne stava morendo per l’indicibile ammirabile dolore – che meraviglia fu mai quella di questo Cuore che non si spezzò! [nel manoscritto: que maravella era com no trencava per lo cor – dicendo: “O Signore e figlio mio carissimo! Al ladrone gli parli e a me non vuoi? Non vuoi parlare? Che piaccia alla tua clemenza dire qualche parola alla Madre tua tanto desolata”. E allora il Signore le disse: Donna, ecco tuo figlio (Gv. 19, 26). Quindi volto a san Giovanni disse: Ecco tua Madre (Gv. 19, 27).
La quarta parola fu quando disse: Elì, Elì! Lemà sabactanì? Cioè: Dio mio, Dio mio! Perché mi hai abbandonato? (Mt. 27, 46). Non che lo abbandoni nella sua divinità, se non che fu abbandonato dai parenti, amici e Apostoli.
La quinta parola fu quando disse: Ho sete (Gv. 19, 28). La Vergine Maria udendo suo figlio aver sete desiderò in quell’istante che le sue viscere si convertissero in acqua perché Egli potesse bere. E allora, disse: “Figlio mio carissimo, e Signore, non tengo acqua, però se vuoi le lacrime, ricevi questo velo che sta pieno di lacrime”.
La sesta parola fu quando disse: Tutto è compiuto! (Gv. 19, 30), cioè, tutta l’umana redenzione.
E la settima parola quando disse: Padre, nelle tue mani, affido il mio spirito (Lc. 23, 46). E inclinò la testa come se dicesse: “Madre mia, consolati con il discepolo e vigilate bene mentre a Dio vi affido perché già me ne muoio e me ne vado all’altro mondo”.
Si ripresenta nella Messa quando il sacerdote dice il “Pater noster” in cui ci sono sette richieste che indicano le sette parole che Gesù pronunciò sulla croce. Così allo stesso modo il sacerdote pronuncia queste petizioni ad alta voce, perché Gesù disse quelle parole a voce alta, ecc.




(continua)




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La Liturgia e la necessità della ‘riforma della riforma’

MessaSolo una riflessione sulla fonte e il culmine della vita della Chiesa può farle superare la crisi, ce è una crisi di fede

di Armin Schwibach

 

La liturgia è la celebrazione del Mysterium Christi. La Chiesa, Corpo mistico di Cristo, offre tale servizio a Dio. “La liturgia, azione sacra per eccellenza, costituisce il culmine verso cui tende l’azione della Chiesa e insieme la fonte da cui promana la sua forza vitale. Attraverso la liturgia, Cristo continua nella sua Chiesa, con essa e per mezzo di essa, l’opera della nostra redenzione” (Compendio del Catechismo della Chiesa cattolica, n. 219). Se la liturgia è in crisi, se è una pura rappresentazione e non il compimento operativo dell’opera di salvezza, allora la verità della fede stessa è colpita al cuore: si evapora in una celebrazione di facciata, che però non ha più nulla a che fare con la vita. La fede avvizzisce e muore, diventa un optional della sfera privata.

Proprio durante il pontificato di Benedetto XVI, si ripresenta per la  Chiesa, per i fedeli e per la cultura occidentale il grande problema del nostro tempo: la crisi ecclesiale è una crisi di fede che “parte soprattutto dalla disintegrazione della liturgia, che talvolta viene concepita addirittura quasi ‘etsi Deus non daretur’, dove non importa più sapere se Dio esiste, se ci parla e ci ascolta” (Joseph Ratzinger, Aus meinem Leben. Ricordi, Stoccarda 1998, pag. 174). La crisi di fede tuttavia non è soltanto un problema religioso o interno alla Chiesa, ma si presenta nel contesto di una crisi di identità dell’uomo moderno e della società odierna.

La crisi di fede è una crisi di libertà. La libertà si è fatta noiosa e senza gusto, si manifesta semplicemente come assenza di vincoli e regolamenti, e vi aggiunge la pretesa che tutto si possa fare senza limiti e arbitrariamente. All’uomo di oggi apparentemente libero, riesce difficile vedere o accettare che alla base dell’autorealizzazione e dell’autoaffermazione, sta innanzitutto la consapevolezza di essere stati noi per primi fatti e creati. E’ la verità dell’Essere divino che si dona come immagine all’essere umano. Quanto più si è vicini a Dio, tanto più si è vicini all’altro.

Al contrario, le false libertà dell’autonomia radicale conducono agli abissi della solitudine, alla perdita della fiducia originale, all’incapacità di amare. L’uomo, lasciato all’impulso sfrenato del peccato originale, cede al tempestoso furore della confusione. Ma all’uomo occorre dire che si è veramente autonomi e liberi, quando si riconosce l’unica dipendenza ragionevole: l’uomo è libero, quando obbedisce alla legge di Dio.

La legge di Dio non è astratta, ma concreta, immediata e frutto dell’esperienza di un incontro personale con Cristo. Con l’incarnazione storica del Figlio di Dio, l’umano e il finito sono divinizzati. L’evento Cristo penetra in ogni teoria e prassi, nella ragione e nell’esperienza. Attraverso gli avvenimenti del mondo, viene offerta la possibilità di toccare il Mistero infinito e impenetrabile di Dio. La particolarità del cristianesimo sta nel fatto che la ragione, il finito e l’immediatamente accessibile non si annullano davanti a Dio, non vengono esiliati in una regione remota. Il finito diviene la via e il segno di Dio, e l’uomo è su questa via. Egli deve servire e cercare su questa via il Dio che serve. La liturgia, nella quale sempre di nuovo Dio si rende presente, è il servizio verso Dio.

E’ quindi chiaro che la crisi della liturgia è il primo segnale della crisi di fede, e in questo segnale si rispecchia la perdita della verità a favore di una falsa autonomia. La “piccola barca della Chiesa”, come papa Benedetto XVI aveva dichiarato il 29 giugno 2006, viene schernita, colpita e spinta fuori dal mondo: “sempre di nuovo  essa è squassata dal vento delle ideologie, che con le loro acque penetrano in essa e sembrano condannarla all’affondamento”. Tuttavia, “il danno maggiore la Chiesa lo subisce da ciò che inquina la fede e la vita cristiana dei suoi membri e delle sue comunità, intaccando l’integrità del Corpo mistico, indebolendo la sua capacità di profezia e di testimonianza, appannando la bellezza del suo volto” (29 giugno 2010).

La Chiesa si è fatta vittima di una modernità che è in costante conflitto con se stessa, anzi, che ha fatto del conflitto la sua propria sostanza. Ha bisogno però di riflettere su ciò che è essenziale. Lo strappo più forte e marcato per la Chiesa fu la riforma liturgica successiva al Concilio Vaticano II. Il Cardinal Joseph Ratzinger descrisse una volta i due effetti della riforma liturgica più percepiti da parte dei cattolici praticanti: “la scomparsa della lingua latina e gli altari rivolti verso il popolo”. Di entrambi però non si fa menzione nei testi conciliari. Solo nella introduzione generale al Messale romano del 1969 si parla dell’altare separato dalla parete in modo che “vi si possa accedere facilmente per la celebrazione ‘versum populum’”. Il Cardinal Ratzinger evidenziò un chiarimento della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti dell’anno 2000: L’orientamento fisico deve essere distinto da quello spirituale: “Quando il celebrante officia ‘versum populum’, il suo orientamento spirituale sia sempre ‘versum Deum per Iesum Christum’”. Riti, segni e parole non devono mai svuotare lo svolgimento dei santi misteri, perciò si devono evitare posizioni unilaterali e assolutizzate.

La necessità di una nuova riflessione liturgica, e anzi di un nuovo “movimento liturgico” è stato sottolineato assai spesso in questi ultimi tempi dalle più alte autorità. Di conseguenza, con la “legge della celebrazione”, cioè con la liturgia, stanno o cadono sia la “lex orandi” – la legge della preghiera – cioè la possibilità di accostarsi alla verità divina, sia la “lex credendi” – la legge della fede – cioè la professione della verità assoluta e universale della dottrina cattolica. Si richiede pertanto come prima esigenza, una nuova catechesi eucaristica. La liturgia deve ricondurre al Mistero, invece che banalizzarlo e ridurlo al semplice umano e mondano. La liturgia deve dare espressione a ciò che è nascosto, a ciò che solo nel silenzio si può intuire. Essa deve recuperare la sua dimensione cosmica, poiché “la liturgia cristiana è un evento cosmico – la creazione prega con noi, noi preghiamo con la creazione, aprendosi perciò allo stesso tempo la strada per una nuova creazione, attesa da ogni creatura” (J. Ratzinger, prefazione all’edizione coreana de “Lo spirito della liturgia”).

Riforma e nuova coscienza possono germogliare soltanto da un’approfondita conoscenza della fede, da quella urgente necessità tanto discussa di una “riforma della riforma nella continuità”, che in questo caso riguarda soprattutto la liturgia. A tal fine però, occorrerà fare una seria opposizione tra una “ermeneutica della riforma” e una “ermeneutica della rottura”, in riferimento agli avvenimenti complessivi del Concilio Vaticano II, come pure degli eventi che ne seguirono. Occorre superare quella strana mescolanza tra rottura (con la Tradizione) e continuità (nella Tradizione), e laddove la rottura si verifica o si è verificata, segnalarlo chiaramente e lealmente, dal momento che ne va della credibilità della Chiesa, sia nella sua autocomprensione  che nel suo porsi dinanzi all’intera cristianità.

Soltanto quando la Chiesa si ricorderà di nuovo in modo deciso di possedere il soprannaturale “munus docendi”, quando porterà alla luce del giorno la sua forza dogmatica, quando chiamerà l’errore “errore” e che cosa è l’errore, che essa possiede e crea la bellezza, e che cosa è la bellezza, allora si potrà percorrere la via stretta – via che, in ultima analisi, di nuovo conduce nella profondità dei divini misteri e che perciò non può essere facile. La Chiesa non si può sottrarre a tale compito, perché è chiamata alla santificazione: “la Chiesa adempie la funzione di santificare in modo peculiare mediante la sacra liturgia, che è ritenuta come l’esercizio della funzione sacerdotale di Gesù Cristo, nel quale per mezzo di segni sensibili viene significata e realizzata, in modo proprio a ciascuno, la santificazione degli uomini e viene esercitato dal Corpo mistico di Gesù Cristo, cioè dal Capo e dalle membra, il culto di Dio pubblico integrale” (CIC 1983, can. 834 § 1).

Così affermava Benedetto XVI, l’11 giugno 2010, nella sua omelia della Messa a conclusione dell’Anno Sacerdotale: “Il pastore ha bisogno del bastone contro le bestie selvatiche che vogliono irrompere tra il gregge; contro i briganti che cercano il loro bottino. Accanto al bastone c’è il vincastro che dona sostegno e aiuta ad attraversare passaggi difficili. Ambedue le cose rientrano nel ministero della Chiesa, nel ministero del sacerdote. Anche la Chiesa deve usare il bastone del pastore, il bastone col quale protegge la fede contro i falsificatori, contro gli orientamenti che sono, in realtà, disorientamenti. Proprio l’uso del bastone può essere un servizio d’amore”.

“Oggi vediamo che non si tratta di amore, quando si tollerano comportamenti indegni della vita sacerdotale. Come pure non si tratta di amore se si lascia proliferare l’eresia, il travisamento e il disfacimento della fede, come se noi autonomamente inventassimo la fede. Come se non fosse più dono di Dio, la perla preziosa che non ci lasciamo strappare via. Al tempo stesso però, il bastone deve sempre di nuovo diventare il vincastro del pastore – vincastro che aiuti gli uomini a poter camminare su sentieri difficili e a seguire il Signore”. Resta da sperare che il bastone dell’amore sia usato con chiarezza.

L’anno 2015 è in arrivo: una buona occasione per utilizzare il tempo attuale e far sì che la verità trionfi. Papa Benedetto XVI ha mostrato a tutta la Chiesa una via precisa con il Motu proprio “Summorum Pontificum”. Le ha fatto un regalo, col quale è ora possibile riconoscere i vecchi peccati di omissione, chiedere perdono e osare un nuovo inizio nella verità. Sciocco sarebbe chi rifiutasse tale dono.


fonte: Kath.net, 17/06/2011

http://www.kath.net/detail.php?id=31930
 

(traduzione di don Giorgio Rizzieri )


http://www.diocesiportosantarufina.it/home/news_det.php?neid=1255

 


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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Don Bux: “Sarà pure messa antica. Ma con una massa di giovani”

ago 3, 2011 by

 MESSA ANTICA: MASSA DI GIOVANI

Don Nicola Bux, una chiacchierata nella sua Puglia

don Bux

 

Messa Antica di don Bux in Puglia

I vescovi che disobbediscono al papa non pretendano d’essere poi obbediti da clero e fedeli. Negli episcopati: un gallicanesimo strisciante che si crede autosufficiente.

La riforma litugica: non era una delle impellenze volute dal concilio.

L’esclusivismo di chi si professa ecumenico.

 

a cura di Francesco Mastromatteo

 

Una inarrestabile crescita di consensi, specie presso i giovani. Non ha dubbi don Nicola Bux circa l’avanzata della Tradizione cattolica soprattutto tra le giovani generazioni in seguito al Motu Proprio con cui Benedetto XVI ha “liberalizzato” il rito antico ormai quattro anni fa. Abbiamo chiesto a don Nicola, professore dell’università Lateranense, insigne teologo e studioso di liturgia molto vicino a Papa Ratzinger, un bilancio della situazione, dal punto di vista privilegiato di uno dei massimi cultori della materia liturgica. Lo abbiamo incontrato nel corso di un dibattito politico a margine del quale non ha lesinato critiche apertis verbis a un sottosegretario dell’attuale governo, la cui dichiarata fede cattolica e vicinanza ai movimenti pro-vita non ha impedito di votare un finanziamento a Radio Radicale, come del resto hanno fatto altri parlamentari cattolici.

 

Don Bux, persino l’inserto di un quotidiano non certo filo cattolico come Repubblica ha dovuto riservare un servizio alla diffusione della messa in latino secondo il Messale del 1962. Qualcosa sta cambiando?

Il bilancio è senz’altro positivo: c’è un crescendo di tale opportunità data dal Papa a tutta la Chiesa. Essa si è diffusa senza imposizioni, dopo che il Motu Proprio del 2007 ha aperto una breccia. Si è ormai fatta strada l’idea che il rito antico non è mai stato abolito, e che la riforma liturgica non era una delle necessità impellenti volute dal Concilio. L’ostilità verso la messa in latino era sostenuta attraverso tesi infondate, come quella per cui nei primi secoli il sacerdote celebrasse rivolto verso il popolo, mentre dopo avrebbe dato le spalle al popolo: espressione fasulla, visto che il sacerdote era rivolto verso il Signore.

Una Messa antica ma amata dai giovani: non è un paradosso?

Basta andare in giro come faccio io per celebrazioni e conferenze: non solo in Italia ma all’estero il rito antico si diffonde sempre più proprio tra i più giovani. A mio parere ciò è dovuto al fatto che i ragazzi si approcciano alla fede ricercando il senso del Mistero, e lo trovano in maniera evidente nella Messa celebrata in forma straordinaria. Il ritorno al rito tradizionale non è secondario per la fede: esso favorisce in una dimensione verticale l’incontro con Dio in un mondo contemporaneo in cui lo sguardo dell’uomo è ripiegato su se stesso e sulla dimensione materiale dell’esistenza. In questo senso ha favorito una sorta di “contagio” spirituale benefico.

Qualche mese fa la Pontificia Commissione Ecclesia Dei ha emanato un documento, l’istruzione sull’applicazione del Motu Proprio. C’è chi ha parlato di una sorta di richiamo ai vescovi a venire incontro alle richieste dei fedeli…

È una traduzione in indicazioni concrete del Motu Proprio. La media dei vescovi, che all’inizio erano perplessi, ora può cominciare a muoversi nella direzione giusta. Questa istruzione incoraggia i vescovi ad esaudire le richieste dei fedeli sensibili alla messa antica, che deve essere considerata da tutti una ricchezza della liturgia romana.

Non è un mistero che parecchi episcopati non abbiano apprezzato questa scelta, e cerchino in tutti i modi di ostacolarla, comportandosi da veri e propri ribelli verso il Papa…

Esiste senz’altro una forma di neogallicanesimo strisciante, per cui alcuni settori della Chiesa pensano di essere autosufficienti da Roma. Ma chi ragiona in questi termini non è cattolico. I vescovi che disobbediscono al Papa si mettono nelle condizioni di non essere a loro volta obbediti da parroci e fedeli.

Nella Chiesa si è sempre detto: lex orandi lex credendi. La liturgia è saldamente legata alla teologia. Papa Benedetto XVI ha fissato come bussola del suo Magistero la continuità con la Tradizione e un gesto forte è stato quello di togliere la scomunica ai lefebvriani. Cosa ne pensa?

Penso sia stato un gesto di grande carità. Rompere la comunione è facile, il difficile è ricucire, ma Cristo ha voluto che fossimo tutti una sola cosa e questo per noi deve essere un imperativo. L’opera meritoria del Papa evidenzia la sua grande pazienza, ma d’altronde se così non fosse assisteremmo ad un paradosso: mentre si postula tanto il dialogo con i non cattolici e addirittura con i non cristiani, come si può essere pregiudizialmente ostili all’idea di riunirsi con chi ha la stessa fede? Lo stesso Benedetto XVI in quell’occasione citò opportunamente la lettera di San Paolo ai Galati: “Se vi mordete e divorate a vicenda, badate almeno di non distruggervi del tutto gli uni gli altri”. Il dramma attuale della Chiesa è l’esclusivismo da parte di chi si professa ecumenico.

In questa occasione si parlava di politica e valori. “Questione morale” è un’espressione di cui molti esponenti di partito si riempiono la bocca…

Sento parlare molto in giro della necessità di “codici etici” per i partiti, ma di un’etica non meglio precisata. Può mai derivare dall’uomo la fonte di ciò che è bene o male? Bisognerebbe tornare ai Dieci Comandamenti, le uniche vere tavole etiche che derivano da Dio.

 

 


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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31/08/2011 18:46
 
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[SM=g1740733] LA VITA DI CRISTO RIPRESENTATA NELLA SANTA MESSA
di S. Vincenzo Ferreri (terza parte)


le altre due parti 1 e 2 le trovate più sopra....

20. – La 20ma opera che il nostro Salvatore fece in questo mondo fu che non contento con la morte e le piaghe che sopportava sulla croce volle ancora che la sua preziosa umanità si dividesse in tre parti. La prima parte perché il suo corpo rimase sulla croce. La seconda parte fu il sangue che si sparse alla base della croce. La terza parte fu la sua anima, che discese agli inferi con i santi padri. E in questo modo fu divisa l’umanità di Gesù Cristo.
      Questo lo ripresenta il sacerdote quando spezzetta l’Ostia in tre parti e le tiene insieme per dimostrare che per quanto l’umanità venne divisa in tre parti, nonostante  la divinità rimase con ciascuna di esse. E ciò si spiega chiaramente con l’esempio di un vetro o cristallo esposto al sole, perché dividendo o frantumando vetro o cristallo, il sole non cessa di illuminarne le parti divise, e le illumina molto bene allo stesso modo che se fossero unite; sono difatti tutte illuminate dalla chiarezza solare, sia in una come nell’altra forma. Così, l’umanità di Cristo, pur divisa in più parti, tuttavia ogni singola parte era personalmente e sostanzialmente piena della divinità, come ciascuna parte del vetro sta piena di sole.

21. – La 21ma opera realizzata in questo mondo dal nostro Salvatore e Signor Gesù Cristo fu l’aver convertito molte persone di diverse condizioni. Volle che già si vedesse il frutto della redenzione. E per questo convertì dapprima il ladrone, che fu un uomo di mala vita, ribelle, criminale. In secondo luogo convertì il Centurione ch’era il capitano della gente armata e che disse: Veramente costui era Figlio di Dio (Mt. 27, 54). In terzo luogo convertì l’umile popolo, ed è san Luca che lo cita dicendo: Anche tutte le genti che erano accorse a questo spettacolo, ripensando a quanto era accaduto, se ne tornavano percuotendosi il petto (Lc. 23, 48). Si noti che dice “tutte le genti”, non le truppe maliziose come gli scribi o farisei, bensì le genti semplici e profane che vedendo il miracolo che accadeva battendosi il petto dicevano: “Che miserabili! Abbiamo crocifisso il Salvatore”.
      E perché nostro Signore nella sua passione convertì queste tre classi di persone, per questo in suo ricordo il sacerdote dice tre volte “Agnello di Dio”. La prima volta lo diciamo particolarmente per ogni peccatore supplicando che lo perdoni come perdonò al ladrone, e ugualmente a me che sono peccatore. La seconda volta, chiediamo che come illuminò e aprì gli occhi del Centurione che comandava la milizia, così ugualmente illumini e perdoni chiunque governi il popolo, o abbia cura pastorale delle anime, affinché esse raggiungano la salvezza. La terza volta diciamo “Agnello di Dio” per chiedere che come convertì l’umile popolo così ugualmente converta il comune popolo cristiano e lo conservi in buona salute e in pace e gli perdoni tutti i suoi peccati.

22. – La 22ma opera che Gesù realizzò in questo mondo per amore nostro è che dopo la sua sacra morte non volle direttamente salire al Cielo bensì per la sua grande umiltà volle prima discendere agli Inferi molto segretamente per dare la gloria ai santi padri, che al vederLo la ottennero. E i santi padri dicevano: “Glorioso Signore! Sono tanti gli anni che (Ti) aspettavamo”, difatti da cinquemila anni lo aspettavano con grandi aneliti e sospiri.
      Questo si ripresenta nella Messa quando il sacerdote lascia cadere nel calice una parte dell’Ostia che ivi si impregna, per mostrare come nella visita dell’anima di Cristo al Limbo le anime dei santi si estasiarono di gloria e furono così inebriate e illuminate dall’amore di Dio che ignoravano quanto era loro successo e con dolce amore lodavano e benedicevano Dio, dicendo: Benedetto il Signore Dio di Israele, perché ha visitato e redento il suo popolo … (Lc.1, 68).

23. – La 23ma opera che realizzò fu che dopo la sua benedetta morte volle esser deposto dalla croce per le mani di Giuseppe di Arimatea e di Nicodemo, che col permesso di Pilato lo tolsero dalla croce e lo posero sulla pietra [mensa del sepolcro].
E la Beata Vergine Maria con altre sante donne, e parenti e amici, stava d’intorno al corpo. E baciando gli occhi la Vergine Maria diceva: “O gloriosi occhi che scrutinavano i cuori umani con i loro pensieri!”. E baciava gli orecchi dicendo: ”O orecchi che udivano i canti che intonano in Cielo gli Angeli!”. Poi baciava il naso, dicendo: “O naso che percepisti il fragrante odore della gloria paradisiaca!”. Poi Gli baciava il Volto santo dicendo:  “O Volto che dai gloria agli Angeli!”. Poi baciava la ferita del Costato, dicendo: “O porta gloriosa che ci introduci in Paradiso! O Fedeli cristiani che anelate entrare in Paradiso, venite, qui c’è la porta aperta, giacché mio figlio l’aprì per voi!”. Poi baciava le mani, dicendo: “O mani che creaste il cielo e la terra con tutto ciò che contengono!”. Poi baciava i suoi piedi, dicendo: “O piedi benedetti che misurarono la gloria del Paradiso!”. E (san) Lazzaro, santa Maria Maddalena, santa Marta, Giuseppe d’Arimatea e tutti gli altri fedeli si avvicinavano a quel sacratissimo corpo e pensavano il momento propizio per poterlo adorare e offrirgli totale riverenza.
      Questo nella Messa lo ripresenta il sacerdote quando dopo aver dato la pace, per un breve momento sostiene nella sua mano l’Ostia prima di consumarla e allora il buon sacerdote se è devoto e immaginando il dolore della Vergine Maria, della Maddalena e dell’altra Maria e dei buoni cristiani che facevano quel cerchio intorno al corpo di Cristo, vedendo le piaghe e le ferite che Cristo sopportò per la redenzione del genere umano, deve piangere abbondantemente e sentire gran dolore e contrizione di cuore, ecc.

24. – La 24ma opera che il nostro Salvatore realizzò in questo mondo fu voler essere unto con balsamo e mirra e poi avvolto in una sindone bianca e immacolata ed esser posto e rinchiuso in un sepolcro di pietra, nuovo e senza alcuna alterazione o rottura.
      Questo si ripresenta nella Messa quando il sacerdote riceve il corpo di Cristo, giacché il corpo del Sacerdote è il monumento nuovo di Gesù Cristo. E vi faccio notare che dico nuovo, perché nel corpo del sacerdote non deve esistere nessuna macchia, o immondezza di peccato come nel sepolcro di Gesù Cristo nel quale nessuno ancora era stato posto (Gv. 19, 41). Sì dev’ essere nuovo per la purezza e la castità. E come il monumento era di pietra resistente, così il presbitero deve essere forte e fermo in una vita buona e di fede.
E così come il corpo di Cristo venne avvolto in una sindone bianca e immacolata, altrettanto il corpo del sacerdote per la castità deve essere bianco e immacolato, perché dentro vi riposa il corpo di Cristo.
E così come il corpo di Cristo fu tutto imbalsamato ugualmente il corpo del sacerdote deve essere pieno di virtù, di giustizia e di perseveranza nella  penitenza.
E così come Cristo riposa in quella bianca tela, ugualmente riposa nella coscienza del sacerdote, che è il sepolcro di Cristo.
      Possiamo così ragionevolmente credere – benché non si trovi nei testi della Bibbia – che la Beata Vergine e gli altri fedeli cristiani credendo che Cristo risusciterebbe il terzo giorno, raccolsero il sangue ch’era stato versato ai piedi della croce e lo misero in un vaso limpido e fu posto nel sepolcro con il corpo, sì che la Vergine Maria sapeva che il sangue insieme col corpo risusciterebbe il terzo giorno. E perciò il sacerdote come sepolcro di Gesù Cristo che è santo e prezioso come il sepolcro di Gerusalemme – giacché quello è di pietra e tu sei a immagine e somiglianza di Dio, e il corpo del sacerdote è stato consacrato tutto, cresimato e unto e più santo.
C’è anche da considerare che in quel sepolcro fu posto il corpo di Cristo morto, e nel corpo del sacerdote si pone vivo. Ed ancora, ivi venne posto una sola volta, e il sacerdote lo riceve moltissime volte e alcuni lo ricevono tutti i giorni [e oggi più volte al giorno!]. 
Ed ancora il corpo di Cristo non si macchiò in quel sepolcro essendo avvolto nella sindone e perciò quel sepolcro è detto santo: molto più santo si dice il corpo del sacerdote, dove il corpo di Cristo non si pone avvolto, bensì tutte le carni, le ossa e le membra lo toccano. O sacerdote! Diligentemente medita in questo.

25. – La 25ma opera realizzata da Cristo in questo mondo fu che risuscitò da vita mortale a vita immortale. E poi fu trovato il sepolcro aperto.
      E questo si ripresenta nella Messa quando il sacerdote dal centro dell’altare va all’angolo del medesimo per mostrare che così Gesù Cristo passò dalla vita mortale alla immortale. E il sacerdote presenta il calice vuoto per mostrare che il sepolcro di Cristo fu trovato aperto e vuoto. Allora il diacono piega i corporali per mostrare che nel sepolcro si trovarono le bende e il sudario ripiegati [su se stessi], ecc. (cf. Gv. 20, 5-7).

26. – La 26ma opera che Gesù Cristo realizzò in questo mondo fu che dopo la sua gloriosa Risurrezione si manifestò (apparve) a santa Maria Maddalena e agli Apostoli, però prima ancora apparve alla Vergine Maria. Non solo le si manifestò da solo, come fece con santa Maria Maddalena, bensì insieme a tutti i santi Patriarchi e Profeti e altri santi Padri.
      E ora, buona gente [nel manoscritto: bona gent], meditate quale consolazione doveva tenere la Vergine Maria quando vedeva il glorioso suo Figlio con quella moltitudine di Santi.
      Tutto ciò si ripresenta nella Messa quando il sacerdote dice: “Il Signore sia con voi!”. E di seguito dice (canta) l’orazione postcommunio che ripresenta le parole di consolazione che si scambiarono nostro Signore Gesù Cristo e la sua gloriosa Madre, e come i santi Padri lodavano il nostro e loro Salvatore. E di seguito facevano riverenze alla Madre dicendole: “Regina del Cielo”, non piangete più, e non abbiate né tristezza né disgusto, ecc.

27. – La 27ma opera che Gesù Cristo realizzò fu quando in questo mondo apparve agli Apostoli e mostrandosi in mezzo a loro disse: Pax vobis (Gv. 20, 19).
      E questo viene ripresentato dal sacerdote quando mettendosi al centro dell’altare e volgendosi verso il popolo dice: “Il Signore sta con voi!” che quasi vuol dire, è come se dicesse pace a voi.

28. – La 28ma opera che fatta da Gesù Cristo in questo mondo fu che quando doveva salire al Cielo, chiamando gli Apostoli disse loro: Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo ad ogni creatura; dicendo anche: Chi crederà e sarà battezzato si salverà (Mc. 16, 15-16; Mt. 28, 19-20).
      Questo si ripresenta nella Messa quando il sacerdote dice: “Potete andare in pace”, dando permesso al popolo di ritornare alle loro case per compiere i loro doveri, perché si è completato l’ufficio e il sacrificio, così come Cristo dette agli apostoli il permesso (missio) di andare per il mondo essendo stato compiuto il sacrificio.

29. – La 29ma opera di Gesù Cristo in questo mondo fu quando compì la promessa fatta a Pietro e agli Apostoli, dando al beato Pietro il reale possesso del Papato con queste parole: Pasci le mie pecore (Gv. 21, 17). Allora fu fatto papa. E agli altri chierici disse: Ricevete lo Spirito Santo. A chi perdonerete i peccati … (Gv. 20, 22-23).
      E questo si ripresenta nella Messa quando il sacerdote sul finire della Messa torna a umiliarsi inclinando il capo davanti all’altare tanto quanto può, dicendo: “Gradisci, o Trinità santa, ecc.” E quindi rende grazie baciando l’altare e chinandosi per mostrare l’infinita misericordia con cui Egli volle umiliarsi e quale potere così alto egli tiene - ossia, per perdonare i peccati - (potere) che è solo di Dio e l’ha dato (anche) agli uomini: Chi può perdonare i peccati, se non Dio solo? (Mc. 2,7). E perciò (il sacerdote) si inchina per mostrare che dinanzi a Dio si inchinerebbe [Gesù Cristo] essendo uomo giacché gli uomini non avevano questo potere. Conseguentemente bacia l’altare riconoscendo questa grazia e subito si segna col segno della santa croce indicando che per la virtù della santa croce venne l’assoluzione, ecc.

30. – La 30ma opera che Gesù Cristo realizzò in questo mondo fu quando apparve alla sua gloriosa Madre e agli Apostoli e li benedisse insieme ai cristiani uomini e donne. E perciò disse il beato Luca: Elevate le sue mani, li benedisse … e fu portato verso il cielo (Lc. 24, 50-51). Allora diceva la Vergine Maria, (interiormente) piangendo: “O Figlio mio, non vengo con Te? Mi lasci qui tra i giudei?”. Allo stesso modo gli Apostoli piangevano dicendo: “Signore, quando ti vedremo di nuovo e quando ritornerai?”. E allora, ecco qui che Cristo dette la benedizione e salì al cielo, donde era uscito.

      E questo si ripresenta nella Messa, quando il sacerdote data la benedizione, ritorna nella sacrestia donde era uscito.

      Ecco qui come tutta la vita di Cristo sta ripresentata nella Messa. E perciò il tema dice: Fate quello che Egli vi dirà  (Gv. 2, 5). Cioè, ripresentare nella Messa tutta la vita di Cristo e non soltanto la Passione. Pertanto, buona gente [nel manoscritto: bona gent], Fate questo in mio ricordo (Lc. 22, 19 e 1 Cor. 11, 23).  Cioè, che voi chierici [devotamente celebrerete la vita di Cristo e voi laici] devotamente udendo e non parlando nella messa, né avvicinandovi all’altare, bensì pregando in silenzio, perché così non disturberete che vi sta vicino. Per questo la Vergine Maria  lo diceva: Fate quello che Egli vi dirà (Gv. 2, 5), che è il tema.
      Alcuni questo non l’incontrano nella Bibbia, però a me sembra che con tutto questo concordano altre autorità: Ascoltate il giudizio del padre, figli amati, e operate così per essere salvi (Sir. 3, 2). Voi cristiani che siete “figli amati, ascoltate il giudizio del padre”, ossia la Messa e “perché siate salvi”. Questa autorità chiama “giudizio” (precetto, comando) la Messa, perché ne abbiate grande riverenza, tanto i sacerdoti che dovete andare alla celebrazione di questo sacramento infiammati d’amore, e tanto le genti del popolo che devono con gran riverenza, ascoltare, non parlando né avvicinandosi all’altare.
      Questo è il sermone predicato.
      Rendiamo grazie a Dio.

Da:http://biblioteca.campusdominicano.org/vitachristi.pdf                  


un grazie a AMDG





Fraternamente CaterinaLD

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14 settembre. Esaltazione della S. Croce: "Buon Compleanno, Summorum Pontificum!". E grazie, Santità!

14 Settebre 2011

IV Anniversario

della Lettera Apostolica motu proprio data
Summorum Pontificum

di Sua Santità Papà

B E N E D E T T O X V I

del 07 Luglio 2007, entrata in vigore il 14 settembre 2007

e illustrata, per la sua applicazione, dalla
Istruzione
UNIVERSAE ECCLESIAE

della Pontificia Commissione dell'Ecclesia Dei

A Voi, Santo Padre, la nostra più sincera gratitudine!
Benedicto, summo Pontifici et universali Patri, pax, vita et salus perpetua!

***


Testo ufficiale del Motu Proprio in latino qui (sito della Santa Sede), e qui in una traduzione fedele e ormai ufficiosa (ma non ufficiale) nel sito di Una Vox.

14 Settembre 2009
Link 1; Link2 (l'esaltazione della S. Croce nel rito bizantino).
14 Settembre 2010
link 3



Fraternamente CaterinaLD

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Seminario nelle Filippine sul Motu Proprio: clero diocesano e della FSSPX insieme, con la benedizione (in tutti i sensi) dell'Arcivescovo  [SM=g1740721]

Gli eventi si svolgono nella Chiesa con grande rapidità.
L'Arcivescovo Fernando R. Capalla, arcivescovo di Davao, nelle Filippine, aveva annunciato nel mese di agosto 2011, un incontro nella sua diocesi dedicato al motu proprio Summorum Pontificum. L'arcivescovo, nella circolare di convocazione del seminario, aveva parlato della necessità di promuovere la comprensione corretta e pastorale su questo tema, ed evitare confusioni. E aveva aggiunto che la confusione su questa materia potrebbe ssere legata alla presenza dei sacerdoti della Fraternità Sacerdotale San Pio X, "gruppo non approvato dalla Chiesa."

Ebbene, l'incontro si è svolto come previsto il 1° ottobre nella città di Davao ed è stato un successo!!
Organizzato da padre Joel Caasi, professore di liturgia su incarico dell'arcivescovo, ha visto la partecipazione di molto clero, religiosi e laici.
La grande sorpresa è stata l'arrivo dell'Arcivescovo, accompagnato da tre sacerdoti della Fraternità San Pio X, che hanno partecipato al seminario e hanno ricevuto, in ginocchio, la benedizione finale dell'arcivescovo.
Chiaramente, ogni giorno, ci sono passi verso la riconciliazione piena.

fonte: Acción Litúrgica
[SM=g1740722]

Messa "bassa" a Imperia: alto momento di preghiera, fede e devozione!

Pubblichiamo una bella lettera che un lettore ci ha inviato, relativa alla celebrazione della S. Messa a Imperia Oneglia (ore 17:00, in località borgo Peri, vicino alla parrocchia di San Giovanni).

Roberto


"Cara Redazione MiL,
non so se la mia esperienza nel suo piccolo può avere una qualche rilevanza, ma mi sento di rendervene partecipi. Magari può servire come testimonianza della "buona fede" (in tutti i sensi) dei fedeli legali alla Messa c.d. "antica" e del loro vero e genuino interesse verso questa celebrazione (con buona pace dei detrattori).
Quella di cui sto per raccontare non è stata una Messa solenne con prelati famosi in una importante basilica. E' stata una classica Messa antica domenicale, celebrata con decoro, rispetto e dignità!!!! (altro che messe parrocchiali sciatte e squallide!)
Penso che celebrazioni "semplici" come questa (organizzate e curate con tanto cuore e con tutta l'anima da alcuni fedeli di buona volontà) siano sublimi e aiutino la santa causa in difesa della Tradizione Antica.
Dunque.
Qualche settimana fa, nel centro di Imperia (via San Giovanni angolo via Bonfante) sentii parlare due ragazzi di una messa in latino che un bravo e giovane sacerdote celebrava lì vicino. Due giovani che parlano -bene- della messa?? e per di più in latino??? Una frase soprattutto mi colpiì "...si vede che il prete ci crede... "
Subito drizzai le orecchie, perché i loro discorsi (ma più ancora il loro tono entusiastico) mi avevano stupito e incuriosito. Ammetto che il fatto era una sopresa: già sentire parlare due giovani di "cose religiose", è raro, ma addirittura sentirli parlare bene dei preti e di una messa in latino (tanto osteggiata dagli stessi preti) era soprendente!!!
Mosso quindi da -ravvivato -interesse verso la Messa tridentina (a cui però non mi ero mai deciso di partecipare e di cui poco so, leggendo ogni tanto il Vostro benemerito sito) ho cercato qualche notizia in più in internet e ho trovato sul sito di UnaVox (ma non sul Vostro, come mai?) l'ora e le cadenze di questa messa a Imperia: ogni domenica e festa di precetto alle 17:00 nella chiesa di N.S. di Loreto in località di Borgo Peri ad Oneglia.
Ecco allora che lo scorso 1° novembre ho deciso di onorare la festa di Ognissanti andando a quella Messa.
La chiesetta è un piccolo oratorio di una confraternita, curato, essenziale, sobrio e molto raccolto.
Due son state le circostanze e i fatti che mi hanno colpito: il silenzio orante e la partecipazione dei fedeli!
Ah se anche i fautori dell'opposizione partecipassero a queste celebrazioni!!! Avrebbero davvero modo per ricredersi!!
Andare a messe come quelle celebrate a Imperia Oneglia è il modo migliore per rendersi conto che dire "Messa antica" non vuol dire "liturgia nostalgica, lontananza dei fedeli, vacuo sfarzo, élite clericale, pizzi e merletti" (tanto per citare solo alcune delle ottuse critiche che vengono mosse alla liturgia antica da preti ignoranti (e senza più fede?), che non capiscono che la solennità è, caso mai, l'umano tentativo di rendere onore e adorazione al divino N.S.G.C., il Re dei Re che morto in Croce si è fatto Salvatore nostro!).
Dire "Messa antica" vuol dire innanzi tutto silenzio, raccoglimento, devozione, sacralità e preghiera partecipata. Ebbene sì, anche partecipazione dei fedeli! Ho ascoltato preghiere molto partecipate! Molto più che alle messe feriali (e a volte sciatte) messe in italiano!! Forse chi va alla Messa antica ci va perché sa e vuole! Non per abitudine o per obbligo. Chi sceglie la liturgia antica fa una scelta consapevole. E quindi partecipa di più e meglio. E ciò è quello che ho notato alla Messa di Imperia.
Come è possibile? Lo spiego subito.
1) Durante la celebrazione e soprattutto durante la consacrazione nessuno faceva rumore, nessuno si muoveva, nessuno tossiva, nessun cellurare squillava. Tutti, dico TUTTI, in ginocchio, in assoluto, ma attento, SILENZIO orante, nel momento sublime della transustanziazione. Tutti adoravano la SS.ma Trinità scendere dal cielo tra le mani del sacerdote. Finalmente un momento di vera Messa Cattolica!!


2) I molti fedeli che ho trovato (anche giovani e due o tre bambini) recitavano (con il cuore, all'unisono, e non solo con la bocca!) le preghiere leggendole sui molti libretti bilingue messi sulle panche (libretti ben fatti e stampati al computer da qualche fedele di ottima volontà).
Sui libretti trovavano spazio anche alcune brevissime e essenziali spiegazioni del rito, così da far conoscere al fedele meno esperto -come me- il significato e lo scopo delle varie parti della Messa (in genere) o i gesti del sacerdote (ah, se anche nei "foglietti" che infestano le parrocchie, ci fossero anche solo la metà di queste pur brevi spiegazioni: si capirebbe meglio la S. Messa!).
3) L'atteggiamento dei fedeli traduceva una partecipazione somma e consapevole: l'alzarsi, il mettersi in ginocchio senza vergogna, lo stare seduti nei momenti giusti scandivano con compostezza la celebrazione e favorivano il raccoglimento. (Si noti che ognuno sapeva cosa dire, e quando alzarsi: ciò significa che le persone seguivano con consapevolezza e cognizione di causa le varie parti della Messa e non erano spaesati).
4) Molte signore, anche giovani, avevano in testa la veletta: non che ciò sia fondamentale ben s'intende, ai fini della validità della messa, ma è sintomo di quel rispetto spontaneo per il luogo sacro e di quel pudore propri delle nostre nonne, che scaturiscono se si percepisce la sacralità dei riti, del posto e dei gesti.

Da tutte queste circostenze si capiva che i fedeli partecipavano con il cuore e con lo spirito (oltre che con il corpo) al sacro rito. Erano consapevoli a cosa stessero partecipando. Sicuramente moltissimi di loro non avrebbero saputo fare una traduzione letterale dal latino delle singole preghiere, ma conoscevano benissimo Chi stessero pregando!!!

Un'altra cosa che poi, al termine della funzione, mi ha stupito, è stata la recita delle preghiere (che ho scoperto essere) di Leone XIII, in difesa della Chiesa e di tutti i Cattolici. Recatosi il prete in sacrestia, e usciti alcuni fedeli, i più son rimasti, e si son messi in ginocchio. Io non capivo... Non sapevo... Ad un certo punto ho sentito l'Ave Maria recitata per tre volte, poi il Salve Regina, e poi una bellissima preghiera di cui ignoravo l'esistenza (nella sua forma integrale): quella rivolta a San Michele (che tra l'altro è il patrono della nostra Diocesi di Albenga-Imperia e titolare della Cattedrale)




Al termine anche delle ultime preghiere, ogni fedele portava il proprio libretto nelle prime panche, per agevolare poi un ragazzo che li metteva a posto. Un ragazzo aiutava il sacerdote a riordinare l'altare, un altro signore spegneva le candele. Che attenzione e che premura nel accudire la loro chiesetta!

Mi faccio quindi due domande che, so non possono avere risposta, ma che mi hanno perseguitato tutta la serata e questi giorni: perchè tanta avversione a questa Messa? Perchè tante preghiere son state abolite dalla Messa "moderna"? Non so.

Però ho capito solo il motivo per cui quei ragazzi erano così entusiasti di questa celebrazione: pur semplice, pur letta, pur senza canti, pur "bassa" (come si diceva) è stata una Messa davvero magnifica, un altissimo momento di fede viva e di attiva partecipazione più che coinvolgente!


C.F.

[SM=g1740738]



[Modificato da Caterina63 04/11/2011 13:30]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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Il Card. Castrillón Hoyos ai delegati di UnaVoce: "Siate sempre più collaboratori del Papa per favorire le celebrazioni nella Forma Extraordinaria!"  [SM=g1740721]


Sabato scorso il Card. Castrillón Hoyos, Prefetto emerito della Congregazione del Clero e Presidente emerito della Pontificia Commissione Ecclesia Dei, ha celebrato una Messa prelatizia nella cappella del SS.mo Sacramento nella Basilica di San Pietro in Vaticano, in occasione dell'apertura della XX Assemblea della Foederatio Internationalis Una Voce. [SM=g1740721]

Nella sua omelia, il Cardinale ha, in particolare, domandato espressamente ai delegati di Una Voce di essere i testimoni del Santo Padre e collaborare con Lui in ciò che concerne il vero valore e la libertà di celebrare nella Chiesa secondo la Forma Extraordinaria del Rito Romano. Una missione più che mai necessaria a fronte delle resistenze ancora sempre presenti.

fonte:
FIUV
Letturine

Risposte Catholique






[SM=g1740722]
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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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Tris d'Assi - Conferenze sulla Sacra Liturgia


Conferenze sulla Sacra Liturgia

sabato, 21 gennaio 2012, ore 16
Oratorio di S.Benedetto dei PP. Salesiani di Don Bosco
Piazzale S.Benedetto (Corso Porta Po)
FERRARA

Con Papa Benedetto per un Nuovo Movimento Liturgico

Relatori:

S.E. Rev.ma Mons. Athanasius Schneider

Prof. Don Nicola Bux

Presentatore e Moderatore:

Dott. Rino Cammilleri


sabato, 21 gennaio 2012, ore 21
Teatro Comunale di
BOSARO (RO)

La testimonianza di un Vescovo Kazako
e la Riforma Liturgica Benedettiana

Relatori:

S.E. Rev.ma Mons. Athanasius Schneider

Prof. Don Nicola Bux

Presentatore e Moderatore:

Dott. Rino Cammilleri


Notizie sui relatori e sul moderatore:


Mons. Athanasius Schneider

Mons. Athanasius Schneider è Vescovo ausiliare di Maria SS. in Astana (cioè è il Vescovo cattolico di Astana, che ha preso quel titolo strano per non urtare la suscettibilità dei non molto fraterni ortodossi che ritengono Vescovo di Astana solo il loro ... colà residenti assieme alla maggioranza musulmana), Vescovo di Celerina e Segretario della Conferenza Episcopale del Kazakistan. È conisiderato uno dei vescovi più vicini al Papa da un punto di vista sia dottrinale che liturgico.
È difensore strenuo dell'Eucaristia, della quale è veramente innamorato, e sulla quale ha scritto il famoso testo “Dominus Est - Riflessioni di un Vescovo dell'Asia Centrale sulla sacra Comunione” edito dalle Librerie Vaticane. Si dice, anche se lui umilmente smentisce (perché è persona estremamente amabile, affabile ed umilissima), che sia stato lui a suggerire al Papa di distribuire la S. Comunione solo in bocca ed in ginocchio.
Il suo nome è tedesco perché la famigerata dittatura Stalinista deportò tutta la comunità cattolica di lingua tedesca di cui la sua famiglia faceva parte dai confini occidentali dell'impero sovietico all'immenso gulag kazako, dove la sua famiglia visse la fede in clandestinità e pericolo di vita sotto la direzione spirituale del padre Alexi, morto martire dei comunisti e poi beatificato dal Beato Giovanni Paolo II. Riuscito a scappare con la famiglia in occidente, constatò lo stato di devastante secolarizzazione della Germania, soprattuto rimarcando l'incuria con la quale veniva trattata quell'Eucaristia per la quale la sua famiglia aveva più volte rischiato la vita e alla quale aveva tante altre volte dovuto rinunciare a causa della dittatura di Stalin. Lì divenne sacerdote e poi, per mano di Papa Benedetto uno dei vescovi più giovani che vi siano mai stati (è più o meno suo e mio coetaneo). Per la sua origine, fu scelto sempre da Papa Benedetto come capo dei Vescovi kazaki. È già stato a Ferrara a tenere una conferenza a Casa Cini, dove ha parlato della sua esperienza, su invito del Nuovo Movimento Liturgico.



Don Nicola Bux


Don Nicola Bux, sacerdote dell’arcidiocesi di Bari, ha studiato e insegnato a Gerusalemme e Roma. Professore di liturgia orientale e di teologia dei sacramenti nella Facoltà Teologica Pugliese, è stato perito al sinodo dei vescovi del 2005 sull’Eucaristia.
È consultore delle Congregazioni per la Dottrina della Fede, per le Cause dei Santi e per il Culto Divino. È stato anche nominato da Benedetto XVI consultore dell’Ufficio delle Celebrazioni liturgiche del Sommo Pontefice.
Nel comitato dei consulenti della rivista teologica internazionale «Communio», è autore di studi liturgici, ecclesiologici ed ecumenici come Il quinto sigillo, Libreria Vaticana 1997, presentato dall’allora Cardinale Ratzinger. Tra i recenti: Pietro ama e unisce. La responsabilità del papa per la Chiesa universale, Studio Domenicano, Bologna 2006; La riforma di Benedetto XVI. La liturgia tra innovazione e tradizione, Cantagalli, Siena 2009, e Piemme, Milano, 2009 II ed., tradotta in varie lingue; Gesù il Salvatore. Luoghi e tempi della Sua venuta nella storia, Cantagalli, Siena 2009; Come andare a Messa e non perdere la Fede, Piemme, Milano, 2010.

Rino Cammilleri

Rino Cammilleri, laureato in Scienze Politiche a Pisa (con una tesi su Juan Donoso Cortés), dove è stato per qualche tempo assistente di Diritto Diplomatico e Consolare. È stato insegnante di sociologia negli istituti sperimentali e di materie giuridiche ed economiche nelle scuole ordinamentali per poi dedicarsi a tempo pieno all'attività di giornalista, saggista, biografo, romanziere e, occasionalmente, di soggettista per fumetti e di cantautore. Per un periodo durante gli anni universitari si unì al Movimento Studentesco, ma successivamente abbracciò la fede cattolica, ispiratrice della sua successiva attività pubblicistica. Oggi Rino Cammilleri ha limitato le sue collaborazioni a Il Giornale e Il Timone. È uno dei principali apologeti cattolici italiani. Dall'8 dicembre 2010 collabora al quotidiano on-line La Bussola Quotidiana. Fra le sue pubblicazioni:
  • L'inquisitore, San Paolo, 1998
  • Consigli del diavolo custode per andare all'inferno senza strafare, Piemme, Casale Monferrato 2000
  • Il Kattolico, Piemme, Casale Monferrato, 2001
  • Il vangelo secondo me, Piemme, Casale Monferrato, 2003
  • Piccolo manuale di apologetica 1 (a cura di), Piemme, Casale Monferrato, 2004
  • Il Kattolico 2, Sugarco Edizioni, Milano, 2006
  • Piccolo manuale di apologetica 2 (a cura di), Piemme, Casale Monferrato, 2006
  • Dio è cattolico?, Lindau, Torino, 2009
  • Come fu che divenni c.c.p. (cattolico, credente e praticante), Lindau, Torino, 2011
  • Il Kattolico 3, Gilgamesh Edizioni, Asola, 2011
  • Fregati dalla scuola, Effedieffe Edizioni, 1997
  • I mostri della ragione, Ares, 1997
  • Il quadrato magico, Rizzoli, Milano 1999
  • Juan Donoso Cortes. Il Padre Del Sillabo, 2000
  • Gli occhi di Maria (con Vittorio Messori), Mondadori, 2001
  • La vera storia dell'inquisizione, Piemme, Casale Monferrato 2001
Laudetur Jesus Christus! Laudetur cum Maria! Semper Laudentur!

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Fraternamente CaterinaLD

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