A tutti voi che passate da qui: BENVENUTI
Se avete desiderio di capire che cosa insegna la Bibbia che il Magistero della Santa Chiesa, con il Sommo Pontefice ci insegna, questo Gruppo fa per voi. Non siamo "esperti" del settore, ma siamo Laici impegnati nella Chiesa che qui si sono incontrati da diverse parti d'Italia per essere testimoni anche nella rete della Verità che tentiamo di vivere nel quotidiano, come lo stesso amato Giovanni Paolo II suggeriva.
Nuova Discussione
Rispondi
 
Pagina precedente | 1 | Pagina successiva

Il Diritto Canonico e quello Orientale ... il Codice di Diritto Canonico...

Ultimo Aggiornamento: 24/01/2015 20:41
Autore
Stampa | Notifica email    
OFFLINE
Post: 39.988
Sesso: Femminile
01/10/2010 21:19
 
Email
 
Scheda Utente
 
Quota

Origine, essenza e fine del diritto canonico


di Giuseppe Sciacca

Onorata dalla densa presentazione dell'allora cardinale Joseph Ratzinger, prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, il salesiano don Dario Composta, nell'anno 1985 pubblicò, coi tipi della Poliglotta Vaticana, in edizione invero alquanto dimessa, l'opera che ex integro e senza aggiunta alcuna - salvo qualche emenda tipografica e l'indice dei nomi - riproponiamo, insieme alla presentazione alla prima edizione, oggi più che mai autorevole:  La Chiesa visibile. La realtà teologica del Diritto Ecclesiale.

Il titolo, già nel suo andamento descrittivo e puranco didattico, ne enuncia con fedeltà il contenuto, e non ne nasconde gli intenti, che persegue con metodo, rigore, consequenzialità irriducibile:  trattasi, infatti, di un amplissimo trattato di teologia del diritto ecclesiale, la quale è, ex ipsa natura obiecti, disciplina anche giuridica, che l'Autore - dotato di eccezionale capacità speculativa (filosofica e teologica) che va ben oltre un mero tecnicismo giuridico, positivistico e normativistico - disegna a partire dalle fondamenta, che egli ravvisa nelle scaturigini medesime della Rivelazione, così operando una fondazione della legittimità ed efficacia del diritto della Chiesa.
"Legittimazione teologica del diritto della Chiesa", scrisse in memoriam dell'Autore, l'arcivescovo Angelo Amato.

Il diritto ecclesiale - per il Nostro, che aveva già dedicato all'argomento un succoso libretto edito nel 1976 da Città Nuova e dalla Pontificia Università Urbaniana, dove egli per lunghi anni svolse il suo prestigioso magistero - è sì diritto, possedendone i caratteri sostanziali e individuanti, ma è un diritto che dialoga sine intermissione con la teologia, la quale, pur rispettandone lo statuto epistemologico, addita al diritto canonico l'origine, il contenuto e il fine (la salus animarum) che conferisce a tutto l'ordinamento la sua peculiarissima tensione escatologica.

Don Dario era nato l'11 luglio 1917 in Veneto, a Montorio Veronese, in una numerosa famiglia di profonde radici cristiane. Conobbe ben presto la Società Salesiana di San Giovanni Bosco, e lì fiorì la sua vocazione alla vita sacerdotale e religiosa, percorrendone le consuete tappe formative. Conseguita la Licenza in filosofia presso la Pontificia Università Gregoriana (1938), fu inviato dai superiori nelle missioni salesiane in India, ove svolse il triennio di tirocinio pratico e frequentò il corso di teologia, al termine del quale, il 20 settembre 1945, fu ordinato sacerdote, in circostanze esteriormente di certo non facili, essendo stato internato in un campo di concentramento inglese allestito per gli italiani che durante la guerra si trovavano in India. Rientrato in Italia, dal 1946 al 1958 lo troviamo a Torino ove perfeziona i suoi studi conseguendo le lauree in filosofia e in diritto canonico, e dà inizio al ministero che svolgerà per tutto il resto della sua vita:  l'insegnamento.

Nel 1960 è già a Roma e lavora, come minutante, presso il Segretariato incaricato di elaborare il decreto conciliare Inter mirifica, sotto la direzione dell'allora monsignor Andrea Deskur, oggi cardinale.

Allorquando si aprì nella società e nella Chiesa la vivacissima stagione conciliare, nella quale tuttavia, com'è noto, non mancarono tensioni e financo travisamenti dottrinali, don Composta ritenne di dover approfondire i suoi studi scientifici instancabilmente condotti nel senso dell'ermeneutica della continuità, nell'analisi dei singoli istituti colti nel loro evolversi pur nella fedeltà all'ontologia del dover essere della Chiesa, e secondo il corretto intendimento di trasmissione, della Tradizione cioè, non già riaffermata in forza di una scelta di campo astrattamente ideologica, bensì profondamente investigata con inesausta passione per la Verità.

La robustissima e vastissima sua cultura filosofica, il colloquio sempre intelligente e critico con i cosiddetti "maestri del sospetto", che egli in un nitido libretto del 1994, pubblicato da "Vivere In", definisce "maestri della morale laica" (Spinoza, Kant, Schopenhauer, Nietzsche), un sano e necessario storicismo, consentirono a lui e a tanti altri di non rimanere abbagliati di fronte ai fenomeni sessantotteschi e post-sessantotteschi, siccome davanti alla definitiva, e improbabile, epifania della storia che avesse finalmente rivelato il vero senso della realtà, ecclesiale e non, all'insegna di una (non si capisce come criticamente e storicamente fondata) ermeneutica della "discontinuità", quasi che il provvidenziale e fisiologico rinnovamento voluto dal concilio vaticano II potesse aver comportato l'eversione della Tradizione, viva e organica, della Chiesa e nella Chiesa.

Intendiamo ricordare solo alcuni titoli di opere di don Composta, che spaziano dalla filosofia, alla teologia e al diritto, e realizzano un'autentica osmosi fra queste discipline:  Il Diritto della Chiesa alla ricerca delle componenti giuridiche specifiche (Salesianum, 1972); Teologia e Legge canonica (Apollinaris, 1972); Teologia del Diritto e Diritto positivo:  la Chiesa fondazione e istituzione di Gesù (Apollinaris, 1973); Il presbitero nel nuovo Codice:  la consacrazione del sacerdote e il suo stato ecclesiale (Queriniana, 1985); La famiglia nella tempesta (Urbaniana, 1987); Storia della filosofia antica (Roma 1985); L'esperienza metafisica dell'essere in Aristotele (Roma 1997); Lavoro e liberazione (Rovigo 1978); Filosofia morale ed etica sociale (Roma 1983); La nuova morale e i suoi problemi (Roma 1990); Natura e ragione (Zurigo 1971); Filosofia del Diritto (Roma 1991); Fondamenti ontologici del diritto (Roma 1994).

Fu consultore della Congregazione per le cause dei Santi, esaminatore apostolico del clero romano, membro dell'Accademia Teologica Romana e di quella di San Tommaso d'Aquino, collaboratore e organista nella parrocchia di Santa Maria Liberatrice al Testaccio. Chiuse la sua giornata terrena, ottantacinquenne, il 19 luglio del 2002.

L'opera che viene oggi ripubblicata vide la luce dopo la promulgazione del vigente Codex Iuris Canonici che riaffermò non solo la necessità di un diritto ecclesiale, ma parimenti la dimensione essenzialmente giuridica dei rapporti intersoggettivi della Chiesa, nella sua dimensione visibile di società così voluta e fondata da Cristo.

Il corpo della trattazione trae origine dalla raccolta di articoli scientifici di teologia del diritto pubblicati da don Composta tra il 1964 e il 1984, senza tuttavia esserne una semplice collettanea:  l'unità sistematica e la citazione delle fonti del concilio vaticano II nonché codiciali, del tutto articolate nell'argomentazione, attestano la continuità della riflessione e nondimeno la sua attualità.
L'onestà intellettuale e lo sforzo costante della ricerca si manifestano segnatamente nella vastità delle fonti interessate, le quali, spaziando da quelle patristiche a quelle dell'ultima assise conciliare e codiciali pienamente assunte, non esclusi cenni anche a quelle ortodosse e protestanti, vengono comparate, analiticamente e criticamente poste a confronto, dimostrando l'evoluzione delle stesse, le difficoltà dottrinali talora sottese, gli elementi afferenti al dover essere della Chiesa, per giungere infine sempre a conclusioni connotate talora da novità scientifica, talora dalla riaffermazione convinta e attualizzata di tesi classiche.

Ed è stato segnatamente il rigore intellettuale, il fondamento nelle fonti e la maturità e prudenza della riflessione - invero inusuale per gli anni in cui fu elaborata - che ne addita l'attualità e ne consiglia oggi la ripubblicazione quale esempio di "primo" tentativo di elaborare una "monografia cattolica completa... (di) teologia del diritto canonico quale parte essenziale della teologia" (dalla presentazione dell'allora cardinale Ratzinger).

Operata una fondazione della materia che non è solo giuridica (in quanto si occupa del regime esterno della comunità cristiana), non è solo teologica (in quanto si regge sulla Rivelazione e su un fine remoto escatologico), non è solo pratica o pastorale (in quanto ordo iustitiae obtinendae), ma è riconsiderazione teologica della socialità della Chiesa, l'Autore applica il metodo del realismo teologico classico e affronta le tre questioni nelle quali articola sistematicamente e divide l'intera trattazione:  l'ecclesiologia giuridica, che investiga il significato della società (o comunità) dei credenti di fronte alla salvezza, la nomologia teologica, che esamina il valore delle norme giuridiche che vigono entro questa medesima società o comunità, e l'antropologia teologico-giuridica, che determina la posizione sociale e la libertà dei credenti all'interno della comunità ecclesiale.

Quanto all'ecclesiologia giuridica, l'Autore non ritiene di aderire alle istanze della ecclesiologia sacramentaria, né a quelle dell'ecclesiologia comunitaria, nella misura in cui esse non colsero appieno che Cristo stesso istituì - con atto giuridicamente rilevante - la Chiesa come società strutturata di organi, al fine di assicurarne la perpetua missione. L'efficacia dell'azione spirituale della Chiesa e l'effettività del suo dover essere sono così colte in rapporto anche all'efficienza del sistema istituzionale. L'Autore, pertanto, affrontando il problema della dimensione giuridica della Chiesa, lo analizza descrivendo la giuridicità quale dimensione essenziale della Chiesa stessa. Vengono così individuate e trattate singolarmente:  la fondazione e l'istituzionalità della Chiesa, le strutture dinamiche che scaturiscono dai poteri e relativi officia, e infine le strutture statiche come sono gli status dei fedeli nella comunità ecclesiale.

Quest'ultimo aspetto merita, invero, una particolare attenzione, che è l'attenzione che il Composta riserva al diritto costituzionale della Chiesa, il quale non può arrestarsi all'esclusiva indagine afferente al christifidelis battezzato, per ignorare che esistono invece gli status, come "forme stabili di esistenza cristiana vissute in un determinato gruppo societario differenziato che realmente esprime situazioni in modo stabile di esistere della Chiesa stessa".

E la riaffermazione della dottrina dello status è proposta non già siccome distinzione di corporazioni o di classi, bensì sul fondamento di categorie ontologiche che riguardano l'essere nella Chiesa e non l'esercizio di mere funzioni o ministeri. L'Autore, a questo proposito, dopo essersi mosso nella poliedricità delle locuzioni codiciali e conciliari (status, condicio, genus vitae, indoles, vocatio propria, stabilis vivendi forma e così via) individua, coerentemente con il dettato e la sistematica della costituzione Lumen gentium, uno status christianus quale struttura giuridica ecclesiale fondamentale e costituzionale di genere, da integrarsi necessariamente con le individuazioni di specie. Dette specificazioni, che costituiscono anch'esse non già funzioni ma modi di essere anteriori all'agire, sono così classificate:  status laicale, clericale, religioso (chierico e non). Non a caso infatti, né residualmente, il canone 207 del vigente Codice riafferma in tal senso la distinzione e differenza non solo di grado, bensì ontologica, tra chierico, religioso e laico, per cui non pare né adeguato né sufficiente sostituire il diritto costituzionale ecclesiale con un diritto delle mere funzioni dell'organizzazione ecclesiastica, che, malgrado le migliori intenzioni, rischierebbe di lasciare irrisolte formidabili questioni teologiche di fondo.

Nell'udienza generale del 10 dicembre 2008, parlando ai fedeli, Benedetto XVI aveva icasticamente avvertito che "la Chiesa è un corpo, non un'organizzazione" ("L'Osservatore Romano", 12 dicembre 2008). Il Composta con lucidità si chiede:  "La legittima esistenza dello stato clericale come dignità specifica di alcuni membri della Chiesa e nella Chiesa, si deve intendere come struttura del loro essere o come funzione del loro agire?" In altri termini:  la fondamentale uguaglianza di tutti i battezzati vieta che si possano definire stati diversi tra di loro (chierici, religiosi, laici) e consente una mera diversità funzionale in vista di funzioni pubbliche da esercitarsi all'interno della comunità ecclesiale? Il dato ontologico-sacramentale deve forse arretrare di fronte a una dinamica prevalentemente funzionalistica e organizzativa?

La costituzione Lumen gentium al numero 13 offre risposta chiarissima:  "Ne consegue che il Popolo di Dio non solo si raccoglie da diversi popoli, ma nel suo stesso interno si compone di vari ordini. Poiché fra i suoi membri c'è diversità sia per ufficio(...) sia per lo stato e tenore di vita".
L'aequalitas è dunque mistica, così come ha riaffermato il Servo di Dio Giovanni Paolo ii presentando il nuovo Codice nell'Udienza del 3 febbraio 1983 (L'Osservatore Romano, 4 febbraio 1983); e la disuguaglianza riguarda non solo la varietà dei compiti ma anche dei membri:  "Pertanto, benché tutti i fedeli vivano in modo che comune è la dignità delle membra per la loro rigenerazione in Cristo, comune la grazia dei figli, comune la chiamata alla perfezione, una la salvezza, una la speranza ed indivisa la carità, tuttavia questa generale e mistica "eguaglianza" implica la già menzionata "diversità delle membra e degli uffici", sicché "grazie ai mezzi appropriati di unione visibile e sociale" (Lumen gentium, 8) vengono a manifestarsi la divina costituzione e l'organica "disuguaglianza" della Chiesa".

Al riguardo don Composta non si ferma al dato normativo vigente e non si risparmia la fatica di risalire alle fonti patristiche. Ricorda, infatti, che sant'Ambrogio nel De Mysteriis, riferendosi ai sacerdoti, distingue in essi lo status dall'usus, ossia lo stato dalla funzione, e che il motivo per cui, ancor prima, il celebre concilio di Elvira parlasse dei chierici siccome categoria distinta dai laici circa la legge del celibato:  omnibus clericis positis in ministerio abstinere se a coniugibus, è riconducibile all'honor clericatus, condizione, o status che precede appunto l'esercizio del ministero.

"Si agisce - afferma Composta - se si è", così esplicitando il chiaro e imperituro riferimento tomista al principio agere sequitur esse. Il chierico "non costituisce una casta, né si colloca in una categoria superiore rispetto ai laici; bensì è un cristiano che prima ancora di "diversificarsi" nei ministeri, "differisce" nello "status" specifico". Joseph Ratzinger aveva scritto nella Festa della fede:  "gli uomini non sono funzioni, ma hanno funzioni".

Solo una ricollocazione dunque teologicamente coerente degli status, officia, munera nella Chiesa, permette di non rompere la sin'ora mai alterata effettività del dover essere del sistema teologico-canonico e permette all'Autore di affrontare con pari semplicità e chiarezza argomenti spinosi quali la Sacra potestas, il rapporto tra diritto e magistero, il rapporto tra la potestà di ordine e quella di giurisdizione, nell'intersecarsi con la sistematica dei tria munera, nonché il problema della cooperazione dei laici alla potestas regiminis.

Con uguale sicurezza argomentativa è affrontata la trattazione afferente alla Nomologia canonico-teologica. Un trattato di teologia delle leggi canoniche, difatti - avverte Composta - è possibile a tre condizioni:  "Che si dimostri a) che le leggi canoniche sono teologiche, ossia che direttamente e indirettamente discendono da Cristo Legislatore. È il problema dell'origine della norma canonica; b) che le norme canoniche vincolano il fedele come qualsiasi altra vera norma morale. È il problema della natura o essenza delle leggi canoniche; c) che le leggi canoniche partecipano della stessa missione della Chiesa(...) È il problema del fine delle leggi canoniche".

L'individuazione del fondamento cristologico ed ecclesiologico delle norme canoniche è difatti la chiave di volta che permette di reggere la piena comprensione di un sistema, il quale non deriva dalle - e non può far uso esclusivo delle - pure categorie della teoria generale del diritto, né di quelle bibliche, ma si pone in un intersecarsi che è la vita concreta e quotidiana della Chiesa, nella dimensione delle condotte di foro tanto esterno, quanto interno, dei fedeli. Non il puro ordo fidei o ordo communionis, e neppure analogie con gli ordinamenti profani possono riuscire a descrivere la natura di verae leges delle norme canoniche, le quali, pur dunque essendo ordinationes rationis, tuttavia si caratterizzano ulteriormente per la loro origine cristologica, il fine soteriologico e la flessibilizzazione, portato peculiare dell'aequitas canonica.

L'opera si conclude con il trattato di Antropologia giuridico-teologica che affronta il problema della persona e della libertà del battezzato nella sua esistenza ecclesiale. Anche in questo caso Composta riesce a incastonare la trattazione giuridica in una visione d'insieme della persona battezzata, e a collocarla entro coordinate che descrivono:  anzitutto la dimensione della rigenerazione in Cristo e della comunione con la vita trinitaria, poi quella dell'unione del battezzato con la Chiesa (la sua dimensione costituzionale e il suo stato entro la compagine ecclesiale) e infine quella della partecipazione del fedele ai diritti doveri comuni a tutti i battezzati nonché a quelli propri.

È così che l'Autore affronta con stringente e convincente logica il problema della personalità canonica, ridefinendo un problema che in epoca postconciliare aveva creato incertezze interpretative, sbilanciandosi infatti l'indagine tra la posizione giuridicista di taluni canonisti attenti al quomodo persona sit membrum Ecclesiae e quella puramente teologica del quomodo homo fiat persona in Ecclesia. Entrambe, avverte Composta, lasciano zone d'ombra:  la prima non risolve il problema se e come altri uomini, oltre i battezzati, possano salvarsi; la seconda rischia il mero orizzontalismo delle iniziative del singolo ai fini della salvezza, con individuazioni maggiormente carismatiche della personalità nella Chiesa, definite personalità cristiana, spirituale, sacramentale e via dicendo.

Ancora una volta l'argomentare procede per composizione delle opposte sentenze, così definendo:  la persona misterica o soprannaturale nella triplice modalità di congiunzione alla Chiesa (i non battezzati, i battezzati acattolici, i cattolici), la persona ecclesiale, rappresentata da un lato dal carattere battesimale e dall'altro dall'unione del cattolico alla Chiesa visibile mediante i vincoli di fede, sacramenti, governo, e infine la personalità giuridica, rappresentata dalla capacità del battezzato di esercitare i propri diritti fondamentali, secondo una graduazione della stessa in base tanto al suo status cristianus, quanto in base al suo status clericale, laicale o religioso, secondo i vincoli liturgici, mistici e gerarchici.

La diffusione dell'opera e "l'influsso che gli spetta nell'insieme del lavoro teologico", auspicata nella presentazione di Ratzinger, non ebbe pieno seguito, probabilmente per la paziente sintesi degli opposti e per il carattere che ebbe e ha di concordia discordantium canonum, condotta alla luce della Tradizione. La talora disarmante e sicura semplicità proposta nelle soluzioni delle aporie ne causò, forse, la dimenticanza in un'epoca nella quale molto di nuovo, invece, si voleva scrivere sul nuovo Codice e tanto si insisteva sulla degiuridicizzazione della vita della Chiesa, all'insegna ora di ingenuità, ora di precomprensioni ideologiche alquanto.

Stemperato il dibattito, ricomposte talune rotture dottrinali, riteniamo che sia tempo per ristampare questo lavoro, armonioso e possente, e offrirlo alla lettura di quanti, con pacatezza, genuino metodo scientifico, onestà intellettuale, han desiderio di conoscere l'ordinamento giuridico della Chiesa a partire dalle sue strutturanti ragioni.

E infine, utili suggestioni e preziose indicazioni potrà trarre da questo sistematico studio chi riterrà ormai maturi i tempi (non ha forse parlato Papa Benedetto XVI di difficiliora tempora, scrivendo al suo segretario di Stato Tarcisio Bertone, in occasione del giubileo sacerdotale del cardinale?), onde por mano a un'intelligente rivisitazione di quel che in passato veniva definito "diritto pubblico ecclesiastico".

Vi è, ha detto il Papa nell'omelia per la solennità dei santi Pietro e Paolo del 2010, "una garanzia di libertà assicurata da Dio alla Chiesa, libertà sia dai lacci materiali che cercano di impedirne  o  coartarne  la  missione, sia dai mali spirituali e morali, che possono intaccarne l'autenticità e la credibilità".

E invero, pur doverosamente rivendicando la libertas Ecclesiae all'interno della difesa del diritto alla libertà religiosa, ribadito quale diritto fondamentale della persona, di cui la Chiesa con la dichiarazione conciliare Dignitatis humanae si fa portavoce e garante, credo che vada ugualmente salvaguardato alla Chiesa quell'irrinunciabile spazio di peculiare libertas che necessariamente consegue dall'autoconsapevolezza, da parte della Chiesa stessa, della propria identità ordinamentale e giuridica:  la Chiesa visibile è munita di un ordinamento giuridico primario, che le consente di colloquiare con le società civili, in quell'armonizzazione tra giurisdizioni - pur all'interno della società - che consegue al tramonto del monopolio statale della giurisdizione e al superamento di quel che è stato definito il semplicismo istituzionale di tale monopolio.

Siffatta autoconsapevolezza rappresenta e tutela la visibilità della Chiesa siccome essa si appalesa nei sentieri della storia.



(©L'Osservatore Romano - 2 ottobre 2010)
[Modificato da Caterina63 01/10/2010 21:21]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
OFFLINE
Post: 39.988
Sesso: Femminile
01/10/2010 21:22
 
Email
 
Scheda Utente
 
Quota

La nuova edizione de «La Chiesa visibile» di Dario Composta ripropone il fondamento teologico
e l'analisi delle norme che regolano la vita della comunità cristiana alla luce del vaticano II

A partire dalla fede
e dalla tradizione


È in uscita la seconda edizione del volume di Dario Composta La Chiesa visibile. La realtà teologica del diritto ecclesiale (Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 2010, pagine 526, euro 26). Pubblichiamo la presentazione che scrisse nel 1985 per la prima edizione il cardinale Joseph Ratzinger, all'epoca prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, e l'introduzione del curatore, prelato uditore della Rota Romana.


La riflessione sulla natura e sulla missione della Chiesa, che fu al centro del concilio vaticano II, ha dato una nuova urgenza anche all'antico problema della collocazione teologica del diritto nella Chiesa e della configurazione propria che ne consegue.

Con la fine del Concilio i preparativi per una nuova codificazione del diritto canonico dovevano essere energicamente affrontati. Con questo lavoro il problema era divenuto totalmente pratico:  quali sono gli elementi fondamentali della vita della Chiesa, che esigono un ordinamento giuridico, e come il diritto può dare loro delle norme, così da mettersi al servizio di questa vita? Come deve essere configurato il diritto di una comunità, il cui fondamento è la Grazia? Qual è la caratteristica tipica di questo diritto, la sua struttura, i suoi mezzi, i suoi scopi?

Proprio nella ricerca di una configurazione del codice di diritto canonico, che doveva inserirsi nella visione teologica della Chiesa formulata dal Concilio o meglio doveva da essa lasciarsi guidare, emerse con chiarezza quanto ogni singola affermazione del diritto canonico dipenda da opzioni teologiche. È chiaro ad esempio che il diritto canonico, al contrario della visione moderna del diritto civile non può essere semplicemente una libera disposizione del sovrano (nello Stato:  del popolo ovvero dei suoi rappresentanti), ma un diritto che promana da una lunga e ricca tradizione. Infatti il sovrano della Chiesa è il Signore, che è presente in essa tramite la Parola ed il Sacramento.

Perciò il diritto canonico si è sviluppato a partire dalla tradizione della fede e a partire dalla tradizione sacramentale, sovente in connessione con i concili ecumenici. Una codificazione è pertanto la raccolta e la cernita di ciò che la tradizione ha trasmesso, ma nello stesso tempo un atto del suo ulteriore sviluppo.

Nel contesto di tutto questo travaglio di rielaborazione una teologia del diritto canonico quale parte essenziale dell'ecclesiologia è divenuta un compito urgente. Nell'ambito protestante la discussione sul fondamento teologico e sulla corretta configurazione teologica del diritto canonico è presente da tempo, certamente anche perché la questione del diritto canonico si poneva tanto critica quanto ineludibile, da quando Martin Lutero - il quale del resto aveva dapprincipio studiato diritto - bruciò i libri del diritto (Corpus iuris) insieme con la bolla di scomunica che lo riguardava, per mostrare in modo spettacolare che egli considerava questo diritto canonico in contraddizione con il Vangelo.

Benché la discussione fra teologi e canonisti non sia stata sconosciuta neppure al medioevo, d'altra parte nella Chiesa cattolica vi fu una pacifica accettazione del valore del diritto e dello sviluppo del diritto, così che non vi fu motivo di riflettere sui fondamenti teologici del diritto al di là dei principi fondamentali comuni. Da quando però Rudolph Sohm (1841-1917), fondandosi su di un'impressionante conoscenza della storia del diritto canonico, ebbe avanzato la tesi "La Chiesa di Dio è libera(...) da ogni diritto" e influì in tal modo al di là dei confini della sua confessione, la riflessione su questo problema dovette cominciare anche da parte cattolica.

Al professor Composta dell'università Urbaniana va il merito di avere per primo elaborato una monografia cattolica completa su questo tema, che può ora presentarsi come un corrispondente al monumentale Recht der Gnade recentemente portato a termine dalla penna di Hans Dombois.
Saluto con soddisfazione il fatto che il professore Composta con un lavoro di vent'anni ha elaborato questa grande opera e ha così introdotto questo tema con tutte le sue esigenze nell'ambito della teologia cattolica. Auguro a questo importante libro molti lettori e l'influsso che gli spetta nell'insieme del lavoro teologico.

Roma, Pasqua 1985.



(©L'Osservatore Romano - 2 ottobre 2010)
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
OFFLINE
Post: 39.988
Sesso: Femminile
09/10/2010 12:37
 
Email
 
Scheda Utente
 
Quota


Leggi delle Chiese di rito orientale: storia e portata


20 anni dalla promulgazione del Codice di Diritto Canonico Orientale


di Carmen Elena Villa


CITTA' DEL VATICANO, venerdì, 8 ottobre 2010 (ZENIT.org).- Dopo 20 anni dalla promulgazione del Codice di Diritto Canonico Orientale, è necessario “far emergere la sua ricchezza disciplinare, spirituale e di dialogo, e studiarne ulteriori potenzialità applicative”.

Lo ha affermato questo giovedì mattina monsignor Cyril Vasil S.I., segretario della Congregazione per le Chiese Orientali e Vescovo di Tolemaide, in Libia.

Il Codice di Diritto Canonico per le Chiese Orientali è stato pubblicato nel 1990 e regola i 23 riti sui iuris della Chiesa cattolica. Per questa ragione, si svolgerà a Roma questi venerdì e sabato un congresso per commemorare la seconda decade della sua promulgazione.

I riti sui iris hanno origine nelle tradizioni alessandrina, antiochena, armena, caldea e costantinopolitana.

In materia di sacramenti e degli elementi essenziali della fede cattolica, i riti orientali hanno le stesse leggi del rito latino. Il compendio dei canoni per le Chiese orientali ha tuttavia elementi particolari.

Parlando con ZENIT, monsignor Vasil, di origine slovacca e appartenente al rito bizantino, ha detto che il Codice di Diritto Canonico per le Chiese orientali “rappresenta la conclusione di un iter formativo del Diritto Canonico con speciale riguardo per le Chiese cattoliche orientali”.

Con la promulgazione di questo compendio di leggi, ha segnalato, “è la prima volta nella storia che abbiamo un codice comune a tutte le Chiese cattoliche orientali e un codice promulgato insieme come un intero libro dal Romano Pontefice”.

Un po' di storia

La ricerca della promulgazione del Codice di Diritto Canonico per le Chiese orientali è nata nel 1927 sotto il pontificato di Pio XI, “con preparazione dei lavori previ e raccolta delle fonti delle singole Chiese orientali, raccolte nei numerosi volumi pubblicati nelle Chiese orientali stesse”, ha spiegato monsignor Cyril. Si è iniziato così a pubblicare “singole parti di un futuro codice”, ha riferito.

A questo scopo, sono stati pubblicati prima quattro motu proprio che coprivano gran parte della materia giuridica di questo Codice. Quando il testo era già pronto, Papa Giovanni XXIII annunciò la convocazione del Concilio Vaticano II, “e questo comportò un cambiamento di aspetti e la ripresa del lavoro sul nuovo Codice”, ha spiegato il segretario della Congregazione per le Chiese Orientali. I lavori sono così ripresi nel 1972.

Il Codice è stato approvato nel 1990 da Giovanni Paolo II, e ha rappresentato “il risultato dell'incessante preghiera della Chiesa”, ha detto monsignor Cyril.

E' un compendio di leggi che rappresenta “l'espressione della sua lunga tradizione spirituale e disciplinare (della Chiesa) e della saggezza di quei sacri pastori rivestiti della potestà conferita loro da Cristo per il bene delle anime”.

Un cammino lungo 20 anni


Monsignor Cyril ha anche sottolineato i successi dell'applicazione di questo Codice nei suoi due decenni di storia, che a suo avviso “sono sufficienti per poter vedere i primi risultati”.

Uno dei maggiori successi, ha commentato, è il progresso di una struttura più solida nella tradizione orientale e la sua valorizzazione ecclesiale. Ad esempio, la Chiesa malabar, la Chiesa malankar e la Chiesa rumena sono diventate Chiese arcivescovili maggiori. La Chiesa slovacca, dal canto suo, è ora una Chiesa metropolitana sui iuris.

Il presule si è quindi riferito al caso dell'Europa orientale, dopo il cambiamento dell'aspetto geopolitico. “Siamo stati testimoni della nascita di alcune nuove Chiese, o dello sbriciolamento delle strutture ecclesiali in nuove circoscrizioni ecclesiastiche senza una univoca collocazione giuridico-amministrativa”, ha indicato.

“Il futuro indicherà qual è la strada che deve prendere un ulteriore sviluppo di queste comunità, quale deve essere il loro cammino”.

In questo contesto, c'è un contributo speciale delle Chiese circoscritte al rito bizantino in Europa, che si incontrano annualmente per trattare in modo fraterno vari aspetti della vita pastorale e dell'aggiornamento teologico, liturgico e giuridico. “Il cammino intrapreso in questi incontri comincia a portare i frutti di una reciproca conoscenza, di condivisione delle problematiche di interesse comune, di crescita del senso di solidarietà fra le nostre Chiese”.

Ad ogni modo, esistono altre Chiese particolari che procedono più lentamente. “Guardando il mosaico delle Chiese orientali cattoliche, specialmente in Europa, vediamo che le singole Chiese camminano a velocità differenziate”, ha riconosciuto il segretario della Congregazione per le Chiese Orientali.

Ad esempio, ci sono sedi diocesane che hanno la sede vacante da un decennio, “e senza la gerarchia vera e propria, o anche quelle che purtroppo finora non hanno una formale struttura gerarchica”.

Monsignor Cyril ha quindi concluso dicendo che il Codice di Diritto Canonico delle Chiese Orientali è diventato “il migliore strumento pastorale” e che in queste Chiese si è raggiunto “un equilibrio di struttura interna e di strumenti tecnici”.



Il Codice di Diritto Canonico Orientale compie 20 anni


Intervista a monsignor Arrieta, segretario del dicastero per i Testi Legislativi


di Carmen Elena Villa


CITTA' DEL VATICANO, venerdì, 8 ottobre 2010 (ZENIT.org).- Quest'anno si festeggiano i 20 anni della promulgazione del Codice di Diritto Canonico Orientale. Si tratta della norma comune che regge le 23 Chiese sui iuris della Chiesa cattolica che raggruppa le cinque grandi tradizioni orientali di Alessandria, Antiochia, Armenia, rito caldeo e bizantino.

Per questo motivo è iniziato questo venerdì a Roma un Congresso di studi per ricordare questo importante anniversario. L'evento è organizzato dal Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi in collaborazione con la Congregazione per le Chiese Orientali, il Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità dei Cristiani e il Pontificio Istituto Orientale. Il Congresso è stato presentato questo giovedì mattina durante una conferenza stampa presso la Santa Sede.

Esperti sul tema analizzeranno l'evoluzione storica della codificazione orientale, l'attività legislativa delle Chiese orientali e gli aspetti ecumenici del Diritto orientale. Il Congresso terminerà sabato con un'udienza con Papa Benedetto XVI nella Sala Clementina.

Per capire meglio in cosa consiste e qual è l'importanza di questo documento, ZENIT ha intervistato monsignor Juan Ignacio Arrieta Ochoa de Chinchetru, segretario del Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi.

Che cos'è il Codice di Diritto Canonico Orientale?


Mons. Juan Ignacio Arrieta: E' un insieme di leggi, un libro che ha 1.700 canoni, che è una legislazione comune per tutte le 23 Chiese sui iuris, la legge comune a tutte loro. In questa legge comune si lascia poi che ciascuna di queste 23 Chiese sviluppi alcuni aspetti in base alla sua cultura, alla sua liturgia particolare, a seconda dei vari Paesi e della lingua originaria.

Perché hanno un Codice di Diritto Canonico diverso rispetto al rito latino?

Mons. Juan Ignacio Arrieta: Perché hanno tradizioni diverse. Nella Chiesa ci sono state due tradizioni che risalgono ai primi secoli del cristianesimo: tutte le Chiese orientali che gravitavano nell'area di Costantinopoli e poi tutte le Chiese latine occidentali che hanno gravitato direttamente da Roma, dal primato della Chiesa. Due tradizioni con due peculiarità. La cultura dell'Oriente non è come quella occidentale, anche se la società è sempre più mescolata. Si percepisce subito che le tradizioni sono diverse. Questo si riflette anche nella liturgia, nella disciplina, nelle regole di comportamento e anche in quelle della Chiesa. Per questo ci sono stati due mondi. Dall'Occidente è partita l'evangelizzazione dell'America e dell'Africa. L'Oriente è rimasto con le sue tradizioni e da qui è nata l'espansione in Asia, in Russia tra gli altri Paesi.

Quali sono gli elementi comuni dei due Codici di Diritto Canonico?

Mons. Juan Ignacio Arrieta: Molti dei loro canoni hanno in comune le leggi essenziali, più direttamente unite ai dogmi e alla fede che è comune. Tutti abbiamo in comune la stessa fede, cresciamo nelle stesse cose. Entrambi i Codici dicono che i sacramenti sono sette, o come si celebra il matrimonio, come si entra nella Chiesa attraverso il Battesimo, come si diventa sacerdote tramite l'ordinazione. C'è una serie di aspetti comuni.

Perché il Codice di Diritto Canonico contempla in alcuni riti orientali l'ordinazione di sacerdoti sposati?

Mons. Juan Ignacio Arrieta: Molte delle Chiese orientali sono Chiese che si sono unite a Roma dopo che ne erano separate, come avverrà con gli anglicani con la Costituzione Anglicanorum Coetibus. Erano state separate per secoli prima di riunirsi in comunione con Pietro. Questa separazione, in poche parole, è la disciplina che oggi troviamo anche tra gli ortodossi, perché anche in quel caso si ammette il sacerdozio di persone sposate. Nel caso di queste Chiese che si sono riunite con Roma, è stato permesso di mantenere questa disciplina, che non era mai stata presente nella Chiesa latina.

L'evento è collegato al Sinodo per il Medio Oriente?

Mons. Juan Ignacio Arrieta: Non sono stati pensati congiuntamente. Hanno coinciso e per questo abbiamo avvicinato le date per far sì che le persone che si recano a Roma per il Sinodo partecipino anche a questo evento.

Qual è l'obiettivo di un Congresso sul Codice di Diritto Canonico Orientale?


Mons. Juan Ignacio Arrieta: Aiutare queste Chiese perché molte di loro, che incontrano difficoltà a vivere nel proprio Paese o a svilupparsi giuridicamente, completino questo diritto particolare e proprio di ognuna di loro, perché deve essere plasmata l'identità di ciascuna di quelle Chiese, molto importante soprattutto in questa società di grande movimento. E' necessario che ci siano norme e che sia chiaro che cos'è ciascuna di loro.

[Traduzione dallo spagnolo di Roberta Sciamplicotti]





Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
OFFLINE
Post: 39.988
Sesso: Femminile
09/10/2010 18:40
 
Email
 
Scheda Utente
 
Quota

Benedetto XVI ai partecipanti al convegno di studio promosso dal Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi

Fioriscano le Chiese orientali cattoliche


Il diritto canonico ordinamento peculiare e indispensabile della compagine ecclesiale

Fioriscano le Chiese orientali cattoliche. Lo ha auspicato Benedetto XVI nel discorso ai partecipanti al convegno di studio promosso dal Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi, nel ventesimo anniversario della promulgazione del Codex Canonum Ecclesiarum Orientalium. Il Papa li ha ricevuti sabato mattina, 9 ottobre, nella Sala Clementina.

Signori Cardinali, Venerati Patriarchi, Arcivescovi Maggiori, Cari Fratelli nell'Episcopato e nel Sacerdozio, Illustri Rappresentanti di altre Chiese e Comunità ecclesiali, Egregi Operatori del Diritto Canonico Orientale,

con grande gioia vi accolgo a conclusione del Convegno di studio, col quale si è voluto opportunamente celebrare il ventesimo anniversario della promulgazione del Codex Canonum Ecclesiarum Orientalium. Vi saluto tutti cordialmente ad iniziare da Mons. Francesco Coccopalmerio, che ringrazio per le parole che mi ha rivolto anche a nome dei presenti. Un pensiero riconoscente alla Congregazione per le Chiese Orientali, al Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità dei Cristiani e al Pontificio Istituto Orientale, che hanno collaborato con il Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi nell'organizzare questo Convegno. Desidero esprimere cordiale apprezzamento ai Relatori per il competente apporto scientifico a questa iniziativa ecclesiale.

A vent'anni dalla promulgazione del Codex Canonum Ecclesiarum Orientalium vogliamo rendere omaggio all'intuizione del Venerabile Giovanni Paolo ii, il quale, nella sua sollecitudine affinché le Chiese orientali cattoliche "fioriscano e assolvano con nuovo vigore apostolico la missione loro affidata" (Conc. Ecum. Vat. ii, Decr. Orientalium Ecclesiarum, 1), ha voluto dotare queste venerande Chiese di un Codice completo, comune e adatto ai tempi.

Così si è adempiuta "la stessa costante volontà dei romani pontefici di promulgare due Codici, uno per la Chiesa latina e l'altro per le Chiese orientali cattoliche" (Cost. ap. Sacri canones). Al tempo stesso, si è riaffermata "chiarissima l'intenzione costante e ferma del supremo legislatore nella Chiesa a riguardo della fedele custodia e diligente osservanza di tutti i riti" (Ibid.)

Il Codex Canonum Ecclesiarum Orientalium è stato seguito da due altri importanti documenti del magistero di Giovanni Paolo ii:  la Lettera enciclica Ut unum sint (1995) e la Lettera apostolica Orientale Lumen (1995). Inoltre, non possiamo dimenticare il Direttorio per l'applicazione dei principi e delle norme sull'ecumenismo, pubblicato dal Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità dei Cristiani (1993) e l'Istruzione della Congregazione per le Chiese Orientali circa l'applicazione delle prescrizioni liturgiche del Codice (1996). In questi autorevoli documenti del Magistero diversi canoni del Codex Canonum Ecclesiarum Orientalium, come del Codex Iuris Canonici vengono quasi testualmente citati, commentati ed applicati alla vita della Chiesa.

Questa ricorrenza ventennale non è solo evento celebrativo per conservarne la memoria, bensì provvida occasione di verifica, alla quale sono chiamate anzitutto le Chiese orientali cattoliche sui iuris e le loro istituzioni, specie le Gerarchie. Al riguardo, la Costituzione Apostolica Sacri canones già prevedeva gli ambiti di verifica. Si tratta di vedere in quale misura il Codice abbia avuto effettivamente forza di legge per tutte le Chiese orientali cattoliche sui iuris e come sia stato tradotto nell'attività della vita quotidiana delle Chiese orientali; come pure in quale misura la potestà legislativa di ciascuna Chiesa sui iuris abbia provveduto alla promulgazione del proprio diritto particolare, tenendo presenti le tradizioni del proprio rito, come pure le disposizioni del Concilio Vaticano ii.

Le tematiche del vostro Convegno, articolate in tre unità:  la storia, le legislazioni particolari, le prospettive ecumeniche, indicano un iter quanto mai significativo da seguire in questa verifica. Essa deve partire dalla consapevolezza che il nuovo Codex Canonum Ecclesiarum Orientalium ha creato per i fedeli orientali cattolici una situazione disciplinare in parte nuova, diventando valido strumento per custodire e promuovere il proprio rito inteso come "patrimonio liturgico, teologico, spirituale e disciplinare, distinto per cultura e circostanze storiche di popoli, che si esprime in un modo di vivere la fede che è proprio di ciascuna Chiesa sui iuris" (can. 28,  1).

In proposito, i sacri canones della Chiesa antica, che ispirano la vigente codificazione orientale, stimolano tutte le Chiese orientali a conservare la propria identità, che è allo stesso tempo orientale e cattolica. Nel mantenere la comunione cattolica, le Chiese orientali cattoliche non intendevano affatto rinnegare la fedeltà alla loro tradizione. Come più volte è stato ribadito, la già realizzata unione piena delle Chiese orientali cattoliche con la Chiesa di Roma non deve comportare per esse una diminuzione nella coscienza della propria autenticità ed originalità. Pertanto, compito di tutte le Chiese orientali cattoliche è quello di conservare il comune patrimonio disciplinare e alimentare le tradizioni proprie, ricchezza per tutta la Chiesa.

Gli stessi sacri canones dei primi secoli della Chiesa costituiscono in larga misura il fondamentale e medesimo patrimonio di disciplina canonica che regola anche le Chiese ortodosse. Pertanto, le Chiese orientali cattoliche possono offrire un peculiare e rilevante contributo al cammino ecumenico. Sono lieto che nel corso del vostro simposio abbiate tenuto conto di questo particolare aspetto e vi incoraggio a farne oggetto di ulteriori studi, cooperando così, da parte vostra al comune impegno di aderire alla preghiera del Signore:  "Tutti siano una cosa sola... perché il mondo creda..." (Gv 17, 21).

Cari amici, nell'ambito dell'attuale impegno della Chiesa per una nuova evangelizzazione, il diritto canonico, come ordinamento peculiare ed indispensabile della compagine ecclesiale, non mancherà di contribuire efficacemente alla vita e alla missione della Chiesa nel mondo, se tutte le componenti del Popolo di Dio sapranno saggiamente interpretarlo e fedelmente applicarlo. Esorto perciò, come fece il Venerabile Giovanni Paolo ii, tutti i diletti figli orientali "a osservare i precetti indicati con animo sincero e con umile volontà, non dubitando minimamente che le Chiese orientali provvederanno nel miglior modo possibile al bene delle anime dei fedeli cristiani con una rinnovata disciplina, e che sempre fioriranno e assolveranno il compito loro affidato sotto la protezione della gloriosa e benedetta sempre vergine Maria che con piena verità è chiamata Theothokos e che rifulge come madre eccelsa della Chiesa universale" (Cost. ap. Sacri canones).

Accompagno questo auspicio con la Benedizione Apostolica, che imparto a voi e a quanti recano il proprio contributo nei vari campi connessi con il diritto canonico orientale.


(©L'Osservatore Romano - 10 ottobre 2010)




                                                             Pope Benedict XVI arrives for a private audience with Croatian President Ivo Josipovic on October 9, 2010 at the Vatican.


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
OFFLINE
Post: 39.988
Sesso: Femminile
11/11/2010 18:43
 
Email
 
Scheda Utente
 
Quota

Intervento del cardinale segretario di Stato Tarcisio Bertone

Il diritto canonico
nella missione
della Chiesa


Roma, 11. "Come la dottrina senza la pastorale resta lettera morta, così la pastorale senza la dottrina resta evanescente e rischia di produrre modelli da evitare piuttosto che da seguire".

È quanto ha sottolineato il cardinale segretario di Stato, Tarcisio Bertone, intervenendo questo pomeriggio, nella Sala Riaria del Palazzo della Cancelleria, alla presentazione dell'opera Iustitia et Iudicium. Studi di diritto matrimoniale e processuale canonico in onore di Antoni Stankiewicz (a cura di Jasnusz Kowal e Joaquin Llobell, Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 2010, pagine 1238, euro 70).

Ricordando la "fervida attività di giurista e di giudice competente e scrupoloso" di monsignor Stankiewicz, vescovo decano del Tribunale della Rota Romana, Bertone si è soffermato sull'importanza del diritto canonico, quale "disciplina fondamentale nella missione della Chiesa".

Il compito di amministrare la giustizia nella Chiesa è "un'alta ed ardua missione".

E per monsignor Stankiewicz - ha rilevato Bertone - "essa è diventata un impegno di vita, quasi una vocazione nella vocazione sacerdotale, vissuta in piena fedeltà al Vangelo e alla norma codiciale e accompagnata da quella tipica mitezza della sua persona". Così, "pensando al profilo umano, giudiziario e ecclesiale del canonista e del giudice Stankiewicz, che, a nome della Chiesa, tratta e giudica la condizione di molti fedeli" viene in mente "l'icona del Buon Pastore". In questo senso - ha aggiunto il porporato - "per quanto concerne l'impegno circa il diritto matrimoniale, monsignor Stankiewicz si è sforzato costantemente d'inquadrare ogni suo studio giuridico sul matrimonio nella luce dei principi che tale istituto riceve dalla sua natura sacramentale, traendo da questo imprescindibile criterio tutte le giuste e dovute conseguenze. Del resto, se il discorso giuridico sul matrimonio non avesse basi teologiche, le sue conclusioni e il complesso delle norme cui dà origine non sarebbero di natura canonistica, cioè ecclesiale". La normativa canonica matrimoniale, infatti, "risulta valida solo quando alla sua base ha una corrispondente sana teologia. Quando invece viene disatteso il dato teologico, ne deriva una visione giuridica puramente positivista, naturalista, priva pertanto della luce soprannaturale e della forza evangelica".

E nell'accostare e nel trattare la normativa processuale, monsignor Stankiewicz "ha saputo tener presenti le istanze pastorali e quelle dottrinali, tanto che il suo lavoro di canonista è contraddistinto da una capacità di sintesi, che non solo non contrasta con la norma, ma la serve e la corrobora affinché la sua efficacia sia piena, salutare e veramente utile alla comunità ecclesiale per la quale è codificata. Siamo consapevoli, infatti, che poco vale la dottrina se non viene messa a servizio della vita delle comunità ecclesiali, se non trova validi strumenti di attuazione. Inefficaci rimangono quelle leggi che non incidono sulla quotidianità dei rapporti umani o che, per mancanza di adeguati strumenti applicativi, restano lettera morta".

Nella Chiesa, infatti, "non bastano gli organi giurisdizionali; insufficienti sono gli strumenti di produzione giuridica, di interpretazione della legge e di applicazione della norma anche se accompagnate da corrispondenti sanzioni. La Chiesa sa che la sua azione legislativa, giudiziaria e coattiva, per essere pienamente efficace, deve produrre convincimenti nel singolo e nella comunità non solo a livello di comportamento esteriore, ma anzitutto di coscienza. È proprio partendo da questa esigenza fondamentale che emerge la necessità pratica che la dottrina come la norma canonica siano accompagnate da una valida ed intelligente azione pastorale.

D'altro canto, la pastorale nella Chiesa presuppone un'idonea formazione dottrinale; esige e postula delle direttive talora anche sanzionate dalla norma giuridica, le quali permettono un'ordinata convivenza tra gli individui e, quindi, in ultima analisi, sono a servizio del bene comune.


(©L'Osservatore Romano - 12 novembre 2010)

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
OFFLINE
Post: 39.988
Sesso: Femminile
01/12/2010 19:17
 
Email
 
Scheda Utente
 
Quota

Il cardinale Ratzinger e la revisione del sistema penale canonico in tre lettere inedite del 1988

Un ruolo determinante


Questo articolo del vescovo segretario del Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi sarà pubblicato nel prossimo numero de "La Civiltà Cattolica" in una forma più ampia.
  
 

di Juan Ignacio Arrieta

Nelle prossime settimane il Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi invierà ai propri membri e consultori una bozza con alcune proposte per la riforma del libro vi del Codex iuris canonici, base del sistema penale della Chiesa. Una commissione di esperti penalisti ha lavorato per quasi due anni, rivedendo il testo promulgato nel 1983 per mantenere l'impianto generale e la numerazione dei canoni, ma anche per modificare decisamente alcune scelte dell'epoca rivelatesi meno riuscite.

L'iniziativa nasce dal mandato conferito da Benedetto XVI ai nuovi superiori del dicastero il 28 settembre 2007. Da quell'incontro è risultato evidente come l'indicazione rispondesse a un convincimento profondo del Papa, maturato in anni di esperienza diretta, e a una preoccupazione per l'integrità e la coerente applicazione della disciplina nella Chiesa; convincimento e preoccupazione che hanno guidato i passi del cardinale Joseph Ratzinger sin dall'inizio del suo lavoro come prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, malgrado le oggettive difficoltà provenienti, tra l'altro, dal particolare momento legislativo vissuto all'indomani della promulgazione del Codex. Per valutarlo meglio occorre ricordare alcune particolarità del quadro legislativo allora appena ridisegnato.

Il sistema penale
del Codex iuris canonici

Il sistema penale del Codex del 1983 possiede un impianto sostanzialmente nuovo rispetto a quello del 1917, e s'inquadra nel contesto ecclesiologico disegnato dal concilio Vaticano ii. Per quanto riguarda la disciplina penale, vuole ispirarsi anche ai criteri di sussidiarietà e di "decentramento", concetto usato per indicare la particolare attenzione riservata al diritto particolare e, soprattutto, all'iniziativa dei singoli vescovi nel governo pastorale, essendo essi, come insegna il concilio (cfr. Lumen gentium, n. 27), vicari di Cristo nelle rispettive diocesi. Nella maggioranza dei casi, infatti, il Codex affida alla valutazione degli Ordinari locali e dei superiori religiosi il discernimento sull'opportunità o meno di imporre sanzioni penali, e sul modo di farlo.

Ma un altro fattore ha segnato, ancora più profondamente, il nuovo diritto penale canonico:  le formalità giuridiche e i modelli di garanzia stabiliti per applicare le pene canoniche. Infatti, in coerenza con l'enunciato dei diritti fondamentali di tutti i battezzati per la prima volta espresso dal Codex, si sono adottati sistemi di protezione e di tutela di questi diritti, desunti in parte dalla tradizione canonica, in parte da altre esperienze giuridiche, talvolta in modo non del tutto rispondente alla realtà della Chiesa in tutto il mondo.

Le garanzie sono imprescindibili, particolarmente nel sistema penale; occorre tuttavia che esse siano bilanciate e consentano l'effettiva tutela dell'interesse collettivo. L'esperienza successiva ha dimostrato come alcune delle tecniche adoperate dal Codex a garanzia dei diritti non fossero imprescindibili, e che avrebbero potuto essere sostituite da altre garanzie più consone con la realtà ecclesiale. Anzi, queste tecniche rappresentavano in vari casi, un oggettivo ostacolo, talvolta insuperabile per la scarsità di mezzi, all'effettiva applicazione del sistema penale.

Si potrebbe dire, per quanto paradossale possa ora risultare questa constatazione, che il libro vi sulle sanzioni penali sia, nel Codex, quello che ha potuto beneficiare di meno da quelle continue altalene normative che hanno caratterizzato il periodo post-conciliare. Altri settori della disciplina canonica, infatti, hanno avuto l'opportunità di confrontarsi con la realtà concreta della Chiesa attraverso norme ad experimentum, che hanno consentito poi di valutare l'esito dei risultati, positivo o negativo che fosse, al momento di redigere le norme definitive. Il sistema penale, viceversa, pur essendo del tutto nuovo, o quasi, rispetto al precedente, non ha avuto opportunità di riscontro sperimentale, esordendo da zero nel 1983. Il numero dei delitti tipizzati era stato drasticamente ridotto ai soli comportamenti di speciale gravità, e l'imposizione delle sanzioni rimessa ai criteri di valutazione di ciascun Ordinario, inevitabilmente diversi.

C'è da aggiungere che su questo settore della disciplina canonica si sentiva particolarmente - e si sente tuttora - l'influsso di un diffuso anti-giuridicismo, che si traduceva, tra l'altro, nella difficoltà di riuscire a comporre le esigenze della carità pastorale con quelle della giustizia e del buon governo. Perfino la redazione di alcuni canoni del Codex, infatti, contiene richiami alla tolleranza che potrebbero essere indebitamente letti come volontà di dissuadere l'Ordinario dall'impiego delle sanzioni penali laddove ciò fosse necessario per esigenze di giustizia.

Una richiesta del cardinale Ratzinger
(19 febbraio 1988)

In questo quadro legislativo rappresentò un evidente elemento di contrasto una lettera scritta il 19 febbraio 1988 dal prefetto della Sacra Congregazione per la Dottrina della Fede, il cardinale Ratzinger, al presidente della Pontificia Commissione per l'Interpretazione autentica del Codice di Diritto Canonico, cardinale José Rosalío Castillo Lara. Si tratta di un documento importante e unico, ove si denunciano le negative conseguenze che stavano producendo nella Chiesa alcune opzioni del sistema penale stabilito appena cinque anni prima. Lo scritto è riemerso nel quadro dei lavori realizzati in questo periodo per la revisione del libro VI.

La motivazione della lettera è ben circoscritta. La Congregazione per la Dottrina della Fede era a quell'epoca competente per studiare le richieste di dispensa dagli oneri sacerdotali assunti con l'ordinazione. La relativa dispensa veniva concessa come gesto di grazia da parte della Chiesa, dopo avere da un lato vagliato attentamente l'insieme di tutte le circostanze concorrenti nel singolo caso e dall'altro soppesato l'oggettiva gravità degli impegni assunti davanti a Dio e alla Chiesa al momento dell'ordinazione sacerdotale. Le circostanze che motivavano alcune delle richieste di dispensa da questi impegni, tuttavia, erano tutt'altro che meritorie di atti di grazia. Il testo della lettera è eloquente: 

«Eminenza, questo Dicastero, nell'esaminare le petizioni di dispensa dagli oneri sacerdotali, incontra casi di sacerdoti che, durante l'esercizio del loro ministero, si sono resi colpevoli di gravi e scandalosi comportamenti, per i quali il cjc, previa apposita procedura, prevede l'irrogazione di determinate pene, non esclusa la riduzione allo stato laicale.
Tali provvedimenti, a giudizio di questo Dicastero, dovrebbero, in taluni casi, per il bene dei fedeli, precedere l'eventuale concessione della dispensa sacerdotale, che, per natura sua, si configura come "grazia" a favore dell'oratore. Ma attesa la complessità della procedura prevista a tal proposito dal Codex, è prevedibile che alcuni Ordinari incontrino non poche difficoltà nell'attuarla.
Sarei pertanto grato all'Eminenza Vostra Rev.ma se potesse far conoscere il Suo apprezzato parere circa l'eventuale possibilità di prevedere, in casi determinati, una procedura più rapida e semplificata»


La lettera rispecchia, innanzitutto, la naturale ripugnanza del sistema di giustizia a concedere come atto di grazia (dispensa dagli oneri sacerdotali) qualcosa che occorre, invece, imporre come castigo (dimissione ex poena dal sacerdozio). Volendo evitare le complicazioni tecniche delle procedure stabilite dal Codex per punire condotte delittuose, infatti, si faceva talvolta ricorso alla volontaria richiesta del colpevole di abbandonare il sacerdozio. In questo modo si arrivava allo stesso risultato "pratico" di espellere il soggetto dal sacerdozio, se tale era la sanzione penale prevista, aggirando al contempo "noiose" procedure giuridiche. Era un modo "pastorale" di procedere, come si soleva dire, a margine di quanto prevedesse il diritto. Agendo così, però, si rinunciava alla giustizia e - come motivava il cardinale Ratzinger - si lasciava ingiustamente da parte "il bene dei fedeli". Tale era il motivo centrale della richiesta, nonché la ragione per cui occorreva dare priorità, in questi casi, all'imposizione di giuste sanzioni penali per mezzo di procedure più rapide e semplificate di quelle indicate nel Codex.
Bisogna tener conto che, sebbene il Codex (cfr. can. 1362 1, 1) riconoscesse l'esistenza di una giurisdizione specifica della Congregazione per la Dottrina della Fede in materia penale anche al di fuori dei casi di evidente carattere dottrinale, non era affatto evidente nel contesto normativo di allora quali altri reati concreti potessero rientrare nella competenza penale del dicastero. Il canone 6 del Codex aveva peraltro abrogato espressamente qualunque altra legge penale prima esistente.
La lettera del cardinale Ratzinger presuppone, perciò, che la responsabilità giuridica in materia penale ricada sugli Ordinari o sui superiori religiosi, come risulta dalla lettera del Codex.

La risposta
(10 marzo 1988)

Nel giro di tre settimane arrivò la risposta del cardinale Castillo Lara, con lettera del 10 marzo 1988. La tempestività e il contenuto del responso si capiscono se si tiene conto della particolarità del momento legislativo:  essendo appena terminato lo sforzo codificatore che per decenni aveva occupato la Commissione, infatti, erano ancora in fase di completamento tutti gli adeguamenti alla nuova disciplina delle altre norme del diritto universale e particolare. La risposta certo condivideva le motivazioni addotte e la bontà del criterio di anteporre le sanzioni penali alla concessione di grazie; inevitabilmente, però, confermava la necessità prioritaria di dare il dovuto seguito alle norme del Codex appena promulgato: 

«Capisco bene la preoccupazione di Vostra Eminenza per il fatto che gli Ordinari interessati non abbiano esercitato prima la loro potestà giudiziaria per punire adeguatamente, anche a tutela del bene comune dei fedeli, tali delitti. Tuttavia il problema non sembra essere di procedura giuridica ma di responsabile esercizio della funzione di governo.
Nel vigente Codice sono stati chiaramente determinati i delitti che possono comportare la perdita dello stato clericale:  essi sono configurati ai cann. 1364 1, 1367, 1370, 1387, 1394 e 1395. Allo stesso tempo è stata semplificata molto la procedura rispetto alle precedenti norme del cic 1917, resa così più rapida e snella, anche allo scopo di stimolare gli Ordinari all'esercizio  della loro autorità, attraverso il necessario giudizio dei colpevoli ad normam iuris e l'applicazione delle previste sanzioni.
Cercare di semplificare ulteriormente la procedura giudiziaria per infliggere o dichiarare sanzioni tanto gravi come la dimissione dallo stato clericale, oppure cambiare l'attuale norma del 1342 2 che proibisce di procedere in questi casi con decreto amministrativo extragiudiziale (cfr. can. 1720), non sembra affatto conveniente. Infatti da una parte si metterebbe in pericolo il diritto fondamentale di difesa - in cause poi che interessano lo stato della persona -, mentre dall'altra parte si favorirebbe la deprecabile tendenza - per mancanza forse della dovuta conoscenza o stima del diritto - ad un equivoco governo cosiddetto "pastorale", che in fondo pastorale non è, perché porta a trascurare il dovuto esercizio della autorità con danno del bene comune dei fedeli.
Anche in altri periodi difficili della vita della Chiesa, di confusione delle coscienze e di rilassamento della disciplina ecclesiastica, i sacri Pastori non hanno mancato di esercitare, per tutelare il bene supremo della salus animarum, la loro potestà giudiziaria».


La lettera fa, poi, un excursus sul dibattito che, nel corso dei lavori di revisione del Codex, s'era sviluppato prima di decidere di non inserirvi la cosiddetta dimissione ex officio dallo stato clericale. "Tutto ciò considerato - concludeva la risposta - questa Pontificia Commissione è dell'opinione che si debba insistere opportunamente presso i Vescovi (cfr. can. 1389), perché, ogni volta che ciò si renda necessario, non manchino di esercitare la loro potestà giudiziaria e coattiva, invece di inoltrare alla Santa Sede le petizioni di dispensa".
Pur condividendo l'esigenza di fondo di tutelare il "bene comune dei fedeli", infatti, la Commissione riteneva rischioso rinunciare ad alcune concrete garanzie anziché esortare chi ne aveva le responsabilità affinché attuasse le disposizioni del diritto. Lo scambio di lettere si concluse con una cortese risposta, il 14 maggio successivo, del cardinale Ratzinger: 

«Mi pregio comunicarLe che è pervenuto a questo Dicastero il Suo apprezzato voto circa la possibilità di prevedere una procedura più rapida e semplificata dell'attuale per l'irrogazione di eventuali sanzioni da parte dei competenti Ordinari, nei confronti di sacerdoti che si sono resi colpevoli di gravi e scandalosi comportamenti. Al riguardo, desidero assicurare l'Eminenza Vostra Rev.ma che quanto da Lei esposto sarà tenuto in attenta considerazione da parte di questa Congregazione».


Competenze più estese
(28 giugno 1988)

La vicenda appariva chiusa, ma il problema non era risolto. Di fatto, il primo importante segno di cambiamento della situazione si ebbe proprio un mese dopo, il 28 giugno 1988, con la promulgazione della vigente costituzione apostolica Pastor bonus, che ha modificato l'assetto complessivo della Curia romana stabilito nel 1967 dalla Regimini Ecclesiae universae, riordinando le competenze dei singoli dicasteri. L'articolo 52 stabilisce chiaramente la giurisdizione penale esclusiva della Congregazione per la Dottrina della Fede, non solo rispetto ai delitti contro la fede o nella celebrazione dei Sacramenti, ma anche riguardo ai "delitti più gravi commessi contro la morale", procedendo "a dichiarare o ad infliggere le sanzioni canoniche a norma del diritto".

Questo testo, evidentemente indicato dalla Congregazione presieduta dal cardinale Ratzinger sulla base della propria esperienza, risulta in diretta relazione con quanto si sta qui esaminando, e rispetto alla situazione precedente il cambiamento della costituzione apostolica Pastor bonus è di evidente rilievo. In un quadro normativo presieduto dai criteri di sussidiarietà e di "decentramento", dunque, la Pastor bonus realizzava adesso un atto giuridico di "riserva" alla Santa Sede (cfr. can. 381 1) di un'intera categoria di delitti, che il Pontefice affidava alla giurisdizione esclusiva della Congregazione per la Dottrina della Fede. È assai dubbio che una scelta del genere, la quale determinava meglio le competenze della Congregazione e modificava il criterio del Codex su chi dovesse applicare queste pene canoniche, sarebbe stata realizzata se il sistema avesse complessivamente funzionato.

La suddetta norma, però, risultava ancora insufficiente sul piano operativo. Elementari esigenze di sicurezza giuridica, infatti, imponevano la necessità di identificare prima quali fossero in concreto quei "delitti più gravi contro la morale" che la Pastor bonus affidava alla Congregazione sottraendoli alla giurisdizione degli Ordinari.

Due rilevanti interventi successivi

Gli episodi illustrati riguardano un breve lasso di tempo:  alcuni mesi della prima metà del 1988. Negli anni successivi si è cercato ancora di far fronte alle emergenze apparse nell'ambito penale nella Chiesa seguendo i criteri generali del Codex del 1983, sostanzialmente riassunti nella lettera del cardinale Castillo Lara. Si è avuto cura, infatti, di incoraggiare l'intervento degli Ordinari locali, volendo talvolta agevolare le procedure, oppure attraverso un diritto speciale, in dialogo con le Conferenze episcopali.

L'esperienza che continuava a emergere, tuttavia, confermava l'insufficienza di queste soluzioni, e la necessità di prenderne altre, di maggiore respiro e su un altro livello. Due di esse hanno significativamente modificato il quadro del diritto penale canonico sul quale ha dovuto lavorare in questi ultimi mesi il Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi, ed entrambe hanno l'attuale Pontefice come attore, in perfetta continuità con le preoccupazioni espresse nella sua lettera del 1988.

La prima iniziativa, abbastanza nota, riguarda verso la fine degli anni Novanta la preparazione delle Norme sui cosiddetti delicta graviora, che hanno dato effettività all'articolo 52 della costituzione apostolica Pastor bonus, indicando concretamente quali delitti contro la morale fossero da ritenere "particolarmente gravi" e, quindi, di esclusiva giurisdizione della Congregazione per la Dottrina della Fede. Queste Norme, promulgate nel 2001, appaiono in controtendenza rispetto ai criteri previsti dal Codex per l'applicazione delle sanzioni penali, cosicché in tanti ambienti sono state subito bollate come accentratrici, mentre, in realtà, rispondevano a un preciso dovere di supplenza:  in primis per risolvere un serio problema ecclesiale di operatività del sistema penale, in secundis per assicurare un trattamento uniforme di queste cause in tutta la Chiesa. A tale scopo la Congregazione ha dovuto preparare le corrispondenti norme interne di procedura e poi riorganizzare il dicastero per consentire questa attività giudicante in accordo con le regole processuali del Codex.

Dopo il 2001, inoltre, sulla base dell'esperienza giuridica che affiorava, il cardinale Ratzinger ha ottenuto da Giovanni Paolo II nuove facoltà e dispense per gestire le varie situazioni, giungendo addirittura alla definizione di nuove fattispecie penali. Questi adeguamenti successivi sono ora nelle Norme sui delicta graviora pubblicate dalla Congregazione nello scorso luglio.

Vi è stata però una seconda iniziativa del cardinale Ratzinger che ha contribuito a modificare il panorama dell'applicazione del diritto penale nella Chiesa. Si tratta del suo intervento come membro della Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli nella preparazione delle facoltà speciali concesse a questo dicastero per far fronte, in via anche di supplenza, ad altro genere di problemi disciplinari nei luoghi di missione. Non è difficile capire, infatti, come, a causa della scarsità di mezzi di ogni tipo, gli ostacoli per attuare il sistema penale del Codex si facessero sentire soprattutto nelle circoscrizioni di missione dipendenti dalla Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli, che rappresentano quasi la metà del mondo cattolico.

Perciò, nell'adunanza plenaria del febbraio 1997, la Congregazione ha deciso di sollecitare dal Papa facoltà speciali che le permettessero di potere intervenire per via amministrativa, in determinate situazioni penali, al margine delle disposizioni generali del Codex; di quella plenaria era relatore il cardinale Ratzinger. Come si sa, queste facoltà sono state aggiornate e ampliate nel 2008, e altre di natura analoga sono state poi concesse alla Congregazione per il Clero.

L'esperienza dirà in quale misura le modifiche che s'intende adesso apportare al libro vi riusciranno a riequilibrare la situazione, rendendo non più necessarie le misure speciali. In ogni caso, determinante in questo processo più che ventennale di rinnovamento della disciplina penale è stato il ruolo della decisa azione del cardinale Ratzinger, fino a rappresentare una delle costanti che sin dall'inizio hanno caratterizzato i suoi anni romani.


(©L'Osservatore Romano - 2 dicembre 2010)
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
OFFLINE
Post: 39.988
Sesso: Femminile
21/01/2012 08:57
 
Email
 
Scheda Utente
 
Quota

Presentato alla Lateranense il Commento al Codice di diritto canonico


Monsignor Dal Covolo: "Non c'è contrapposizione tra aspetto giuridico e pastorale"


ROMA, giovedì, 19 gennaio (ZENIT.org) - La pastorale della Chiesa, guidata dal Papa e dai Vescovi è la dimensione corretta della giustizia in un periodo storico di forte relativismo. La dimensione giuridica e quella pastorale sono inseparabilmente unite nella Chiesa e quindi il volume con il commento giuridico pastorale del Codice di diritto canonico si trasforma in uno strumento importante per evitare procedure relativistiche e un’interpretazione meramente soggettiva delle norme canoniche.

Questi, in sintesi, alcuni dei concetti espressi alla presentazione della terza edizione di Commento giuridico-pastorale sul Codice di diritto canonico, presentato martedì 17 gennaio presso l’Aula Paolo VI della Pontificia Università Lateranense.

L’opera aveva già conosciuto due edizioni, nel 1986 e 1996, firmate dal suo autore, il compianto mons. Luigi Chiappetta, mentre ora viene riproposta questa edizione, curata da un team di noti docenti e cultori del Diritto canonico: i professori Francesco Catozzella, Arianna Catta, Claudia Izzi e Luigi Sabbarese.

Dopo i saluti del rettore della Pontificia Università Lateranense, monsignor Enrico Dal Covolo, e di padre Pier Luigi Cabri, Direttore Editoriale delle EDB, hanno presentato l’opera il presidente emerito della Prefettura degli Affari Economici della Santa Sede, il cardinale Velasio de Paolis, e Luigi Sabbarese, uno dei curatori e professore ordinario della Facoltà di Diritto Canonico della Pontificia Università Urbaniana. Ha moderato l’incontro il claretiano Manuel Jesus Arroba Conde, Preside del Pontificio Istituto Utriusque Iuris.

Il rettore della Lateranense ha ricordato che “In maniera coerente allo spirito del Concilio Vaticano II, il Codice di Diritto canonico, promulgato dal Beato Papa Giovanni Paolo II nel 1983, ha evidenziato l’indole naturalmente giuridica di ogni esperienza umana, e delle relazioni che si costituiscono nella comunità ecclesiale”.

“Nella Chiesa non c’è spazio per mentalità e procedure relativistiche - ha aggiunto - con la conseguenza inevitabile di una visione distorta del diritto e di un’interpretazione meramente soggettiva delle norme canoniche. In un contesto culturale segnato dal relativismo e dal positivismo giuridico, la pastorale della Chiesa, guidata dal Papa e dai Vescovi, è la dimensione corretta per ricondurre la persona umana al diritto e alla giustizia”.

Dal Covolo ha insistito, altresì, sul rischio di identificare il diritto della Chiesa con la sola attività giudiziaria. “Tra i due aspetti, quello giuridico e quello pastorale - ha spiegato il presule - non vi è contrapposizione, quanto piuttosto complementarietà. Diritto e pastorale, quindi, costituiscono un “binomio inscindibile” per il bene della Chiesa e per la salus animarum, così come il santo Padre Benedetto XVI ha affermato quasi un anno fa, nel suo più recente intervento al Tribunale della Rota Romana.

Il rettore della Lateranense ha proseguito citando un’Allocuzione del 1990 del beato Giovanni Paolo II: “Non è vero che per essere più pastorale il diritto debba rendersi meno giuridico [...]. La dimensione giuridica e quella pastorale sono inseparabilmente unite nella Chiesa, pellegrina su questa terra. Anzitutto, vi è una loro armonia derivante dalla comune finalità: la salvezza delle anime”.

Mons. Dal Covolo ha manifestato la sua convinzione “che questo Commento al Codice, che conserva giustamente la firma di mons. Chiappetta, costituisca davvero una miniera di informazioni indispensabili per studenti, docenti e operatori del diritto”.

La nuova edizione continua a mantenere il triplice profilo delle precedenti edizioni che raccolgono tutti i canoni del Codex Iuris Canonici: la legislazione universale, il diritto particolare e complimentare e la normativa pattizia.

L’aggiornamento ha riguardato la normativa complementare della Conferenza episcopale italiana ma anche il nuovo panorama normativo, tenendo conto delle mutazioni legislative apportate ad alcuni canoni del Codice, e anche in considerazione di ulteriore e nuova legislazione apportate ad alcuni canoni del Codice.

 

[SM=g1740771] 


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
OFFLINE
Post: 39.988
Sesso: Femminile
25/08/2012 17:41
 
Email
 
Scheda Utente
 
Quota

La tutela dell’Eucarestia, bene sommo della Chiesa


Il significato autentico del canone 1367 del Codice di diritto canonico, su cui recentemente si è pronunciato il Pontificio Consiglio per l’interpretazione dei testi legislativi


del cardinale Vincenzo Fagiolo  da 30giorni settembre 1999


Con il canone 1367 del Codice di diritto canonico (CIC) è stato interpretato altresì il canone 1442 del Codice dei canoni delle Chiese orientali (CCEO), riguardando il primo la sola Chiesa latina (cfr. can. 1 CIC). L’organo della Santa Sede competente – oltre al legislatore, cioè il papa – ad interpretare autenticamente le leggi sia della Chiesa latina sia delle Chiese orientali è il Pontificio Consiglio per l’interpretazione dei testi legislativi.

Sia il 1367 che il 1442 sono canoni che sanzionano pene per delitti commessi da fedeli battezzati (cfr. can. 11 CIC; can. 1490 CCEO) contro la religione (cfr. cann. 1364-1369 CIC). Sanzionano infatti la pena della scomunica per coloro che profanano le specie consacrate del pane e del vino nelle quali è presente Cristo Signore, in corpo, sangue, anima e divinità (cfr. can. 897 CIC; can. 698 CCEO). Nella Chiesa latina tale scomunica è latae sententiae, vi si incorre ipso facto: cioè per il fatto stesso del commesso delitto; quindi la scomunica è automatica (cfr. can. 1367 CIC).

Nelle Chiese orientali cattoliche è scomunica “maggiore”
ferendae sententiae, vi si incorre cioè dopo che è stata inflitta dalla competente autorità (cfr. 1442 CCEO). Va però notato che non ogni profanazione delle specie eucaristiche costituisce delitto, ancorché vi sia peccato. Il delitto lo configurano tassativamente tre specifici atti, che la legge penale indica con tre verbi: abicit, abducit, retinet (cfr. cann. 1367 CIC e 1442 CCEO). È stabilita la scomunica per chi getta in terra (abicit) le specie eucaristiche, per chi le asporta (abducit) e/o le conserva (retinet) a scopo sacrilego.


Il dubbio che ha preso in esame e al quale ha risposto il citato Consiglio non riguarda né il secondo (abducit) né il terzo (retinet) tipo di profanazione delle specie eucaristiche, ma soltanto il primo (abicit).
Il tradimento di Giuda, Giotto, Cappella degli Scrovegni, Padova

Il tradimento di Giuda, Giotto, Cappella degli Scrovegni, Padova

Incorre nella scomunica «qui species consecratas abicit» (chi getta in terra le specie consacrate). Inesatta la traduzione italiana di questo primo comma del canone 1367, che leggiamo nell’edizione del Codice di diritto canonico edito dall’Ueci.

Lo si fa notare perché è il testo che comunemente viene consultato in Italia: «Chi profana le specie consacrate» (testo della traduzione italiana) non è la stessa cosa da «qui species consecratas abicit». Nel primo caso la profanazione è generica e può riferirsi ad ogni forma di profanazione; nel secondo è specifica e contempla solo il fatto di chi getta in terra le specie consacrate (
abicit).

Ed è proprio questo gesto specifico che il citato Consiglio ha preso in esame. E lo ha fatto anche perché le traduzioni nelle altre lingue presentano notevoli sfumature. Ma l’interpretazione data non è stata una semplice chiarificazione linguistica o di spiegazione dei termini, bensì una dichiarazione che ha forza di legge (cfr. can. 16 § 2 CIC; can. 1498 § 2 CCEO).

È stato stabilito che il termine
abicit non va inteso soltanto nel senso troppo restrittivo di gettar via le specie consacrate. Era quanto si voleva sapere dai proponenti il dubbio. Questo dubbio è espresso con molta chiarezza nel testo latino pubblicato dall’Osservatore Romano (9 luglio 1999), che però ne riporta una traduzione italiana poco fedele. Il problema che il dubbio solleva non è infatti sapere «se la parola abicere debba intendersi come l’atto di gettare via» ma «se il verbo abicere sia da intendersi tantum (=solamente) come l’atto di gettar via» le specie consacrate. È chiaro che il verbo abicere significa l’atto di gettar via e come tale chi lo commette volontariamente incorre nella scomunica perché ha commesso il delitto della profanazione delle specie consacrate.

Ma incorre nella stessa scomunica chi pur non gettando per terra dette specie, le profana, fa sacrilegio con atti che sono di disprezzo, di sfregio, di repulsione offensiva, di trattamento umiliante?

Tali atti non solo equivalgono moralmente e giuridicamente al gesto del gettare via, ma addirittura lo superano quanto ad intenzione e fatto profanatorio. Il problema così impostato viene ampliato sotto il profilo morale e sotto l’aspetto giuridico. Ci si chiede pertanto se i gesti che sembrano più gravi di quello del gettare via, siano da giudicare anche delitti, oltre ad essere peccati. La domanda è pertinente, in base al principio che le leggi che stabiliscono le pene si debbono interpretare in senso restrittivo (cfr. can. 18 CIC; can. 1550 CCEO). Se il canone contempla solo il gesto del gettare via, perché indicare con lo stesso verbo anche altri gesti, sia pure sacrileghi? Sono peccati ed anche delitti? Considerarli anche delitti non è un’estensione indebita che la legge penale vieta?

La questione non è nuova; già prima dell’attuale Codice, in riferimento al canone 2320 del Codice piano-benedettino promulgato nel 1917, Conte da Coronata sosteneva che nei detti casi c’era certamente peccato grave, ma non delitto; e a favore di questa sua tesi cita, tra gli altri, il Cappello (cfr.
Institutiones Iuris Canonici IV, Roma 1951, p. 338).
Secondo però R. Santucci commette delitto non solo chi dal tabernacolo getta via, per terra (
abicit) le specie consacrate, ma altresì colui che pur lasciandole nel posto adeguato, idoneo, liturgico, le «copre di sputo o in qualunque modo le tratta in maniera empia e blasfema» (cfr. II diritto penale secondo il Codice di diritto canonico, Subiaco 1930, p. 46).

Questa opinione, criticata da Conte da Coronata, come troppo severa, perché contraddice al principio della stretta interpretazione delle leggi penali, poteva essere sostenuta, già al tempo del vecchio Codice, con la motivazione dell’estensione delle leggi penali quando hanno la medesima ragione nella finalità della legge, poiché solo in tale modo si evitano situazioni di ingiustizia o di assurdo legale (cfr. Michiels,
Normae Generales Iuris Canonici I, Romae 1949, pp. 547-552).

Sotto questo profilo sembra perciò legittimo il dubbio sulla dimensione non formalistica ma sostanziale della legge, soprattutto nel caso della norma canonica che rifiuta ogni positivismo ed è sempre orientata a far prevalere i valori che più giovino al bene delle anime, che è la regola suprema della comunità fondata da Gesù Cristo (cfr. can. 1752 CIC).

La questione viene così vista non esclusivamente nell’ambito tecnico-giuridico, ma anche sotto l’aspetto pastorale che la inquadra meglio nel mistero della Chiesa, che trascende, non eliminandolo, l’aspetto formale, tecnico, giuridico. È questa la comprensione giusta della norma canonica, non fine a se stessa ma sempre a servizio della persona umana inserita nel mistero salvifico di Cristo, dove l’uomo divenuto, mediante il battesimo, persona nella Chiesa, trova nella duplice mensa del pane della Parola e del pane eucaristico, le fonti principali della grazia che lo santifica.
Essendo quindi l’Eucarestia presenza del Verbo incarnato, la stessa è centro e vertice degli altri sacramenti, fonte della vita e dell’edificazione della Chiesa (cfr.
Lumen gentium n. 26), ed apice della vita cristiana (cfr. LG n. 11). Una politica (passi la parola) legislativa canonica non può prescindere da queste fondamentali verità e da questi misteri di grazia, e per quanto possa essere attenta alle esigenze tecnico-giuridiche che sostanno alla costruzione dell’ordinamento canonico, deve, con la difesa della verità della fede e la tutela dei mezzi efficaci di grazia – al centro dei quali c’è il sacramento dell’Eucarestia perché ha in sé l’autore della grazia –, insegnare anche con la norma giuridica a difendere, anche con il complesso delle leggi penali, il supremo bene che il Signore ha dato alla Chiesa.

Dire che queste considerazioni sono puramente d’ordine spirituale, morale, è affermare verità esatte, ma sostenere che esulano dal campo del diritto canonico significa non conoscere lo spirito, la natura e la finalità dell’ordinamento legislativo della Chiesa ed è fare ad esso l’offesa più grave. Ce lo ha confermato lo stesso legislatore quando ha promulgato nel 1983 il nuovo Codice di diritto canonico: «In tal modo gli scritti del Nuovo Testamento ci consentono di percepire ancor più l’importanza stessa della disciplina e ci fanno meglio comprendere come essa sia più strettamente congiunta con il carattere salvifico dello stesso messaggio evangelico» (costituzione apostolica
Sacrae disciplinae, 25 gennaio 1983, in Codice di diritto canonico, Roma, Ueci, 1983, p. 25).


È da queste considerazioni dogmatiche e teologiche che dobbiamo far discendere e ricavare la ragione fondamentale che legittima sotto il profilo strettamente ecclesiastico – e perciò anche giuridico – la risposta data al dubbio dal Pontificio Consiglio per l’interpretazione dei testi legislativi. Il verbo abicit del canone latino 1367 e del canone orientale 1442 non va inteso solo nel senso stretto di gettare via, dal tabernacolo o pisside, le specie consacrate e nemmeno nel senso generico di profanazione, bensì nel significato più esteso, di ogni gesto che manifesta disprezzo, sfregio, repulsione odiosa... verso l’augusto sacramento dell’altare, che «è culmine e fonte di tutto il culto e della vita cristiana, mediante il quale è significata e prodotta l’unità del popolo di Dio e si compie l’edificazione del Corpo di Cristo» (can. 897 CIC).
In questa tutela dell’Eucarestia ogni fedele deve saper cogliere anche il bene della persona profanante: la tutela delle specie consacrate è l’esigenza suprema che, anche attraverso la norma canonica, la Chiesa particolarmente avverte e con scopi medicinali e salvifici assicura irrogando le pene, nella consapevolezza che nel sacramento dell’Eucarestia è racchiuso tutto il bene del singolo fedele come della comunità. Teologicamente e pastoralmente giustificata appare questa interpretazione data dalla Santa Sede. Nell’azione pastorale, la Chiesa, sacramento di salvezza, è guidata da princìpi dottrinali e da norme; queste come regole che attuano e rendono vitali i princìpi per il bene dei fedeli.




PONTIFICIUM CONSILIUM DE LEGUM TEXTIBUS INTERPRETANDIS

Patres Pontificii Consilii de Legum Textibus Interpretandis, in plenario coetu diei 4 iunii 1999, dubio, quod sequitur, respondendum esse censuerunt ut infra:
D. Utrum in can. 1367 CIC et 1442 CCEO verbum «abicere» intelligatur tantum ut actus proiciendi necne.
R. Negative et ad mentem.
Mens est quamlibet actionem Sacras Species voluntarie et graviter despicientem censendam esse inclusam in verbo «abicere».
Summus Pontifex Ioannes Paulus II in Audientia diei 3 iulii 1999 infrascripto Praesidi impertita, de supradicta decisione certior factus, eam confirmavit et promulgari iussit.

Iulianus Herranz
Archiepiscopus titularis Vertarensis, praeses

Bruno Bertagna
Episcopus titularis Drivastensis, a secretis



I padri del Pontificio Consiglio per l’interpretazione dei testi legislativi, nella sessione plenaria del 4 giugno 1999, hanno ritenuto di dover rispondere come segue al dubbio proposto:
D. Se nei canoni 1367 CIC e 1442 CCEO la parola «abicere» debba intendersi solamente come l’atto di gettar via.
R. Negativamente e «ad mentem».
La «mente» è questa: qualunque azione volontariamente e gravemente spregiativa è da considerarsi inclusa nella parola «abicere».
Il Sommo Pontefice Giovanni Paolo II, nell’udienza concessa al sottoscritto presidente il 3 luglio 1999, informato della suddetta decisione l’ha confermata ed ha ordinato che venga pubblicata.

Julián Herranz
arcivescovo titolare di Vertara, presidente

Bruno Bertagna
vescovo titolare di Drivasto, segretario

[SM=g1740771]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
OFFLINE
Post: 39.988
Sesso: Femminile
22/01/2013 15:28
 
Email
 
Scheda Utente
 
Quota

[SM=g1740758] STRETTO COLLEGAMENTO TRA CONCILIO VATICANO II E CODICE DI DIRITTO CANONICO

Città del Vaticano, 22 gennaio 2013 (VIS). Questa mattina, presso la Sala Stampa della Santa Sede, ha avuto luogo la presentazione della Giornata di Studio "Il Codice: una riforma voluta e richiesta dal Concilio" (25 gennaio, Sala San Pio X, Roma), in occasione del XXX anniversario della promulgazione del Codice di Diritto Canonico. La Giornata è stata promossa dal Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi e dall'Istituto internazionale di Diritto Canonico e Diritto comparato delle Religioni di Lugano (Svizzera), con il patrocinio della Fondazione Vaticana Joseph Ratzinger - Benedetto XVI e della Fondazione Giovanni Paolo II. Sono intervenuti il Cardinale Francesco Coccopalmerio, Presidente del Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi; il Vescovo Juan Ignacio Arrieta, Segretario del medesimo Dicastero e Monsignor Giuseppe Antonio Scotti, Presidente della Fondazione Vaticana Joseph Ratzinger - Benedetto XVI.

Il Cardinale Coccopalmerio ha iniziato il suo intervento ricordando che il Beato Giovanni XXIII, nell'allocuzione con la quale convocò il Concilio Vaticano II nel 1959, affermò che la portata giuridica del Concilio avrebbe condotto all'auspicato aggiornamento del Codice del 1917. "Nella sua grande lungimiranza il Papa aveva ben chiaro che a guidare la revisione del Codice dovesse essere la nuova ecclesiologia scaturita da un’assise ecumenica e mondiale come quella di un Concilio!". Il Beato Giovanni Paolo II, sotto il cui Pontificato si promulgò il Codice, ribadiva che "l'impianto ecclesiologico conciliare" richiedeva "'nettamente' una rinnovata formulazione delle leggi".

"Il motivo dello stretto collegamento, già rilevato e sottolineato da Giovanni Paolo II nella parte iniziale della costituzione apostolica 'Sacrae disciplinae leges', è che il Codice del 1983 è in qualche modo il completamento del Vaticano II. Completamento in un duplice senso: il Codice, da una parte, recepisce il Concilio nel riproporre solennemente le istituzioni fondamentali e le innovazioni principali e, dall’altra, stabilisce norme positive per dare attuazione al Concilio".

Successivamente il Presidente del Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi ha citato alcuni esempi dello stretto collegamento fra Concilio Vaticano II e Codice di Diritto Canonico.

"Il primo lo possiamo trovare nella dottrina sull’episcopato e in quella dei rapporti tra episcopato e primato, in altre parole nella collegialità episcopale. Non si tratta di una dottrina completamente nuova nella coscienza profonda della Chiesa, ma piuttosto di una felice riscoperta. Il Codice, da una parte, la ripresenta chiaramente nei cann. 330-341 e, dall’altra, la correda di una statuizione positiva costituendo nei cann 342-348 la struttura del Sinodo dei Vescovi, che permette di attuare concretamente la struttura della collegialità episcopale".

"Un secondo esempio lo possiamo collocare nella dottrina del Concilio sul laicato e quindi sulla missione, propria e attiva, dei fedeli laici nella vita della Chiesa. Anche questa non una novità in senso assoluto, ma piuttosto una riscoperta". E anche qui il Codice statuisce una serie di norme positive sul consiglio pastorale diocesano o sul consiglio pastorale parrocchiale, strutture che permettono una partecipazione effettiva dei fedeli laici nelle decisioni pastorali del Vescovo o del parroco. "E anche questa innovazione è voce eloquente del fedele rapporto Concilio – Codice".

"Un terzo esempio può provenire dalla concezione di parrocchia offerta dal Concilio e recepita dal Codice. Il Concilio, finalmente, concepisce la parrocchia come comunità di fedeli e non come struttura oppure come territorio. Ciò rappresenta una grossa innovazione rispetto alla visione precedente. Il Codice da parte sua recepisce tale concetto soprattutto nel can. 515 e lo sanziona, poi, con le norme positive dei canoni seguenti".

"Un ultimo esempio di dottrina e di innovazione portata dal Concilio può ritrovarsi in campo ecumenico nei documenti conciliari 'Lumen gentium', 'Orientalium Ecclesiarum', 'Unitatis redintegratio', dove si ritrova la dottrina della comunione ecclesiale non ancora perfetta, però già reale ed esistente tra la Chiesa cattolica e le altre Chiese o Comunità non cattoliche. Anche questo è un dato di incalcolabile portata e valore che trova conseguenze già nel Concilio (...) nel Codice (cf. can. 844) con la possibilità di accogliere nei sacramenti della Chiesa cattolica, anche se a precise condizioni, i cristiani non cattolici".

"In conclusione - ha concluso il Cardinale Coccopalmerio - affermiamo che il felice connubio Concilio Vaticano II e Codice di diritto canonico ha prodotto frutti di rinnovamento, in molteplici ambiti e a vari livelli, nella vita della Chiesa".




[SM=g1740771]

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
OFFLINE
Post: 39.988
Sesso: Femminile
30/01/2013 12:43
 
Email
 
Scheda Utente
 
Quota

Perché il Codex iuris canonici è il più autorevole testo di ecclesiologia (Coccopalmerio)

 
Perché il Codex iuris canonici è il più autorevole testo di ecclesiologia

Davanti allo specchio del concilio


di Francesco Coccopalmerio


A un amico giornalista, che mi chiedeva di dargli una definizione, possibilmente rapida ed efficace, del Codice di diritto canonico, mi è venuta, quasi spontanea, questa risposta: «Il Codice: un testo di ecclesiologia, specchio del Vaticano II». Il mio interlocutore mi ha guardato un po' stranito, ma anche interessato, o compiaciuto, e mi ha chiesto spiegazioni.


Il Codex iuris canonici è un testo di ecclesiologia per il semplice motivo che, in tutte le sue parti, parla della Chiesa e solo della Chiesa. Basta, per convincersi, leggere i titoli dei vari libri: «ii. Il popolo di Dio»; «III. Il ministero di insegnare della Chiesa»; «iv. Il ministero di santificare della Chiesa»; «v. I beni temporali della Chiesa»; «vi. Le sanzioni nella Chiesa»; «VII. I processi» (evidentemente nella Chiesa). Il primo libro, «Le norme generali», è una parte tecnica, che serve per capire le altre.

Resta, dunque, verificata la prima parte della definizione: il Codice di diritto canonico è un testo di ecclesiologia. E -- nessun dubbio -- è il testo di ecclesiologia che gode di maggiore autorevolezza.
Risulta ovvio che il Codice è un testo di ecclesiologia, diciamo a statuto speciale. E, in effetti, relativamente alla struttura, si esprime in canoni, cioè in formule concise e, relativamente al contenuto, tratta questioni ecclesiologiche secondo una propria ottica, concentrando la sua attenzione sui molteplici soggetti nella Chiesa e descrivendo le loro attribuzioni, cioè i doveri, i diritti e le abilitazioni, in una parola le realtà giuridiche. Per fare gli esempi più disparati, si va dal diritto dei fedeli di fondare loro associazioni (can. 215), alla definizione di diocesi (can. 369), ai doveri del parroco (can. 528-530).

A questo punto, appare comprensibile che qualcuno chieda: Come può un Codice essere un testo di ecclesiologia, quindi un testo teologico? Un testo teologico, infatti, contiene asserzioni di fede o, comunque, di dottrina. Un Codice non è, forse, solo un insieme di canoni, cioè un insieme di leggi?
La risposta non è agevole ed esige certamente, da parte mia, uno speciale impegno di chiarezza, ma richiede anche, da parte forse di alcuni lettori, una maggiore disponibilità intellettuale nel senso di abbandono di pregiudizi che potrebbero ostacolare la comprensione.

Dobbiamo premettere un dato che condiziona tutto il discorso. Nella Chiesa esistono realtà giuridiche, doveri, diritti, abilitazioni, che sono state istituite, e che quindi esistono, per volontà di Cristo stesso, fondatore della Chiesa. Possiamo chiamarle “ontologiche”.
Esistono, poi, realtà giuridiche costituite ed esistenti non per volontà di Cristo fondatore bensì per volontà del legislatore ecclesiale. Possiamo chiamarle “positive”.

Qualcuno, giustamente, si aspetta degli esempi. Ne diamo due. Il primo, chiaro e importante, di realtà giuridica ontologica è il dovere e il diritto di tutti i fedeli cristiani di offrire ai loro Pastori consigli per il bene della Chiesa. È evidente che tale attribuzione viene ai fedeli dal sacramento del battesimo e quindi esiste per volontà di Cristo. Un esempio, invece, peraltro noto, di realtà giuridica positiva è la struttura del Consiglio pastorale parrocchiale con i doveri e i diritti che competono a coloro che ne fanno parte.
È evidente che tutto ciò risale non alla volontà di Cristo, ma solo a quella del legislatore ecclesiale.


La prima realtà giuridica, quella ontologica, è contenuta nel can. 212, § 3 e la seconda, quella positiva, è statuita nel can. 536. Questi due testi sono due esempi di canoni con contenuto differente: il primo ha contenuto ontologico, il secondo ha contenuto positivo. Anche gli altri canoni sono opportunamente distinguibili, pur senza rigidità, in canoni ontologici o positivi e pertanto sono catalogabili in una duplice tipologia. Questo dato fondamentale ci introduce nel seguito della riflessione.

Si tratta di considerare l'autore del Codice e la natura dell'attività da lui svolta. Quando, infatti, l'autore del Codice formula i singoli canoni compie un'operazione complessa che ha una duplice tipologia. Quando formula i canoni positivi, compie un atto di volontà, con cui costituisce, cioè fa esistere, le realtà giuridiche contenute nei canoni. Possiamo dire che la formulazione dei canoni con contenuto positivo è propriamente un atto di legislazione. Quando formula i canoni ontologici, compie un atto non di volontà, non di costituzione, bensì di conoscenza di una realtà giuridica già esistente e insieme di dichiarazione della realtà stessa. Possiamo dire che la formulazione dei canoni con contenuto ontologico è propriamente un atto di magistero.

Quanto detto sopra relativamente al contenuto dei canoni e alla duplice tipologia che ne deriva, possiamo dire ora relativamente alla natura dei canoni: i canoni con contenuto positivo sono canoni legislativi e i canoni con contenuto ontologico sono canoni magisteriali.

Se, ora, riuniamo e rileggiamo tutti i canoni magisteriali, possiamo rispondere, in modo -- credo -- soddisfacente, alla domanda sopra formulata: come può un Codice essere un testo teologico, contenere asserzioni di fede o, comunque, di dottrina? Sì, il Codice contiene asserzioni di fede e di dottrina precisamente nell'insieme dei canoni magisteriali.

Come tale, il Codice appare specchio del concilio in quanto riprende fedelmente la dottrina del Vaticano II. Basta rileggere i cann. 204ss sui christifideles o i cann. 330ss sui rapporti tra episcopato e primato per rendersi facilmente conto di quanto abbiamo affermato. Una prova semplicissima e addirittura letterale: si provi a confrontare il can. 212, § 2 con Lumen gentium, 37, 1. Quindi il Codice rispecchia l'ecclesiologia del Vaticano II o ne è un compendio. Ma possiamo dire qualcosa di più. E cioè che l'immagine del concilio rispecchiata con fedeltà nei canoni viene dal Codice ulteriormente abbellita.

In che senso? Per il semplice motivo che il Codice alla realtà giuridica ontologica, rispecchiata dal Vaticano II, aggiunge una realtà giuridica positiva, costituita dal legislatore ecclesiale. In altre parole e ritornando agli esempi sopra utilizzati: il dovere-diritto dei fedeli di offrire consigli ai Pastori (realtà giuridica ontologica di cui al can. 212, § 3) viene corredato dalla statuizione del Consiglio pastorale parrocchiale (realtà giuridica positiva del can. 536) e con ciò resa più efficace nella sua attuazione concreta e resa quindi immagine più viva.


In altre parole, l'attribuzione dei fedeli di consigliare i Pastori sarebbe meno completa senza l'ulteriore statuizione del Consiglio pastorale parrocchiale, mentre con questa struttura viene ulteriormente avvalorata. In questo senso parliamo di immagine ulteriormente abbellita.

Questo è, in breve, il Codex iuris canonici.
E ci permettiamo di aggiungere che questo testo di ecclesiologia specchio del Vaticano II, opera di complessa struttura nonché di delicato mantenimento, è in qualche modo affidato alle cure particolari del Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi, che ne deve promuovere, insieme con la conoscenza e la fedele osservanza, anche -- qualora necessario -- l'opportuno aggiornamento suggerendo al Papa, che è il Supremo Legislatore, eventuali integrazioni o modifiche.


Ci auguriamo che la celebrazione del trentesimo anniversario della promulgazione del Codex iuris canonici sia un'efficace occasione per la riscoperta intelligente e cordiale di questa opera fondamentale e del suo -- usiamo l'espressione di Giovanni Paolo II nella costituzione apostolica di promulgazione Sacrae disciplinae leges -- «carattere di complementarità in relazione all'insegnamento del concilio Vaticano II».

L'Osservatore Romano 30 gennaio 2013




Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
OFFLINE
Post: 39.988
Sesso: Femminile
24/01/2015 20:41
 
Email
 
Scheda Utente
 
Quota

DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO 
AI PARTECIPANTI AL CONGRESSO INTERNAZIONALE 
PROMOSSO DALLA FACOLTÀ DI DIRITTO CANONICO 
DELLA PONTIFICIA UNIVERSITÀ GREGORIANA

Sala Clementina
Sabato, 24 gennaio 2015

[Multimedia]



 

Cari fratelli,

rivolgo il mio cordiale saluto a tutti voi che partecipate al Congresso internazionale nel decimo anniversario della pubblicazione dell’Istruzione Dignitas connubii, per la trattazione delle cause di nullità di matrimonio nei tribunali diocesani e interdiocesani. Saluto i Padri della Facoltà di Diritto Canonico della Pontificia Università Gregoriana, che ha organizzato il Congresso, con il patrocinio del Pontificio Consiglio per i testi legislativi e della Consociatio internationalis studio iuris canonici promovendo. Saluto tutti voi che provenite da Chiese locali di varie parti del mondo e avete partecipato attivamente, comunicando anche le esperienze dei vostri tribunali locali. E’ di grande consolazione la vostra presenza numerosa e qualificata: mi pare una risposta generosa alle sollecitazioni che ogni autentico ministro dei tribunali della Chiesa sente per il bene delle anime.

Tale ampia partecipazione a questo incontro indica l’importanza dell’Istruzione Dignitas connubii, che non è destinata agli specialisti del diritto, ma agli operatori dei tribunali locali: è infatti un modesto ma utile vademecum che prende realmente per mano i ministri dei tribunali in ordine ad uno svolgimento del processo che sia sicuro e celere insieme.

Uno svolgimento sicuro perché indica e spiega con chiarezza la meta del processo stesso, ossia la certezza morale: essa richiede che resti del tutto escluso qualsiasi dubbio prudente positivo di errore, anche se non è esclusa la mera possibilità del contrario (cfr Dignitas connubii, art. 247, § 2). Uno svolgimento celere perché – come insegna l’esperienza comune – cammina più rapidamente chi conosce bene la strada da percorrere. La conoscenza e direi la consuetudine con questa Istruzione potrà anche in futuro aiutare i ministri dei tribunali ad abbreviare il percorso processuale, percepito dai coniugi spesso come lungo e faticoso. Non sono state finora esplorate tutte le risorse che questa Istruzione mette a disposizione per un processo celere, privo di ogni formalismo fine a sé stesso; né si possono escludere per il futuro ulteriori interventi legislativi volti al medesimo scopo.

Tra le sollecitudini che l’Istruzione Dignitas connubii manifesta, ho già avuto modo di ricordare quella dell’apporto proprio e originale del difensore del vincolo nel processo matrimoniale (cfr Allocuzione alla Plenaria del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica, 8 nov. 2013, AAS 105 [2013], 1152-1153). La sua presenza e il compimento fedele del suo compito non condiziona il giudice, bensì consente e favorisce l’imparzialità del suo giudizio, essendogli posti dinanzi gli argomenti a favore e contrari alla dichiarazione di nullità del matrimonio.

A Maria Santissima, Sedes Sapientiae, affido il proseguimento del vostro studio e della vostra riflessione su quanto il Signore vuole oggi per il bene delle anime, che ha acquistato col suo sangue. Su di voi e sul vostro quotidiano impegno invoco la luce dello Spirito Santo e imparto a tutti la Benedizione e, per favore, vi prego di pregare per me.

   


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
Amministra Discussione: | Chiudi | Sposta | Cancella | Modifica | Notifica email Pagina precedente | 1 | Pagina successiva
Nuova Discussione
Rispondi

Feed | Forum | Bacheca | Album | Utenti | Cerca | Login | Registrati | Amministra
Crea forum gratis, gestisci la tua comunità! Iscriviti a FreeForumZone
FreeForumZone [v.6.1] - Leggendo la pagina si accettano regolamento e privacy
Tutti gli orari sono GMT+01:00. Adesso sono le 01:03. Versione: Stampabile | Mobile
Copyright © 2000-2024 FFZ srl - www.freeforumzone.com