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Curiosità .... Cattoliche e dalla Città del Vaticano... (2)

Ultimo Aggiornamento: 22/08/2014 16:12
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07/12/2011 23:40
 
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[SM=g1740733]Curiosità sui Papi..... da una breve ricostruzione di Vaticaninsider ..... ne posterò solo alcuni frammenti....


Leone XIII (1878-1903) Il cacciatore di anime....

Deciso a non lasciare nelle mani del marxismo la bandiera dei diritti degli operai, Pecci, Pontefice «prigioniero» del governo italiano risorgimentale, spera di far rinascere il prestigio del papato romano coinvolgendo le masse popolari e sottraendole all’influenza del socialismo. Nasce così, dopo una lunga e travagliata gestazione, la sua enciclica più famosa, Rerum Novarum, pubblicata il 15 maggio 1891. La Chiesa cattolica non può accettare né il liberalismo economico che sfrutta l’operaio in forme allora davvero disumane; né il socialismo che vuole abolire la proprietà privata e propugna la lotta di classe.

Gioacchino Pecci aveva una grande passione per il latino e la letteratura, fu l’ultimo dei Papi ad essere socio dell’Arcadia, con il nome di Neandro Ecateo, fu un ottimo poeta, capace di svegliare nel cuore della notte, per una rima mancante, l’anziano monsignor Tarozzi, Segretario delle lettere latine, che aveva voluto far alloggiare in una stanza non lontano dalla sua per averlo sempre a disposizione. Una volta, già novantenne, si era svegliato nel cuore delle notte a causa dell’insonnia e si era messo a comporre carmi. Non trovando il «piede» di un verso, Leone XIII si precipitò a bussare alla stanza di Tarozzi dicendo: «Monsignore, ci aiuti: non riusciamo a trovare un piede». Il prelato latinista, mezzo confuso, incominciò a gridare: «Oh Dio, oh Dio, il Papa ha perso un piede!»

Uomo di spirito oltre che di profonda cultura e di animo nobile, aveva chiesto a un noto pittore un ritratto da regalare ai suoi familiari. Il quadro non riuscì molto somigliante e prevedendo che i parenti non lo riconoscessero, il Papa lo accompagnò con un biglietto nel quale aggiunse di suo pugno una frase detta da Gesù agli apostoli, tratta dal Vangelo di Matteo: «Ego sum, nolite timere» («Sono io, non abbiate paura»).

Negli ultimi tempi della sua lunga esistenza era ormai immobilizzato su una poltrona. Ma non aveva perso la prontezza di spirito. Nel 1902, già novantaduenne, aveva ricvuto un vescovo americano venuto dagli Usa a fare la visita ad limina. Considerata l’età avanzata del Pontefice, il prelato aveva detto: «Dato che non ci rivedremo più su questa terra, addio Santità, addio…». E il Papa: «Eccellenza, ha forse un brutto male?».



san Pio X (1903-1914) il catechista di Dio....

Con lui per la prima volta un Papa proviene dall’ambiente popolare campagnolo, quello della provincia veneta: «Io sono nato povero – dirà – sono vissuto povero, desidero morire povero». Come prima cura d’anime ebbe la parrocchia di Tombolo, nel trevigiano, un paese di commercianti di bestiame dove si bestemmiava molto. Gli abitanti si lamentarono con il giovane prete di essere analfabeti. E lui mise in piedi una scuola serale per insegnare loro a leggere e scrivere. «Quanto ci farà pagare?», chiese la gente.
«Nulla, vi chiedo soltanto una cosa, che non bestemmiate più». È in questi anni che, facendo catechismo, don Sarto mette a punto un testo manoscritto a domanda e risposta, che sarà la base di quello che diventerà il famoso «Catechismo di San Pio X».

 Insofferente all’etichetta di corte, secondo la quale il Papa doveva mangiare da solo, come avveniva fin dai tempi di Urbano VIII, ammise a tavola prima uno e poi due segretari. Alcuni dignitari fecero notare lo strappo alla regola.
Pio X rispose: «Ho letto e riletto i Vangeli e gli Atti degli apostoli; ma non vi ho mai trovato che San Pietro mangiasse da solo». Papa Sarto fu anche ostile a qualsiasi forma di razzismo. A un proprietario terriero americano, che era andato ad annunciargli di aver costruito a proprie spese una chiesa riservata ai negri, disse: «Forse che i negri non sono figli di Dio come noi?». «Certo che lo sono», rispose l’uomo. «E allora, se sono nostri fratelli, perché fargli una chiesa separata?».

Disponibile e generoso di carattere, amabile per la sua umanità e la sua semplicità contadina, fu però intransigente nel rigore dottrinale e nel magistero ecclesiale, nonché geloso custode dei diritti della Chiesa nei confronti dello Stato. «La politica della Chiesa è di non fare politica», diceva. Proprio in quegli anni si era diffusa una corrente di pensiero meno radicato nella tradizione, che auspicava una maggiore partecipazione del laicato cattolico alla vita della Chiesa, proponeva la conciliabilità della scienza con la fede, propugnava la libertà di coscienza e la democrazia. La reazione di Pio X non si fece attendere, e con l’enciclica Pascendi Dominici gregis (1907) condannò il modernismo, richiamando i fedeli all’obbedienza e definendo i cattolici liberali dei «lupi travestiti da agnelli».

Pio X diede nuovo impulso alla liturgia e alla musica sacra, ordinò la compilazione del nuovo Codice di diritto canonico – che vide la luce soltanto dopo la sua morte, nel 1917, e porta dunque la firma del suo successore Benedetto XV – e riformò la Curia romana. Morì nel 1914, alla vigilia del primo conflitto mondiale. Aveva detto: «Io darei la mia vita per scongiurare l’orribile flagello», e si era rifiutato per due volte di esaudire la pressante richiesta dell’ambasciatore austriaco che lo sollecitava a impartire la sua benedizione apostolica sugli eserciti. «Io benedico la pace», aveva risposto.


 
Benedetto XV (1914-1922) il Papa della decisione...

Nella famosa Nota alle nazioni, del 1° agosto 1917, parlerà del conflitto come «inutile strage». Una posizione contrastata dalle nazioni cattoliche, al punto che Benedetto XV confida: «Vogliono condannarmi al silenzio. Non riusciranno mai a sigillare il mio labbro. Guai se il Vicario del Principe della pace fosse muto nell’ora della tempesta. La paternità spirituale universale, di cui sono investito, mi impone un dovere preciso: invitare alla pace i figli che dalle opposte barricate si trucidano a vicenda». La condanna della guerra, che per la prima volta si affaccia sulla scena dell’umanità come mondiale e capace di portare alla morte milioni di uomini, non è formulata soltanto in termini morali, ma anche teologici e biblici, che invitano a considerare gli uomini come «figli di un unico Padre che è nei cieli», dotati «di una medesima natura» e «parti tutte di una medesima società umana». E il Papa mette a punto, con il suo Segretario di Stato Pietro Gasparri, il criterio di «imparzialità»: la Santa Sede intende rimanere al di sopra delle parti, fuori dagli schieramenti, ma ciò non significa che essa sia «neutrale» rispetto a quanto sta avvenendo.

Di carattere riflessivo, poco avvezzo agli scatti d’ira, ma fermissimo, Papa Della Chiesa amava a tal punto la puntualità da regalare ai suoi collaboratori degli orologi, dicendo loro: «Tieni, prendi questo. Così non avrai più scuse per arrivare in ritardo». In un suo autografo del 1915 si trova scritto: «Un buon orologio può giovare a renderci esatti e pronti ad ogni convegno, senza perdere tempo con inutili anticipazioni, o senza apparire scortesi con ingiustificati ritardi». Proprio l’attenzione per la puntualità gli sarà fatale, all’alba del 17 novembre 1921, quando dovette attendere per qualche minuto il gendarme che gli apriva la porta che dalla Sala del Sacramento immette nella Basilica di San Pietro. Doveva andare a dire la Messa mattutina dalle suore di Santa Marta e quella breve attesa al freddo gli fece prendere un raffreddore che, diventato bronchite, lo porterà alla tomba il 22 gennaio 1922.

Abile navigatore nel mondo delle astuzie curiali, controllava ogni aspetto della vita della Santa Sede ed era solito stilare una pagella con relativi punteggi da consegnare a fine mese al direttore dell’Osservatore Romano, il conte Giuseppe Dalla Torre, e ai redattori del quotidiano vaticano. Racconterà il direttore: «Le correzioni, invece, giungevano subito. Una volta il giornale aveva segnalato presente a una cerimonia a Bologna – mentre non c’era stata affatto – la signora Augusta Nanni Costa, che il Papa aveva voluto fra i partecipanti alla Giunta direttiva; aveva assegnato all’America una certa isoletta asiatica; aveva visto ad un’altra cerimonia una nota personalità. Benedetto XV scrisse: “La signora Nanni Costa non era quel giorno a Bologna; l’isola appartiene all’Asia; la personalità è morta. Dunque l’Osservatore Romano dona l’ubiquità, trasporta da un continente all’altro le terre, risuscita i morti”».

Giacomo Della Chiesa fu anche un ottimo talent-scout, buon conoscitore delle qualità dei suoi sottoposti. Si deve alle sue decisioni l’ascesa di ben tre suoi successori: è stato Benedetto XV ad avviare alla carriera diplomatica il Prefetto della Biblioteca vaticana Achille Ratti, che diventerà nunzio in Polonia, cardinale arcivescovo di Milano per qualche mese prima di essere eletto Papa. È stato Benedetto XV a consacrare personalmente arcivescovo Eugenio Pacelli, nominandolo nunzio in Baviera, così come è stato sempre lui a chiamare a Roma da Bergamo don Angelo Roncalli, il futuro Giovanni XXIII, affidandogli l’incarico di direttore dell’Opera di Propaganda Fide.

Uomo di grande carità, venne accusato di sperperare gli averi del Vaticano. «Corre voce che io dilapidi i beni della Santa Sede – dirà in un colloquio privato -. Salvo ciò che ho trovato di suo patrimonio, credo che quanto entra in questo cassetto deve puntualmente uscirne. La Provvidenza provvederà. Questo è il suo compito».

Di Benedetto XV si ricorda infine anche lo spiccato senso dell’umorismo. In un suo testo autografo, con relativa fotografia, indirizzato ai Vigili del fuoco vaticani, scrisse: «Benediciamo di cuore le “Guardie del fuoco” nel Vaticano, coll’augurio che non abbiano mai a spegnere incendi, perché Noi siamo anticipatamente persuasi del valore che nell’eventuale circostanza saprebbero dimostrare».





Pio XII (1939-1958) la sensibilità del Pastor Angelicus

Oltre che un uomo di grande sensibilità, è stato anche un grande Papa. Il Pontefice più citato dal Concilio Vaticano II (un’idea, quella del Concilio, che lui stesso aveva preso in esame ma che decise di abbandonare perché non si potevano tenere i vescovi troppo tempo fuori dalle loro diocesi nell’epoca difficile della ricostruzione postbellica), il Papa che ha iniziato la riforma liturgica e proclamato l’ultimo nuovo dogma della Chiesa cattolica, quello dell’Assunzione di Maria (1950). Che ha iniziato a pronunciare discorsi ad hoc per le varie categorie professionali, inaugurando un stile che sarà fatto proprio dai suoi successori, in particolare da Giovanni Paolo II: rimane ancora famoso e citatissimo quello alle ostetriche.



Giovanni XXIII (1958-1963) buono, ma non sprovveduto...

Giovanni XXIII è stato purtroppo vittima di due interpretazioni a loro modo riduttive. La prima è quella che lo dipinge soltanto come «Papa buono», fermandosi soltanto ai fioretti e all’abbondante e non sempre veritiera aneddotica. La seconda, portata avanti dalla scuola bolognese del professor Giuseppe Alberigo, lo dipinge come un vero e proprio «rivoluzionario», attribuendo a lui tutte le decisioni innovative indubbiamente prese, e alla Curia romana «frenante» tutte quelle di segno opposto. In realtà Roncalli non è mai stato un rivoluzionario.

Anzi, è stato piuttosto un Papa tradizionalista, che ha fatto celebrare un Sinodo romano con prescrizioni così severe per i sacerdoti da apparire decisamente anacronistiche. È risaputo che avrebbe voluto che il Concilio si concludesse in tre mesi. Imbevuto di sapienza contadina, sapeva usare tutte le «armi» per far breccia nell’interlocutore, come dimostrano i messaggi a Kruscev, in occasione della crisi dei missili cubani, o la storica udienza ad Adjubej, genero del presidente del Comitato centrale dell’Urss. La sua distinzione fra l’errore e l’errante - il primo è comunque da condannare, mentre il secondo è da perdonare e da accogliere - segnerà la vita della Chiesa, ma anche della politica italiana, con le timide aperture al centrosinistra dopo anni di rigide prese di posizioni vaticane.
Ma far passare il suo «aggiornamento» per rivoluzione senza ritorno significa creare un’immagine fittizia del Papa bergamasco.

Scriverà l’arcivescovo inglese John Carmel Heenan: «Papa Giovanni non era un innovatore... Il Papa che ho conosciuto non somigliava per niente al Giovanni mitico. Il mio Papa Giovanni somigliava più a un parroco di campagna, pieno di bontà». Pieno di bontà, santo, ma anche sufficientemente furbo, in grado di far «digerire» ai potenti cardinali curiali quell’aggiornamento di cui necessitava la Chiesa e al tempo stesso di tenere a bada con decisione quelle spinte in avanti che giudicava inopportune o pericolose.

 Paolo VI (1963-1978)il Papa dell'umanità inquieta  


«Forse il Signore mi ha chiamato e mi tiene a questo servizio - scriverà ilgorno dopo la chiusura del Concilio - non tanto perché io vi abbia qualche attitudine, o affinché io governi e salvi la Chiesa dalle sue presenti difficoltà, ma perché io soffra qualche cosa per la Chiesa, e sia chiaro che Egli, non altri, la guida e la salva».
Così descriveva il suo stato d’animo: «La mia posizione è unica. Vale  adire che mi costituisce in un’estrema solitudine. Era già grande prima, ora è totale e tremenda. Dà le vertigini. Come una statua sopra una guglia, anzi una persona viva, quale io sono... Anche Gesù fu solo sulla Croce... Non devo avere paura, non devo cercare appoggio esteriore che mi esoneri dal mio dovere. E soffrire solo... Io e Dio».

Soltanto dopo la sua morte, il segretario Macchi rivelerà che il Papa spesso indossava il cilicio, la cintura ruvida con nodi che si porta a contatto con la pelle per mortificare il corpo.

I suoi puntuali e personali interventi nei lavori del Concilio dimostrano come abbia saputo andare contro le opinioni e desideri dei suoi stessi amici che lo avevano eletto, così come accadde con la promulgazione dell’enciclica Humanae vitae (1968), l’ultima da lui scritta, che segnerà il momento di maggior isolamento di Papa Montini, ferocemente attaccato e criticato anche all’interno della Chiesa per non aver liberalizzato i contraccettivi dichiarandoli leciti: «Non abbiamo mai sentito come in questa congiuntura il peso del nostro ufficio. Abbiamo studiato, letto, discusso quanto potevamo; e abbiamo anche molto pregato...». Proprio in quell’anno, nel mezzo della bufera post-conciliare che squassa la Chiesa cattolica, Paolo VI sente la necessità di fissare nel Credo del popolo di Dio i contenuti inderogabili della fede cattolica.

Fedele al nome che si è scelto, quello dell’Apostolo delle genti, il Papa inaugura i viaggi all’estero che costituiranno una delle caratteristiche del suo successore Giovanni Paolo II. Visita la Terra Santa (Giordania e Israele),  l’India, gli Stati Uniti, il Portogallo, la Turchia, la Colombia, la Svizzera, l’Uganda e - nell’ultimo lungo viaggio del 1970 - l’Iran, il Pakistan, le Filippine, le Isole Samoa, l’Australia, l’Indonesia, Hong Kong e lo Sri Lanka. Durante questa trasferta, subisce a Manila un attentato da parte di uno squilibrato che lo accoltella con un kriss, il pugnale dalla lama ondulata che penetra nel collo e nel  petto del Pontefice. La ferite appaiono «serie», ma il Paolo VI non vuole che si sappia e decide di continuare il viaggio.


 
   Giovanni Paolo I (1978) il Papa ...parroco...

È passato come un soffio, appena 33 giorni, tanti quanti gli anni di Gesù. È stato dimenticato dai dotti, dai sapienti, dagli ambienti ecclesiastici che contano, quasi schiacciato tra due grandi Pontefici e due grandi pontificati, quello del predecessore Paolo VI e quello del successore Giovanni Paolo II. Eppure Papa Albino Luciani, l’umile montanaro figlio di un operaio socialista, è rimasto nel cuore della gente semplice. Di tanti fedeli rimasti commossi e affascinati da quel sorriso grato che Giovanni Paolo I ha mostrato al mondo nel suo brevissimo regno.

Era stato il suo parroco a spiegargli che l’omelia deve essere capita anche dalla vecchietta che non è mai andata a scuola, e sta in fondo alla chiesa mentre assiste alla Messa. Così, fin dall’inizio della sua missione, Albino Luciani imparerà a fare quella che definirà «catechetica in briciole», insegnando le verità di fede in modo semplice, diretto, comprensibile a tutti. Con lo stesso affetto di una madre che si china a spezzare il pane per i suoi numerosi figli affamati.

«Io ho una persuasione - scriverà -: che ogni predicazione, anche agli adulti, anche ai laureati, tanto più efficace quanto più è “catechistica”, cioè quanto più si ferma, per il contenuto, alle verità fondamentali e quanto più nella forma, è piana, familiare, lontana da ogni retorica, ricca di esemplificazioni. Per me la semente scelta, buona, ottima è il catechismo...». In questo, Giovanni Paolo I seguirà l’esempio e le orme di un altro patriarca di Venezia e poi Papa nato in Veneto, San Pio X, autore del famoso catechismo a domanda e risposta, che aveva continuato a insegnare la dottrina ai bambini anche durante il suo pontificato.

Il 23 settembre, durante la sua unica uscita dal Vaticano dopo l’elezione per la presa di possesso della Basilica di San Giovanni in Laterano, la cattedrale del vescovo di Roma, rispondendo al saluto del sindaco di Roma Giulio Carlo Argan, Giovanni Paolo I dice: «Alcune delle sue parole mi hanno fatto venire in mente una delle preghiere che fanciullo, recitavo con la mamma. Suonava così: “I peccati, che gridano vendetta al cospetto di Dio sono... opprimere i poveri, defraudare la giusta mercede agli operai”: A sua volta, il parroco che mi interrogava alla scuola di catechismo: “I peccati, che gridano vendetta al cospetto di Dio, perché sono dei più gravi e funesti?”. E io rispondevo col Catechismo di Pio X: “... perché direttamente contrari al bene dell’umanità e odiosissimi tanto che provocano, più degli altri, i castighi di Dio”. Roma sarà una vera comunità cristiana, se Dio vi sarà onorato non solo con l’affluenza dei fedeli alle chiese, non solo con la vita privata vissuta morigeratamente, ma anche con l’amore ai poveri. Questi - diceva il diacono romano Lorenzo - sono i veri tesori della Chiesa; vanno pertanto aiutati, da chi può, ad avere e ad essere di più senza venire umiliati e offesi con ricchezze ostentate, con denaro sperperato in cose futili e non investito - quando possibile - in imprese di comune vantaggio».

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[SM=g1740717] Un gatto nero sulla strada del Papa. Niente paura, è il suo amico Ciccio...(Rodari)



Un gatto nero sulla strada del Papa Niente paura, è il suo amico Ciccio...


di Paolo Rodari


Joseph Ratzinger non ha mai avuto un gatto. Non ce l'aveva quando da cardinale prefetto dell'ex Sant'Uffizio abitava in piazza della Città Leonina, a ridosso delle mura leonine.
E non ce l'ha nemmeno oggi che, per volere del collegio cardinalizio che lo ha eletto al soglio di Pietro nell'ormai lontano 19 aprile del 2005, abita le stanze del terzo piano del palazzo apostolico.
Che non abbia un gatto non significa tuttavia che non li ami. Lo sanno bene i suoi collaboratori e lo sanno soprattutto i responsabili per la Tutela della fauna del Vaticano, il professor Klaus Friedrich e Giulia Artizzu i quali, sotto la supervisione del numero due del Governatorato, monsignor Giuseppe Sciacca, hanno allestito nei giardini vaticani una cassetta per il ricovero di un gatto speciale: Ciccio, noto oltre il Tevere come «il gatto del Museo». «Si tratta di un gattone nero molto socievole e sicuro del proprio fascino» scrive la Artizzu in All'ombra del cupolone, un foglio informale distribuito tra i dipendenti del Governatorato. Ciccio è conosciuto da tutti gli abituali frequentatori dei giardini, anche da Papa Benedetto XVI che il pomeriggio, prima di ritirarsi per la preghiera dei vesperi, ama passeggiare fino alla grotta dedicata alla Madonna della Guardia, in cima ai giardini, recitando con il suo segretario particolare la preghiera del rosario. [SM=g1740738]

Beninteso, di gatti nei giardini Ratzinger ne incrocia parecchi: il polmone verde che si apre dietro la basilica di San Pietro ha da sempre una fauna variegata - dai pappagalli ai colibrì fino alle raganelle, senza dimenticare tritoni e orbettini - ma sembra che soltanto Ciccio sia riuscito a entrare nel cuore degli abitanti del Vaticano tanto che di fatto è riuscito a farsi adottare.

Appena Ratzinger venne eletto Pontefice, fu il cardinale Tarcisio Bertone, allora ancora arcivescovo di Genova ma per anni numero due della Congregazione per la dottrina della fede, a svelare in un'intervista rilasciata a Famiglia Cristiana l'amore di Ratzinger per i gatti. Disse: «Ratzinger ai tempi dell'ex Sant'Uffizio parlava con i gatti, si fermava e diceva qualcosa in tedesco, probabilmente in dialetto bavarese; portava sempre qualcosa da mangiare ai gatti e se li tirava dietro nel cortile della Congregazione». Furono queste parole ad alimentare quella che si è poi rivelata essere soltanto una leggenda: come Paolo VI che una volta eletto portò in Vaticano il suo bel gattone, come Pio XII che portò nel palazzo apostolico i suoi due cardellini, anche Benedetto XVI secondo la vulgata doveva aver portato al terzo piano del palazzo il suo amato gatto.

Nessun gatto nell'Appartamento, dunque, seppure la passione del Pontefice per i gatti sia reale: fonti vaticane rivelano che, nelle settimane che hanno preceduto l'elezione, Ratzinger avrebbe offerto un gatto in dono a un amico cardinale un po' giù di morale. Nelle ore che sono seguite all'elezione si scatenò anche una caccia ai felini tanto cari al nuovo Pontefice. Venne immortalato un bel soriano di nome Chico che accese le fantasie di molti quotidiani internazionali. «Di gatti ne abbiamo due, ma sono di porcellana», tagliò però corto Ingrid Stampa, per anni fedele «governante» di Ratzinger e oggi officiale della Segreteria di Stato addetta ai testi del Pontefice in lingua tedesca. Era lei che dopo i pasti del cardinale scendeva a Borgo Pio per distribuire ai felini gli avanzi.
Recentemente sul Papa e i gatti ha detto la sua il segretario in seconda dell'Appartamento, il maltese don Alfred Xuereb. 53 anni, lavora accanto al Papa dal 2007. Don Xuereb si è recato recentemente in una parrocchia di Nichelino: una toccata e fuga, per ricordare il quinto anniversario della morte del suo amico e conterraneo don Joe Galea. Qui ha parlato dei suoi giorni accanto a Benedetto XVI e soprattutto di quel gatto che il Papa non ha mai avuto. Ha detto: «Intanto non è vero che in casa abbiamo un gatto, anche se Papa Benedetto ama molto gli animali.

Si narra che da cardinale ogni tanto si fermasse per strada per rivolgersi a qualche gatto. Qualcuno chiedeva: Scusi eminenza, ai gatti parla in tedesco o in italiano? “Loro non capiscono le lingue, ma il tono di voce sì”, obiettava lui. Senz'altro il Papa è appassionato di musica; è un eccellente pianista. Qualche volta dopo cena sentiamo che suona il pianoforte. E poi sicuramente ci sono i libri: il suo studio ne è pieno. È uno studio arredato in modo molto semplice; gli scaffali e la scrivania sono gli stessi di quando era professore all'università di Tubinga».
Insomma, nessun gatto nell'Appartamento seppure da pochi giorni un gatto abiti i giardini del Papa: Ciccio, il «gatto del Museo», per lui un piccolo appartamento in uno dei luoghi più esclusivi del mondo.


 Copyright Il Giornale, 29 aprile 2012

[SM=g1740733]




[Modificato da Caterina63 29/04/2012 11:03]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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