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MONUMENTALE CATECHESI DI BENEDETTO XVI SULLA THEOTOKOS

Ultimo Aggiornamento: 21/03/2014 09:38
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In occasione dell'apertura del Sinodo per la Chiesa in Medio Oriente, il Santo Padre ha dispiegato una stupenda e monumentale Catechesi sulla Dottrina che da Efeso sancì la Maternità divina di Maria.....



Pope Benedict XVI (C) sdelivers an address during the opening of a the synod on the Middle East on October 11, 2010 at The Vatican. A senior Iranian cleric and a Jewish rabbi are among some of the guests invited by Pope Benedict XVI to attend the synod running from October 10 to 24 to discuss the Middle East.

Exarch of Greece, Faithful of Eastern Rite (Byzantine), Bishop Dimitrios Salachas (R) chats with an unidentified bishop during the opening of a synod on the Middle East on October 11, 2010 at The Vatican. A senior Iranian cleric and a Jewish rabbi are among some of the guests invited by Pope Benedict XVI to attend the synod running from October 10 to 24 to discuss the Middle East.




La meditazione del Papa all'inizio dei lavori del Sinodo dei vescovi per il Medio Oriente

La caduta degli dei e la fede dei semplici



Nella mattina di lunedì 11 ottobre, durante la celebrazione dell'Ora Terza che ha aperto i lavori della prima congregazione generale dell'Assemblea speciale per il Medio Oriente del Sinodo dei vescovi, il Papa ha pronunciato a braccio la seguente meditazione.


Cari fratelli e sorelle,
l'11 ottobre 1962, quarantotto anni fa, Papa Giovanni XXIII inaugurava il Concilio Vaticano II. Si celebrava allora l'11 ottobre la festa della Maternità divina di Maria, e, con questo gesto, con questa data, Papa Giovanni voleva affidare tutto il Concilio alle mani materne, al cuore materno della Madonna. Anche noi cominciamo l'11 ottobre, anche noi vogliamo affidare questo Sinodo, con tutti i problemi, con tutte le sfide, con tutte le speranze, al cuore materno della Madonna, della Madre di Dio.

Pio XI, nel 1931, aveva introdotto questa festa, millecinquecento anni dopo il Concilio di Efeso, il quale aveva legittimato, per Maria, il titolo Theotókos, Dei Genitrix. In questa grande parola Dei Genitrix, Theotókos, il Concilio di Efeso aveva riassunto tutta la dottrina di Cristo, di Maria, tutta la dottrina della redenzione. E così vale la pena riflettere un po', un momento, su ciò di cui parla il Concilio di Efeso, ciò di cui parla questo giorno.

In realtà, Theotókos è un titolo audace. Una donna è Madre di Dio. Si potrebbe dire:  come è possibile? Dio è eterno, è il Creatore. Noi siamo creature, siamo nel tempo:  come potrebbe una persona umana essere Madre di Dio, dell'Eterno, dato che noi siamo tutti nel tempo, siamo tutti creature?
Perciò si capisce che c'era forte opposizione, in parte, contro questa parola.

I nestoriani dicevano:  si può parlare di Christotókos, sì, ma di Theotókos no:  Theós, Dio, è oltre, sopra gli avvenimenti della storia.
Ma il Concilio ha deciso questo, e proprio così ha messo in luce l'avventura di Dio, la grandezza di quanto ha fatto per noi.
 Dio non è rimasto in sé:  è uscito da sé, si è unito talmente, così radicalmente con quest'uomo, Gesù, che quest'uomo Gesù è Dio, e se parliamo di Lui, possiamo sempre anche parlare di Dio. Non è nato solo un uomo che aveva a che fare con Dio, ma in Lui è nato Dio sulla terra. Dio è uscito da sé. Ma possiamo anche dire il contrario:  Dio ci ha attirato in se stesso, così che non siamo più fuori di Dio, ma siamo nell'intimo, nell'intimità di Dio stesso.

La filosofia aristotelica, lo sappiamo bene, ci dice che tra Dio e l'uomo esiste solo una relazione non reciproca. L'uomo si riferisce a Dio, ma Dio, l'Eterno, è in sé, non cambia:  non può avere oggi questa e domani un'altra relazione. Sta in sé, non ha relazione ad extra. È una parola molto logica, ma è una parola che ci fa disperare:  quindi Dio stesso non ha relazione con me.

Con l'incarnazione, con l'avvenimento della Theotókos, questo è cambiato radicalmente, perché Dio ci ha attirato in se stesso e Dio in se stesso è relazione e ci fa partecipare nella sua relazione interiore. Così siamo nel suo essere Padre, Figlio e Spirito Santo, siamo nell'interno del suo essere in relazione, siamo in relazione con Lui e Lui realmente ha creato relazione con noi. In quel momento Dio voleva essere nato da una donna ed essere sempre se stesso:  questo è il grande avvenimento. E così possiamo capire la profondità dell'atto di Papa Giovanni, che affidò l'Assise conciliare, sinodale, al mistero centrale, alla Madre di Dio che è attirata dal Signore in Lui stesso, e così noi tutti con Lei.

Il Concilio ha cominciato con l'icona della Theotókos. Alla fine Papa Paolo vi riconosce alla stessa Madonna il titolo Mater Ecclesiae. E queste due icone, che iniziano e concludono il Concilio, sono intrinsecamente collegate, sono, alla fine, un'icona sola. Perché Cristo non è nato come un individuo tra altri. È nato per crearsi un corpo:  è nato - come dice Giovanni al capitolo 12 del suo Vangelo - per attirare tutti a sé e in sé. È nato - come dicono le Lettere ai Colossesi e agli Efesini - per ricapitolare tutto il mondo, è nato come primogenito di molti fratelli, è nato per riunire il cosmo in sé, cosicché Lui è il Capo di un grande Corpo. Dove nasce Cristo, inizia il movimento della ricapitolazione, inizia il momento della chiamata, della costruzione del suo Corpo, della santa Chiesa.

La Madre di Theós, la Madre di Dio, è Madre della Chiesa, perché Madre di Colui che è venuto per  riunirci  tutti  nel  suo  Corpo risorto.

San Luca ci fa capire questo nel parallelismo tra il primo capitolo del suo Vangelo e il primo capitolo degli Atti degli Apostoli, che ripetono su due livelli lo stesso mistero. Nel primo capitolo del Vangelo lo Spirito Santo viene su Maria e così partorisce e ci dona il Figlio di Dio. Nel primo capitolo degli Atti degli Apostoli Maria è al centro dei discepoli di Gesù che pregano tutti insieme, implorando la nube dello Spirito Santo. E così dalla Chiesa credente, con Maria nel centro, nasce la Chiesa, il Corpo di Cristo. Questa duplice nascita è l'unica nascita del Christus totus, del Cristo che abbraccia il mondo e noi tutti.

Nascita a Betlemme, nascita nel Cenacolo. Nascita di Gesù Bambino, nascita del Corpo di Cristo, della Chiesa. Sono due avvenimenti o un unico avvenimento. Ma tra i due stanno realmente la Croce e la Risurrezione. E solo tramite la Croce avviene il cammino verso la totalità del Cristo, verso il suo Corpo risorto, verso l'universalizzazione del suo essere nell'unità della Chiesa. E così, tenendo presente che solo dal grano caduto in terra nasce poi il grande raccolto, dal Signore trafitto sulla Croce viene l'universalità dei suoi discepoli riuniti in questo suo Corpo, morto e risorto.

Tenendo conto di questo nesso tra Theotókos e Mater Ecclesiae, il nostro sguardo va verso l'ultimo libro della Sacra Scrittura, l'Apocalisse, dove, nel capitolo 12, appare proprio questa sintesi. La donna vestita di sole, con dodici stelle sul capo e la luna sotto i piedi, partorisce. E partorisce con un grido di dolore, partorisce con grande dolore. Qui il mistero mariano è il mistero di Betlemme allargato al mistero cosmico. Cristo nasce sempre di nuovo in tutte le generazioni e così assume, raccoglie l'umanità in se stesso. E questa nascita cosmica si realizza nel grido della Croce, nel dolore della Passione. E a questo grido della Croce appartiene il sangue dei martiri.
 
Così, in questo momento, possiamo gettare uno sguardo sul secondo Salmo di questa Ora Media, il Salmo 81, dove si vede una parte di questo processo. Dio sta tra gli dei - ancora sono considerati in Israele come dei. In questo Salmo, in un concentramento grande, in una visione profetica, si vede il depotenziamento degli dei. Quelli che apparivano dei non sono dei e perdono il carattere divino, cadono a terra. Dii estis et moriemini sicut nomine (cfr. Sal 81, 6-7):  il depotenziamento, la caduta delle divinità.

Questo processo che si realizza nel lungo cammino della fede di Israele, e che qui è riassunto in un'unica visione, è un processo vero della storia della religione:  la caduta degli dei. E così la trasformazione del mondo, la conoscenza del vero Dio, il depotenziamento delle forze che dominano la terra, è un processo di dolore. Nella storia di Israele vediamo come questo liberarsi dal politeismo, questo riconoscimento - "solo Lui è Dio" - si realizza in tanti dolori, cominciando dal cammino di Abramo, l'esilio, i Maccabei, fino a Cristo. E nella storia continua questo processo del depotenziamento, del quale parla l'Apocalisse al capitolo 12; parla della caduta degli angeli, che non sono angeli, non sono divinità sulla terra. E si realizza realmente, proprio nel tempo della Chiesa nascente, dove vediamo come col sangue dei martiri vengono depotenziate le divinità, cominciando dall'imperatore divino, da tutte queste divinità. È il sangue dei martiri, il dolore, il grido della Madre Chiesa che le fa cadere e trasforma così il mondo.

Questa caduta non è solo la conoscenza che esse non sono Dio; è il processo di trasformazione del mondo, che costa il sangue, costa la sofferenza dei testimoni di Cristo. E, se guardiamo bene, vediamo che questo processo non è mai finito. Si realizza nei diversi periodi della storia in modi sempre nuovi; anche oggi, in questo momento, in cui Cristo, l'unico Figlio di Dio, deve nascere per il mondo con la caduta degli dei, con il dolore, il martirio dei testimoni. Pensiamo alle grandi potenze della storia di oggi, pensiamo ai capitali anonimi che schiavizzano l'uomo, che non sono più cosa dell'uomo, ma sono un potere anonimo al quale servono gli uomini, dal quale sono tormentati gli uomini e perfino trucidati. Sono un potere distruttivo, che minaccia il mondo. E poi il potere delle ideologie terroristiche.

Apparentemente in nome di Dio viene fatta violenza, ma non è Dio:  sono false divinità, che devono essere smascherate, che non sono Dio. E poi la droga, questo potere che, come una bestia vorace, stende le sue mani su tutte le parti della terra e distrugge:  è una divinità, ma una divinità falsa, che deve cadere.
O anche il modo di vivere propagato dall'opinione pubblica:  oggi si fa così, il matrimonio non conta più, la castità non è più una virtù, e così via.
 
Queste ideologie che dominano, così che si impongono con forza, sono divinità. E nel dolore dei santi, nel dolore dei credenti, della Madre Chiesa della quale noi siamo parte, devono cadere queste divinità, deve realizzarsi quanto dicono le Lettere ai Colossesi e agli Efesini:  le dominazioni, i poteri cadono e diventano sudditi dell'unico Signore Gesù Cristo.

Di questa lotta nella quale noi stiamo, di questo depotenziamento di dio, di questa caduta dei falsi dei, che cadono perché non sono divinità, ma poteri che distruggono il mondo, parla l'Apocalisse al capitolo 12, anche con un'immagine misteriosa, per la quale, mi pare, ci sono tuttavia diverse belle interpretazioni.


Viene detto che il dragone mette un grande fiume di acqua contro la donna in fuga per travolgerla. E sembra inevitabile che la donna venga annegata in questo fiume. Ma la buona terra assorbe questo fiume ed esso non può nuocere. Io penso che il fiume sia facilmente interpretabile:  sono queste correnti che dominano tutti e che vogliono far scomparire la fede della Chiesa, la quale non sembra più avere posto davanti alla forza di queste correnti che si impongono come l'unica razionalità, come l'unico modo di vivere.
E la terra che assorbe queste correnti è la fede dei semplici, che non si lascia travolgere da questi fiumi e salva la Madre e salva il Figlio. Perciò il Salmo dice - il primo salmo dell'Ora Media - la fede dei semplici è la vera saggezza (cfr. Sal 118, 130). Questa saggezza vera della fede semplice, che non si lascia divorare dalle acque, è la forza della Chiesa. E siamo ritornati al mistero mariano.

E c'è anche un'ultima parola nel Salmo 81, "movebuntur omnia fundamenta terrae" (Sal 81, 5), vacillano le fondamenta della terra. Lo vediamo oggi, con i problemi climatici, come sono minacciate le fondamenta della terra, ma sono minacciate dal nostro comportamento. Vacillano le fondamenta esteriori perché vacillano le fondamenta interiori, le fondamenta morali e religiose, la fede dalla quale segue il retto modo di vivere. E sappiamo che la fede è il fondamento, e, in definitiva, le fondamenta della terra non possono vacillare se rimane ferma la fede, la vera saggezza.

E poi il Salmo dice:  "Alzati, Signore, e giudica la terra" (Sal 81, 8). Così diciamo anche noi al Signore:  "Alzati in questo momento, prendi la terra tra le tue mani, proteggi la tua Chiesa, proteggi l'umanità, proteggi la terra". E affidiamoci di nuovo alla Madre di Dio, a Maria, e preghiamo:  "Tu, la grande credente, tu che hai aperto la terra al cielo, aiutaci, apri anche oggi le porte, perché sia vincitrice la verità, la volontà di Dio, che è il vero bene, la vera salvezza del mondo". Amen.



(©L'Osservatore Romano - 11-12 ottobre 2010)



Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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21/03/2014 09:26
 
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LETTERA ENCICLICA
LUX VERITATIS
DEL SOMMO PONTEFICE
PIO XI
AI VENERABILI FRATELLI PATRIARCHI, 
PRIMATI, ARCIVESCOVI, VESCOVI 
E AGLI ALTRI ORDINARI LOCALI 
CHE HANNO PACE E COMUNIONE 
CON LA SEDE APOSTOLICA,
 
NEL XV CENTENARIO 
DEL CONCILIO DI EFESO CHE PROCLAMÒ 
LA MATERNITÀ DIVINA DI MARIA

 

Venerabili Fratelli, salute e Apostolica Benedizione.

La storia, luce di verità e testimonio dei tempi, se rettamente consultata e diligentemente esaminata, insegna che la promessa fatta da Gesù Cristo: « Io sono con voi … fino alla consumazione dei secoli » [1], non è mai venuta meno alla sua Chiesa e non verrà quindi mai a mancare in avvenire. Anzi quanto più furiosi sono i flutti dai quali è sbattuta la nave di Pietro, tanto più pronto e vigoroso essa sperimenta l’aiuto della grazia divina. E ciò in modo singolarissimo avvenne nei primi tempi della Chiesa, non solo quando il nome cristiano era ritenuto delitto esecrabile da punirsi con la morte, ma anche quando la vera fede di Cristo, sconvolta dalla perfidia degli eretici che imperversavano soprattutto in Oriente, fu messa in gravissima prova. Infatti, come i persecutori dei cristiani, l’uno dopo l’altro, miseramente scomparvero, e lo stesso Impero romano cadde in rovina, così tutti gli eretici, quasi tralci inariditi [2] perché recisi dalla vite divina, più non poterono succhiare la linfa vitale né fruttificare.

La Chiesa di Dio invece, fra tante procelle e vicissitudini di cose caduche, unicamente confidando in Dio, proseguì in ogni tempo il suo cammino con passo fermo e sicuro, né mai cessò di difendere vigorosamente l’integrità del sacro deposito della verità evangelica affidatole dal divino Fondatore.

Questi pensieri si riaffacciano alla Nostra mente, Venerabili Fratelli, nell’accingerCi a parlarvi in questa Lettera di quel veramente faustissimo avvenimento che fu il Concilio celebrato ad Efeso quindici secoli fa, nel quale, come fu smascherata l’astuta protervia degli erranti, così rifulse la inconcussa fede della Chiesa, sorretta dall’aiuto divino.

Sappiamo che per Nostro consiglio furono costituiti due Comitati di uomini insigni [3], incaricati di promuovere nel modo più solenne commemorazioni di questo centenario, non solo qui in Roma, capitale dell’orbe cattolico, ma in ogni parte del mondo. Né ignoriamo che le persone alle quali affidammo tale incarico speciale si adoperarono alacremente di promuovere la salutare iniziativa, senza risparmio di fatiche o di sollecitudini. Di questa alacrità dunque — assecondata, si può dire, dappertutto dal volenteroso e veramente mirabile consenso dei Vescovi e dei migliori fra i laici — non possiamo che grandemente congratularCi, perché confidiamo che ne abbiano a derivare, anche per l’avvenire, grandi vantaggi per la causa cattolica.

Ma considerando Noi attentamente questo avvenimento storico e i fatti e le circostanze ad esso connessi, stimiamo conveniente all’ufficio apostolico affidatoCi da Dio, rivolgerCi personalmente a voi con un’Enciclica in quest’ultimo scorcio del centenario e nella ricorrenza del tempo sacro in cui la B. V. Maria per noi « diede alla luce il Salvatore », e intrattenerCi con voi intorno a questo argomento che certo è della massima importanza. Nel fare ciò nutriamo ferma speranza che non solo le Nostre parole torneranno gradite ed utili a voi e ai vostri fedeli, ma, se esse verranno attentamente meditate con animo desideroso di verità da quanti Nostri fratelli e figli dilettissimi sono separati dalla Sede Apostolica, confidiamo che essi, convinti dalla storia maestra della vita, non potranno non provare almeno la nostalgia dell’unico ovile sotto l’unico Pastore, e del ritorno a quella vera fede, che gelosamente si conserva sempre sicura e inviolata nella Chiesa Romana. Infatti, nel metodo seguito dai Padri e in tutto lo svolgimento del Concilio di Efeso nell’opporsi all’eresia di Nestorio, tre dogmi della fede cattolica specialmente brillarono agli occhi del mondo nella piena loro luce, e di essi Noi tratteremo in modo speciale. Essi sono: che in Gesù Cristo unica è la persona, e questa divina; che tutti devono riconoscere e venerare la B. V. Maria come vera Madre di Dio; e infine, che nel Romano Pontefice risiede, per divina istituzione, l’autorità suprema, somma e indipendente, su tutti e singoli i cristiani, nelle questioni concernenti la fede e la morale.

I

Per procedere dunque con ordine nella trattazione, facciamo Nostra quella sentenziosa esortazione dell’Apostolo delle genti agli Efesini: « Riuniamoci finché arriviamo tutti all’unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, allo stato di uomo perfetto nella misura che conviene alla piena maturità di Cristo. Questo affinché non siamo più come fanciulli sballottati dalle onde e portati qua e là da qualsiasi vento di dottrina, secondo l’inganno degli uomini, con quella loro astuzia che tende a trarre nell’errore. Al contrario, vivendo secondo la verità nella carità, cerchiamo di crescere in ogni cosa verso di lui, che è il capo, Cristo, dal quale tutto il corpo, ben compaginato e connesso, mediante la collaborazione di ogni giuntura, secondo l’energia propria di ogni membro, riceve forza per crescere in modo da edificare se stesso nella carità » [4]. Le quali esortazioni dell’Apostolo, come furono seguite con sì mirabile unione d’animo dai Padri del Concilio di Efeso, così vorremmo che tutti, senza distinzione, facendo tacere ogni pregiudizio, le ritenessero come a sé rivolte e le mettessero felicemente in pratica.

Come è universalmente risaputo, autore di tutta la controversia fu Nestorio; non però nel senso che la nuova dottrina sia sbocciata tutta dal suo ingegno e dal suo studio, avendola egli certamente derivata da Teodoro, vescovo di Mopsuestia; ma egli, svolgendola poscia con maggiore ampiezza, e rimessala a nuovo con una certa apparenza di originalità, si diede a predicarla e a divulgarla con ogni mezzo con grande apparato di parole e di sentenze, dotato com’era di facondia singolare. Nato a Germanicia, città della Siria, si recò da giovane ad Antiochia per istruirsi nelle scienze sacre e profane. In questa città, allora celeberrima, professò dapprima la vita monastica; ma poi, volubile com’era, abbandonato questo genere di vita e ordinato sacerdote, si dedicò totalmente alla predicazione, cercandovi, più che la gloria di Dio, il plauso umano. La fama della sua eloquenza destò tanto favore nel pubblico e talmente si diffuse che, chiamato a Costantinopoli, allora priva del suo Pastore, fu elevato alla dignità episcopale, fra la più grande aspettazione comune. In questa così illustre sede, anziché astenersi dalle massime perverse della sua dottrina, continuò anzi a insegnarle e a divulgarle con maggiore autorità e baldanza.

Per bene intendere la questione, giova qui accennare brevemente ai principali capi dell’eresia nestoriana. Quell’uomo arrogante, giudicando che due ipostasi perfette, vale a dire la umana di Gesù e la divina del Verbo, si fossero riunite in una comune persona, o « prosopo » (com’egli si esprimeva), negò quell’ammirabile unione sostanziale delle due nature, che chiamiamo ipostatica; pertanto insegnò che l’Unigenito Verbo di Dio non s’era fatto uomo, ma si trovava presente nell’umana carne per la sua inabitazione, per il suo beneplacito e per la virtù della sua operazione. Di qui, non doversi Gesù chiamare Dio, ma « Theophoros » ossia Deifero; in modo non molto dissimile da quello per cui i profeti e gli altri santi possono chiamarsi Deiferi, cioè per la grazia divina loro concessa.

Da queste perverse massime di Nestorio seguiva doversi riconoscere in Cristo due persone, l’una divina e l’altra umana; e così ne scendeva necessariamente che la B. V. Maria non era veramente Madre di Dio, ossia « Theotócos », ma piuttosto Madre di Cristo uomo, ossia « Christotócos », o al più Accoglitrice di Dio, ossia « Theodócos » [5].

Questi empi dogmi, predicati non più nell’oscurità del segreto da un uomo privato, ma apertamente in pubblico dallo stesso Vescovo di Costantinopoli, produssero negli animi, massime nella Chiesa orientale, una gravissima perturbazione. E fra gli oppositori dell’eresia nestoriana, che non mancarono nemmeno nella capitale dell’Impero di Oriente, tiene certamente il primo posto quell’uomo santo e vindice della cattolica integrità che fu Cirillo, Patriarca di Alessandria. Questi, non appena conosciuta l’empia dottrina del Vescovo di Costantinopoli, zelantissimo com’era non soltanto dei figli suoi, ma altresì dei fratelli erranti, difese validamente presso i suoi la fede ortodossa, e si adoperò con animo fraterno di ricondurre Nestorio alla norma della verità, indirizzandogli una lettera.

Riuscito vano questo caritatevole tentativo a motivo della pervicace ostinazione di Nestorio, Cirillo, non meno buon conoscitore che fortissimo assertore dell’autorità della Chiesa Romana, non volle spingere più oltre la discussione né sentenziare di sua autorità in una causa tanto grave, senza prima domandare e udire il giudizio della Sede Apostolica. Scrisse perciò « al Beatissimo e a Dio dilettissimo Padre Celestino », una lettera piena di deferenza, dicendogli fra l’altro: « L’antica consuetudine delle Chiese ci induce a comunicare alla Tua Santità simili cause … » [6]. « Né vogliamo abbandonare pubblicamente la comunione di lui (Nestorio), prima di farne cenno alla Tua pietà. Degnati pertanto di significarci la Tua sentenza, onde chiaramente ci possa constare se convenga che noi comunichiamo con uno che favorisce e predica una siffatta erronea dottrina. Quindi l’integrità della Tua mente e il Tuo parere su questo argomento deve venire esposto chiaramente per iscritto ai vescovi piissimi e a Dio devotissimi della Macedonia e ai Pastori di tutto l’Oriente » [7].

Nestorio stesso non ignorava la suprema autorità del Vescovo di Roma su tutta la Chiesa; e di fatto ripetutamente scrisse a Celestino, sforzandosi di provare la sua dottrina e di guadagnarsi e accattivarsi l’animo del santo Pontefice. Ma indarno; perché gli stessi scritti incomposti dell’eresiarca contenevano errori non lievi; e il Capo della Sede Apostolica non appena li scorse, mettendo subito mano al rimedio perché la peste dell’eresia non divenisse, temporeggiando, più pericolosa, li esaminò giuridicamente in un Sinodo, e solennemente li riprovò e ordinò che parimenti da tutti fossero riprovati.

E qui desideriamo, Venerabili Fratelli, che riflettiate attentamente quanto, in questa causa, il modo di procedere del Romano Pontefice differisca da quello seguito dal Vescovo di Alessandria. Questi infatti, pur occupando una sede stimata la prima della Chiesa Orientale, non volle, come abbiamo detto, dirimere da sé una gravissima controversia concernente la fede cattolica, prima di aver ben conosciuto il pensiero della Sede Apostolica. Celestino invece, riunito a Roma un Sinodo, esaminata ponderatamente la causa, in forza della suprema e assoluta sua autorità su tutto il gregge del Signore, pronunziò solennemente questa decisione sul Vescovo di Costantinopoli e sulla dottrina di lui: « Sappi dunque chiaramente », così scrisse a Nestorio, « che questa è la nostra sentenza: se di Cristo, Dio nostro, non predichi ciò che affermano la Chiesa Romana e Alessandrina e tutta la Chiesa cattolica, come anche ottimamente sostenne la sacrosanta Chiesa di Costantinopoli fino a te, e se entro dieci giorni da computarsi da quello in cui avrai avuto notizia di questa intimazione, non ripudierai, con una confessione chiara e per iscritto, quella perfida novità che tenta di separare ciò che la Sacra Scrittura unisce, sei cacciato dalla comunione di tutta la Chiesa cattolica. Il testo del nostro giudizio su di te abbiamo inviato, per mezzo del ricordato figlio mio il diacono Possidonio, con tutti i documenti, al santo mio consacerdote Vescovo della predetta città di Alessandria, che di tutto questo affare con maggior pienezza C’informò, perché, in nostra vece, faccia in modo che questa nostra decisione venga conosciuta da te e da tutti i fratelli; perché tutti debbono sapere quanto si fa, quando si tratta della causa di tutti » [8].

L’esecuzione di questa sentenza fu poi demandata dal Romano Pontefice al Patriarca di Alessandria con queste gravi parole: « Pertanto, forte dell’autorità della nostra Sede, tenendo le nostre veci, eseguirai, con forte vigore questa sentenza: o entro dieci giorni, da computarsi dal giorno di questa intimazione, egli condannerà con una professione scritta le sue perverse dottrine e confermerà di ritenere intorno alla natività di Cristo, Dio nostro, la fede professata dalla Chiesa Romana, da quella della tua santità e dall’universale sentimento; oppure, se ciò non farà, subito la tua santità, provvedendo a quella Chiesa, sappia ch’egli dev’essere in tutti i modi rimosso dal nostro corpo » [9].

Alcuni scrittori antichi e moderni, quasi per eludere la chiara autorità dei documenti riferiti, vollero su tutta questa controversia proferire giudizio, spesso con un’orgogliosa iattanza. Anche ammesso, così vanno sconsideratamente dicendo, che il Pontefice Romano abbia pronunciato una sentenza perentoria ed assoluta, provocata dal Vescovo di Alessandria emulo di Nestorio, e quindi da lui ben volentieri fatta sua, resta però il fatto che il Concilio, riunitosi più tardi ad Efeso, tornò a giudicare da capo tutta la causa, già giudicata e assolutamente condannata dalla Sede Apostolica, e con la suprema sua autorità stabili ciò che da tutti doveva ritenersi in tale questione. Quindi credono di poter concludere che il Concilio Ecumenico gode di diritti assai maggiori e più forti che non l’autorità del Vescovo di Roma.

Ma chi con lealtà di storico e con animo spoglio di pregiudizi riguardi diligentemente ai fatti e ai documenti scritti, non può non riconoscere che tale obiezione posa sul falso ed è solo una simulazione di verità. Anzitutto conviene avvertire che quando l’imperatore Teodosio, anche in nome del suo collega Valentiniano, indisse il Concilio Ecumenico, la sentenza di Celestino non era ancora giunta a Costantinopoli, e quindi non vi era per nulla conosciuta. In secondo luogo avendo Celestino appreso della convocazione del Concilio di Efeso da parte degli Imperatori, non si mostrò affatto contrario; anzi scrisse a Teodosio [10] e al Vescovo di Alessandria [11] lodando il provvedimento e annunziando la scelta del Patriarca Cirillo, dei Vescovi Arcadio e Proietto e del prete Filippo, quali suoi legati, perché presiedessero al Concilio. Nel fare ciò il Romano Pontefice non rilasciò tuttavia all’arbitrio del Concilio la causa come non ancora giudicata, ma fermo restando, come si espresse, « quanto da Noi già si è stabilito » [12], affidò l’esecuzione della sentenza da lui pronunciata ai Padri del Concilio, in modo che essi, se fosse stato possibile, dopo essersi insieme consultati e aver pregato Iddio, si adoperassero per ricondurre all’unità della fede il Vescovo di Costantinopoli. Infatti, avendo Cirillo domandato al Pontefice come regolarsi in quell’affare, se cioè « il Sacro Sinodo dovesse riceverlo (Nestorio) nel caso che condannasse quanto aveva predicato; oppure valesse la sentenza già da tempo pronunziata, per essere ormai spirato il tempo dell’indugio », Celestino gli rispose: « Sia questo l’ufficio della tua santità insieme col venerando Concilio dei fratelli, di reprimere cioè gli strepiti sorti nella Chiesa, e di far sapere che, con l’aiuto divino, il negozio si è concluso con la desiderata correzione. Né diciamo già di non essere presenti al Concilio, non potendo non essere presenti a coloro con i quali, ovunque essi si trovino, Noi siamo congiunti per l’unità della fede … Costì Noi ci troviamo, perché pensiamo a ciò che costì si tratta per il bene di tutti; trattiamo presenti in ispirito ciò che non possiamo trattare presenti di corpo. Penso alla pace cattolica, penso alla salute di chi perisce, purché questi voglia confessare la sua malattia. E ciò diciamo perché non sembri che veniamo meno a chi forse vuole correggersi … Provi egli che Noi non abbiamo i piedi veloci ad effondere il sangue, conoscendo che anche per lui è offerto il rimedio » [13].

Queste parole di Celestino ne dimostrano l’animo paterno e attestano chiaramente ch’egli non bramava di meglio se non che rifulgesse alle menti accecate il lume della fede, e che la Chiesa fosse rallegrata dal ritorno degli erranti; tuttavia le prescrizioni da lui fatte ai legati in partenza per Efeso, sono certamente tali da manifestare la cura sollecita con cui il Pontefice ordinò che fossero mantenuti intatti i divini diritti della Sede Romana. Si legge infatti, tra l’altro: « Comandiamo che si debba custodire l’autorità della Sede Apostolica; poiché così parlano le istruzioni che vi sono state date, che cioè dobbiate esser presenti al Concilio e che se si venga alla discussione, voi dobbiate giudicare delle loro opinioni, non già entrare nella lotta » [14].

Né diversamente si comportarono i legati, col pieno consenso dei Padri del Concilio. Infatti, ubbidendo con fermezza e fedeltà ai predetti ordini del Pontefice, giunti ad Efeso, quando già era finita la prima tornata, chiesero che fossero loro consegnati tutti i decreti della precedente riunione, perché potessero venire ratificati in nome della Sede Apostolica: «Domandiamo che vogliate esporci quanto fu trattato in questo santo Sinodo prima del nostro arrivo, affinché, secondo la mente del beato nostro Papa e di questo santo Concilio, anche noi lo confermiamo …» [15].

E il prete Filippo pronunciò dinanzi a tutto il Concilio quella famosa sentenza sul primato della Chiesa Romana, che viene riferita nella Costituzione dogmatica « Pastor Aeternus » del Concilio Vaticano [16]. Essa dice: «Nessuno dubita, anzi tutti i secoli conoscono, che il santo e beatissimo Pietro, principe e capo degli Apostoli, colonna della fede e fondamento della Chiesa cattolica, ricevette le chiavi del regno dal Signor Nostro Gesù Cristo, Salvatore e Redentore del genere umano, e che a lui fu data la potestà di sciogliere e legare i peccati; ed egli fino a questo tempo e sempre vive nei suoi successori ed esercita il giudizio » [17].

Che più? Forse che i Padri del Concilio Ecumenico si opposero a questo procedere di Celestino e dei suoi legati? Assolutamente no. Anzi rimangono documenti scritti che ne manifestano chiarissimamente la riverenza e l’ossequio. Quando infatti i legati pontifici, nella seconda tornata del Concilio, leggendo la lettera di Celestino, dissero fra l’altro: «Abbiamo inviato, nella nostra sollecitudine, i santi fratelli e consacerdoti, Arcadio e Proietto, Vescovi, e il nostro prete Filippo, uomini specchiatissimi e concordi con Noi, perché intervengano alle vostre discussioni ed eseguano ciò che già da noi è stato stabilito; e ad essi non dubitiamo che la vostra santità debba dare l’assenso …»[18], i Padri, lungi dal ricusare questa sentenza come di giudice supremo, l’applaudirono anzi unanimemente e salutarono il Romano Pontefice con queste onorifiche acclamazioni: «Questo è il giusto giudizio! A Celestino, nuovo Paolo, a Cirillo nuovo Paolo, a Celestino custode della fede, a Celestino concorde col Sinodo, a Celestino tutto il Concilio rende grazie: un solo Celestino, un solo Cirillo, una sola la fede del Sinodo, una sola la fede del mondo » [19].

Come poi si venne alla condanna e alla riprovazione di Nestorio, i medesimi Padri del Concilio non credettero di poter liberamente giudicare da capo la causa, ma apertamente professarono di essere stati prevenuti e « costretti » dal responso del Romano Pontefice: « Conoscendo … che egli (Nestorio) sente e predica empiamente, costretti dai canoni e dalla lettera del Santissimo Padre nostro e consacerdote Celestino, Vescovo della Chiesa Romana, versando lacrime, veniamo necessariamente a questa lugubre sentenza contro di lui. Pertanto Gesù Cristo, nostro Signore, assalito dalle blasfeme voci di lui, per mezzo di questo santo Sinodo ha definito il medesimo Nestorio privato della dignità episcopale e separato da ogni consorzio e riunione sacerdotale »[20].

Questa fu altresì la professione fatta da Fermo, Vescovo di Cesarea, nella seconda sessione del Concilio, con le seguenti chiare parole: « L’Apostolica e Santa Sede del santissimo Vescovo Celestino, con la lettera indirizzata ai religiosissimi Vescovi, prescrisse anche in precedenza la sentenza e la regola intorno a questo caso; conformemente ad esse … giacché Nestorio, da noi citato, non è comparso, mandammo ad effetto quella condanna, proferendo contro di lui il giudizio canonico ed apostolico »[21].

Orbene, i documenti finora da noi ricordati provano in modo così ovvio e significativo la fede già allora comunemente in vigore in tutta la Chiesa intorno all’autorità indipendente ed infallibile del Romano Pontefice su tutto il gregge di Cristo, che Ci richiamano alla mente quella nitida e splendida espressione di Agostino sul giudizio pochi anni prima pronunziato dal papa Zosimo contro i Pelagiani nella sua Epistola Tractoria: « In queste parole la fede della Sede Apostolica è tanto antica e fondata, tanto certa e chiara è la fede cattolica, che non è lecito a un cristiano dubitare di essa » [22].

È così avesse potuto intervenire al Concilio di Efeso il santo Vescovo di Ippona! come vi avrebbe illustrato i dogmi della verità cattolica con quell’ammirabile sua acutezza d’ingegno, vedendo il pericolo delle discussioni, e come li avrebbe difesi con la sua forza d’animo! Ma quando i legati degli Imperatori giunsero ad Ippona per consegnargli la lettera di invito, non poterono far altro che piangere estinto quel chiarissimo luminare della sapienza cristiana e la sua sede devastata dai Vandali.

Non ignoriamo, Venerabili Fratelli, che alcuni di coloro che, specialmente ai nostri giorni, si dedicano alle ricerche storiche, si affannano non solo ad assolvere Nestorio di ogni taccia di eresia, ma ad accusare il santo Vescovo di Alessandria Cirillo quasi che questi, mosso da iniqua rivalità, calunniasse Nestorio e si adoperasse con tutte le sue forze a provocarne la condanna per dottrine non mai da lui insegnate. E i medesimi difensori del Vescovo di Costantinopoli non si peritano di lanciare la medesima gravissima accusa al beato Nostro antecessore Celestino, della cui imperizia Cirillo avrebbe abusato, e allo stesso sacrosanto Concilio di Efeso.

Ma contro un siffatto attentato, non meno vano che temerario, proclama unanime la sua riprovazione la Chiesa tutta, la quale in ogni tempo riconobbe come meritamente pronunziata la condanna di Nestorio, ritenne ortodossa la dottrina di Cirillo, annoverò sempre e venerò il Concilio Efesino tra i Concili Ecumenici celebrati sotto la guida dello Spirito Santo.

Ed infatti, pur tralasciando molte altre eloquentissime testimonianze, valga quella di moltissimi seguaci dello stesso Nestorio. Essi videro svolgersi gli eventi sotto i propri occhi, né erano legati a Cirillo da vincolo alcuno; eppure, benché spinti alla parte contraria dall’amicizia con Nestorio, dalla grande attrattiva dei suoi scritti e dall’acceso ardore delle dispute, nondimeno, dopo il Sinodo Efesino, come colpiti dalla luce della verità, a poco a poco abbandonarono l’eretico Vescovo di Costantinopoli, che appunto secondo la legge ecclesiastica era da evitare. Ed alcuni di essi certamente sopravvivevano ancora, allorché il Nostro predecessore di f. m. Leone Magno, così scriveva al Vescovo di Marsala Pascasino, suo legato al Concilio di Calcedonia: «Tu ben sai che tutta la Chiesa Costantinopolitana, con tutti i suoi monasteri e molti Vescovi, prestò il suo consenso e sottoscrisse alla condanna di Nestorio e di Eutiche, e dei loro errori » [23].

Nella lettera dogmatica, poi, all’imperatore Leone, egli accusa apertissimamente Nestorio come eretico e maestro di eresia, senza che alcuno gli contraddica. Egli scrive: « Si condanni dunque Nestorio, che opinò la Beata Vergine Maria essere madre soltanto dell’uomo e non di Dio, stimando altra essere la persona umana ed altra la divina, e non ritenendo un solo Cristo nel Verbo di Dio e nella carne, ma separando e proclamando altro essere il figlio di Dio, altro il figlio dell’uomo » [24]. Né alcuno può ignorare che questo stesso fu solennemente sancito dal Concilio di Calcedonia, il quale riprovò nuovamente Nestorio e lodò la dottrina di Cirillo. Così pure il santissimo Nostro predecessore Gregorio Magno, non appena fu innalzato alla cattedra del beato Pietro, dopo avere ricordato — nella sua Lettera sinodica alle Chiese orientali — i quattro Concili Ecumenici, cioè il Niceno, il Costantinopolitano, l’Efesino e il Calcedonese, si esprime intorno ad essi con questa, nobilissima ed importantissima sentenza: «… Su di essi si innalza, come su pietra quadrata, l’edificio della santa fede; su di essi poggia ogni vita ed azione; chi non si appoggia ad essi, anche se sembri essere pietra, giace tuttavia fuori dell’edificio » [25].

Tutti dunque ritengano come certo e manifesto che veramente Nestorio propalò errori ereticali, che il Patriarca Alessandrino fu invitto difensore della fede cattolica, e che il Pontefice Celestino, col Concilio di Efeso, difese l’avita dottrina e la suprema autorità della Sede Apostolica.

II

Ma è tempo ormai, Venerabili Fratelli, che passiamo a considerare più profondamente quei punti di dottrina, i quali, mediante la condanna stessa di  Nestorio, furono apertamente professati e autorevolmente sanciti dal Concilio Ecumenico di Efeso. Orbene, oltre la condanna dell’eresia Pelagiana e dei suoi fautori, tra i quali senza dubbio era Nestorio, l’argomento principale che vi fu trattato, e che fu solennemente e unanimemente confermato da quei Padri, riguardava la sentenza del tutto empia e contraria alle Sacre Scritture, propugnata da questo eresiarca; ond’è che fu proclamato come assolutamente certo ciò che egli negava, e cioè in Cristo essere una sola persona, la persona divina. Nestorio infatti, come dicemmo, ostinatamente sosteneva che il Divin Verbo si unisce all’umana natura in Cristo, non già sostanzialmente e ipostaticamente, bensì mediante un vincolo meramente accidentale e morale; e i Padri di Efeso, condannando appunto il Vescovo di Costantinopoli, proclamarono apertamente la vera dottrina dell’Incarnazione, che deve essere da tutti fermamente ritenuta. Ed invero Cirillo, nelle sue epistole e nei suoi capitoli, già in precedenza indirizzati a Nestorio e poi inseriti negli Atti di quel Concilio, accordandosi mirabilmente con la Chiesa di Roma, con chiare e ripetute parole ne difende la dottrina: « Pertanto in nessun modo è lecito scindere l’unico Signor nostro Gesù Cristo in due figli … La Scrittura infatti non dice che il Verbo ha associato a sé la persona umana, ma che si è fatto carne. Il dire che il Verbo si è fatto carne, significa che egli, come noi, si è unito con la carne e col sangue; egli dunque fece suo il nostro corpo e nacque uomo dalla donna, senza nondimeno abbandonare la divinità e la filiazione dal Padre: restò quindi, nella stessa assunzione della carne, quello che era » [26].

Infatti, come sappiamo dalle Sacre Scritture e dalla tradizione divina, il Verbo di Dio Padre non si congiunse con un uomo, già in sé sussistente, ma uno stesso e medesimo Cristo è il Verbo di Dio esistente ab aeterno nel seno del Padre e l’uomo fatto nel tempo. Poiché la mirabile unione della divinità e dell’umanità in Cristo Gesù, Redentore del genere umano, la quale a ragione vien detta ipostatica, è appunto quella che è inconfutabilmente espressa nelle Sacre Lettere, allorché lo stesso unico Cristo, non solo è appellato Dio ed uomo, ma viene anche descritto in atto di operare e come Dio e come uomo, ed infine, di morire in quanto uomo e di risorgere glorioso dalla morte in quanto Dio. In altri termini, quello stesso che è concepito per virtù dello Spirito Santo nel seno della Vergine, nasce, giace nel presepe, si dice figlio dell’uomo, soffre, e muore confitto in croce, è quello stesso appunto che dall’Eterno Padre, in modo miracoloso e solenne è proclamato « mio Figlio diletto » [27], dà con potere divino il perdono dei peccati [28], restituisce per virtù propria la sanità agli infermi [29] e richiama i morti alla vita [30]. Ora tutto ciò, mentre dimostra ad evidenza essere in Cristo due nature, dalle quali procedono operazioni umane e divine, non meno evidentemente attesta uno essere Cristo, Dio e Uomo nello stesso tempo, per quella unità della persona divina, per la quale è detto « Theànthropos ».

Inoltre, non vi è chi non veda come questa dottrina, costantemente insegnata dalla Chiesa, sia comprovata e confermata dal dogma della Redenzione umana. Infatti, come avrebbe potuto Cristo essere chiamato « primogenito fra molti fratelli » [31], essere ferito a causa della nostra iniquità [32], redimerci dalla schiavitù del peccato, se non fosse stato dotato di natura umana, come noi? E parimenti come avrebbe Egli potuto del tutto placare la giustizia del Padre celeste, offesa dal genere umano, se non fosse stato insignito, per la sua persona divina, di una dignità immensa e infinita?

Né è lecito negare questo punto della verità cattolica per la ragione che, se si dicesse che il Redentore nostro è privo della persona umana, per ciò stesso potrebbe sembrare che alla sua natura umana mancasse qualche perfezione, e quindi diventerebbe, come uomo, inferiore a noi. Poiché, come sottilmente e sagacemente osserva l’Aquinate, « la personalità in tanto appartiene alla dignità e alla perfezione di qualche cosa, in quanto appartiene alla dignità e alla perfezione di quella cosa l’esistere per se stessa, il che si intende col nome di persona. Però è più degno, per qualcuno, esistere in un altro di sé più elevato, che esistere per sé; quindi la natura umana è in maggiore dignità in Cristo, che non lo sia in noi, perché in noi, esistendo quasi per sé, ha la propria personalità; in Cristo, invece, esiste nella persona del Verbo. Così pure l’essere completivo della specie appartiene alla dignità della forma; tuttavia la parte sensitiva è più nobile nell’uomo per la congiunzione ad una più nobile forma completiva, che non lo sia nel bruto animale, nel quale essa stessa è forma completiva »[33].

Inoltre è bene qui notare che, come Ario, quell’astutissimo sovvertitore dell’unità cattolica, impugnò la natura divina del Verbo, e la sua consostanzialità con l’Eterno Padre, così Nestorio, procedendo per una via del tutta diversa, rigettando cioè l’unione ipostatica del Redentore, negò a Cristo, sebbene non al Verbo, la piena ed integra divinità. Infatti, se in Cristo la natura divina fosse stata unita con quella umana solamente con vincolo morale (come egli stoltamente vaneggiava) — ciò che, come abbiamo detto, hanno in certo qual modo conseguito anche i profeti e gli altri eroi della santità cristiana, per la propria intima unione con Dio — il Salvatore del genere umano poco o nulla differirebbe da coloro che egli ha redenti con la sua grazia e col suo sangue. Rinnegata dunque la dottrina dell’unione ipostatica, sulla quale si fondano ed hanno solidità i dogmi dell’Incarnazione e della redenzione umana, cade e rovina ogni fondamento della religione cattolica.

Però non Ci meravigliamo se, alla prima minaccia del pericolo dell’eresia Nestoriana, tutto l’orbe cattolico ha tremato; non Ci meravigliamo se il Concilio Efesino vivamente si è opposto al Vescovo di Costantinopoli che combatteva con tanta temerità ed astuzia la fede avita, ed eseguendo la sentenza del Romano Pontefice lo ha colpito col tremendo anatema.

Noi pertanto, facendo eco, in armonia di animo, a tutte le età dell’era cristiana, veneriamo il Redentore del genere umano non come « Elia… o uno dei profeti » nei quali abita la divinità per mezzo della grazia, ma ad una voce col Principe degli Apostoli, che ha conosciuto tale mistero per rivelazione divina, confessiamo: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente » [34].

Posta al sicuro questa verità dogmatica, se ne può facilmente dedurre che l’universale famiglia degli uomini e delle cose create è stata elevata dal mistero dell’Incarnazione a tale dignità, da non potersene certamente immaginare una maggiore, certo più sublime di quella alla quale fu innalzata con l’opera della creazione. Poiché in tal maniera nella discendenza di Adamo vi è uno, cioè Cristo, il quale perviene proprio alla sempiterna e infinita divinità, e con la stessa è congiunto in modo arcano e strettissimo; Cristo, diciamo, fratello nostro, dotato della natura umana, ma anche Dio con noi, ossia Emmanuele, che con la sua grazia e i suoi meriti, riconduce tutti noi al divino Autore, e ci richiama a quella beatitudine, dalla quale eravamo miseramente decaduti a causa del peccato originale. Nutriamo dunque per lui sensi di gratitudine, seguiamo i suoi precetti, imitiamone gli esempi. Così saremo consorti della divinità di colui « che si è degnato farsi partecipe della nostra umanità »[35].

Se però, come abbiamo detto, in ogni tempo, nel corso dei secoli la vera Chiesa di Gesù Cristo ha con somma diligenza difeso pura e incorrotta tale dottrina dell’unità di persona e della divinità del suo Fondatore, non così, purtroppo, avviene presso coloro che miseramente vagano fuori dell’unico ovile di Cristo. Infatti, ogni volta che qualcuno con pertinacia si sottrae al magistero infallibile della Chiesa, abbiamo da lamentare in lui anche una graduale perdita della sicura e vera dottrina intorno a Gesù Cristo. In realtà, se alle tante e così diverse sette religiose, a quelle in modo speciale sorte dal secolo XVI e XVII in poi, le quali si gloriano ancora del nome cristiano e al principio della loro separazione confessavano fermamente Cristo Dio e uomo, domandassimo che cosa ora ne pensano, ne avremmo risposte del tutto dissimili e fra loro contraddittorie; perché, sebbene pochi di essi abbiano conservato una fede piena e retta riguardo alla persona del nostro Redentore, quanto agli altri però, se in qualche maniera affermano qualcosa di simile, questo sembra piuttosto un residuo di quel prezioso aroma di antica fede, di cui ormai hanno perduto la sostanza.

Infatti essi presentano Gesù come un uomo dotato di divini carismi, congiunto in un certo modo misterioso, più degli altri, con la divinità, e a Dio vicinissimo; ma sono molto lontani dalla intera e genuina professione della fede cattolica. Altri infine, non riconoscendo nulla di divino in Cristo, lo dichiarano semplice uomo, adorno sì di esimie doti di corpo e di animo, ma soggetto anche ad errori e alla fragilità umana. Da ciò appare manifesto che tutti costoro, allo stesso modo di Nestorio, vogliono con ardire temerario « separare Cristo » e pertanto, secondo la testimonianza dell’Apostolo Giovanni, « non sono da Dio » [36].

Noi dunque, dal supremo fastigio di questa Sede Apostolica, esortiamo con cuore paterno tutti coloro che si gloriano di essere seguaci di Cristo, e che in Lui ripongono la speranza e la salute sia dei singoli sia dell’umano consorzio, ad aderire ogni giorno più fermamente e strettamente alla Chiesa Romana, nella quale si crede Cristo con fede unica, integra e perfetta, lo si onora con sincero culto di adorazione, lo si ama con perenne e vivida fiamma di carità. Si ricordino costoro, in modo speciale coloro che governano il gregge da Noi separato, che quella fede dai loro antenati solennemente professata in Efeso, è conservata immutata, e viene strenuamente difesa, come nell’età passata così al presente, da questa suprema Cattedra di verità; si ricordino che una tale purezza e unità di fede è fondata ed ha fermezza nella sola pietra posta da Cristo, e parimenti che solo per mezzo della suprema autorità del Beato Pietro e dei suoi Successori si può conservare incorrotta.

E quantunque di questa unità della religione cattolica abbiamo trattato più diffusamente pochi anni addietro nell’Enciclica Mortalium animos, gioverà tuttavia richiamarla qui brevemente in memoria, poiché l’unione ipostatica di Cristo, confermata in modo solenne nel Concilio Efesino, propone e rappresenta il tipo di quella unità di cui il nostro Redentore volle ornato il suo corpo mistico, cioè la Chiesa, « un solo corpo » [37], « ben compaginato e connesso » [38]. E veramente, se la personale unità di Cristo è l’arcano esemplare al quale Egli stesso volle conformare l’unica compagine della società cristiana, ogni uomo di senno comprende che questa non può affatto sorgere da una certa vana unione di molti discordanti fra loro, ma unicamente da una gerarchia, da un unico e sommo magistero, da un’unica regola del credere, da un’unica fede dei cristiani [39].

Questa unità della Chiesa, che consiste nella comunione con la Sede Apostolica, fu nel Concilio di Efeso splendidamente affermata da Filippo, legato del Vescovo Romano, il quale, parlando ai Padri Conciliari che ad una voce plaudivano alla lettera inviata da Celestino, proferì queste memorande parole: « Rendiamo grazie al santo e venerabile Sinodo, perché letta a voi la lettera del santo e beato Papa nostro, voi, membra sante, vi siete congiunti al capo santo con le vostre sante voci e con le vostre sante acclamazioni. Infatti la vostra beatitudine non ignora che il beato Apostolo Pietro è capo di tutta la fede ed anche degli Apostoli » [40].

Più che in passato, ora maggiormente, Venerabili Fratelli, è necessario che tutti i buoni siano stretti in Gesù Cristo e nella sua mistica sposa, la Chiesa, da un’unica, medesima e sincera professione di fede, poiché dappertutto tanti uomini cercano di scuotere il soave giogo di Cristo, respingono la luce della sua dottrina, calpestano le fonti della grazia, e infine ripudiano la divina autorità di Colui, che è diventato, secondo il detto evangelico, « il segno di contraddizione » [41].

Siccome da tale lacrimevole defezione da Cristo provengono innumerevoli mali che vanno ogni giorno crescendo, tutti cerchino l’opportuno rimedio da Lui, che « è stato dato agli uomini sulla terra e nel quale solamente possiamo avere salvezza » [42].

Così soltanto con l’aiuto del Sacro Cuore di Gesù, potranno spuntare tempi più felici per gli animi dei mortali, tanto per i singoli uomini, quanto per la società domestica e per la stessa società civile, al presente così profondamente sconvolta.










Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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21/03/2014 09:27
 
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III


Dal punto della dottrina cattolica fin qui toccato, necessariamente deriva quel dogma della divina maternità, che predichiamo, della B. Vergine Maria: «non già come ammonisce Cirillo, che la natura del Verbo o la sua divinità abbia tratto il principio della sua origine dalla Vergine Santissima, ma nel senso che da lei trasse quel sacro corpo informato dall’anima razionale, dal quale il Verbo di Dio, unito secondo la ipostasi, si dice sia nato secondo la carne » [43]. Invero se il figlio della B. Vergine Maria è Dio, per certo colei che lo generò deve chiamarsi con ogni diritto Madre di Dio; se una è la persona di Gesù Cristo, e questa divina, senza alcun dubbio Maria deve da tutti essere chiamata non solamente Genitrice di Cristo uomo, ma Deipara, «Theotòcos ». Colei dunque che da Elisabetta sua cugina è salutata «Madre del mio Signore » [44], della quale Ignazio Martire dice che ha partorito Iddio [45], e dalla quale Tertulliano dichiara che è nato Iddio [46], quella stessa noi veneriamo come alma Genitrice di Dio, cui l’eterno Iddio conferì la pienezza della grazia e che elevò a tanta dignità.


Nessuno poi potrebbe rigettare questa verità, tramandataci fin dall’inizio della Chiesa, per il fatto che la B. Vergine abbia fornito sì il corpo a Gesù Cristo, senza però generare il Verbo del Padre celeste; infatti, come a ragione e chiaramente già fin dal suo tempo risponde Cirillo [47], a quel modo che tutte le altre donne nel cui seno si genera il nostro terreno composto ma non l’anima, si dicono e sono veramente madri, così Ella ha similmente conseguito la divina maternità dalla sola persona del Figlio suo.


Giustamente quindi il Concilio Efesino ancora una volta riprovò solennemente l’empia sentenza di Nestorio, che il Romano Pontefice, mosso dallo Spirito divino, aveva condannato un anno prima.


E il popolo di Efeso era compreso da tanta devozione e ardeva di tanto amore per la Vergine Madre di Dio, che appena apprese la sentenza pronunziata dai Padri del Concilio, li acclamò con lieta effusione di animo e, provvedutosi di fiaccole accese, a folla compatta li accompagnò fino alla loro dimora. E certo, la stessa gran Madre di Dio, sorridendo soavemente dal cielo ad un così meraviglioso spettacolo, ricambiò con cuore materno e col suo benignissimo aiuto i suoi figli di Efeso e tutti i fedeli del mondo cattolico, perturbati dalle insidie dell’eresia nestoriana.


Da questo dogma della divina maternità, come dal getto d’un’arcana sorgente, proviene a Maria una grazia singolare: la sua dignità, che è la più grande dopo Dio. Anzi, come scrive egregiamente l’Aquinate: « La Beata Vergine, per il fatto che è Madre di Dio, ha una dignità in certo qual modo infinita, per l’infinito bene che è Dio » [48]. Il che più diffusamente espone Cornelio a Lapide con queste parole: « La Beata Vergine è Madre di Dio; Ella dunque è di gran lunga più eccelsa di tutti gli Angeli, anche dei Serafini e dei Cherubini. È Madre di Dio; Ella perciò è la più pura e la più santa, così che dopo Dio non si può immaginare una purezza maggiore. È Madre di Dio; perciò qualsiasi privilegio concesso a qualunque Santo, nell’ordine della grazia santificante, Ella lo ha al di sopra di tutti » [49].


E allora perché i Novatori e non pochi acattolici riprovano così acerbamente la nostra devozione alla Vergine Madre di Dio, quasi riducessimo quel culto che solo a Dio è dovuto? Ignorano forse costoro, o non attentamente riflettono come nulla possa riuscire più accetto a Gesù Cristo, che certamente arde di un amore grande per la Madre sua, quanto il venerarla noi secondo il merito, premurosamente riamarla e studiarci, con l’imitazione dei suoi esempi santissimi, di guadagnarcene il valido patrocinio?


Non vogliamo però passare sotto silenzio un fatto che Ci riesce di non lieve conforto, come cioè ai nostri tempi, anche alcuni tra i Novatori siano tratti a conoscere meglio la dignità della Vergine Madre di Dio, e mossi a venerarla ed onorarla con amore. E questo certamente, quando nasca da una profonda sincerità della loro coscienza e non già da un larvato artificio di conciliarsi gli animi dei cattolici, come sappiamo che avviene in qualche luogo, Ci fa del tutto sperare che, con l’aiuto della preghiera, la cooperazione di tutti e con l’intercessione della B. Vergine che ama di amore materno i figli erranti, questi siano finalmente un giorno ricondotti in seno all’unico gregge di Gesù Cristo e, per conseguenza, a Noi che, sebbene indegnamente, ne sosteniamo in terra le veci e l’autorità.


Ma nella missione della maternità di Maria, ancora un’altra cosa, Venerabili Fratelli, crediamo doveroso ricordare: una cosa che torna certamente più dolce e più soave. Avendo Ella dato alla luce il Redentore del genere umano, divenne in certo modo madre benignissima, anche di noi tutti, che Cristo Signore volle avere per fratelli [50]. Scrive il Nostro Predecessore Leone XIII di f.m.: «Tale ce la diede Iddio: nell’atto stesso in cui la elesse a Madre del suo Unigenito, le ispirò sentimenti del tutto materni, che nient’altro effondessero se non misericordia ed amore; tale da parte sua ce l’additò Gesù Cristo, quando volle spontaneamente sottomettersi a Maria e prestarle obbedienza come un figlio alla madre; tale Egli dalla croce la dichiarò allorché, nel discepolo Giovanni, le affidò la custodia e il patrocinio su tutto il genere umano; tale infine si dimostrò Ella stessa, quando, raccolta con animo grande quella eredità d’un immenso travaglio lasciatale dal Figlio moribondo, si diede subito a compiere ogni ufficio di madre » [51].


Per questo avviene che a Lei veniamo attratti come da un impulso irresistibile, e a Lei confidiamo con filiale abbandono ogni cosa nostra — le gioie cioè, se siamo lieti; le pene se siamo addolorati; le speranze se finalmente ci sforziamo di risollevarci a cose migliori —; per questo avviene che se alla Chiesa si preparano giorni più difficili, se la fede viene scossa perché la carità si è raffreddata, se volgono in peggio i privati e pubblici costumi, se qualche sciagura minaccia la famiglia cattolica e il civile consorzio, a Lei ci rifugiamo con suppliche, per chiedere con insistenza l’aiuto celeste; per questo, infine, quando nel supremo pericolo della morte, non troviamo più da nessuna parte speranza ed aiuto, a Lei innalziamo gli occhi lacrimosi e le mani tremanti, chiedendo fervidamente, per mezzo di Lei al Figlio suo, il perdono e l’eterna felicità nei cieli.


A Lei, dunque, ricorrano tutti con più acceso amore nelle presenti necessità dalle quali siamo travagliati; a Lei domandino con suppliche pressanti « di impetrare che le fuorviate generazioni tornino all’osservanza delle leggi, nelle quali è riposto il fondamento d’ogni pubblico benessere, e donde promanano i benefìci della pace e della vera prosperità. A Lei chiedano molto intensamente ciò che tutti i buoni devono avere in cima ai loro pensieri: che la Madre Chiesa ottenga il tranquillo godimento della sua libertà, la quale non indirizza ad altro che alla tutela dei supremi interessi dell’uomo, e dalla quale, come gli individui, così la società, anziché danno, trasse in ogni tempo i più grandi e inestimabili benefìci » [52].


Ma sopra ogni altra cosa, un particolare e certamente importantissimo beneficio desideriamo che da tutti venga implorato, mediante la intercessione della celeste Regina. Ella cioè, che è tanto amata e tanto devotamente onorata dagli Orientali dissidenti, non permetta che questi miseramente fuorviino e che sempre più si allontanino dall’unità della Chiesa e quindi dal Figlio suo, del quale Noi facciamo le veci sulla terra. Tornino a quel Padre comune, la cui sentenza accolsero tutti i Padri del Concilio Efesino e salutarono con plauso unanime quale « custode della Fede »; facciano ritorno a Noi, che per tutti loro portiamo un cuore assolutamente paterno, e volentieri facciamo Nostre quelle tenerissime parole con le quali Cirillo si sforzò di esortare Nestorio, affinché « si conservasse la pace delle Chiese e rimanesse indissolubile tra i sacerdoti di Dio il vincolo della concordia e dell’amore » [53].


Voglia il Cielo che spunti quanto prima quel lietissimo giorno in cui la Vergine Madre di Dio, fatta ritrarre in mosaico dal Nostro antecessore Sisto III nella Basilica Liberiana (opera che Noi stessi abbiamo voluto restituire al primitivo splendore), possa vedere il ritorno dei figli da Noi separati, per venerarla insieme con Noi, con un solo animo e una fede sola. Cosa che certamente Ci riuscirà oltre ogni dire gioconda.


Riteniamo inoltre di buon augurio l’essere toccato a Noi di celebrare questo quindicesimo centenario; a Noi, vogliamo dire, che abbiamo difeso la dignità e la santità del casto connubio contro i cavillosi assalti d’ogni genere [54]; a Noi che abbiamo solennemente rivendicato alla Chiesa i sacrosanti diritti dell’educazione della gioventù, affermando ed esponendo con quali metodi dovesse impartirsi, a quali princìpi conformarsi [55].


Infatti questi due Nostri insegnamenti trovano sia nelle mansioni della divina maternità, sia nella famiglia di Nazaret un esimio modello da proporsi all’imitazione di tutti. Effettivamente, per servirci delle parole del Nostro Predecessore Leone XIII di f. m., « i padri di famiglia hanno in Giuseppe una guida eccellentissima di paterna e vigile provvidenza; nella Santissima Vergine Madre di Dio, le madri hanno un insigne modello di amore, di verecondia, di spontanea sottomissione e di fedeltà perfetta; in Gesù poi, che era a quelli sottomesso, i figli trovano un modello di ubbidienza tale da essere ammirato, venerato ed imitato » [56].


Ma è particolarmente giovevole soprattutto che quelle madri dei tempi moderni, le quali, infastidite della prole e del vincolo coniugale, hanno avvilito e violato i doveri che si erano imposti, sollevino lo sguardo a Maria, e seriamente considerino a quanto grande dignità il compito di madre sia stato da Lei innalzato. Così si può allora sperare che, con la grazia della celeste Regina, siano indotte ad arrossire dell’ignominia inflitta al grande sacramento del matrimonio, e che siano salutarmente animate a conseguire con ogni sforzo i pregi ammirabili delle virtù di Lei.


E qualora tutto ciò avvenga secondo i Nostri desideri, se cioè la società domestica — principio fondamentale di tutto l’umano consorzio — verrà ricondotta a così degnissima norma di probità, senza dubbio potremo affrontare e porre finalmente un riparo a quello spaventoso cumulo di mali da cui siamo travagliati. In tal modo avverrà « che la pace di Dio, la quale supera ogni intendimento, custodirà i cuori e le intelligenze di tutti » [57], e che l’auspicatissimo regno di Cristo venga dovunque e felicemente ristabilito, mediante la mutua unione delle forze e delle volontà. Né vogliamo por fine a questa nostra Enciclica senza manifestarvi, Venerabili Fratelli, una cosa che certamente riuscirà a tutti gradita. Desideriamo cioè che non manchi un ricordo liturgico di questa secolare commemorazione: un ricordo che giovi a rinfervorare nel Clero e nel popolo la più grande devozione verso la Madre di Dio. Perciò abbiamo ordinato alla Sacra Congregazione dei Riti che vengano pubblicati l’Ufficio e la Messa della Divina Maternità, da celebrarsi in tutta la Chiesa universale.


Intanto a ciascuno di voi, Venerabili Fratelli, al clero e al popolo vostro, come auspicio dei celesti favori e quale pegno del Nostro cuore paterno, impartiamo di cuore l’Apostolica Benedizione.


Dato a Roma, presso San Pietro, il 25 dicembre, nella festa della Natività di N. S. Gesù Cristo, dell’anno 1931, decimo del Nostro Pontificato.


 


PIUS PP. XI 




[1Matth., XXVIII, 20.


[2Ioann., XV, 6.


[3] Epist. ad Emos Card. B. Pompilj et A. Sincero, d. XXV Dec. MDCCCCXXX.


[4Ephes. IV, 13-16.


[5] Mansi, Conciliorum Amplissima Collectio, IV, c. 1007; Schwartz, Acta Conciliorum Oecumenicorum, I, 5, p. 408.


[6] Mansi, l.c., IV, 1011.


[7] Mansi, l.c., IV, 1015.


[8] Mansi, l.c., IV, 1034 sq.


[9] Migne, P. L., 50, 463; Mansi, l.c., IV, 1019 sq.


[10] Mansi, l.c., IV, 1291.


[11] Mansi, l.c., IV, 1292.


[12] Mansi, l.c., IV, 1287.


[13] Mansi. l.c., IV, 1292.


[14] Mansi, l.c., IV, 556.


[15] Mansi, l.c., IV, 1290.


[16Conc. Vatic., sess. IV, cap. 2.


[17] Mansi, l.c., IV, 1295.


[18] Mansi, l.c., IV, 1287.


[19] Mansi, l.c. IV, 1287.


[20] Mansi, l.c., IV, 1294 sq.


[21] Mansi, l.c., IV, 1287 sq.


[22] Epist. 190; Corpus Scriptorum ecclesiasticorum latinorum, 57, p. 159 sq.


[23] Mansi, l.c., VI, 124.


[24] Mansi, l.c., VI, 351-354.


[25] Migne, P. L., 77, 478; Mansi, l.c., IX, 1048.


[26] Mansi, l.c., IV, 891.


[27Matth., III, 17; XVII, 5; II Petr., 17.


[28Matth., IX, 2-6; Luc., V, 20-24; VII, 48 et alibi.


[29Matth., VIII, 3; Marc, I, 41; Luc., V, 13; Ioann., IX et alibi.


[30Ioann., XI, 43; Luc., VII, 14 et alibi.


[31Rom., VIII, 29.


[32Isai., LIII, 5; Matth., VIII, 17.


[33Summ. Theol., III, q. II, a. 2.


[34Matth., XVI, 14.


[35] Ordo Missae.


[36I Ioann., IV, 3.


[37I Cor., XII, 12.


[38Ephes., IV, 16.


[39] Litt. Encycl. Mortalium animos.


[40] Mansi, l.c., 1290.


[41Luc., II, 34.


[42Act., IV, 13.


[43] Mansi, l.c., IV, 891.


[44Luc., I, 43.


[45Ephes., VII, 18-20.


[46De carne Chr., 17, P. L., II, 781.


[47] Mansi, l.c., IV, 599.


[48Summ Theol., I, q. XXV, a. 6.


[49] In Matth., I, 6.


[50Rom., VIII, 29.


[51] Epist. Encyl. Octobri mense adventante, die XXII Sept. MDCCCXCI.


[52] Epist. Encycl. s. c.


[53] Mansi, l.c., IV, 891.


[54] Litt. Encycl. Casti connubii, die XXI Decemb. MDCCCCXXX.


[55] Litt. Encycl: Divini illius Magistri, die XXI Decemb. MDCCCCXXIX;


[56] Litt. Apost. Neminem fugit, die XIV Ian. MDCCCXXXXII.


[57Phil., IV, 7.


 

 


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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MARIA SANTISSIMA «MATER ECCLESIAE»

UDIENZA GENERALE DI PAOLO VI

Mercoledì, 18 novembre 1964

 

Diletti Figli e Figlie!

Il saluto che oggi Noi vi diamo, ha una sua ispirazione particolare, quella delle grandi discussioni del Concilio Ecumenico, il quale concluderà alla fine di questa settimana la sua terza sessione; e, come certo saprete, la dottrina principale riguarda la divina ed umana costituzione della Chiesa, specialmente su alcuni punti, i quali devono fare oggetto, d’ora innanzi, di un’amorosa considerazione di tutti i fedeli, che hanno la fortuna di appartenere alla Chiesa e che devono farsi onore ed obbligo di averne coscienza.

Uno di questi punti riguarda il popolo di Dio, cioè l’umanità che il Signore ha voluto legare a sé mediante rapporti soprannaturali, mediante una vocazione partita da Lui, e avente per scopo di stabilire un patto, un testamento, fra Lui e quegli uomini che corrispondono alla sua chiamata. Fu così istituito dapprima un patto, un testamento con una stirpe eletta e distinta: fu l’antica alleanza, l’Antico Testamento, che costituiva il piccolo e ristretto popolo ebreo in popolo di Dio. Ma ciò non era altro che una preparazione e una figura di una nuova alleanza fra Dio e l’umanità, l’alleanza messianica del Nuovo Testamento, instaurata da Cristo, aperta a tutta l’umanità e fondata non sul sangue, non su promesse temporali, ma sulla redenzione operata da Cristo stesso e sulla parola evangelica da Lui bandita nel mondo, per formare così una famiglia universale di uomini credenti, santificati, e disposti a dare alla loro vita naturale un’impronta, un valore cristiano, e a lasciarla dirigere quasi filii obedientiae, come figli dell’obbedienza (1 Petr. 1, 14), da un’autorità pastorale, la gerarchia ecclesiastica, verso una finalità trascendente il tempo di questa vita mortale, la vita futura.

Nulla è nuovo in questa dottrina, ben nota ad ogni cattolico; quello ch’è nuovo è l’importanza, il rilievo, lo sviluppo dato dal Concilio al popolo di Dio nell’insegnamento relativo alla Chiesa. La Chiesa non è definita soltanto nel suo aspetto gerarchico, ma altresì nel suo aspetto comunitario. Le parole dell’apostolo Pietro, nella sua prima lettera alle comunità cristiane dell’Asia Minore, sono oggi da tutti ricordate e ripetute, dove definiscono i fedeli come una «stirpe eletta, un sacerdozio regale, una gente santa, un popolo riscattato, . . . che un tempo non si poteva chiamare popolo, ora invece popolo di Dio» (1 Petr. 2, 9-10). La dignità dei cristiani è così riconosciuta ed esaltata. La sola appartenenza alla Chiesa conferisce al fedele un’eccellenza meravigliosa e un destino straordinario; lo dichiara «nato da Dio» (cfr. Io. 1, 13), dotato della libertà dei figli di Dio (cfr. Rom. 8, 21), diretto dalla legge della carità e della pace, destinato al regno di Dio, che qui in terra comincia, ma che avrà in cielo la sua pienezza; e tutto questo per la comunione di vita che egli possiede, mediante la grazia, cioè l’animazione dello Spirito Santo, con Cristo.

Questa esaltazione del «popolo di Dio» nel grande disegno della dottrina della Chiesa ha un’importanza pratica straordinaria, perché mira a dare agli uomini del nostro tempo la vera concezione della vita, che tanti errori, tante ideologie, tante opinioni mirano invece a confondere e ad oscurare. Bisogna avere una concezione esatta della vita; e questa a noi è data dalla fede, e precisamente là dove essa ci ricorda la nostra vocazione cristiana come un’elevazione ad una società scelta ed amata da Dio e da Lui guidata a superiori e felici destini. La concezione che noi ci facciamo della vita influisce su ogni nostro altro giudizio di valore e su tante nostre pratiche risoluzioni. Essa orienta il nostro cammino, essa educa il nostro cuore; così che, se davvero siamo persuasi d’essere cittadini del popolo messianico, del popolo di Dio, ci riesce facile comprendere un altro capitolo di questa stupenda costituzione della Chiesa, quello che parla della vocazione universale alla santità: tutti i membri della Chiesa sono chiamati ad una perfezione, ad una fedeltà che deve santificare ogni condizione della loro vita, qualunque sia lo stato in cui praticamente essa si svolge. Anche questa considerazione non è per nulla nuova, ma innestata nel disegno grandioso del ministero della Chiesa appare meravigliosa e investe, come una luce abbagliante, la coscienza d’ogni fedele cristiano.

La dottrina della Chiesa si presenta come una esaltazione dell’umanità. E voi sapete dov’essa trova il suo vertice, nella creatura umana che possiede in sé, per privilegio divino, la pienezza della umana perfezione e che fu scelta per dare al Verbo di Dio, quando volle farsi uomo per la nostra salvezza, la nostra carne, la nostra natura, per essere cioè la Madre di Cristo - Uomo Dio -, secondo la carne, e la Madre nostra spiritualmente per la mistica unione che ci affratella a Cristo. Maria, come sappiamo, occupa una posizione singolarissima; anch’Ella è membro della Chiesa, è redenta da Cristo, è sorella nostra; ma proprio in virtù della sua elezione a Madre del Redentore dell’umanità, e in ragione della sua perfetta ed eminente rappresentanza del genere umano, essa può dirsi a buon diritto moralmente e tipicamente la Madre di tutti gli uomini, e specialmente la nostra, di noi credenti e redenti, la Madre della Chiesa, la Madre dei Fedeli.

Per questo, diletti Figli e Figlie, siamo lieti di annunciarvi che Noi termineremo questa sessione del Concilio Ecumenico, che ha delineato la dottrina della Chiesa, nella gioia di riconoscere alla Madonna il titolo che ben le compete di Madre della Chiesa «Mater Ecclesiae».

Sarà questo un titolo che ci aiuterà a celebrare Maria Santissima amorosa regina del mondo, centro materno dell’unità, pia speranza della nostra salvezza.



 


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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CONCLUSIONE DELLA III SESSIONE DEL CONCILIO VATICANO II


ALLOCUZIONE DEL SANTO PADRE PAOLO VI
Maria Mater Ecclesiae

Festa della Presentazione di Maria Ss. ma al Tempio
Sabato, 21 novembre 1964

   

Venerabili Fratelli,

1 Dopo due mesi ridondanti di attività e di lavoro fraterno, rendiamo grazie a Dio per la felice celebrazione di questo Concilio Ecumenico Vaticano II, di cui oggi concludiamo la laboriosa terza Sessione con questa solenne e sacra assemblea. Oh, davvero abbiamo il dovere di esprimere a Dio i nostri animi memori del beneficio e contenti perché ci ha concesso il suo dono particolare di prender parte a questo storico avvenimento, anzi di dargli noi stessi, umilmente e fortunatamente protagonisti, valore, senso e pienezza. Oh, bisogna veramente che intendiamo come rivolte a noi queste parole del Signore: "Beati i vostri occhi perché vedono e i vostri orecchi perché sentono" (Mt 13,16). Ecco, abbiamo davanti agli occhi della nostra mente la Santa Chiesa di Dio, rappresentata dai Pastori, ai quali si associano i rispettivi greggi; e questa Chiesa per volontà di Dio, all’appello della Nostra voce, si è riunita insieme. Ecco la Gerarchia cattolica, che deve formare e governare il popolo santo di Dio, è convenuta qui in un’unica sede, con un sentimento unanime, un’unica preghiera, una sola fede, una sola carità sulle labbra e nel cuore; ecco questa incomparabile assemblea, che non ci stanchiamo di ammirare, né mai potremo dimenticare, perché aspira alla gloria del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo ed è intenta a rievocare il messaggio altissimo della Rivelazione ed a scrutarne il vero ed intimo significato; ecco persone riunite insieme, aliene come nessun altro dalla ricerca del proprio utile e delle vanità; tese come nessun altro ad offrire testimonianza alla verità divina; uomini certo deboli e non immuni da errori, ma persuasi di poter pronunziare verità che non possono in nessun modo venir messe in discussione o aver fine; uomini, vogliamo dire, figli di questo tempo e di questa terra, ma innalzati sopra il tempo e la terra per caricarsi sulle spalle i pesi dei loro fratelli e condurli alla salvezza spirituale; uomini dotati della volontà di dedicarsi totalmente, infiammati di un amore che è più grande dello stesso animo in cui arde, spinti da un impulso che potrebbe sembrare temerario, ma che è associato alla serena fiducia di saper indagare il senso della vita umana e della storia e di dar loro valore, grandezza, bellezza, unitarietà in Cristo; soltanto in Cristo Signore! Questo suscita meraviglia, Venerabili Fratelli, che siete qui presenti; questo suscita meraviglia, uomini che ci guardate stando fuori. Potremo mai vedere spettacolo più grande, più religioso, più commovente, più solenne?

2 Ma la nostra gioia aumenta se solo riandiamo con la mente, in quest’ultimo momento della Sessione del Concilio che stiamo per concludere, agli argomenti di cui si è discusso e poi definito: è stata sviscerata ed espressa la dottrina sulla Chiesa; è stata così completata l’opera del Concilio Ecumenico Vaticano I che concerne la dottrina; è stato esaminato il mistero della Chiesa ed il piano divino circa le sue principali istituzioni.

3 Ancora una volta diciamo: rendiamo grazie a Dio per questo felice risultato, ed a ragione lasciamo che i nostri cuori siano pervasi di gioia: in avvenire comprenderemo infatti più facilmente la mente divina quanto al mistico Corpo di Cristo, e da questa conoscenza potremo ricavare norme più chiare e più sicure in ordine alla vita della Chiesa e maggiori energie per sostenere i suoi sforzi affinché gli uomini siano condotti alla salvezza, ed una più fondata speranza riguardo al progresso del regno di Cristo nel mondo. Dunque, benediciamo il Signore!

4 Sarebbe lungo riconsiderare il lavoro compiuto, l’impegno pio e severo allo scopo di renderlo pienamente conforme alla verità che è contenuta nei Libri Sacri e all’autentica tradizione della Chiesa; la conseguente fatica affrontata per trovare il senso intimo e la verità fondamentale del diritto costitutivo della Chiesa al fine di distinguere tra ciò che è immutabile e certo e ciò che deriva dai principi per naturale e legittima evoluzione; infine, la cura per mettere nella giusta luce ogni aspetto del mistero della Chiesa, perché fosse esattamente illustrata la vita del Corpo mistico di Cristo in ogni sua parte, in ogni suo compito, in ogni finalità ad esso assegnata.

5 Ma il punto più arduo e memorabile di questa fatica spirituale compiuta è sicuramente quello che verte sulla dottrina dell’Episcopato; perciò Ci sia concesso di dire qualcosa soltanto su questo capitolo, che cosa ne pensiamo .

6 Desideriamo dire solo questo: che Ci è veramente piaciuto che tale dottrina sia stata trattata con una vasta esuberanza di analisi e di discussione, e con non minore acutezza di conclusioni. Era difatti necessario completare il Concilio Ecumenico Vaticano I. Era giunto il momento opportuno: lo esigevano sia il grande incremento che in questi nostri tempi hanno conosciuto gli studi teologici, sia la diffusione della Chiesa Cattolica nel mondo, sia i problemi che nascono dalla pratica quotidiana dell’attività pastorale, proposti per una soluzione alla Chiesa, sia finalmente i desideri di molti Vescovi, che attendevano la precisazione della dottrina che li riguarda. Era anche congruente il sistema adottato per farlo; sicché non esitiamo in nulla - tenendo conto delle spiegazioni che sono state allegate sia per interpretare i termini adottati, sia per la portata teologica da attribuire alla dottrina proposta, secondo la mente del Concilio - non esitiamo affatto, ripetiamo, a promulgare, con l’aiuto di Dio, questa Costituzione sulla Chiesa.

7 La migliore raccomandazione per questa promulgazione appare questa, che con essa non è stata mutata in nessun modo la dottrina tradizionale. Quel che Cristo volle, noi pure lo vogliamo. Quello che era, è rimasto. Quel che durante i secoli la Chiesa ha insegnato, anche noi lo insegniamo. Solamente, ciò che prima era solo contenuto nel modo di vivere, ora è espresso anche con un esplicito insegnamento; ciò che finora era soggetto alla riflessione, alla discussione ed in parte anche alle controversie, ora è stato redatto in una precisa formula dottrinale. Possiamo dunque affermare che per intervento di Dio provvido è scoccata per noi quest’ora luminosissima; un’ora, vogliamo dire, il cui avvento ieri lentamente si avvicinava, il cui fulgore oggi risplende, la cui potenza salutifera domani arricchirà certamente la vita della Chiesa di nuovi progressi nella dottrina, di forze più attive, di più efficienti istituzioni.

8 È bene riflettere anche sull’onore che con questa Costituzione viene tributato al popolo di Dio. Nulla di più lieto può accaderCi che vedere solennemente riconosciuta la dignità di tutti i nostri Fratelli e nostri Figli di cui si compone il popolo santo, giacché tutto il ministero della Gerarchia è rivolto, come al proprio fine, alla sua vocazione, alla sua santificazione, al suo governo, alla sua salvezza eterna. Né ci arreca minore consolazione quello che con questa Costituzione viene dichiarato dei Nostri Fratelli nell’Episcopato. Come godiamo nel vedere che la loro dignità è solennemente messa in luce, esaltato il ministero, riconosciuta la potestà! Quali intensi ringraziamenti rivolgiamo a Dio perché fortunatamente tocca proprio a Noi adornare del dovuto onore la sacra dignità del vostro ministero e la pienezza del vostro sacerdozio e precisare i rapporti che intercorrono tra Noi e voi, Venerabili e amati Fratelli!

9 Abbiamo anche avuto il piacere di notare, non senza un sentimento di pietà, che la funzione primaria, unica, universale che Cristo Signore ha affidato a Pietro e viene trasmessa ai suoi successori - di cui oggi indegnamente sosteniamo l’incarico - questa funzione, dicevamo, viene diffusamente e ripetutamente riconosciuta e le viene reso omaggio nel solenne Documento da Noi appena promulgato. Questo non può non piacerCi; non però per la dignità che a Noi ne deriva, perché Noi non esercitiamo per cupidigia quest’ufficio, ma al contrario lo temiamo; ma più esattamente per l’onore reso alle parole di Cristo, per la riconfermata coerenza con la sacra tradizione e il magistero della Chiesa, e da ultimo per la tutela sancita sia all’unità della Chiesa, sia anche all’azione concorde ed efficace che si deve assolutamente garantire nel governo della Chiesa. Era poi della massima importanza tanto riconoscere apertamente e definitivamente dette prerogative del Sommo Pontificato che risolvere la questione dell’autorità episcopale nella Chiesa; in modo che tale autorità apparisse non contrastare in nulla, ma essere del tutto componibile con la potestà del Vicario di Cristo e Capo del collegio episcopale, secondo il diritto costitutivo della Chiesa.

10 Per questo rapporto stretto e radicato nella sua stessa natura l’Episcopato diviene come un corpo unico, in sé organico, che ha nel Vescovo Successore di San Pietro non una potestà diversa ed estranea, ma il suo capo e quasi il suo centro; dal che Noi siamo pressati ad esaltare con sollecito zelo i vostri diritti insieme ai Nostri e a rallegrarci dei loro ampliamenti, a rivendicare la loro eccellenza ed a curare con la Nostra la loro integrazione e perfezione.

11 Riconoscendo così all’ufficio episcopale il suo pieno valore e la sua efficacia, Ci accorgiamo che aumenta intorno a Noi la comunione nella fede, nella carità, nella responsabilità e nella collaborazione. Nel convalidare ed esaltare la vostra autorità non temiamo affatto che sia diminuita o limitata la Nostra; Noi anzi ci sentiamo più forti per l’unione degli animi per la quale diveniamo fratelli; e comprendiamo anche che Noi ne siamo resi più idonei a reggere la Chiesa universale, perché sappiamo bene che ciascuno di voi aspira a realizzare il medesimo obiettivo; Ci sentiamo infine più fiduciosi negli aiuti di Gesù Cristo, poiché nel suo nome siamo tutti più strettamente solidali tra di noi e desideriamo essere uniti in futuro.

12 Quali effetti avrà nella pratica e nello sviluppo la delucidazione di questa dottrina non è facile ora vederlo; ma non è difficile prevedere che sarà assai feconda di approfondimenti spirituali e di ordinamenti canonici. Il Concilio Ecumenico si concluderà con la prossima quarta Sessione. Per tradurre in pratica i suoi decreti, si dovranno istituire molte Commissioni "postconciliari", per la cui direzione sarà sicuramente necessario che l’Episcopato presti la sua collaborazione. Mossi poi dallo stesso pensiero, per sbrigare gli affari di interesse generale che sono noti come specifici di questo nostro tempo, Noi saremo prontissimi ad eleggere alcuni di voi, Venerabili Fratelli, ad essere chiamati e a deliberare periodicamente, perché non Ci manchi il conforto della vostra presenza, l’aiuto della vostra prudenza e competenza, l’appoggio del vostro consiglio, il consenso della vostra autorità; ciò sarà tanto più utile in quanto la Curia Romana, che deve essere ristrutturata, cosa che sarà accuratamente studiata, potrà giovarsi dell’esperienza dei Pastori delle diocesi; e così porterà i suoi servizi, che già godono di efficienza per la fedele operosità, ad esecuzione e a perfezione per mezzo di Vescovi, oriundi di varie regioni e recanti l’aiuto della loro saggezza e carità.

13 Quanto poi all’organizzazione e alla pratica, la maggior mole di studi e di decisioni comporterà forse qualche difficoltà, per il fatto che il lavoro di gruppo incontra più ostacoli che quello individuale. Ma poiché ciò corrisponde più adeguatamente alla struttura contemporaneamente monarchica e gerarchica della Chiesa e mediante la vostra cooperazione alleggerisce di più le Nostre fatiche, con la prudenza e la carità supereremo le difficoltà collegate a tale più complesso ordinamento del governo ecclesiastico.

14 Noi vogliamo sperare che dalla dottrina sul mistero della Chiesa, che il Concilio Vaticano II ha illustrato e proclamato, deriveranno fin d’ora molti vantaggi agli animi degli uomini, soprattutto dei cattolici, nel senso che tutti i cristiani vedranno più chiaramente delineato e prospettato il vero volto della Sposa di Cristo; vedranno la bellezza della loro madre e loro maestra; vedranno la semplicità e la maestà di questa venerabile istituzione; ne resteranno sorpresi come per un miracolo di fedeltà alla storia, di vita sociale esemplare e di ottima legislazione, come per un segno che denota un continuo progresso, nel quale l’elemento divino e l’umano si fondono insieme, perché di conseguenza si riveli nella comunità degli uomini credenti in Gesù il progetto dell’Incarnazione e della Redenzione; in altri termini, secondo la sentenza di sant’Agostino, si manifesti il Cristo totale, nostro Salvatore.

15 Di tale lietissimo spettacolo esultino con gioia innanzitutto coloro che ricercano unicamente e costantemente la perfezione cristiana; alludiamo ai Religiosi, uomini e donne, che sono i membri migliori, i generosi difensori, i figli carissimi della Chiesa.

16 Ma di simile spettacolo devono rallegrarsi anche quelli dei Nostri Fratelli e Figli che vivono in territori dove tuttora o è completamente negata o è limitata la legittima e doverosa libertà di professare la religione, per cui vanno computati nella Chiesa che dobbiamo chiamare "del silenzio" o "delle lacrime". Anch’essi gioiscano del magnifico insegnamento che illustra la Chiesa, che le sofferenze da essi sopportate e la fede da essi professata stupendamente testimoniano. Chi fa questo acquista la massima gloria, è assimilato cioè a Cristo, vittima della Redenzione umana.

17 Nutriamo anche la speranza che con animo equo e benevolo considereranno questa dottrina della Chiesa i fratelli in Cristo che ancor oggi sono separati da noi. Oh, come vorremmo che la stessa dottrina, integrata dalle spiegazioni contenute nello Schema "sull’Ecumenismo", che questo Concilio ha pure approvato, ecciti i loro animi, quasi come un fermento d’amore, ad ammettere le sue tesi e le sue proposte, in modo che essi siano indotti sempre più alla comunione con noi, e finalmente, per dono di Dio, siano in questo d’accordo con noi. Nel frattempo noi, incitati da questo ammaestramento, con somma delizia delle nostre menti osserviamo che la Chiesa, nell’esporre i lineamenti della propria figura, non restringe affatto, ma ancor più dilata gli spazi della sua carità, né reprime la spinta molteplice di quella che chiamano la sua cattolicità, che sempre progredisce, sempre stimola. A questo punto pensiamo ci sia concesso sia porgere un riverente saluto agli Osservatori presenti, che sono delegati delle Chiese o delle confessioni cristiane separate da Noi, sia la gratitudine per aver voluto assistere alle Congregazioni Conciliari, sia esprimere auguri per il loro benessere.

18 Vorremmo infine che la sacra dottrina della Chiesa illuminasse con qualche riverbero della sua gioiosa luce anche il mondo profano, nel quale essa vive e nei cui confini è compresa; bisogna infatti che essa si presenti come quel segnale innalzato in mezzo ai popoli (Cf. Is 5,26Vlg.) perché tutti siano guidati con sicurezza nel cammino per raggiungere la verità e la vita. Infatti, com’è chiaro a tutti, l’elaborazione di questa dottrina, pur adattandosi fedelmente al severo rigore e al metodo della sacra teologia, che la giustifica e la propone, non trascura però l’umanità; quel genere umano che o confluisce nella Chiesa o causa quei condizionamenti storici e sociali di situazioni e di luoghi nei quali essa adempie la sua divina missione. La Chiesa esiste per l’umanità. La Chiesa non rivendica per sé nessun’altra autorità terrena se non quella che le permette di servire gli uomini ed amarli.

19 Mentre porta a perfezione le sue forme di pensiero e la sua compagine, la santa Chiesa non si stacca dalla norma e dalla consuetudine degli uomini con i quali vive, ma cerca piuttosto di meglio capirli, di condividere le loro angosce e le loro legittime aspirazioni, di sostenere i loro sforzi per ottenere prosperità, libertà e pace.

20 Continueremo agevolmente il discorso intrapreso alla fine del Concilio, quando cioè nella prossima ed ultima Sessione saranno esauriti in tutte le loro parti lo Schema "Sulla libertà religiosa", che soltanto per mancanza di tempo non ha potuto essere esaminato alla fine di questa Sessione, e l’altro Schema "Sulla Chiesa nel mondo contemporaneo" - che sarà come il coronamento del lavoro del Concilio, e che è già stato trattato sommariamente in questa Sessione.

21 Detto questo, prima di mettere fine a queste Nostre parole, un altro proposito carezza soavemente il Nostro pensiero.

22 Venerabili Fratelli, non possiamo cioè fare a meno di volgere il pensiero, con animo sincero e grato, come conviene a figli, anche alla Beatissima Vergine Maria, ossia a colei che volentieri consideriamo protettrice di questo Concilio, testimone delle nostre fatiche, consigliera amabilissima: al celeste patrocinio suo e di San Giuseppe sono state affidate dall’inizio le riunioni del Concilio (AAS 53 (1961), pp. 37s., 211ss; 54 (1962), p. 727).

23 Animati da questo stesso sentimento, l’anno scorso abbiamo onorato la Santa Madre di Dio con ossequio collettivo, convenuti nella Basilica Liberiana per venerare l’immagine cui è stata dato il titolo glorioso di "Salvezza del Popolo Romano".

24 Ma quest’anno l’onore che il Concilio desidera renderle è molto più solenne e significativo: infatti possiamo affermare che con questa Costituzione sulla Chiesa oggi promulgata, il cui capitolo che tratta della Beata Vergine Maria rappresenta come il vertice, la presente Sessione si conclude con un inno incomparabile nel quale si celebrano le lodi della Vergine Madre di Dio.

25 Per la prima volta avviene - e dicendolo siamo profondamente commossi nell’animo - che un Concilio Ecumenico concentra in un’unica e così ampia sintesi la dottrina cattolica sul posto che si deve attribuire alla Beata Vergine Maria nel mistero di Cristo e della Chiesa.

26 Questo collima pienamente con ciò che è stato proposto a questo Concilio, che era cercare di manifestare il volto della santa Chiesa, alla quale la Madre di Dio è intimamente legata e della quale è "la parte più eccelsa, la parte migliore, la parte preminente, la parte più eletta", come qualcuno ha egregiamente affermato (RUPERTO, In Apoc. 1, VII, c. 12: PL 169, 1043).

27 Ma la Chiesa stessa non si compone soltanto della sua struttura gerarchica, della sacra liturgia, dei sacramenti, dei suoi organismi; la sua forza interiore e la sua caratteristica, fonte principale dell’azione con cui santifica gli uomini, stanno nella sua mistica unione con Cristo, la quale unione non possiamo ritenere disgiunta da colei che è la Madre del Verbo Incarnato e che Cristo stesso si associò intimamente per procurare la nostra salvezza.

28 Guardando la Chiesa, dobbiamo dunque contemplare con animo amorevole le meraviglie che Dio ha operato nella sua Santa Madre. E la cognizione della vera dottrina cattolica sulla Beata Vergine Maria sarà sempre un efficace sussidio per capire esattamente il mistero di Cristo e della Chiesa.

29 Ripensando questi stretti rapporti con cui sono collegati tra loro Maria e la Chiesa, che vengono così lucidamente esposti in questa Costituzione del Concilio, esse Ci inducono a ritenere che questo momento è il più solenne e il più opportuno per adempiere il voto cui abbiamo accennato alla fine dell’ultima Sessione e che moltissimi Padri hanno anche fatto proprio, chiedendoci con insistenza che durante questo Concilio fosse dichiarata in termini espliciti la missione materna che la Beata Vergine Maria adempie nel popolo cristiano. Per questo motivo Ci sembra necessario che in questa pubblica seduta enunciamo ufficialmente un titolo con il quale venga onorata la Beata Vergine Maria, che è stato richiesto da varie parti del mondo cattolico ed è a Noi particolarmente caro e gradito, perché con mirabile sintesi esprime la posizione privilegiata che nella Chiesa questo Concilio ha riconosciuto essere propria della Madre di Dio.

30 Perciò a gloria della Beata Vergine e a nostra consolazione dichiariamo Maria Santissima Madre della Chiesa, cioè di tutto il popolo cristiano, sia dei fedeli che dei Pastori, che la chiamano Madre amatissima; e stabiliamo che con questo titolo tutto il popolo cristiano d’ora in poi tributi ancor più onore alla Madre di Dio e le rivolga suppliche.

31 Si tratta di un titolo, Venerabili Fratelli, non certo sconosciuto alla pietà dei cristiani; anzi i fedeli e tutta la Chiesa amano invocare Maria soprattutto con questo appellativo di Madre. Questo nome rientra certamente nel solco della vera devozione a Maria, perché si fonda saldamente sulla dignità di cui Maria è stata insignita in quanto Madre del Verbo di Dio Incarnato.

32 Come infatti la divina Maternità è la causa per cui Maria ha una relazione assolutamente unica con Cristo ed è presente nell’opera dell’umana salvezza realizzata da Cristo, così pure soprattutto dalla divina Maternità fluiscono i rapporti che intercorrono tra Maria e la Chiesa; giacché Maria è la Madre di Cristo, che non appena assunse la natura umana nel suo grembo verginale unì a sé come Capo il suo Corpo mistico, ossia la Chiesa. Dunque Maria, come Madre di Cristo, è da ritenere anche Madre di tutti i fedeli e i Pastori, vale a dire della Chiesa.

33 È questo il motivo per cui noi, benché indegni, benché deboli, alziamo tuttavia gli occhi a lei con animo fiducioso ed accesi dell’amore di figli. Lei che ci ha dato un giorno Gesù, fonte della grazia soprannaturale, non può non rivolgere la sua funzione materna alla Chiesa, specialmente in questo tempo in cui la Sposa di Cristo si avvia a compiere con più alacre zelo la sua missione salutifera.

34 Ad alimentare e confermare ulteriormente questa fiducia Ci inducono quegli strettissimi vincoli che esistono tra questa nostra Madre celeste e l’umanità. Pur essendo stata arricchita da Dio di doni generosissimi e meravigliosi perché fosse Madre degna del Verbo Incarnato, nondimeno Maria ci è vicina. Come noi, anche lei è figlia di Adamo, e perciò nostra sorella per la comune natura umana; per i meriti futuri di Cristo essa fu immune dal peccato originale, ma ai doni divinamente ricevuti aggiunse personalmente l’esempio della sua fede perfetta, tanto da meritare l’elogio evangelico: "Beata te che hai creduto".

35 In questa vita mortale incarnò la forma perfetta del discepolo di Cristo, fu uno specchio di tutte le virtù, e nel suo atteggiamento rispecchiò pienamente quelle beatitudini che furono proclamate da Cristo Gesù. Ne deriva che nell’esplicare la sua vita multiforme e la sua operosa attività tutta la Chiesa prenda dalla Vergine Madre di Dio l’esempio secondo il quale si deve imitare perfettamente Cristo.

36 Dopo aver promulgata ufficialmente la Costituzione sulla Chiesa, alla quale abbiamo dato coronamento dichiarando Maria Madre di tutti i fedeli e Pastori, cioè della Chiesa, confidiamo fermamente che il popolo cristiano invocherà con maggiore speranza e più fervoroso ardore la Beatissima Vergine e le accorderà il culto e l’onore dovuti.

37 Quanto a noi, come, ottemperando all’esortazione del Nostro Predecessore Giovanni XXIII, siamo convenuti la prima volta in questa sede del Concilio "con Maria, la Madre di Gesù", così allo stesso modo ce ne andiamo da questo tempio nel nome santissimo di Maria, la Madre della Chiesa.

38 Per attestare la gratitudine e l’apprezzamento per l’assistenza materna a noi benignamente prestata nel corso di questa Sessione, ciascuno di voi, Venerabili Fratelli, si impegni più decisamente a tenere alto nel popolo cristiano il nome e l’onore di Maria, proponga il suo esempio da imitare nella fede, nella docilità a qualsiasi stimolo della grazia celeste, nel conformare fedelmente la vita ai comandamenti di Cristo e all’impulso della carità, in modo che tutti i fedeli si sentano sempre più fermi nel professare la fede e nel seguire Cristo Gesù, e nello stesso tempo ardano di più intensa carità verso i fratelli, promuovendo l’amore ai poveri, la ricerca della giustizia e la difesa della pace. Come già ammoniva acutamente il grande sant’Ambrogio, "ci sia in ciascuno l’anima di Maria per magnificare il Signore, ci sia in ciascuno lo spirito di Maria per esultare in Dio" (S. AMBROGIO, Exp. in Luc. 2,26: PL 15, 1642).

39 Soprattutto ci auguriamo che sia messo chiaramente in luce questo: che Maria, umile serva del Signore, è tutta in funzione di Dio e di Gesù Cristo, unico nostro Mediatore e Redentore. Desideriamo inoltre che sia accuratamente spiegato di quale natura sia e dove tenda il culto dovuto a Maria, specialmente in quelle regioni dove abitano molti fratelli da noi separati, perché chiunque si trovi fuori dal grembo della Chiesa Cattolica comprenda veramente che la devozione verso la Vergine Madre di Dio non si esaurisce in se stessa, ma è da ritenere un aiuto che per sua natura porta gli uomini a Cristo e li unisce all’Eterno Padre dei cieli, nel vincolo della carità dello Spirito Santo.

40 Mentre con ardente supplica volgiamo l’animo alla Beata Vergine Maria perché benedica il Concilio Ecumenico e la santa Chiesa ed acceleri il giorno sospirato nel quale tutti i seguaci di Gesù Cristo si riuniscano come un tempo, i Nostri occhi si rivolgono a tutto il mondo, che si estende quasi all’infinito; al mondo, vogliamo dire, alla cui considerazione questo Concilio Ecumenico dedica alacri ed amorevolissime attenzioni, e che, non senza una celeste ispirazione, il Nostro Predecessore Pio XII di venerata memoria ha consacrato con solenne rito al Cuore Immacolato di Maria Vergine. Abbiamo creduto giusto commemorare oggi in modo particolare questo santissimo atto di religione. Mossi dallo stesso impulso, abbiamo deciso di mandare una Rosa d’Oro, per mezzo di una Delegazione appositamente costituita, al tempio di Fatima, non solo carissimo al popolo della nobile Nazione Portoghese - che sempre, e specialmente oggi, è da Noi prediletta -, ma già noto e venerato anche presso i fedeli di tutta la comunità cattolica. Con questo gesto anche Noi affidiamo alla celeste tutela di Maria la protezione dell’intera umanità, e le presentiamo le sue difficoltà ed ansietà, le giuste aspirazioni e le ardentissime speranze.

41 O Vergine Maria, Madre di Dio, Madre augustissima della Chiesa, a te raccomandiamo tutta la Chiesa e il Concilio Ecumenico.

42 Tu che con soave appellativo sei invocata "aiuto dei Vescovi", custodisci i sacri Pastori nell’adempiere la loro missione e sii con loro e con i sacerdoti, i religiosi, i fedeli laici, e chiunque li coadiuva nel sostenere le ardue fatiche del loro ministero pastorale.

43 Tu che dal Divin Salvatore tuo Figlio, morente sulla croce, sei stata data in Madre amatissima al discepolo che egli prediligeva, ricordati del popolo cristiano che a te si affida.

44 Ricordati di tutti i tuoi figli; avvalora presso Dio le loro preghiere con il tuo personale prestigio e la tua autorità, conserva integra e costante la loro fede, corrobora la speranza, accendi la carità.

45 Ricordati di quelli che si dibattono nelle tribolazioni, nelle necessità, nei pericoli, e prima di tutto di coloro che soffrono persecuzioni e sono tenuti in catene per la fede cristiana. Ad essi, Vergine Madre, impetra fortezza d’animo ed affretta il sospirato giorno della dovuta libertà.

46 Rivolgi i tuoi benignissimi occhi ai nostri fratelli separati, e degnati di concedere che finalmente ci riuniamo come un tempo, tu che hai generato Cristo, ponte ed artefice di unione tra Dio e gli uomini.

47 O tempio di luce incorrotta e mai oscurata, prega il tuo Figlio Unigenito, dal quale ora abbiamo ottenuto la riconciliazione con il Padre (Cf. Rm 5,11), perché abbia misericordia dei nostri errori, tenga lontano ogni genere di disgregazione, infonda nelle nostre menti la gioia di amare i fratelli.

48 Al tuo Cuore Immacolato, o Vergine Madre di Dio, raccomandiamo tutto il genere umano; conducilo a riconoscere Cristo Gesù, unico e vero Salvatore; preservalo dalle sventure che i peccati attirano e donagli la pace, che si fonda nella verità, nella giustizia, nella libertà e nell’amore.

49 Concedi infine a tutta la Chiesa che, celebrando questo grande Concilio Ecumenico, possa cantare un inno solenne di lode e di ringraziamento al Dio delle misericordie, un inno di gioia e di esultanza perché grandi cose ha fatto per mezzo tuo l’Onnipotente, o clemente, o pia, o dolce Vergine Maria (AAS 56 (1964), pp. 1007-1018).

 





Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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