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Lettera alla Diocesi di Roma del cardinale Vicario, Vallini, ma una parte del Clero è scontento

Ultimo Aggiornamento: 30/09/2011 13:09
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09/11/2010 00:22
 
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DIOCESI DI ROMA




Incontro del Clero Romano 2010

Relazione del Cardinale Vicario





Basilica di San Giovanni, 20 settembre 2010





     Cari Confratelli !

     1. Ci ritroviamo dopo la pausa estiva, che spero vi abbia rinfrancato nel corpo e nello spirito. Riprendiamo il nostro cammino presbiterale ed ecclesiale. L’immagine che spontaneamente mi viene alla mente è quella della scalata, di andare verso l’alto, che, se è faticoso, è tonificante. Quando si va in montagna, ad ogni tornante ci si volta indietro per guardare la strada fatta, magari asciugandosi il sudore, e poter contemplare il panorama con lo sguardo rivolto alla meta. Fuori metafora, mi sembra di poter dire che la Chiesa di Roma è una comunità in cammino, che non si ferma perché la strada è accidentata e in salita, né indietreggia dinanzi alle difficoltà e alle sfide. E’ una Chiesa che, ad ogni tornante, sa fare il punto dell’itinerario per ripartire con maggiore lena. Desidero dare pubblica testimonianza di ciò a voi, cari Confratelli, che siete le guide del popolo cristiano, in un momento storico nel quale il Signore non ci fa mancare le consolazioni e ci chiama a superare nuove prove.

     2. Nell’anno pastorale 2009-2010 abbiamo vissuto intense esperienze spirituali, che ci hanno fatto amare ancora di più il nostro sacerdozio e ringraziare il Signore per il dono ricevuto: l’Anno sacerdotale, il pellegrinaggio ad Ars e a Paray-le-Monial, il Convegno diocesano su Eucarestia e testimonianza della carità, per citarne alcune significative, e tutto l’impegno nei diversi campi di ministero.
     Nell’omelia della Messa conclusiva dell’Anno sacerdotale, l’11 giugno scorso, il Santo Padre ci diceva: con l’Anno sacerdotale “volevamo risvegliare la gioia che Dio ci sia così vicino, e la gratitudine per il fatto che Egli si affidi alla nostra debolezza; che Egli ci conduca e ci sostenga giorno per giorno”. Così è stato e ne ringraziamo il Signore. Ma nell’anno pastorale passato sono avvenuti dei fatti, che ci obbligano a misurare il passo e a non perdere di vista la meta. Vogliamo richiamarli brevemente non per esserne condizionati, ma per metterli a confronto con la bellezza della nostra vita.
     Anzitutto la bufera della pedofilia, che nella stessa omelia il Santo Padre ha descritto così: “Era da aspettarsi che al «nemico» questo nuovo brillare del sacerdozio non sarebbe piaciuto; egli avrebbe preferito vederlo scomparire, perché in fin dei conti Dio fosse spinto fuori del mondo. E così è successo che, proprio in questo anno di gioia per il sacramento del sacerdozio, siano venuti alla luce i peccati di sacerdoti…”. E poi lo scandalo estivo dell’omosessualità.
     Inutile nasconderci che queste vicende ci hanno pesato personalmente e come presbiterio, soprattutto per la ricaduta sulla credibilità e la fiducia nella Chiesa da parte di tante persone. Ma non dobbiamo scoraggiarci, anche se, a mio parere, sarebbe un errore, dinanzi ai “peccati di sacerdoti”, di cui parla il Papa, noi ci sentissimo del tutto fuori. Naturalmente da certi peccati e delitti è certo che siamo fuori: non è neanche il caso di dirlo. Ed è bene sapere – lo affermo con carità e chiarezza insieme - che non c’è posto nel nostro presbiterio per chi si fosse macchiato o si macchiasse di così orribile peccato e delitto o di comportamenti morali altrettanto gravemente peccaminosi, come l’esercizio dell’omosessualità incompatibile con il sacerdozio.

     Ma dobbiamo avere il coraggio di scendere più in profondità per prendere coscienza che avendo ricevuto tanto, dobbiamo corrispondere con altrettanta magnanimità di cuore. Il Papa ha continuato così: “Se l’Anno sacerdotale avesse dovuto essere una glorificazione della nostra personale prestazione umana, sarebbe stato distrutto da queste vicende. Ma si trattava per noi proprio del contrario: diventare grati del dono di Dio, dono che si nasconde «in vasi di creta»”. E nell’omelia del 29 giugno, quasi in continuità con questo pensiero, commentando le letture della festa degli apostoli Pietro e Paolo, il Santo Padre ha affermato: “Se pensiamo ai due millenni di storia della Chiesa,…non sono mai mancate per i cristiani le prove, che in alcuni periodi e luoghi hanno assunto il carattere di vere e proprie persecuzioni. Queste, però,…non costituiscono il pericolo più grave per la Chiesa. Il danno maggiore, infatti, essa lo subisce da ciò che inquina la fede e la vita cristiana dei suoi membri e delle sue comunità, intaccando l’integrità del Corpo mistico, indebolendo la sua capacità di profezia e di testimonianza, appannando la bellezza del suo volto”.

     3. Cari Confratelli, proprio questa duplice dimensione: sapere che siamo destinatari di un dono che ci supera e ci sovrasta ed avere coscienza di essere “vasi di creta”, ci deve mettere sull’avviso che nessuno è indenne da qualche pigrizia, dalla tentazione di adagiarsi nell’abitudine o del sottile compromesso, dal rischio dell’erosione lenta della gioia della vita consacrata a Cristo e dal pericolo di debolezze e fragilità. La grazia della perseveranza non è né ovvia, né scontata, anzi è controcorrente e socialmente improponibile, in una società del provvisorio, dell’esperimento a termine, dove tutto si rimette sempre in discussione. Noi non siamo fuori da questo contesto, noi respiriamo la stessa aria che respirano tutti, ma siamo capaci di profezia e di testimonianza che rende bello il volto della Chiesa, se rimaniamo intimamente uniti a Cristo.
     Certo, segni di fatica e di disagio possiamo avvertirli tutti.

Ad esempio, il sovraccarico di lavoro per le cose da fare ogni giorno previste nel modello pastorale adottato possono avere l’effetto di farci ritrovare in un ingranaggio e in una sorta di burocratizzazione anche degli atti ministeriali più santi, rischiando di viverli in modo ripetitivo e spersonalizzato; o, al contrario, la divisione rigida dei compiti parrocchiali, così da ritrovarci di fatto con molti spazi vuoti che lentamente possono indebolire la convinzione della necessità di un ministero a tempo pieno e far nascere un senso di inutilità.

Così pure la percezione di impotenza in un contesto di indifferenza crescente della gente, che continua a chiedere solo la tradizione dei sacramenti, e la constatazione di esiti spesso deludenti del nostro impegno. Ancora, la scarsa qualità umana dei rapporti con i confratelli o il non sentirli vicini, così che le relazioni si sviluppano prevalentemente in funzione delle attività da svolgere e poco a livello di ascolto reciproco; oppure la percezione di essere poco stimati e più spesso giudicati. Né manca il caso in cui la distanza delle generazioni tra parroco e vicario parrocchiale rende faticosa l’intesa, generando nei giovani la tentazione di chiudersi e di non farsi conoscere. A Roma infine le distanze e il numero di sacerdoti rendono più difficili le relazioni con il centro diocesi, il Cardinale Vicario può essere o è percepito quasi esclusivamente l’autorità distante che decide e non il padre, il fratello, a cui potersi aprire, confidare, sfogare nei momenti più pesanti e sofferti. Forse la cosa va meglio con i Vescovi Ausiliari, per i rapporti più ravvicinati. Tutto ciò e tanto altro può rendere la vita quotidiana poco serena e sottilmente far nascere la domanda: oltre il Signore, chi mi vuole bene? chi mi capisce? di chi mi posso fidare, al di là del padre spirituale e del confessore? In una società in cui la figura del prete perde sempre di più la centralità culturale di una volta, può prendere il sopravvento il disagio esistenziale, la stanchezza, la sfiducia in noi stessi e nella nostra vita. A questo clima psicologico dobbiamo reagire, interpretandolo come un “segno del tempo”, in cui il Signore alla luce della fede, che tutto rischiara, ci parla e ci invita a prendere nuovamente coscienza dell’immensa grazia del sacerdozio e a ridare vigore alla nostra missione nel mondo di oggi.

     4. Un secondo “segno del tempo”, che è diventato tema ricorrente e per effetto delle recenti tristi vicende si evidenzia con maggiore gravità, è l’attuale situazione della fede e della vita ecclesiale. E’ un argomento decisivo, che personalmente sento molto, come tutti voi
[1]. Mi basti solo richiamarlo.
     Al pari di vari paesi di antica tradizione cristiana, anche da noi, dove pure si registrano nuove e promettenti esperienze di vitalità ecclesiale, il tessuto popolare cristiano appare sempre più minacciato dal processo di secolarizzazione della società e con esso l’idea che Dio e la religione da molte persone sono considerate cose del passato, inesorabilmente travolte dalla modernità. Inoltre è sotto gli occhi di tutti che il contesto sociale sempre più plurietnico è divenuto pluriculturale e plurireligioso. Ciò rende problematica la trasmissione della fede e tanti battezzati conducono una vita lontana dalla Chiesa, con convincimenti e comportamenti non ispirati al Vangelo e agli insegnamenti del Magistero. La fede non è più l’humus sociale in cui si viene al mondo, la famiglia molto spesso non è più il luogo in cui si è educati dall’esempio dei genitori, la parrocchia non è più considerata la casa comune nella quale tutti i fedeli si raccolgono la domenica a pregare e a nutrirsi dei sacramenti, le feste religiose non scandiscono più i ritmi della vita civile e le leggi non sono più coerenti con la morale cristiana.

I mezzi di comunicazione poi si impegnano a martellare le debolezze vere o presunte della Chiesa e di alcuni di noi sacerdoti, amplificandole, e a ribadire frequentemente, con sondaggi spesso discutibili, che la religione in Italia è in declino sotto tutti gli aspetti visibili e quantificabili e che assistiamo ad una “eclissi del senso di Dio”. Il Santo Padre ritorna con frequenza sull’argomento per renderci consapevoli della sfida che ci sta davanti. “Il vero problema in questo momento della storia – ha scritto il Papa – è che Dio sparisce dall’orizzonte degli uomini e con lo spegnersi della luce proveniente da Dio l’umanità viene colta dalla mancanza di orientamento, i cui effetti distruttivi ci si manifestano sempre di più. Condurre gli uomini verso Dio, verso il Dio che parla nella Bibbia: questa è la priorità suprema e fondamentale della Chiesa… in questo tempo”
[2]. Nondimeno gli analisti e gli studiosi del fenomeno religioso dicono che è iniziata l’epoca postsecolare e, in effetti, nella nostra società sono presenti molti segni che dicono che l’uomo di oggi sente la nostalgia di Dio.

     5. Questi scenari ci rendono tutti pensosi. Per parte mia, in questo incontro familiare, provo a comunicarvi alcune riflessioni nella prospettiva di un impegno. La piccola esperienza, fatta in questi due anni durante i quali ho potuto incontrare molti di voi, conoscere qualcosa della vostra vita personale, per le confidenze che amabilmente mi fate, e apprezzare il vostro ministero, mi porta a dire che il presbiterio diocesano è ricco di tanti uomini di fede profonda, di comunione, di passione per il Vangelo, di amore alla gente, i quali allungano la schiera dei santi preti romani che ci hanno preceduto. Oggi siamo noi i testimoni primi della gioia della fede, noi i pastori e le guide, noi i responsabili della Chiesa di Roma presente nei quartieri del centro e della periferia della città. L’affetto e la stima che ho per ciascuno di voi, mi spingono ad osare di confidarvi ciò che ho nel cuore, che - a mio parere - può esserci di aiuto per la nostra vita sacerdotale.

     Anzitutto credo che quanto ci capita sia un forte invito ad un sapiente discernimento personale e comunitario per ridare vigore ai fondamentali della vita di ogni sacerdote e per rinnovare la totale fiducia nel Signore, ripetendo con San Paolo: “So in chi ho creduto” (2 Tim. 1, 12). E’ nelle prove che si diventa forti, gettando nel Signore ogni affanno, convinti – come ci ha ricordato il Papa - che non dobbiamo aver paura di nulla “per il fatto che Dio è presente e si occupa di noi…Si prende cura di me…Non sono lasciato solo, smarrito nell’universo… Allora comprendiamo anche che cosa significhi: Dio vuole che noi come sacerdoti, in un piccolo punto della storia, condividiamo le sue preoccupazioni per gli uomini”
[3].

     6. In secondo luogo mi pare importante che ciascuno di noi si impegni a coltivare la reductio ad unum della sua vita. Cosa intendo dire? Una delle condizioni che Gesù chiede ai suoi discepoli è di essere persone armonizzate, di vivere la corrispondenza tra il compito che si svolge e la verità della vita e delle convinzioni. Vi confido, cari Confratelli, che mi fanno sempre molto riflettere le parole severe di Gesù, che troviamo nel vangelo di Matteo (cap. 23, 13-29) rivolte ai maestri della legge e ai farisei e che suonano come un forte ammonimento a noi discepoli affinché ne prendiamo le distanze: “Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che pulite l’esterno del bicchiere e del piatto, ma all’interno sono pieni di avidità e d’intemperanza… Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che assomigliate a sepolcri imbiancati: all’esterno appaiono belli, ma dentro sono pieni di ossa di morti e di ogni marciume”. Gesù li chiama insistentemente “ipocriti” (ύποκριταί). Sarebbe sbagliato pensare che Egli abbia voluto esprimere il disprezzo per una categoria di persone, i farisei, che - come è noto – erano i discendenti di quei pii israeliti che avevano mantenuta alta la fede giudaica e la speranza nella venuta del Messia. In realtà Gesù si indirizza contro un atteggiamento particolare dell’uomo, se vogliamo specificare meglio, dell’uomo religioso, tanto che potremmo rileggere il capitolo 23 di Matteo sostituendo alla parola “scribi e farisei” quella di “guide religiose”.

     L’ipocrita è chi non potendosi mostrare come è, recita una parte: “siete come sepolcri imbiancati…”. Il sostantivo ipocrita, da ύποκρίνομαι significa “pretendere”, ma anche “giocare, interpretare un ruolo”, “essere un attore”
[4]. Con quest’ultimo significato è usato in particolare da Matteo. La parola di Gesù è rivolta a quanti ricoprono un ruolo non armonizzato con la propria vita. L’armonizzazione tra ciò che si è e ciò che appare è un cammino sapiente, vale a dire guidato non da una qualunque sapienza di vita, ma dalla sapienza che viene dall’alto - ή σοφία α̉́νωθεν - (Gc 3,15): una sapienza priva di ipocrisia appunto, che tende alla maturazione di un’esistenza riconciliata e armoniosa[5].

     7. Domandiamoci allora: come possiamo favorire il processo della nostra personale armonizzazione? Personalmente sono convinto che per “ravvivare il dono di Dio” (2 Tim. 1, 6) sia indispensabile anzitutto una robusta vita spirituale, in cui ogni mattina sappiamo dare un congruo spazio alla preghiera e alla meditazione della Parola di Dio per mettere a fuoco le ragioni di fede del nostro vivere ed operare. La S. Messa, centro pensato e non scontato della giornata, sia il Mistero grande che nutre nel segreto e ci riempie, rendendoci consapevoli e partecipi con Cristo di prendere su di noi i peccati del mondo (cfr. Ebr. 9, 11-14), rinnovando l’offerta a Dio della nostra vita. La confessione frequente quale esperienza del perdono per i nostri peccati e negligenze e dell’accrescimento del dono dello Spirito Santo, per impegnarci a nostra volta ad essere segni e strumenti di misericordia. Così pure non dobbiamo farci mancare le giornate di ritiro e ogni anno il corso di esercizi spirituali.
 
Tutto ciò, cari Confratelli, rende bella e gioiosa la nostra vita e ci attira a vivere radicalmente il Vangelo. Allora la castità è il segno di una vita interamente donata per amore a Cristo e alla Chiesa e non ci costa custodirla e preservarla da tutto ciò che può inquinarla e minacciarla. L’obbedienza è generosa e libera sottomissione al Signore per la Chiesa del poco che siamo e delle nostre forze per tutto ciò che può tornare utile al Regno di Dio. E la povertà è stile di vita e ricerca di essenzialità, senza pretese, grati alla Chiesa che ci garantisce ciò di cui abbiamo bisogno, mentre tanta gente intorno a noi manca del necessario. Ancora, la gioia di servire: un servizio generoso e rigoroso, senza sbavature o fughe, che sentiamo obbligante anche in tempi e circostanze difficili. Infine, la coscienza chiara e la disponibilità a vivere da discepoli di Gesù, che ci assicura lo Spirito Santo, ma non ci libera dalle croci. Se cresce la nostra santità, anche la credibilità nella Chiesa crescerà.

     Cari Confratelli, ditemi se sbaglio: io sono convinto che la gente oggi si attende di incontrare sacerdoti dalla chiara e forte identità evangelica, uomini di Dio e, per questo, ricchi di umanità, che ispirano fiducia e accoglienza.

     8. In questo cammino spirituale ci è di grande aiuto la testimonianza, il sostegno e l’incoraggiamento degli altri confratelli, particolarmente del presbiterio parrocchiale. La vita comune è una grande opportunità di bene e un segno di testimonianza. In una società che tende a frammentare sempre di più la vita delle persone e fa fatica a custodire quella di famiglia (non si mangia neanche più insieme), il presbiterio parrocchiale testimonia la bellezza della comunione fraterna vissuta felicemente insieme, accomunati dallo stesso ideale sacerdotale.
     Aiutiamoci a curare molto la vita in canonica, dove nessuno debba sentirsi ospite, in un clima familiare, fatto di attenzioni e di condivisione, e che favorisca la confidenza reciproca, aprendola nelle forme opportune a occasioni di incontro e di amicizia anche ai confratelli che vivono nell’ambito della parrocchia. In tante parrocchie tutto ciò, grazie a Dio, è tradizione serena e costruttiva, ma non mancano quelle in cui la vita in canonica è faticosa, poco partecipata, talvolta sopportata.

La verità è che ognuno di noi è fatto in un modo, ha il suo carattere e la convivenza fa emergere i punti deboli, che si possono superare a poco a poco, a condizione di essere magnanimi e di accettarci reciprocamente, sottolineando del confratello gli aspetti positivi prima di quelli che ci distinguono e ci pesano. Ai parroci, primi responsabili del presbiterio parrocchiale, mi permetto di chiedere di avere molto a cuore la vita di ciascun confratello e quella comune. Non dimentichiamo poi che in molte parrocchie sono presenti giovani sacerdoti studenti a quali dobbiamo offrire un ambiente di alto profilo sacerdotale e di testimonianza gioiosa, che la Chiesa di Roma è tenuta a dare a tutti.

     A questo fine è in preparazione una “Regola di vita”, che - come sapete - il Consiglio presbiterale diocesano ha deciso di scrivere quale frutto dell’Anno sacerdotale. Si tratta di un piccolo strumento per ricordare i punti fermi del nostro essere preti e di esserlo a Roma e che speriamo potrà esserci di aiuto. Avrà l’intento di ridestare aspirazioni e tensione ideale. Contiamo di poterla concludere al più presto.

     9. Una parola vorrei dire riguardo alla distanza dalla fede e dalla vita ecclesiale di tante persone anche battezzate. La coscienza della vocazione missionaria della Chiesa e l’urgenza per l’oggi è chiara a tutti noi. A questo tema radicale il Santo Padre ha dedicato la sua omelia lo scorso 28 giugno, nel corso dei Primi Vespri dei nostri Patroni, nella Basilica di San Paolo. Ricordando i Servi di Dio Paolo VI, che nel 1974 convocò un’assemblea del Sinodo dei Vescovi sul tema dell’evangelizzazione nel mondo contemporaneo e pubblicò l’Esortazione apostolica Evangelii nuntiandi (1975), e Giovanni Paolo II che alla “nuova evangelizzazione” ha dedicato tutto il pontificato, Papa Benedetto XVI ha ribadito che la sfida della “nuova evangelizzazione” oggi interpella la Chiesa, perché se l’evange-lizzazione non è nuova nei contenuti, deve essere nuova “nello slancio interiore, …nella ricerca di modalità che corrispondano … ai tempi e alle situazioni; [ed] è necessaria anche in Paesi che hanno già ricevuto l’annuncio del Vangelo”.

     Tutti siamo ben convinti di questa necessità, e non solo per le circostanze storiche, ma perché si tratta di qualcosa che definisce l’essenza stessa della Chiesa
[6]. Ma la domanda è: come fare questo nuovo annuncio di Gesù Cristo? Come ricominciare a parlare di Dio a tanti lontani? E’ stato giustamente detto: “Dio non può farsi noto attraverso la gabbia di acciaio della razionalità strumentale” (V. Possenti). Nè basta imparare un metodo di comunicazione dei contenuti della fede. Ne siamo ben convinti tutti.
     Se guardiamo alla primitiva storia apostolica e alle grandi figure di evangelizzatori, mi pare di trovare almeno due costanti: l’essere testimoni di ciò che avevano “visto, sentito, toccato del Verbo della vita”
[7], e l’aver preso sul serio il mandato di Gesù: “Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura”[8].

     Dunque l’annuncio della fede a chi è lontano o ridestarla in chi l’ha smarrita ha un imprescindibile presupposto, vale a dire che l’annunciatore sia un vero testimone, portatore di un’esperienza umana da cui traspaiano luce e significato trascendenti intorno alle grandi questioni della vita e della morte, dell’amore e degli affetti, del bene e del male, della giustizia e della pace, dell’essere padri, madri e figli, cittadini e fedeli, che rende credibili e affidabili, perché veri amici di Dio e lo fanno sentire vicino. Fanno sempre riflettere queste parole di H. Urs von Balthasar, più che mai attuali: “Il popolo cristiano… oggi cerca con la lanterna uomini da cui si irradi qualcosa della luce e della vicinanza dell’origine. Di modernità vuote di istinto religioso è sazio da gran tempo”
[9]. Se la fede è viva e autentica si irradia nell’audacia della Parola, nella dedizione generosa della carità, nella profezia evangelica della vita. Non abbiamo bisogno di altro che della libertà e della forza della nostra testimonianza. A mio parere, il travaglio di oggi non è il segno dell’agonia e della morte della fede, ma del suo rinnovamento e sviluppo.

     Ritorniamo allora a quanto si diceva prima di noi sacerdoti, ma allargandolo ai diaconi, ai consacrati, ai laici, ai genitori, ai catechisti, agli educatori, ai giovani. Oggi è tempo di umile e coraggiosa testimonianza della luce e della gioia della fede, che è capace di penetrare i cuori solo se è frutto di un processo sereno e voluto di continua “conversione interiore”.

     10. Il nostro ministero, in secondo luogo, ci chiede di dare un posto di rilievo all’ “andare verso gli altri” e non solo di accoglierli quando vengono da noi. “Andare”, certo, è anzitutto un atteggiamento spirituale che rivela apertura del cuore, disponibilità, voglia di servire; ma ha anche – per così dire – una “valenza fisica”, che allarga l’impegno ad andare fisicamente oltre i nostri abituali ambienti per attrarre al Vangelo quanti più uomini, donne e giovani possibile, dedicando ad essi tempo e intelligenza. E’ una scelta pastorale non nuova. Questo fu il senso della Missione cittadina in preparazione del Grande Giubileo del 2000, durante la quale tutte le componenti ecclesiali misero in pratica la felice espressione di Giovanni Paolo II: “Parrocchia, cerca te stessa e trova te stessa fuori di te stessa”, vale a dire nei luoghi dove la gente vive. Fu un indirizzo pastorale che mirò a dare forma permanente alla missione, caratterizzando in senso più decisamente missionario le attività delle parrocchie e di ogni altra realtà ecclesiale.

     Mi rendo conto che non è semplice né facile modificare la prassi consolidata di un ministero pastorale rivolto a chi frequenta più o meno assiduamente la parrocchia, che si reputa o è considerato credente. Il ministero è così centrato sulla preparazione e celebrazione dei sacramenti, sul culto e l’attenzione ai poveri, con altre iniziative lodevoli. Ma il fatto da cui non possiamo prescindere è che negli ultimi decenni la situazione della fede a Roma è molto cambiata e la prospettiva missionaria della pastorale deve assumere una nuova e decisiva centralità nella pratica quotidiana. Quanto mai attuale al riguardo l’ammonimento di S. Paolo ai Romani: “Come potranno invocar[e il Signore] senza aver prima creduto in lui? E come potranno credere, senza averne sentito parlare? E come potranno sentirne parlare senza uno che lo annunzi?”
[10]. Dopo dieci anni dobbiamo rilanciare lo spirito della Missione cittadina, ben sapendo che l’attuale contesto socio-culturale costituisce una sfida impegnativa, a cui forse non siamo preparati.

     C’è anzitutto un problema di linguaggio: la gente rifiuta le formule prefabbricate; nella maggioranza delle persone poi non solo non si può presupporre la fede, ma neanche l’istinto e le categorie religiose; oggi inoltre è in crisi il concetto di paternità e si rifiuta a priori l’autorità, per cui ha facile accoglienza il relativismo se non teorico, almeno pratico: è vero quello che penso io, è vero oggi e domani può cambiare; a livello psicologico poi, tutto è incerto e le appartenenze fanno paura, particolarmente quelle stabili; davanti al gigante della globalizzazione e ad una tecnologia inarrestabile, ci si sente confusi, schiacciati, anonimi e si diventa apatici. Nondimeno, paradossalmente disarma e apre all’ascolto il parlare semplice, comprensibile, percepito come vero, che tocca il cuore, che narra una storia di vita. Questo può suscitare il bisogno. Questa può essere la via del Vangelo. E questo, mi pare, deve essere il modo di porsi in ogni atto pastorale e verso tutti.

     Qualcuno si domanda se nei processi di trasformazione della pastorale, non si sia finiti per modificarne solo gli aspetti organizzativi, impauriti dalla novità e dalla fatica di mettersi continuamente in discussione. Dinanzi alla fame di Dio, spesso implicita, invece di offrire pane fresco, forse ci si è accontentati di merendine preconfezionate. A ben vedere, lo scopo ultimo della verifica pastorale è proprio questo: dare un nuovo slancio e un soffio vitale al nostro ministero, ripetendo con San Paolo: “Annunciare il Vangelo non è per me un vanto, perché è una necessità che mi si impone: guai a me se non annuncio il Vangelo !” ( 1 Cor. 9, 16).

     11. Ritorno allora alla domanda: posti questi presupposti, come pro-cedere? come riparlare di Dio a chi mostra disponibilità, rinnovando l’esperienza del funzionario etiope che si rivolse al diacono Filippo
[11]?
     Le strade sono tante, anzi forse sarebbe più giusto dire che c’è una strada per ogni persona. Dal Concilio in avanti sono nate tante esperienze e metodi di evangelizzazione: di molti non se ne parla più, ne sono nati dei nuovi e tanti si sono perfezionati. Anche a Roma abbiamo varie e fruttuose esperienze. Il Papa l’anno scorso ci incoraggiò a rivitalizzare o suscitare i Gruppi di ascolto del Vangelo nelle case e nei diversi ambienti di vita e di istituire o potenziare in parrocchia la Lectio divina settimanale. Desidero ringraziare tutti i sacerdoti, particolarmente i parroci, che hanno dato seguito a queste indicazioni. La Lectio divina è iniziata in tante parrocchie e anche i Gruppi del Vangelo nelle case stanno cominciando a rinascere.

     Chiedo a voi se può giovare raccogliere quanto c’è di buono e di sperimentato e proporlo, così che ogni parroco possa valutare quali metodi si addicano di più alla sua comunità. L’Ufficio Catechistico del Vicariato può fare questo servizio. Ma ritengo che la condizione previa si quella di essere convinti che non possiamo più accontentarci dell’esistente. Da più parti poi è stato chiesto di dar vita ad una vera “scuola per evangelizzatori”, aperta a sacerdoti e laici, che partendo dai requisiti interiori indispensabili per annunciare Gesù Cristo faccia conoscere e sperimentare i diversi metodi di evangelizzazione. Sarei lieto di conoscere il vostro pensiero al riguardo.

     12. In questa direzione – come è facile comprendere - va anche tutto l’impegno per migliorare la celebrazione dell’Eucarestia, da cui scaturisce intrinsecamente la testimonianza della carità.
     Entrando in Basilica avete ricevuto una lettera, nella quale ho raccolto i principali punti di impegno, maturati nel Convegno diocesano del giugno scorso, a cui vorremmo gradualmente dare attuazione a partire da questo anno pastorale. Una specie di promemoria, che spero possa aiutare.

Tre sono i sussidi che il Vicariato sta predisponendo, come già annunciato con la lettera circolare inviata a luglio scorso:
     -
un piccolo “Catechismo eucaristico” per promuovere la conoscenza della fede nell’Eucarestia;
     - un corso per la formazione dei Gruppi liturgici;
     - un corso di formazione per gli operatori della Caritas parrocchiale.


Le due ultime iniziative si svolgeranno nelle Prefetture, con calendari che in questi giorni si stanno definendo.

     Confido che da oggi ogni parrocchia si ponga alacremente al lavoro per migliorare la pastorale eucaristica e quella della carità.
     Non avremo altri impegni riguardanti la verifica, se non quello di raccogliere i dati dell’iniziazione cristiana, a cui dedicheremo il convegno diocesano 2011. Di questo semplice lavoro di rilevazione dei dati, sulla base di schede che sono in preparazione e riceverete a casa, ci occuperemo nei mesi di gennaio e febbraio 2011.

     13. Infine, desidero toccare brevemente un ultimo punto di grande urgenza: la pastorale vocazionale al presbiterato. Non devo spendere molte parole per dire che il numero dei seminaristi dei nostri cinque seminari è insufficiente a fronteggiare le esigenze pastorali di oggi.
     Nella citata omelia dell’11 giugno, il Santo Padre ci ha detto che l’Anno sacerdotale con il risveglio della gioia del nostro sacerdozio, aveva anche lo scopo di “mostrare nuovamente ai giovani che questa vocazione, questa comunione di servizio per Dio e con Dio, esiste – anzi, che Dio è in attesa del nostro «sì». Insieme alla Chiesa volevamo nuovamente far notare che questa vocazione la dobbiamo chiedere a Dio”.
     
Su questo argomento della pastorale vocazione desidererei che si aprisse un grande dibattito. Certo, se dovessimo fidarci solo delle nostre forze, saremmo votati al fallimento, tenendo conto che molti elementi militano contro di noi: la cultura dominante e invasiva acristiana, se non anticristiana, la crisi delle famiglie, il bassissimo tasso di natalità, l’allontanamento della maggioranza dei ragazzi e dei giovani dopo la cresima, le proposte violente che essi ricevono ogni giorno dai mezzi di comunicazione, la schiavitù di internet, la fragilità delle nuove generazioni, il ritardo nella maturazione psicologica e la paura di scelte serie e impegnative, le controtestimonianze di noi sacerdoti, i nostri linguaggi che non riescono a sintonizzarsi con la cultura giovanile, ecc. Sarebbe giusto domandarsi: se tutto questo è vero, perché i giovani dovrebbero farsi preti?

     Ma in questo campo abbiamo alcune certezze. La prima: Gesù ci invita alla preghiera costante
[12]. Dobbiamo credere nella potenza della preghiera. Non ha detto il Signore, nella parabola dell’amico importuno, che la preghiera è certamente efficace quando è insistente?[13] Cari Confratelli, oggi mi permetto di chiedervi qualcosa di più di un rinnovato generico invito a pregare per questo scopo. E’ necessario un impegno esplicito, convinto, fiducioso e operativo. Chiedo che in ogni parrocchia il primo giovedì del mese – o altro giorno ritenuto più idoneo - noi sacerdoti con la gente adoriamo il Signore e gli chiediamo tutti insieme di donare a noi preti e ai giovani che Egli vuole una sovrabbondante effusione di Spirito Santo, perché coloro che il Signore chiama, grazie alla nostra preghiera, rispondano con coraggio. Se in tutte le Chiese di Roma si eleverà questa unanime supplica, dobbiamo essere certi che le vocazioni necessarie arriveranno.

     La seconda certezza ci viene da queste altre parole di Gesù: “Andate… proclamate il Vangelo… Allora essi partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore agiva insieme con loro e confermava la Parola con i segni che la accompagnavano” (Mc. 16, 15. 20). Dobbiamo credere nella potenza del Signore che agisce con noi e compie miracoli, mettendoci a servizio dei giovani. Guardando i piccoli gruppi giovanili presenti nelle nostre parrocchie, desidero incoraggiarvi a dedicare più tempo ai giovani, far sentire che vogliamo loro bene, che i loro problemi ci interessano, che il tema dell’amore umano, che essi sentono molto, non è un tabù, ma è centrale nella vita cristiana. So che oggi non è facile lavorare con i giovani, è faticoso, è necessario tanto equilibrio, ma non possiamo abbandonarli a loro stessi. Dobbiamo avere il coraggio di proporre a loro mete cristiane alte, itinerari spirituali impegnativi e la stessa vocazione sacerdotale, laddove ci accorgiamo che lo Spirito Santo lavora nei loro cuori. Superiamo il pudore e la timidezza. Non abbiamo paura di proporre ai giovani e agli adolescenti – nelle forme e nei modi dovuti - di seguire Cristo nella via del sacerdozio. La confessione e la direzione spirituale sono momenti formativi preziosi, insieme a esperienze spirituali e di servizio, particolarmente rivolte ai poveri. Vi domando: come possiamo aiutarci in questo ambito della pastorale così importante?

     Una parola particolare desidero dire a proposito del Seminario Minore. E’ diffusa l’idea che questa comunità formativa abbia fatto il suo tempo e che non sia più la strada da proporre agli adolescenti. Qualcuno addirittura, anche sulla stampa cattolica, ne propone l’abolizione. I motivi sarebbero che in questa fase della vita, certamente molto delicata, il seminario non sarebbe un ambiente genuino, capace di offrire relazioni forti e di accompagnare nella formazione di una vera identità personale. Solo la famiglia resterebbe l’ambiente idoneo. Io resto di parere contrario. Mi domando che conoscenza hanno del seminario minore di oggi i sostenitori di queste idee. Perché negare ad adolescenti, toccati dalla grazia, di poter sperimentare liberamente, sostenuti dalla vicinanza della parrocchia e della famiglia, nella quale ritornano tutte le settimane, un percorso formativo di accompagnamento e di discernimento, nel quale vita cristiana, formazione culturale, gruppo giovanile, diano a loro un aiuto per progettare il futuro? Perché spegnere il sogno del sacerdozio in chi ne mostra l’inclinazione? Il seminario minore non è il seminario dell’ordinazione, ma quello che accompagna a capire il progetto di Dio. Al riguardo, non manca qualche buon frutto. Dobbiamo credere che il Signore può chiamare a seguirlo anche da giovanissimi, come è avvenuto felicemente nella vita di molti di noi.

     Infine, raccomando a tutte le parrocchie, alle associazione e movimenti, ai centri giovanili e di pastorale universitaria, agli insegnanti di religione e alle scuole cattoliche di collaborare con i nostri Seminari Maggiore e Minore e di partecipare e sostenere le iniziative vocazionali proposte.

     14. Cari Confratelli, dinanzi alle sfide che siamo chiamati ad affrontare rimaniamo sereni, come si addice ai discepoli del Signore Risorto, fiduciosi nella presenza del suo Spirito, che cammina con noi e sostiene la responsabilità del ministero che ci accomuna. Alle nostre comunità occorre un soffio potente dello Spirito Santo, che provochi un forte richiamo alla santità di tutti: vescovi, sacerdoti, diaconi, consacrati e laici. Diversamente la fatica della verifica, i convegni e gli orientamenti che ne derivano, non apporteranno i frutti sperati. Questa è la fraterna esortazione che mi permetto di rivolgervi all’inizio del nuovo anno pastorale, che affido alla protezione di Maria, Salus populi romani.



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[1] Cfr. Le mie relazioni ai Convegni diocesani 2009 e 2010.
  
[2] Benedetto XVI, Lettera all’episcopato mondiale circa la remissione della scomunica ai vescovi scismatici della fraternità Sacerdotale S. Pio X, 10 marzo 2009.
  
[3] Omelia, 11 giugno, cit.
  
[4] Questo è il significato del termine, ad esempio, negli autori greci Aristofane, Senofonte, Platone.
  
[5] E’ una sapienza – aggiunge l’apostolo S. Giacomo - “incontaminata, … pacifica, benevola, docile, ricolma di misericordia e di buoni frutti, … priva di ipocrisia” ( Gc. 3, 17).
  
[6] Cfr. At, 1, 8; Concilio Vaticano II, Decr. Ad gentes, n. 2: “La Chiesa per sua natura è missionaria”.
  
[7] 1 Gv. 1, 1.
  
[8] Mt. 28, 19; Mc. 16, 15; At. 1, 8.
  
[9] Con occhi semplici, Brescia, 1970, p.4.
[10] Rm. 10, 14.
[11] Cfr. At. 8, 26-38.
[12] Mt. 9, 36: “Pregate il Signore della messe, perché mandi operai nella sua messe”.
[13] Lc. 11, 9: “Chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto”.

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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