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Messaggio del Papa alla Chiesa Ambrosiana 4° Centenario di san Carlo Borromeo

Ultimo Aggiornamento: 29/07/2012 17:44
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[SM=g1740733]  Forse a molti è sfuggito il recente Messaggio " Lumen Caritatis " che il Papa ha indirizzato alla Chiesa Ambrosiana in occasione del 4° Centenario di san Carlo Borromeo....

In un passo molto significativo così scrive il Papa:

Egli era consapevole che una seria e credibile riforma doveva cominciare proprio dai Pastori, affinché avesse effetti benefici e duraturi sull’intero Popolo di Dio. In tale azione di riforma seppe attingere alle sorgenti tradizionali e sempre vive della santità della Chiesa cattolica: la centralità dell’Eucaristia, nella quale riconobbe e ripropose la presenza adorabile del Signore Gesù e del suo Sacrificio d’amore per la nostra salvezza; la spiritualità della Croce, come forza rinnovatrice, capace di ispirare l’esercizio quotidiano delle virtù evangeliche; l’assidua frequenza ai Sacramenti, nei quali accogliere con fede l’azione stessa di Cristo che salva e purifica la sua Chiesa; la Parola di Dio, meditata, letta e interpretata nell’alveo della Tradizione; l’amore e la devozione per il Sommo Pontefice, nell’obbedienza pronta e filiale alle sue indicazioni, come garanzia di vera e piena comunione ecclesiale.

**********************


MESSAGGIO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI
ALL’ARCIVESCOVO DI MILANO
IN OCCASIONE DEL IV CENTENARIO DELLA CANONIZZAZIONE
DI SAN CARLO BORROMEO

LUMEN CARITATIS


 

Al venerato Fratello
Cardinale DIONIGI TETTAMANZI
Arcivescovo di Milano

Lumen caritatis. La luce della carità di san Carlo Borromeo ha illuminato tutta la Chiesa e, rinnovando i prodigi dell’amore di Cristo, nostro Sommo ed Eterno Pastore, ha portato nuova vita e nuova giovinezza al gregge di Dio, che attraversava tempi dolorosi e difficili. Per questo mi unisco con tutto il cuore alla gioia dell’Arcidiocesi ambrosiana nel commemorare il quarto centenario della canonizzazione di questo grande Pastore, avvenuta il 1° novembre 1610.

1. L’epoca in cui visse Carlo Borromeo fu assai delicata per la Cristianità. In essa l’Arcivescovo di Milano diede un esempio splendido di che cosa significhi operare per la riforma della Chiesa. Molti erano i disordini da sanzionare, molti gli errori da correggere, molte le strutture da rinnovare; e tuttavia san Carlo si adoperò per una profonda riforma della Chiesa, iniziando dalla propria vita. È nei confronti di se stesso, infatti, che il giovane Borromeo promosse la prima e più radicale opera di rinnovamento. La sua carriera era avviata in modo promettente secondo i canoni di allora: per il figlio cadetto della nobile famiglia Borromeo si prospettava un futuro di agi e di successi, una vita ecclesiastica ricca di onori, ma priva di incombenze ministeriali; a ciò si aggiungeva anche la possibilità di assumere la guida della famiglia dopo la morte improvvisa del fratello Federico.

Eppure, Carlo Borromeo, illuminato dalla Grazia, fu attento alla chiamata con cui il Signore lo attirava a sé e lo voleva consacrare al servizio del suo popolo. Così fu capace di operare un distacco netto ed eroico dagli stili di vita che erano caratteristici della sua dignità mondana, e di dedicare tutto se stesso al servizio di Dio e della Chiesa. In tempi oscurati da numerose prove per la Comunità cristiana, con divisioni e confusioni dottrinali, con l’annebbiamento della purezza della fede e dei costumi e con il cattivo esempio di vari sacri ministri, Carlo Borromeo non si limitò a deplorare o a condannare, né semplicemente ad auspicare l’altrui cambiamento, ma iniziò a riformare la sua propria vita, che, abbandonate le ricchezze e le comodità, divenne ricolma di preghiera, di penitenza e di amorevole dedizione al suo popolo. San Carlo visse in maniera eroica le virtù evangeliche della povertà, dell’umiltà e della castità, in un continuo cammino di purificazione ascetica e di perfezione cristiana.

Egli era consapevole che una seria e credibile riforma doveva cominciare proprio dai Pastori, affinché avesse effetti benefici e duraturi sull’intero Popolo di Dio. In tale azione di riforma seppe attingere alle sorgenti tradizionali e sempre vive della santità della Chiesa cattolica: la centralità dell’Eucaristia, nella quale riconobbe e ripropose la presenza adorabile del Signore Gesù e del suo Sacrificio d’amore per la nostra salvezza; la spiritualità della Croce, come forza rinnovatrice, capace di ispirare l’esercizio quotidiano delle virtù evangeliche; l’assidua frequenza ai Sacramenti, nei quali accogliere con fede l’azione stessa di Cristo che salva e purifica la sua Chiesa; la Parola di Dio, meditata, letta e interpretata nell’alveo della Tradizione; l’amore e la devozione per il Sommo Pontefice, nell’obbedienza pronta e filiale alle sue indicazioni, come garanzia di vera e piena comunione ecclesiale.

Dalla sua vita santa e conformata sempre più a Cristo nasce anche la straordinaria opera di riforma che san Carlo attuò nelle strutture della Chiesa, in totale fedeltà al mandato del Concilio di Trento. Mirabile fu la sua opera di guida del Popolo di Dio, di meticoloso legislatore, di geniale organizzatore. Tutto questo, però, traeva forza e fecondità dall’impegno personale di penitenza e di santità. In ogni tempo, infatti, è questa l’esigenza primaria e più urgente nella Chiesa: che ogni suo membro si converta a Dio. Anche ai nostri giorni non mancano alla Comunità ecclesiale prove e sofferenze, ed essa si mostra bisognosa di purificazione e di riforma. L’esempio di san Carlo ci sproni a partire sempre da un serio impegno di conversione personale e comunitaria, a trasformare i cuori, credendo con ferma certezza nella potenza della preghiera e della penitenza. Incoraggio in modo particolare i sacri ministri, presbiteri e diaconi, a fare della loro vita un coraggioso cammino di santità, a non temere l’ebbrezza di quell’amore fiducioso a Cristo per cui il Vescovo Carlo fu disposto a dimenticare se stesso e a lasciare ogni cosa. Cari fratelli nel ministero, la Chiesa ambrosiana possa trovare sempre in voi una fede limpida e una vita sobria e pura, che rinnovino l’ardore apostolico che fu di sant’Ambrogio, di san Carlo e di tanti vostri santi Pastori!

2. Durante l’episcopato di san Carlo, tutta la sua vasta Diocesi si sentì contagiata da una corrente di santità che si propagò al popolo intero. In che modo questo Vescovo, così esigente e rigoroso, riuscì ad affascinare e conquistare il popolo cristiano? È facile rispondere: san Carlo lo illuminò e lo trascinò con l’ardore della sua carità. “Deus caritas est”, e dove c’è l’esperienza viva dell’amore, lì si rivela il volto profondo di Dio che ci attira e ci fa suoi.

Quella di san Carlo Borromeo fu anzitutto la carità del Buon Pastore, che è disposto a donare totalmente la propria vita per il gregge affidato alle sue cure, anteponendo le esigenze e i doveri del ministero ad ogni forma di interesse personale, comodità o tornaconto. Così l’Arcivescovo di Milano, fedele alle indicazioni tridentine, visitò più volte l’immensa Diocesi fin nei luoghi più remoti, si prese cura del suo popolo nutrendolo continuamente con i Sacramenti e con la Parola di Dio, mediante una ricca ed efficace predicazione; non ebbe mai timore di affrontare avversità e pericoli per difendere la fede dei semplici e i diritti dei poveri.

San Carlo fu riconosciuto, poi, come vero padre amorevole dei poveri. La carità lo spinse a spogliare la sua stessa casa e a donare i suoi stessi beni per provvedere agli indigenti, per sostenere gli affamati, per vestire e dare sollievo ai malati. Fondò istituzioni finalizzate all’assistenza e al recupero delle persone bisognose; ma la sua carità verso i poveri e i sofferenti rifulse in modo straordinario durante la peste del 1576, quando il santo Arcivescovo volle rimanere in mezzo al suo popolo, per incoraggiarlo, per servirlo e per difenderlo con le armi della preghiera, della penitenza e dell’amore.

La carità, inoltre, spinse il Borromeo a farsi autentico e intraprendente educatore. Lo fu per il suo popolo con le scuole della dottrina cristiana. Lo fu per il clero con l’istituzione dei seminari. Lo fu per i bambini e i giovani con particolari iniziative loro rivolte e con l’incoraggiamento a fondare congregazioni religiose e confraternite laicali dedite alla formazione dell’infanzia e della gioventù.

Sempre la carità fu la motivazione profonda delle asprezze con cui san Carlo viveva il digiuno, la penitenza e la mortificazione. Per il santo Vescovo non si trattava solo di pratiche ascetiche rivolte alla propria perfezione spirituale, ma di un vero strumento di ministero per espiare le colpe, invocare la conversione dei peccatori e intercedere per i bisogni dei suoi figli.

In tutta la sua esistenza possiamo dunque contemplare la luce della carità evangelica, la carità longanime, paziente e forte che “tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta” (1Cor 13,7). Rendo grazie a Dio perché la Chiesa di Milano è sempre stata ricca di vocazioni particolarmente consacrate alla carità; lodo il Signore per gli splendidi frutti di amore ai poveri, di servizio ai sofferenti e di attenzione ai giovani di cui può andare fiera. L’esempio e la preghiera di san Carlo vi ottengano di essere fedeli a questa eredità, così che ogni battezzato sappia vivere nella società odierna quella profezia affascinante che è, in ogni epoca, la carità di Cristo vivente in noi.

3. Non si potrebbe comprendere, però, la carità di san Carlo Borromeo se non si conoscesse il suo rapporto di amore appassionato con il Signore Gesù. Questo amore egli lo ha contemplato nei santi misteri dell’Eucaristia e della Croce, venerati in strettissima unione con il mistero della Chiesa. L’Eucaristia e il Crocifisso hanno immerso san Carlo nella carità di Cristo, e questa ha trasfigurato e acceso di ardore tutta la sua vita, ha riempito le notti passate in preghiera, ha animato ogni sua azione, ha ispirato le solenni liturgie celebrate con il popolo, ha commosso il suo animo fino a indurlo sovente alle lacrime.

Lo sguardo contemplativo al santo Mistero dell’Altare e al Crocifisso risvegliava in lui sentimenti di compassione per le miserie degli uomini e accendeva nel suo cuore l’ansia apostolica di portare a tutti l’annuncio evangelico. D’altra parte, ben sappiamo che non c’è missione nella Chiesa che non sgorghi dal “rimanere” nell’amore del Signore Gesù, reso presente a noi nel Sacrificio eucaristico. Mettiamoci alla scuola di questo grande Mistero! Facciamo dell’Eucaristia il vero centro delle nostre comunità e lasciamoci educare e plasmare da questo abisso di carità! Ogni opera apostolica e caritativa prenderà vigore e fecondità da questa sorgente!

4. La splendida figura di san Carlo mi suggerisce un’ultima riflessione rivolta, in particolare, ai giovani. La storia di questo grande Vescovo, infatti, è tutta decisa da alcuni coraggiosi “sì” pronunciati quando era ancora molto giovane. A soli 24 anni egli prese la decisione di rinunciare a guidare la famiglia per rispondere con generosità alla chiamata del Signore; l’anno successivo accolse come una vera missione divina l’ordinazione sacerdotale e quella episcopale. A 27 anni prese possesso della Diocesi ambrosiana e dedicò tutto se stesso al ministero pastorale. Negli anni della sua giovinezza, san Carlo comprese che la santità era possibile e che la conversione della sua vita poteva vincere ogni abitudine avversa. Così egli fece della sua giovinezza un dono d’amore a Cristo e alla Chiesa, diventando un gigante della santità di tutti i tempi.

Cari giovani, lasciate che vi rinnovi questo appello che mi sta molto a cuore: Dio vi vuole santi, perché vi conosce nel profondo e vi ama di un amore che supera ogni umana comprensione. Dio sa che cosa c’è nel vostro cuore e attende di vedere fiorire e fruttificare quel meraviglioso dono che ha posto in voi. Come san Carlo, anche voi potete fare della vostra giovinezza un’offerta a Cristo e ai fratelli. Come lui, potete decidere, in questa stagione della vostra vita, di “scommettere” su Dio e sul Vangelo. Voi, cari giovani, non siete solo la speranza della Chiesa; voi fate già parte del suo presente! E se avrete l’audacia di credere alla santità, sarete il tesoro più grande della vostra Chiesa ambrosiana, che si è edificata sui Santi.

Con gioia Le affido, venerato Fratello, queste riflessioni, e, mentre invoco la celeste intercessione di san Carlo Borromeo e la costante protezione di Maria Santissima, di cuore imparto a Lei e all’intera Arcidiocesi una speciale Benedizione Apostolica.

Dal Vaticano, 1° novembre 2010, IV Centenario della Canonizzazione di san Carlo Borromeo.

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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La sorprendente modernità tridentina


Le omelie di san Carlo Borromeo del 1584, l’anno stesso della sua morte, ripercorse dal cardinale Dionigi Tettamanzi, arcivescovo di Milano


di Lorenzo Cappelletti


Dionigi Tettamanzi, <I>San Carlo e la Croce</IU>, Ancora, Milano 2010, 
176 pp., euro 14,00

Dionigi Tettamanzi, San Carlo e la Croce, Ancora, Milano 2010, 176 pp., euro 14,00

Non è facile accostarsi a san Carlo Borromeo. L’imponenza della sua statua di Arona è lì a mettere in guardia chi si appresta a parlare della figura e dell’opera di questo santo, soprattutto se non si fa parte del clero ambrosiano, che giustamente ne custodisce con fierezza il lascito. È per questo che ricordiamo il quarto centenario della canonizzazione di san Carlo (1° novembre 1610) con l’aiuto di un bel libro “ambrosiano” che il cardinale Tettamanzi gli aveva dedicato nel 1984 e che quest’anno è uscito in edizione rinnovata: San Carlo e la Croce.

Il libro sceglie di illustrare «l’amore del Borromeo alla Croce e a Cristo crocifisso attraverso la sua predicazione al popolo» (pp. 5-6), citando ampiamente l’unica testimonianza scritta che ce ne è rimasta, le omelie in Duomo (in particolare quelle della Quaresima) del 1584, guarda caso proprio l’anno della sua morte: cosa che conferisce alle parole del Borromeo un peso ancora più grande.

Vorremmo semplicemente riecheggiare alcune di queste parole insieme alle sottolineature che ne fa Tettamanzi. Che innanzitutto parla di san Carlo nelle pagine di apertura – citando uno storico ambrosiano, il compianto don Antonio Rimoldi – come di un uomo che si è progressivamente convertito. È un dato fin troppo noto della sua biografia, tanto da farcene dimenticare la portata, che più avanti Tettamanzi illustra così: «Il primo passo sulla strada della conversione non è compiuto dall’uomo, bensì da Dio. Nessuno può strappare a Dio questo primato, che testimonia l’assoluta gratuità del suo amore, l’incondizionata fedeltà ai suoi doni: all’uomo tocca solo rispondere, lasciarsi attrarre, e lasciarsi condurre da quest’interiore attrazione» (p. 100).

Conversione sa anche di modernità (come quella di san Francesco, che si colloca non a caso proprio all’inizio dell’epoca moderna). Dire di san Carlo che si è convertito, infatti, significa riferirsi al cristianesimo non come a premessa già nota, così che l’interesse verta su tutt’altro, ma all’interesse che Gesù Cristo stesso, senza bisogno di premesse, può suscitare nel cuore finanche di chi magari è già nello status ecclesiastico, ma non per questo ama Cristo. Come accadde a san Carlo, che fece suo per amore quello status che aveva ricevuto in sorte dal costume del tempo, potremmo dire.

«Il segreto di san Carlo è l’amore», scriveva il cardinale Giovanni Colombo, citato da Tettamanzi, «spesso piangeva d’amore. Quando poi dal crocifisso e dall’eucaristia abbassava lo sguardo sulla terra, i suoi occhi di innamorato, rimasti a lungo fissi nella luce dell’amore divino, abbagliati com’erano, vedevano tutto intriso di quella stessa luce, ma specialmente i poveri, i sofferenti, gli ammalati, gli appestati, e li avvolgeva dello stesso amore» (p. 30).

Fra l’altro, cogli anni, nota Tettamanzi, san Carlo “diminuì” sempre più quanto più prese a dedicarsi ai poveri del Signore: diminuzione simboleggiata dal cambiamento del motto del suo stemma in “humilitas” (cfr. p. 14).

Venendo alle prediche di san Carlo, citate per lunghi stralci, la caratteristica precipua del loro andamento, ribadita più volte da Tettamanzi, è che esse sfociano invariabilmente in preghiera. Già questo è notevole. Così nell’omelia del 27 maggio 1584: «Sì, noi conosciamo, o Signore, quale brutta cosa, mostruosa e orrenda sia che gli uomini di carne portino in seno cuori di ferro. Ma, se i nostri cuori induriscono, come potremo noi con le nostre forze intenerirli? Non siamo capaci, Signore, da noi stessi di pensare qualcosa come proveniente da noi, non siamo capaci di pentirci, di piangere i peccati commessi, di correggere i costumi, di emendare la vita. Tu, o Signore, puoi dalle pietre suscitare figli di Abramo. […] Togli dunque da noi i nostri cuori e a noi dona cuori che ti siano bene accetti, con i quali possiamo volere solo ciò che tu vuoi e possiamo odiare solo ciò che tu odi, così da amare soltanto Te sopra ogni cosa e da renderci in tal modo degni del tuo amore. Amen» (pp. 113-114).

C’è poi un’invocazione, quella con cui si conclude la predica in Duomo del Venerdì Santo del 1584 che deve aver colpito parecchio il cardinale, se la riporta non solo all’inizio, durante e alla fine del suo libro, ma anche nella prefazione, facendola sua oggi, per la Chiesa di Milano: «Ah! noi siamo indegni, o Eterno Padre: ma tu riguarda la faccia del tuo Cristo, guarda queste piaghe, queste lividure, questo sangue; guarda questo corpo così straziato in tutte le membra. Accogli questo sacrificio, plàcati per tanto olocausto. Ecco che il sangue del tuo Figliuolo, grida misericordia e perdono per noi, grazia e propiziazione, amore e gloria… Riguarda a tutti i peccatori con l’occhio della tua misericordia, e non attendere a ciò che di male hanno commesso, sì bene alla tua immagine, al sangue del tuo Figliuolo, col quale sono lavati e redenti; ché ritornino finalmente dalle loro pessime strade, e ricerchino te solo autore della vita e di tutti i beni. Riguarda per ultimo in questo volto, in queste piaghe, in questo sangue del tuo Cristo, tutti gli uomini di ogni genere, grado e condizione; giacché per tutti e per ciascuno fu sparso questo sangue, perché anch’essi non lascino di glorificare il tuo nome, di propagare il tuo regno, di zelare la tua gloria, e perché si compia la tua volontà come in cielo così in terra. Così sia» (p. 24).

In realtà queste invocazioni hanno colpito anche noi, perché è come se affermassero in forma di preghiera, e dunque in modo ancora più intenso, che non si può andare a Dio Padre se non perché è lui a guardarci guardando il volto di suo Figlio. D’altronde, san Carlo lo dice espressamente rievocando il pentimento di Pietro: «Per primo cantò il gallo, poi Cristo fissò Pietro con quell’occhio benignissimo della Divinità con il quale si ammirano i giusti e si chiamano i peccatori a penitenza» (p. 109).

E poi queste invocazioni di san Carlo colpiscono perché sono ricche di un caldo afflato universale, cioè ecumenico. Al di là dello stile (ma alla fine anch’esso è molto più attuale di tanto modernariato), le abbiamo sentite particolarmente vicine alla vena più autentica del Concilio ecumenico Vaticano II. E, ci sia permesso dire, alla vena più autentica che continua ad attraversare la fede delle Chiese e delle comunità cristiane non in perfetta comunione con Roma.

Come il Vaticano II e i suoi interpreti più autentici non sono stati così lontani dalla cosiddetta tradizione preconciliare, che anzi li ha nutriti portandoli a quell’assise, così Trento e i suoi interpreti più autentici non furono così contrapposti ai riformati, non furono così “controriformisti”, ma anzi accolsero quanto di vero quelli esprimevano contro un diffuso semipelagianesimo. La notazione di Tettamanzi che quell’ultima omelia non è altro che una profonda «meditazione biblica» (p. 127) su testi veterotestamentari ci sembra vada anch’essa in questa direzione.

La stessa «pastorale eucaristica», nella quale «gli storici sono concordi nell’indicare il fulcro dell’intera sua opera di rinnovamento ecclesiale» (p. 37), non mostra in san Carlo alcun intento riduttivo di contrapposizione: la messa non è altro che la ripresentazione, compiuta da Gesù stesso, del suo unico sacrificio sulla croce: «E che cos’è mai rendersi presenti a questo tremendo sacrificio, ascoltare la messa, guardare il sacerdote che celebra, se non essere presenti alla sacratissima Croce di Cristo Signore? Non segni morti, non voci d’uomini, non scritti per risvegliare questa memoria, ma sé stesso, il suo corpo e il suo sangue ci ha lasciato il Signore» (p. 39).

In un’altra predica di quella medesima Quaresima del 1584, san Carlo manifesta la stessa consapevolezza di fede, che non possiamo nulla se il Signore stesso non rimane con noi, unita a una inattesa apertura sull’attualità geopolitica del tempo, che rimanda a quella dei nostri giorni: «Come il sole lasciando il nostro emisfero passa agli antipodi, e lì fa luce sul nuovo giorno e con i raggi dissipa le tenebre della notte e vi apporta calore e luce, così – o poveri noi! – si allontana da noi Cristo il sole di giustizia e passa agli antipodi, ossia agli Indi e alle altre isole recentemente scoperte, come sentiamo ogni giorno: esse s’infiammano di carità e risplendono, mentre noi insensibilmente cadiamo avvolti dalla tetra caligine della notte […]. O dolcissimo Gesù! Tu sei sole più grande del nostro sole, poiché tu puoi illuminare e riscaldare non una sola parte del mondo, ma anzi, se ci fossero infiniti mondi, su tutti splenderebbe il tuo fulgore infinito. È giusto perciò che tu trasferisca la tua luce alle remote genti dell’altra parte della terra. Ma, o Signore, rimani anche con noi, poiché (lo dico piangendo) per noi si fa sera» (p. 86).
Sorprendente modernità tridentina.


[SM=g1740771]

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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