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Se avete desiderio di capire che cosa insegna la Bibbia che il Magistero della Santa Chiesa, con il Sommo Pontefice ci insegna, questo Gruppo fa per voi. Non siamo "esperti" del settore, ma siamo Laici impegnati nella Chiesa che qui si sono incontrati da diverse parti d'Italia per essere testimoni anche nella rete della Verità che tentiamo di vivere nel quotidiano, come lo stesso amato Giovanni Paolo II suggeriva.
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Benedetto XVI dal libro intervista "Luce del mondo": alcune domande e risposte assai interessanti!

Ultimo Aggiornamento: 15/07/2013 12:18
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29/11/2010 10:12
 
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Il Papa sulla Frat. S. Pio X, sul ministero petrino e su Fatima

.... possiamo leggere questi brani dal libro-intervista a Benedetto XVI, Luce del mondo. Visto che la prima edizione è esaurita, ci consoliamo dell'attesa della seconda leggendo gli excerpta che seguono


Pag. 41/43:  la questione della revoca della scomunica alla FSSPX (Fraternità Sacerdotale San Pio X)

- La revoca della scomunica è stata un errore?

Benedetto XVI:
Forse è il caso di fare qualche precisazione rispetto alla revoca della scomunica in sé; perchè sono state diffuse moltissime stupidaggini, perfino da presunti dotti teologici.
Non è vero che quei quattro vescovi, come spesso si è voluto sottendere, siano stati scomunicati a causa del loro atteggiamento negativo nei confronti del Concilio Vaticano II.
In realtà erano stati scomunicati perché avevano ricevuto la consacrazione episcopale senza il mandato del Papa.
E quindi si era proceduto secondo il relativo canone vigente, un canone già presente nell'antico Diritto ecclesiastico.
Secondo di esso [sic], la scomunica viene inflitta a coloro, che, senza mandato del Papa, conferiscono ad altri la consacrazione episcopale, ed anche a coloro che si lasciano consacrare.
Furono quindi scomunicati perchè avevano agito contro il Primato.
Esiste una situazione analoga in Cina; anche lì sono stati consacrati dei vescovi senza il mandato del Papa e per questo sono stati scomunicati.
Ora, non appena uno di questi vescovi dichiara di riconoscere il Primato in generale nonchè quello del Pontefice regnante in particolare, la sua scomunica viene revocata perché non più giustificata.
Questo è quello che stiamo facendo in Cina - e speriamo in questo modo di riuscire pian piano a risolvere lo scisma - e così abbiamo agito anche nei casi in questione.
In breve: per il fatto stesso di essere stati consacrati senza il mandato del Papa sono stati scomunicati; e per il fatto stesso di aver riconosciuto il Papa - anche se non lo seguono ancora in tutto - la loro scomunica è stata revocata.
In sé, è un processo giuridico assolutamente normale.
Devo dire a questo proposito che su questo punto il nostro lavoro di comunicazione non è riuscito bene.
Non è stato spiegato abbastanza perchè questi vescovi fossero stati scomunicati e perché poi, già solo per ragioni giuridiche, quella scomunica doveva essere revocata."

- Nell'opinione pubblica nacque l'impressione che Roma trattasse con riguardo gruppi conservatori di destra, mentre riducesse subito al silenzio esponenti liberali e di sinistra.

Benedetto XVI:
Si è trattato semplicemente di una situazione giuridica molto chiara. Il Vaticano II non c'entrava assolutamente nulla; e nemmeno altre posizioni teologiche.
Nel momento in cui questi Vescovi riconoscevano il Primato del Papa, giuridicamente dovevano essere liberati dalla scomunica; senza che per questo mantenessero i loro incarichi nella Chiesa e senza che per ciò stesso fosse accettata la posizione da loro assunta nei riguardi del Concilio Vaticano II".


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pag. 21/26 Sul Primato petrino e il ruolo del Pontefice

- Lei oggi è il Papa più potente di tutti i tempi. Mai prima d'ora la Chiesa Cattolica ha avuto tanti fedeli, mai un'estensione simile, letteralmente fino ai confini della terra.

Benedetto XVI:
Sono statistiche che certo hanno la loro importanza. Mostrano quanto la Chiesa sia vasta, quanto ampia sia in realtà questa comunità che abbraccia razze e popoli, continenti, culture e persone di ogni genere.
Ma il potere del Papa non è in questi numeri.

- Perchè no?

Benedetto XVI:
La comunione con il Papa è di tipo diverso, e naturalmente anche l'appartenenza alla Chiesa.
Tra quel miliardo e 200 milioni di persone ce ne sono molte che poi in realtà nel loro intimo non ne fanno parte.
Già ai suoi tempi, sant'Agostino diceva: molti che sembrano stare dentro, sono fuori; e molti che sembrano stare fuori, sono dentro.
In una questione come la fede e l'appartenenza alla Chiesa Cattolica, il dentro e il fuori sono intrecciati misteriosamente.
Stalin aveva effettivamente ragione quando diceva che il Papa non ha divisioni e non può intimare o imporre nulla.
Non possiede nemmeno una grande impresa, nella quale, per così dire, tutti i fedeli della Chiesa sarebbero suoi dipendenti o subalterni.
In questo senso, da un lato il Papa è una persona assolutamente impotente.
Dall'altro ha una grande responsabilità.
Egli è, in un certo senso, il capo, il rappresentante e allo stesso tempo il responsabile del fatto che quella fede che tiene uniti gli uomini sia creduta, che rimanga viva e che rimanga integra nella sua identità.
Ma unicamente il Signore ha il potere di conservare gli uomini nella fede.

- Per la Chiesa Cattolica il Papa è Vicarius Christi, il rappresentante di Cristo in terra. Ma lei veramente può parlare a nome di Gesù?

Benedetto XVI:
Nell'annuncio della fede e nell'amministrazione dei sacramenti, ogni sacerdote parla e agisce su mandato di Gesù Cristo, per Gesù Cristo.
Cristo ha affidato la sua Parola alla Chiesa.
Questa Parola vive nella Chiesa.
E se nel mio intimo accolgo e vivo la fede di questa Chiesa, se parlo e penso a partire da questa fede, allora quando annuncio Lui parlo "per Lui", anche se è chiaro che nel dettaglio possono sempre esserci delle insufficienze, delle debolezze.
Quel che conta è che io non esponga le mie idee ma cerchi di pensare e di vivere la fede della Chiesa, di agire su Suo mandato in modo obbediente.

- Il Papa è veramente "infallibile", nel senso in cui a volte lo presentano i mass media? E' cioè un sovrano assoluto il cui pensiero e la cui volontà sono legge?

Benedetto XVI:
Questo è sbagliato.
Il concetto dell'infallibilità è andato sviluppandosi nel corso dei secoli.
Esso è nato di fronte alla questione se esistesse da qualche parte un ultimo organo, un ultimo grado che potesse decidere.
Il Concilio Vaticano I - rifacendosi ad una lunga tradizione che risaliva alla cristianità primitiva - alla fine ha stabilito che quest'ultimo grado esiste.
Non rimane tutto sospeso!
In determinate circostanze e a determinate condizioni, il Papa può prendere decisioni in ultimo vincolanti grazie alle quali diviene chiaro cosa è la fede della Chiesa, e cosa non è.
Il che non significa che il Papa possa di continuo produrre "infallibilità".
Normalmente il Vescovo di Roma si comporta come qualsiasi altro vescovo che professa la propria fede, la annuncia ed è fedele alla Chiesa.
Solo in determinate condizioni, quando la tradizione è chiara ed egli sa che in quel momento non agisce arbitrariamente, allora il Papa può dire: "Questa determinata cosa è fede della Chiesa e la negazione ad essa non è fede della Chiesa".
In questo senso il Concilio Vaticano I ha definito la facoltà della decisione ultima: affinchè la fede potesse conservare il suo carattere vincolante.

- Il ministero petrino - così Lei spiegava - garantisce la concordanza con la verità e la tradizione autentica. La comunione con il Papa è presupposto per una fede retta e per la libertà. Sant'Agostino aveva espresso questa idea così: dove c'è Pietro, c'è la Chiesa, e lì c'è anche Dio. Ma è un'espressione che viene da altri tempi, oggi non è più valida....

Benedetto XVI:
In realtà l'espressione non è formulata in questi termini e non è di Agostino, ma ora non è questo il punto.
In ogni caso si tratta di un assioma antico della Chiesa Cattolica: dove c'è Pietro, c'è la Chiesa.
Ovviamente il Papa può avere opinioni personali sbagliate!
Ma come detto: quando parla come Pastore Supremo della Chiesa, nella consapevolezza della sua responsabilità, allora non esprime più la sua opinione, quello che gli passa per la mente in quel momento.
Il quel momento egli è consapevole della sua grande responsabilità e, al tempo stesso, della protezione del Signore; per cui egli non condurrà, con una siffatta decisione, la Chiesa nell'errore ma al contrario, garantirà la sua unione con il passato, il presente e il futuro e soprattutto con il Signore.
Questo è il nocciolo della faccenda e questo è quello che percepiscono anche le altre comunità cristiane.

- Durante un simposio svoltosi nel 1977 in occasione dell'80esimo compleanno di Paolo VI, Lei tenne una relazione su cosa e come dovrebbe essere un Papa. Citando il cardinale inglese Reginald Pole, disse che un Papa dovrebbe "considerarsi come il più piccolo degli uomini"; che dovrebbe ammettere "di non conoscere altro se non quell'unica cosa che gli è stata insegnata da Dio Padre attraverso Cristo".
Vicarius Christi, diceva, significa rendere presente il potere di Cristo come contrafforte al potere del mondo. E questo non sotto forma di qualsivoglia dominio, ma piuttosto portando questo peso sovrumano sulle proprie spalle umane. In questo senso, il luogo autentico del Vicarius Christi è la Croce.

Benedetto XVI:
Si, anche oggi ritengo che questo sia vero.
Il primato si è sviluppato fin dall'inizio come primato del martirio. Nei primi tre secoli, Roma, è stata fulcro e capitale delle persecuzioni dei cristiani. Tenere testa a queste persecuzioni e rendere testimonianza a Cristo fu il compito particolare della sede episcopale di Roma.
Possiamo considerare provvidenziale il fatto che, nel momento stesso in cui il Cristianesimo si riappacificò con lo Stato, l'impero si trasferisse a Costantinopoli, sul Bosforo.
Roma, per così dire, era divenuta provincia.
Così fu più facile per il Vescovo di Roma evidenziare l'indipendenza della Chiesa, la sua distinzione dallo Stato.
Non è necessario cercare sempre lo scontro, è chiaro, quanto piuttosto mirare al consenso, all'accordo. Ma sempre la Chiesa, il cristiano, e soprattutto il Papa deve essere cosciente del fatto che la testimonianza che deve rendere possa divenire scandalo, che non venga accettata e che quindi egli si trovi costretto nella condizione del testimone, di Cristo sofferente.
Il fatto che i primi Papi siano stati tutti martiri, ha il suo significato!
Essere Papa non significa porsi come un sovrano colmo di gloria, quanto piuttosto rendere testimonianza a Colui che è stato crocifisso, ed essere disposto ad esercitare il proprio ministero anche in questa forma, in unione a Lui.


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pag. 225/229 Maria, il culto a Maria e Fatima

- Al contrario del suo predecessore, Lei è considerato un teologo con un orientamento più cristologico che mariano. Eppure solo un mese dopo la Sua elezione Lei esortò i credenti radunati a Piazza san Pietro ad affidarsi alla Madonna di Fatima. Nel corso della sua visita a Fatima nel maggio 2010 usò parole spettacolari: l'avvenimento di 93 anni fa, quando il cielo si è aperto proprio sul Portogallo, è "come una finestra di speranza che Dio apre quando l'uomo Gli chiude la porta".
Proprio il Papa che il mondo conosce come il difensore della ragione ora dice: "La Vergine Maria è venuta dal Cielo per ricordarci la verità del Vangelo".

Benedetto XVI:
E' vero, sono cresciuto in una pietà anzitutto cristocentrica, come si era andata sviluppando tra le due guerre attraverso un rinnovato accostarsi alla Bibbia e ai Padri; in una religiosità che coscientemente ed in misura pronunciata veniva nutrita attraverso la Bibbia e dunque era orientata a Cristo.
Di questo però fa sempre parte certamente la Madre di Dio, la Madre del Signore.
Nella Bibbia, in Luca e Giovanni, compare relativamente tardi, ma in modo tanto più splendente, ed in questo senso è sempre appartenuta alla vita cristiana.
Nelle Chiese d'Oriente già molto presto Ella acquisì grande importanza, si pensi ad esempio al Concilio di Efeso del 431. E di continuo, attraverso tutta la storia, Dio se ne è servito come della luce perchè Egli possa condurci a sè.
In America Latina, ad esempio, il Messico è divenuto cristiano nel momento in cui è apparsa la Madonna di Guadalupe.
Allora gli uomini compresero: "Sì, è questa la nostra fede; con essa veramente arriviamo a Dio; in essa è trasformata e ricompresa tutta la ricchezza delle nostre religioni".
In America Latina, hanno portato le persone alla fede in ultimo due figure:
da una parte la Madre, dall'altra Dio che patisce, che patisce anche per tutto quello che di violento ciascuno di loro ha dovuto sopportare.
Così bisogna dire che la fede ha una storia. L'ha evidenziato il cardinale Newman. La fede si sviluppa. E di questo fa parte anche una manifestazione sempre più potente della Madre di Dio nel mondo, come guida, come luce di Dio, come la Madre attraverso la quale possiamo riconoscere il Padre e il Figlio.
Dio ci ha dato perciò dei segni; proprio nel XX secolo.
Nel nostro razionalismo e di fronte alle nascenti dittature, ci mostra l'umiltà della Madre che appare a dei bambini dicendo loro l'essenziale: fede, speranza, amore, penitenza.
E così capisco anche che le persone qui si trovino per così dire delle finestre. A Fatima ho visto centinaia di migliaia di persone che, attraverso quello che Maria aveva confidato a dei bambini, in questo mondo pieno di sbarramenti e chiusure, ritrovano in certo qual modo l'accesso a Dio.

- Il famoso "Terzo segreto di Fatima" venne pubblicato solo nell'anno 2000 dal cardinale Joseph Ratzinger si disposizione di Giovanni Paolo II. Il testo parla di un vescovo vestito di bianco, che cade a terra, ucciso da un gruppo di soldati che gli sparano vari colpi di arma da fuoco, scena questa che venne interpretata come prefigurazione dell'attentato subito da Giovanni Paolo II.
Ora Lei dice: "Si illuderebbe chi pensasse che la missione profetica di Fatima sia conclusa".
Cosa intende? Significa che il messaggio di Fatima in realtà ancora non si è compiuto?

Benedetto XVI:
Nel messaggio di Fatima bisogna tenere distinte due cose: vi è da un lato un preciso avvenimento, rappresentato in forma di visione, dall'altro la cosa fondamentale, della quale si tratta.
Il punto non era soddisfare una curiosità.
In questo caso avremmo dovuto pubblicare il testo molto prima! No, il punto è lasciare intendere un momento critico nella storia: quello nel quale si scatena tutta la forza del male che si è cristallizzata nelle grandi dittature e che, in altra forma, agisce anche oggi.
Si trattava poi della risposta a questa sfida. Questa risposta non consiste in grandi azioni politiche, ma ultimamente può giungere solo dalla trasformazione dei cuori: attraverso la fede, la speranza, l'amore e la penitenza. In questo senso il messaggio di Fatima non è concluso, anche se le due grandi dittature sono scomparse.
Rimane la sofferenza della Chiesa, resta la minaccia agli uomini e con essa permane anche la questione della risposta; rimane perciò anche l'indicazione che ci ha dato Maria.
Anche ora vi sono tribolazioni. Anche oggi il potere minaccia di calpestare la fede in tutte le forme possibili. Anche oggi è perciò necessaria la risposta della quale la Madre di Dio ha parlato ai bambini.

- La sua predica del 13 maggio a Fatima ha toni drammatici: "L'uomo ha potuto scatenare un ciclo di morte e di terrore", ha detto, "ma non riesce ad interromperlo...".
Quel giorno, di fronte a mezzo milione di persone espresse una supplica che in fin dei conti è impressionante: " Possano questi sette anni che ci separano dal centenario delle Apparizioni, affrettare il preannunciato trionfo del Cuore Immacolato di Maria a gloria della Santissima Trinità".
Significa che il Papa, che detiene un mandato profetico, ritiene possibile che nell'arco dei prossimi sette anni la Santa Madre di Dio si manifesterà in un modo che equivarrà ad un trionfo?

Benedetto XVI:
Ho detto che il "trionfo" si avvicinerà.
Dal punto di vista contenutistico è la stessa cosa di quando preghiamo che venga il Regno di Dio. E' una parola che non va intesa come se io mi aspetti che adesso avvenga una grande svolta e la storia improvvisamente cambi radicalmente corso: sono forse troppo razionalista per questo; volevo dire che la potenza del male deve essere sempre di nuovo arrestata; che sempre nella forza della Madre si mostra la forza di Dio stesso, e la tiene viva.
La Chiesa è sempre chiamata a fare ciò per cui Abramo pregò Dio, e cioè avere cura che vi siano abbastanza giusti per tenere a freno il male e la distruzione.
Ho voluto dire che le forze del bene possono sempre crescere di nuovo. In questo senso i trionfi di Dio, i trionfi di Maria sono silenziosi, e tuttavia reali.



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 Vorrei sottolineare alcuni aspetti alle parole integrali del Papa....  
 
dal libro intervista con Benedetto XVI emerge, sul caso mns. Lefebvre, una visione assai diversa....  
in passato, quando il Papa revocò la scomunica, tutti dissero che si trattava esclusivamente di un atto di misericordia....ma Benedetto XVI rompe gli indugi e dice che fu un atto di giustizia, lo definisce addirittura, questa revoca, UN ATTO DOVUTO... Wink e finalmente fa cadere uno dei luoghi comuni: la scomunica non fu data per la negazione del Concilio, il Concilio sia con la scomunica quanto poi la revoca, NON C'ENTRAVA NULLA.... parola di Benedetto XVI....  
 
Riguardo alla questione del primato petrino e dell'infallibilità del Pontefice, faccio notare come il Papa richiama il Vaticano Primo senza se e senza ma... e sottolinea l'importanza di quella affermazione dogmatica e che dunque il Papa esiste proprio per DEFINIRE L'ULTIMA PAROLA su qualsiasi soluzione dottrinale e dogmatica da prendersi all'interno della Chiesa....  
 
Riguardo al Terzo segreto di Fatima, confesso le mie perplessità....se notate bene il Papa non risponde direttamente alle domande, ma ci gira un pò attorno.... Laughing  senza dubbio il motivo c'è e si legge e si percepisce: abbiamo bisogno dell'aiuto di Maria Santissima perchè siamo in una brutta situazione....  
per comprendere le spiegazioni del Papa su questo argomento che riguarda il futuro, occorre leggersi da pag. 69 a pag.78  
In queste 10 pagine il Papa risponde ad una serie di domande che riguardano anche la situazione climatica della terra e il recente monito apocalittico degli scienziati i quali hanno decretato che se entro dieci anni il clima aumenterà e noi non avremmo fatto nulla per modificare i nostri consumi dannosi, avremo una situazione gravissima DI NON RITORNO....  
Il Papa, assai ottimista, spiega perfettamente i problemi avvertendo che "Il fatto che non rimarremmo qui per sempre ce lo dicono le Scritture...." Laughing  e dunque spiega la falsa interpretazione DEL PROGRESSO E DELLA LIBERTA'.....un capitolo davvero da meditare, dal quale emerge un Pontefice veramente MAESTRO DI VITA non arenata sulla terra, ma che si proietta nella vita eterna...  
 
Sarà opportuno leggere integralmente anche queste pagine che mi sembrano molto importanti ed interessanti per leggere correttamente le risposte date sul Terzo segreto di Fatima....

....credo che sia importantissimo andare sempre AI TESTI INTEGRALI....certe estrapolazioni ci avrebbero dovuto già insegnare la pericolosità di una interpretazione ambigua come è avvenuto in questi giorni nella presentazione di questo libro preso a pezzetti..... 


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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03/12/2010 15:38
 
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Scambio d'opinioni sui profilattici.

Il nostro articolo sulle affermazioni del Papa in merito all'utilizzo del profilattico ha provocato un vivace dibattito. Un sacerdote ci ha scritto una mail per confutare le nostre osservazioni; ne è nato un breve carteggio, che ci pare interessante pubblicare (dopo averne informato l'interlocutore), poiché vi sono sintetizzate le due opinioni: quella (la nostra) di chi ritiene le parole del Papa perfettamente in linea col magistero anteriore, e quella invece che vi ravvisa una novità in qualche misura contraria alla retta dottrina. Nel tornare ad affrontare questo tema, vi vogliamo inoltre segnalare il bell'apologo che il sito Libero Arbitrio ha dedicato alla questione.



Gentile Redazione,
mi permetto di segnalarvi un grave abbaglio preso da Enrico nel suo articolo dal titolo "Perché il Papa ha ragione sul profilattico", dove cerca di giustificare le parole del Pontefice. Prima di tutto il Papa parla esplicitamente di "singoli casi giustificati", quindi moralmente leciti dell'uso del contraccettivo in questione, e questa terminologia è inaccettabile poiché mai un'azione intrinsecamente cattiva può essere "giustificata". La citazione poi di S. Alfonso: "E' lecito persuadere per il minor male se l’altra persona è già determinata a commetterne uno maggiore; la ragione è che chi persuade non cerca il male, bensì il bene, ossia la scelta del male minore", non è correttamente spiegata poiché si può persuadere per il male minore soltanto se questo è gia compreso e deciso nell'azione malvagia che la persona voleva fare. Per esempio a qualcuno che ha deciso di uccidere il vicino per derubarlo gli si può dire di limitarsi a derubarlo. Così spiega ogni buon manuale di Teologia Morale e in particolare il Dizionario di Teologia Morale di Palazzini, il cui testo vi allego [è consultabile online a questo link].
Porgendovi i miei migliori saluti, vi auguro ogni bene nel Signore.
Don ***

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Gentile Reverendo,
ho letto con attenzione la sua mail e l'allegato estratto e La ringrazio sentitamente.
Tuttavia devo rispondere che non condivido le Sue osservazioni. In primo luogo la Sua esegesi delle parole del Papa: vero che il termine 'giustificati' potrebbe far pensare ch'essi siano in qualche modo leciti, ma il contesto di tutto il discorso, ossia quanto precede e pure il riferimento ad un mero "avvio" di moralizzazione, rende inequivocabile che egli non considera affatto, come invece lei mi scrive, "meramente leciti" gli atti considerati (e come potrebbe: parla di casi davvero abietti), o anche solo l'uso del profilattico a prescindere dal sottostante peccato di fornicazione Ed è per questo che ho considerato le citazioni dalla Casti connubii e dall'Humanae vitae, pubblicate in alcuni siti, non conferenti al tema, visto che mai il Papa ha posto in dubbio l'illiceità di quello strumento (io, personalmente, riterrei moralmente neutro - ossia non aggravante dell'atto impuro sottostante, già di per sé gravissimo - l'uso del condom in un rapporto contro natura, in cui il problema contraccettivo non si pone; ma questo è il mio pensiero, il Papa non esplicita ciò).

E con questo, usciamo dall'ipotesi di cui al punto 1) del Palazzini.

Siamo dunque nel punto 2), che è appunto lo stesso trattato da S. Alfonso. Qui il Palazzini introduce una distinzione invero sottile, e a mio avviso piuttosto speciosa: persuadere a rubare chi sia determinato invece a rapinare è lecito (perché nella rapina è incluso il furto), mentre persuadere ad ubriacarsi anziché andare a rapinare è illecito. Ora, questa distinzione è di tipo molto legalistico (e glielo dice un avvocato: le ipotesi si chiamano reato complesso e concorso -formale o materiale - di reati) ma appare ictu oculi priva di fondamento, specie se applicata al caso. Per almeno quattro motivi:
1) E' evidente che esiste una gerarchia nella gravità dei peccati e che un peccato sensibilmente meno serio sarà sempre e comunque una scelta migliore (nel senso di: meno grave), anche se non esiste un rapporto di continenza tra le due ipotizzate infrazioni.
2) I casi concreti si ribellano a facili inquadramenti del genere. Nell'esempio del Palazzini (furto o rapina con omicidio), immaginiamo che il rapinatore si sia determinato ad uccidere il padrone per poter entrare in casa e rubare. Il confessore che lo invitasse almeno a non uccidere e, per convincerlo, gli chiedesse di allontanare il padrone con uno stratagemma, farebbe cosa illecita sol perché induce a dire una menzogna, peccato non compreso nell'originaria, e più spiccia, intenzione? La risposta è autoevidente.
3) S. Alfonso nel suo discorso riportato nel mio post non restringe il discorso a peccati in rapporto di continenza, ma parla genericamente; Sant'Agostino, poi, effettua tale comparazione tra il meretricio e le libidines (atti omosessuali) in cui quella continenza è del tutto inesistente. E mentre Alfonso e Agostino sono santi e dottori della Chiesa, non possiamo dir lo stesso, per ora, del Palazzini.
4) Nel caso del profilattico, infine, è possibile ravvisare un contegno davvero ulteriore e diverso rispetto a quello originariamente divisato? Vi è bensì un'aggiunta (il profilattico), ma nel quadro di atti di fornicazione già considerabili, lato sensu, come onanistici.

Discorso del tutto diverso è quello dell'opportunità di quelle affermazioni e del modo di farle. Qui entriamo nella sfera dell'opinabile. Personalmente, vedo sia vantaggi sia rischi. Speriamo che i primi sopravanzino. Del pari opinabile, in secondo luogo, è anche il giudizio se abbia senso per il mondo della Tradizione far guerra al Papa sul profilattico, visto che le sue affermazioni non solo non hanno valore magisteriale ma, come detto sopra, il Magistero anteriore non contraddicono.
Con molta stima
Enrico


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Gentile Signor Enrico,
la ringrazio molto per la sua risposta e ben volentieri aggiungo qualche riga di spiegazione alle mie affermazioni.

Prima di tutto mi permetto di citare il testo del Pontefice, come l’agenzia Zenit lo ha riportato, in modo che si possa discutere su qualcosa di concreto:

Presentiamo le parole del Papa raccolte nel libro sulla sessualità. (ROMA, sabato, 20 novembre 2010 (ZENIT.org).
“Concentrarsi solo sul profilattico vuol dire banalizzare la sessualità, e questa banalizzazione rappresenta proprio la pericolosa ragione per cui tante e tante persone nella sessualità non vedono più l'espressione del loro amore, ma soltanto una sorta di droga, che si somministrano da sé. Perciò anche la lotta contro la banalizzazione della sessualità è parte del grande sforzo affinché la sessualità venga valutata positivamente e possa esercitare il suo effetto positivo sull'essere umano nella sua totalità. Vi possono essere singoli casi giustificati, ad esempio quando una prostituta utilizza un profilattico, e questo può essere il primo passo verso una moralizzazione, un primo atto di responsabilità per sviluppare di nuovo la consapevolezza del fatto che non tutto è permesso e che non si può far tutto ciò che si vuole. Tuttavia, questo non è il modo vero e proprio per vincere l'infezione dell'Hiv. È veramente necessaria una umanizzazione della sessualità”.

Ho riletto più volte il testo e non riesco proprio a vedere come lo si possa interpretare diversamente dal senso ovvio delle parole: “Vi possono essere singoli casi giustificati” (quindi moralmente leciti) dell’uso del profilattico, e questo sarebbe “il primo passo verso una moralizzazione”. Così il testo è stato capito in maniera generale (Giustificato: participio passato di giustificare: che è fatto giustamente (Dizionario Palazzi) cioè in conformità alla legge morale in questo caso.)

Prima di tutto vorrei ricordarle che il Cardinal Pietro Palazzini, autore del Dizionario che le ho citato, non è l’ultimo arrivato in campo di teologia Morale ma rappresenta uno degli ultimi personaggi di spicco della scuola romana tradizionale in questa materia. Nel caso in questione poi non esprime un’idea personale ma veramente un grande principio di morale: non posso fare un male e quindi neppure consigliarlo positivamente, neanche per ottenere un bene. Non posso proporre ad un assassino che vuole andare ad uccidere un’intera famiglia, di sfogare la sua ira omicida soltanto sul primo passante che incontra per strada; non posso consigliare di prendere un contraccettivo neppure ad una persona che è decisa ad abortire in caso di concezione, mi renderei così responsabile del male che ho proposto positivamente e che la persona non aveva intenzione di compiere.

Se invece qualcuno ha gia deciso di fare un male, gli si può proporre di limitarsi; di non compierlo totalmente. Così va interpretata la stressa citazione di Sant’Alfonso. Così la interpretano i grandi moralisti tomisti come Prummer; Mekelbach ecc., di cui il Cardinal Palazzini si fa eco. Non credo che possa citarmi alcun manuale di teologia morale che affermi il contrario.

Il caso poi che evoca Sant’Agostino dei lupanari, da lei citato, rientra perfettamente nel male minore, poiché si vuole regolarizzare, canalizzare un male che esiste già, senza approvarlo (la tolleranza per definizione non significa approvare il male ma sopportarlo per un bene più grande o evitare un male maggiore).

Viziare l’atto sessuale, distogliendolo dalla sua fine naturale è un peccato che si aggiunge alla fornicazione e che è necessario accusare per l’integrità della confessione, anche se lo si fa per non trasmettere malattie. Moralmente nessuno lo può consigliare, senza rendersi corresponsabile.

Penso che per riparare lo scandalo mondiale che è stato dato con queste affermazioni e allo stesso tempo difendere l’autorità del Pontefice, in quanto capo della Chiesa universale, sia necessario proclamare fortemente che non si tratta di un atto di magistero, ma di opinioni personali e in quanto tali, discutibili.

In Jesu et Maria
Don ****


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Caro Reverendo,
riconosco volentieri con Lei che il Suo discorso non farebbe una grinza... se sol fosse vera la premessa, ossia l'interpretazione delle parole del Papa nel senso di aver definito come lecito, morale, l'uso del profilattico nel caso indicato.

Ma ecco perché tale interpretazione non regge:

1) La frase che precede quella incriminata, critica il preservativo ("la fissazione assoluta sul preservativo implica una banalizzazione della sessualità, che, dopo tutto, è proprio la fonte pericolosa di quell'atteggiamento che non fa più vedere la sessualità come espressione di amore, ma solo come una sorta di droga da somministrare a se stessi . Per questo motivo la lotta contro la banalizzazione della sessualità è anche parte della lotta per garantire che la sessualità sia considerata come un valore positivo e consentirle di avere un effetto positivo su tutto l'essere dell'uomo").

2) L'espressione "avvio di moralizzazione" è chiarissima. Avvio significa semplice incamminamento, quindi non ancora raggiungimento. Nell'originale tedesco è ancor più chiaro: einerster Akt, primo gesto, primo passo. Anche 'moralizzazione' (Moralisierung) ha un significato incoativo, a differenza ad esempio del termine "moralità".

3) Infine e soprattutto: Lei si concentra sull'espressione "singoli casi giustificati". 'Giustificato', Le concedo, è termine ambiguo e, se il pensiero del Papa non fosse rivelato da quanto ho scritto ai punti precedenti, si presterebbe agevolmente a quanto Lei ritiene. La radice di giustificato contiene il termine iustus, donde la Sua conclusione.
Se però andiamo a vedere che cosa ha detto davvero il Papa, ossia l'originale tedesco, troviamo la locuzione begründete Einzelfälle. Begründete contiene la radice grund, fondamento. Possiamo tradurlo più correttamente, quindi, come "casi individuali fondati". E sicuramente, posto che il sieropositivo sia comunque determinato al rapporto sessuale illecito, in quel caso il fondamento, il motivo, la causa per proteggere l'altro dal contagio sussiste. Senza che il riconoscimento di tale 'fondamento' neghi l'immoralità di quella protezione, pur riconoscendo ovviamente che è scelta migliore rispetto alla ben più grave immoralità dell'omicidio.

Mi permetta infine di aggiungere, alla sua frase "così il testo è stato capito in maniera generale" (ossia nel senso che il Papa avrebbe definito lecito l'uso del profilattico in quei casi), l'osservazione che così è stato interpretato dai media laicisti. Il che può essere un buon motivo per interrogarsi sull'opportunità di quelle dichiarazioni, ma faccio presente che in ambito cattolico l'idea che il Papa parli di gradi diversi di illiceità è pressoché unanime, perfino tra i progressisti.

Quindi: una volta ammesso che per il Papa l'uso del profilattico in quei casi particolari è un peccato meno grave rispetto al contagiare, il resto consegue. Non comprendo perché non si applichi qui lo stesso principio dettato da S. Agostino in merito ai postriboli. Né intendevo denigrare il Palazzini; ma constato che la sua distinzione molto legalistica fondata sulla continenza di un peccato rispetto all'altra, è contraria non solo al buon senso, ma soprattutto alla Tradizione, come attestano anche queste ulteriori citazioni (trovate qui):

S. Alfonso: "Appoggiati sull'autorità di S. Agostino, diciamo che è probabilmente permesso consigliare un male minore per evitarne uno maggiora al quale va a gettarsi senz'ombra di dubbio il prossimo, perché allora chi consiglia non provoca il male, ma il bene, consigliando di scegliere il male minore, quand'anche fosse di natura differente"

E sempre S. Alfonso, basandosi su un articolo dell'Aquinate sull'usura (per brevità, lo lascio nel francese in cui l'ho trovato): "Jamais il ne sera permis d'engager quelqu'un à prêter en exigeant des intérêts; mais quand un homme est disposé à faire des prêts de cette nature et ainsi pratique l'usure, il est permis de lui emprunter à intérêt; ceci en vue d'un bien, qui est de subvenir à sa propre nécessité ou à celle d'autrui. C'est ainsi encore qu'il est permis à celui qui tombe au pouvoir des bandits de leur montrer ce qu'il possède, pour éviter d'être tué, bien que les bandits pèchent en le dépouillant. C'est ce que nous enseigne l'exemple des dix hommes tombés au pouvoir d'Ismaël et qui lui dirent: « Ne nous fais pas mourir, car nous avons des provisions cachées dans ce champ » (Jr 41,8) ." (IIa IIae, q. 78, a. 4)

Aggiungo, infine, un'ultima considerazione. Nel valutare il caso, non ci dobbiamo mettere nella prospettiva (come invece fa il Palazzini, ma anche S. Alfonso) del confessore, per decidere che cosa è lecito che questi possa consigliare; bensì del prostituto (o prostituta). Un conto è quindi dire (col Palazzini): il confessore non deve consigliare un male, foss'anche minore. Altro è dire (ed è il discorso del Papa): colui che, determinato al peccato, sceglie il preservativo per non contagiare opera una scelta migliore (fondata, motivata, Begründete) di quella di contagiare.

Che, infine, non si tratti di opinioni magisteriali, traspare dal libro stesso.
Cordiali saluti
Enrico





*************************************

Caro Enrico e caro Don, mi riferisco allo scambio d'email.... quanto dite è ciò che voleva suscitare il Pontefice stesso: il dibattito, il contraddittorio.... Wink  
senza alcun dubbio il cattolico deve ragionare da cattolico, il non cattolico dovrebbe sforzarsi, attraverso queste espressioni del Papa NON a trovare una giustificazione del male - maggiore o minore che sia - ma accostarsi alla comprensione della autentica morale sessuale...  
 
Il Papa NON sta giustificando l'uso del profilattico, ma delle situazioni che sono già giustificate dalla società: la prostituzione... non dimentichiamo che si sta diffondendo una larga cultura ad una prostituzione quasi legalizzata, pensiamo ai viados, pensiamo alla loro MENTALITA', non sono obbligati, ma GLI PIACE FARLO....  
 
dice dunque il Papa: non giustificati nel senso "moralmente leciti", ma giustificati dalla cultura, dalla società, DALLA LIBERA SCELTA DELLE PERSONE.... io è così che leggo quelle parole fin dall'inizio.... Embarassed  c'è una certa prostituzione che è per molti una NORMALITA'....  
senza dubbio per un cattolico ciò è moralmente illecito, ma come farlo intendere a chi cattolico non è?  
Come far comprendere che in questi "casi giustificati" c'è da evitare almeno il male maggiore che è il contagio dell'AIDS?  
 
Ciò in cui ha azzardato il Papa e che intendo definire IMPRUDENTE e il non aver parlato di PECCATO E DI PECCATO MORTALE....  
magari si poteva terminare la frase che in entrambi i casi resta IL PECCATO, L'IMMORALITA' L'ILLECITA'...  
ma sembra che il Papa di proposito abbia voluto lasciare aperto il dibattito, il confronto, il contraddittorio forse perchè, appunto, NON SI TEME LA VERITA' E LA VERITA' NON TEME IL CONFRONTARSI.... Wink  
 
Oggi non è affatto semplice parlare di DIVIETI!  
 
Vi segnalo un caso assurdo di questi giorni:  
una coppia normale, uomo e donna, si sono sposati in Chiesa...tutto normale fino a quando il marito DECIDE DI DIVENTARE DONNA....  
vivono a Bologna.... lui è andato all'estero ed ora dopo l'intervento è "donna" la moglie resta donna...  
quel matrimonio è ancora valido?  
alcuni sacerdoti hanno detto di "si" altri hanno detto di "no".... i due coniugi NON vogliono ricorrere alla Sacra Rota e ritengono questa unione LEGITTIMA.... Undecided  
 
Ora, noi sappiamo che queste due persone stanno vivendo in un gravissimo stato di peccato mortale....  
cosa deve fare la Chiesa? annullare quel matrimonio? ma i due non lo chiedono e non vogliono....  
la Chiesa non è matrigna, ma è Madre....e si è già espressa in materia, ma sono alcuni sacerdoti che hanno le idee confuse....  
 
Voi che ne pensate?




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Cara Caterina, quel marito, nonostante 'le apparenze' è e resta un uomo. Il suo codice genetico è sempre xy, mica è possibile cambiarlo...  
Questo significa che i due, di fronte alla Chiesa, continuano ad essere sposati e non c'è nessuna nullità del matrimonio (tra l'altro, la nullità è un vizio genetico, ossia originario, del matrimonio, non può dipendere da cause sopravvenute).  
Un matrimonio rato, ossia validamente contratto tra due battezzati, non può essere sciolto che in un caso (l'unico 'divorzio' ammesso per il matrimonio tra battezzati), ossia in caso di non consumazione.  
Ma se il marito, prima di... insomma, della mutilazione, ha avuto modo e tempo di consumare il matrimonio, i due resteranno sposi finché morte non li separi.  
 
Per quanto riguarda la legge civile, invece, è possibile ottenere con sentenza l'accertamento del mutamento del sesso. Ma questo non implica lo scioglimento automatico del matrimonio: è solo presupposto affinché uno dei due coniugi possa chiederlo (art. 3 n. 2 lett. g L. 1.12.1970 n. 898, mod. dall'art. 7 L. 6.3.1987 n. 74). Nessuno o quasi lo sa, ma esiste già una sorta di matrimonio omosessuale nel diritto civile: finché nessuno dei due coniugi chiede il divorzio, il matrimonio resta in piedi anche se uno dei due è diventato (a tutti gli effetti di legge) dello stesso sesso dell'altro.  
Enrico


**************************


Grazie Enrico,  
è infatti la stessa cosa che pensavo anch'io.....  
per la Chiesa non esiste il "cambiamento" del sesso....  
Ora, e il punto è questo, c'è chi STRUMENTALIZZERA' (e sta già strumentalizzando) il fatto per dire, magari, che la Chiesa ACCETTA il matrimonio fra persone dello stesso sesso NON annullando quel Matrimonio... comprendi? Wink  
Con il problema dell'ignoranza dilagante sulla RADICE di una Dottrina, si fa dire alla Chiesa ciò che non dice, o si fa cambiare la dottrina su OPINIONI PERSONALI....  
 
Così, per ritornare al tema brillante del vostro scambio di email:  
noi sappiamo cosa insegna la Chiesa in materia morale, ergo, ogni frase del Papa anche se detta fuori dal Magistero, deve essere interpretata alla luce della dottrina....  
 
L'eco suscitato dalle sue parole non sono "le sue parole" MA L'INTERPRETAZIONE che ne viene data e volutamente, per taluni, dissociata dall'insegnamento dalla Chiesa....  
 
La società si sta evolvendo e nel modo peggiore.... e la sana Dottrina subirà sempre di più INCOMPRENSIONI anche perchè, a partire dalle Famiglie, certe cose semplici NON si insegnano più....  
 
ho sentito con le mie orecchie, nonchè ho dovuto scontrarmi.... CATECHISTI CONSIGLIARE L'USO del profilattico PER EVITARE DI ABORTIRE a ragazze e ragazzi di 16 anni....alle ragazze per non rimanere incinte e ai maschi per EVITARE IMBARAZZI....  
un bambino è visto come UN IMBARAZZO anzichè una eventualità, che seppur accidentale, può recare uno sviluppo della propria responsabilità e percepire l'evento COME UN DONO...e non come UNA DISGRAZIA!!  
 
A fronte dell'aborto eventuale, si consiglia già da tempo il profilattico ed altri concezionali.....il problema è aperto da tempo e non certo dalle parole del Papa.....







[Modificato da Caterina63 03/12/2010 15:39]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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04/12/2010 10:06
 
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LEGGENDO "LUCE DEL MONDO"... - Parte Prima


di Francesco Colafemmina

Ho appena finito di rileggere "Luce del mondo", il libro intervista di Papa Benedetto XVI. Proporrò quindi una serie di brevi considerazioni divise in tre parti. Ad ogni parte seguirà una sorta di florilegio dei pensieri del Santo Padre.


Chiusa l'ultima pagina la sensazione finale è che "Luce del mondo", il libro intervista di Benedetto XVI non sia tanto indirizzato ai cattolici, quanto al "mondo" che porta già nel titolo. Forse i lettori di notizie ecclesiali sul web e sulla stampa, coloro che leggono i discorsi del Papa e le sue encicliche non vi troveranno nulla di nuovo, e non resteranno stupiti nell'apprendere che il messale è "il libro liturgico per il rito cattolico romano" (così si legge in nota a p.155), ma potranno trovarci nondimeno fatti e realtà della Chiesa dibattuti negli ultimi anni. Si deduce pertanto che la funzione del volume è chiaramente apologetica. Difendere il Papa, difendere la Chiesa e riabilitarle entrambi agli occhi del mondo, affinché il mondo guardi con maggiore fiducia al Cattolicesimo e non abbia paura di abbracciare il Vangelo.

La funzione coincide dunque con quell'intento di promuovere una "nuova evangelizzazione" di cui aveva parlato Mons. Fisichella il giorno della sua presentazione in Vaticano. Una evangelizzazione che deve partire questa volta non direttamente dal Vangelo ma da colui che lo annuncia e dall'istituzione in cui Cristo vive, ossia il Papa e la Chiesa. Abbattere i muri del pregiudizio, ridurre le distanze del disagio causato dall'impatto tragico degli scandali pedofili, recuperare la fiducia del mondo, delle istituzioni, degli uomini di cultura, dei lettori credenti e non credenti di questa terra: questo è l'obiettivo di "Luce del mondo". Non è detto, tuttavia, che a questo obiettivo corrispondano analoghi risultati.

Il tono dell'intervista lo si intuisce dalla citazione del salmo 53, 1-5: "lo stolto pensa: 'Dio non c'è'. Sono corrotti, fanno cose abominevoli: non c'è chi agisca bene..."

Una citazione emblematica che focalizza già il discorso sulla questione degli abusi sessuali da parte di alcuni membri del clero, forse uno dei più grandi scandali mediatici che abbiano mai colpito la Chiesa Cattolica. Il volume si articola in tre parti: la prima dedicata ad una analisi dei "Segni dei Tempi" (ossia la crisi del clero, la crisi economica, e la crisi della fede); la seconda parte riguarda più specificamente la figura del Pontefice (notevoli i passaggi in cui Papa Benedetto racconta la sua elezione e il rapporto con Islam e Ortodossia); la terza parte passa ad affrontare le prospettive per il futuro, senza mai dimenticare le posizioni della Chiesa sui temi considerati più scottanti (in verità tali da almeno 60 anni): il sacerdozio femminile, il celibato, la comunione per i separati... Molto belle le pagine finali dedicate ai Novissimi e alla Parusia del Signore.

Ripeto, che il libro sia dedicato principalmente a non cattolici lo si comprende sin dall'inizio. Il Papa deve spiegare chi è e cosa fa il Successore di Pietro, deve anche spiegare cosa significa essere Vicario di Cristo ("se nel mio intimo accolgo e vivo la fede di questa Chiesa, se parlo e penso a partire da questa fede, allora quando annuncio Lui, parlo per Lui, anche se è chiaro che nel dettaglio possono sempre esserci delle insufficienze, delle debolezze" - p.22). Giunge persino a parlare delle dimissioni di un Pontefice come di un fatto quasi scontato (p.53 "Ci si può dimettere in un momento di serenità, o quando semplicemente non ce la si fa più...").

Le parole ricorrenti tendono ad essere improntate talvolta ad un lessico internazionale, come nel caso dell'espressione "diritti umani": "Il mio predecessore, in quanto grande antesignano della lotta per i diritti umani, per la pace e per la libertà, ha sempre trovato anche grande consenso. Sono temi tuttora validi. Oggi soprattutto il Papa ha il dovere di battersi ovunque per il rispetto dei diritti umani, come intima conseguenza della fede nel fatto che l'uomo è creato ad immagine e somiglianza di Dio e che ha una vocazione divina. Il Papa ha il dovere di lottare per la libertà, contro la violenza e contro le minacce di guerra." pp.39-40).

I giudizi del Papa sulla questione pedofilia sono oltremodo chiari e netti: punire i colpevoli, rifuggire da ogni forma di omertà, occuparsi delle vittime, evitare che si ripetano i crimini. Da notare che il Papa spiega la ragione per cui ha evitato di ripetere ogni cinque minuti il suo dolore e il suo sgomento per quanto accaduto, oltre alla richiesta di perdono rivolta alle vittime: "Penso che tutto l'essenziale sia stato detto; perché quello che è stato detto per l'Irlanda non valeva solo per l'Irlanda. In questo senso le parole della Chiesa e del Papa sono state udite in modo assolutamente chiaro, inequivocabile e ovunque." (p.52).

Anche l'analisi delle cause di questi abusi è oltremodo chiara e profonda. Il Papa non nasconde che il problema è nato con l'abolizione tacita della disciplina nei seminari a partire dagli anni Sessanta: "Dominava la convinzione che la Chiesa non dovesse essere una Chiesa di diritto, ma una Chiesa dell'amore; che non dovesse punire. Si spense in tal modo la consapevolezza che la punizione può essere un atto d'amore" p.47.

Nell'affrontare il tema della crisi economica globale, il Papa ricorre a profonde argomentazioni filosofiche il cui obiettivo è armonizzare etica cattolica ed etica umana. In parole povere la coscienza del potere distruttivo che attualmente l'uomo ha a disposizione grazie alla scienza e alla tecnica, dovrebbe indurre l'umanità a cercare una espansione "etica" del proprio potenziale, affinché quel potere sia incanalato sulla strada della sopravvivenza dell'uomo, del rispetto del creato, della preservazione della vita (pp.79-74).
Sono temi già sviluppati nell'enciclica Caritas in Veritate, in particolare quello racchiuso in questa frase del Papa: "Cosa possiamo fare? A fronte della minaccia incombente, tutti ormai si sono resi conto che è necessario fare scelte di ordine morale".

Il Papa passa quindi ad affrontare la questione che da molti anni gli sta a cuore: la "dittatura del relativismo". Il rapporto fra fede, verità e tolleranza già elaborato in una famosa raccolta di saggi da Joseph Ratzinger, viene attualizzato alla luce dei più recenti fenomeni causati dalla globalizzazione e dalla perdita di riferimenti culturali. Da notare il riferimento del Papa ad una vera e propria "nuova religione" che in nome della tolleranza vorrebbe soppiantare il Cristianesimo: "C'è il pericolo che la ragione, la cosiddetta ragione occidentale, sostenga di avere finalmente riconosciuto ciò che è giusto e avanzi così una pretesa di totalità che è nemica della libertà. Credo necessario denunciare con forza questa minaccia. Nessuno è costretto ad essere cristiano. Ma nessuno deve essere costretto a vivere secondo la 'nuova religione' come fosse l'unica e vera, vincolante per tutta l'umanità" pp.82-83.

E' però a pagina 98 che Papa Benedetto rivela il senso di questo libro intervista, assieme ad una delle strategie da lui promosse perché il mondo secolarizzato possa ritornare ad aprirsi alla fede (concetto già espresso in altri termini nel famoso "cortile dei gentili"): "Spesso Colui che viene è stato presentato con formule senz'altro vere che però sono insieme inerti. Esse non riescono più a penetrare nel contesto della nostra vita e spesso ci risultano incomprensibili. Oppure accade anche che questo Colui che viene è totalmente svuotato, falsificato in quanto ridotto a generico topos morale dal quale non viene niente e che non significa niente. Dobbiamo quindi cercare di dire veramente l'essenziale come tale, ma di dirlo con parole nuove. Per Jurgen Habermas è importante che esistano teologi capaci di tradurre il tesoro della loro fede in modo tale che esso, nel mondo secolarizzato, riesca a diventare parole per questo mondo. Lui magari lo intenderà in maniera un po' diversa da noi, ma ha ragione quando dice che l'interno processo di traduzione delle grandi parole nei termini e modi di pensare del nostro tempo è avviato, ma non è ancora del tutto riuscito." pp.97-98.

Questo approccio tuttavia parte da un dato di fondo storicistico e sociologico (Habermas la chiamava "sociologizzazione della storia"): i gruppi culturali creano un proprio linguaggio e il linguaggio della cultura dominante colonizza gli altri linguaggi. Se le culture ristrette sono in grado di adattare il proprio linguaggio sopravvivono, sennò sono destinate ad estinguersi. Così la pensa - e sto semplificando di molto - Habermas. Chiaramente se applichiamo questo discorso al Cristianesimo entriamo nell'errore dello storicismo: la Chiesa in quanto cultura dominante del passato ha visto permanere il suo linguaggio per secoli, perché era "dominante" e non perché quel linguaggio fosse intrinsecamente vero. Oggi però lo deve adattare alla modernità se vuole proseguire il suo annuncio. Così facendo per prima cosa si crede che l'espressione, il linguaggio culturale cattolico sia prodotto di un'epoca, dunque mera forma espressiva e non unione di contenuto e struttura formale. In secondo luogo si rischia, adattando il "linguaggio" della Chiesa al mondo secolarizzato, di snaturarlo e di perderne per sempre il contenuto, perché sarà vero che ciò "potrà riuscire soltanto se gli uomini vivranno il Cristianesimo a partire da Colui che viene", tuttavia perché si viva a partire da Cristo, bisogna essere radicati nel mondo logico di Cristo. Il logos non è insomma una struttura culturale, è di più, è Cristo stesso.
Tantopiù che il linguaggio del mondo contemporaneo non è nato per un autonomo rinnovamento, bensì perché il mondo è stato permeato di logiche e linguaggi alieni al Cristianesimo, anzi in lotta aperta con esso.

Dopo averci rassicurati sull'inutilità del Concilio Vaticano III, senza però deludere coloro che in futuro se l'aspettano ("Abbiamo avuto in totale più di venti concili, prima o poi sicuramente ce ne sarà un altro. Al momento non ne vedo le condizioni" p.100), il Papa passa poi a descrivere la sua missione di Successore di Pietro....

Fine prima parte


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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21/12/2010 17:10
 
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LEGGENDO LUCE DEL MONDO... - Parte Seconda



di Francesco Colafemmina

La seconda parte del libro intervista a Papa Benedetto XVI, "Luce del Mondo" è dedicata al Pontificato. Il Santo Padre sin dalle prime battute ci mostra la sua umiltà, l'uomo che guida la Chiesa di Cristo non si considera un monarca solitario scelto dallo Spirito Santo, dunque investito di una suprema autorità. Al contrario il Papa ci tiene ad affermare i suoi limiti, anche quelli relativi al suo potere: "ho capito che accanto ai grandi Papi devono esserci anhe pontefici piccoli che danno il proprio contributo" (p.107) e aggiunge "il Concilio Vaticano II ci ha insegnato, a ragione, che per la struttura stessa della Chiesa è costitutiva la collegialità; ovvero il fatto che il Papa è il primo nella condivisione e non un monarca assoluto che prende decisioni in solitudine e fa tutto da sé" (p.107).

In questo senso risulta illuminante anche quanto il Papa afferma più avanti riguardo ai segni esteriori di questa monarchia ormai dismessa: "la tiara era rimasta nello stemma papale, e adesso è sparita anche da lì. Non ho cancellato l' "io", ma ho lasciato entrambi, l' "io" e il "noi". Infatti, su molti argomenti non dico solo quello che è venuto in mente a Joseph Ratzinger, ma parlo a partire dalla comunitarietà, dal carattere comunitario della Chiesa. In un certo qual modo, parlo in intima comunione con i credenti ed esprimo ciò che tutti noi siamo e quello a cui insieme crediamo. Quindi, il "noi" non ha il valore di plurale maiestatis, ma indica il giusto peso che si vuole dare alla realtà del parlare a partire dagli altri, per mezzio degli altri e con gli altri. Ma quando si dice qualcosa di personale, bisogna anche utilizzare l' "io". Quindi utilizzo sia l' "io" che il "noi". "(p.124).

Quest'ultimo passaggio sul plurale maiestatis è, francamente, piuttosto aperto a controverse interpretazioni. Infatti che il Papa parli al singolare o al plurale, non fa differenza nella percezione dei fedeli e del mondo. Basti pensare alla questione del condom, affrontata più avanti in questa sezione del libro. Il Papa ha parlato in qualità di Joseph Ratzinger? O in qualità di Papa? E cosa fa la differenza? Certo, il Papa non è un politico, un membro delle istituzioni, che quando parla in Parlamento parla a livello istituzionale, e quando si ritrova fra amici, parla a livello personale. Tuttavia se già nell'ambito politico, è estremamente difficile scindere pareri privati da visioni istituzionali, quanto più complesso è questo genere di sottigliezza ermeneutica applicata ad un Sommo Pontefice?

Ad ogni modo se a queste affermazioni sommiamo le altre, espresse già nella prima parte del volume, riguardo alla natura di "Vicario di Cristo" del Papa, che Benedetto intende quale estensione del ministero sacerdotale, non possiamo non trarne una impressione di depotenziamento del primato petrino: "nell'annuncio della fede e nell'amministrazione dei sacramenti, ogni sacerdote parla e agisce su mandato di Gesù Cristo, per Gesù Cristo. Cristo ha affidato la sua parola alla Chiesa. Questa Parola vive nella Chiesa. E se nel mio intimo accolgo e vivo la fede di questa Chiesa, se parlo e penso a partire da questa fede, allora quando annuncio Lui parlo per Lui, anche se è chiaro che nel dettaglio possono sempre esserci delle insufficienze, delle debolezze. Quel che conta è che io non esponga le mie idee ma cerchi di pensare e di vivere la fede della Chiesa, di agire su Suo mandato in modo obbediente" (p.22).

Quello di vicarius Christi è un titolo antichissimo (lo si ritrova già in Sant'Ambrogio) che non contiene implicitamente soltanto il ministero sacerdotale. Esso esprime il primato nella maniera più diretta ed essenziale, ma nei secoli è anche diventato sinonimo delle prerogative pontificie, prima fra tutte lo ius ligandi atque solvendi. Chiaramente è difficile spiegare all'occidentale medio, abituato al democratismo, ossia a questa fantapolitica pseudo-democratica che ci governa, il senso di istituti così antichi e stratificati. E' difficile spiegare la possibilità che un uomo in carne ed ossa possa ottenere una potestà così esclusiva sulle anime, e un primato talmente inspiegabile sulla Chiesa. Ma tant'è! Questo è il Papato, non solo belle parole e viaggi apostolici.

Tornano a questo punto di moda le parole del gesuita Wilhelm Beltrams che già nel 1964, in pieno Concilio, riaffermava il senso della collegialità e del primato petrino. Nelle sue Quaestiones fundamentales iuris canonici del 1969 (Pontificia Università Gregoriana) affermava a proposito della collegialità (p.347): "Officium primatiale non potest habere structuram collegialem. Potius ipsum potest esse tale tantum, si est subiectum plenae supremae potestatis distinctum a subiecto, quod est collegium. Hac ratione revera Romanus Pontifex constituitur Vicarius Christi pro tota Ecclesia, idque ipsi soli convenit. Ipse personaliter Dominum representat directe toti Ecclesiae et ipsi collegio Episcoporum. Non tantum vicariatum directe a Domino habet - hoc etiam de collegio Episcoporum dicendum est - sed ipse habe a Domino vicariatum cum libera dispositione; iuxta verbum Domini illudque fideliter servans ipse personaliter habet semper actu exercitium liberum potestatis plenae supremae; collegium Episcoporum vicariatum Domini habet sine libera dispositione quoad exercitium, ita ut cum capite, sub capite semper agere teneatur. Vinculum iuridicum, quo collegium Episcoporum, ligatur, etiam quoad docendum et pascendum ecclesias particulares, imprimis etiam ligatione eorum ad caput constituitur. " (Tradotto: L'ufficio del primato non può avere struttura collegiale. Piuttosto esso stesso può essere tale solo se il soggetto della piena suprema potestà è distinto dal soggetto che è il collegio. In questo senso sin dai tempi antichi il Pontefice Romano è costituito Vicario di Cristo per la Chiesa tutta, e questo titolo si addice solo a lui. Bisogna pertanto dire che egli personalmente rappresenta il Signore direttamente per tutta la Chiesa e per lo stesso collegio episcopale. Non ha solo il vicariato direttamente dal Signore - perché la stessa cosa è da dirsi anche per il collegio episcopale - ma egli ha dal Signore il vicariato con la libera disposizione; secondo la parola del Signore e egli personalmente ha l'esercizio in atto, libero, di una potestà piena suprema nel conservare sempre fedelmente la stessa parola del Signore. Il collegio episcopale ha il vicariato del Signore senza libera disposizione per quanto attiene al suo esercizio, affinché sia sempre tenuto ad agire assieme al capo e sotto il capo. Il vincolo giuridico con il quale il collegio episcopale è legato è inoltre costituito in primo luogo dal legame dei vescovi con il capo anche per quanto attiene all'insegnamento e alla pastorale delle chiese particolari).

Questa questione ritorna nelle pagine dedicate all'Ecumenismo. Il Papa infatti sottolinea l'inadeguatezza di un titolo di "primus inter pares" che il mondo Ortodosso vedrebbe di buon grado attribuito al Papa, ma che snaturerebbe la natura del primato petrino: "il primo fra pari non è esattamente la formula in cui crediamo noi cattolici. Il Papa è primo ed ha anche funzioni e compiti specifici. In questo senso non sono tutti pari. "Primo fra pari" è una formula che l'Ortodossia accetterebbe senz'altro. Essa riconosce che il vescovo di Roma, il protos, è il primo, e questo fu già stabilito nel Concilio di Nicea. Tuttavia, la questione è: egli ha compiti specifici oppure no?" (p.133).

Ma un altro preoccupante argomento è introdotto a p.134, a proposito di un ipotetico titolo onorifico che gli Anglicani (non quelli degli Ordinariati!) avrebbero proposto al Papa:

Seewald: In ogni caso il Metropolita greco ortodosso Agoustinos oggi considera possibile un Primato onorario del Papa per tutti i cristiani. Anche il vescovo luterano Johannes Friedrich ha parlato di un limitato riconoscimento del Papa come "portavoce ecumenicamente riconosciuto della cristianità mondiale". E' questo che lei intende quando afferma che oggi le Chiese dovrebbero trarre ispirazione dall'esempio del primo millennio?

Papa: Anche gli Anglicani hanno affermato che potrebbero ipotizzare un Primato onorario del Papa di Roma, fra l'altro nel ruolo di portavoce della cristianità. Naturalmente si tratta già di un passo rilevante. E nei fatti il mondo già considera le prese di posizione del Papa sui grandi temi etici come la voce della cristianità. Il Papa stesso è attento, quando affronta certi argomenti, a parlare per i cristiani e a non mettere in risalto in maniera specifica la dimensione cattolica; per quest'ultima vi è un altro posto." (pp.134-135)

Chiaramente ci rendiamo conto della gravità di quest'ultima affermazione. E' come se il Papa che parla all'ONU fosse un Papa cristiano, mentre quello che parla dalla loggia del Palazzo Apostolico un Papa cattolico. Ma è dunque possibile scindere la cattolicità del Papa dalla sua cristianità?

Il Papa poi si sofferma sui contrasti coi Protestanti e afferma: "in quanto cristiani dobbiamo trovare una base comune, metterci nella condizione di parlare ad una voce sui grandi temi e testimoniare Cristo come Dio vivente. Non potremo realizzare la piena unità in un prossimo futuro, ma facciamo tutto il possibile per compiere una missione comune in questo mondo, per dare una testimonianza comune." (p.139)

Tralasciando le parole del Papa dedicate all'Islam, improntate ad una notevole moderazione e alla ricerca anche in questo caso di una "base comune di valori" e di un metodo comune di adattamento alla modernità, passiamo quindi alla sezione dedicata all' "Annuncio". Vengono qui presi in esame alcuni importanti atti papali. Dalla pubblicazione della Deus Caritas Est ("naturalmente la corporeità comprende molto più della sessualità, ma quest'ultima ne è parte essenziale. E' importante che l'uomo sia anima nel corpo, che come corpo sia veramente se stesso e che a partire da qui concepisca il corpo positivamente e la sessualità come un dono positivo. Attraverso di essa l'uomo partecipa all'opera creatrice di Dio" p.150), a quella del Summorum Pontificum nel 2007:

"La liturgia rinnovata del Concilio Vaticano II è la forma valida in cui la Chiesa celebra la liturgia. Ho voluto rendere più facilmente accessibile la forma antica in modo tale da preservare il profondo ed ininterrotto legame che sussiste nella storia della Chiesa. Non possiamo dire: prima era tutto sbagliato, ora invece è tutto giusto. In una comunità infatti nella quale la preghiera e l'Eucaristia sono le cose più importanti, non può considerarsi del tutto errato quello che prima era ritenuta la cosa più sacra. Si è trattato della riconciliazione con il proprio passato, della continuità interna della fede e della preghiera nella Chiesa" (p.154).

Peccato che il Papa non faccia alcun riferimento alla tanto auspicata "Riforma della riforma". Di questa non v'è alcuna traccia in tutto il libro intervista!

Curiosamente però almeno il Papa fa riferimento alla musica nel ricordare alcuni dei suoi viaggi. Quello negli Stati Uniti: "a Whashington una celebrazione liturgica accompagnata da musica più moderna, a New York da una più classica"(p.165). E quello in Francia: durante "la recita dei Vespri nella Cattedrale di Notre Dame (...) la musica è stata eccezionale" (p.167).

Segue quindi la famosa questione relativa al profilattico. Sapete come la penso in merito, ma vorrei favorire ancor più la riflessione sull'argomento. Il Papa introduce la questione per schermirsi dalle incredibili accuse che gli furono rivolte nel 2009 quando affermò che il condom non aiuta a prevenire il contagio "ma anzi aumenta il problema". Lo fa così: "dicendo questo non avevo preso posizione sul problema dei profilattici in generale". Questa frase presuppone che il Papa non fosse contrario in principio all'uso dei profilattici, ma che avesse espresso una considerazione sull'uso del condom quale unica soluzione al contagio dell'AIDS. Aggiunge quindi, poco più sotto: "Ma solo questo (la distribuzione di condom ndr) non risolve la questione. Bisogna fare di più." E quindi cita la teoria ABC (astinenza, fedeltà, condom): "laddove il profilattico è considerato soltanto come scappatoia, quando mancano gli altri due elementi. Questo significa che concentrarsi solo sul profilattico vuol dire banalizzare la sessualità (...)".
Quindi, rileggendo l'intero passaggio è chiaro che il Papa considera il profilattico una soluzione che va sempre accompagnata. Non una soluzione in sé. Quando i vari neo-moralisti si sono affannati per difendere il corretto senso delle parole del Papa, hanno concentrato poi l'attenzione sul fatto che per la Chiesa l'uso del condom continuerebbe ad essere un peccato, in quanto i prostituti maschi (ma anche le prostitute e i trans) sarebbero già in stato di peccato, poiché avrebbero deciso di violare la castità. Non comprendono, tuttavia, che a questo punto è del tutto inutile limitarne l'uso ai soli prostituti. Anche i clienti dei prostituti, anche semplici uomini e donne che hanno deciso di fare sesso fuori dal matrimonio, anche una coppia in cui uno dei coniugi sia sieropositivo, in tutti questi casi se una persona decide di violare il sesto comandamento, l'uso del profilattico può costituire un "primo passo verso una moralizzazione". Per questa ragione le parole del Papa continuano a lasciarmi... senza parole.

Passando quindi al caso Williamson, si conclude la seconda parte del libro intervista "Luce del Mondo". Alcuni estratti relativi a Williamson li avete già letti. Personalmente ritengo che negare la remissione della scomunica a Williamson per il solo fatto di aver negato l'esistenza delle camere a gas naziste sia un eccesso. I Vescovi vanno giudicati per le loro opinioni sulla Chiesa e sulla fede, per la loro mancanza di obbedienza al Papa, per i loro abusi liturgici, per le malversazioni economiche, e non perché magari in maniera inadeguata e poco prudente, esprimono - su richiesta di giornalisti maliziosi arruolati da qualche esponente vaticano nemico della tradizione - pareri su fatti storici del passato.

Pensiamo ad esempio ai Vescovi che negano l'applicazione del Motu Proprio, a quelli che spendono e spandono milioni di euro per costruire nuove chiese orripilanti, per organizzare concorsi edilizi truccati e altre amenità simili, sono costoro davvero in comunione con il Papa più di Mons. Williamson e sono costoro più cattolici di Williamson che - per inciso - si è convertito al cattolicesimo ben prima di entrare nella FSSPX?


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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NOTA DELLA CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE SULLA BANALIZZAZIONE DELLA SESSUALITÀ - A PROPOSITO DI ALCUNE LETTURE DI "LUCE DEL MONDO", 21.12.2010

Viene pubblicata questo pomeriggio su L’Osservatore Romano una Nota della Congregazione per la Dottrina della Fede sulla banalizzazione della sessualità, a proposito di alcune letture del libro-intervista di Papa Benedetto XVI "Luce del mondo".
Riportiamo di seguito il testo della Nota nelle diverse lingue, al fine di favorirne la corretta lettura:


In occasione della pubblicazione del libro-intervista di Benedetto XVI,
Luce del mondo, sono state diffuse diverse interpretazioni non corrette, che hanno generato confusione sulla posizione della Chiesa cattolica riguardo ad alcune questioni di morale sessuale. Il pensiero del Papa non di rado è stato strumentalizzato per scopi e interessi estranei al senso delle sue parole, che risulta evidente qualora si leggano interamente i capitoli dove si accenna alla sessualità umana. L'interesse del Santo Padre appare chiaro: ritrovare la grandezza del progetto di Dio sulla sessualità, evitandone la banalizzazione oggi diffusa.

Alcune interpretazioni hanno presentato le parole del Papa come affermazioni in contraddizione con la tradizione morale della Chiesa, ipotesi che taluni hanno salutato come una positiva svolta e altri hanno appreso con preoccupazione, come se si trattasse di una rottura con la dottrina sulla contraccezione e con l'atteggiamento ecclesiale nella lotta contro l'Aids. In realtà, le parole del Papa, che accennano in particolare ad un comportamento gravemente disordinato quale è la prostituzione (cfr.
Luce del mondo, prima ristampa, novembre 2010, pp. 170-171), non sono una modifica della dottrina morale né della prassi pastorale della Chiesa.

Come risulta dalla lettura della pagina in questione, il Santo Padre non parla della morale coniugale e nemmeno della norma morale sulla contraccezione. Tale norma, tradizionale nella Chiesa, è stata ripresa in termini assai precisi da Paolo vi nel n. 14 dell'enciclica
Humanae vitae, quando ha scritto che è «esclusa ogni azione che, o in previsione dell'atto coniugale, o nel suo compimento, o nello sviluppo delle sue conseguenze naturali, si proponga, come scopo o come mezzo, di impedire la procreazione». L'idea che dalle parole di Benedetto xvi si possa dedurre che in alcuni casi sia lecito ricorrere all'uso del profilattico per evitare gravidanze indesiderate è del tutto arbitraria e non risponde né alle sue parole né al suo pensiero. A questo riguardo il Papa propone invece vie umanamente e eticamente percorribili, per le quali i pastori sono chiamati a fare «di più e meglio» (Luce del mondo, p. 206), quelle cioè che rispettano integralmente il nesso inscindibile di significato unitivo e procreativo in ogni atto coniugale, mediante l'eventuale ricorso ai metodi di regolazione naturale della fecondità in vista di una procreazione responsabile.

Quanto poi alla pagina in questione, il Santo Padre si riferiva al caso completamente diverso della prostituzione, comportamento che la morale cristiana da sempre ha considerato gravemente immorale (cfr. Concilio Vaticano ii, Costituzione pastorale
Gaudium et spes, n. 27; Catechismo della Chiesa cattolica, n. 2355). La raccomandazione di tutta la tradizione cristiana — e non solo di quella — nei confronti della prostituzione si può riassumere nelle parole di san Paolo: «Fuggite la fornicazione» (1 Corinzi, 6, 18). La prostituzione va dunque combattuta e gli enti assistenziali della Chiesa, della società civile e dello Stato devono adoperarsi per liberare le persone coinvolte.

A questo riguardo occorre rilevare che la situazione creatasi a causa dell'attuale diffusione dell'Aids in molte aree del mondo ha reso il problema della prostituzione ancora più drammatico. Chi sa di essere infetto dall'Hiv e quindi di poter trasmettere l'infezione, oltre al peccato grave contro il sesto comandamento ne commette anche uno contro il quinto, perché consapevolmente mette a serio rischio la vita di un'altra persona, con ripercussioni anche sulla salute pubblica. In proposito il Santo Padre afferma chiaramente che i profilattici non costituiscono «la soluzione autentica e morale» del problema dell'Aids e anche che «concentrarsi solo sul profilattico vuol dire banalizzare la sessualità», perché non si vuole affrontare lo smarrimento umano che sta alla base della trasmissione della pandemia. È innegabile peraltro che chi ricorre al profilattico per diminuire il rischio per la vita di un'altra persona intende ridurre il male connesso al suo agire sbagliato. In questo senso il Santo Padre rileva che il ricorso al profilattico «nell'intenzione di diminuire il pericolo di contagio, può rappresentare tuttavia un primo passo sulla strada che porta ad una sessualità diversamente vissuta, più umana». Si tratta di un'osservazione del tutto compatibile con l'altra affermazione del Santo Padre: «questo non è il modo vero e proprio per affrontare il male dell'Hiv».

Alcuni hanno interpretato le parole di Benedetto xvi ricorrendo alla teoria del cosiddetto «male minore». Questa teoria, tuttavia, è suscettibile di interpretazioni fuorvianti di matrice proporzionalista (cfr. Giovanni Paolo ii, enciclica
Veritatis splendor, nn. 75-77). Un'azione che è un male per il suo oggetto, anche se un male minore, non può essere lecitamente voluta. Il Santo Padre non ha detto che la prostituzione col ricorso al profilattico possa essere lecitamente scelta come male minore, come qualcuno ha sostenuto. La Chiesa insegna che la prostituzione è immorale e deve essere combattuta.
Se qualcuno, ciononostante, praticando la prostituzione e inoltre essendo infetto dall'Hiv, si adopera per diminuire il pericolo di contagio anche mediante il ricorso al profilattico, ciò può costituire un primo passo nel rispetto della vita degli altri, anche se la malizia della prostituzione rimane in tutta la sua gravità. Tali valutazioni sono in linea con quanto la tradizione teologico-morale della Chiesa ha sostenuto anche in passato.

In conclusione, nella lotta contro l'Aids i membri e le istituzioni della Chiesa cattolica sappiano che occorre stare vicini alle persone, curando gli ammalati e formando tutti perché possano vivere l'astinenza prima del matrimonio e la fedeltà all'interno del patto coniugale. Al riguardo occorre anche denunciare quei comportamenti che banalizzano la sessualità, perché, come dice il Papa, proprio questi rappresentano la pericolosa ragione per cui tante persone nella sessualità non vedono più l'espressione del loro amore. «Perciò anche la lotta contro la banalizzazione della sessualità è parte del grande sforzo affinché la sessualità venga valutata positivamente e possa esercitare il suo effetto positivo sull'essere umano nella sua totalità» (Luce del mondo, p. 170).

Bollettino Ufficiale Santa Sede




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l'eccellente commento di Sandro Magister:


“Luce del mondo” riveduta e corretta. Con una nota del Sant’Uffizio

libro

La congregazione per la dottrina della fede ha diffuso nel pomeriggio di martedì 21 dicembre una nota “sulla banalizzazione della sessualità, a proposito di alcune letture di ‘Luce del mondo’”.

La nota è leggibile in sei lingue nel sito del Vaticano: “In occasione della pubblicazione del libro-intervista di Benedetto XVI…“.

Nel citare “Luce del mondo” nella versione italiana, la nota fa riferimento alla “prima ristampa” del volume, in libreria da pochi giorni dopo l’esaurimento della tiratura iniziale.

E il motivo si sa. La prima ristampa modifica in diversi punti la precedente traduzione dall’originale tedesco.

Ecco qui di seguito, integrale, il passo controversi del libro, con le modifiche evidenziate in neretto e le precedenti versioni tra parentesi quadre.

Va ricordato che “L’Osservatore Romano”, nell’anticipare sabato 20 novembre vari brani del libro, riportò di questo passaggio solo 19 righe su 64, cioè solo la parte finale della prima risposta del papa.

*

DA “LUCE DEL MONDO”, PRIMA RISTAMPA, PP. 169-171

D. – [...] In Africa, Lei ha dichiarato che la dottrina tradizionale della Chiesa si è rivelata l’unico modo sicuro per arrestare la diffusione dell’HIV. I critici, anche all’interno della Chiesa, sostengono al contrario che è una follia vietare ad una popolazione minacciata dall’AIDS l’utilizzo di profilattici.

R. – Dal punto di vista giornalistico il viaggio in Africa è stato del tutto oscurato da un’unica mia frase. Mi è stato chiesto perché la Chiesa Cattolica, relativamente all’AIDS, assumesse una posizione irrealistica ed inefficace. Così mi sono sentito veramente sfidato, [come sfidato] perché la Chiesa fa più di tutti gli altri. E continuo a sostenerlo; perché la Chiesa è l’unica istituzione veramente vicina alle persone, molto concretamente; nel prevenire, nell’educare, nell’aiutare, nel consigliare e nello stare a fianco; e perché come nessun altro si cura di tanti malati di AIDS e, in particolare, di tantissimi bambini colpiti da questa malattia.

Ho potuto visitare una di queste strutture per i malati di AIDS e ho potuto parlare con loro. La risposta è stata sostanzialmente questa [e ho incontrato i malati, e mi hanno detto questo]: la Chiesa fa più degli altri perché non parla solo dal pulpito dei [dai] giornali, ma aiuta i fratelli e le sorelle sul posto. In tale contesto [sul luogo. Dicendo questo] non avevo preso posizione sul problema dei profilattici in generale, ma ho soltanto detto quello che poi ha suscitato tanto risentimento: che non si può risolvere il problema con la distribuzione di profilattici. Bisogna fare molto di più. Dobbiamo stare vicino alle persone, guidarle, aiutarle, e questo anche prima che si ammalino.

È un dato di fatto [La verità è] che i profilattici sono a disposizione ovunque, chi li vuole li trova subito. Ma solo questo non risolve la questione. Bisogna fare di più. Nel frattempo, proprio anche [anche] in ambito secolare si è sviluppata la cosiddetta teoria ABC, sigla che sta per “Abstinence – Be Faithful – Condom” (”Astinenza – Fedeltà – Profilattico”): laddove il profilattico è considerato soltanto come scappatoia, quando mancano gli altri due elementi. Questo significa che concentrarsi solo sul profilattico vuol dire banalizzare la sessualità, e questa banalizzazione rappresenta proprio la pericolosa origine [ragione] per cui tante e tante persone nella sessualità non vedono più l’espressione del loro amore, ma soltanto una sorta di droga, che si somministrano da sé. Perciò anche la lotta contro la banalizzazione della sessualità è parte del grande sforzo affinché la sessualità venga valutata positivamente e possa esercitare il suo effetto positivo sull’essere umano nella sua totalità.

Vi possono essere singoli casi motivati [giustificati], ad esempio quando uno che si prostituisce [una prostituta] utilizza un profilattico, e questo può essere un [il] primo passo verso una moralizzazione, un primo elemento [atto] di responsabilità per sviluppare di nuovo una [la] consapevolezza del fatto che non tutto è permesso e che non si può far tutto ciò che si vuole. Tuttavia, questo non è il modo vero e proprio per affrontare il male [vincere l'infezione] dell’HIV. Esso in realtà deve consistere nell’umanizzazione [È veramente necessaria una umanizzazione] della sessualità.

D. – Questo significa, dunque, che la Chiesa cattolica non è fondamentalmente contraria all’uso dei profilattici?

R. – La Chiesa, naturalmente, [Naturalmente la Chiesa] non considera i profilattici come la soluzione autentica e morale. In un caso o nell’altro, nell’intenzione [Nell'uno o nell'altro caso, con l'intenzione] di diminuire il pericolo di contagio, può rappresentare tuttavia un primo passo sulla strada che porta ad una sessualità diversamente vissuta, più umana.

*
La prima ristampa di “Luce del mondo” corregge anche i clamorosi errori dell’edizione iniziale nell’appendice con la cronologia di Joseph Ratzinger.

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NOTA BENE !

Il blog “Settimo cielo” fa da corredo al più importante sito “www.chiesa”, curato anch’esso da Sandro Magister, che offre a un pubblico internazionale notizie, analisi e documenti sulla Chiesa cattolica, in italiano, inglese, francese e spagnolo.

Gli ultimi tre servizi di “www.chiesa”:

20.12.2010
> Il Buon Natale del papa: “Solo la verità salva”
Nel suo discorso prenatalizio alla curia, Benedetto XVI parla in realtà al mondo intero. Gli abusi sessuali del clero, dice, sono l’effetto dell’incapacità di distinguere il bene e il male. E ricorda la lezione di Newman: la coscienza è fatta per obbedire alla verità

18.12.2010
> Etica sessuale. Sei professori discutono il caso Ratzinger
Luke Gormally, della Pontificia Accademia per la Vita, replica a Martin Rhonheimer, della Pontificia Università della Santa Croce. Poi due filosofi cattolici italiani. E un argentino. E George Weigel… Tutto a partire da una frase del papa

16.12.2010
> Sepolto Maciel, gli ultimi fuochi dei suoi centurioni
I capi che nascosero le malefatte del “falso profeta” continuano a occupare i posti di comando. Ma la loro fine è segnata. Tra i Legionari di Cristo cresce la rivolta. Il passo lento ma inesorabile del delegato papale





[Modificato da Caterina63 21/12/2010 17:24]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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Il cardinale Georges Cottier, teologo emerito della Casa Pontificia, commenta il libro-intervista di Benedetto XVI Luce del mondo: Con occhi semplici (30 Giorni)

RIFLESSIONI SUL MISTERO E LA VITA DELLA CHIESA

Con occhi semplici

Il cardinale Georges Cottier, teologo emerito della Casa Pontificia, commenta il libro-intervista di Benedetto XVI Luce del mondo

del cardinale Georges Cottier, op
teologo emerito della Casa Pontificia

Sono rimasto colpito dall’autenticità e dalla semplicità delle cose dette da Benedetto XVI
nel libro-intervista Luce del mondo, pubblicato dalla Libreria Editrice Vaticana, che raccoglie le sue conversazioni con il giornalista Peter Seewald.
In molte pagine del libro si riconosce un Papa rilassato, fiducioso, che si esprime con libertà senza nascondere niente. Un Papa che parla, con la stessa semplicità, della sua quotidianità condivisa coi membri della famiglia pontificia e delle grandi questioni che toccano la vita di tutta la Chiesa.

In molte pagine si avverte una limpida fiducia proprio per la condizione attuale e futura della Chiesa nel mondo. Il Papa non appare angosciato. Dice chiaramente che la Chiesa può sembrare in declino, se la si osserva da una visuale europea. Ma aggiunge che questo, secondo lui, «è solo una parte dell’insieme». In realtà «la Chiesa cresce ed è viva, è molto dinamica», e «nel continente europeo sperimentiamo soltanto un determinato aspetto e non anche la grande dinamica del risveglio che in altre parti esiste veramente, e incontro continuamente nei miei viaggi e tramite le visite ad limina dei vescovi» (p. 28).

Viene da chiedersi da dove nasca questa fiducia
.

Il Papa prende atto senza censure della secolarizzazione, del relativismo, della perdita del senso di Dio che prevalgono nel vissuto reale di tanti. Davanti a questi fenomeni, la sua speranza e la sua serenità non sembrano appoggiarsi su qualche sua trovata, su qualche ricetta, o sulla proposta di qualche paradigma vecchio o nuovo che indichi la linea e assicuri un buono “stato di salute” o addirittura il “successo” della Chiesa. Benedetto XVI ripete semplicemente che a tenere accesa nella Chiesa la fiamma viva della fede è Gesù stesso, perché «unicamente il Signore ha il potere di conservare gli uomini nella fede» (p. 22). Solo su questo dato, sperimentato ora nella sua condizione di successore di Pietro, riposa la speranza e la fiducia del Papa: «Se si considera tutto quello che gli uomini, che i chierici hanno fatto nella Chiesa, allora questo si rivela proprio come una prova che è Lui che sostiene e che ha fondato la Chiesa. Se dipendesse solo dagli uomini, la Chiesa sarebbe già affondata da un pezzo» (p. 63).

Questo è il mistero della Chiesa, che affiora nel modo stesso in cui Benedetto si fa carico del compito a cui è stato chiamato.
«Fin dal momento in cui la scelta è caduta su di me, sono stato capace soltanto di dire questo: “Signore, cosa mi stai facendo? Ora la responsabilità è tua. Tu mi devi condurre! Io non ne sono capace. Se tu mi hai voluto, ora devi anche aiutarmi”» (p. 18): così ricorda già nelle prime pagine del libro il giorno della sua elezione papale. E questo è un filo rosso che scorre in tante sue risposte, con riflessi interessanti anche dal punto di vista ecclesiologico. Per Benedetto XVI il papa è «anche lui un povero mendicante davanti a Dio, ancora più degli altri uomini» (p. 35). Con parole semplici e chiare, anche il carisma dell’infallibilità viene descritto nei termini propri della dottrina cattolica, mettendo da parte ogni equivoco “infallibilista”: «Il vescovo di Roma», chiarisce Benedetto XVI, «si comporta come qualsiasi altro vescovo che professa la propria fede, la annuncia ed è fedele alla Chiesa. Solo in determinate condizioni, quando la tradizione è chiara ed egli sa che in quel momento non agisce arbitrariamente, allora il papa può dire: “Questa determinata cosa è fede della Chiesa e la negazione di essa non è fede della Chiesa”» (p. 23).

Secondo il Papa il Concilio Vaticano II «ci ha insegnato, a ragione, che per la struttura della Chiesa è costitutiva la collegialità; ovvero il fatto che il papa è il primo nella condivisione e non un monarca assoluto che prende decisioni in solitudine e fa tutto da sé» (p. 107). Così, citando l’ultimo Concilio ecumenico, Benedetto XVI ripete che la responsabilità condivisa dei vescovi è un dato costitutivo proprio della natura stessa della Chiesa.

E le sue non sono dichiarazioni di principio o formule di circostanza: lo si vede dall’importanza che egli stesso attribuisce al Sinodo dei vescovi e dalla cura e dalla disposizione all’ascolto con cui incontra i singoli vescovi nelle visite ad limina. Si coglie bene che attraverso tali incontri preziosi Benedetto XVI viene a contatto diretto con i problemi, le afflizioni e le consolazioni sperimentate dal popolo di Dio nelle diverse situazioni locali, come ad esempio le devastazioni umane e sociali legate al traffico della droga di cui gli hanno parlato «tanti vescovi, soprattutto quelli dell’America Latina» (p. 94).

Il Papa risponde anche alla domanda sulla possibilità di indire un Concilio Vaticano III. Per lui tale eventualità non è ancora matura. Ma certo il criterio della collegialità da lui delineato può avere sviluppi sostanziali nell’ecumenismo, soprattutto riguardo ai rapporti con le Chiese d’Oriente. Tali Chiese, ripete Benedetto XVI, «sono vere Chiese particolari, sebbene non siano in comunione con il papa. In questo senso l’unità con il papa non è costitutiva per le Chiese particolari», anche se la mancanza di tale unità «rappresenta, per così dire, un’insufficienza di questa cellula vitale. Resta una cellula, può chiamarsi Chiesa, ma nella cellula manca un elemento, e cioè il collegamento con l’intero organismo» (p. 133).

Anche in molti altri dettagli si coglie che la forza inerme e serena percepibile nel Papa non gli viene da sé stesso: «Mi rendo conto», dice di sé, «che quasi tutto quello che devo fare non potrei farlo da solo. E già solo per questo sono costretto a mettermi nelle mani del Signore e a dirgli: “Fallo tu, se lo vuoi!”» (p. 33). Benedetto riconosce di non essere un «mistico» (p. 33).

Confida di pregare invocando Maria e i santi: «Sono molto amico di Agostino, di Bonaventura e di Tommaso d’Aquino. A loro quindi dico: “Aiutatemi!”. […]. In questo senso, mi inserisco nella Comunione dei santi. Insieme a loro, rafforzato da loro, parlo poi anche con il Dio buono, soprattutto mendicando, ma anche ringraziando; o contento, semplicemente» (p. 35). Benedetto non presenta mai sé stesso come il perno di una specie di progetto di pontificato. Per lui il vescovo di Roma, «quando parla come pastore supremo della Chiesa, nella consapevolezza della sua responsabilità, allora non esprime più la sua opinione, quello che gli passa per la mente in quel momento» (p. 24).

Eppure proprio per questo il suo modo di guardare e affrontare le cose liete o tristi avvenute nella Chiesa negli ultimi tempi coglie in maniera sorprendente ciò che davvero può aprire i cuori all’annuncio cristiano e disarmare le obiezioni del momento presente.
Penso al modo in cui il Papa torna a parlare della tragica vicenda della pedofilia e degli abusi sessuali commessi da sacerdoti. Davanti al male emerso tra i cristiani, Benedetto XVI ripete le parole già dette in passato: mortificazione, penitenza, richiesta di perdono, senza nascondere nulla, senza vittimismi o complottismi. Vede anche lui che c’è stato «un compiacimento a mettere alla berlina la Chiesa e, se possibile, a screditarla» (p. 49). Ma riconosce prima di tutto che «solo perché il male era dentro la Chiesa, gli altri hanno potuto rivolgerlo contro di lei» (p. 49).

Secondo lui «è immaginabile che il diavolo non riuscisse a sopportare l’Anno sacerdotale e allora ci ha scaraventato in faccia il sudiciume. Ha voluto mostrare quanta sporcizia c’è anche proprio tra i sacerdoti» (p. 59). Ma d’altro canto forse «si potrebbe dire che il Signore abbia voluto metterci alla prova, chiamarci a una più profonda purificazione, in modo che celebrassimo l’Anno sacerdotale non in modo trionfalistico, come autocelebrazione, bensì come anno della purificazione, del rinnovamento interiore, della trasformazione e soprattutto della penitenza» (p. 60). E con la consueta chiamata alla corresponsabilità episcopale, dice chiaro che «la prima parola dovevano pronunciarla i vescovi» (p. 52). Con la stessa lucidità di sguardo coglie ciò che di buono e grande fiorisce nella Chiesa, e la dinamica gratuita di questo fiorire. Si tratta sempre di «iniziative che non sono disposte da una struttura, da una burocrazia», perché «la burocrazia è consumata e stanca» (p. 90). Guarda con tristezza i «cattolici per così dire di professione» (p. 199), irretiti negli apparati e nelle nomenclature, ma rimane confortato dai germogli nuovi di vita cristiana che vede spuntare anche in terre secolarizzate: «La celebrazione liturgica a Parigi è stata straordinaria. Migliaia e migliaia di persone accorse alla Esplanade des Invalides, di fronte al Duomo, raccolte in un’intensità di preghiera e di fede che mi ha commosso […]. Per me è stato molto importante vedere che nella cosiddetta Francia laica, ora come allora, esiste un’enorme forza della fede» (pp. 167-168).

Così ricorda il suo viaggio in terra francese. «Il Signore», ripete il Papa, «ci ha detto che insieme al grano c’è l’erba cattiva, ma che nonostante questo la Sua semina, il grano buono che Lui ha seminato, continuerà a crescere. In questo noi confidiamo» (p. 46).

Le domande vere e di ampio respiro di Peter Seewald consentono al Papa di dire parole belle e intense su una vasta gamma di tematiche. Ci sono riferimenti ricorrenti a Giovanni Paolo II, verso il quale Benedetto XVI usa espressioni di affetto e devozione. E quando l’intervistatore gli chiede se gli sia di peso il confronto con le capacità di comunicazione mediatica del suo predecessore, risponde sincero: «Mi sono semplicemente detto che sono quel che sono. Non cerco di essere un altro. Quel che posso dare do, e quel che non posso non cerco nemmeno di darlo. Non tento di fare di me qualcosa che non sono» (p. 162).

Mi ha colpito molto anche tutto quello che dice sui rapporti con l’ebraismo e con Israele. Quando confida che fin dal primo giorno di studi teologici gli è stata chiara «la profonda unità tra Antica e Nuova Alleanza», e che «avremmo potuto leggere il Nuovo Testamento soltanto insieme a ciò che lo ha preceduto, altrimenti non lo avremmo capito». Poi riconosce che come tedesco quello che è avvenuto nel Terzo Reich «tanto più ci ha spinto a guardare al popolo d’Israele con umiltà, vergogna e amore», e che queste cose nella sua formazione teologica «si sono intrecciate e hanno segnato il percorso del mio pensiero teologico» (p. 122).

Con tale sensibilità, il Papa regnante risponde alle ritornanti tentazioni che nella teologia cattolica, sull’esempio dello gnostico Marcione, puntano a separare e contrapporre l’Antico e il Nuovo Testamento. Per questo nel suo magistero appare centrale «questo nuovo intrecciarsi, amorevole e comprensivo, di Israele e Chiesa, basato sul rispetto del modo di essere di ognuno e della rispettiva missione» (pp. 122-123). A tale proposito, Benedetto XVI preferisce definire gli ebrei «nostri “padri nella fede”» perché tale espressione «descrive con maggiore chiarezza il nostro rapporto», mentre quella usata da Giovanni Paolo II – che si riferiva agli ebrei come ai «nostri fratelli maggiori» – non è ben accolta dagli ebrei, visto che «nella tradizione ebraica il “fratello maggiore”, ovvero Esaù, è anche il fratello abietto» (p. 123).

Ho trovato interessanti anche le risposte relative al rapporto con l’islam. L’intervistatore gli chiede se è ancora valido il paradigma del passato per cui i papi consideravano proprio compito difendere l’Europa dall’islamizzazione, e Benedetto XVI risponde che «oggi viviamo in un mondo completamente diverso, nel quale gli schieramenti sono altri». Come modello di reciproca comprensione valorizza quello presente in grandi aree dell’Africa Nera, dove «sussiste un rapporto tra islam e cristianesimo positivo e improntato alla tolleranza» (p. 146). Riguardo al famoso discorso di Ratisbona, che – fa notare Seewald – «fu catalogato come il primo errore del suo pontificato», il Papa ricorda i fatti positivi che comunque sono seguiti a quell’episodio: «È risultato chiaro», dice lui, «che nel dibattito pubblico l’islam deve chiarire due questioni: quelle del suo rapporto con la violenza e con la ragione». Si è così avviata «una riflessione interna tra studiosi dell’islam, una riflessione interna che poi è divenuta dialogo» (p. 144). Allo stesso tempo, il Papa riconosce con umiltà che a Regensburg «avevo concepito quel discorso come una lezione strettamente accademica, senza rendermi conto che il discorso di un papa non viene considerato dal punto di vista accademico, ma da quello politico» (p. 143).

Nel sincero riconoscimento di questa inavvertenza (come nel rammarico di aver revocato la scomunica al vescovo lefebvriano Williamson senza essere stato prima sufficientemente informato sulle sue tesi negazioniste) si vede bene che chi parla è un Papa, e non più soltanto un professore che difende le sue legittime tesi accademiche. La stessa cosa, a suo modo, si vede nelle parole sull’uso del preservativo, che hanno suscitato tante discussioni.

Con le sue parole sull’uso del preservativo nella lotta all’Aids, il Papa non ha voluto riformare o cambiare l’insegnamento della Chiesa. Come ha ben spiegato in una nota il direttore della Sala stampa vaticana padre Federico Lombardi, Benedetto XVI ha semplicemente riconosciuto che l’uso del profilattico può diminuire il pericolo di morte, nei casi in cui l’esercizio della sessualità comporti un rischio per la vita propria o dell’altro. In simili circostanze, come sono quelle vissute da chi si prostituisce avendo contratto il virus Hiv, l’uso del profilattico per diminuire il pericolo di contagio può rappresentare «un primo atto di responsabilità», «un primo passo sulla strada che porta a una sessualità [...] più umana» (p. 171).

È utile soffermarsi sull’esempio scelto dal Papa. Le esigenze di una sessualità virtuosa si comprendono all’interno del sacramento del matrimonio. E la stessa virtù della castità da parte dei due coniugi presuppone l’insieme della vita cristiana, con la preghiera e i sacramenti. La prostituzione costituisce invece una struttura di peccato. Per chi vive in tale struttura, il fatto di pensare a evitare i rischi di contagio che minacciano la vita propria e dell’altro non rende certo la prostituzione virtuosa, ma è già un’apertura verso una maggiore umanità, da giudicare positivamente. Perché la dottrina morale cattolica desidera la felicità e la salvezza per tutti, e non spinge nessuno verso la perdizione e la morte. Inoltre, per ragioni d’igiene o di lotta contro la malattia contagiosa, l’autorità pubblica ha il dovere di prendere delle misure di protezione. Lì dove l’educazione è impossibile, come caso estremo, è legittimo il preservativo. E questo è altra cosa rispetto alle campagne a favore del preservativo che finiscono per incoraggiare il permissivismo sessuale.

Il libro-intervista del Papa è davvero ricco, e si scoprono spunti e note interessanti quasi a ogni pagina. Come le riflessioni sul fatto che la testimonianza della fede sta tutta nel guardare a «Cristo che viene», e che proprio questo ci mostrano i santi, i quali «vivono l’essere cristiano nel presente e nel futuro» (pp. 97-98). Oppure le ragioni con le quali Benedetto XVI spiega perché il suo uso del “noi” non corrisponde a un plurale maiestatis: «Infatti», dice il Papa, «su molti argomenti non dico solo quello che è venuto in mente a Joseph Ratzinger, ma parlo a partire dalla comunitarietà, dal carattere comunitario della Chiesa. In un certo qual modo, parlo in intima comunione con i credenti ed esprimo ciò che tutti noi siamo e quello a cui insieme crediamo» (p.124).

È da tenere in conto anche quello che il Papa dice sui suoi criteri nel fare le nomine: secondo lui è decisivo «che la persona abbia le qualità giuste, sia pia, veramente credente e soprattutto sia un uomo coraggioso. Penso che il coraggio sia una delle principali qualità che un vescovo e un responsabile di Curia debbano possedere oggi» (p. 126).
Un’attenzione speciale viene dedicata alla particolare condizione dei cattolici cinesi: Benedetto XVI confida di pregare ogni giorno il Signore affinché nella Chiesa di Cina si superi definitivamente ogni divisione, e elenca come primo fattore di sviluppo positivo «il vivo desiderio di essere in unione con il Papa», desiderio che «è sempre stato presente nei vescovi ordinati in maniera illegittima» (p. 137).

Anche quando lo sguardo si allarga ai problemi spesso terribili che si trova davanti l’umanità di oggi, le parole del Papa sono semplici e chiare: «Come venire a capo di un mondo che minaccia sé stesso e nel quale il progresso diviene un pericolo? Non dobbiamo forse nuovamente ricominciare da Dio?» (p. 113). Forse è proprio questo il suggerimento fondamentale che ci viene da questo ricchissimo libro. 

30 Giorni
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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Da Leone XIII a Benedetto XVI passando per Paolo VI e Giovanni Paolo II

Se l'intervistato è il Papa


Pubblichiamo integralmente un articolo del nostro direttore che compare sul numero della rivista "Vita e pensiero" in uscita il 19 gennaio 2011.

Il nuovo libro di Benedetto XVI, intervistato dal giornalista tedesco Peter Seewald, ha suscitato, com'era del resto facilmente prevedibile, molto interesse nei media internazionali e, soprattutto, è un successo editoriale nella decina di edizioni in diverse lingue in cui è stato pubblicato, mentre altrettante sono in preparazione. Non è infatti frequente che un Papa conceda interviste e, soprattutto, anche in questa occasione Joseph Ratzinger si conferma un comunicatore di primissimo ordine. Per di più, senza utilizzare improbabili strategie che, non di rado in questi ultimi tempi, commentatori in genere poco benevoli si premurano di consigliare agli organismi della Santa Sede, se non addirittura allo stesso successore di Pietro. Che riesce invece efficacissimo solo con l'essere se stesso, semplice e trasparente, in questa lunga intervista, sorprendente solo per chi non lo conosce, così come nei discorsi e in molti altri testi, in particolare nelle omelie.

Non è certo la prima volta che un Papa utilizza il genere letterario dell'intervista. All'inizio sta il lontano precedente di quella a Leone XIII sull'antisemitismo, su cui ha scritto Giovanni Miccoli nei saggi in onore di Giuseppe Alberigo raccolti con il titolo Cristianesimo nella storia (1996). Pubblicato in prima pagina su "Le Figaro" del 4 agosto 1892, il clamoroso articolo era di Séverine, pseudonimo di Caroline Rémy.

Firma tra le più conosciute del giornalismo francese, si era presentata al cardinale segretario di Stato, Mariano Rampolla del Tindaro, in una lettera del 9 luglio, come "una donna che era stata cristiana e se ne ricorda, per amare i piccoli e difendere i deboli" e come "una socialista che, se non è in stato di grazia, ha serbato intatto, nel suo cuore ferito, il rispetto profondo della fede, la venerazione delle vecchiaie auguste e delle sovranità prigioniere".
 
La richiesta fu subito accolta e l'intervista, che durò settanta minuti, ebbe luogo domenica 31 luglio. Pur rivista dal segretario di Stato, non soddisfece la Santa Sede e sollevò una tempesta mediatica, ma più sul piano politico e diplomatico che sull'oggetto della singolare conversazione tra il Pontefice ottantaduenne e l'ardente giornalista francese.

Totalmente diverso fu l'incontro di Paolo VI, il 24 settembre 1965, con Alberto Cavallari, che pubblicò il colloquio sul "Corriere della Sera" del 3 ottobre, aprendo una serie di articoli poi raccolti nel libro Il Vaticano che cambia (1966). Con un atteggiamento che al giornalista apparve "un preciso rifiuto al classico monologo dei Papi", subito emergono l'ironia e l'acutezza tipiche di Montini:  "Vedevo un uomo disteso, spontaneo, poco somigliante al Papa scarno, teso, oppure introverso, oppure nervoso, oppure diplomatico, che solitamente si descrive. "Ci fa piacere, sa, parlare del Vaticano" ha detto subito il Papa affabilmente, con espressione arguta. "Oggi molti cercano di capirci e di studiarci. Ci sono tanti libri sulla Santa Sede e il Concilio. E alcuni sono anche ben fatti, vede. Ma molti assicurano che la Chiesa pensa certe cose senza aver mai chiesto alla Chiesa cosa pensa. Mentre, dopotutto, anche il nostro parere dovrebbe contare qualcosa in tema di religione". Qui il Papa ha fatto una pausa, una parentesi divertita. Poi ha continuato spegnendo il sorriso:  "Ma ci rendiamo conto che non è facile intendere ciò che viene fatto e viene discusso nel mondo della Chiesa. Anche il Papa, sa, certe volte fatica per capire il mondo d'oggi". Dopo questo preambolo senza formalità, così francamente umano, Paolo VI ha toccato gli argomenti più importanti del suo pontificato".

Ma la vera novità furono i Dialogues avec Paul vi (1967) di Jean Guitton, che si aprivano con l'evocazione di quelli platonici e il ricordo - "nella mia memoria tutto è contemporaneo" scrive il pensatore francese - del primo incontro, l'8 settembre 1950, tra l'intellettuale e l'allora sostituto della Segreteria di Stato. Proprio quell'anno il filosofo cattolico aveva pubblicato un libro sulla Madonna, "indirizzato soprattutto ai negatori, ai razionalisti" e "dedicato ai nostri fratelli protestanti", ma non accolto favorevolmente da "certi ambienti romani" e biasimato dal quotidiano vaticano. E il commento di Montini esprime bene anche lo scopo dei Dialogues (e in definitiva quello di questo modo di comunicare, nuovo ed efficace, dei successori di Pietro):  "Il suo libro sulla Vergine mi è piaciuto molto. Oggi è la Vergine che ci riavvicina. Dopo le pagine di Newman, nella famosa lettera al dottor Pusey, credo di non aver letto sulla Vergine pagine tanto soddisfacenti. Bisogna sapere essere antichi e moderni, parlare secondo la tradizione ma anche conformemente alla nostra sensibilità. Cosa serve dire quello che è vero, se gli uomini del nostro tempo non ci capiscono?". Sulle orme di Paolo VI si mosse il suo secondo successore, grazie a due giornalisti e scrittori convertiti (un francese  e  un italiano) e a due filosofi polacchi. Furono così pubblicati "N'ayez pas peur!"1 (1982) di André Frossard - che aveva intervistato Giovanni Paolo II poche settimane dopo l'attentato del 13 maggio 1981 - e Varcare la soglia della speranza (1994), dove Vittorio Messori raccolse i testi che il Papa aveva personalmente scritto in polacco per rispondere a una lunga serie di domande.

Queste erano state concepite per un'intervista televisiva di un'ora in occasione del quindicesimo anniversario del pontificato (16 ottobre 1993), affidata alla regia di Pupi Avati, ma che non si poté realizzare. A quello stesso anno risalgono infine gli incontri con Józef Tischner e Krzysztof Michalski, poi confluiti nel volume Memoria e identità. Conversazioni a cavallo dei millenni (2005) pubblicato in traduzione italiana poche settimane prima della morte del Papa e che si conclude con un incontro, a cui aveva partecipato anche il suo segretario particolare, Stanislaw Dziwisz, sull'attentato:  "Penso - disse il Pontefice - che esso sia stata una delle ultime convulsioni delle ideologie della prepotenza, scatenatesi nel xx secolo. La sopraffazione fu dal fascismo e dal nazismo, così come dal comunismo. La sopraffazione motivata con argomenti simili si è sviluppata anche qui in Italia; le Brigate Rosse uccidevano uomini innocenti e onesti".

La scelta del secondo intervistatore di Giovanni Paolo II fu probabilmente dovuta al clamoroso successo di un altro suo libro, Rapporto sulla fede (1985), tradotto in tredici lingue e dove Messori aveva raccolto quanto gli aveva detto nell'agosto 1984 a Bressanone il cardinale Joseph Ratzinger, che il 25 novembre 1981 il Papa aveva chiamato a Roma come prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, l'antico Sant'Uffizio. Nemmeno il raffinato teologo - nominato arcivescovo di Monaco e Frisinga e creato cardinale da Paolo VI a cinquant'anni, nel 1977 - era però nuovo ai bestseller:  la sua Einführung in das Christentum ("Introduzione al cristianesimo", 1968), tratta da una serie di lezioni sul Simbolo apostolico tenute nel 1967 all'Università di Tubinga, in pochi mesi aveva infatti venduto oltre cinquantamila copie, con traduzioni in ben ventitré lingue.
E proprio il genere letterario dell'intervista si addice a Ratzinger, intellettuale da sempre abituato a confrontarsi nell'ambiente universitario e teologo che nelle sue opere parla a tutti, grazie a "un linguaggio limpido e chiaro, e quindi comprensibile anche ai non addetti ai lavori, i quali vengono trascinati nella lettura perché scoprono risposte a domande inevase da sempre, o che avvertivano confusamente, senza trovare la lucidità per porsele", ha spiegato Lucetta Scaraffia nell'Invito alla lettura (2010) scritto con Gerhard Müller e Rudolf Voderholzer per illustrare l'edizione italiana dell'opera omnia.

A maggior ragione nelle interviste. Così, dopo quella a Messori uscita vent'anni dopo la conclusione del concilio Vaticano ii, è stata la volta delle due concesse dal cardinale a Seewald:  la prima, in inverno a Roma, su cristianesimo e Chiesa cattolica nel xxi secolo, pubblicata nel volume Salz der Erde ("Sale della terra", 1996), tradotto in diciannove lingue, e la seconda in Gott und die Welt ("Dio e il mondo", 2000), su fede e vita nel mondo di oggi, realizzata tra il 7 e l'11 febbraio a Montecassino e tradotta in tredici lingue.

Eletto il 19 aprile 2005 in meno di un giorno nel conclave più numeroso mai tenutosi, da quasi due anni Ratzinger aveva iniziato nel 2003 a scrivere un'opera alla quale tiene moltissimo e alla quale ha continuato a lavorare in ogni momento libero:  il Gesù di Nazaret, il cui primo volume - significativamente firmato con il suo nome e con quello assunto al momento dell'elezione - è stato pubblicato nel 2007 e ora seguito da un secondo, già ultimato e ormai imminente. Testo che non ha precedenti nella storia del papato, il libro è ovviamente più vicino ai titoli tipici della bibliografia del teologo, ma nello stesso tempo, con coerenza, assume in pieno la sfida posta dalla scelta innovativa di parlare a tutti.

L'ultimo  libro  di  Benedetto  XVI, Licht der Welt ("Luce del mondo"), è dunque la terza intervista concessa da Joseph Ratzinger a Seewald, tra il 26 e il 31 luglio a Castel Gandolfo, dove il Papa ha ogni giorno incontrato il giornalista suo conterraneo per rispondere con franchezza e semplicità a tutte le domande postegli, nessuna esclusa. E pochissime sono state poi le correzioni che l'intervistato ha apposto al testo tedesco, per precisare qua e là il suo pensiero sui temi trattati, suddivisi in tre parti (i segni dei tempi, il pontificato, le prospettive che si aprono):  la svolta radicale e non ricercata nell'ultimo tratto della sua vita, il terribile scandalo degli abusi sessuali su minori commessi da ecclesiastici, la crisi globale economica e ambientale, la dittatura pervasiva del relativismo, le spaventose realtà causate nel mondo dal diffondersi della droga e del turismo sessuale, l'irreversibilità dell'impegno ecumenico assunto dalla Chiesa cattolica, il suo rapporto unico con l'ebraismo, la ricerca del confronto e dell'amicizia con l'islam e le altre religioni, i viaggi, la sessualità, i problemi del governo, le realtà ultime, dimenticate ma che restano il destino finale di ogni essere umano e del mondo.

Innovativa  come  quelle  di  Leo- ne XIII, e soprattutto di Paolo VI, l'intervista di Benedetto XVI, allo stesso modo delle due precedenti di Seewald al cardinale Ratzinger, colpisce soprattutto per il tono di fiducia e di apertura del Papa, per il suo linguaggio chiaro che vuole farsi capire da tutti, non solo dai cattolici, e a tutti tende la mano:  "Io penso che Dio, scegliendo come Papa un professore, abbia voluto mettere in risalto proprio questo momento dell'approfondimento e dello sforzo per l'unione tra fede e ragione". E porre, con mitezza, ciò che davvero gli sta più a cuore:  la questione di Dio. Affrontando - come scrisse Cavallari di Paolo VI - anche i temi più difficili e più critici, "da uomo del nostro tempo, che non intende eludere nulla, scopertamente deciso a una sincerità che rifiuta i rapporti facili". Per servire la verità.


(©L'Osservatore Romano - 20 gennaio 2011)

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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[SM=g1740733] Quando papa Francesco dà la comunione a quelli che lo assistono all'altare, la dà in bocca e mentre sono inginocchiati.

Proprio come faceva Benedetto XVI con tutti.

Nel suo libro-intervista del 2010 "Luce del mondo", Joseph Ratzinger motivò così questa sua scelta:

"Non sono contro la comunione in mano per principio, io stesso l'ho amministrata così ed in quel modo l'ho anche ricevuta. Facendo sì che la comunione si riceva in ginocchio e che la si amministri in bocca, ho voluto dare un segno di profondo rispetto e mettere un punto esclamativo circa la presenza reale.
Non da ultimo perché proprio nelle celebrazioni di massa, come quelle nella basilica di San Pietro o sulla piazza, il pericolo dell'appiattimento è grande.
Ho sentito di persone che si mettono la comunione in borsa, portandosela via quasi fosse un souvenir qualsiasi.
In un contesto simile, nel quale si pensa che è ovvio ricevere la comunione – della serie: tutti vanno avanti, allora lo faccio anch'io – volevo dare un segnale forte. Deve essere chiaro questo: 'È qualcosa di particolare! Qui c'è Lui, è di fronte a Lui che cadiamo in ginocchio. Fate attenzione! Non si tratta di un rito sociale al quale si può partecipare o meno'".


********************************

[SM=g1740758] Caro Carlo, tu scrivi:

Luce del mondo. Il Papa, la Chiesa e i segni dei tempi è un libro-intervista scritto da Peter Seewald e papa Benedetto XVI, pubblicato nel 2010
 
Benedetto XVI e il preservativo
 
Benedetto XVI, Luce del Mondo (2010): “Vi possono essere singoli casi giustificati, ad esempio quando una prostituta utilizza un profilattico, e questo può essere il primo passo verso una moralizzazione, un primo atto di responsabilità [...] con l’intenzione di diminuire il pericolo di contagio, può rappresentare tuttavia un primo passo sulla strada che porta ad una sessualità diversamente vissuta, più umana”.
 
“Giustificati”? Sessualità “più umana” (fatta in modo contro natura)? Primo passo verso una “moralizzazione”? Atto di “responsabilità”?
 
Ora, se stessimo facendo un discorso alle Nazioni Unite (e se non siamo Papa, cardinale, vescovo, prete o laico della Chiesa Cattolica) è un conto, ma visto che stiamo parlando di teologia cattolica, una frase del genere pare essere fuori dalla grazia di Dio. Cosa ne penserebbe Papa Pio XI? Vediamolo.

http://radiospada.org/2013/07/13/j-ratzinger-dalla-confessione-al-preservativo-attraverso-il-battesimo/
**********************

[SM=g1740733] Con questa "presentazione ed.... estrapolazione non solo del finale della risposta del Papa, ma anche tagliata (prima delle parole qui riportate dopo la parentesi quadra, c'era un altra domanda), si cita poi Pio XI facendo passare così Benedetto XVI per... eretico, o come colui che ha abbracciato un sì ai profilattici!
NO! E' scorretto questo sistema, con quelle quattro parole estrapolate non si comprende affatto cosa ha detto davvero il Papa in atema e senza dimenticare che su altre domande, quali la difesa della vita e la funzione del matrimonio, egli rammenta l'Humanae vitae di Paolo VI difendendola e ritenendola ancora oggi validissima, e tutti sappiamo che quella enciclica condanna qualsiasi contraccezione.... ma con queste frasi estrapolate si fa dire al Papa ciò che non ha detto.....

Allora, facciamo un pò di ordine ai pensieri, ho il libro davanti a me.... L'errore di molti commentatori è stato di leggere le parole del Papa attraverso la dicotomia lecito/illecito. Laddove il Papa dice che "quando un prostituto [o prostituta] utilizza un profilattico (pag.171), e questo può essere il primo passo verso una moralizzazione, un primo atto di responsabilità", molti hanno pensato: per il Papa in tal caso quel comportamento diventa dunque lecito.
Innanzi tutto ci fu un'errore di traduzione  fino ad arrivare a quel giornalista dell'Associated Press, citato da Introvigne, che ha titolato il suo pezzo "Il Papa: la prostituzione maschile è ammissibile se si usa il preservativo".... ;-) ma per favore su!!
 Ma anche senza arrivare a questi estremi di mala-comprensione, quelli che hanno espresso o entusiasmo per un asserito revirement del Papa, o sconcerto per una ipotizzata contraddizione rispetto al Magistero anteriore, non hanno colto appieno che per il Papa non solo l'atto impuro, ma anche l'uso del preservativo resta comunque illecito (anche in un rapporto eterosessuale, in cui esso può avere effetti anticoncezionali).

In sostanza il Papa si è espresso come si espresse san Paolo a riguardo degli appettiti.... a tavola: "tutto mi è lecito - spiega 1Cor.6,12 - ma non tutto giova. Tutto mi è lecito!. Ma io non mi lascerò dominare da nulla."
 Infatti, nella parte "censurata" della citazione spiega invece diversamente: "e questo può essere il primo passo verso una moralizzazione, un primo atto di responsabilità per sviluppare di nuovo la consapevolezza del fatto CHE NON TUTTO E' PERMESSO E CHE NON SI PUO' FARE TUTTO CIO' CHE SI VUOLE. TUTTAVIA QUESTO NON E' IL MODO VERO E PROPRIO PER VINCERE L'INFEZIONE DELL'HIV...."
Benedetto XVI dunque, nel dire che: "Vi possono essere singoli casi giustificati, ad esempio quando una prostituta utilizza un profilattico..." NON intendeva affatto dire che ciò era un bene, perchè nella citazione fatta da Carlo, manca il finale all'esempio portato dal Papa ;-) quindi, il fatto che vi possano essere "singoli casi" che FAREBBERO credere accettabile il profilattico, il Papa ribadisce che: QUESTO NON E' IL MODO VERO E PROPRIO PER VINCERE L'INFEZIONE DELL'HIV....

Perciò, caro Carlo (è mio cugino, come un fratello, perciò mi rivolgo a lui confidenzialmente e con profondo affetto ed anche perchè su molte cose la pensiamo alla stesso modo ;-) ), i termini usati dal Papa: “Giustificati”? Sessualità “più umana” (fatta in modo contro natura)? Primo passo verso una “moralizzazione”? Atto di “responsabilità”? per poi rispondere con Pio XI come se Benedetto XVI avesse detto dellestramberie, sono stati da te estrapolati per fargli dire cose che il Papa non ha affatto voluto dire, basta leggere TUTTA LA RISPOSTA e il finale correttamente integrato per capire che il Papa, non potendo ovviamente VIETARE MATERIALMENTE oggi l'uso dei profilattici, ribadisce IL DIVIETO DIVINO attraverso una presa di coscienza su ciò che è giusto e su ciò che è sbagliato partendo semmai, dalla corretta concezione DELL'USO DELLA SESSUALITA', del sesso quale strumento per donare al mondo una nuova vita quale atto d'amore..... il concetto di "moralizzazione" espresso da Benedetto XVI sull'uso della sessualità, è proprio ciò che il Papa ricorda come errore ;-) e non come approvazione.... non a caso in diverse risposte sull'argomento, sempre nel libro, Benedetto XVI porta spesso come esempio e validità l'Humanae Vitae di Paolo VI.
Dice infatti a pag. 170 sempre sulla risposta medesima: "Questo significa che concentrarsi solo sul profilattico vuol dire banalizzare la sessualità, e questa banalizzazione rappresenta proprio la pericolosa ragione per cui tante e tante persone nella sessualità non vedono più l'espressione del loro amore (che non ha bisogno della contaccezione per esprimersi veramente, lo dice in un altro passo citando l'Humanae vitae), ma soltanto una sorta di droga, che si somministrano da sè.

Per concludere caro Carlo, il Papa NON sta giustificando l'uso del profilattico, ma RIPORTA delle situazioni che sono già giustificate dalla società: la prostituzione... non dimentichiamo che si sta diffondendo una larga cultura ad una prostituzione quasi legalizzata, pensiamo ai viados, pensiamo alla loro MENTALITA', non sono obbligati, ma GLI PIACE FARLO.... quando nel 2010 uscì il libro, la questione dei matrimoni omosessuali e quindi l'equiparazione seppur alle porte, sembrava ancora lontana, ma ci siamo arrivati.... forse che il Papa ora cambia idea e dice che è lecito? ovvio che no, ma la società legittimando questi scempi li sta rendendo leciti e quindi il Papa sta cercando di rispondere non solo a botta di dottrina, ma USANDO ANCHE LA RAGIONE per cercare  - e perchè no - anche consensi e comprensione della dottrina tra coloro che ne sono digiuni, semplicemente ragionando ;-)
Vedi i rischi che si corrono nello estrapolare singole frasi e nel modo sbagliato? è necessario riportare almeno da punto a punto e non saltare da un rigo ad un altro... e se possibile leggere integralmente il testo, in questo caso, tutta la risposta e laddove, nelle altre domande sulla sessualità, i singoli passi dove il Papa porta come modello di valutazione l'Humanae Vitae ;-)
Un abbraccio, Tea

************************

alle altre contestazioni che si riportano nel sito di radiospada,  rispondiamo con quanto segue:

Senza dubbio che fino al 1968 è lo stesso Ratzinger a confessare nella sua autobiografia, di aver compreso che anche lui si stava lasciando trascinare dalla corrente sbagliata, ma ebbe il coraggio di ammetterlo e di ritirarsi da quella compagnia….. questo l’articolo però non lo dice e non mi sembra corretto verso chi, leggendo, non conosce i fatti che qui vengono presentati per metà, ossia solo da un punto di vista, in modo assai soggettivo…. ;-)

da Pontefice Benedetto XVI, sulla Confessione e sul Confessionale si è espresso dottrinalmente, sarebbe corretto inserirlo nell’articolo:
“È, infatti, un incontro attorno alla Croce, una celebrazione della misericordia di Dio che nel Sacramento della confessione ognuno di voi potrà sperimentare personalmente. (..)
Questa sera, accostandovi al Sacramento della confessione, potrete fare l’esperienza del “dono gratuito che Dio ci fa della sua vita, infusa nella nostra anima dallo Spirito Santo per guarirla dal peccato e santificarla” (CCC, 1999) affinché, uniti a Cristo, diventiamo creature nuove (cfr 2 Cor 5,17-18).
Cari giovani della Diocesi di Roma, con il Battesimo voi siete già nati a vita nuova in virtù della grazia di Dio. Poiché però questa vita nuova non ha soppresso la debolezza della natura umana, né l’inclinazione al peccato, ci è data l’opportunità di accostarci al Sacramento della confessione. Ogni volta che lo fate con fede e devozione, l’amore e la misericordia di Dio muovono il vostro cuore, dopo un attento esame di coscienza, verso il ministro di Cristo.
A lui, e così a Cristo stesso, esprimete il dolore per i peccati commessi, con il fermo proposito di non peccare più in avvenire e con la disponibilità ad accogliere con gioia gli atti di penitenza che egli vi indica per riparare il danno causato dal peccato. Sperimentate così il perdono dei peccati; la riconciliazione con la Chiesa; il ricupero, se perduto, dello stato di grazia; la remissione della pena eterna meritata a causa dei peccati mortali e, almeno in parte, delle pene temporali che sono conseguenza del peccato; la pace e la serenità della coscienza, e la consolazione dello spirito; l’accrescimento delle forze spirituali per il combattimento cristiano di ogni giorno”.
(Omelia Benedetto XVI 29.3.2007)

[SM=g1740771]




[Modificato da Caterina63 14/07/2013 00:20]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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15/07/2013 12:18
 
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[SM=g1740758] marzo 2012, Antonio Socci con questo articolo aveva raschiato fra le righe del libro intervista Luce sul mondo alla voce delle possibili dimissioni di Benedetto XVI......

Ratzinger, ipotesi dimissioni. Come sceglierà il successore

La mossa di Benedetto XVI: nel caso in cui si ritirasse, sarebbe il cardinale più anziano:
in regia per scegliere il Papa





Il Papa si dimetterà? Quando, il 25 settembre scorso, su queste colonne, scrissi che Benedetto XVI – in vista degli 85 anni – stava valutando anche la possibilità delle dimissioni, riferivo delle voci che mi erano arrivate da tre fonti indipendenti e credibili della Curia romana. Personalmente non auspico per nulla tali dimissioni, anzi, ammirando papa Ratzinger, spero in un suo lungo pontificato. Ma è un dovere – per chi fa questo lavoro – riferire anche le cose che non piacciono. Soprattutto quando sono accreditate dalle parole dello stesso pontefice in un libro intervista uscito nel 2010, in cui il Santo Padre – in via di principio - sottolinea apertamente per il papa «il diritto e in alcune circostanze anche il dovere di dimettersi».

Il mio articolo fu attaccato – come se io mi fossi inventato uno scoop per fare clamore - da qualche collega (vaticanista e no) frustrato per aver bucato la notizia o, in certi casi, semplicemente per livore personale. Inoltre fui liquidato dalle sprezzanti parole di qualche anonimo vaticano (terrorizzato dalla possibilità di perdere la poltrona) che mi condannava per lesa maestà, dimenticando che era stato lo stesso Ratzinger a fare pubblicamente questa ipotesi (negli ambienti clericali, dove abbondano il bru bru e la squallida ferocia del pettegolezzo, non si capisce un grande papa come l’attuale che vola alto sulla palude, discutendo di tutto serenamente e alla luce del sole).

Dal giorno in cui uscì quel mio articolo – con buona pace dei vaticanisti italiani - i boatos sulle possibili dimissioni del papa si sono moltiplicati, soprattutto sulla stampa straniera. Sono usciti poi articoli che fanno pettegolezzi sullo stato di salute del pontefice. Trovando mezze conferme in qualcuno dei documenti riservati usciti in questi mesi dai sacri palazzi. A me non piacciono le discussioni sulla salute dei personaggi pubblici. Del resto mi pare ovvio che un uomo di 85 anni non abbia le energie di uno di 50 (e lo dimostra il calendario dei viaggi internazionali di Benedetto XVI, ormai ridotti al lumicino). Ma il tema delle dimissioni del papa ha ben altro spessore e merita riflessioni serie. Lo ha dimostrato ieri Giuliano Ferrara con un lungo articolo sul Foglio dove ha ragionato da par suo – elevandosi al di sopra dei pettegolezzi e delle ipocrisie clericali – sul significato e sulle conseguenze che avrebbero le dimissioni di Benedetto XVI. Ha senso parlarne, anzi è doveroso, proprio perché è stato per primo lo stesso papa Ratzinger, nel libro-intervista con Peter Seewald, a proclamare tale possibilità e a lanciarla nel dibattito pubblico.

Del resto le dimissioni di un Papa sono previste dal Canone 332 del Codice di diritto canonico e storicamente non sono un inedito. Si sono verificati casi del genere sia nei primi secoli cristiani che nel Medioevo. Lo stesso Paolo VI stava prendendo in considerazione questa possibilità (morì però in quelle stesse settimane). Infine è stato scritto che Pio XII, minacciato di deportazione dai nazisti, sotto l’occupazione tedesca di Roma scrisse una lettera di dimissioni da rendere pubblica in caso fosse stato fatto prigioniero, affinché Hitler non potesse mai dire di avere nelle sue mani il Vicario di Cristo, ma solo il cardinal Pacelli.

Dunque – venendo a Benedetto XVI – va detto che la tempesta che ha travolto in questi mesi la Curia vaticana, in particolare la Segreteria di stato, allontana l’ipotesi di dimissioni del papa, il quale ha sempre precisato che esse sono da escludere quando la Chiesa è in grandi difficoltà e perciò potrebbero sembrare una fuga dalle responsabilità. D’altronde nel caso di papa Ratzinger non si tratterebbe di un drastico ritiro in qualche abbazia bavarese, a studiare, a scrivere e pregare (come ha sempre sognato di poter fare in vecchiaia), perché tornando cardinale di fatto tornerebbe a ricoprire anche quella carica di Decano del Sacro Collegio che aveva già nel Conclave del 2005, da cui uscì pontefice. Azzerate le cariche di tutti gli altri, il Decano – secondo le norme vigenti - celebra la messa solenne «pro eligendo romano pontifice» e guida le congregazioni all’elezione del nuovo papa. In pratica il cardinale Ratzinger – oltretutto da ex pontefice che ha nominato gran parte di quei prelati - si troverebbe a orientare assai autorevolmente la scelta del suo successore. Ferrara non conosce questo dettaglio tecnico, ma proprio tale dettaglio avvalora molto il suo acuto ragionamento e le sue conclusioni. Vediamo dunque l’analisi di Ferrara.

Il direttore del Foglio, che da sempre è un estimatore di Ratzinger (stima ricambiata dal pontefice), spiega che considerando la situazione, di per sé, viene da escludere le dimissioni, ora che il Papa è nel pieno della sua opera di purificazione della Chiesa, di restaurazione liturgica, di rilancio missionario e dottrinale. Lo aspettano l’importante viaggio in centro America, il grande raduno sulla famiglia a Milano e soprattutto l’Anno della fede che ha fortemente voluto, con il quale arriverà anche la sua enciclica sulla fede che è il centro del suo pontificato. Tuttavia è anche evidente l’opposizione del mondo e di un certo establishment teologico-clericale alle «grandi intuizioni» di Benedetto XVI e del predecessore, dalla traumatica (per la modernità laica) affermazione di «Cristo unico mediatore di salvezza» allo «sradicamento della speranza messianica incarnata nella rivoluzione politica», dalla chiara messa a punto nei confronti dell’islam arrembante (Ratisbona), alla «ragione che argomenta la fede e si porta nello spazio pubblico» fino alla «legittimità della politica riguardo alle questioni non negoziabili dell’umanesimo cristiano (il discorso al Bundestag e molto altro)». Si potrebbe proseguire con la questione della morale in una modernità senza più orientamento umanistico e con il ritrovamento dell’antica liturgia della Chiesa a fronte delle dissennatezze post-conciliari.

Con tutti questi fronti aperti le dimissioni sono impensabili, secondo Ferrara. Eppure, aggiunge subito dopo, proprio un colpo di reni del genere potrebbe paradossalmente risvegliare tutta la Chiesa come uno straordinario choc: «Un Papa che si dimette perché ritiene spiritualmente un dovere assecondare un rinnovamento e rilancio che non cancelli il suo stesso magistero, ma anzi lo rilanci, ha indirettamente la possibilità di influenzare con maggiore tempra e fondamento la successione (…). Realizza un sogno personale (…). Scombussola certezze tradizionali secolari, innova radicalmente, promuove un’età regnante che renda meno ingovernabile il popolo di Dio (…) e toglie ogni lentezza, stanchezza o spirito difensivo alla casa romana di Pietro. L’azzardo è forte», ma «chissà che un giorno al Papa non appaia come un raddoppio di quella forza il gesto sovrano e papocentrico delle dimissioni». Di certo, come dice Ferrara, se c’è un Papa capace di fare un tale gesto di libertà spirituale e di giovinezza cristiana «questo Papa si chiama Benedetto XVI».

La riflessione di Ferrara è geniale e, secondo me, coglie nel segno. Aggiungo un solo argomento: la totale consegna di sé nelle mani del Signore, fatta da Benedetto XVI, deriva dalla sua certezza granitica che comunque è Gesù stesso a guidare la Chiesa ed è sempre lui a rinnovarla attraverso i carismi, suscitando santi e profeti, infine con un’imponenza di fatti soprannaturali nei tempi moderni – da Lourdes a Fatima. Il Papa – a differenza di tanti prelati – è certo che non è la sociologia, ma il miracolo a far vivere la Chiesa e a proiettarla nei secoli. Ed è questa la vera fonte delle sorprese. Imprevisti e miracoli fanno la storia della Chiesa.

di Antonio Socci

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Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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