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La Carità....intellettuale.... l'ateismo non esiste, esiste una grave scelta contro Dio

Ultimo Aggiornamento: 02/07/2016 14:01
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30/12/2010 19:40
 
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"NEL CORTILE DEI GENTILI" (quello in cui non cresce l'ortica!)


di Don Matteo De Meo

Il Pontefice Benedetto XVI, nel suo discusso intervento a Ratisbona, nel settembre del 2006, si chiese se fosse necessario e ragionevole interrogarsi su Dio per mezzo della ragione, ponendo le condizioni di una vera e propria sfida per ritrovare un’unità del sapere come condizione di dialogo, non solo per la filosofia e la teologia, ma anche per fornire all’uomo di oggi risposte alle domande di senso e di verità che inevitabilmente e in molti modi si pone, anche in una società frammentata come la nostra. “Non abbandonare la questione su Dio dell’uomo di oggi” è propriamente la sfida contenuta nella immagine biblica del “Cortile dei Gentili”. Ovvero, bisogna ricentrare lo sguardo sul nostro umano; come una questione teorica, meramente filosofica o peggio ancora, psicologica o sociale, ma innanzitutto come un dato di esperienza.

Una delle intelligenze filosoficamente più logiche della modernità, Kierkegaard, diceva: “Non si diventa sensibili al Cristianesimo affrontando le grandi questioni filosofiche, cosmologiche o sociali, ma acuendo il senso della propria esistenza” (una frase citata moltissimo da De Lubac, Il dramma dell’umanesimo ateo). Per cui non avremo mai una comprensione adeguata e autentica del cristianesimo stesso, se non recuperiamo il fondo della questione. L’evento cristiano si riferisce all’uomo, nella sua concretezza, nella sua storicità, in tutta la verità della sua piena dimensione. Non all’uomo astratto, ma all’uomo concreto storico: l’uomo nella sua irripetibile realtà dell’essere e dell’agire, dell’intelletto e della volontà, dell’intelligenza e del cuore; l’uomo che ha una sua storia, la storia della sua vita, l’uomo che insieme a tanti bisogni di natura corporale e temporale ha un fondamentale bisogno, quello della verità. L’uomo è ricerca della verità, domanda di verità, cioè di senso ultimo dell’esistenza: perchè esisto?

Sono rimaste scolpite nella mia mente le parole di un giovane padre di famiglia che, colpito da una grave malattia, mi disse piangendo, sentendo ormai la sua morte imminente: “..io ho un infinito desiderio di vivere e di essere felice, dimmi allora...perchè devo morire?...” Qual’è allora il senso profondo del mio vivere, del mio amare, del mio soffrire, del mio nascere, del mio morire? La verità è un forte grido che l’uomo sente dentro il suo cuore, che ritrova ogni momento nel suo cuore e che lo porta già oltre sè. La domanda stessa che nasce è irresistibile, è drammatica, e costituisce il tessuto profondo della vita. L’uomo non ha bisogno di verità, è il bisogno di verità; l’uomo non ha un senso religioso ma è il suo senso religioso. L’esistenza della domanda dimostra che l’uomo non ha in sè le risorse per rispondere a questa domanda. Questa domanda lo porta oltre sè, è una “inquietudine del cuore”, come dice s. Agostino.
 
L’uomo che si stupisce di fronte alla realtà, di fronte al suo umano seriamente considerato, riconosce originalmente il bisogno di capire da dove viene, qual’è l’origine della sua vita e dove va, qual’è il senso profondo della sua esistenza, alla luce del quale può accettare se stesso e aprire la sua esistenza all’accoglienza degli uomini e delle cose.

Ho ricevuto una lettera, in questi giorni, di un amico biologo naturalista presso il CNR. Lo invitai qualche anno fa ad un incontro su tali questioni, come uomo di scienza e non “credente”. Vi leggo, col suo permesso, alcuni stralci:

“...Carissimo io credo che la nostra desueta amicizia (non sono mai riuscito ad intrattenere un rapporto duraturo con uomini di fede dopo un pò mi hanno sempre caritatevolmente scaricato) sia per me quel “cortile dei Gentili” di cui parli nel tuo saggio. Non solo un immagine, quindi, ma una realtà, un luogo umano...! E di questo ti sono grato! ... Anch’io non condivido molto delle posizioni di quel mio collega che tu citi spesso nel tuo saggio ma in un suo scritto mi ci ritrovo molto e, in un certo senso, il suo contenuto è emblematico del nostro rapporto: “.... Sdraiato sull’erba con il mento appoggiato sulle mani, all’improvviso il bambino percepì il groviglio di gambi e radici, una foresta in miniatura, un mondo trasfigurato di formiche, coleotteri…..La microforesta d’erba parve dilatarsi e diventare tutt’uno con l’universo e con la mente. Il bambino sentì quella bellezza come un’emanazione di Dio e per questo alla fine abbraccio il sacerdozio. In un’altra epoca in un altro luogo un bambino contemplava le stelle, Orione, Cassiopea e l’Orsa maggiore,si fa commuovere dalla musica inaudita della Via Lattea, inebriare dal profumo notturno delle campanule, di un giardino africano. Il bambino sentì quella bellezza e divenne biologo. -Richard Dawkins conclude- Come mai le stesse emozioni hanno condotto il cappellano in una direzione e me in un’altra? Non è facile rispondere alla domanda”...

Quanto espresso in queste poche righe da Dawkins (in The God Delusion), mi fa riflettere sul perché e cosa muove un uomo a fare delle scelte di questo tipo. Sono poi così diverse le due scelte? Molto probabilmente il confine umano che separa un uomo di fede come te, da un uomo di scienza come me che ha continuamente a che fare con fenomeni naturali (ecologia, biologia, fisica, ecc.) è molto meno lontano di quanto si pensi. Infatti, credo che abbiamo qualcosa in comune, nonostante le apparenti differenze, un grande senso religioso.

Io ho scelto la seconda strada, ma non sono in grado di dare una risposta del perché, della mia scelta. Sicuramente a condizionare la scelta è stata soprattutto la passione per le scienze naturali, e per tutto ciò che vive, per questo “misterioso” palesarsi dell’essere. Passione che ho avuto fin da quando ero bambino, tanto da diventare il mio lavoro da adulto.

L’armonioso ordine che sprigiona la natura con i suoi fenomeni, mi rinvia ad grande sacralità di ogni forma di vita, dalla più semplice alla più complessa, e ciò mi riempie sempre di stupore... L’osservazione della natura, delle sue leggi, della sua vita, presuppone un atteggiamento profondamente religioso.

Giovanni Paolo II nella lettera enciclica circa i rapporti tra fede e ragione scriveva:

“La fede e la ragione sono come le due ali con le quali lo spirito umano si innalza verso la contemplazione della verità”.

Io spesso, per lavoro devo osservare e studiare animali, dalla forma strana come ostriche, cozze, vongole, molto lontano dall’immagine stereotipata, che abbiamo degli animali; osservandoli mi meraviglio stupito, che questi sono creature che respirano, mangiano, e si riproducono. Un’analoga riflessione la faccio osservando una grande quercia, un albero da frutta, o un banale filo d’erba, che, anche se apparentemente immobili, sono vitali e pieni di energia. Tutte le forme di vita, dalla più semplice alla più complessa, sono legate da un filo comune. Vi è un ordine dietro tutto ciò, che io vedo e osservo e che mette davanti un inesplicabile mistero...

Senza dubbio l’uomo moderno, nel senso di uomo tecnologico, è sempre più distratto dal desiderio di possedere, di consumare, estendendo questo concetto anche ai rapporti umani e sociali. Possedere, manipolare, è in fondo come un allontanarsi dal dato, come un’ultima forma di superbia dell’uomo, del suo egoismo che lo rende cieco; smette di osservare e confonde il dato con le sue idee...! Ma guardando la realtà come dato, senza pretesa di possederla, (ed è quello che faccio ogni giorno nel mio laboratorio ma anche quando guardo giocare i miei figli e abbraccio mia moglie) mi chiedo da dove venga tutto ciò, ....l’essere e il suo mistero.

Sull’argomento credo che l’uomo da sempre fin dalla notte dei tempi si è interrogato. Ieri, e mi riferisco a qualche secolo addietro, l’uomo coltivava maggiormente questa riflessione. Sant’Agostino nelle sue “Confessioni” esortava gli uomini ad avere più attenzione al proprio umano <>. Oggi interrogarsi sull’uomo, sul senso del suo essere è come parlare di cose che non hanno nessun valore ed interesse, e noto con tristezza come questa distrazione dilaghi anche fra molti che si dicono credenti. Molto più interessati a ciò che sentono che a ciò che vedono. Dicono, ragionano ma hanno smesso di guardare, di osservare. Una fede che pretende di reggersi sulla forza dei ragionamenti dimenticando i fatti e l’osservazione della realtà francamente non mi interessa...è irragionevole e consentimi molto pericolosa... é irragionevole credere senza vedere ed è veramente pericolosa se non insidiosa una fede senza la ragione.
 
E credo che sia altrettanto pericolosa una ragione che non si lasci sfidare dalla fede... Purtroppo fino a prima di incontrarti mi avevano sempre detto che la fede è questa...e molti vivono una fede così...E sinceramente non sò come si faccia a vivere una fede così. Come può esserci una connessione fra ciò che non vedo accadere, l’esperienza, e la fede. Non si può affidare la vita a qualcosa che non c’è, il cui esserci non mi si palesa. Ma dopo quanto mi hai scritto l’ultima volta, e leggendo il tuo “Cortile dei Gentili”, le cose iniziano ad assumere un contorno diverso... Ora sto iniziando a guardare ciò che ho sempre visto...Un’altro passo dentro il Mistero?...”

Ecco questo è l’uomo del Cortile dei Gentili, l’uomo che grida al Mistero come una grande incognita ma che non smette di cercarlo e che desidera che si palesi che si faccia vedere...!

L’uomo è un uomo religioso, non semplicemente nel senso che sente la necessità di conoscere un oggetto diverso da quelli che conosce normalmente, ma nel senso che l’uomo sente il desiderio di un incontro che lo riveli a se stesso, che gli faccia capire il senso profondo della sua esistenza. L’uomo incomincia come coscienza, perchè la coscienza dell’uomo è il punto in cui questo è recepito, è raccolto, è sentito, e perciò l’uomo si dispone a vivere la grande avventura della vita. La grande avventura della vita è la conoscenza di sè. Noi crediamo al Dio di Gesù Cristo perchè è il Dio che rivela totalmente l’uomo a se stesso, Cristo rivela all’uomo tutta la verità su di lui.

E di questo noi, credenti, siamo sfidati a dar ragione percorrendo e non “dribblando” i sentieri spesso nebbiosi e fumosi del Cortile dei Gentili.



Prefazione On. Mario Mauro
Postfazione Francesco Colafemmina
Edizioni Settecolori

€ 15,00 - P.200

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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