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La Carità....intellettuale.... l'ateismo non esiste, esiste una grave scelta contro Dio

Ultimo Aggiornamento: 02/07/2016 14:01
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19/04/2012 17:06
 
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Il diritto secondo Benedetto XVI

La ragione è di tutti

di FRANCESCO COCCOPALMERIO

Pubblichiamo alcuni stralci della conferenza che il cardinale presidente del Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi ha tenuto il 17 aprile all'università di Macerata in un incontro promosso dalla stessa università insieme all'Osservatorio giuridico-legislativo della Conferenza episcopale marchigiana e alla diocesi di Macerata-Tolentino-Recanati-Cingoli-Treia.

Mentre in altri scritti Papa Benedetto XVI si occupa del concetto di diritto trattando altri argomenti o affrontando del diritto stesso solo aspetti particolari, nel Discorso tenuto al Bundestag, il 22 settembre 2011, il Pontefice affronta il tema del diritto in modo esclusivo, anche - riconosciamolo - con toni appassionati.
Possiamo soffermarci in particolare su tre punti. Innanzitutto l'identità del diritto, per la quale, dalle espressioni usate dal Papa, si ricava l'equiparazione tra il diritto e la giustizia, tra il diritto e il bene e, per tale motivo, si ricava in definitiva l'affermazione che il diritto è la giustizia, il diritto è il bene. Quanto alla natura del diritto, poi, si nota che esso è una realtà connessa in modo essenziale con la dignità della persona umana. Per tale motivo ha la stessa dignità e la stessa consistenza proprie della persona umana. In modo particolare e determinante, come la persona umana è realtà ontologica, allo stesso modo lo è il diritto.


Il Discorso del Papa tocca anche - per quanto solo con alcuni accenni - il tema della legge o, meglio, dei rapporti correnti tra il diritto e la legge. Interessante in questo senso cogliere alcuni binomi: legge-verità, giusto-legge, cosa giusta-diritto vigente, veramente giusto-giustizia nella legislazione, fondamenti-legislazione. Ciò chiaramente significa che esistono due realtà: da una parte, c'è il giusto, c'è la verità e, quindi, c'è il diritto; dall'altra parte, c'è la legge. Queste due realtà sono tra loro distinte, anche se essenzialmente relazionate.


Sono innanzitutto realtà distinte, e ciò, ritengo, per due motivi. Il primo è che il diritto sta prima, mentre la legge viene dopo. Quindi è il giusto, ossia è il diritto, a "diventare" legge. Il secondo motivo che adduciamo per la distinzione tra diritto e legge viene esattamente da quanto detto: il diritto è realtà ontologica e, come tale, è pre-esistente al legislatore, mentre la legge è realtà intenzionale, in quanto creata dal legislatore. In ogni modo, è determinante considerare diritto e legge come realtà distinte. Tali realtà sono, peraltro, essenzialmente relazionate, per l'intuibile motivo che è il diritto - si legge nel discorso - a "diventare" legge.
Dobbiamo riconoscere che l'espressione "diventare" è pregnante. Se, infatti, è il diritto a "diventare" legge, ciò significa che le due realtà sono così relazionate che la legge null'altro è se non il diritto stesso dopo un atto di trasformazione. Per i suddetti motivi la legge dipende dal diritto, nel preciso senso che deve contenere il diritto e deve esprimerlo nelle varie circostanze e necessità. E a seconda che il diritto sia nella legge contenuto ed espresso oppure no, ci saranno leggi giuste oppure leggi ingiuste.


Diritto e legge, sono realtà distinte ma relazionate: il diritto che diventa legge; la legge che contiene il diritto dopo un atto di trasformazione. Ciò indirizza la nostra attenzione all'autore di questa attività, e cioè precisamente al legislatore, a cui riserviamo il seguito della trattazione.
Nel discorso di Benedetto XVI s'incontra un passo significativo: "In gran parte della materia da regolare giuridicamente, quello della maggioranza può essere un criterio sufficiente. Ma è evidente che nelle questioni fondamentali del diritto, nelle quali è in gioco la dignità dell'uomo e dell'umanità, il principio maggioritario non basta". [SM=g1740733]


Nel suddetto passo, estremamente sintetico, sono contenuti due elementi, che ci sembra necessario enucleare: l'identità del legislatore; la natura dell'attività del legislatore. Mediante le espressioni "criterio della maggioranza" e "principio maggioritario" il Papa allude alla struttura del legislatore e al modo di attività del legislatore stesso.
Quanto alla struttura, il Papa presuppone ciò che, nella normalità dei casi, si verifica nella attuale realtà, e cioè che il legislatore non è una unica persona, ma è un insieme di persone, l'insieme delle persone che, nell'odierno sistema parlamentare, rappresenta l'insieme dei cittadini.
Quanto al modo dell'attività, per l'ovvio motivo che il legislatore è un insieme di persone, ciascuna persona componente l'insieme dichiarerà la sua volontà mediante l'espressione di un voto e la maggioranza dei voti concordi determinerà la posizione dell'insieme, cioè la volontà del legislatore e quindi la statuizione della legge.
Ci chiediamo ora: cosa precisamente è un voto? Possiamo rispondere così: il voto è un atto insieme di intelligenza e di volontà. Ma quale è, nel nostro caso, l'oggetto dell'atto di intelligenza e di volontà? Vediamo di rispondere in modo elementare.


Nella statuizione di una legge si tratta in definitiva di determinare i doveri di un soggetto nei confronti di un altro soggetto. O, detto meglio: un certo soggetto ha un diritto e un altro soggetto ha il dovere di comportarsi o di agire in modo corrispondente a quel diritto. Ad esempio: una certa persona ha il diritto di ricevere rispetto, cioè astensione da lesioni della sua vita fisica e un altro soggetto ha il dovere di astenersi dal ledere la vita fisica di quella persona; un bambino ha il diritto di essere nutrito e i genitori hanno il dovere di conferirgli il nutrimento. Ciò posto, l'atto di intelligenza consiste nel conoscere i diritti del primo soggetto e l'atto di volontà consiste nello statuire i doveri del secondo soggetto.


Importante è, a questo punto, sottolineare che, solo se il legislatore conosce, in un momento anteriore, i diritti del primo soggetto, può determinare, in un momento susseguente, i doveri del secondo soggetto. La determinazione dei doveri è in realtà la logica conseguenza della conoscenza dei diritti. Ciò che comanda l'atto di determinazione è logicamente l'atto di conoscenza. Nihil volitum quin praecognitum. Orbene, quando il diritto è una realtà ontologica o, in altre parole, come dice il testo poco sopra citato e da cui siamo partiti - "nelle questioni fondamentali del diritto, nelle quali è in gioco la dignità dell'uomo e dell'umanità" - risulta necessario che l'intelligenza del legislatore conosca con verità il diritto ontologico concretamente in gioco, in modo tale che la volontà del legislatore possa statuire un dovere corrispondente al diritto ontologico in questione e quindi possa statuire una legge secondo giustizia.


Qualora l'atto della conoscenza fosse falso, di conseguenza l'atto della volontà sarebbe ingiusto. E ciò per il motivo che il diritto ontologico è una realtà previa al legislatore e alla sua volontà, una realtà pre-esistente, quindi pre-data al legislatore stesso e alle sue opzioni. Il legislatore non crea, né può creare, il diritto ontologico. Deve solo conoscerlo e accettarlo.
Quanto fin qui abbiamo esposto indirizza ora la nostra attenzione al problema cruciale della conoscenza del diritto da parte del legislatore. È tema che può ora, dopo quanto abbiamo detto, venire specificato come segue: si tratta della conoscenza del diritto ontologico da parte del legislatore e si pone come problema della possibilità di tale conoscenza.
Il Discorso al Bundestag contiene varie espressioni, che pongono la difficile domanda: come è possibile conoscere il diritto ontologico? Vediamo di procedere per punti.
Si tratta, nel caso specifico, di conoscere il diritto ontologico e quindi di conoscere una realtà non necessariamente evidente. Prendiamo l'esempio, ormai classico, dell'embrione: ha l'embrione il diritto di ricevere rispetto, cioè astensione da lesioni, quindi dall'essere soppresso? Esiste tale diritto?


Il soggetto chiamato, nel nostro caso, a conoscere il diritto è il legislatore, il quale è composto - come abbiamo ricordato - da più persone, ciascuna delle quali esprime un voto, cioè un atto di intelligenza e di volontà.
Da tali due presupposti sorge spontanea la domanda: come può il legislatore conoscere il diritto ontologico? E un'altra particolarmente intrigante: potrebbe una certa religione o potrebbero in genere le religioni offrire una loro visione, insegnare una loro dottrina a riguardo dell'ontologia in genere e del diritto ontologico in specie? La risposta appare positiva.
La religione cattolica, in modo particolare, considera parte essenziale della sua missione nel mondo, e quindi peculiare dovere del suo servizio pastorale, insegnare la dottrina evangelica a riguardo dell'essere e dell'uomo, quindi a riguardo dell'ontologia. Afferma, in specie, che l'embrione è persona umana e ha, per tale motivo, il diritto di ricevere astensione da qualsivoglia attività di soppressione.
Dal che consegue che il legislatore potrebbe chiedere a una religione, o a varie religioni, illuminazioni per la conoscenza del diritto ontologico. Il Papa però afferma, anche con una certa forza: "Il cristianesimo non ha mai imposto allo Stato e alla società un diritto rivelato, mai un ordinamento giuridico derivante da una rivelazione". Per riprendere l'esempio che abbiamo sopra utilizzato, la religione cattolica non avrebbe mai imposto, allo Stato e alla società, il diritto dell'embrione a ricevere il rispetto della sua esistenza.


Quale è, dunque, il senso delle parole del Pontefice? Mi pare sia duplice: da una parte, il Papa non nega, né potrebbe negare, che una religione possa dichiarare quale è l'ontologia, che, per esempio, la religione cattolica possa dichiarare la ontologia dell'embrione; dall'altra, il Papa richiama l'attenzione su qualcosa che non va. E ciò consiste - vogliamo ripeterlo - non nel fatto che una religione possa dichiarare l'ontologia, bensì nel fatto che non sarebbe praticabile, o sarebbe almeno problematico, in questo caso, lo strumento conoscitivo dell'ontologia stessa. Vediamo di chiarire questa affermazione davvero decisiva.


Lo strumento conoscitivo, nel caso in cui sia una religione a dichiarare l'ontologia, è e non può che essere la fede di un soggetto o, meglio, l'adesione per fede di un soggetto all'autorità della religione attestante l'ontologia. Lo rileva il Papa stesso con questa pregnate espressione: "È stato decisivo che i teologi cristiani abbiano preso posizione contro il diritto religioso, richiesto dalla fede nella divinità". Dunque: "Richiesto dalla fede nella divinità".
Ora la fede e l'adesione per fede non è necessariamente di ogni soggetto nella comunità civile. E non è necessariamente del legislatore, cioè di ciascuna delle persone che compongono l'insieme legiferante.
Quanto appena affermato è una immediata conseguenza del principio della libertà religiosa e quindi della libertà di coscienza. Per i suddetti motivi, a conoscere e ad affermare il diritto ontologico è necessario arrivare attraverso altre vie, altri strumenti conoscitivi.


A questo punto il Papa rimanda "alla natura e alla ragione", "all'armonia tra ragione oggettiva e soggettiva" e qualifica tali elementi "vere fonti del diritto". Ciò significa che la ragione deve indagare la natura per trovare il diritto ontologico.
Risulta, qui, decisivo sottolineare che la ragione rappresenta lo strumento conoscitivo adeguato non solo perché - com'è ovvio - capace di indagare la natura e così di conoscere l'ontologia, ma anche perché, a differenza dell'adesione per fede, che è solo di alcuni, la ragione è di tutti.



(©L'Osservatore Romano 19 aprile 2012)

 

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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