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LA SEDE LITURGICA, dove va collocata? in piedi o in ginocchio? queste ed altre domande...

Ultimo Aggiornamento: 17/08/2012 19:42
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26/05/2012 11:55
 
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Le balaustre, argine del sacro


Da Il Timone n. 113 maggio 2012

Alcuni manufatti, chiamati comunemente balaustre per molti secoli hanno costituito una presenza regolare all'interno delle chiese. Nonostante l'appa¬rente banalità di questi oggetti, sarebbero necessari fiumi d'inchiostro per descrivere tutte le funzioni e tutti i significati che essi hanno rivestito.
di Andrea Di Meo

Varcare un confine a piedi, scavalcare il crinale di un monte, addentrarsi in una caverna, sono piccole esperienze accomunate, come molte altre, da una sensazione particolarissima. A chi le ha vissute non sarà sfuggita l'impressione di oltrepassare una linea oltre la quale vigono altre regole, oltre la quale il comportamento deve mutare perché al di là di quel punto lo spazio è diverso, non è più lo stesso di prima. Gli esempi che ho citato, a solo scopo narrativo, hanno tutti la caratteristica di essere accompagnati da segnali visibili, che quasi suggeriscono con la loro stessa presenza l'incipiente mutamento di stato. In alcuni casi, come l'ingresso in una grotta, tale segnale è offerto dalla natura, in altri, come il passaggio del confine, il segnale è posto dagli uomini.

Esiste un parallelo a queste sensazioni anche nell'esperienza dello spazio sacro? Questo è sacro per effetto di un rituale che vi si celebra e di una formula di dedicazione che lo dedica solennemente alla divinità, ma è vero tuttavia che tale dedicazione, pur comportando un mutamento di stato e quasi di natura del luogo stesso, non ne condiziona però le leggi fisiche né le apparenze, e potrebbe quindi passare inosservato. Ecco dunque che si rende necessario apporre degli avvertimenti, dei nuovi segnali volti a rendere visibile ciò che altrimenti potrebbe non essere percepito. Fu così che nacquero già in tempi ancestrali e presso i culti più antichi i primi recinti per separare i luoghi più sacri dallo spazio circostante, e molto tempo dopo, ma in modo simile, furono create anche le prime recinzioni nei luoghi cristiani per separare il santuario o presbiterio dal resto della chiesa, come si può verificare dalle tracce archeologiche delle più antiche domus ecclesiae.

Nel percorso di attraversamento dello spazio sacro cristiano che in questa rubrica si sta compiendo, sarà infatti inevitabile inciampare, per così dire, in alcuni manufatti, chiamati comu¬nemente balaustre, che per molti secoli hanno costituito una presenza regolare all'interno delle chiese. Nonostante l'appa¬rente banalità di questi oggetti, sarebbero necessari fiumi d'inchiostro per descrivere tutte le funzioni e tutti i significati che essi hanno rivestito, e tutta la storia che li ha modellati fino ad arrivare alla semplicità delle ultime balaustre, mandate in soffitta, se non proprio distrutte, da tanti parroci nei passati cinquant'anni. Le balaustre, infatti, non furono che l'ultima mutazione di quegli elementi separatori che assunsero di volta in volta la forma della transenna lapidea, della tenda, del cancello e dell'iconostasi, e che replicavano quanto già la facciata della chiesa, o il suo portale, esprimevano fin dal primo approccio all'edificio sacro.

Il loro messaggio era un avvertimento, un caveat, posto a segnalare che oltre la linea sulla quale essi si ergevano si entrava in un'area dove l'azione e il pensiero individuale avrebbero dovuto abbandonare le consuetudini mondane e, lasciando alle spalle i diritti del mondo, piegarsi al diritto di Dio e conformarsi ad attitudini più sante. Al contrario infatti di come molti hanno erroneamente pensato, il compito primario delle balaustre e degli elementi ad esse affini non era di tipo funzionale, ma simbolico. Non era dunque di chiudere l'ingresso al presbiterio, ma di manifestare all'esterno di esso cosa il presbiterio dovrebbe realmente significare. Le balaustre dunque, più che elementi di divisione, vanno piuttosto percepite come tramiti di comunicazione. Se esse infatti non fossero esistite, quale spazio avremmo garantito al sacro?

Le balaustre, non diversamente dall'abito talare, custodivano uno spazio esigente, una riserva di santità e ne manifestavano l'esistenza al di fuori rendendola visibile. Quegli umili elementi, che diventavano l'appoggio dei comunicandi e che reggevano gli sguardi inginocchiati dei fedeli verso l'altare, sostenevano inoltre il peso immane di rendere il sacro percepibile e quasi tangibile. Quando, dopo gli anni Sessanta, tanti chierici e religiosi vollero disfarsi del concetto del sacro rivoluzionandolo, si accanirono proprio contro quei recinti che, delimitandolo, lo rendevano riconoscibile. Ma quest'opera di distruzione fu solo apparente: si possono cancellare le tracce del sacro ma esso sussisterà non visto, e presto o tardi tornerà a manifestarsi. Il ristabilimento delle balaustre nel restauro della Cappella Paolina al Vaticano voluto da Papa Benedetto XVI ben manifesta che questi elementi non hanno esaurito la loro funzione e che anzi mai più di oggi si sente nuovamente l'urgenza di restituirli al loro gravoso compito.

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Il candelabro pasquale

di don Enrico Finotti

1. Nell’antica tradizione

Nella tradizione liturgica antica ha importanza il candelabro pasquale, che ancor oggi è possibile ammirare in alcune basiliche romane e in altre importanti chiese. Il candelabro è un vero monumento in pietra, che si erge stabilmente presso l’ambone. Esso è, infatti, l’arredo liturgico specifico dell’ambone, al quale è strutturalmente congiunto, sia per la sua origine storica, come per il suo significato teologico. Infatti, la proclamazione verbale della risurrezione, che risuona sull’ambone, è resa simbolicamente eloquente dalla luce del Cero pasquale, che dall’alto del suo candelabro, illumina tutta la chiesa. Le sue dimensioni fanno sì che il Cero pasquale sia comodamente visto da tutti e in un certo senso presieda l’assemblea liturgica. La sua solidità e arte, anche senza il Cero pasquale fuori del tempo di Pasqua, rappresenta un permanente richiamo al cuore dell’annunzio evangelico, la risurrezione del Signore.

il trono liturgico in legno dipinto è stato realizzato da
Aldo Ferrari (Volano - TN)

2. Il candelabro pasquale oggi

E’ da favorire nelle nuove chiese l’erezione del candelabro pasquale, inamovibile e artistico: Accanto all’ambone può essere collocato il grande candelabro per il cero pasquale (1). Esso dovrebbe essere pensato fin dal progetto iniziale, come parte integrante del complesso monumentale dell’ambone, evitando che divenga un corpo estraneo, mobile e insignificante. Il candelabro, infatti, è l’arredo più insigne dell’ambone e la sua collocazione stabile presso di esso è certamente da preferire. Nella creazione del candelabro pasquale, però, è necessario realizzare un’opera, che, per la sua dignità e imponenza, possa, anche senza il Cero, avere un suo significato compiuto. Talvolta, infatti, costruito un grande candelabro, solido e splendido, non si ha più il coraggio di togliere da esso il Cero al termine del tempo di Pasqua. Questo succede perché non si è tenuto sufficientemente presente, che il candelabro deve essere, simbolicamente ed esteticamente, completo in se stesso, senza il bisogno di dover assolutamente sorreggere il Cero pasquale. Si pensi in proposito all’impatto visivo, che i grandi candelabri storici esercitano nelle antiche basiliche, pur senza Cero.

3. Un candelabro mobile?

E’ evidente che il candelabro fisso, in linea con l’antica tradizione, è realizzabile per lo più nelle chiese di nuova costruzione, mentre nelle normali chiese storiche si dovrà pensare ad un candelabro mobile. Sarà comunque opportuno che il sostegno del cero pasquale non si riduca ad un semplice ceppo funzionale, ma si ispiri il più possibile alla nobiltà del candelabro, esprimendo nei materiali, nella decorazione e nelle dimensioni, la bellezza e l’importanza di questo simbolo di Cristo Risorto, il Kyrios immolato e glorioso. Un candelabro minore è in ogni caso sempre necessario, sia per custodire il Cero presso il battistero, sia per posizionarlo presso il feretro nelle esequie. E’ inoltre opportuno che il candelabro pasquale, qualora fosse mobile, venga esposto presso l’ambone unicamente nel tempo di Pasqua, per non far scadere la sua dignità con un uso troppo feriale e spostandolo in continuazione.

4. All’ambone e presso il battistero

Il Cero pasquale collega due importanti luoghi liturgici: l’ambone e il battistero. Già nella veglia di Pasqua è evidente tale collegamento. Infatti, il Cero risplende con la sua viva fiamma sull’ambone durante il canto dell’Exultet e, nella successiva liturgia battesimale, come una colonna di luce, precede e guida l’assemblea verso il battistero, dove viene anche immerso nell’acqua del fonte. In tal modo sono descritte ritualmente le vicende dell’esodo biblico, udite nella liturgia della Parola e, con l’eloquenza dei simboli, si prepara l’evento sacramentale del battesimo, che nella santa notte di Pasqua si compie. Possiamo così notare come l’annunzio della risurrezione all’ambone e la sua attualizzazione sacramentale nel battistero, trovino nel Cero pasquale un nobile testimone e una presenza vigile. Per questo l’ambone e il battistero sono le due sedi liturgiche proprie del Cero pasquale: presso l’ambone nella beata Pentecoste (cinquantena pasquale), quando l’eco del grande Annunzio è ancora fresco e vivo, e per tutto il resto dell’anno liturgico presso il battistero, dove il mistero pasquale continua ad operare nel sacramento della rigenerazione.

5. Anche presso l’altare?

E’ importante capire il motivo per il quale, prima della riforma liturgica, il Cero pasquale col suo candelabro venivano posti presso l’altar maggiore dalla parte in cui si leggeva il vangelo. Con la scomparsa dell’ambone, infatti, il vangelo venne proclamato al lato sinistro guardando l’altare, detto appunto in cornu Evangelii. Per questo il Cero pasquale ebbe qui per secoli il suo posto conveniente. Il fatto attesta la coerenza con l’antica tradizione, che da sempre collega il Cero pasquale al luogo nel quale si proclama il vangelo. La disposizione vigente, che permette che il Cero sia collocato, oltre che presso l’ambone, anche vicino all’altare (PS n. 99) sembra essere problematica. Infatti, con la ripresa dell’uso dell’ambone, non ha più senso tenere il Cero e il suo candelabro presso l’altare, ma dovrebbe coerentemente ritornare al suo luogo proprio, l’ambone. Nelle rubriche relative alla Veglia pasquale, inoltre, si permette che il Cero possa essere posto anche nel mezzo del presbiterio (MR, rubriche della veglia pasquale n.17). Ma, ammettere questa possibilità, significa prospettare per il Cero pasquale e il suo candelabro un uso nuovo e una autonomia dall’ambone, che nella storia liturgica non ebbe mai.

6. La normativa liturgica vigente

E’ necessario che sacerdoti e operatori liturgici conoscano la lettera e lo spirito della normativa vigente e la attuino con precisione e buon gusto. Essa, infatti, permette di uscire da visioni parziali e prassi soggettive e unire tutti nel modo di celebrare, stabilito e garantito dalla Chiesa. Con questa adesione convinta e competente si potrà assicurare una retta formazione dottrinale, una solida efficacia pastorale e, per il futuro, un progresso più autentico, più sicuro, più saggio e duraturo.

Il cero pasquale, da collocare presso l’ambone o vicino all’altare, rimanga acceso almeno in tutte le celebrazioni liturgiche più solenni di questo tempo, sia nella Messa, sia a Lodi e Vespri, fino alla Domenica di Pentecoste. Dopo di questa il cero viene conservato con il dovuto onore nel battistero, per accendere alla sua fiamma le candele dei neobattezzati nella celebrazione del Battesimo. Nella celebrazione delle esequie il cero pasquale sia collocato accanto al feretro, ad indicare che la morte è per il cristiano la sua vera pasqua. Non si accenda il cero pasquale fuori del tempo di Pasqua né venga conservato nel presbiterio (2).

7. Il candelabro nel pensiero dei Padri

Il Cero pasquale col suo candelabro trova un mistico commento nelle parole di san Massimo il Confessore:

La lampada posta sul candelabro è la luce del Padre, quella vera, che illumina ogni uomo che viene al mondo. E’ il Signore nostro Gesù Cristo che, prendendo da noi la nostra carne, divenne e fu chiamato lampada, cioè sapienza e parola connaturale del Padre. E’ questa lampada che la Chiesa di Dio mostra con fede e amore nella predicazione, e che viene tenuta alta e splende agli occhi dei popoli nella vita santa dei fedeli e nella loro condotta ispirata ai comandamenti. Il Verbo chiama se stesso lucerna in quanto, essendo Dio per natura, si fece uomo per dispensare la sua luce. Chiamò lucerniere la santa Chiesa, perché in essa risplende la parola di Dio mediante la predicazione. Questa parola annunziata dalla Chiesa esige di essere posta sulla sommità del lucerniere cioè all’apice dell’onore e dell’impegno di cui la Chiesa è capace. Poniamo la lucerna sopra il lucerniere cioè sulla santa Chiesa, di modo che dall’alta cima di una interpretazione autentica ed esatta, mostri a tutti lo splendore delle verità divine (3).

_________________________
1 AC, n. 9.
2 PS, n. 99.
3 LO, vol. IV, mercol. 28 sett. tempo ord., Uff. lett., 2a lett.

[SM=g1740771]

[Modificato da Caterina63 11/06/2012 12:14]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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