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DOCUMENTO: Lineamenta per il Sinodo dei Vescovi sulla nuova evangelizzazione

Ultimo Aggiornamento: 05/03/2011 10:33
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05/03/2011 10:26
 
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Secondo capitolo

Proclamare il Vangelo di Gesù Cristo

«Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo ad ogni creatura» (Mc 16, 15)

11. L’incontro e la comunione con Cristo, fine della trasmissione della fede

Il mandato missionario che i discepoli hanno ricevuto dal Signore (cf. Mc 16, 15) contiene un esplicito riferimento alla proclamazione e all’insegnamento del Vangelo («insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato» Mt 28, 20). L’apostolo Paolo si presenta come «apostolo […] scelto per annunciare il Vangelo di Dio» (Rm 1, 1). Il compito della Chiesa consiste quindi nel realizzare la traditio Evangelii, l’annuncio e la trasmissione del Vangelo, che è «potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede» (Rm 1, 16) e che in ultima istanza si identifica con Gesù Cristo (cf. 1 Cor 1, 24) [33]. Parlando di Vangelo, non dobbiamo pensare solo ad un libro o ad una dottrina; il Vangelo è molto di più: è una Parola viva ed efficace, che opera ciò che dice. Non è un sistema di articoli di fede e di precetti morali, e ancor meno un programma politico, bensì una persona: Gesù Cristo come Parola definitiva di Dio, fatta uomo [34]. Il Vangelo è Vangelo di Gesù Cristo: non soltanto ha come contenuto Gesù Cristo. Molto di più, quest’ultimo è, attraverso lo Spirito Santo, anche il promotore e il soggetto primario del suo annuncio, della sua trasmissione. L’obiettivo della trasmissione della fede è dunque la realizzazione di questo incontro con Gesù Cristo, nello Spirito, per giungere a fare esperienza del Padre suo e nostro [35].

Trasmettere la fede significa creare in ogni luogo e in ogni tempo le condizioni perché questo incontro tra gli uomini e Gesù Cristo avvenga. La fede come incontro con la persona di Cristo ha la forma della relazione con lui, della memoria di Lui (nell’Eucaristia) e del formare in noi la mentalità di Cristo, nella grazia dello Spirito. Come ha riaffermato Papa Benedetto XVI, «all’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva. […] Siccome Dio ci ha amati per primo (cf. 1 Gv 4, 10), l’amore adesso non è più solo un “comandamento”, ma è la risposta al dono dell’amore, col quale Dio ci viene incontro» [36]. La Chiesa stessa prende forma proprio a partire dalla realizzazione di questo compito di annuncio del Vangelo e di trasmissione della fede cristiana.

L’esito sperato di questo incontro è di inserire gli uomini nella relazione del Figlio col Padre suo per sentire la forza dello Spirito. Il fine della trasmissione della fede, il fine della evangelizzazione è di portare «per Cristo al Padre nello Spirito» (Ef 2, 18) [37]; è questa l’esperienza della novità del Dio cristiano. In questa prospettiva trasmettere la fede in Cristo significa creare le condizioni per una fede pensata, celebrata, vissuta e pregata: ciò significa inserire nella vita della Chiesa [38]. È questa una struttura di trasmissione molto radicata nella tradizione ecclesiale. Ad essa si rifà anche il Catechismo della Chiesa Cattolica, come anche il Compendio del Catechismo stesso, che la assume per sostenerla, declinarla, rilanciarla [39].

12. La Chiesa trasmette la fede che essa stessa vive

La trasmissione della fede è dunque una dinamica molto complessa che coinvolge in modo totale la fede dei cristiani e la vita della Chiesa. Non si può trasmettere ciò che non si crede e non si vive. Segno di una fede radicata e matura è proprio la naturalezza con cui la comunichiamo agli altri. «Chiamò a sé quelli che voleva […] perché stessero con lui e per mandarli a predicare» (Mc 3, 13-14). Non si può trasmettere il Vangelo senza avere alla base uno “stare” con Gesù, un vivere nello Spirito con Gesù l’esperienza del Padre; e, in modo corrispettivo, l’esperienza dello “stare” sospinge all’annuncio, alla proclamazione, alla condivisione di ciò che si è vissuto, avendolo sperimentato come buono, positivo e bello.

Un simile compito di annuncio e di proclamazione non è riservato a qualcuno, a pochi eletti. È dono fatto ad ogni uomo che risponde con fiducia alla chiamata alla fede. La trasmissione della fede non è un’azione specializzata, da appaltare a qualche gruppo o a qualche singolo individuo appositamente deputato. È esperienza di ogni cristiano e di tutta la Chiesa, che in questa azione riscopre continuamente la propria identità di popolo radunato dalla chiamata dello Spirito, che ci raccoglie dalla dispersione del nostro quotidiano, per vivere la presenza tra noi di Cristo, e scoprire così il vero volto di Dio, che ci è Padre. «I fedeli laici, in forza della loro partecipazione all’ufficio profetico di Cristo, sono pienamente coinvolti in questo compito della Chiesa. Ad essi tocca, in particolare, testimoniare come la fede cristiana costituisca l’unica risposta pienamente valida, più o meno coscientemente da tutti percepita e invocata, dei problemi e delle speranze che la vita pone ad ogni uomo e ad ogni società. Ciò sarà possibile se i fedeli laici sapranno superare in se stessi la frattura tra il Vangelo e la vita, ricomponendo nella loro quotidiana attività in famiglia, sul lavoro e nella società, l’unità di una vita che nel Vangelo trova ispirazione e forza per realizzarsi in pienezza» [40].

Azione fondamentale della Chiesa, la trasmissione della fede struttura il volto e le azioni delle comunità cristiane [41]. Per annunciare e diffondere il Vangelo occorre che la Chiesa realizzi figure di comunità cristiane capaci di articolare in modo stretto le opere fondamentali della vita di fede: carità, testimonianza, annuncio, celebrazione, ascolto, condivisione. Occorre concepire l’evangelizzazione come il processo attraverso il quale la Chiesa, mossa dallo Spirito, annuncia e diffonde il Vangelo in tutto il mondo, seguendo una logica che la riflessione magisteriale ha così sintetizzato: «spinta dalla carità, impregna e trasforma tutto l’ordine temporale, assumendo e rinnovando le culture. Dà testimonianza tra i popoli del nuovo modo di essere e di vivere che caratterizza i cristiani. Proclama esplicitamente il Vangelo, mediante il primo annuncio, chiamando alla conversione. Inizia alla fede e alla vita cristiana, mediante la catechesi e i sacramenti di iniziazione, coloro che si convertono a Gesù Cristo, o quelli che riprendono il cammino della sua sequela, incorporando gli uni e riconducendo gli altri alla comunità cristiana. Alimenta costantemente il dono della comunione nei fedeli mediante l’educazione permanente della fede (omelia, ministero della Parola), i sacramenti e l’esercizio della carità. Suscita continuamente la missione, inviando tutti i discepoli di Cristo ad annunciare il Vangelo, con parole e opere, in tutto il mondo» [42].

13.  Parola di Dio e trasmissione della fede

Dalla celebrazione del Concilio Vaticano II la Chiesa cattolica ha riscoperto che questa trasmissione della fede intesa come incontro con Cristo, si attua mediante la Sacra Scrittura e la Tradizione viva della Chiesa, sotto la guida dello Spirito Santo [43]. È così che la Chiesa viene continuamente rigenerata dallo Spirito. In questo modo le nuove generazioni vengono sostenute nel loro cammino di incontro con Cristo nel suo corpo, che trova la sua piena espressione nella celebrazione della Eucaristia. La centralità di questa funzione di trasmissione della fede è stata riletta ed evidenziata nelle ultime due Assemblee sinodali sull’Eucaristia e in particolare in quella dedicata alla Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa. In queste due Assemblee la Chiesa è stata invitata a riflettere e a riprendere piena coscienza della dinamica profonda che ne sostiene l’identità: la Chiesa trasmette la fede che essa stessa vive, celebra, professa, testimonia [44].

Una simile presa di coscienza ha consegnato alla Chiesa impegni concreti e sfide con le quali misurare questo suo compito di trasmissione. È necessario maturare all’interno del popolo di Dio una maggiore consapevolezza del ruolo della Parola di Dio, della sua potenza rivelatrice e manifestatrice dell’intenzione di Dio verso gli uomini, del suo disegno di salvezza [45]. C’è bisogno di una maggiore cura della proclamazione della Parola di Dio nelle assemblee liturgiche e una dedizione più convinta al compito della predicazione [46]. Serve un’attenzione più consapevole e una fiducia più convinta nel ruolo che la Parola di Dio può svolgere nella missione della Chiesa, sia nel momento specifico dell’annuncio del messaggio di salvezza che nella posizione più riflessiva dell’ascolto e del dialogo con le culture [47].

I Padri sinodali hanno riservato un’attenzione particolare all’annuncio della Parola alle nuove generazioni. «Nei giovani spesso troviamo una spontanea apertura all’ascolto della Parola di Dio ed un sincero desiderio di conoscere Gesù. […] Questa attenzione al mondo giovanile implica il coraggio di un annuncio chiaro; dobbiamo aiutare i giovani ad acquistare confidenza e familiarità con la sacra Scrittura, perché sia come una bussola che indica la strada da seguire. Per questo, essi hanno bisogno di testimoni e di maestri, che camminino con loro e li guidino ad amare e a comunicare a loro volta il Vangelo soprattutto ai loro coetanei, diventando essi stessi autentici e credibili annunciatori» [48]. Così pure i Padri sinodali chiedono alle comunità cristiane di «aprire itinerari d’iniziazione cristiana i quali, attraverso l’ascolto della Parola, la celebrazione della Eucaristia e l’amore fraterno vissuto in comunità, possano avviare ad una fede sempre più adulta. Va considerata la nuova domanda che nasce dalla mobilità e dal fenomeno migratorio che apre nuove prospettive di evangelizzazione, perché gli immigranti non soltanto hanno bisogno di essere evangelizzati ma possono essere loro stessi agenti di evangelizzazione» [49].

Con le sue sottolineature, la riflessione dell’Assemblea sinodale ha richiamato le comunità cristiane a verificare quanto l’annuncio della Parola sia alla base del compito di trasmissione della fede: «È necessario, dunque, riscoprire sempre più l’urgenza e la bellezza di annunciare la Parola, per l’avvento del Regno di Dio, predicato da Cristo stesso. […] Avvertiamo tutti quanto sia necessario che la luce di Cristo illumini ogni ambito dell’umanità: la famiglia, la scuola, la cultura, il lavoro, il tempo libero e gli altri settori della vita sociale. Non si tratta di annunciare una parola consolatoria, ma dirompente, che chiama a conversione, che rende accessibile l’incontro con Lui, attraverso il quale fiorisce un’umanità nuova» [50].  

14. La pedagogia della fede

La trasmissione della fede non avviene solo con le parole, ma esige un rapporto con Dio attraverso la preghiera che è la stessa fede in atto. E in questa educazione alla preghiera è decisiva la liturgia con il suo proprio ruolo pedagogico, nel quale il soggetto educante è Dio stesso e il vero educatore alla preghiera è lo Spirito Santo.

L’Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi dedicata alla catechesi aveva riconosciuto come dono dello Spirito – oltre alla fioritura, per numero e dedizione, dei catechisti – la maturazione registrata nei metodi che la Chiesa ha saputo elaborare per realizzare la trasmissione della fede, per permettere agli uomini di vivere l’incontro con Cristo [51]. Sono metodi esperienziali che coinvolgono la persona. Si tratta di metodi plurali, che attivano in modo differenziato le facoltà dei singoli, il loro inserimento in un gruppo sociale, le loro attitudini, le loro domande e ricerche. Tali metodi assumono come proprio strumento l’inculturazione [52]. Per evitare il rischio di dispersione e di confusione insito in una situazione così pluralistica e in continua evoluzione, Papa Giovanni Paolo II raccolse in quel contesto un’istanza dei Padri sinodali e l’ha consegnata come regola: la pluralità dei metodi nella catechesi può essere segno di vitalità e di genialità, se ognuno di questi metodi sa interiorizzare e fare sua una legge fondamentale, quella della duplice fedeltà, a Dio e all’uomo, in uno stesso atteggiamento di amore [53].

Allo stesso tempo, al Sinodo sulla catechesi stava a cuore non disperdere i benefici e i valori ricevuti da un passato segnato dalla preoccupazione di garantire una trasmissione della fede sistematica, integrale, organica e gerarchizzata [54]. Per questo motivo il Sinodo ha rilanciato due strumenti fondamentali per la trasmissione della fede: la catechesi e il catecumenato. Grazie ad essi, la Chiesa trasmette la fede in modo attivo, la semina nei cuori dei catecumeni e dei catechizzandi per fecondare le loro esperienze più profonde. La professione di fede ricevuta dalla Chiesa (traditio), germinando e crescendo durante il processo catechistico, è restituita (redditio), arricchita con i valori delle differenti culture. Il catecumenato si trasforma, così, in un centro fondamentale di incremento della cattolicità e fermento di rinnovamento ecclesiale [55].

Il rilancio di questi due strumenti – catechesi e catecumenato – doveva servire a dare corpo a quella che è stata designata con il termine «pedagogia della fede»[56]. A questo termine è affidato il compito di dilatare il concetto di catechesi, coestendendolo a quello di trasmissione della fede. Dal Sinodo sulla catechesi in poi la catechesi ormai non è altro che il processo di trasmissione del Vangelo, così come la comunità cristiana lo ha ricevuto, lo comprende, lo celebra, lo vive e lo comunica [57]. «La catechesi di iniziazione, essendo organica e sistematica, non si riduce al meramente circostanziale od occasionale; essendo formazione per la vita cristiana, supera – includendolo – il mero insegnamento; ed essendo essenziale, mira a ciò che è “comune” per il cristiano, senza entrare in questioni discusse, né trasformarsi in indagine teologica. Infine, essendo iniziazione, incorpora nella comunità che vive, celebra e testimonia la fede. Realizza, pertanto, allo stesso tempo, compiti d’iniziazione, di educazione e d’istruzione. Questa ricchezza, inerente al Catecumenato degli adulti non battezzati, deve ispirare le altre forme di catechesi» [58].

Il catecumenato ci viene così consegnato come il modello che la Chiesa ha recentemente assunto per dare forma ai suoi processi di trasmissione della fede. Rilanciato dal Concilio Vaticano II [59], il catecumenato è stato assunto in tanti progetti di riorganizzazione e rilancio della catechesi, come modello paradigmatico di strutturazione di questo compito evangelizzatore. Così il Direttorio Generale per la Catechesi ne sintetizza gli elementi portanti, lasciando intuire i motivi per cui tante Chiese locali si sono ispirate a questo paradigma per riorganizzare le proprie pratiche di annuncio e di generazione alla fede, dando addirittura origine ad un nuovo modello, il “catecumenato post-battesimale” [60]: ricorda costantemente a tutta la Chiesa la funzione dell’iniziazione alla fede. Richiama la responsabilità di tutta la comunità cristiana. Mette al centro di tutto l’itinerario il mistero della Pasqua di Cristo. Fa dell’inculturazione il principio del proprio funzionamento pedagogico; è immaginato come un vero e proprio processo formativo [61].

15. Le Chiese locali soggetti della trasmissione

Il soggetto della trasmissione della fede è la Chiesa tutta intera, che si manifesta nelle Chiese locali. L’annuncio, la trasmissione e l’esperienza vissuta del Vangelo si realizzano in esse. Più ancora, le stesse Chiese locali, oltre che soggetto, sono anche il frutto di questa azione di annuncio del Vangelo e di trasmissione della fede, come ci ricorda l’esperienza delle prime comunità cristiane (cf. At 2, 42-47): lo Spirito raccoglie i credenti attorno alle comunità che vivono in modo fervente la loro fede, nutrendosi dell’ascolto della parola degli Apostoli e dell’Eucaristia, e spendendo la loro vita nell’annuncio del Regno di Dio. Il Concilio Vaticano II fissa questa descrizione come fondamento dell’identità di ogni comunità cristiana, quando afferma che «la Chiesa di Cristo è veramente presente in tutte le legittime assemblee locali di fedeli, che, aderendo ai loro pastori, sono anch’esse chiamate Chiese nel Nuovo Testamento. Esse infatti sono in un dato luogo il popolo nuovo chiamato da Dio, in Spirito Santo e piena sicurezza (cf. 1 Ts 1, 5). In esse la predicazione del Vangelo di Cristo raduna i fedeli, e vi si celebra il mistero della cena del Signore, “affinché per mezzo della carne e del sangue del Signore si rinsaldi l’intera fraternità del corpo”» [62].

La vita concreta della nostre Chiese ha potuto avere la fortuna di vedere nel campo della trasmissione della fede e più generalmente dell’annuncio una realizzazione concreta e spesso esemplare di questa affermazione del Concilio. Il numero dei cristiani che negli ultimi decenni si sono impegnati in modo spontaneo e gratuito nell’annuncio e nella trasmissione della fede è stato davvero notevole e ha segnato la vita delle nostre Chiese locali come un vero dono dello Spirito fatto alle nostre comunità cristiane. Le azioni pastorali legate alla trasmissione della fede sono diventate un luogo che ha permesso alla Chiesa di strutturarsi dentro i vari contesti sociali locali, mostrando la ricchezza e la varietà dei ruoli e dei ministeri che la compongono e ne animano la vita quotidiana. Attorno al Vescovo si sono visti fiorire il ruolo dei presbiteri, dei genitori, dei religiosi, dei catechisti, delle comunità, ognuno con il proprio compito e la propria competenza [63].

Accanto ai doni e agli aspetti positivi occorre tuttavia registrare anche le sfide che la novità della situazione e le evoluzioni che la contraddistinguono pone a parecchie Chiese locali: la scarsità della presenza numerica dei presbiteri rende il risultato della loro azione meno incisivo di quanto si vorrebbe. Lo stato di affaticamento e di logoramento vissuto da tante famiglie indebolisce il ruolo dei genitori. Il livello troppo debole di condivisione rende l’influsso della comunità cristiana evanescente. Il rischio è che un’azione così importante e fondamentale veda cadere il peso della sua esecuzione sulla figura dei soli catechisti, schiacciati dal peso del compito loro affidato e dalla solitudine in cui si trovano nel realizzarlo.

Come già richiamato nel primo punto, il clima culturale e la situazione di affaticamento in cui si trovano parecchie comunità cristiane rischiano di rendere debole la capacità di annuncio, di trasmissione e di educazione alla fede delle nostre Chiese locali. La domanda dell’apostolo Paolo – «come crederanno […] senza qualcuno che lo annunci?» (Rm 10, 14) – suona ai nostri giorni molto concreta. In una situazione simile vanno riconosciute come un dono dello Spirito la freschezza e le energie che la presenza di gruppi e movimenti ecclesiali è riuscita a infondere in questo compito di trasmissione della fede. Allo stesso tempo si è chiamati a lavorare perché questi frutti possano contagiare e comunicare il loro slancio a quelle forme di catechesi e di trasmissione della fede che hanno perso l’ardore originario.

16. Rendere ragione: lo stile della proclamazione

Il contesto in cui ci troviamo chiede perciò alle Chiese locali uno slancio nuovo, un nuovo atto di fiducia nello Spirito che le guida, perché tornino ad assumere con gioia e fervore il compito fondamentale per il quale Gesù invia i suoi discepoli: l’annuncio del Vangelo (cf. Mc 16, 15), la predicazione del Regno (cf. Mc 3, 15). Occorre che ogni cristiano si senta interpellato da questo comando di Gesù, si lasci guidare dallo Spirito nel rispondere ad esso, secondo la propria vocazione. In un momento in cui la scelta della fede e della sequela di Cristo risulta meno facile e poco comprensibile, se non addirittura contrastata e avversata, aumenta il compito della comunità e dei singoli cristiani di essere testimoni e araldi del Vangelo, come ha fatto Gesù Cristo.

La logica di un simile comportamento ce la suggerisce l’apostolo Pietro, quando ci invita all’apologia, a rendere ragione, a «rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi» (1 Pt 3, 15). Una nuova stagione per la testimonianza della nostra fede, nuove forme di risposta (apo-logia) a chi ci chiede il logos, la ragione della nostra fede, sono le strade che lo Spirito indica alle nostre comunità cristiane: per rinnovare noi stessi, per rendere presente con maggiore incisività nel mondo in cui viviamo la speranza e la salvezza donataci da Gesù Cristo. Si tratta come cristiani di imparare un nuovo stile, di rispondere «con dolcezza e rispetto, con una retta coscienza» (1 Pt 3, 16), con quella forza mite che viene dall’unione con Cristo nello Spirito e con quella determinazione di chi sa di avere come meta l’incontro con Dio Padre, nel suo Regno [64].

Questo stile deve essere uno stile globale, che abbraccia il pensiero e l’azione, i comportamenti personali e la testimonianza pubblica, la vita interna delle nostre comunità e il loro slancio missionario, la loro attenzione educativa e la loro dedizione premurosa ai poveri, la capacità di ogni cristiano di prendere la parola dentro i contesti in cui vive e lavora per comunicare il dono cristiano della speranza. Questo stile deve fare suo l’ardore, la fiducia e la libertà di parola (la parresia) che si manifestavano nella predicazione degli Apostoli (cf. At 4, 31; 9, 27-28) e che il re Agrippa sperimentò ascoltando Paolo: «Ancora un poco e mi convinci a farmi cristiano!» (At 26, 28).

In un tempo in cui tante persone vivono la loro vita come una esperienza vera e propria di «deserto dell’oscurità di Dio, dello svuotamento delle anime senza più coscienza della dignità e del cammino dell’uomo», Papa Benedetto XVI ci ricorda che «la Chiesa nel suo insieme, ed i Pastori in essa, come Cristo devono mettersi in cammino, per condurre gli uomini fuori dal deserto, verso il luogo della vita, verso l’amicizia con il Figlio di Dio, verso Colui che ci dona la vita, la vita in pienezza» [65].

È questo lo stile che il mondo ha diritto di trovare nella Chiesa, nelle comunità cristiane, secondo la logica della nostra fede [66]. Uno stile comunitario e personale; uno stile che interpella alla verifica le comunità nel loro insieme ma anche ogni singolo battezzato, come ci ricorda Papa Paolo VI: «accanto alla proclamazione fatta in forma generale del Vangelo, l’altra forma della sua trasmissione, da persona a persona, resta valida ed importante. [...] Non dovrebbe accadere che l’urgenza di annunziare la buona novella a masse di uomini facesse dimenticare questa forma di annuncio mediante la quale la coscienza personale di un uomo è raggiunta, toccata da una parola del tutto straordinaria che egli riceve da un altro» [67]. 

17. I frutti della trasmissione della fede

Il fine di tutto il processo di trasmissione della fede è l’edificazione della Chiesa come comunità dei testimoni del Vangelo. Afferma Papa Paolo VI: «Comunità di credenti, comunità di speranza vissuta e partecipata, comunità d’amore fraterno, essa ha bisogno di ascoltare di continuo ciò che deve credere, le ragioni della sua speranza, il comandamento nuovo dell’amore. Popolo di Dio immerso nel mondo, e spesso tentato dagli idoli, essa ha sempre bisogno di sentir proclamare “le grandi opere di Dio”, che l’hanno convertita al Signore, e d’essere nuovamente convocata e riunita da lui. Ciò vuol dire, in una parola, che essa ha sempre bisogno d’essere evangelizzata, se vuol conservare freschezza, slancio e forza per annunziare il Vangelo» [68].

I frutti che questo ininterrotto processo di evangelizzazione genera dentro la Chiesa come segno della forza vivificante del Vangelo prendono forma nel confronto con le sfide del nostro tempo. C’è bisogno di generare famiglie segno vero e reale di amore e di condivisione, capaci di speranza perché aperte alla vita; occorre la forza di costruire comunità dotate di vero spirito ecumenico e capaci di un dialogo con le altre religioni; urge il coraggio di sostenere iniziative di giustizia sociale e solidarietà, che mettono al centro dell’interesse della Chiesa il povero; si auspica la gioia nel donare la propria vita in un progetto vocazionale o di consacrazione. Una Chiesa che trasmette la sua fede, una Chiesa della “nuova evangelizzazione” è capace in tutti questi ambiti di mostrare lo Spirito che la guida e che trasfigura la storia: la storia della Chiesa, dei cristiani, degli uomini e delle loro culture.

Fa parte di questa logica del riconoscimento dei frutti anche il coraggio di denunciare le infedeltà e gli scandali che emergono nelle comunità cristiane, come segno e conseguenza di momenti di fatica e stanchezza in questo compito di annuncio. Il coraggio di riconoscere le colpe; la capacità di continuare a testimoniare Gesù Cristo mentre raccontiamo il nostro continuo bisogno di essere salvati, sapendo che – come ci insegna l’apostolo Paolo – possiamo guardare le nostre debolezze perché in questo modo riconosciamo la potenza di Cristo che ci salva (cf. 2 Cor 12, 9; Rm 7, 14s); l’esercizio della penitenza, l’impegno in cammini di purificazione e la volontà di riparare le conseguenze dei nostri errori; una solida fiducia che la speranza che ci è stata donata «non delude, perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato» (Rm 5, 5) sono anch’essi frutto di una trasmissione della fede, di un annuncio del Vangelo che in primo luogo non smette di rinnovare i cristiani, le loro comunità, mentre porta al mondo il Vangelo di Gesù Cristo.

Domande

Fare esperienza di Cristo è il fine della trasmissione della fede da condividere con i vicini e i lontani. Essa ci sprona alla missione.

1. Quanto le nostre comunità cristiane riescono a proporre luoghi ecclesiali che siano strumento di esperienza spirituale?

2. Quanto i nostri cammini di fede hanno come obiettivo non la sola adesione intellettuale alla verità cristiana, ma riescono a far vivere esperienze reali di incontro e di comunione, di “abitazione” nel mistero di Cristo?

3. In che modo le singole Chiese hanno trovato soluzioni e risposte alla domanda di esperienza spirituale che attraversa anche le giovani generazioni di oggi?

La Parola e l’Eucaristia sono i veicoli principali, gli strumenti privilegiati per vivere la fede cristiana come esperienza spirituale.

4. In che modo le due precedenti Assemblee del Sinodo dei Vescovi hanno aiutato le comunità cristiane ad aumentare la qualità dell’ascolto della Parola nelle nostre Chiese? In che modo hanno aiutato ad aumentare la qualità delle nostre celebrazioni eucaristiche?

5. Quali sono gli elementi meglio recepiti? Quali riflessioni e quali suggerimenti attendono ancora una ricezione?

6. Quanto i gruppi di ascolto e di confronto sulla Parola di Dio stanno diventando strumento comune di vita cristiana per le nostre comunità? In che modo le nostre comunità esprimono la centralità dell’Eucaristia (celebrata, adorata), e a partire da essi strutturano le loro azioni e la loro vita?

Dopo decenni di forte effervescenza il campo della catechesi mostra segni di fatica e di stanchezza, anzitutto a livello dei soggetti chiamati a sostenere e ad animare questa azione ecclesiale.

7. Qual è l’esperienza concreta delle nostre Chiese?

8. Come si è cercato di dare riconoscimento e solidità all’interno delle comunità cristiane alla figura del catechista? Come si è cercato di dare concretezza ed efficacia al riconoscimento di un ruolo attivo anche ad altri soggetti nel compito di trasmissione della fede (genitori, padrini, la comunità cristiana)?

9. Quali iniziative sono state pensate a sostegno dei genitori, per incoraggiarli in un compito (la trasmissione, e di conseguenza la trasmissione della fede) che la cultura riconosce sempre meno come loro affidato?

Negli ultimi decenni, rispondendo anche ad una richiesta del Concilio Vaticano II, parecchie Conferenze Episcopali si sono impegnate in percorsi di riprogettazione degli itinerari e dei testi di catechesi.

10. Qual è la situazione di questi progetti?

11. Quali effetti benefici hanno prodotto nel processo di trasmissione della fede? Con quali fatiche e con quali ostacoli si sono dovuti misurare?

12. La pubblicazione del Catechismo della Chiesa Cattolica quali strumenti ha fornito, in questo percorso di riprogettazione?

13. Come le singole comunità cristiane (le parrocchie) e i vari gruppi e movimenti lavorano per garantire nei fatti una catechesi il più possibile ecclesiale e progettata in modo concordato e condiviso con gli altri soggetti ecclesiali?

14. A seguito dei forti mutamenti culturali in atto, quali sono le istanze pedagogiche di fronte alle quali l’azione catechistica delle nostre Chiese si sente più sguarnita e scoperta?

15. Quanto lo strumento del catecumenato è stato assunto come modello a partire dal quale costruire il progetto di catechesi e di educazione alla fede nelle comunità cristiane?

La situazione epocale chiede alla Chiesa un rinnovato stile evangelizzatore, una nuova disponibilità a rendere ragione della nostra fede e della speranza che è in noi.

16. Quanto le Chiese locali sono riuscite a diffondere questa nuova esigenza nelle comunità cristiane? Quali i risultati? Quali le fatiche e le resistenze?

17. L’urgenza di un nuovo annuncio missionario è diventata una componente abituale delle azioni pastorali delle comunità? È passata la convinzione che la missione ormai la si vive anche nelle nostre comunità cristiane locali, nei nostri contesti normali di vita?

18. Quali altri soggetti, oltre alle comunità, animano il tessuto sociale portandovi l’annuncio del Vangelo? Con quali azioni e metodi? Con quali risultati?

19. In che modo i singoli battezzati hanno maturato la consapevolezza di essere chiamati in prima persona a questo annuncio? Quali esperienze si possono raccontare al riguardo?

L’annuncio e la trasmissione della fede generano come frutto la comunità cristiana.

20. Quali sono i frutti principali che la trasmissione della fede ha generato nelle vostre Chiese?

21. Quanto le singole comunità cristiane sono preparate a riconoscere questi frutti, a sostenerli e a nutrirli? Di quali frutti si sente maggiormente la mancanza?

22. Quali resistenze, quali fatiche e anche quali scandali ostacolano questo annuncio? Come le comunità hanno saputo vivere questi momenti traendo da essi lo spunto per un rilancio spirituale e missionario?

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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