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DOCUMENTO: Lineamenta per il Sinodo dei Vescovi sulla nuova evangelizzazione

Ultimo Aggiornamento: 05/03/2011 10:33
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05/03/2011 10:27
 
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Terzo capitolo

Iniziare all’esperienza cristiana 

«Fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato» (Mt 28, 19-20)

18. L’iniziazione cristiana, processo evangelizzatore

La riflessione sulla trasmissione della fede che abbiamo appena presentato, insieme ai mutamenti sociali e culturali che si pongono di fronte al cristianesimo di oggi come una sfida, hanno dato avvio dentro la Chiesa ad un diffuso processo di riflessione e di revisione dei percorsi di introduzione alla fede e di accesso ai sacramenti. Le affermazioni del Concilio Vaticano II [69], che quando furono scritte suonavano per tante comunità cristiane come degli auspici, oggi invece sono divenute realtà in numerose Chiese locali. È possibile fare esperienza di tanti elementi lì elencati, cominciando proprio dalla consapevolezza ormai maturata dappertutto del legame intrinseco che unisce i sacramenti della iniziazione cristiana. Battesimo, Cresima ed Eucaristia vengono visti non più come tre sacramenti separati, ma come le tappe di un cammino di generazione alla vita cristiana adulta, all’interno di un percorso organico di iniziazione alla fede. L’iniziazione cristiana è ormai un concetto e uno strumento pastorale conosciuto e ben radicato nelle Chiese locali.

In questo processo, le Chiese locali che vantano una tradizione secolare di iniziazione alla fede devono molto alle Chiese più giovani. Insieme si è imparato ad assumere come modello del cammino di iniziazione alla fede l’adulto e non più il bambino [70]. Si è riusciti a ridare importanza al sacramento del battesimo, assumendo la struttura del catecumenato antico come un esempio per organizzare dei dispositivi pastorali che nei nostri contesti culturali consentano una celebrazione più consapevole, maggiormente preparata e più capace di garantire la partecipazione futura dei nuovi battezzati alla vita cristiana. Molte comunità cristiane hanno avviato revisioni significative delle loro pratiche battesimali, rivedendo i modi di coinvolgimento dei genitori, nel caso del battesimo dei bambini, ed esplicitando il momento di evangelizzazione, di annuncio esplicito della fede. Hanno cercato di strutturare celebrazioni del sacramento del battesimo che diano maggiore spazio al coinvolgimento della comunità e mostrino in modo più visibile il sostegno dato ai genitori in un compito, come quello della educazione cristiana, che si fa sempre più arduo. Ascoltando l’esperienza delle Chiese Cattoliche Orientali, si è fatto ricorso alla mistagogia, per immaginare percorsi di iniziazione che non si arrestino alla soglia della celebrazione sacramentale, ma continuino la loro azione formatrice anche dopo, per ricordare in modo esplicito che l’obiettivo è quello di educare ad una fede cristiana adulta [71].

Il confronto avviato ha acceso una riflessione teologica e pastorale, che tenendo conto delle peculiarità dei diversi riti, aiuti la Chiesa a trovare una ristrutturazione condivisa delle proprie pratiche di introduzione e di educazione alla fede. Emblematica al riguardo è la questione dell’ordine dei Sacramenti dell’iniziazione. Nella Chiesa vi sono tradizioni differenti. Tale diversità si manifesta con evidenza nelle consuetudini ecclesiali dell’Oriente, e nella stessa prassi occidentale per quanto concerne l’iniziazione degli adulti, rispetto a quella dei bambini. Tale diversità trova una accentuazione ulteriore nel modo con cui viene vissuto e celebrato il sacramento della Confermazione.

Certamente si può affermare che dal modo con cui la Chiesa in Occidente saprà gestire questa revisione delle sue pratiche battesimali dipenderà il volto futuro del cristianesimo nel suo mondo e la capacità della fede cristiana di parlare alla sua cultura. Non tutto, però, in questo processo di revisione, ha funzionato sempre in termini positivi. Ci sono stati fraintendimenti, ovvero volontà di interpretare le trasformazioni richieste come l’occasione per introdurre delle logiche di rottura: le nuove pratiche pastorali venivano lette e comprese alla luce di una ermeneutica della frattura creatrice, che vedeva nel nuovo che nasceva la possibilità di dare un giudizio sul passato recente della Chiesa e allo stesso tempo la possibilità di instaurare forme sociali inedite per dire e per vivere il cristianesimo oggi. In questi termini è stata presentata qualche volta come una necessità inderogabile l’abbandono della pratica del battesimo dei bambini. In modo simmetrico, un serio ostacolo alla revisione in atto è venuto dai comportamenti inerziali mantenuti da alcune comunità cristiane, nella convinzione che la semplice ripetizione di azioni stereotipate fosse garanzia di bontà e di successo per l’azione ecclesiale.

Il processo di revisione consegna alla Chiesa alcuni luoghi ed alcuni problemi come vere e proprie sfide, che pongono le comunità cristiane di fronte all’obbligo di discernere e poi adottare nuovi stili di azione pastorale. È certamente una sfida per la Chiesa trovare in questo momento una collocazione condivisa al sacramento della Confermazione. La richiesta è stata avanzata anche durante l’Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi sull’Eucaristia, e ripresa da Papa Benedetto XVI nella successiva esortazione postsinodale [72]. Le Conferenze Episcopali hanno adottato nel recente passato scelte differenti al riguardo, motivate dalle diverse prospettive da cui veniva letta la problematica (pedagogica, sacramentale, ecclesiale). Così pure si presenta come una sfida alla Chiesa la capacità di ridare contenuto ed energia a quella dimensione mistagogica dei percorsi di iniziazione, senza la quale quegli stessi itinerari risulterebbero privi di un ingrediente essenziale del processo di generazione alla fede. Si presenta come una sfida ulteriore, infine, la necessità di non delegare ad eventuali percorsi scolastici di educazione religiosa il compito che è proprio della Chiesa di annunciare il Vangelo e di generare alla fede, anche nei confronti dei ragazzi e degli adolescenti. Le pratiche in questo settore sono molto differenziate, di nazione in nazione, e non consentono l’elaborazione di risposte uniche o uniformi. Ma l’istanza rimane valida per ogni Chiesa locale.

Come si può intuire, il campo dell’iniziazione è davvero un ingrediente essenziale del compito di evangelizzare. La “nuova evangelizzazione” ha molto da dire su di esso: occorre infatti che la Chiesa continui in modo forte e determinato quegli esercizi di discernimento già in atto, e allo stesso tempo trovi energie per rimotivare quei soggetti e quelle comunità che mostrano segni di stanchezza e di rassegnazione. Il volto futuro delle nostre comunità dipende molto dalle energie investite in questa azione pastorale e dalle iniziative concrete proposte ed attuate per un suo ripensamento e rilancio.

19. Primo annuncio come esigenza di forme nuove del discorso su Dio

Il processo di revisione dei percorsi di iniziazione alla fede ha dato ulteriore risalto ad una sfida decisamente presente nella situazione attuale: la fatica sempre maggiore con cui gli uomini e le donne di oggi sentono parlare di Dio, intercettano luoghi ed esperienze che li aprono ad un simile discorso. Si tratta di una difficoltà con cui la Chiesa si sta misurando da tempo, e che quindi non soltanto è stata denunciata, ma ha conosciuto già alcuni strumenti di risposta. Già Papa Paolo VI, prendendo atto di questa sfida, ha posto la Chiesa di fronte all’urgenza di trovare nuove strade per la proposta della fede cristiana [73]. È nato così lo strumento del “primo annuncio” [74], inteso come strumento di proposta esplicita, meglio ancora di proclamazione, del contenuto fondamentale della nostra fede.

Assunto a pieno titolo nel lavoro di riprogettazione in atto degli itinerari di introduzione alla fede, il primo annuncio si dirige ai non credenti, a quelli che, di fatto, vivono nell’indifferenza religiosa. Esso ha la funzione di annunciare il Vangelo e la conversione, in genere, a coloro che tuttora non conoscono Gesù Cristo. La catechesi, distinta dal primo annuncio del Vangelo, promuove e fa maturare questa conversione iniziale, educando alla fede il convertito e incorporandolo nella comunità cristiana. La relazione tra queste due forme del ministero della Parola non è però sempre facile da fare, e non necessariamente deve essere affermata in modo netto. Si tratta di una duplice attenzione che spesso si trova coniugata nella medesima azione pastorale. Capita frequentemente, infatti, che le persone che accedono alla catechesi necessitano di vivere ancora una vera conversione. Perciò, sarà utile porre maggiore attenzione, nei percorsi di catechesi e di educazione alla fede, all’annuncio del Vangelo che chiama a questa conversione, che la provoca e la sostiene. È questo il modo con cui la nuova evangelizzazione stimola gli itinerari abituali di educazione alla fede, accentuando il loro carattere kerigmatico, di annuncio [75].

Una prima risposta diretta alla sfida lanciata, dunque, è stata elaborata. Ma, al di là della risposta diretta, il discernimento che stiamo compiendo ci chiede di soffermarci a comprendere ancora più in profondità le ragioni di una simile estraniazione del discorso su Dio dalla nostra cultura. Si tratta di verificare quanto una simile situazione non abbia interessato le stesse comunità cristiane [76], anzitutto. Occorre soprattutto per ricercare le forme e gli strumenti per elaborare discorsi su Dio che sappiano intercettare le attese e le ansie degli uomini di oggi, mostrando loro come la novità che è Cristo sia il dono che tutti attendiamo, a cui ogni uomo anela come al compimento inespresso della sua ricerca di senso e della sua sete di verità. L’oblio del discorso su Dio si trasformerà così in un’occasione di annuncio missionario. La vita quotidiana ci saprà suggerire dove identificare quei “cortili dei gentili” [77] entro i quali le nostre parole diventano non soltanto udibili ma anche significative e medicinali per l’umanità. Il compito della “nuova evangelizzazione” è condurre sia i cristiani praticanti che coloro che si pongono domande su Dio e lo cercano a percepire la sua chiamata personale nella loro coscienza. La nuova evangelizzazione è un invito alle comunità cristiane perché pongano maggiormente la loro fiducia nello Spirito che le guida dentro la storia. Saranno così capaci di vincere le paure che provano, e riusciranno a vedere con maggiore lucidità i luoghi e i sentieri attraverso i quali porre la questione di Dio al centro della vita degli uomini di oggi.

20. Iniziare alla fede, educare alla verità

La necessità di un discorso su Dio porta come conseguenza la possibilità e la necessità di un analogo discorso sull’uomo. L’evangelizzazione lo esige di suo, come legame diretto. Esiste un vincolo forte tra iniziazione alla fede ed educazione. Lo affermava il Concilio Vaticano II [78]. Ha rilanciato di recente questa convinzione Papa Benedetto XVI: «Alcuni pongono oggi in questione l’impegno della Chiesa nell’educazione, chiedendosi se le sue risorse non potrebbero essere meglio impiegate altrove. […] La missione, primaria nella Chiesa, di evangelizzare, nella quale le istituzioni educative giocano un ruolo cruciale, è in consonanza con l’aspirazione fondamentale della nazione di sviluppare una società veramente degna della dignità della persona umana. A volte, tuttavia, il valore del contributo della Chiesa al forum pubblico è posto in questione. È perciò importante ricordare che la verità della fede e quella della ragione non si contraddicono mai tra loro» [79]. La Chiesa con la verità rivelata purifica la ragione e l’aiuta a riconoscere le verità ultime come fondamento della moralità e dell’etica umana. La Chiesa per sua propria indole sostiene le categorie morali essenziali, mantenendo viva nell’umanità la speranza.

Le parole di Papa Benedetto XVI elencano i motivi per cui è naturale che l’evangelizzazione e l’iniziazione alla fede siano accompagnate da un’azione educativa che la Chiesa svolge come servizio al mondo. Questo compito, oggi siamo chiamati a realizzarlo in un momento e in contesto culturale in cui ogni forma di azione educativa appare più difficoltosa e critica, al punto tale che lo stesso Papa parla di “emergenza educativa” [80].

Con il termine di “emergenza educativa” il Papa intende alludere alle difficoltà sempre maggiori che oggi incontra non soltanto l’azione educativa cristiana, ma più in generale ogni azione educativa. Si fa sempre più fatica a trasmettere alle nuove generazioni i valori-base dell’esistenza e di un retto comportamento. E questa fatica la vivono i genitori, che vedono ridotta sempre di più la loro capacità di influsso nel processo educativo, ma anche le agenzie educative deputate a questo compito, a partire dalla scuola.

Una simile deriva era in parte prevedibile: in una società e in una cultura che troppo spesso fanno del relativismo il proprio credo, viene a mancare la luce della verità. Si considera troppo impegnativo parlare di verità, lo si considera “autoritario”, e si finisce per dubitare della bontà della vita – è bene essere uomo? è bene vivere? – e della validità dei rapporti e degli impegni che costituiscono la vita. In un simile contesto come sarebbe possibile proporre ai più giovani e trasmettere di generazione in generazione qualcosa di valido e di certo, delle regole di vita, un autentico significato e convincenti obiettivi per l’esistenza umana, sia come persone sia come comunità? Perciò l’educazione tende ampiamente a ridursi alla trasmissione di determinate abilità, o capacità di fare, mentre si cerca di appagare il desiderio di felicità delle nuove generazioni colmandole di oggetti di consumo e di gratificazioni effimere. Così sia i genitori sia gli insegnanti sono facilmente tentati di abdicare ai propri compiti educativi e di non comprendere nemmeno più quale sia il loro ruolo, la missione loro affidata.

E qui sta l’emergenza educativa: non siamo più capaci di offrire ai giovani, alle nuove generazioni, quanto è nostro compito trasmettere loro. Noi siamo debitori nei loro confronti anche dei veri valori che danno fondamento alla vita. Finisce così disatteso e dimenticato lo scopo essenziale dell’educazione, che è la formazione della persona per renderla capace di vivere in pienezza e di dare il proprio contributo al bene della comunità. Cresce perciò, da più parti, la domanda di un’educazione autentica e la riscoperta del bisogno di educatori che siano davvero tali. Una simile richiesta vede accomunati genitori (preoccupati e spesso angosciati per il futuro dei propri figli), insegnanti (che vivono la triste esperienza del degrado della scuola), la stessa società, che vede minate le basi stesse della convivenza.

In un simile contesto l’impegno della Chiesa per educare alla fede, alla sequela e alla testimonianza del Signore assume più che mai anche il valore di un contributo per far uscire la società in cui viviamo dalla crisi educativa che la affligge, mettendo un argine alla sfiducia e a quello strano “odio di sé”, a quelle forme di autodenigrazione che sembrano essere diventate una caratteristica di alcune nostre culture. Un simile impegno può fornire ai cristiani la giusta occasione per abitare lo spazio pubblico delle nostre società riproponendo dentro questo spazio la questione su Dio, e portando come dono la propria tradizione educativa, il frutto che le comunità cristiane, guidate dallo Spirito, hanno saputo produrre in questo campo.

La Chiesa possiede al riguardo una tradizione, ovvero un capitale storico di risorse pedagogiche, riflessione e ricerca, istituzioni, persone – consacrate e non, raccolte in ordini religiosi, in congregazioni – in grado di offrire una presenza significativa nel mondo della scuola e dell’educazione. Per di più, interessato dalle trasformazioni sociali e culturali in atto, questo capitale sta conoscendo anch’esso mutamenti significativi. Sarà utile perciò immaginare anche un discernimento in questo settore, per individuare i punti critici che i mutamenti stanno generando. Si dovranno riconoscere le energie di futuro, le sfide che necessitano di un’istruzione adeguata, sapendo che compito fondamentale della Chiesa è educare alla fede, alla sequela e alla testimonianza, aiutando ad entrare in un rapporto vivo con Cristo e con il Padre.

21. L’obiettivo di una “ecologia della persona umana”

L’obiettivo di tutto questo impegno educativo della Chiesa è facilmente identificabile. Si tratta di lavorare alla costruzione di quella che Papa Benedetto XVI definisce una “ecologia della persona umana”. «È necessario che ci sia qualcosa come un’ecologia dell’uomo, intesa in senso giusto. […] Il problema decisivo è la complessiva tenuta morale della società. Se non si rispetta il diritto alla vita e alla morte naturale, se si rende artificiale il concepimento, la gestazione e la nascita dell’uomo, se si sacrificano embrioni umani alla ricerca, la coscienza comune finisce per perdere il concetto di ecologia umana e, con esso, quello di ecologia ambientale. È una contraddizione chiedere alle nuove generazioni il rispetto dell’ambiente naturale, quando l’educazione e le leggi non le aiutano a rispettare se stesse. Il libro della natura è uno e indivisibile, sul versante dell’ambiente come sul versante della vita, della sessualità, del matrimonio, della famiglia, delle relazioni sociali, in una parola dello sviluppo umano integrale. I doveri che abbiamo verso l’ambiente si collegano con i doveri che abbiamo verso la persona considerata in se stessa e in relazione con gli altri. Non si possono esigere gli uni e conculcare gli altri. Questa è una grave antinomia della mentalità e della prassi odierna, che avvilisce la persona, sconvolge l’ambiente e danneggia la società» [81].

La fede cristiana sostiene l’intelligenza nella comprensione dell’equilibrio profondo che regge la struttura dell’esistenza e della sua storia. Svolge questa operazione non in modo generico o dall’esterno, ma condividendo con la ragione la sete di sapere, la sete di ricerca, orientandola verso il bene dell’uomo e del cosmo. La fede cristiana contribuisce alla comprensione del contenuto profondo delle esperienze fondamentali dell’uomo, come il testo appena citato ci mostra. È un compito – quello di questo confronto critico e di indirizzo – che il cattolicesimo svolge da tempo. Per esso si è sempre meglio attrezzato, dando vita ad istituzioni, centri di ricerca, università, frutto della intuizione e del carisma di alcuni o della premura educativa delle Chiese locali. Questi istituti svolgono la loro funzione abitando lo spazio comune della ricerca e dello sviluppo della conoscenza nelle diverse culture e società. I mutamenti sociali e culturali che abbiamo presentato pongono domande e generano sfide a queste istituzioni. Il discernimento che sta alla base della “nuova evangelizzazione” è chiamato ad occuparsi di questo impegno culturale ed educativo della Chiesa. Si potranno così individuare i punti critici di queste sfide, le energie e le strategie da adottare per garantire il futuro non soltanto della Chiesa ma dell’uomo e dell’umanità.

Immaginare tutti questi spazi culturali come altrettanti “cortili dei gentili”, aiutandoli a vivere la loro vocazione originaria dentro i nuovi scenari che avanzano, quella cioè di portare positivamente la questione su Dio e l’esperienza della fede cristiana dentro le questioni del tempo; aiutare questi spazi ad essere luoghi in cui formare delle persone libere e adulte, capaci a loro volta di portare la questione di Dio dentro la loro vita, nel lavoro, nella famiglia, sono sicuramente degli impegni da “nuova evangelizzazione”.

22. Evangelizzatori ed educatori perché testimoni

Il contesto di emergenza educativa in cui ci troviamo dà ancora più forza alle parole di Papa Paolo VI: «L’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri, o se ascolta i maestri lo fa perché sono dei testimoni. […] È dunque mediante la sua condotta, mediante la sua vita, che la Chiesa evangelizzerà innanzitutto il mondo, vale a dire mediante la sua testimonianza vissuta di fedeltà al Signore Gesù, di povertà e di distacco, di libertà di fronte ai poteri di questo mondo, in una parola, di santità» [82]. Qualsiasi progetto di “nuova evangelizzazione”, qualsiasi progetto di annuncio e di trasmissione della fede non può prescindere da questa necessità: avere uomini e donne che con la loro condotta di vita danno forza all’impegno evangelizzatore che vivono. È proprio questa loro esemplarità il valore aggiunto che conferma la verità della loro dedizione, del contenuto di quanto insegnano e di ciò che chiedono di vivere. L’attuale emergenza educativa fa crescere la domanda di educatori che sappiano essere testimoni credibili di quelle realtà e di quei valori sui quali è possibile fondare sia l’esistenza personale di ogni uomo, sia i progetti condivisi del vivere sociale. Al riguardo abbiamo eccellenti esempi. Basti ricordare san Paolo, san Patrizio, san Bonifacio, san Francesco Saverio, i santi Cirillo e Metodio, san Turibio da Mongrovejo, san Damiano de Veuster, la Beata Madre Teresa di Calcutta.

Questa richiesta si trasforma per la Chiesa di oggi in un compito di sostegno e di formazione delle tante persone che da tempo si impegnano in questi compiti di evangelizzazione e di educazione (vescovi, presbiteri, catechisti, educatori, insegnanti, genitori); delle comunità cristiane, chiamate a dare maggiore riconoscimento e ad investire maggiori risorse in questo compito essenziale per il futuro della Chiesa e dell’umanità. Occorre affermare con chiarezza l’essenzialità di questo ministero di evangelizzazione, di annuncio e di trasmissione, dentro le nostre Chiese. Occorre che le singole comunità rivedano le priorità delle loro azioni, per concentrare energie e forze in questo impegno comune di “nuova evangelizzazione”.

Perché la fede sia sostenuta e nutrita ha bisogno inizialmente di quell’ambito originario che è la famiglia, primo luogo dell’educazione alla preghiera [83]. Nello spazio familiare può avvenire l’educazione alla fede essenzialmente nella forma di educazione alla preghiera del bambino. Pregare insieme al bambino serve ai genitori per abituarlo a riconoscere la presenza amante del Signore, permettendo loro ridiventare testimoni autorevoli presso il bambino stesso.

La formazione e la cura con cui dovranno non soltanto sostenere gli evangelizzatori già in funzione, ma fare appello anche a nuove forze, non si ridurrà ad una mera preparazione tecnica, pur necessaria. Sarà anzitutto una formazione spirituale, una scuola della fede alla luce del Vangelo di Gesù Cristo, sotto la guida dello Spirito, per vivere l’esperienza della paternità di Dio. Può evangelizzare solo chi a sua volta si è lasciato e si lascia evangelizzare, chi è capace di lasciarsi rinnovare spiritualmente dall’incontro e dalla comunione vissuta con Gesù Cristo. Può trasmettere la fede, come ci testimonia l’apostolo Paolo: «Ho creduto, perciò ho parlato» (2 Cor 4, 13).

Perciò la nuova evangelizzazione è soprattutto un compito e una sfida spirituale. È un compito di cristiani che perseguono la santità. In questo contesto e con questo modo di intendere la formazione sarà utile dedicare spazio e tempo ad un confronto sulle istituzioni e gli strumenti di cui le Chiese locali dispongono per rendere i battezzati consapevoli del loro impegno missionario ed evangelizzatore. Di fronte agli scenari della nuova evangelizzazione, i testimoni per essere credibili devono saper parlare i linguaggi del loro tempo, annunciando così dal di dentro le ragioni della speranza che li anima (cf. 1 Pt 3, 15). Un simile compito non può essere immaginato in modo spontaneo, richiede attenzione, educazione e cura.
 

Domande

Il progetto della nuova evangelizzazione si propone come un esercizio di verifica di tutti i luoghi e le azioni di cui la Chiesa dispone per annunciare al mondo il Vangelo.

1. Lo strumento del “primo annuncio” è conosciuto e diffuso nelle comunità cristiane?

2. Le comunità cristiane costruiscono azioni pastorali che hanno come obiettivo la proposta specifica dell’adesione al Vangelo, della conversione al cristianesimo?

3. Più in generale, come le singole comunità cristiane si misurano con l’esigenza di elaborare forme nuove per un discorso su Dio dentro la società e anche dentro le nostre stesse comunità? Quali esperienze significative è utile condividere con le altre Chiese?

4. Il progetto del “cortile dei gentili” come è stato assunto e sviluppato nelle diverse Chiese locali?

5. A quale livello di priorità è stato assunto dalle singole comunità cristiane l’impegno di osare vie nuove di evangelizzazione? Quali sono le iniziative più riuscite di apertura missionaria delle comunità cristiane?

6. Quali esperienze, quali istituzioni, quali nuove aggregazioni o gruppi sono nati o si sono diffusi, con l’obiettivo di un annuncio gioioso e contagioso del Vangelo agli uomini?

7. Quali collaborazioni tra comunità parrocchiali e queste nuove esperienze?

La Chiesa ha impegnato molte energie per ristrutturare i propri percorsi di iniziazione ed educazione alla fede.

8. Quanto l’esperienza dell’iniziazione cristiana degli adulti è stata assunta come modello per ripensare i cammini di iniziazione alla fede nelle nostre comunità?

9. Quanto e come è stato assunto lo strumento dell’iniziazione cristiana? In che modo ha aiutato il ripensamento della pastorale battesimale, e l’accentuazione del legame tra i sacramenti del Battesimo, Confermazione, Eucaristia?

10. Le Chiese cattoliche orientali amministrano in modo unitario i sacramenti della iniziazione cristiana al bambino. Quali sono le ricchezze e le peculiarità di questa loro esperienza? Come si sentono sollecitate dalle riflessioni e dai cambiamenti in atto nella Chiesa, per quanto riguarda l’iniziazione cristiana?

11. Come il “catecumenato battesimale” ha ispirato una revisione dei percorsi di preparazione ai sacramenti, trasformandoli in itinerari di iniziazione cristiana, capaci di coinvolgere in modo attivo i vari membri della comunità (in particolare gli adulti), e non soltanto i vari soggetti interessati? Come le comunità cristiane si pongono al fianco dei genitori, in un compito di trasmissione della fede che si fa sempre più arduo?

12. Quali evoluzioni ha conosciuto la collocazione del sacramento della Confermazione, dentro questo itinerario? In seguito a quali motivazioni?

13. Come si è riusciti a dare corpo ad itinerari mistagogici?

14. Quanto le comunità cristiane sono riuscite a trasformare il cammino di educazione alla fede in una questione adulta e rivolta anzitutto ad adulti, sottraendolo in questo modo ai rischi di una sua collocazione esclusiva nell’età dell’infanzia?

15. Le Chiese locali stanno elaborando riflessioni esplicite sul ruolo dell’annuncio e sulla necessità di dare maggiore importanza alla generazione alla fede, alla pastorale battesimale?

16. È superata la fase della delega del compito di educazione alla fede da parte delle comunità parrocchiali ad altre agenzie di educazione religiosa (ad esempio alle istituzioni scolastiche, confondendo i cammini di educazione alla fede ad eventuali forme di educazione culturale al fatto religioso)?

La sfida educativa interpella le nostre Chiese come una vera e propria emergenza.

17. Con che grado di sensibilità è stata raccolta? E con quali energie?

18. La presenza di istituzioni cattoliche nel mondo della scuola come aiuta a rispondere a questa sfida? Da quali mutamenti sono interessate queste istituzioni? Con quali risorse riescono a rispondere alla sfida?

19. Che legame sussiste tra queste istituzioni e le altre istituzioni ecclesiali, tra queste istituzioni e la vita parrocchiale?

20. In che modo queste istituzioni riescono ad avere voce dentro la cultura e la società, arricchendo i dibattiti e i movimenti culturali di pensiero con la voce dell’esperienza cristiana di fede?

21. Che rapporto sussiste tra queste istituzioni cattoliche e le altre istituzioni educative, tra loro e la società?

22. In che modo le grandi istituzioni culturali (università cattoliche, centri culturali, centri di ricerca) che la storia ci ha lasciato in eredità riescono a prendere la parola nei dibattiti che interessano i valori fondamentali dell’uomo (difesa della vita, della famiglia, della pace, della giustizia, della solidarietà, del creato)?

23. Come riescono ad essere strumento che aiuta l’uomo a dilatare i confini della sua ragione, a ricercare la verità, a riconoscere le tracce del disegno di Dio che dà senso alla nostra storia? E, in modo corrispettivo, come aiutano le comunità cristiane a decifrare e a favorire l’ascolto delle domande e delle attese profonde espresse dalla cultura di oggi?

24. Quanto queste istituzioni riescono ad immaginarsi all’interno di quell’esperienza denominata “cortile dei gentili”? Riescono cioè ad immaginarsi come luoghi in cui i cristiani vivono l’audacia di imbastire forme di dialogo che intercettino le attese più profonde degli uomini e la loro sete di Dio; e di porre dentro questi contesti la domanda su Dio, condividendo la propria esperienza di ricerca e raccontando come dono l’incontro con il Vangelo di Gesù Cristo?

Il progetto della nuova evangelizzazione richiede forme e percorsi di formazione all’annuncio e alla testimonianza.

25. Come le comunità cristiane vivono l’urgenza di chiamare, formare e sostenere persone che sappiano essere evangelizzatori ed educatori perché testimoni?

26. Quali ministeri, istituiti ma molto più spesso “di fatto”, le Chiese locali hanno visto sorgere (o favorito), con questa chiara finalità evangelizzatrice?

27. Come le parrocchie si sono lasciate ispirare al riguardo dalla vitalità di alcuni movimenti e realtà carismatiche?

28. Diverse Conferenze Episcopali in questi decenni hanno fatto della missione e della evangelizzazione gli elementi centrali e le priorità dei loro progetti pastorali: che risultati hanno ottenuto? Come sono riuscite a sensibilizzare le comunità cristiane sulla qualità “spirituale” di questa sfida missionaria?

29. In che modo questo accento della “nuova evangelizzazione” ha aiutato la revisione e la riorganizzazione dei percorsi di formazione dei candidati al presbiterato? Come le diverse istituzioni deputate a questa formazione (seminari diocesani, regionali, gestiti da ordini religiosi) hanno saputo rileggere ed adeguare le loro regole di vita a questa priorità?

30. In che modo il ministero del diaconato, ripristinato di recente, ha trovato in questo mandato evangelizzatore uno dei contenuti della sua identità?

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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