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"SPOSATI!! E SOTTOMETTITI" la superba provocazione per riscattare il vero ruolo della Donna ^__^

Ultimo Aggiornamento: 18/11/2013 20:10
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LA GIUSTA PROVOCAZIONE..... clicca anche qui



In un libro la riscossa della donna cattolica

di Raffaella Frullone
08-03-2011


Spòsati e sii sottomessa.

Il titolo mi capita fra le mani quasi per caso, ed ho un sussulto. Passi per lo “spòsati” che più che un suggerimento è un auspicio, visto che rappresenta il desiderio più o meno espresso di ogni donna, comprese le femministe più convinte e le single impenitenti, è quel “sii sottomessa” che mi lascia un po’ perplessa perché, ne sono sicura, non troverebbe d’accordo praticamente nessuna delle 27 spose che negli ultimi 5 anni ho visto pronunciare il fatidico sì. Penso a Laura, che dopo due mesi di convivenza con suo marito, è riuscita nell’impresa di far capire alla sua dolce metà che – attenzione uomini, potreste sconvolgervi - i panni sporchi non camminano da soli fino al cesto della biancheria da soli, penso a Silvia, che con lo stesso principio ha dovuto, non senza traumi, spiegare al marito che l’insalata, gli affettati e i formaggi non crescono nel frigorifero, o penso a Cristina che con un’operazione strategica che neanche Annibale, ha nominato suo marito “responsabile del bagno”, un riconoscimento non da poco per un uomo che fino ad allora poteva esercitare giurisdizione solo nel garage, così lei ha ottenuto un marito che pulisce il bagno, che tradotto significa che almeno non lo lascia come Waterloo dopo la battaglia, e ne è pure fiero. Ora, cosa avrebbero detto queste mogli eroiche di fronte a  quel “sii sottomessa”?

Bisognava capire come mai questa Costanza Miriano, giornalista al Tg3, quindi con orari di lavoro immagino non certo comodissimi, moglie di un uomo normale (lo deduciamo dal fatto che più volte lo paragona ad un cavernicolo), madre di quattro figli di età compresa tra 4 e 11anni e per giunta una bella donna, il che implica un investimento energetico minimo nella cura della persona, potesse dire alle sue sorelle “Sottomettetevi”. E ho deciso di chiederle spiegazioni… 

«Mia sorella mi dice sempre che sono “sdatta”, che in perugino significa che non sono adatta. Ecco. Io non sono adatta al mio ambiente. Adesso ne ho definitivamente la prova. Vado in giro nel mondo come mister Magoo, senza vedere i pericoli. Non immaginavo minimamente che la parola  sottomissione potesse essere fraintesa, cosa che invece ho cominciato a capire in questi giorni, vedendo le reazioni al mio libro. Se una è totalmente fuori dalla logica del dominio non si può risentire se riceve l'invito alla sottomissione, intesa come stare sotto, cioè alla base. Sostenere, sorreggere, aiutare, essere le fondamenta della coppia, della famiglia. Cosa ci può essere di offensivo?  Non c'è niente di più bello da dire a una donna. E molte, moltissime donne che conosco lo fanno naturalmente, sono rocce salde a cui in tanti si appoggiano. Stare sotto se una esce dalla logica del dominio ha solo una collocazione “spaziale”, diciamo. Essere alla base vuol dire accogliere i malumori con un sorriso, mediare tra i caratteri di tutta la famiglia, consolidare, mettere la pace. Quando una fa così conquista l’uomo con la sua bellezza, e poi i mariti – come dice san Paolo nella lettera agli Efesini – saranno pronti a morire per la moglie. L’uomo non resiste alla donna che ascolta la sua voce».

Nel tuo libro scrivi
“Tutti i proclami sul corpo delle donne, usate solo per la loro bellezza, sulle crudeli regole del successo e della società dell’immagine che ci vuole sempre giovani e ci costringe, poverette, alla chirurgia estetica, sul bisogno di riconquistare la nostra autonomia, a noi – quando siamo in fila al supermercato e piove e stanno per finire contemporaneamente il calcio e la lezione di catechismo e una figlia dorme e l’altra deve andare in bagno – ci turbano pochissimo” e poi ancora “nessuna donna in carne e ossa ha mai avuto problemi simili a quelle di cui con tanto zelo si occupano un certo femminismo e molti giornali”, in che senso?

«Il femminismo si è preoccupato molto della libertà sessuale, della contraccezione, dell'aborto, che oltre a essere la più grande tragedia contemporanea è anche la più grande tragedia che possa ferire il cuore di una donna. E - a parte che i bisogni profondi del cuore, di una donna e di un uomo, li può saziare solo Dio, e non una rivendicazione sociale o politica - anche da quel punto di vista mi sembra che il femminismo si sia occupato poco di cambiare le regole del mondo del lavoro. Ha combattuto perché ci entrassimo, ma a prezzi altissimi sul piano della vita personale. Non si è preoccupato di renderlo a misura di mamma, di famiglia. Noi possiamo dare un contributo prezioso alla società, siamo brave, ma non è possibile che per farlo dobbiamo abbandonare gli affetti. Di tutto questo i giornali si occupano raramente, anche perché per la gran parte sono popolati di persone che si sono formate nel clima culturale del '68. Non sono convinta che il nostro paese sia così misogino come si dice, né che le donne siano discriminate, a parte i casi “patologici” di violenze, soprusi. Con le donne che ne sono vittime, se mai dovessero sentirsi offese dalle mie parole, mi scuso. Ma la norma non è come viene dipinta sui giornali. La grande sfida semmai, per come la vedo io, sarebbe quella di migliorare il mondo del lavoro, renderlo più attento ai meriti, e, per quel che riguarda le donne, più flessibile nei tempi; permettere di entrare e uscire dalla vita professionale senza per questo dover ogni volta ripartire dall'incarico di addetta alle fotocopie. Bisognerebbe evitare di costringerci a dormire con la guancia appoggiata sulla scrivania nascoste dietro allo schermo di computer, a rovistare freneticamente tra ciucci e peluche alla ricerca di una penna in fondo alla borsa perché l’ufficio stampa ti chiama mentre sei dalla pediatra e la tachicardia non ti abbandona fino a notte fonda. Bisognerebbe poi, e questo è un sogno, scardinare anche le regole del potere come dominio anche nel mondo del lavoro, ma qui vado fuori tema».

Qualcuno potrebbe accusarti di voler cancellare le conquiste del femminismo…
«Il femminismo è stata un’importante stagione di fioritura, però ha preso una deriva: ha riportato tutto alla logica della contrapposizione che voleva superare. L'emancipazione femminista è, a ben vedere, solo un ribaltamento di quel desiderio di prevalere. Non comandi tu, adesso comando io. Invece la vera, profonda parità c'è quando, in una logica di servizio, ognuno fa quello che sa fare, nel suo specifico, con lealtà, dedizione, con la gioia di dare, senza stare a misurare troppo chi ha fatto di più. Gli equilibri nella vita, si spera lunga, lunghissima, di una coppia, possono cambiare infinite volte, e si può fare molte volte a turno».

Il libro di Costanza Miriano, Vallecchi editore,
racconta le donne esattamente per sono, con i loro 10 files aperti contemporaneamente: lavoro, figli, marito, spesa, ceretta, corsi di aggiornamento, cena da preparare, compiti da verificare, telefonate chilometriche con le amiche, varie ed eventuali. Quella quotidianità che ti fa parlare al telefono mentre stai guidando, pranzando, e se ti fermi al semaforo ti dai anche una ritoccata al trucco, quella quotidianità in cui il viaggio in macchina per una donna cattolica è anche tempo prezioso per recitare il Rosario, o almeno qualche decina, e ancora quella quotidianità in cui a tutti i files Costanza Miriano aggiunge la Messa quotidiana, ma come fai?
«Certo di tempo ne ho poco, ma quello che rende la vita pesante è l’assenza di senso, non la fatica pratica. E la Messa  – o dovrei dire la ..ssa, perché io ne prendo sempre un pezzo, arrivo in ritardo sempre e ovunque –dà il senso a tutto. Alla vita, alla morte, a ogni azione. I contemporanei soffrono per la mancanza di senso. La Messa è l’Onnipotente che decide di venire a stare con te, proprio con te, creatura infangata e impastata di male, e bisognosa di misericordia. E’ un pieno di tenerezza e di mitezza che noi, almeno io, riusciamo solo vagamente, a intuire, tanto è più grande di noi. Ed è, è proprio il caso di dirlo, la bussola quotidiana!».

Il volume è una raccolta di lettere
che l’autrice scrive alle figlie, ai colleghi, agli amici, ma soprattutto alle amiche, con le quali condivide un conto salatissimo con le compagnie telefoniche per le ore trascorse a scambiarsi consigli. Nel libro si legge “la mia risposta a qualsiasi problema è una a scelta tra le seguenti: ha ragione lui, sposalo, fate un figlio, obbediscigli, fate un figlio, trasferisciti nella sua città, perdonalo, cerca di capirlo e infine, fate un figlio”. Non pensi matrimonio e figlio a volte possano rendere ancor più complesse relazioni già zoppicanti?
«Certo, né il matrimonio né il figlio vanno scelti come ancora di salvezza di un rapporto che non funziona. In  generale però penso che  fare scelte definitive e radicali, con impegno e serietà, mette in salvo da questa mentalità dominante della dittatura dei sentimenti, delle emozioni, in cui tutto è liquido, fluido, provvisorio. A me sembra che diamo troppa importanza alle sensazioni, all'emotività. Basta un ostacolo che tutto si rimette in discussione. Viviamo spesso in un'eterna adolescenza che esalta il dubbio e l'indefinito come un valore. Così nei momenti di difficoltà sembra naturale mollare, rompere i rapporti, cambiare.  Il matrimonio ci protegge da questa incostanza. Perché le fasi di dubbio arrivano per tutti. C'è sempre un momento in cui il principe azzurro, trasformatosi dopo il bacio in un ranocchio, ti si presenta sotto una luce diversa. Come ho scritto nel libro, ti compare con la scarpa a ciabatta e l'accuratezza nello stile degna del Grande Lebowski, che va a fare la spesa in accappatoio (e anche lui a volte, d’altra parte, ti troverà gradevole come un'insalatina scondita). Ma se si sa andare oltre il momento, si impara non a chiedersi se le cose funzionano, ma come farle funzionare, allora la prospettiva è tutta un'altra».

A proposito di funzionamento
, molte donne compiono sforzi inenarrabili cercando di far funzionare le cose trasformando il marito in un collaboratore domestico perfetto, invece tu per l’uomo di casa hai in mente un ruolo decisamente diverso….
«In molti cadono in questo equivoco: la sottomissione non c'entra niente con la divisione dei compiti. C'entra con il non imporsi, non dare ordini, non volere imprimere il nostro stile alla gestione della famiglia. Io comunque non vorrei un marito colf, un casalingo sensibile e indeciso come ne vedo tanti, ma un uomo solido che sa da che parte la famiglia debba andare».

Insomma se ad una prima
occhiata il titolo “sposati e sii sottomessa” mi aveva inquietata, di certo leggendo il libro e facendo due chiacchiere con l’autrice si capisce bene che la sottomissione tutto è fuorchè una sorta di rassegnata remissività. Costanza Miriano restituisce smalto alla donna cattolica, da sempre legata ad un’immagine che la vuole ingessata nella camicia di flanella bianca e la gonna blu al ginocchio, il tutto correlato da un’espressione perennemente contrita. Che cosa manca a questa immagine?
«Il trucchetto del diavolo è sempre quello, dal paradiso terrestre in poi: vuole farci credere che accettare di essere creature – questo alla fine è la fede – creature finite ma amate infinitamente, non è vivere in pienezza ma ci tarpa le ali, mortifica la nostra bellezza e la nostra allegria. Come se dovessimo rinunciare davvero a qualcosa. Provare a rinunciare al peccato, questo sì (ma chi ci riesce?). Ma per il resto, non è che perché ho fatto l’ufficio delle letture poi non mi trucco o non metto i tacchi. Per carità, non scherziamo. Io potrei sostenere conversazioni di ore sullo smalto e sulla consistenza degli ombretti neri in crema attualmente in commercio. Che, detto fra noi, sono difficili da trovare. Anzi, ne hai uno da prestarmi?».



                               Sposati e sottomettiti un libro sul matrimonio

Sposati e sottomettiti è il titolo di un libro scritto dalla giornalista del TG3 Costanza Miriano e pubblicato da Vallecchi, che lascia poco spazio all’immaginazione, sintetizzando alla perfezione il messaggio dell’autrice e la sua idea sul matrimonio, la vita di coppia e soprattutto sui ruoli di marito e moglie.
Affinchè l’unione sia lunga e felice, l’uomo deve incarnare la guida, la regola, l’autorevolezza mentre la donna deve uscire dalla logica dell’emancipazione e riabbracciare con gioia il ruolo dell’accoglienza e del servizio.

[Modificato da Caterina63 12/03/2011 13:05]
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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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Per spiegare la bellezza della famiglia

Un divertente manuale
di evangelizzazione

Senza dubbio per la Chiesa uno dei compiti più difficili oggi è quello di far capire ai giovani l’importanza della famiglia e dei figli, l’importanza della fedeltà e della difesa del matrimonio, la bellezza di assumersi la responsabilità di altri esseri umani e di saperla sostenere. Per questo c’è un pontificio consiglio, sono nati istituti appositi, si scrivono tanti libri, ma in genere un po’ astratti, talvolta un po’ troppo zuccherosi. Non è facile però trovare una strategia convincente per farsi ascoltare da giovani che vivono immersi negli effetti della rivoluzione sessuale e dell’individualismo sfrenato. In questo arduo compito si è proposta in modo nuovo e attraente una giornalista del Tg3, moglie e madre di quattro figli: Costanza Miriano, autrice di un testo divertente e ironico — dallo stile vicino a quello delle ragazze della serie televisiva «Sex and the city» — dal titolo provocatorio Sposati e sii sottomessa (Vallecchi).

Il libro, scritto sotto forma di lunghe lettere ad amici e amiche alle prese con problemi sentimentali e familiari, risponde a tutte le obiezioni che oggi vengono mosse a chi crede nella famiglia, nel matrimonio e nella bellezza di avere figli. Miriano non nega che la sua vita, nel difficile equilibrio fra lavoro e figli, sia in sostanza una fatica quotidiana che richiede capacità acrobatiche; ma non si lamenta, lo racconta con allegra ironia e ne rivendica la ricchezza e la bellezza.

Con questo tono apparentemente scanzonato propone riflessioni antiche e giuste: «È dalla donna per prima che dipende la vita o la morte del matrimonio», ragione per cui invita la futura sposa a essere «sottomessa non nella logica del dominio, quindi della violenza e della costrizione, ma in quella del servizio, spontaneo, volontario». Rivelando quale è il vero significato di essere sottomessa: essere cioè «la base della famiglia» perché «chi sta sotto regge il mondo, non chi si mette sopra agli altri».

La durata del matrimonio è soprattutto questione di volontà: la spontaneità, infatti, «non può essere uno stile di vita o un metro di giudizio. E l’emozione a un certo punto non c’entra più molto con l’amore». Tanto è vero che «è con l’esercizio paziente e quotidiano dell’obbedienza che si può andare incontro all’altro e limitare il nostro egoismo».

La banalizzazione del sesso — scrive l’autrice — «non gli ha fatto un gran bene». E di questo appannamento dell’importanza e della bellezza della vita sessuale, secondo Miriano, sono responsabili più le donne che gli uomini: «Credendo di emanciparci, ci siamo svendute per un piatto di lenticchie: abbiamo adottato il modo maschile di concepire la sessualità». E, alla fine, «ne soffriamo noi e ne soffre tutto il mondo, perché se non lo facciamo noi, chi custodirà l’amore per la vita?». Oggi, quello che sembra più difficile e ingiusto è rinunciare alle vite possibili, e «guardiamo con raccapriccio all’idea di rinunciare a qualcosa». A noi sembrano ormai «diritti una serie di possibilità che finora sono state inimmaginabili». Scrive quindi a un’amica, che non ha il coraggio di scegliere per sempre, di sposarsi: «Abbraccia anche tu una vita, una sola, e tientela stretta».

Per quando riguarda l’educazione dei figli, insiste sulla divisione dei ruoli, sui padri che devono fare i padri «perché non si può chiedere a un padre di fare il baby sitter e anche autoritario», intervenendo con una parola risolutiva nelle crisi educative. E, a proposito della contraccezione, osserva «come si può stabilire in anticipo qualcosa che non si conosce?».

Costanza va a messa la mattina, manda i bambini al catechismo e cerca di allevarli come buoni cristiani, ma vive nel mondo di oggi — anzi, in uno spicchio particolarmente «moderno» di questo mondo — ed è quindi abituata a essere una persona diversa, che deve spiegare ogni sua scelta a chi non la condivide. È proprio questo dialogare con i giovani, nel loro linguaggio e con uno spirito ironico e leggero, a rendere questo libro divertente un piccolo manuale di evangelizzazione.

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Costanza Miriano: la felicità è di casa

di Marialuisa Viglione
ROMA, sabato, 10 dicembre 2011 (ZENIT.org).- Non ci pensava minimamente Costanza Miriano a sottomettersi al marito il giorno del suo matrimonio, nonostante il velo. A febbraio ha pubblicato un libro "Sposati e sii sottomessa", un successo, 15mila copie vendute i primi mesi e ora in ristampa, edito da Vallecchi.
La giornalista del tg3, 40enne madre di quattro figli, spiega il suo successo in un'intervista a Zenit.
"Mi sono resa conto che l'unica via per un matrimonio felice è la sottomissione della sposa al marito. Nel senso che la donna nella famiglia è il sostegno che accoglie, fa star bene, aiuta. E' la base su cui poi si regge tutto".

Hai messo il velo quando ti sei sposata, simbolo di sottomissione nel catechismo della Chiesa cattolica?
"Sì. Ma in realtà non ci pensavo affatto. Ero imbevuta della mentalità corrente: autonomia, autoaffermazione, successo personale. E' rara infatti la consapevolezza che il Vangelo ci dice come siamo davvero (non la tv o i giornali). E' la natura che lo dimostra. Se servi, sai farti da parte, accogli tuo marito, stai zitta e non cerchi di essere sempre protagonista, sei felice. L'ho sperimentato nella mia famiglia".
E tu ce la fai?

"Certo è difficile. E' un percorso. Ma ne vale la pena perché quello che conta è essere felice".
Il tuo libro è frizzante, divertente, umoristico, pur con suggerimenti di livello profondissimo?
"Avevo iniziato a scrivere e mio marito mi disse: che pizza. Allora ho capito che noi cristiani dobbiamo dimostrare di essere felici, non essere dimessi. Mi sono ispirata a due scrittrici umoristiche di successo Jean Kerr e Erma Bombeck, che ridono su se stesse. Credo che l'umorismo sia essenziale anche per far passare concetti fondamentali della vita" .

E' stato quindi uno sforzo questa scrittura così "simpatica" e piena di quotidianità che viviamo tutti?
"Certo uno sforzo meditato. Noi cattolici dobbiamo uscire dal recinto dei perdenti. In quanto figli di Dio dobbiamo andare orgogliosi. Per questo ho adottato un linguaggio che comunichi gioia".

Perchè dici che a volte i cattolici rischiano di sembrare perdenti?
"Il diavolo utilizza sempre lo stesso trucchetto, dalla mela in poi. E cioè vuole farci credere questo: Se accetti di essere creatura sarai infelice. Invece non è vero. E' proprio accettando la nostra condizione di figli che troviamo la nostra natura e quindi la felicità".

Il tuo libro è sotto forma di lettere alle amiche?
"Sì, ho solo cambiato qualche connotato. I destinatari sono amici vari. Ho spedito le lettere via email e mi dicevano di continuare a scrivere".

Hai avuto un grande successo, il libro piace e non solo ai cattolici. Eppure i tuoi messaggi sono quelli del Vangelo, della Chiesa e del catechismo. A cosa attribuisci il successo?
"Non credo di aver detto cose nuove. Solo in modo nuovo".

Perché?
"Penso a certi film dove la donna madre è depressa. Invece vado orgogliosa di essere sposa madre. E' la mia identità. La mitologia imperante invece è: affermati, imponiti, realizzati, abbi successo. Non mi riconosco in Claudia Pandolfi nel film "Quando la notte” della Comencini. E' depressa e cambia uomo. Puoi essere felice perfino con tuo marito".

Sei sicura?
"I difetti ce li abbiamo tutti e con la convivenza emergono. Se li si sanno affrontare si diventa vincenti. E' bello superare le difficoltà insieme. L'ho provato".

C'è una parte dedicata ai bimbi. Perché?
"Mi sono trovata con la difficoltà di essere madre. Nei secoli è stato più naturale. Oggi non esistono modelli. Una volta le madri si dedicavano meno ai figli, con affettuosa trascuratezza. Ora li mettiamo al centro. Ma non sappiamo bene, abbiamo perso le coordinate: non sappiamo chi siamo. Dovremmo reimparare dalle nostra madri, che non si facevano problemi. Ricordo mia nonna quanto fosse sconvolta dal quanto mi dedicavo ai figli. Non invito a trascurare i figli, ma a essere più naturali, a saper dire di no.

Noi madri e padri non abbiamo più il coraggio di dare frustrazioni ai figli. E ciò porta un po' di confusione soprattutto nei bambini. Il bambino non sa nulla del mondo. Lo deve esplorare, conoscere. In una stanza senza muri un cieco va in panico si perde. Con i muri, le regole, cerca di orientarsi, è rassicurato.
All'inizio il capriccio, ma poi finisce e il bimbo è rassicurato. L'errore è non saper essere ferme e non dare frustrazioni".

Come amare e farsi amare di più dal consorte?
Rendersi amabili, accoglienti, docili, mostrare le proprie fragilità. E non parlare troppo. Per sfogarsi è meglio un'amica, meglio ancora confidarsi con il Signore, non certo con il marito. Oppure se proprio si vuole fare un rimbrotto aspettare il giorno dopo. Glielo dirò domani"

Ma le tue sono istruzioni per l'uso?
"Assolutamente no. Non voglio essere fraintesa: non sono strategie, nè tecniche di manipolazione. Ma desiderio di essere leali, mettersi al servizio. A lui fa piacere: lo faccio"

Libro godibilissimo, simpatico, umoristico e teologico. Da leggere. Per tutti donne e anche uomini. Single e sposati. Per chi è in cerca dell'anima gemella e per chi è sposato da anni. Per chi ha paura a formare una famiglia e chi non sa come gestire tanti figli.


[SM=g1740757]

Fraternamente CaterinaLD

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25/05/2012 00:31
 
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Care mamme, per salvare i figli servono i papà È la donna che legittima la figura paterna. Ma se questa sparisce, i ragazzi crescono insicuri e arrendevoli. Perché non conoscono più l’essere “maschi”
dal blog ilsegnodeitempi

di Stefano Zecchi

Tratto da Il Giornale dell’8 maggio 2012

La paternità, oggi, è qualcosa di diverso rispetto a pochi decenni fa: un dato di fatto, in una società ormai «mammocentrica», dove cioè le mamme sembrano farla da padrone. E il padre che cosa fa, che rapporto ha o dovrebbe avere col figlio? Lo racconta, attarverso riflessioni e soprattutto attraverso la sua esperienza personale, Stefano Zecchi nel suo nuovo libro, «Dopo l’infinito cosa c’è, papà?», in uscita per Mondadori. Lui, che è diventato padre a 59 anni, e che per il figlio è disposto a rinunciare a qualunque impegno. Pubblichiamo una parte del primo capitolo del libro.

La madre possiede un potere smisurato: quello di legittimare o erodere, fino a farla sparire, l’immagine del padre. È lei che gli assegna la funzione paterna. Se questo non accade, se la moglie non riconosce uno spazio d’azione al marito, una dimensione assolutamente sua che lei non possa invadere, provoca – da irresponsabile – l’assenza del ruolo paterno e commette un’ingiustizia verso il marito che mina alla base la stessa struttura famigliare e con essa il sistema educativo.

Le madri di oggi hanno generalmente un proprio lavoro, una professione che dà loro molta autonomia, che comporta responsabilità, obblighi decisionali, scelte impegnative (…). Proprio per questo tipo di vita (…) la madre tende a surrogare le funzioni paterne. Senza volerlo – nel migliore dei casi – finisce per assumere anche in famiglia quelle responsabilità, quei ruoli decisionali che dovrebbero essere del padre (…).

Le conseguenze, più generali, sono sotto gli occhi di tutti. Senza un suo ruolo specifico, sollevato dai propri compiti, il padre ha un alibi perfetto (fornitogli dalla moglie) per disinteressarsi della famiglia e dell’educazione del figlio. «Chi me lo fa fare?» pensa, e dice: «Vuol fare tutto lei! Perché devo mettermi a discutere, contrattare, litigare… Cresca lei i figli come vuole!». Chiude la porta e arrivederci, ovviamente con la disapprovazione della moglie che non gli risparmia critiche tutte le volte che lo vede, mentre proprio lei dovrebbe farsi un vero esame di coscienza che potrebbe rimettere a posto la relazione.

Ma c’è anche il padre che reagisce diversamente. Affettuoso nonostante tutto, desidera essere vicino al figlio e alla moglie (…). E finisce per fare il «mammo», cioè il collaboratore domestico della mamma. Per un po’ è felice, si trova ad affrontare funzioni nuove, compiti prima di allora sconosciuti: la madre è contenta, il figlio gli sorride, lui si commuove. Con il passare del tempo si accorge però che quel ruolo è umiliante, che l’ape regina lo costringe a fare il fuco. Il ruolo di mammo è una rinuncia alla sua virilità, a quella virilità che dovrebbe essere alla base della sua educazione del figlio. Ecco il povero papà-mammo immalinconirsi. Non può reagire: e come farebbe? Non vuole sbattere la porta e andarsene, ma vorrebbe fare il papà, non il mammo! Non sa più che pesci prendere.

È inutile andare a spiare il mammo a casa sua (…) C’è però un luogo pubblico in cui si riconosce immediatamente il mammo: il supermercato. È impossibile non identificarlo:lo vedete un po’ curvo spingere faticosamente il carrello della spesa come il condannato ai lavori forzati spinge la carriola piena di pietre che ha appena finito di spaccare con le sue nude mani. Davanti a lui la mogliemadre impettita, sicura di sé, incede con passo ardimentoso, afferrando dallo scaffale di destra il pacco di pannolini, da quello di sinistra la confezione di omogeneizzati. Li getta nel carrello senza neppure voltarsi per vedere dove vanno a finire, perché tanto sa che il marito è esattamente un passo dietro a lei. Il mammo procede spingendo il carrello pesante, con lo sguardo vago, assente.
Voi credete che stia sognando spiagge caraibiche, palmeti, mari cristallini, ragazze in costume adamitico… No. Lui sta sognando l’ufficio. Quello è il suo regno! I colleghi, i dipendenti, il principale, discussioni, liti, decisioni, in cui la moglie non può ficcare il naso. Quello è il suo vero mondo, dove si sente realizzato, lo spazio dove ha un proprio ruolo: non la famiglia, in cui si sente un disperso e non sa cosa fare, in preda ai dubbi sulla propria identità. Anche come mammo (…) non è niente. Svirilizzato. Se la percentuale maggiore di padri si suddivide in fuggiaschi, cioè quelli che se la danno a gambe perché tanto con i figli è la madre a voler fare tutto, e mammi, è chiara la ragione per cui oggi si vive in una società mammizzata, dove crescono adolescenti insicuri, impauriti, che si arrendono di fronte a modeste difficoltà e crollano al primo insuccesso perché non hanno avuto quell’esperienza della realtà e quell’apertura al mondo che si riceve attraverso l’educazione paterna (…).

La madre, oggi, deve saper fare un passo indietro: sia lei a spingere il carrello della spesa e lasci (suggerisca, invogli) il marito a giocare con il figlio, perché gli trasmetta la sua maschilità e quella rappresentazione della vita che gli consentirà la formazione di un’identità precisa.

Poi, nell’adolescenza, il figlio avrà tempo di mettere in discussione il quadro educativo, «la legge del padre», ma se, durante la propria esperienza di formazione, ha avuto a che fare solo con la figura materna o un suo simulacro, quello del mammo, non avrà né consapevolezza della propria identità, né punti di riferimento reali con cui confrontarsi. Solo interiorità, solo la carezza della mamma che, completamente diversa da quella del padre, lo tiene lontano dalla vita vera. Alla prima difficoltà, questi giovani mammizzati si perdono, credono che tutto sia vano, diventano indifferenti. E l’indifferenza può esplodere nel nichilismo più violento contro gli altri e contro se stessi.



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Ma di cosa state parlando?DI COSTANZA MIRIANO



Costanza Miriano intervistata per  El Huffington Post  sempre in merito alle polemiche sull’uscita del libro “Cásate y sé sumisa”


el huff


           (aquí en español)


A cosa si deve il successo del suo libro in Italia?


Il libro inizia con me che rispondo a una telefonata di un’amica in crisi, che non si decide a sposarsi. Una telefonata tra amiche sul tema dell’identità femminile, che è, io credo, quello su cui si gioca la partita centrale della nostra culturale. Cosa vuol dire essere uomo e donna oggi. Teorie di genere o antropologia cristiana. Il tutto tradotto in un linguaggio pop, passando dalle calze parigine al Catechismo, dai trucchi per dormire in bagno quando ci sono i figli neonati (appoggiando la testa al rotolo di carta igienica) alla Bibbia.


Una mia amica mi ha chiamata arrabbiata perché nella sua libreria mi ha trovata nel settore umorismo. Invece non mi avrebbero potuto fare un complimento migliore. Ridere parlando di San Paolo! E così è partito un passaparola tra i credenti, che finalmente si sono visti rappresentati in modo non deprimente, molto deciso nei contenuti, molto allegro nella forma. All’inizio sono state stampate 1200 copie. Io telefonavo alla mia famiglia nella speranza che almeno loro ne comprassero una mezza dozzina. Poi il libro ha avuto non so più quante ristampe, ormai oltre venti credo.


In Spagna la Izquierda Unida ha detto che il libro apertamente sostiene la schiavitù delle donne rispetto agli uomini, e il ritenere gli uomini superiori alle donne causa la violenza maschile”. Che ne pensa?


No, mi dispiace, a questo punto la domanda spetta a me. In quale punto esatto io incito, sostengo, scuso, giustifico, o anche minimamente contemplo o nomino la violenza? L’unica violenza che vedo in tutta questa storia è quella che viene fatta a me, che sono pure donna, se è per questo. È questa l’unica violenza sulle donne che vedo in tutta questa storia. Un’aggressione scomposta e veramente assurda. Loro devono rispondere. Non si possono lanciare accuse così a caso. In quale punto? Dove? Con quali parole? Io ho scritto lettere alle mie amiche, amiche reali, vere, che esistono. Se vuole gliele presento. Nessuna di loro ha subito violenza, grazie a Dio. Se qualcuna ne subisse non le direi certo di sopportare in silenzio, ma non è un problema che mi sono posta, perché non mi è capitato. Il mio non è un trattato di sociologia. Io ho guardato la realtà mia e delle mie amiche, e i nostri problemi sono altri. Come essere felici con i nostri mariti. Come amarli meglio, Come prenderci cura di loro e come chiedere loro di prendersi cura di noi. Imparare i linguaggi maschile e femminile, che sono diversissimi. Come tenere insieme tutti i ruoli che una donna moderna – moglie, madre, lavoratrice, donna di fede che coltiva lo spirito ma ama anche curare il suo corpo – riassume in sé. La violenza è roba per magistrati, psichiatri, non per una donna comune come me che si mette a scrivere alle amiche. Chi mai avrebbe pensato che le mie lettere le avrebbero lette cinquantamila persone in Italia e all’estero? Non sono mica un’autorità, una maitre à penser!!!


Quanto all’inferiorità o superiorità maschile, chi fa questa obiezione non parla il linguaggio cristiano. È legittimo non parlarlo, come io non so di che parlino buddisti o musulmani, ma non mi immischio nelle loro faccende. Nella logica cristiana il capo, che è il marito secondo san Paolo, è un capo come Cristo, che muore per la sua sposa, la Chiesa. Un capo che ha come trono la croce. L’uomo che fa il marito come Cristo comanda è un uomo pronto a morire per la moglie. La sposa secondo la Chiesa è quindi una sposa docile nei confronti di un uomo nobile, generoso. La sposa con la sua dolcezza risveglia i migliori sentimenti nell’uomo, come nell’amore cortese. Evita che si metta in moto quella sorta Mister Hyde che è dentro ogni uomo, la sua parte animale. Questa è la logica cristiana. Fare a gara nello stimarsi a vicenda, avere un pregiudizio positivo nei confronti dell’altro, dirgli: io sto dalla tua parte, mettiamo insieme la nostra siderale diversità, e cerchiamo di donarci la nostra reciproca povertà. Gridare i propri diritti non serve a niente, riconoscere che siamo peccatori, poveri, limitati, fa funzionare l’amore.


Associazioni di donne credono che il libro inciti alla violenza di genere. Qual è la sua opinione?


Credo che non abbiano letto il libro. Torno a chiedere: in quale punto esatto? Con quali parole? Dove? Perché se a disturbare è la parola sottomessa, allora bruciate tutte le copie della Bibbia. In quel caso sarà per me un onore andare al rogo.


Il libro può piacere o no, è ovvio. Ma che ci sia un’incitazione alla violenza di genere è una pura follia. Non so da voi, ma in Italia il solo pensare che qualcuno possa mettere in dubbio la uguale dignità tra uomo e donna è ridicolo. Tutta questa storia è ridicola.


A parte il fatto che io, come la Chiesa, rifiuto la parola genere – io credo che esistano due sessi e non i generi – a parte questo, dicevo, io rifiuto la violenza. Mi basta il quinto comandamento, non uccidere. Non uccidere i bambini, neppure nel grembo materno, che è la violenza più grande per l’evidente sproporzione tra la vittima e il carnefice, non uccidere le donne, non uccidere gli uomini. Non uccidere. Punto.


 Secondo te qual è il ruolo della donna nel matrimonio?


Credo che ogni coppia abbia un suo equilibrio quanto alle cose pratiche. Dipende dai gusti, dalle inclinazioni. Ci sono uomini che amano cucinare, altri che si divertono a giocare con i figli. Io non sopporto quando mi chiedono “chi lava i piatti in casa tua?” Credo che il discorso della sottomissione e del morire (ricordo sommessamente che io ho scritto anche un secondo libro, per gli uomini, che si chiama “Sposala e muori per lei”, che in Spagna uscirà alla fine dell’anno) si giochi su un piano molto più profondo, spirituale. Ho conosciuto donne che facevano le casalinghe, ma comandavano il marito a bacchetta. E donne dirigenti, medici, magistrati, che sapevano però essere accoglienti e dolci e femminili.


Credo che il ruolo della donna sia mostrare all’uomo il bene e il bello possibili. Fargli da specchio positivo, dirgli quanto è importante che lui ci sia, e che metta il meglio di sé nell’impresa di costruire una famiglia, educare dei figli. L’uomo tende all’egoismo, e la donna può vincere questa inclinazione negativa dell’uomo non rivendicando, gridando, battendo i pugni, ma mostrandogli la bellezza di un amore totale, del sacrificio del proprio egoismo. La donna può essere come Beatrice per Dante, un anticipo di paradiso, e la casa diventa un luogo bellissimo in cui stare.


Questa idea farà sghignazzare in molti, ma sfido chiunque a trovarci una traccia di incitazione alla violenza. In più mi pare tutt’altro che offensiva per le donne. Anzi, al contrario.


Che significa per lei essere sottomessa?


Me lo sono chiesta a lungo, meditando su quel brano di san Paolo. Penso che significhi rinunciare al mio desiderio di voler formattare le persone, di voler imporre la mia visione del mondo a tutti quelli che mi sono intorno. Questa è sempre la tentazione femminile. Questo, fra parentesi, è quello che stanno facendo le donne spagnole con me.


 A che servizio è chiamata la donna nel matrimonio?


Al servizio più bello, gratificante, emozionante, divertente e trasgressivo che c’è. Perdere se stessa per far vivere le persone a cui vuole bene. Ma secondo lei quando una donna ospita un figlio nella pancia è sfruttata da lui? O piuttosto è benedetta da una fortuna, una grazia, una felicità, un potere anche, infiniti? Quando una donna allatta è schiavizzata dal suo bambino? Io ho allattato tantissimo tutti e quattro i figli, uno fino a tre anni e mezzo. Secondo lei sono stata sfruttata? Ero e sono felicissima di perdere il mio tempo, i miei progetti, i miei impegni per mettere prima quelli delle persone a cui voglio bene. La donna è chiamata a fare spazio, ma non perché un uomo la costringa. Perché questo è quello che amiamo fare. Anche le donne che ritengono che l’aborto sia un diritto, se sono madri e se chiedi loro quale sia stato il giorno più bello della loro vita, forse non ti diranno “quando sono diventata madre”?


Crede che l’uomo debba dominare la donna?


No, credo che dovrebbe morire per lei.


 Perché pensi che le donne dovrebbero sposarsi?


Non ho mai detto che le donne dovrebbero sposarsi, in generale. Ho detto che alcune donne, le mie amiche, proprio quelle, dovrebbero sposarsi (anzi, ormai la maggioranza lo hanno fatto). Perché le conosco e so che per loro quella è la via della felicità. E comunque non solo le donne, anche gli uomini, evidentemente. Le donne e gli uomini insieme.


Io credo che al fondo dell’essere umano ci sia un senso di vuoto che si colma solo donandosi totalmente a qualcuno. Questa è la via della felicità.


Una donna può essere felice di essere sottomessa al marito?


Certo. Sottomessa nel senso di fare spazio, di accogliere, di essere messa sotto come le colonne di una cattedrale, come il fondamento. Certo che può essere felice. Perché l’uomo è sedotto dalla bellezza di una donna così, capace di sostenere, di essere madre di quelli che incontra. E allora può vincere il suo enorme egoismo, che è il difetto maschile.


Quando una donna dovrebbe dire basta al marito?


Molto prima che il marito arrivi anche solo a pensare minimamente di toccarla con un dito. Deve essere capace di correggerlo con dolcezza ma con fermezza, quando vede che lui si approfitta della sua dolcezza. Lo deve fare principalmente per lui, san Paolo la chiama correzione fraterna: quando si vede un fratello, e il marito è il nostro primo fratello, che sbaglia lo si deve prendere da parte, ma non nel momento della rabbia, e bisogna dirgli che sta sbagliando. Con calma. Non per gridare i nostri diritti ma perché lo amiamo, e vogliamo per lui il bene. E il bene non è mai comportarsi in modo violento, egoista, menefreghista. Il punto è che un matrimonio dovrebbe essere principalmente un luogo di conversione reciproca, un luogo in cui tutti e due si sforzano di offrire all’altro la parte migliore di sé, e in questo bisogna aiutarsi a vicenda, essendo, come dice san Paolo nello stesso brano “reciprocamente sottomessi”.


 Perché pensa che il suo libro abbia suscitato tante polemiche in Spagna?


Ah, questo proprio non lo so. Me lo deve dire lei. Conosco troppo poco del vostro paese e davvero non me lo spiego. In Italia non è successo niente del genere. Una sua collega mi ha spiegato che il problema non sono io, ma l’arcivescovo che è vicino alla casa editrice spagnola. Quindi è un problema che riguarda la Chiesa. Ricordo però che i libri si possono non comprare. Li si può trovare stupidi, scritti male, disonesti, ma perché vietarli?


Io sono allibita innanzitutto dal fatto che si possa pensare di censurare un libro, che ovviamente non incita a nessun reato ma ripropone le idee che la Chiesa proclama al mondo da sempre. Impedire alle persone di parlare è una cosa molto molto preoccupante. Poi sono allibita anche dal fatto che si possano esprimere opinioni su un libro che non si è letto, e questo non è segno di grande serietà. Tra i giornalisti che mi hanno chiamata solo uno si era dato la pena di informarsi. Infine vorrei dire una cosa anche se lei non me l’ha chiesta. Ho lavorato per molti anni al tg3, che è tradizionalmente il tg più orientato a sinistra, da noi. (Per inciso, sono una giornalista di un tg nazionale, una maratoneta da tre ore e quindici, e a questo ci tengo proprio, sono una che viaggia, che ama le borse, anche se le ho sempre piene di briciole e fumetti dei figli: le sembro una repressa che per fare un’intervista deve chiedere il permesso al marito, come hanno detto con scarsissima professionalità dei suoi colleghi in tv, inventandosi tutto? Sono una sposa e una mamma di quattro ragazzi, felicissima e per niente depressa!)


Lavorando ho incontrato e intervistato tantissime persone, e per un periodo mi sono occupata di tematiche femminili. Ho incontrato molte delle femministe più significative del mio paese, e le posso dire che off the records, come si dice, a telecamera spenta, magari davanti a un caffè, ho parlato con loro e ho sempre trovato che fossero molte di più le cose che ci univano, che non quelle che ci dividevano. Credo che purtroppo l’ideologia sia qualcosa di molto potente che impedisce alle persone di incontrarsi davvero. Credo che tutte le donne abbiano in sé una grande capacità di maternità (anche quando non sono madri biologicamente), di accogliere, di fare relazione. E spesso molte di loro erano donne che erano state ferite, interiormente, dall’egoismo degli uomini, magari di un padre o di un compagno. Capisco quindi che quando una persona è stata ferita o oppressa possa per reazione diventare intollerante o aggressiva. Posso capire benissimo che a certe orecchie la parola sottomissione possa suonare sgradevole, offensiva quasi. Io sono nata quando già certi diritti, votare, studiare, la possibilità di lavorare, erano acquisiti. Chi invece ha un’altra storia, è stata costretta ad essere sottomessa, non per sua scelta, non per amore, non per una bellezza più grande, questa parola non la può tollerare. Capisco tutto, ma non è colpa mia. Quello di cui parla san Paolo è un’altra cosa: è “perché la gioia sia in noi e la nostra gioia sia piena”.




Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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18/11/2013 20:10
 
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Comunicato dell’Arcivescovo di Granada su “Cásate y sé sumisa”


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(aquí en español)


Impegni legati alla mia missione mi hanno finora impedito di seguire l’artificiosa polemica a riguardo dalla pubblicazione del libro  Sposati e sii sottomessa. Pratica estrema per donne senza paura, scritto dalla giornalista italiana Costanza Miriano, edito in Spagna da Editorial Nuevo Inicio. Non è mia intenzione difendere il libro, che si difende da solo, né tantomeno giustificare il suo titolo o quello del suo sequel (che sarà pubblicato a breve), che forma un dittico con il primo e che si intitola Sposala e muori per lei. Uomini veri per donne senza paura.


È questo, infatti, un compito che spetta alla loro autrice, che peraltro, lo ha già fatto più volte, all’interno e al di fuori del libro. C’è forse bisogno, del resto, di ricordare che entrambi i titoli si ispirano quasi letteralmente a un passaggio della Lettera agli Efesini di San Paolo (Ef. 5, 21), e che la sottomissione e la donazione – l’amore – di cui si parla in quel passaggio non hanno nulla a che vedere con le relazioni di potere che avvelenano le relazioni tra l’uomo e la donna (e non solo quelle tra l’uomo e la donna) nel contesto del nichilismo contemporaneo? Nemmeno ho la pretesa di giustificare la posizione della casa editrice, che ha una propria voce e che sta svolgendo il suo compito diffondendo un’opera che – ne sono al corrente – sta aiutando molte persone.


Dal campo pastorale ed ecclesiale, che è quello che a me compete, desidero soltanto segnalare che l’opera è stata positivamente accolta dall’Osservatore Romano come “evangelizzatrice” e che la sua autrice Costanza Miriano è stata recentemente invitata a partecipare al seminario sulla dignità della donna, organizzato dal Pontificio Consiglio per i Laici in occasione del XXV anniversario della pubblicazione della Lettera Apostolica del Beato Giovanni Paolo II Mulieris Dignitatem. La lettura dei due libri, inoltre, è stata raccomandata dal Pontificio Consiglio per i Laici e dal Pontificio Consiglio per la Famiglia. 


Questi termini di paragone nella vicenda indicano, con maggior chiarezza di certi commenti della stampa, che la posizione della casa editrice su questi due libri è in accordo con l’insegnamento della Chiesa, e che altre raccolte della stessa, dove sono pubblicati anche libri di autori non cattolici, intendono essere un “areopago” della nuova evangelizzazione, uno spazio di dialogo e di riflessione sulla fede cristiana nel contesto del mondo contemporaneo. Per questo motivo la casa editrice rappresenta un umile ma prezioso strumento pastorale al servizio della Nuova Evangelizzazione. Le sue pubblicazioni, infatti, sono contraddistinte dall’amore all’uomo, all’umano, la cui pienezza si rivela e si comunica in Cristo, oltre che da una grande libertà rispetto al dogmatismo della cultura dominante.

In questo contesto, pertanto, la polemica generata da questo libro – il cui contenuto è in accordo con gli insegnamenti sull’amore sponsale di Giovanni Paolo II, ma che non pretende essere nulla di più se non la preziosa testimonianza di amore e libertà di una donna cristiana di oggi – risulta tanto ridicola quanto ipocrita.


Ogni persona moderatamente informata sa perfettamente, a questo punto, che il libro, e anche la mia povera persona, non siamo altro che un pretesto. Coloro i quali fomentano e agitano questa polemica sono mossi da altri interessi e altri motivi, che non sono precisamente la difesa della donna o la preoccupazione per la sua dignità. Si tratta, piuttosto, di attaccare l’unica istituzione – l’unico settore della società, l’unico segmento di popolo vivo – che resiste ad ogni tentativo di addomesticazione da parte di quel rullo che è la cultura dominante: il popolo cristiano. Questo è il vero ostacolo, tutto il resto sono scuse. Persino il momento scelto per sollevare tutto il rumore che si è fatto è stato scelto in funzione di questo fine.

Tanto la storia della letteratura, quanto, in questo momento, gli scaffali delle librerie, sono pieni di libri che, talvolta in modo ironico, talaltra con la massima serietà – effettiva o presunta che sia –, insultano o si prendono gioco di sacre verità, dal matrimonio alla maternità, dalla libertà di educare a un significato profondo del vivere alla realtà della fede che professa gran parte del nostro popolo. Per di più, questi insulti e prese in giro godono della protezione della libertà di espressione. Libertà di espressione che – mi sia permesso ricordarlo – è un’invenzione cristiana. Solo in un terreno cristiano, infatti, avrebbero potuto fiorire tutte le grandi critiche alla religione del XIX secolo – Feuerbach, Nietzsche, Comte, Freud e Marx, solo per ricordare alcune di quelle più importanti –, alla Chiesa, che oltretutto è da sempre disposta a ricerverle con gratitudine nella misura in cui esse documentino un tentativo di ricerca del vero. Al di fuori del grande fiume della tradizione cristiana il futuro della libertà nel nostro mondo è ben più nero.

Il giudizio e l’opinione personale circa l’opera che ha destato le polemiche, così come è per qualsiasi altra opera letteraria di ogni tipo essa sia, o circa qualsiasi pronunciamento della persona, sono, ovviamente, liberi e legittimi, ma non l’offesa, l’insulto, la calunnia. Né quest’opera né alcuna mia dichiarazione hanno mai giustificato in alcun modo, scusato e ancor meno promosso un solo atto di violenza contro la donna. Mentre, invece, favoriscono e facilitano la violenza contro la donna una legislazione che liberalizza l’aborto e ugualmente tutti quegli interventi che indeboliscono o addirittura eliminano il matrimonio, nella misura in cui tendono a lasciar cadere tutta la responsabilità di un’eventuale gravidanza interamente sulla donna, lasciata a se stessa ed escludendo il maschio da ogni forma di responsabilità.

So che l’autrice ha già chiesto a chiunque volesse rivolgere simili accuse al suo libro di farlo con precisione, specificando la pagina e il paragrafo dove dovesse essere contenuto un qualsiasi tipo di giustificazione o scusante di una pur minima forma di violenza nei confronti della donna, perché, al netto delle gratuite squalifiche che qualcuno può fare e delle grossolane manipolazioni, è consapevole che nessuno potrà trovarne. Come nemmeno potrà trovarne nelle mie parole. Semplicemente perché simili affermazioni che taluni gratuitamente mi attribuiscono non sono mai state da me pronunciate né da altri uomini di Chiesa a me vicini né tantomeno appartengono alla tradizione cristiana. Chi mi accusa può farlo soltanto fraintendendo le mie parole, il cui contenuto è noto e pubblico, anche perché la mia predicazione deve svolgersi sempre in pubblico, dalla cattedra episcopale che la Chiesa mi ha affidato.

FRANCISCO JAVIER MARTÍNEZ FERNÁNDEZ

ARZOBISPO DE GRANADA

15 de noviembre de 2013




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