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La difesa della vera LIBERTA' DELL'UOMO contro le tesi dei manichei e pelagiani

Ultimo Aggiornamento: 04/06/2011 09:57
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04/06/2011 09:31
 
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CAPITOLO TERZO

LA LIBERTA' DI SCELTA


Nel forte della controversia pelagiana, lungi dal negare la libertà per difendere la grazia, come spesso e, bisogna pur dirlo, con tanta superficialità si afferma ripetendo pari pari le accuse dei pelagiani, Agostino diventa il teologo della libertà, non solo della libertà dal male o libertà cristiana, di cui è convinto assertore e inesauribile cantore, ma anche della libertà di scelta, quella che aveva difeso contro i manichei e contro il fatalismo: la grazia che dona la prima, non toglie la seconda. Parliamo dunque di questa. Non faccia meraviglia il cambiamento di argomentazione: erano cambiati gli interlocutori. Questi ammettevano la Scrittura e ne accettavano l'autorità. Era dunque metodologicamente esatto e polemicamente efficace combattere non più con le armi della ragione, ma con quelle della Scrittura. Del resto, parlando a cristiani, Agostino voleva far capire che, difendendo la libertà e la grazia, non diceva nulla di suo, ma attingeva esclusivamente alla fonte della Rivelazione.

1. L'utrumque o il grande binomio.

Fin dall'inizio della controversia pelagiana imposta il problema sui termini fissi di libertà e grazia. Questa impostazione non fu più cambiata, anzi fu continuamente ribadita e chiarita. L'insegna dunque della sua dottrina è l'utrumque che tante volte ripete. Studiamola alla luce di quest'insegna e non sbaglieremo ad interpretarla. Come nella questione della libertà e della prescienza non scelse, ma affermò l'una e l'altra, dimostrando poi che non sono inconciliabili, così qui afferma l'una e l'altra - libertà e grazia - e indica poi, sia pure con grande modestia data la profondità dell'argomento, la via per vederne, in qualche modo, la conciliabilità. Di questa si parlerà a suo luogo nelle pagine seguenti 1. Qui interessa prima di tutto esaminare le due tesi di fondo. Parliamo innanzitutto della libertà. Forse ci stupiremo dell'insistenza di Agostino. Ma egli prevedeva o sentiva le difficoltà degli avversari. Del resto, anche senza di essi non avrebbe taciuto; non poteva infatti tacere di una verità fondamentale e insostituibile dell'antropologia umana e dell'economia della salvezza.
L'utrumque si trova già nella celebre preghiera delle Confessioni: Da quod iubes, et iube quod vis 2 che tanto dispiacque a Pelagio 3. V'è in essa l'espressione breve ed efficacissima della necessità della grazia e della disponibilità dell'uomo a compiere i divini comandamenti.

Nelle prime opere antipelagiane ribadisce questo concetto e ne indica il fondamento biblico. Vale la pena di riportare un lungo passo del Castigo e perdono dei peccati, che tra le prime è la prima. Vi s'insiste insieme sui comandi che Dio dà all'uomo e sulla preghiera dell'uomo che implora la grazia per osservarli: col comando Dio interpella la volontà dell'uomo, con la preghiera l'uomo ricorre alla misericordia di Dio. " Quando Dio ci comanda: Convertitevi a me e io mi convertirò a voi, e noi gli diciamo: Convertici, o Dio, nostro Salvatore, convertici Dio degli eserciti, che altro diciamo se non: 'Dona quello che comandi'? Quando comanda: Cercate di capire, o insensati del popolo, e noi gli diciamo: Dammi l'intelligenza perché io capisca la tua legge, che altro gli diciamo, se non: 'Dona quello che comandi'? Quando comanda: Non andare dietro alle tue concupiscenze, e noi gli diciamo: Sappiamo che nessuno può essere continente se Dio non glielo concede, che altro diciamo se non: 'Dona quello che comandi'? Quando comanda: Praticate la giustizia, e noi gli diciamo: Ammaestrami nella tua giustizia, che altro gli diciamo se non: 'Dona quello che comandi'? " 4.
Quasi a conclusione di questo ricamo biblico sul da quod iubes, e iube quod vis, un commento molto opportuno alle parole del Salmo: Dio è nostro aiuto ( Ps 61,9): " Non può essere aiutato se non chi si prova a fare qualcosa anche da sé. Dio infatti non opera in noi la nostra salvezza come se fossimo delle pietre insensibili o dei viventi alla cui natura egli non abbia dato la ragione e la volontà " 5. L'esempio, efficacissimo, illumina e conferma l'insegnamento: Dio ha dato all'uomo la libera volontà e, nel condurlo alla salvezza, tiene conto di questo suo dono.

La preghiera delle Confessioni - ad Agostino gli stava proprio a cuore per la sua brevità ed efficacia - torna nella seconda opera della controversia pelagiana, lo Spirito e la lettera, dove si discorre a lungo della legge delle opere che comanda (lettera) e della legge della fede che implora la grazia di fare quello che viene comandato (spirito). " Dove la legge delle opere impera minacciando, la legge della fede impera credendo... Perciò con la legge delle opere Dio dice: 'Fa' quello che comando', con la legge della fede si dice a Dio: Da' quello che comandi. Infatti la legge comanda perché la fede ammonisca l'uomo su ciò che deve fare, di modo che colui che riceve il comando, se non può ancora fare, sappia a chi chiedere... " 6.
Ma perché nessuno pensi che questo binomio - libertà e grazia - sia stato enunciato solo nelle prime opere antipelagiane e fatto cadere poi, ecco tre opere che coprono l'ultimo periodo della vita di Agostino, dal 400 alla morte. Si tratta della Risposta alle lettere di Petiliano, delle Ritrattazioni (426-427) e dell' Opera incompiuta contro Giuliano (429-430). Dice nella prima, dopo aver ricordato la difficoltà di conciliare la libera scelta dell'uomo e l'azione divina con cui il Padre trae gli uomini al Figlio: " Eppure utrumque verum est " 7.
L' utrumque torna nelle Ritrattazioni, dove corregge un suo errore giovanile circa l'inizio della fede. Vi ribadisce ciò che aveva difeso apertamente in tante opere. Sia il credere che l'operar bene sono nostri e di Dio, di Dio per la grazia, nostri per il libero arbitrio: utrumque ergo nostrum est propter arbitrium voluntatis et utrumque tamen datum est propter spiritum fidei et caritatis 8.
Quest' utrumque rivelatore ritorna nell'opera che la morte non gli permise di portare a termine. Scrive: " Utrumque verum est e che Dio prepari i vasi per la gloria (cf. Rom 9,23) e che questi vasi preparino se stessi. Infatti perché l'uomo operi, Dio opera, per la ragione che l'uomo ama perché Dio lo ha amato per primo (1 Gv 4,19) " 9. Nell'altra opera scritta poco prima dell'Opera incompiuta, che è, poi, quella più profonda e più difficile di quante ne ha scritte sulla grazia, se non ricorre materialmente l'utrumque, ricorre il senso. Scrive: " I figli di Dio vengono mossi dallo Spirito di Dio ( Rom 8,14), perché agiscano, non perché da parte loro non facciano nulla " 10.

2. La libertà nella Scrittura

Il grande binomio, libertà e grazia, tante volte ripetuto da Agostino prima della controversia pelagiana e dopo, nasceva da una profonda convinzione filosofico-teologica. Perché la convinzione teologica trovasse lo spazio per esprimersi ci voleva un'occasione. Questa gliela offrirono i monaci di Adrumeto; questi, letta la famosa lettera 194, ne conclusero che tra libertà e grazia non c'è possibilità di conciliazione, occorreva scegliere. Essi, manco a dirlo, sceglievano la libertà 11. Agostino lo seppe e rispose, dando, con maggiore ampiezza di quanto non avesse fatto fino allora, le ragioni bibliche del binomio che gli stava a cuore o, per usare ancora una volta la sua espressione preferita, dell' utrumque, e inviò il libro a quei monaci.
La visione teologica agostiniana appare già dal titolo: De gratia et libero arbitrio. Non poteva essere più significativo, precisamente come quello di molti anni prima: De natura et gratia, che dimostrava, contro Pelagio, che aveva scritto il De natura, quale dovesse essere l'atteggiamento del cristiano: non scegliere, ma abbracciare in una visione unitaria l'una e l'altra verità, perché l'una e l'altra ci è stata rivelata da Dio.
Per ciò che riguarda la libertà, ecco la tesi e gli argomenti di Agostino.
1. La tesi. Il Signore " ci ha rivelato per mezzo delle sue sante Scritture che c'è nell'uomo il libero arbitrio della volontà. In qual maniera poi lo abbia rivelato, ve lo ricordo non con le mie parole umane, ma con quelle divine " 12. La tesi è chiara: non meno chiaro il metodo. Parlando a cristiani, Agostino non si attarda ad usare argomenti di ragione ma si appella immediatamente alla fede: chi crede non potrà negarli. Farà lo stesso poco dopo per l'altra verità di fondo, la grazia. " Fin qui, carissimi, abbiamo provato con le testimonianze citate sopra dalle sante Scritture che per vivere bene ed agire rettamente c'è nell'uomo il libero arbitrio della volontà; ma adesso vediamo anche quali siano le testimonianze divine sulla grazia di Dio, senza la quale nulla di buono possiamo compiere " 13.
2. Gli argomenti. Vediamo gli argomenti della prima tesi. Si possono ridurre a tre: 1) le affermazioni esplicite sulla libertà dell'uomo; 2) i precetti della legge che la suppongono e l'includono; 3) il giudizio divino che non s'intenderebbe senza che ci fosse in noi la responsabilità nel compiere il bene e il male.

1) Per le affermazioni esplicite viene citato il celebre passo dell' Ecclesiastico (Siracide) 15, 11-18, dove nel bel mezzo si dice: " Il Signore creò l'uomo all'inizio e lo lasciò in mano del proprio consiglio. Se vorrai, osserverai ciò che ti viene prescritto e la completa fedeltà a ciò che a lui piace ". Questo testo biblico è commentato con le seguenti parole: " Ecco che vediamo espresso nella maniera più lampante il libero arbitrio della volontà umana " 14.
2) L'argomento tratto dai precetti divini è preceduto da questa premessa che, attraverso interrogativi retorici, ne indica la conclusione. " E che significa il fatto che Dio ordina in tanti passi di osservare e compiere tutti i suoi precetti? Come lo può ordinare, se non c'è il libero arbitrio e quel beato di cui il Salmo dice che la sua volontà fu nella legge del Signore, non chiarisce forse abbastanza che l'uomo perdura di propria volontà nella legge di Dio? " 15. Dopo questa premessa il nostro dottore cita una lunga serie di testi - oltre venti - in cui Dio si rivolge all'uomo interpellando la sua volontà con la formula imperativa: non volere... non vogliate, o condizionale: chi vuole... se vuoi... 16.
Al termine questo commento: " Quando si dice: non voler fare questo e non fare quello, e quando negli ammonimenti divini a fare o non fare qualcosa si richiede l'opera della volontà, il libero arbitrio risulta sufficientemente dimostrato. Nessuno dunque, quando pecca, accusi Dio nel suo cuore, ma ciascuno incolpi se stesso; e quando compie un atto secondo Dio, non ne escluda la propria volontà " 17.
Spiega poi per quale scopo vengono dati i comandamenti divini, affinché, cioè, nessuno porti la scusa dell'ignoranza e questa, in ogni caso, non abbia altra ragione se non la volontà di non apprendere per non agire bene (Rom 12,21); cita ancora un testo dell'Apostolo: Non ti lasciar vincere dal male, ma vinci il male con il bene (Rom 12,21), e conclude: " Appunto se a uno è detto: Non voler essere vinto, si fa richiamo senza dubbio all'arbitrio della sua volontà. Infatti volere e non volere appartengono alla volontà dell'individuo " 18.
3) La terza ragione, dedotta dal giudizio di Dio, nell'opera che sto commentando viene accennata qua e là, mentre la si trova esposta apertamente in una lettera che la precede e la riguarda. Agostino, come fa per molti altri problemi, riduce la questione della libertà e della grazia ad un motivo cristologico: Cristo è salvatore e giudice. Scrive ai monaci di Adrumeto: " Innanzitutto il Signore Gesù, come sta scritto nel Vangelo dell'apostolo Giovanni, è venuto non per giudicare il mondo, ma perché il mondo sia salvato da lui. Ma in seguito, come scrive l'apostolo Paolo: Dio giudicherà il mondo e lo giudicherà quando verrà a giudicare i vivi ed i morti, come confessa tutta la Chiesa nel Simbolo. Se, dunque, non c'è la grazia di Dio, in qual modo Dio salverà il mondo? E se non c'è il libero arbitrio, in qual modo giudicherà il mondo? " 19. Non c'è bisogno di ricordare che questo pensiero del giudizio di Dio dominava l'animo di Agostino: Dio è giusto e non può condannare nessuno se non ha commesso liberamente il male.

3. La risposta ai pelagiani

Sul tema della libertà - la libertà di scelta - Agostino ebbe una forte polemica con i pelagiani. Questi ponevano al centro del loro sistema la difesa della libertà 20. Come emblema della loro dottrina si possono prendere queste parole che furono contestate a Pelagio dal sinodo di Diospoli in Palestina: Tutti sono governati dalla propria volontà. Pelagio rispose: " Questo l'ho detto per il libero arbitrio, al quale Dio presta il suo aiuto nello scegliere il bene. Quando invece l'uomo pecca, sua è la colpa, dotato com'è di libero arbitrio ". I vescovi approvarono la risposta. Agostino commenta: " Chi infatti condannerebbe o negherebbe il libero arbitrio, se insieme ad esso si sostiene l'aiuto di Dio? " 21. Ma il modo col quale i pelagiani ammettevano l'aiuto di Dio era parziale e insufficiente. Il dottore della grazia precisa: non basta parlare di aiuto divino o di grazia solo a proposito della creazione, della rivelazione e della remissione dei peccati; occorre parlarne anche in un quarto modo, a proposito cioè dei peccati da evitare. Infatti senza l'aiuto di Dio non si possono evitare i peccati 22.
Questa dottrina i pelagiani non vogliono accettarla e passano al contrattacco accusando Agostino di negare la libertà. Questi risponde energicamente: " Ma chi di noi dice che col peccato del primo uomo è perito il libero arbitrio del genere umano? La libertà certo è perita per mezzo del peccato, ma quella che ci fu in paradiso, cioè quella di avere la giustizia e l'immortalità. Perciò la natura umana ha bisogno della grazia secondo le parole del Signore: Se il Figlio vi libererà, allora sarete veramente liberi (Gv 8,36) " 23. Anche dopo il peccato e nonostante il peccato il libero arbitrio dell'uomo resta. Né la grazia si oppone ad esso, ma lo libera perché possa operare la giustizia e raggiungere la salvezza. Anche nel forte della polemica a favore della grazia non dimentica mai l'altro polo del problema: la libertà.
Possiamo concludere questo importante argomento sul grande binomio che egli tenne sempre strettamente unito come un'esigenza fondamentale della ragione e della fede, con le parole della lettera ad Ilario siracusano, dove scrive, a proposito della libertà e della grazia: " L'arbitrio della volontà non viene tolto per il fatto che viene aiutato, ma viene aiutato proprio perché non viene tolto: Neque enim voluntatis arbitrium ideo tollitur, quia iuvatur; sed ideo iuvatur, quia non tollitur " 24. Queste parole riassumono e fissano in modo epigrafico una dottrina costantemente ritenuta e chiaramente proposta. Da esse si può giudicare se abbia ragione lo Jaspers, che pur ha scritto belle cose su Agostino, quando dice che " la sua dottrina della libera volontà finisce quasi per spegnersi interamente nella dottrina della grazia " 25.

4. Ma allora perché?

A questo punto non ci si può non fermare un momento per fare una riflessione. Se la dottrina agostiniana è questa - e i testi riportati dicono chiaramente che è questa - come si è potuto ripetere con tanta frequenza, e con parole anche più forti dello Jaspers, che Agostino difendendo la grazia ha finito per negare la libertà?
La domanda è legittima, ma la risposta non è facile. Non lo è, perché le ragioni sono molte, e riguardano sia la storia dell'agostinismo sia il testo agostiniano. L'agostinismo ha una storia, come tutti sanno, molto singolare, dovendo registrare interpretazioni da destra e da sinistra: le accuse dei pelagiani e le lodi dei predestinaziani, ripetute, le une e le altre, dai moderni.
Ma per restare al testo agostiniano e confermare sia pure sommariamente un'affermazione fatta all'inizio di questo argomento e ripetuta qui sotto forma appunto di questione, si può dire che le ragioni di questo fenomeno singolare e grave si possono ridurre a tre:
1) l'insistenza su la libertà cristiana, di cui il nostro dottore parlò a lungo e sempre con l'entusiasmo d'un innamorato;
2) la natura della libertà di scelta le cui radici sono nascoste nel profondo del nostro essere;
3) la difficoltà di comprendere la grazia, la quale toccando le soglie del mistero richiede, per essere compresa, non solo l'acume teologico e l'assiduo studio della Scrittura, ma anche l'umiltà della mente e l'assiduità della preghiera.
L'argomento tornerà nelle pagine seguenti. Qui si può dire brevemente così:
1) l'insistenza di Agostino sulla libertà dal male o libertà cristiana, che indubbiamente nel quadro dei suoi pensieri sta al primo piano, ha potuto far dimenticare ad alcuni e portarli a non vedere, che nel sottofondo fosse presente, sempre supposta e di quando in quando esposta, la libertà di scelta, tanto più che questa nelle discussioni posteriori, quelle scolastiche e moderne, è diventata prevalente e ha portato chi scrive o legge a identificare libertà e libertà di scelta;
2) la libertà di scelta richiede il concorso dell'intelletto e della volontà, va soggetta all'influsso delle passioni ed è destinata alla beata necessitas del non posse peccare: tutte questioni che sono ben lungi dall'essere a tutti chiare;
3) la grazia opera negli ingranaggi della libertà umana, interiormente, profondamente. Nella convinzione di Agostino, Dio ha in potere la nostra volontà più di quanto non l'abbiamo in potere noi stessi e, avendola creata, opera in essa dal di dentro, con tanta soavità da volgerla al bene quando vuole e come vuole, senza violarne peraltro la natura. Dico: al bene, perché al male purtroppo la volontà si volge da se stessa. Ora quest'azione di Dio tocca le soglie del mistero. E' più facile la soluzione di chi, come Giuliano, considera la volontà " emancipata " da Dio; più facile, ma difforme, metafisicamente e religiosamente, dalla verità 26.
Le pagine che seguono cercheranno di chiarire il significato e il valore di queste ragioni. Comincerò dalla prima.

CAPITOLO QUARTO

LA LIBERTA' DAL MALE, O LA LIBERTA' CRISTIANA


Diciamo subito che se Agostino, attingendo alla luce della ragione e della fede, difende con fermezza la libertà di scelta come un postulato essenziale della persona umana, parla più a lungo, con insistenza e passione, di un'altra libertà, quella che ci viene da Cristo, la libertà dal male. Ne parla più a lungo per ragioni pastorali, per ragioni polemiche, per ragioni esperienziali. Infatti: 1) occorreva insistervi presso il popolo cristiano perché imparasse ad amare, a cercare, a invocare questa preziosa libertà che prelude a quella suprema e definitiva dei tempi escatologici, assicura il pacifico sviluppo della persona umana e anima la preghiera con l'ultima petizione del Padre nostro: ma liberaci dal male; 2) contro i pelagiani poi, che negavano la necessità della grazia per evitare il peccato, occorreva insistere sulla schiavitù che proviene dal peccato e dalla concupiscenza disordinata e sul male della morte: da questi mali può liberarci solo la grazia di Cristo; 3) il ricordo della dura servitus 1 che aveva sofferto in gioventù quando, scoperta la verità attraverso la fede cattolica, voleva dedicarsi totalmente alla ricerca della sapienza: questa circostanza rendeva più efficace, se ce ne fosse stato bisogno, il suo insegnamento colorendolo con la luce della sua esperienza.
Parliamo dunque di quest'aspetto essenziale dell'opera redentrice di Cristo della quale Agostino sentì il dovere di esporre e chiarire e difendere la necessità, la centralità, l'insostituibilità.

1. Questione semantica

Prima di tutto si pone una questione semantica: l'uso dei termini liberum arbitrium e libertas. Si è visto sopra che Agostino, rispondendo ad una accusa dei pelagiani, distingue tra l'uno e l'altro termine, attribuendo il primo al potere che la volontà ha nei propri atti, il secondo al possesso della giustizia e dell'immortalità. Vale la pena di ripetere le sue parole. " Chi di noi dice che col peccato del primo uomo il libero arbitrio è perito dal genere umano? La libertà, certo, è perita col peccato, ma quella che l'uomo ebbe in paradiso, quella di avere la piena giustizia congiunta all'immortalità " 2. La distinzione semantica sarebbe stata preziosa se Agostino vi fosse restato fedele. Ma purtroppo questo non è avvenuto.
Vi resta fedele, per esempio, quando, esponendo la visione universale della storia umana, parla di libertas minor e di libertas maior 3, o parla della libertà necessaria per vincere gli errori, i terrori, gli amori di questo mondo 4, o afferma che " la prima libertà è quella di esser privi di peccati gravi (crimina) " 5, o enuncia il principio generale che dopo il peccato la vera libertà ci viene dalla grazia 6, o sostiene che la libertà perfetta è quella che importa la desideranda necessitas di volere il bene e di non poter non volerlo 7, o ricorda che l'immutabile libertà dell'uomo è quella di voler essere beati 8.
Invece non vi resta fedele altre volte quando usa il termine liberum arbitrium mentre ci si aspetterebbe libertas. Primum liberum arbitrium posse non peccare, novissimum non posse peccare 9. In questo caso non si può risolvere la questione sul piano semantico: occorre ricorrere a quello contenutistico, che non presenta del resto grosse difficoltà, almeno per chi legge tutti i testi di Agostino e vuole, come si è detto cominciando, concordarli tra loro.

2. L'insegnamento biblico

In questo come negli altri argomenti teologici Agostino prende l'avvio dalla Scrittura e ad essa si richiama di continuo per controllare le affermazioni e i giudizi. Sulla libertà i testi principali che cita e commenta sono tre: 1) Gv 8,32: cognoscetis veritatem, et veritas liberabit vos 10; 2) Gv 8,36: Si vos Filius liberaverit, vere liberi eritis 11; 3) Mt 6,13: l'ultima petizione del Padre nostro: sed libera nos a malo 12.
Sul primo testo vale la pena di citare, in parte almeno, un commento agostiniano: " Il premio [per chi rimane fedele alla parola di Cristo] qual è? Conoscerete la verità e la verità vi farà liberi. O premio! Conoscerete la verità. Forse dirà qualcuno: e che mi giova conoscere la verità? E' la verità a farvi liberi. Se non vi attrae la verità, vi attragga la libertà... Essere liberato vuol dire propriamente essere reso libero; come salvato, fatto salvo; sanato, reso sano... Nella lingua greca questo significato è più evidente e non può essere inteso in un altro modo. Perché sappiate che non può essere inteso in un altro modo, [sentite] che cosa rispondono i giudei alle parole del Signore: Noi non abbiamo mai servito a nessuno, come tu dici: la verità vi farà liberi? Cioè, come puoi dire a noi: la verità vi farà liberi, se noi non abbiamo mai servito a nessuno? " 13. La verità che libera non vuol dire soltanto, dunque, osserva Agostino, la verità che ci scampa da un pericolo, ma che da servi che eravamo ci fa liberi.
Sul secondo testo giova ricordare una polemica con Giuliano. Questi replica al testo agostiniano riportato sopra 14 e interpreta il liberabit vos come liberazione dai peccati commessi personalmente, che costituiscono l'unica servitù dell'uomo. Agostino controreplica intendendo il qui facit peccatum (non qui fecit come leggeva Giuliano) servus est peccati in un senso più universale includendo in esso anche la servitù dalle passioni disordinate e quindi intende in senso più universale la liberazione che ci viene da Cristo 15.
Sul terzo testo val la pena di osservare che il nostro dottore nell'ampio quadro della vita spirituale che traccia mettendo in relazione beatitudini, doni dello Spirito Santo e petizione del Padre nostro 16, ravvicina il libera nos a malo alla sapienza, che è il più alto dei doni di Dio, e alla beatitudine della pace, che è la più alta delle beatitudini 17. La liberazione dal male coincide con la giustificazione ed ha lo stesso raggio d'azione: dalla Chiesa peregrinante alla Chiesa escatologica 18, quando " la creazione... [sarà] liberata dalla schiavitù della corruzione per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio " (Rom 8,21).

3. Le sei grandi libertà cristiane

L'ampio discorso che Agostino fa sulla libertà cristiana si può ridurre a sei temi fondamentali: la libertà dall'errore, dal peccato, dal disordine delle passioni, dalla legge, dalla morte, dal tempo. Queste sei libertà vengono elargite agli uomini - soggetti appunto all'errore, al peccato, alle passioni, alla legge, alla morte e al tempo - dai doni divini della fede, della giustificazione, della grazia adiuvante, dell'amore, della risurrezione, dell'eternità.
Sei libertà che il vescovo d'Ippona, capace ed amante delle grandi sintesi, riduce ad una sola, a quella dell'amore: lex libertatis, lex caritatis 19. Ora il cuore di tutta la Scrittura è per Agostino l'amore 20. Perciò la libertà cristiana altro non è che la libertà dell'amore: libertas caritatis 21: quando l'amore sarà pieno e perfetto, sarà piena e perfetta anche la libertà.
Il panorama qui riassunto è immenso. Esso induce a meditare lungamente sulla redenzione di Cristo e sui frutti che ne derivano all'umanità. Agostino vi meditò molto e ne ridisse i risultati nei suoi scritti; vi meditò e ne scrisse per molte ragioni: teologiche, polemiche e mistiche, ed anche filosofiche. Egli, anche come filosofo, non sa capire la storia dell'umanità senza l'influsso negativo del peccato e l'influsso positivo della redenzione di Cristo 22. Giova seguirlo su questo campo, sia pur brevemente.
1) La libertà dall'errore. La libertà di errare è da lui considerata come la peggiore morte dell'anima: Quae peior mors animae - esclama - quam libertas erroris? 23. Questa interrogazione retorica esprime con efficacia la triste esperienza dell'errore che egli stesso aveva fatto fuori della fede cattolica. Questa esperienza ne fece l'assertore convinto e indefesso dell'utilità della fede. Ma prima di tutto gli suggerì l'affermazione di fondo: la nostra libertà è questa: essere soggetti alla verità. Alla luminosa affermazione fanno seguito le prove, quella biblica con la citazione di Io 8, 31 - 32 e quella filosofica con la nozione della beatitudine che non può essere vera se non è sicura. " La stessa Verità, che è anche Uomo in dialogo con gli uomini, ha detto a coloro che lo credono: Se rimarrete nella mia parola, sarete veramente miei discepoli e conoscerete la verità e la verità vi libererà. L'anima infatti non gode di un bene con libertà, se non ne gode con sicurezza. Ora non si è sicuri di quei beni che si possono perdere indipendentemente dalla volontà " 24.
Per quel principio e per queste ragioni la difesa dell'utilità della fede diventava obbligatoria e naturale. Il vescovo d'Ippona la intraprese subito dopo la conversione 25 e, appena all'inizio del suo sacerdozio, scrisse un'opera dal titolo significativo e programmatico: L'utilità del credere. La fede è utile per tutti, anche per il filosofo. Essa è la fortezza inespugnabile che assicura e difende chiunque dalla molteplicità degli errori 26, è il nido dove mettiamo le penne per poter volare con sicurezza verso gli orizzonti del vero 27, è la medicina che sana l'occhio dello spirito perché possa fissarsi nelle verità più alte 28, è l'accorciatoia che permette di conoscere presto, senza grande sforzo e senza errori, quelle verità essenziali che sono indispensabili affinché l'uomo possa condurre una vita sapiente 29.

2) La libertà dal peccato. E', insieme alla liberazione dall'errore, la grande libertà che proviene da Cristo. Prima libertas - esclama Agostino parlando al popolo - est carere criminibus 30. Inutile ricordare che qui crimina sta per " peccati gravi ", cioè quei peccati che escludono dal regno di Dio, dei quali parla l'Apostolo in Gal 5,19 - 21 31. L'insistenza su questa libertà è pari alla profonda convinzione che gli veniva dall'esperienza personale e dalle parole del Vangelo ricordate sopra: Omnis qui facit peccatum, servus est peccati (Gv 8,34). " Oh, miserabile schiavitù! - esclama Agostino - Accade che uomini schiavi di duri padroni chiedano di essere venduti, non per non avere più padrone, ma almeno per cambiarlo. Che farà chi è schiavo del peccato?...La cattiva coscienza non può fuggire da se stessa...Ricorriamo tutti a Cristo, invochiamo contro il peccato l'intervento di Dio liberatore, chiediamo di essere venduti, ma per essere ricomprati con il suo sangue " 32. Non c'è bisogno di dire che per Agostino il peccato è vera alienazione dell'uomo e che l'uomo non si ritrova se non trovando Dio.
La liberazione dal peccato avviene per opera di Colui che non ha conosciuto il peccato: " Solo il Signore ci può liberare da questa schiavitù: egli che non la subì, ce ne libera; perché egli è l'unico che è venuto in questa carne senza peccato " 33; avviene nella giustificazione nella quale la remissione dei peccati è " piena e totale ", " piena e perfetta " 34 e l'uomo da servo del peccato diventa servo della giustizia: liber peccati, servus iustitiae 35. Ma mentre la remissione dei peccati è totale ed immediata, il rinnovamento interiore è vero e reale in quanto viene restaurata l'immagine di Dio nell'anima e operata la " deificazione " attraverso l'inabitazione dello Spirito Santo; è vero e reale, ma non perfetto: la nostra giustizia qui in terra è sempre imperfetta, la pretesa pelagiana dell'impeccantia non è conforme all'insegnamento della Scrittura 36. Perciò abbiamo bisogno di un'altra libertà.
3) Libertà dalle passioni disordinate. Questo bisogno deriva dal fatto che la nostra giustificazione, se è immediata in quanto alla remissione dei peccati, è progressiva in quanto al rinnovamento interiore 37. Resta infatti la lotta tra la carne e lo spirito, resta la infirmitas (la iniquitas è stata rimessa nel battesimo), che dev'essere curata per tutta la vita, restano le passioni disordinate che devono essere ricondotte all'ordine, affinché l'uomo possa vivere nella giustizia. Si sa, e Agostino lo afferma perentoriamente, solo il giusto è libero: solus iustus est liber 38. Perciò la libertà cresce col crescere della giustizia che qui vuol dire rettitudine morale, santità, ordine.

Dice parlando al suo popolo, dopo aver ricordato i crimini o peccati gravi quali l'omicidio, l'adulterio, la fornicazione, il furto, ecc.: " Quando uno comincia a non avere questi crimini (e nessun cristiano deve averli), comincia a levare il capo verso la libertà; ma questo non è che l'inizio della libertà, non la libertà perfetta. Perché, domanderà qualcuno, non è la libertà perfetta? Perché sento nelle mie membra un'altra legge in conflitto con la legge della mia ragione ". E subito dopo: " Libertà parziale, parziale schiavitù: non ancora completa, non ancora pura, non ancora piena è la libertà, perché ancora non siamo nell'eternità. In parte conserviamo la debolezza, e in parte abbiamo raggiunto la libertà ". E poi ancora: " Siamo liberi, in quanto ci dilettiamo nella legge di Dio: è la libertà che ci procura questo diletto; dilectio enim delectat " 39.
Questa libertà s'identifica con la sanità dell'anima: ipsa sanitas est vera libertas, s'identifica, cioè, con l'equilibrio interiore che permette all'uomo di dominare le sue passioni e di farle rientrare nell'ordine. Perciò " la libera volontà sarà tanto più libera quanto più sarà sana e tanto più sana quanto più sarà sottomessa alla misericordia e alla grazia divina " 40.
Inutile dire che questa progressiva libertà è opera dell'uomo, ma è prima di tutto e soprattutto, opera della grazia adiuvante della cui necessità ha tanto scritto Agostino nella controversia pelagiana 41. Quella controversia egli la sostenne, e senza risparmio di tempo e di energie, non solo per conservare integro l'insegnamento della fede, ma anche per difendere la libertà dell'uomo, quella vera.
4) La libertà dalla legge. E' un tema caro a S. Paolo. Agostino, grande studioso delle lettere paoline, non poteva ignorarlo. Lo tratta infatti e con grande compiacenza. Scrive a proposito della giustificazione: " Giustificati gratuitamente per la sua grazia (Rom 3,24). Dunque non giustificati per la legge, non giustificati per la propria volontà, ma giustificati gratuitamente per la sua grazia. Non che ciò avvenga senza la nostra volontà, ma la nostra volontà si dimostra inferma davanti alla legge, perché la grazia guarisca la volontà, e la volontà guarita osservi la legge, non più soggetta alla legge, né bisognosa della legge " 42. Non bisognosa della legge: è l'eco delle parole della lettera prima a Timoteo: la legge non è fatta per il giusto, parole che Agostino commenta spesso 43. Spiega: " Non è lo stesso essere nella legge o sotto la legge; colui che è nella legge, opera in conformità ad essa; chi è sotto la legge, è costretto a muoversi secondo essa. Il primo è libero, il secondo è servo. Di conseguenza una cosa è la legge scritta e imposta al suddito, un'altra la legge accolta nell'anima da colui che non ha bisogno del precetto scritto " 44.

In un'opera tra le prime, scritta da presbitero, chiarisce che questa libertà - la libertà dalla legge - è propria di chi non vive più la propria vita, ma la vita di Cristo, ed è, come l'apostolo Paolo, in alto nella perfezione. Scrive infatti: " La legge non è posta per il giusto, cioè non gli è imposta quasi fosse sopra di lui. In realtà il giusto è nella legge piuttosto che sotto la legge, perché non vive di se stesso per il cui freno è imposta la legge. Per dir così, egli vive in qualche modo con la stessa legge quando vive giustamente con l'amore della giustizia e gode non del bene proprio e transitorio, ma del bene comune e stabile ". Porta l'esempio di S. Paolo che diceva di sé: Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me (Gal 2,20), cui pertanto non si poteva imporre la legge, e conclude: " Chi oserebbe imporre la legge a Cristo che vive in Paolo? " 45.
In un'opera della maturità più brevemente: " La legge è buona... ma non è fatta per il giusto, perché questi non ha bisogno della lettera che l'atterrisca dato che si diletta della stessa giustizia " 46. Questa preziosa libertà, propria dei cristiani perfetti che hanno trasformato il dovere in bisogno e son divenuti legge a se stessi, è la preparazione di un'altra libertà che non è meno preziosa, che anzi, sotto l'aspetto teologico, lo è molto più.
5) La libertà dalla morte. Questo argomento ha tanta ampiezza e profondità che un breve accenno non può che impoverirlo. Si tratta della grande verità, vanto dei cristiani, della risurrezione. Agostino ne ha parlato molto, come catechista che spiega il Simbolo della fede al suo popolo 47, come pastore che commenta i grandi misteri cristiani 48, come teologo che precisa e illustra l'oggetto proprio del domma 49, come filosofo e apologeta che risponde alle difficoltà e difende l'insegnamento cristiano 50.
Qui basti l'enunziazione generale nei confronti della libertà: " La libertà piena e perfetta, dono del Signore che ha detto: Se il Figlio vi libererà, allora sarete veramente liberi (Gv 8,36), ci sarà quando non ci saranno più nemici, quando sarà distrutta l'ultima nemica che è la morte (1 Cor 15,26) " 51. La libertà piena dunque è la vittoria sulla morte.

Questo non vuol dire che lo spirito la raggiunge quando si sarà liberato dal corpo, come volevano i platonici, particolarmente Porfirio col suo sbandierato omne corpus fugiendum - contro questa opinione Agostino combatte con somma energia 52 -, ma vuol dire che sarà pienamente libero solo quando, nella risurrezione, si sarà rivestito non più del corpo corruttibile, quello che ne appesantisce il volo, bensì del corpo incorruttibile, il quale, anche se corpo, essendo spirituale e perciò docile ai suoi voleri, ne asseconda e ne perfeziona ogni movimento 53.
A questa sublime libertà ne va congiunta un'altra, l'ultima, la più alta.
6) La libertà dal tempo. Congiunta alla libertà dalla morte, ne è il compimento. Cristo, Verbo del Padre, è entrato nel tempo per rendere eterni coloro che vivevano nel tempo. " O Verbo - esclama Agostino dopo aver confrontato tempo ed eternità - o Verbo che esisti prima di ogni tempo, per mezzo del quale furono fatti i tempi, eppure nato nel tempo perché sei tu la vita eterna che chiami gli uomini viventi nel tempo e li rendi eterni " 54. Li rendi eterni. Proprio così. Quale libertà sia questa, lo intende, sia pure nel barlume della ragione e della fede, chiunque sente il logorio del tempo, che risucchia ed annulla la vita, e ne geme. Che cos'è appunto la vita nel tempo? Una voce tra due grandi silenzi, tra il silenzio del passato che non è più e il silenzio dell'avvenire che non è ancora 55. Vivere nel tempo è un continuo morire. Solo l'eternità è vita. Qual è dunque la via per vivere senza morire? Trascendere il tempo: ut ergo et tu sis trascende tempus. Ma chi può trascenderlo senza il Cristo? 56 " Dobbiamo dunque amare Colui per mezzo del quale fu creato il tempo, se vogliamo essere liberati dal tempo e immersi nell'eternità, dove non ci sarà più alcun movimento temporale " 57. Chi vuol sapere quanto Agostino abbia amato questa libertà, legga il molto che ha scritto sul tempo 58.
Dal poco che si è detto appare chiaro che il vescovo d'Ippona fu della libertà cristiana un cantore innamorato e un teologo acuto. Se si vuole una conferma, la si può trovare nella visione della storia.

4. La storia vista in chiave di libertà

Essa si svolge, come ho già accennato, tra la libertas minor e la libertas maior ed ha per oggetto il peccato, le passioni (disordinate), la morte, secondo che potevano non esserci, non possono non esserci, non potranno esserci. Tre momenti essenziali senza i quali non si comprende la storia.
All'inizio dei tempi l'uomo ebbe una grande libertà anche se non somma. Essa consisteva essenzialmente in tre invidiabili poteri: 1) poter non peccare; 2) poter non avere passioni ribelli alla ragione; 3) poter non morire.
Col peccato di Adamo, incommensurabilmente grande, seguì la perdita di quei poteri e di quella libertà. L'uomo per giusto giudizio di Dio si ritrovò con tre mali: 1) il non poter agire bene (in ordine alla salvezza); 2) il non poter non sentire il disordine delle passioni; 3) il non poter non morire. Della libertà che aveva ricevuto non restava che l'ombra. Ma Cristo è venuto per restituirla, anzi per portare l'uomo " oltre l'antico onor " sia pure, come si è accennato, col metodo della progressività.
Perciò alla fine dei tempi l'uomo riavrà nel Cristo una libertà maggiore, quella somma, cioè: 1) il non poter peccare; 2) il non poter sentire passioni disordinate; 3) il non poter morire.
I testi agostiniani più sintetici sono due. " La prima libertà del volere era poter non peccare; l'ultima sarà molto maggiore: non poter peccare. La prima immortalità era poter non morire; l'ultima sarà molto maggiore: non poter morire. La prima potestà della perseveranza era poter non abbandonare il bene; l'ultima felicità della perseveranza sarà non poter abbandonare il bene " 59. " Come la prima immortalità, che l'uomo perdette peccando, fu poter non morire, così il primo libero arbitrio fu di poter non peccare, l'ultimo di non poter peccare. Sarà infatti inamissibile la volontà del bene e dell'equità, com'è inamissibile quella della felicità... Dunque quella città [celeste] avrà una volontà libera, una in tutti e inseparabile in ciascuno; liberata da ogni male e ricolma di ogni bene... " 60.
Non si può negare che la concezione agostiniana della libertà - libertà di scelta e libertà dal male - sia davvero grandiosa e che, penetrando nei tessuti della persona umana e della storia, esprima l'antropologia cristiana nel modo più alto e più bello, ed offra il valido fondamento per ogni altra libertà, compresa quella sociale ed economica. Ma occorre seguirlo ancora. Questa volta non nell'esposizione ma nella difesa della sua concezione.

CAPITOLO QUINTO

LA NATURA DELLA LIBERTA'


Da quanto si è detto or ora sulla libertas minor e sulla libertas maior risulta chiaro che la perdita del posse peccare non è una perdita ma un guadagno: non toglie la libertà, ma la perfeziona, e a tal punto che la rende piena e totale. Ma in che consiste dunque la libertà secondo Agostino? La risposta non può essere che articolata. Certamente, non consiste nel poter peccare e poter non peccare. Questa era l'opinione di Giuliano, cui Agostino risponde per le rime. Ma la questione non è chiusa. Ci si chiede: consiste forse nel potere della volontà di volere o non volere, come si è detto sopra parlando della libertà di scelta, o consiste nel volere il bene con tanta forza e in modo tale da non poterlo non volere?
Anche qui come altrove il nostro dottore è per l'esclusione dei facili aut aut. Alla questione così posta risponde ricusando, ancora una volta, di scegliere. Non ha scelto tra prescienza e libertà, non ha scelto tra libertà e grazia, non sceglie neppure qui: proposta un'importante ( e necessaria) distinzione, sostiene che l'uno e l'altro è vero: è libertà il potere di volere e non volere, ma è anche libertà il volere il bene senza il potere di non volerlo. Anzi questa è la forma più alta ed ultima della libertà perché pienamente conforme alla natura stessa della volontà, la quale, creata per amare il bene, non può non trovare la sua perfezione nel volerlo in modo pieno, totale, irreversibile.

1. La libertà non consiste nella possibilità di peccare o di non peccare

Era la nozione che ne dava ripetutamente Giuliano. Ecco le sue parole: " La libertà dell'arbitrio, con la quale l'uomo è emancipato da Dio, consiste nella possibilità di commettere il peccato o di astenersi dal peccare " 1. Giuliano v'insiste: " L'uomo non poteva esser capace del proprio bene, se non fosse stato capace anche del male " 2. In questa definizione Agostino trova due gravi difetti.
Il primo riguarda il particolare dell'uomo che con il libero arbitrio sarebbe emancipato da Dio. Egli osserva: " Dici l'uomo emancipato da Dio, e non ti rendi conto che con l'emancipazione si ottiene che l'emancipato non appartenga alla famiglia del padre " 3. Osservazione breve ma significativa. Il libero arbitrio non rende l'uomo estraneo a Dio, indipendente dalla sua azione o, peggio ancora, in concorrenza con essa. La concezione agostiniana della libertà e quella di Giuliano erano davvero molto lontane. Questo fatto rendeva incomprensibile il discorso sulla grazia. Lo vedremo nelle pagine seguenti.
Il secondo grave difetto toccava la definizione stessa della libertà: " T'inganna, gli dice Agostino, la definizione che hai dato del libero arbitrio. Hai detto: 'Il libero arbitrio non è altro che la possibilità di peccare e di non peccare...'. Con questa definizione tu togli il libero arbitrio a Dio... Inoltre gli stessi santi nel regno di Lui perderebbero, poiché non possono peccare, il libero arbitrio " 4. E altrove: " ...tu ritieni che appartenga alla natura del libero arbitrio potere l'uno e l'altro, cioè peccare e non peccare, e pensi che per questo l'uomo sia stato fatto ad immagine di Dio. Eppure Dio non può l'uno e l'altro. Infatti nessuno, neppure se pazzo, dirà mai che Dio possa peccare, né tu osi dire che Dio non ha il libero arbitrio..., in Dio, che non può peccare, il libero arbitrio è sommo " 5.
La forza dell'argomentazione agostiniana sta nei due esempi addotti: Dio e i beati. Ma hanno valore questi esempi? In che senso Dio è libero? In che senso lo sono i beati? Sulla libertà divina non ci sono né dubbi né difficoltà quando si tratti delle opere ad extra, per esempio l'opera della creazione. Intorno alla creazione si sa che Agostino difese tenacemente e acutamente la creazione nel tempo e la piena libertà di Dio nel creare: Dio ha creato perché ha voluto, e poteva non volere senza per questo diventare mutabile. Lo fece contro i neoplatonici che sostenevano e la creazione ab aeterno e la necessità della creazione. Dio non crea, sentenzia in contrario Agostino, per indigentiae necessitatem, ma per abundantiam beneficentiae 6; e crea liberamente, nel tempo, anzi col tempo. Nella Città di Dio spiega, con profonda intuizione metafisica, come ciò non appaia impossibile anche tenuta presente l'immutabilità divina 7.
Ma la difficoltà nasce dal secondo esempio. In che senso i beati sono liberi? Occorre premettere che contro la beatitudine ciclica proposta dai neoplatonici Agostino difese con forza due affermazioni di fondo: 1) la beatitudine non è vera se non è eterna; 2) i beati non sono beati se non sanno che la beatitudine raggiunta è inamissibile; se invece la beatitudine fosse amissibile ed essi lo ignorassero, la loro beatitudine sarebbe fondata sull'ignoranza, che è un assurdo 8. Ma posti questi due princìpi dov'è la libertà dei beati? Qui per spiegarsi bisognava fare alcune distinzioni.

2. Distinzioni necessarie e importanti

La prima corre tra la libertà di voler essere beati e la libertà di volere il bene per giungere alla beatitudine: quella è congenita all'uomo ed è assolutamente inamissibile, questa no; quella infatti non l'abbiamo perduta neppure col peccato - " la volontà di esser beati non l'abbiamo perduta neppure dopo aver perduto la felicità " 9 -, questa abbiamo bisogno che ci venga restituita dalla grazia di Cristo. " Se cerchiamo il libero arbitrio dell'uomo a lui congenito e assolutamente inamissibile, è quello con il quale tutti vogliono essere beati, anche coloro che non vogliono ciò che conduce alla beatitudine " 10. E poco dopo, insistendo sullo stesso concetto, scrive: " La libertà immutabile della volontà, con la quale l'uomo è stato creato ed è creato, è quella per cui tutti vogliamo essere beati e non possiamo non volerlo; ma questa libertà non basta perché ognuno sia beato, perché non è congenita all'uomo l'immutabile libertà della volontà con la quale voglia e possa agir bene come gli è con genita quella di voler essere beato: questo lo vogliono tutti, anche quelli che non vogliono agire rettamente " 11.
A questa prima distinzione ne segue una seconda che riguarda la libertà del merito e la libertà del premio. E' molto importante. La enuncia il nostro dottore al termine della Città di Dio. " Dio non può peccare per natura, ma la creatura partecipe di Dio, riceve da Lui il non poter peccare. Nel dono divino doveva osservarsi come una graduazione: prima il libero arbitrio con il quale l'uomo potesse non peccare, poi, per ultimo, il libero arbitrio con il quale non potesse peccare; quello per acquistare il merito, questo per ricevere il premio: illud ad comparandum meritum, hoc ad recipiendum praemium " 12. Va osservato che per Agostino tra la libertà del merito e la libertà del premio c'è una profonda differenza: quella richiede il potere di volere e di non volere ed è propria dell'uomo in via verso la beatitudine, questa propria dell'uomo che ha raggiunto la beatitudine. " Si deve ritenere piuttosto - risponde a Giuliano, sempre sul tema della natura della libertà - che l'uomo sia stato creato all'inizio capace del bene e del male, affinché, amando il bene, acquistasse il merito col quale fosse poi capace o del solo bene o del solo male " 13, secondo i debiti fines delle due città.
Alla seconda distinzione se ne aggiunge quindi una terza. Agostino la propone sempre in polemica con Giuliano sulla natura della libertà: riguarda la virtus minor e la virtus maior; distinzione configurata semanticamente a quella di libertas minor e libertas maior che abbiamo visto. Giova riportare le sue parole: " Quando ci sarà concesso di non allontanarci dal Signore perché non potremo non vederlo, neppure allora vivremo senza virtù... Ora non ci sarebbe in noi la virtù altrimenti che in questo modo: non avere la volontà cattiva e avere il potere di averla; ma in merito di questa virtù minore doveva esserci data, come premio, la virtù maggiore, quella di non avere la volontà cattiva e non avere il potere di averla ".
Dopo queste parole Agostino esclama: O desideranda necessitas! 14. Esclamazione che dice da sola quanta importanza egli annettesse a questa libertà definitiva, che è necessità, perché la volontà vuole il bene senza poter volere il male; ma è una necessità sommamente desiderabile, perché con questa l'uomo raggiunge la perfezione ultima, e perciò la libertà piena. " Allora saremo più felicemente liberi - felicius liberi erimus - quando non potremo servire al peccato, come lo stesso Dio; ma noi per sua grazia, Egli invece per sua natura " 15. La nostra libertà dunque è tanto più perfetta quanto più è vicina a quella di Dio: la libertà di volere il bene e il male è una condizione provvisoria, una preparazione a quella con cui potremo volere solo il bene.

3. Alcune considerazioni

Non si può chiudere questo argomento senza fare alcune considerazioni, almeno tre.


1) La prima riguarda la virtù minore a cui è legato il merito. Questo e quella abbracciano tutta la vita presente. Si sa che Agostino difese il merito del giustificato - lo si è detto altrove 16 e si tornerà a dirlo 17 -; ma il merito suppone nella volontà il potere di volere e di non volere, volere il bene e poter non volerlo. Tutto quello che ha detto contro i manichei 18, lo conferma qui contro i pelagiani. Le prime opere devono essere capite, quanto sia necessario, alla luce delle ultime. Ora nell'ultima, anzi nel libro ultimo dell'ultima opera restata incompiuta, il vecchio maestro dice esplicitamente che la virtù minore suppone nella volontà il non volere il male ma unito al potere di volerlo: non dire di no al bene ma essere in grado di dirlo o, in forma positiva, dire di sì col potere di dire di no.
Per usare una distinzione posteriore, si può dire che per acquistare il merito (o il demerito) non basta la libertà dalla coazione; si richiede anche la libertà dalla necessità. Se ne deve concludere che quando Giansenio sostiene che per meritare o demeritare basta la prima libertà e non c'è bisogno della seconda 19, non interpreta rettamente il pensiero agostiniano, anzi, occorre pur dirlo, lo tradisce.La Chiesa condannandone questa affermazione - è la terza delle cinque proposizioni condannate 20 - è restata fedele alla sua propria dottrina e a quella del vescovo d'Ippona.
Se è vero che nelle prime opere questi sembra identificare l'atto libero con quello volontario, ciò dev'essere interpretato, alla luce delle ultime, nel senso che la volontà, non potendo essere interiormente necessitata che dal bene assoluto e beatificante - la desideranda necessitas -, resta sempre, fuori del possesso di quel bene, padrona dei suoi atti, sempre in potere di volere o non volere. La grazia non toglie mai questo potere, ma lo rispetta e lo fa servire con la " liberale soavità " dell'amore 21 al bene della salvezza, cioè al raggiungimento della libertà maggiore, quella ultima e definitiva. La permanenza qui in terra della libertà di scelta è la ragione dell'utrumque su cui tanto insiste Agostino, e di cui si è parlato 22.

2) La seconda osservazione riguarda la nozione della beatitudine che non può essere vera se non è consapevolmente eterna. Questo vuol dire che i beati possiedono il bene beatificante, che è Dio, e lo amano in modo da non poterlo non amare. In caso contrario, cioè se essi, per ipotesi, conservassero il potere di allontanarsi da Dio, si ricadrebbe nel concetto platonico della beatitudine ciclica e, per la legge dei contrari, nella possibilità del ritorno a Dio del diavolo, che era, secondo quanto riteneva Agostino, l'errore di Origene, che la Chiesa, egli dice, ha giustamente riprovato 23. Perciò a Giuliano che insisteva nella sua definizione della libertà - poter peccare e non peccare -, rimprovera che in questo modo egli finisce per rinnovare l'errore di Origene: Origenis nobis instaurabis errorem 24.
Interessante! L' " aristotelico " Giuliano 25 sembra inclinare o aderire addirittura all'opinione platonica della beatitudine ciclica, mentre il " platonico " Agostino, in nome della ragione (e della fede), ne è decisamente contrario e la combatte. Concepisce infatti l'ultima libertà, quella piena e definitiva, come impossibilità di volere il male. Le due nozioni della libertà, e perciò le due antropologie, erano molto lontane. Questa diversità non poteva non influire sulle discussioni intorno alla grazia. Quando Agostino parla di grazia Giuliano intende fato 26: sono agli antipodi. Ma l'opposizione è prima di tutto teologica, non filosofica: l'impossibilità di peccare per i beati è per Agostino una conclusione filosofica, sì, ma è prima di tutto un dato teologico.

3) La terza osservazione infine riguarda le radici metafisiche della peccabilità e dell'impeccabilità: quella deriva dalla creazione dal nulla, questa dal dono della grazia. Non già che l'uomo pecchi perché creato dal nulla (questa era l'affermazione che Giuliano attribuiva ad Agostino e che questi respingeva energicamente), ma può peccare perchè creato dal nulla 27. Infatti perché creato dal nulla, è limitato, mutabile, defettibile, e perciò può peccare. L'impeccabilità pertanto, cioè l'indefettibile determinazione della volontà nel bene, non può essere che un dono della grazia la quale rende la creatura mutabile, l'uomo, partecipe dell'immutabilità divina. Questo tema del passaggio, per dono di grazia, dal mutabile all'immutabile è tanto frequente nel vescovo d'Ippona da rappresentare una sintesi profonda del suo pensiero filosofico, teologico e spirituale 28.

4. Ingranaggi della libertà

Sono delicati. Riguardano l'intelletto e la volontà e prendono in considerazione tutto ciò che influisce sull'uno e sull'altra. Sull'intelletto influisce, negativamente, l'ignoranza, il dubbio, l'incertezza; sulla volontà la debolezza, il timore, le passioni disordinate. " Gli uomini non vogliono fare ciò che è giusto per due ragioni: e perché rimane occulto se sia giusto e perché non è dilettevole ". " Infatti - continua Agostino - fortemente noi vogliamo qualcosa quanto meglio conosciamo la grandezza della sua bontà e quanto più ardentemente ci diletta ". E conclude: " Ignoranza dunque e debolezza sono i vizi che impediscono alla volontà di determinarsi a fare un'opera buona o ad astenersi da un'opera cattiva: Ignorantia igitur et infirmitas vitia sunt, quae impediunt voluntatem " 29.
L'insistenza di Agostino è sul " vizio " della debolezza 30; è soprattutto questa che impedisce all'uomo di volere il bene. " Infatti - scrive il nostro dottore - il libero arbitrio non vale che a peccare 31, se rimane nascosta la via della verità. E quando comincia a non rimanere più nascosto ciò che si deve fare e dove si deve tendere, anche allora, se tutto ciò non arriva altresì a dilettare e a farsi amare, non si agisce, non si esegue, non si vive bene: ...nisi etiam delectet et ametur, non agitur, non suscipitur, non bene vivitur " 32.
Questa insistenza è particolarmente significativa. Essa dice che Agostino, pur richiedendo, com'era ovvio, la conoscenza della verità perché un atto sia libero, mette l'accento sul dominio della volontà la quale opera per amore. Senza l'amore e la dilettazione l'uomo non opera il bene. Nell'atto libero la volontà resta al centro: è la sua decisione che costituisce l'atto buono o cattivo quando questo, si capisce, sia illuminato dalla luce dell'intelletto. Il particolare è degno di nota, perché determina la dottrina della grazia adiuvante, concepita da Agostino soprattutto come inspiratio dilectionis 33.
Infatti su questi ingranaggi della libertà umana scende la grazia; scende al solo scopo di custodirla, rafforzarla, perfezionarla. Lasciato a se stesso il libero arbitrio viene meno e diventa servo del peccato: la grazia non solo lo libera dal peccato, se lo ha commesso - la grazia della giustificazione -, ma lo aiuta a non commetterne: grazia adiuvante, dicevo, o, come diranno gli scolastici, grazia attuale. Scrive Agostino: " Che diventi noto quello che era nascosto e soave quello che non dilettava è dono della grazia di Dio, la quale aiuta le volontà degli uomini " 34.
Questa osservazione ci serve da ponte per passare, senza soluzione di continuità, dal tema della libertà, della quale Agostino, come si è detto cominciando, è filosofo e teologo insieme, al tema della grazia, della quale è, per antonomasia, il dottore.

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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