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La difesa della vera LIBERTA' DELL'UOMO contro le tesi dei manichei e pelagiani

Ultimo Aggiornamento: 04/06/2011 09:57
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04/06/2011 09:46
 
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CAPITOLO TERZO

RAPPORTO TRA GRAZIA E LIBERTA'


Questo rapporto costituisce uno dei più grossi problemi della teologia. Riguarda la libertà di scelta di cui il libero arbitrio dell'uomo (e dell'angelo) è dotato 1 e l'azione divina della grazia che lo conduce infallibilmente ma liberamente alla salvezza, cioè gli dona la libertà dal male senza togliergli la libertà più profonda di volere e non volere. Per trattare questo problema senza deviare da una parte o dall'altra occorrono acume teologico, conoscenza biblica, umiltà e preghiera 2. In possesso di queste qualità in modo altissimo, Agostino fu il teologo che meglio vide il problema, che ne fissò i termini e ne indicò, con grande modestia, le soluzioni. La controversia pelagiana, pur con i suoi pericoli continui di radicalizzazione, gliene offrì l'occasione opportuna.

1. Difficoltà del problema

Prima di tutto vide il problema e le sue difficoltà. Lo vide, lo sentì, lo ridisse: prima della controversia pelagiana e poi all'inizio, alla metà, alla fine di questa. Prima della controversia pelagiana, precisamente in quella donatista, verso il 400, dice a Petiliano che citava il testo di Gv 6,44: " Se ti proponessi la questione come Dio Padre attragga al Figlio gli uomini che ha lasciato alla decisione del loro libero arbitrio, forse la scioglieresti con difficoltà. Infatti come attrae se lascia che ognuno elegga ciò che vuole? Eppure l'una e l'altra cosa è vera - utrumque verum est - ma questo pochi sono in grado di penetrarlo con l'intelletto " 3.
Iniziata la controversia pelagiana, fin dalla prima opera osserva: " L'armonia tra grazia e libero arbitrio butta violentemente nell'ansia ciascuno di noi che ne cerca la soluzione, per il timore che il tono della nostra difesa della grazia ci faccia apparire come negatori del libero arbitrio e viceversa il tono della nostra affermazione del libero arbitrio ci faccia giudicare ingrati alla grazia di Dio per superba empietà " 4.
Qualche anno appresso, precisamente nel 418, dopo la condanna del pelagianesimo da parte di Papa Zosimo, avvenuta in quell'anno, scrive: " Questo problema nel quale si tratta dei rapporti tra l'arbitrio della volontà e la grazia di Dio è talmente difficile a dipanarsi che, quando si difende il libero arbitrio, sembra negata la grazia e, quando viceversa si asserisce la grazia, si crede portato via il libero arbitrio " 5.
Verso la fine della controversia (e della sua vita) ritorna sull'argomento della difficoltà del problema. All'inizio del De gratia et libero arbitrio, scritto appunto per fissarne i termini, ribadisce la quaestionis obscuritas e tesse su questo motivo tutto il libro di cui raccomanda l'assidua lettura: Repetite assidue librum istum 6. E nelle lettere che accompagnano il libro, non solo parla della " difficilissima questione " ma aggiunge che essa è " comprensibile solo a pochi ", concludendone che chi ha suscitato tante discussioni nel monastero (di Adrumeto) o non ha capito egli stesso o non è stato capito 7.

Prima di continuare, vale la pena di fare una riflessione: chi ha costantemente presente la difficoltà del problema, mostra di non negare nessuno dei termini che lo compongono, né libertà né grazia. E' fin troppo evidente che, negando uno di essi, qualunque sia, o grazia o libertà, il problema sparisce. Non lo avevano infatti i pelagiani e non lo avranno i predestinaziani: lo aveva invece Agostino perché passava in mezzo tra gli uni e gli altri, percorrendo sempre il difficile, ma l'unico giusto, veritatis medium 8.
Il problema dunque c'è e non è facile risolverlo. Non resta che accogliere il solenne e grave ammonimento del vescovo d'Ippona, quello di tener fermi i due capi della catena anche se non si riesce a percepire l'anello che li tiene uniti. Abbiamo visto sopra la sua insistenza sull' utrumque o grande binomio 9. Raccogliamo qui le parole estreme del libro che fu scritto per difenderlo e illustrarlo. Alla raccomandazione: Repetite assidue librum istum, segue l'ammonimento: " e se comprendete ringraziate Dio; nei punti in cui non comprendete, pregate di comprendere: il Signore infatti vi concederà l'intelligenza. Ricordate che sta scritto: Se qualcuno di voi manca della sapienza, la chieda a Dio, che dà a tutti in abbondanza e non rimprovera, e gli sarà data. Questa appunto è la sapienza che discende dall'alto " 10.
Ma Agostino era troppo teologo per fermarsi solo a questo ammonimento. Per quanto sia importante, esso da solo non basta. Anzi, se restasse solo, entrerebbe in collisione con l'altro notissimo principio: intellectum valde ama 11, e porterebbe la teologia verso posizioni fideiste che il nostro dottore decisamente respinge. Egli vuol capire la sua fede. Pertanto, come ha cercato di penetrare la natura della libertà - lo abbiamo visto sopra 12 -, così vuol capire quella ancor più difficile della grazia. Seguiamolo in questo arduo cammino.

2. Natura della grazia efficace o " auxilium quo "

Agostino parla insistentemente e prevalentemente, anche se non esclusivamente, della grazia che conduce l'uomo di fatto, nonostante la sua debolezza, a compiere il bene e ad evitare il male. Come? Praebendo vires efficacissimas voluntati 13. Queste forze sono tanto efficaci che la volontà vuole invincibilmente il bene e invincibilmente non vuole il male. L'iterazione dell'avverbio invictissime - invictissime quod bonum est vellent et hoc deserere invictissime nollent 14 -, dice non la necessità dell'atto, ma l'infallibile certezza con la quale la volontà, superando ogni ostacolo, vuole il bene e s'avvia verso quella beata libertà in forza della quale non potrà più volere il male.
Questa grazia efficace dunque:
1) è la grazia congrua, cioè quella che si adatta alle disposizioni dell'uomo, che sono pur esse dono di Dio, in tal modo da indurlo a seguire la chiamata dall'Alto. L'espressione ricorre nella risposta a Simpliciano, un'opera molto importante per gli inizi della dottrina agostiniana della grazia, e ricorre nel contesto della vocazione ed elezione divina. Parlando agli eletti dice infatti che sono eletti qui congruenter vocati; spiegando poi quel congruenter vocati, continua: quos ita vocat, quomodo eis vocari aptum est ut vocantem sequantur. L'aptum est diventa subito dopo: " quomodo scit ei congruere ut vocantem non respuat " 15. Questa espressione ricorre agli inizi della teologia sulla grazia e a proposito della chiamata secondo il consiglio divino, e bisogna registrarla, tanto più che nel De dono perseverantiae, una delle ultime opere, si parlerà di congrua suis mentibus... verba vel signa 16;
2) è la grazia che non solo esercita un'azione suasiva, ma anche un'azione persuasiva, la quale, secondo le parole del profeta Ezechiele, fa che noi facciamo: faciam ut faciatis 17. Perciò è la grazia che non viene respinta da nessuno per quanto duro di cuore: ideo quippe tribuitur, ut cordis duritia primitus auferatur 18;
3) è la grazia che non solo dà il posse, ma anche il velle: " per mezzo di questa grazia di Dio, che ci aiuta a ricevere il bene e a conservarlo con perseveranza, non solo possiamo quello che vogliamo, ma anche vogliamo quello che possiamo " 19. Di conseguenza non è solo l'aiuto senza il quale non possiamo operare, ma l'aiuto con il quale operiamo di fatto: auxilium quo 20;
4) è, per riprendere l'importante discorso su gli ingranaggi della libertà 21 nei quali l'azione divina entra profondamente operando in essi dal di dentro, la " scienza certa " e la " dilettazione vittrice " 22. Le due espressioni meritano un'attenzione particolare perché sono i cardini della nozione agostiniana della grazia.
a) Scientia certa. La nozione della " scienza certa " come dono della grazia adiuvante non era facile. Vediamo come la dipana Agostino. La conoscenza di ciò che si deve fare è, come si è visto 23, condizione necessaria per operare il bene. Ma quale dev'essere questa conoscenza perché entri nel concetto della grazia operante? Certamente non ogni conoscenza basta. Non basta, per esempio, la conoscenza puramente teorica, quella che, secondo la Scrittura, è " la scienza che gonfia " (1 Cor 8,1). I pelagiani si fermavano a questa, cioè alla conoscenza con la quale Dio ci mostra e ci rivela per mezzo della legge ciò che dobbiamo fare.

Agostino lo sa e lo ripete 24, ma afferma con fermezza che la pura conoscenza della legge non è sufficiente affinché l'uomo operi il bene. Non appartiene perciò a quella grazia interiore che la Scrittura richiede di ammettere. Ci vuole, sì, la scienza, ma quella che Dio insegna interiormente, della quale parla S. Giovanni nel Vangelo: Sta scritto: e tutti saranno ammaestrati da Dio (Is 54,13; Ger 31,33 s.). Chiunque ha udito il Padre e ha imparato da lui, viene a me (Gv 6,45). " Pertanto - commenta Agostino - quando Dio insegna non per mezzo della lettera della legge, ma per mezzo della grazia dello Spirito, insegna in tal modo che chiunque ha imparato non solo veda con l'intelligenza ciò che gli è stato insegnato, ma anche lo brami con la volontà e lo compia perfettamente con l'attività " 25.
Ne segue che " la scienza certa " non è solo l'esclusione dell'errore, ma anche la fuga del dubbio, dell'incertezza, dell'esitazione; in altre parole, è la presenza della verità alla mente e l'adesione ferma della mente alla verità. Ora una tale fermezza non può essere senza un amore almeno iniziale e senza l'attrazione della volontà ad operare quel bene che la scienza propone.
Agostino, che non ama discutere sulle parole, rispondendo ai pelagiani - direttamente al Pro libero arbitrio di Pelagio 26 - che chiamavano grazia la dottrina, si esprime così: " Se questa grazia si deve chiamare dottrina, si chiami pure così, ma in modo da credere che sia Dio ad infonderla più profondamente e più interiormente con ineffabile soavità nell'animo umano, non solo attraverso l'opera di coloro che piantano ed irrigano all'esterno, ma anche con il suo intervento diretto che dà occultamente il suo incremento, così che questa grazia non additi semplicemente la verità, ma somministri anche la carità " 27.
Si noti in questo testo il " più profondamente " (altius), il " più interiormente " (interius) e " con ineffabile soavità " (cum ineffabili suavitate) che dicono chiaramente che la " scienza certa " non è solo conoscenza nozionale, ma nozionale e sperimentale insieme, cioè una conoscenza amorosa che diventa convinzione profonda nell'intelletto, proposito nella volontà, gioia nel cuore, e quindi forza iniziale per compiere il bene conosciuto. Per questo, parlando dell'attrazione del Padre (Gv 6,44), può dire che essa avviene attraverso la rivelazione del Figlio fatta dal Padre: Ista revelatio, ipsa est attractio 28.
b) Dilettazione vittrice. Se non che la " scienza certa " non basta a spiegare la grazia efficace. Occorre anche la " dilettazione vittrice ". La ragione è stata esposta sopra parlando degli ingranaggi della libertà. Infatti due sono gli ostacoli che impediscono il compimento del bene: la ignorantia e la infirmitas; due perciò gli scopi della grazia: togliere l'ignoranza e sostenere la debolezza; due di conseguenza le componenti essenziali della sua natura: la scienza e la dilettazione. E se la scienza dev'essere certa, la dilettazione dev'essere vittrice.

L'espressione delectatio victrix è stata usata ed abusata dagli interpreti. Non discutiamo di parole. Dirò appresso che amore, dilezione, dilettazione, gaudio esprimono per Agostino, sia pure con sfumature diverse, la stessa cosa. " Dilettazione vittrice " si può tradurre bene, senza mutarne affatto il significato, con " amore vittorioso "; vittorioso contro tutti gli ostacoli che impediscono alla volontà di volere ed operare il bene. E siccome la infirmitas è più grave nell'uomo che l' ignorantia - su questo punto l'antropologia agostiniana non ha dubbi -, Agostino insiste di più, parlando della grazia adiuvante, nella ispirazione dell'amore. E' restata celebre la definizione: inspiratio dilectionis, ut cognita sancto amore faciamus. Questa, aggiunge Agostino, è propriamente la grazia 29. La definizione agostiniana si richiama evidentemente al testo di S. Paolo, tante volte citato: " L'amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato " (Rom 5, 5). Su questo testo si gioca, per Agostino, tutta la controversia tra pelagiani e cattolici circa l'aiuto della grazia. Ma di questo dopo 30.
Qui occorre osservare che quest'amore, per diventare vittorioso, deve superare tutti gli ostacoli, che non sono pochi né piccoli, e non sono in tutti gli stessi, né in tutti esercitano la stessa resistenza, anche se rientrano tutti nel denominatore comune di ignorantia e infirmitas. Esso, quest'amore, appare in sommo grado nei martiri, i quali hanno la forza suprema - e quindi la suprema libertà - di resistere a tutte le minacce, anche a quelle delle sofferenze più atroci e della morte.
A questo punto bisognerebbe parlare dei gradi dell'amore, che per Agostino sono quattro - incipiente, progrediente, intenso, perfetto 31 - e s'inseriscono molto bene nel discorso sulla grazia; come pure delle passioni disordinate - superbia, avarizia, cupidigia 32 - fino alla dura servitus delle abitudini cattive e inveterate 33, ma il discorso è lungo e non può essere fatto qui. Qui giova insistere su alcune importanti distinzioni circa la grazia adiuvante, che Agostino fa e che spesso o vengono disattese o comprese male.

3. Distinzione sulla natura della grazia adiuvante

Quattro soprattutto richiamano la nostra attenzione: grazia suasiva e persuasiva, grazia operante e cooperante, grazia preveniente e susseguente, grazia che dà il potere - auxilium sine quo non - e grazia che dà anche il volere: auxilium quo.
1) Grazia suasiva e persuasiva
Agostino usa implicitamente questa distinzione fin dalle prime riflessioni sulla grazia. Nel De diversis quaestionibus ad Simplicianum, di cui è nota l'importanza in materia, scrive a proposito dell'uomo ostinato nell'incredulità: " Chi dirà mai che anche all'Onnipotente sia mancato il modo di persuaderlo a credere? " 34. Lo stesso principio in maniera anche più generale in una lettera recentemente pubblicata: " Chi mai, se non è assolutamente lontano dal vero, oserà pensare o credere che Dio voglia persuadere qualcosa e non lo possa? Dunque - conclude rivolto all'interlocutore - ti persuaderà quando voglia, ...e perché lo faccia dev'essere pregato da me ma in modo che anche tu venga esortato... " 35.
La distinzione tra suadere e persuadere viene proposta più attentamente in un'opera tra le più importanti sulla grazia, dove si dice: " Dio con le suggestioni da noi avvertite (visorum suasionibus) fa sì che noi vogliamo e vediamo sia dall'esterno attraverso le esortazioni evangeliche... sia dall'interno dove non è in potere di nessuno scegliere che cosa gli venga in mente... Quando Dio dunque agisce in questi modi con l'anima razionale perché essa gli creda, (e non può infatti l'anima credere a nulla con il libero arbitrio senza un'azione suasiva o una vocazione che le presenti qualcosa a cui credere), certamente Dio produce nell'uomo anche la stessa volontà di credere, e la sua misericordia ci previene in tutto ". Toccando poi il mistero della predestinazione si esprime brevemente così: " Se poi qualcuno a questo punto vuole costringerci a scrutare il profondo arcano per cui con uno l'azione suasiva riesce ad essere persuasiva e con un altro no, due sole verità mi si presentano adesso con le quali mi piace rispondere: O profondità della ricchezza! e: C'è forse ingiustizia da parte di Dio? Se questa risposta a qualcuno dispiace, cerchi persone che ne sappiano di più, ma stia ben attento a non incappare in persone che solo presumano di saperne di più " 36.
Torneremo su questo testo. Qui si vuole sottolineare soltanto l' ita suadeatur ut persuadeatur, due verbi che indicano molto bene due modi diversi di agire della grazia, quello suasivo rivolto, come vedemmo, a tutti 37 e quello persuasivo che è usato verso gli eletti.
Lo stesso problema con le stesse parole viene proposto in un'opera non più degli inizi ma del bel mezzo della controversia pelagiana. Agostino è alle prese con Pelagio e vuole che riconosca finalmente la grazia che attira di fatto gli uomini a Cristo. " Noi vogliamo da Pelagio una buona volta il riconoscimento di quella grazia che non solo promette la grandezza della gloria futura, ma la fa pure credere e sperare; la grazia che non solo rivela la sapienza, ma la fa pure amare; la grazia che non solo fa opera suasiva per quanto è buono, ma fa anche opera persuasiva (nec solum suadetur quod bonum est - questa era l'espressione di Pelagio -, verum et persuadetur). Non di tutti infatti è la fede tra coloro che ascoltano il Signore promettere per mezzo delle Scritture il regno dei cieli, e non con tutti diventa persuasiva l'opera suasiva (aut omnibus persuadetur quibuscumque suadetur) che li invita ad andare da colui che dice: Venite a me, voi tutti che siete affaticati. Di quali poi sia la fede e quali siano quelli che si lasciano persuadere ad andare da lui, l'ha ben indicato lui stesso là dove dice: Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato. E poco dopo, parlando di coloro che non credevano, dichiara: Vi ho detto che nessuno può venire a me, se non gli è concesso dal Padre mio ". E conclude con parole molto severe che abbiamo già ascoltate: " Questa è la grazia che Pelagio deve riconoscere, se vuole non solo chiamarsi cristiano, ma anche essere cristiano " 38.

Ho insistito su questa distinzione perché essa indica meglio delle altre la natura dell'azione divina e la libera cooperazione dell'uomo che essa richiama. Infatti se facessimo una considerazione semantica, troveremmo che suadere vuol dire consigliare, invitare, esortare 39; persuadere consigliare con successo, convincere, indurre all'azione. Se poi dalla semantica passiamo al contenuto, Agostino, identificando il persuadere con il " trarre " o il " dare " di San Giovanni, vuol indicare con questa espressione la grazia che dà il volere e l'agire; mentre il suadere è anch'essa una grazia e una grazia anche interiore - sive extrinsecus... sive intrinsecus -, ma non connota l'operare, e quindi non connota la fede e la perseveranza. Le due espressioni sono scelte apposta per indicare che la grazia non esclude la libera cooperazione della volontà. Nel De spiritu et littera viene notato esplicitamente e ripetutamente: consentire vel dissentire propriae voluntatis est 40.
Che poi la distinzione debba essere estesa non solo alla fede, ma anche alla perseveranza, e quindi alla salvezza, appare chiaro dal fatto che viene applicata alla predestinazione: il testo del De spiritu et littera è troppo chiaro per dubitarne. Non si può intendere dunque il persuadere solo sulla linea intellettuale, e, di riflesso, neppure il suadere: nell'un caso come nell'altro si tratta di un'azione anche interiore che importa l'illuminazione e l'infusione dell'amore come risulta da altre distinzioni. Che il termine suasio sia usato per indicare la correzione del superiore 41 o l'istigazione del demonio 42 non vuol dire che, applicato alla grazia, indichi solo una suggestione esterna. Esaminiamo altre distinzioni.
2) Grazia operante e cooperante
L'altra parimenti importante è quella tra grazia operante e grazia cooperante. Semanticamente deriva dalla Scrittura che parla di Dio il quale opera in noi e coopera con noi - vengono citati due testi: Fil 2,13 e Rom 8,28 43 -; contenutisticamente trova l'espressione più completa nel De gr. et lib. arb. Giova rileggerne il testo: " E chi aveva cominciato a dare questa carità, benché ancora piccola - si riferisce a Pietro che assicura: Darò per te la mia vita (Gv 13,37) - se non Colui che prepara la volontà, e cooperando porta a termine quello che operando ha iniziato? Perché è proprio lui che dando l'inizio opera affinché noi vogliamo, e poi nel portare a termine coopera con coloro che già vogliono... Dunque Egli fa sì che noi vogliamo senza bisogno di noi; ma quando vogliamo, e vogliamo in maniera tale da agire, coopera con noi. Tuttavia senza di lui che opera affinché noi vogliamo o coopera quando vogliamo, noi non siamo validi a nessuna delle buone opere della pietà " 44.
Il testo citato ha quanto serve per essere compreso nel giusto senso. Dio comincia l'opera della salvezza operando in noi senza di noi il buon volere, secondo l'espressione della Scrittura tante volte ripetuta: praeparatur voluntas a Domino (Prov 8,35 sec. LXX) - infatti l'inizio della fede proviene da Dio (è questa la tesi di tutto il De praedestinatione sanctorum) -; ma anche noi operiamo cooperando alla grazia: " operiamo certamente anche noi, ma operiamo cooperando con Dio che opera prevenendoci con la sua misericordia " 45: cooperiamo perché la carità da piccola diventi grande, perché passi all'azione, perché superi le difficoltà, perché sia perseverante.
A questa distinzione ne va congiunta, quasi con lo stesso significato, un'altra.

3) Grazia preveniente e susseguente
Anche questa deriva semanticamente dalla Scrittura. I testi citati sono abitualmente due: Ps 58,11: Dio mio, la tua misericordia mi previene; e Ps 22,6: La tua misericordia mi seguirà per tutti i giorni della mia vita. Il contenuto è quello dell'altra: Dio comincia, ma non abbandona la sua creatura; comincia e continua l'opera, suscitando la nostra cooperazione fino alla salvezza. " Ci previene per guarirci e anche ci seguirà perché da sani diventiamo pure vigorosi, ci previene per chiamarci e ci seguirà per glorificarci, ci previene perché viviamo piamente e ci seguirà perché viviamo con lui eternamente, essendo certo che senza di lui non possiamo far nulla " 46. E in un discorso al popolo sul Natale: " Chi potrebbe avere in suo potere il volere e l'operare il bene, se con la sua grazia non ci aiuta a poter fare il bene Colui che chiamandoci ci concede di volerlo? In ogni caso infatti la sua misericordia ci previene: ci ha chiamati quando ancora non volevamo e ci ha concesso d'impetrare di poter compiere quanto ora vogliamo " 47.
Ma è un'altra la distinzione più difficile, perché più discussa, da Giansenio fino ai nostri giorni 48.
4) " Auxilium sine quo non " e " auxilium quo "
La ragione sta nel fatto che è stata caricata, a mio parere, di un significato che non ha. Vediamola in sé, senza preoccupazione delle discussioni posteriori, anzi escludendole affatto come un ostacolo per l'intelligenza del testo agostiniano. Non applichiamo dunque ad essa lo schema scolastico di grazia sufficiente e grazia efficace, né quello delle due economie della grazia.
La distinzione di due aiuti ricorre per la prima volta nel De gestis Pelagii, ma non è ancora quella che qui c'interessa.
Si tratta dell'aiuto senza il quale una cosa non si può fare e dell'aiuto senza il quale una cosa si può fare lo stesso, anche se più difficilmente. Scrive: " ...gli aiuti sono di due specie. Alcuni sono tali che senza di essi non si può ottenere ciò per cui aiutano: per esempio senza nave nessuno naviga, senza voce nessuno parla, senza piedi nessuno cammina, senza luce nessuno vede, e molti altri fatti simili, fra i quali anche questo: Nessuno vive rettamente senza la grazia di Dio. Altri mezzi, al contrario, ci aiutano così che anche senza di essi resta possibile ottenere per altro verso il risultato per cui cerchiamo tali mezzi, come negli esempi già ricordati da me: le trebbie per battere le messi, il pedagogo per accompagnare i ragazzi, una medicina preparata dalla scienza umana per recuperare la salute, e tutti gli altri mezzi di tal genere " 49.
La grazia, come si dice esplicitamente in questo testo, appartiene al primo genere di aiuto, non al secondo.

A Pelagio che aveva scritto nel Pro libero arbitrio che la grazia viene data perché gli uomini possano fare più facilmente ciò che viene comandato loro di fare per mezzo del libero arbitrio, risponde: " Togli più facilmente, e il senso non solo sarà pieno ma anche sano...; aggiungendo invece più facilmente si suggerisce in sordina che il compimento dell'opera buona è possibile anche senza la grazia di Dio. E' l'idea riprovata da Colui che dice: Senza di me non potete far nulla " 50.
Ma la grazia non è solo l'aiuto senza il quale non si può vivere rettamente, ma anche l'aiuto con il quale di fatto si vive rettamente. Questa ulteriore distinzione, molto importante perché include il concetto della grazia efficace, viene proposta e spiegata nel De correptione et gratia. Rileggiamo il celebre testo: " Del pari bisogna distinguere gli aiuti stessi. Una cosa è l'aiuto senza il quale non avviene qualcosa, e un'altra cosa l'aiuto per mezzo del quale qualcosa avviene. Infatti senza alimenti non possiamo vivere, ma tuttavia quando ci siano gli alimenti, non sarà per essi che vivrà chi vuole morire. Dunque l'aiuto degli alimenti è quello senza il quale non avviene, non quello per mezzo del quale avviene che viviamo. Invece quando sia data la beatitudine che l'uomo non possiede, egli diviene subito beato. Infatti è non solo un aiuto senza il quale non avviene, ma anche per mezzo del quale avviene ciò per cui è dato. Perciò esso è sia un aiuto per mezzo del quale qualcosa avviene, sia un aiuto senza il quale qualcosa non avviene; se la beatitudine è stata data all'uomo, subito egli diviene beato, e se non gli è mai stata data, non lo sarà mai " 51.

Il testo agostiniano letto in se stesso non sembra essere oscuro. Che cosa vuol dire Agostino? Questo solo: Adamo ebbe la grazia del poter non peccare - grazia necessaria, altrimenti il suo peccato sarebbe stato imputabile a Dio 52 -, ma peccò: questo il dato rivelato. Dunque ebbe l'auxilium sine quo non ma non ebbe l'auxilium quo, altrimenti non avrebbe peccato ma avrebbe perseverato nella giustizia ricevuta. Molti, dopo Adamo, e lo stesso Adamo dopo il peccato 53, per mezzo della grazia di Cristo e nonostante le ferite di quel primo peccato, compiono il bene, vi perseverano e si salvano: ecco l'altro dato rivelato. Dunque quelli che si salvano ricevono l'auxilium quo, cioè l'aiuto con il quale giungono di fatto alla salvezza.
Ma perché allora tante discussioni? Si può rispondere in generale così: perché il testo agostiniano è stato letto in chiave scolastica - si pensi alle interminate e interminabili discussioni sul de auxiliis - e per di più qualcuno, come Giansenio, lo ha letto in funzione antiscolastica. Più in particolare si è voluto sapere 1) se nell'auxilium quo c'è inclusa la grazia intrinsecamente efficace - opinione di molti - o solo estrinsicamente (attraverso la scienza divina), opinione di altri; 2) se l'oggetto dell'auxilium quo è solo la perseveranza finale o anche ogni opera buona; 3) se esso indica e determina la differenza tra l'economia della grazia prima e dopo il peccato: prima avrebbe operato solo la grazia sufficiente, dopo solo la grazia efficace e irresistibile, come voleva Giansenio.
Come si vede, viene chiesta al testo agostiniano la soluzione di problemi che non sono agostiniani. Applicare ad esso lo schema scolastico della grazia sufficiente ed efficace o, peggio ancora, quello giansenista della diversa economia della grazia prima e dopo il peccato - resistibile la prima, irresistibile la seconda - significa imbarcarsi in discussioni senza fine e senza esito, perchè si forza il testo agostiniano a dire ciò che non dice. Lo stesso va osservato sulla natura intrinseca o solo estrinseca della grazia efficace. Agostino cammina per la sua strada: chi vuol seguirlo deve studiare quale essa sia, non imporgli la propria. Forse sarà più utile imparare da lui la grande lezione del senso del mistero di cui fu maestro, sempre ma soprattutto in questo problema che ci tocca tanto da vicino.

4. Senso profondo del mistero

Il vescovo d'Ippona dunque insiste sulla necessità di ammettere la grazia efficace: è un punto fermo. Ma sostiene anche, dall'altra parte, che dev'essere fatta salva la libertà dell'uomo, senza la quale non si può meritare presso Dio, né si possono compiere opere buone: è l'altro punto fermo. Lo abbiamo visto a sufficienza e, forse, più che a sufficienza. Posti questi due punti fermi, che reggono e guidano o, in ogni caso, devono reggere e guidare tutte le discussioni sull'argomento, egli si arresta di fronte al mistero e ne scruta, con umiltà ed amore, la profondità. Se è sicuro sul fatto (i punti fermi), è cauto sul modo. Che libertà e grazia efficace cooperino insieme è certo. Ma come? La questione è difficilissima e pochi la capiscono. Agostino non attenua ma accentua il mistero.
Come? Miris modis, risponde. Trahitur miris modis ut velit; " è attirato, ut velit, da Colui che sa operare interiormente negli stessi cuori degli uomini, non perché gli uomini, ciò che non può essere, credano contro la loro volontà - non ut homines, quod fieri non potest, nolentes credant -, ma perché diventino volenti da nolenti che erano " 54. Se s'insiste sulla stessa domanda, risponde: Interna et occulta, mirabili et ineffabili potestate 55. Se s'insiste ancora, risponde ancora, con altre parole, allo stesso modo: per investigabiles vias suas 56.
Ma Agostino non è uomo da lasciare i problemi insoluti. Su di essi si china, invece, per scrutare le profondità e illuminarli, per quanto è possibile, con la luce dell'intellegibilità. Sul mistero trinitario scrisse la grande opera del De Trinitate che non contiene solo l'esposizione e la difesa, ma anche l'illustrazione del domma, che si fonda sull'uomo immagine di Dio - Trinità. L'uomo studiato da vicino nella sua struttura interiore ci aiuta a capire un poco il modello secondo cui fu creato. Sulla Incarnazione - altro grande mistero che richiamò sempre, dopo la conversione, la sua attenzione e ricerca - se non scrisse un'opera 57, non mancò d'approfondire la rivelazione e di indicare nell'unione tra l'anima e il corpo, che è l'uomo, un esempio che aiuta a capire l'unione delle due nature nell'unica persona di Cristo 58.
Altrettanto si deve dire del mistero della grazia e della libertà, anche se la sua premura principale, a causa della controversia, fu quella di stabilirne i termini, non mancò di aiutare gli umili a capire fin dove è possibile l'intima natura e il modo di conciliare le due verità. Questo modo lo trovò, ancora una volta, nell'uomo e in quello che c'è di più profondo in lui: l'amore.
Non ci resta dunque che vedere come, attraverso l'amore, Agostino si studi d'illustrare il grande mistero della libertà e della grazia, trovando in questa, che è appunto amore, la salvaguardia di quella.

CAPITOLO QUARTO

LIBERALIS SUAVITAS AMORIS


Non si può scrivere qui un trattato sulla filosofia e sulla teologia dell'amore in Agostino, tema profondo e immenso, anzi centrale non meno di quelli dell'essere e dell'illuminazione, e forse di più, almeno per alcuni aspetti. Non sarà inutile però dirne qualcosa che aiuti a capire il " difficilissimo " problema che qui c'interessa. Lo farò toccando prevalentemente tre punti: l'amore centro della vita spirituale, l'amore fonte di libertà, l'amore garanzia di certezza.

1. L'amore centro della vita spirituale

Il lettore non si aspetti un discorso sulla fenomenologia dell'amore. Di questa Agostino ha parlato molto a proposito dell'amicizia 1 e anche della concupiscenza o amore disordinato 2. Ma qui non è il caso d'imboccare quella strada. Qui si vuol dire soltanto che filosoficamente e teologicamente considerato l'amore è al centro dello spirito umano ed è il cuore del mistero della grazia che salva.
1) Riduzione all'amore di tutta l'attività umana
Si sa che nella vita dell'uomo e nella storia dell'umanità egli riduce tutto all'amore: le passioni, le virtù, le due città, la grazia, la perfezione, i doni dello Spirito Santo, l'insegnamento della Scrittura, la bontà, la libertà, la volontà. E' inutile dire che l'amore è sempre in profonda simbiosi con la verità. Lo spirito umano è, pensa ed ama, indissolubilmente. Il verbo interiore secondo la bella definizione agostiniana altro non è che cum amore notitia. " Ecco perché, quando lo spirito si conosce e si ama, il suo verbo gli è unito tramite l'amore. E poiché ama la conoscenza e conosce l'amore, il verbo è nell'amore e l'amore nel verbo e tutti e due nello spirito che ama e dice il verbo " 3. Questa immanenza della conoscenza nell'amore e dell'amore nella conoscenza permette ad Agostino di parlare del primato dell'amore senza cadere nel volontarismo e può enunziare il celebre aforisma: " ama e fai ciò che vuoi " 4.
Le passioni dunque si riducono all'amore. Infatti " l'amore che brama avere ciò che ama è cupidigia, quello invece che possiede e si rallegra è letizia, se fugge ciò che lo contraria è timore, se avverte che questo lo colpisce è tristezza. Queste passioni sono cattive se l'amore è cattivo, buone se è buono " 5.
All'amore riconduce le virtù morali che altro non sono se non una modulazione dell'unica molla profonda dell'amore. " La temperanza è l'amore che si offre integro alla persona che ama, la fortezza l'amore che tollera tutto facilmente per la persona amata, la giustizia l'amore che serve solo all'amato e perciò domina rettamente tutto il resto, la prudenza l'amore che sceglie con sagacità e distingue le cose da cui è aiutata da quelle che lo impediscono ". Si tratta evidentemente, spiega, dell'amore di Dio, perché la virtù non è altro che " il sommo amore di Dio " 6 o, come dice altrove, l'ordo amoris 7.
All'amore la storia dell'umanità, divisa, in forza dell'amore appunto, in due città: " Due amori han creato due città, la città terrena l'amore di sé... la città celeste l'amore di Dio " 8, o, come dice in un altro luogo, la città terrena l'amore " privato ", la città celeste l'amore " sociale " 9, indicando con questi due aggettivi tutto l'abisso che corre tra l'egoismo e la carità.
All'amore la grazia della salvezza concepita come inspiratio dilectionis 10, " sine qua nemo pie vivit et cum qua nemo nisi pie vivit "; un dono tanto prezioso che rende buono e pio chi le possiede e senza il quale nessuno, per quante qualità abbia, può essere pio e buono. Su di esso dunque si gioca tutta la controversia pelagiana. " Da dove negli uomini - si chiede Agostino - la carità di Dio e del prossimo se non da Dio stesso? Infatti, se non proviene da Dio ma dagli uomini, hanno partita vinta i pelagiani; se invece proviene da Dio abbiamo vinto i pelagiani " 11.
La perfezione cristiana, poi, consiste essenzialmente nella carità e si misura dalla carità, la quale salendo di gradino in gradino - da incipiente diventa progredita, da progredita intensa, da intensa perfetta -, segna il salire della vita cristiana e ne indica l'apice 12; anche i doni dello Spirito Santo hanno la loro sintesi nella carità 13, come pure, più in generale, nella carità si riassume tutto l'insegnamento della Scrittura 14.
Ma Agostino va più a fondo. Vede presente negli abissi dello spirito umano l'amore insieme alla verità. Infatti esso, lo spirito umano, " mai non si ricorda di sé, mai non si conosce (anche se non sempre si pensa), mai non si ama " 15. L'amore è inseparabile dallo spirito umano come la verità, come l'essere, il quale, se è, è necessariamente pensante ed amante. Come non si concepisce intelletto senza la verità che lo informi - è la verità che costituisce l'intelletto nella sua natura e nella sua realtà -, così non si concepisce la volontà senza l'amore del bene, perché è quest'amore che la costituisce nell'essere volontà. Volontà e amore sono una stessa cosa, per cui " la volontà retta è un amore buono, la volontà perversa un amore cattivo " 16.

L'amore dunque non opera dal di fuori ma dal di dentro, come il " peso " nei corpi 17. L'intelletto è partecipe della luce divina, la volontà partecipe dell'eterno amore. Dio, che infondendo l'amore nei cuori, opera interiormente, opera nella natura stessa della volontà senza violarne le strutture, cioè fa in modo che il movimento e il peso verso il bene già presente nel profondo dello spirito superi ogni ostacolo e passi dall'amore siziente all'amore fruente.
2) Questioni semantiche
A questo punto vale la pena fermare per un istante l'attenzione sulla varietà, in questo argomento, del linguaggio agostiniano. Volontà, amore, dilezione, dilettazione, gioia, gusto, fruizione, soavità. Ecco alcuni termini che Agostino usa parlando della grazia e che gioverebbe studiare con particolare attenzione. Non essendo possibile farlo, bastino alcune indicazioni.
Agostino identifica la volontà con l'amore: " lo spirito umano è così costituito che mai non si ricorda di sé, mai non s'intende, mai non si ama " 18; identifica, contro l'opinione di altri (sembra di Origene), l'amore con la dilezione: " l'amore non significa se non la dilezione o la carità " 19, e parla pertanto indifferentemente di volontà o amore o dilezione: " la volontà, o l'amore o la dilezione, che è la volontà in tutta la sua forza, perché la nostra volontà, che fa parte della natura del nostro essere, secondo che è sollecitata o incontra degli oggetti che l'attraggono o la respingono, prova delle affezioni differenti " 20.
La dilezione poi genera la dilettazione 21, e questa la compiacenza nella legge di Dio, il gusto, la soavità, la gioia, il godimento o fruizione. La dilettazione non è qualcosa di diverso dalla volontà e dall'amore, come sembrò considerarla Giansenio, ma è la volontà stessa o l'amore che aderendo fortemente al bene supera ogni ostacolo contrario e diventa vittorioso, diventa la delectatio victrix 22, concetto su cui si è tanto equivocato.
Tutto pertanto si riduce all'amore. Giova leggere per intero il testo de La città di Dio: " La volontà retta è amore buono, la volontà perversa amore cattivo. Quindi l'amore che aspira ad avere ciò che ama è avidità, quello invece che possiede e si rallegra è letizia; se fugge da ciò che lo contraria è timore; se avverte ciò che lo colpisce è tristezza. Questi sentimenti sono cattivi se è cattivo l'amore, buoni se l'amore è buono " 23.
Sarebbe lungo qui definire la nozione dei singoli effetti psicologici che accompagnano la dilettazione (soavità, gusto, gioia, godimento, fruizione); dirò subito che uno di essi, la soavità, è fondamentale per capire l'azione della grazia, che è insieme efficace e " liberale ".

2. L'amore fonte di libertà

Il discorso fatto finora è preludio a quello che segue. Agostino, dopo aver ricondotto tutta l'attività umana all'amore, indica nell'amore la via per conciliare insieme la libertà e l'attrazione operante di Dio o, come noi siamo soliti dire, la libertà e la grazia efficace; indicando così la soluzione del problema " difficilissimo e a pochi intelligibile ".
L'indicazione ci viene a proposito del commento alla parola più forte insieme e più profonda che S. Giovanni usa nei riguardi della grazia operante: nisi Pater qui misit me traxerit eum (Gv 6,44). Agostino ne nota la fortezza: Non dixit: duxerit; sed traxerit 24: Non ha detto: se il Padre mio non lo conduce, ma se non l'attira. In questa forte parola prevede che i lettori trovino una difficoltà, e ammonisce: Noli te cogitare invitum trahi; trahitur animus et amore 25: non pensare di essere attratto contro la tua volontà: l'animo è attratto anche dall'amore. Dove, insieme alla difficoltà, c'è anche la soluzione. L'amore, essendo atto essenziale della volontà, non può essere mai contro la volontà: chi agisce amando, non agisce mai contro la sua volontà. Difficoltà e soluzione vengono riproposte ed esplicitate subito dopo. Dice Agostino: " Non dobbiamo temere il giudizio di quanti stanno a pesare le parole, ma sono incapaci d'intendere le cose di Dio; i quali, di fronte a questa affermazione del Vangelo, potrebbero dirci: quomodo voluntate credo, si trahor? ". Prima di sentire la risposta, cerchiamo di capire la difficoltà. Il quomodo voluntate credo, si trahor? significa qui: come credo di mia propria volontà, di mia iniziativa, liberamente, senza costrizione, se vengo attratto? O in forma negativa: come non credo contro voglia - l'oratore aveva detto poco prima: nolite cogitare invitum trahi -, se vengo attratto? Inutile dire che Agostino imposta il problema della libertà della fede di cui aveva parlato poco prima concludendo che l'uomo può far molte cose non volendo, ma: credere non potest nisi volens 26. E' il nemo credit invitus di cui abbiamo parlato 27. Questo problema gli viene riproposto dalle parole evangeliche che sembrano metterlo in forse.
Quale la risposta? Ecco le sue parole: Ego dico: parum est voluntate, etiam voluptate traheris 28. Parole chiare e oscure insieme. Che cosa vogliono dire? Non certamente che la voluntas e la voluptas sono due forze parallele che portano a Cristo anche se la prima è insufficiente; ma piuttosto che non basta parlare di volontà se non si parla anche di " voluttà " o piacere. E' il piacere infatti che muove la volontà e opera l'attrazione. " E' poco parlare di volontà, quando non si parli anche, a proposito di attrazione, di piacere. Che significa - continua Agostino - essere attratti dal piacere? Metti il tuo piacere nel Signore, ed egli soddisferà i desideri del tuo cuore. Esiste anche un piacere del cuore, per cui esso gusta il pane celeste ".
Lo conferma la citazione di Virgilio: " Se il poeta ha potuto dire: Ciascuno è attratto dal suo piacere, non dalla necessità ma dal piacere, non dalla costrizione ma dal diletto; a maggior ragione possiamo dire che si sente attratto da Cristo l'uomo che trova il suo diletto nella verità, nella beatitudine, nella giustizia, nella vita eterna, in tutto ciò, insomma, che è Cristo " 29.
L'attrazione del Padre non viola, dunque, la libertà perché opera attraverso l'amore. Ora l'amore, muovendo dal di dentro, secondo la natura stessa della volontà, non si oppone ma s'identifica con la libertà. E' libero solo chi agisce per amore; per amore, non per timore: questo non allarga ma restringe gli sforzi della libertà. Infatti la libertà esclude il timore 30. Perciò " le opere buone debbono esser fatte non per timore ma per amore, non per paura della pena ma per la dilettazione della giustizia. Ipsa est enim vera et sana libertas " 31.
A questo proposito il nostro autore ha creduto bene di coniare un principio: liber facit qui libens facit 32: agisce con libertà chi agisce con amore. La conseguenza è che la legge dell'amore è la legge della libertà: lex caritatis lex libertatis 33.
Vale la pena di riportare un testo anche se lungo nel quale Agostino difende e dimostra che la grazia non toglie ma conferma la libertà dell'arbitrio. " Per la legge si ha la cognizione del peccato, per la fede l'interpretazione della grazia contro il peccato, per la grazia la sanazione dell'anima dal vizio del peccato, per la sanazione dell'anima la libertà dell'arbitrio, per il libero arbitrio l'amore della giustizia, per l'amore della giustizia l'osservanza della legge. Come dunque la legge non si elimina, ma si conferma per la fede, perché la fede impetra la grazia di poter praticare la legge, così il libero arbitrio non si elimina per la grazia, ma si conferma, perché la grazia risana la volontà con la quale si ami liberamente la giustizia " 34.
Per approfondire il principio del liber facit qui libens facit Agostino insiste sulla suavitas frutto della grazia e origine della libertà, coniando anche qui un'espressione che può essere presa come emblematica della sua dottrina sulla grazia operante e cooperante: la liberalis suavitas amoris 35; la soavità dell'amore che genera la libertà.
Commentando le parole del Salmo 118,103 (Quanto sono dolci al mio palato le tue parole; sono alla mia bocca più gradite del miele), scrive: " Questa è la soavità che Dio dona perché la nostra terra produca il suo frutto; perché, cioè, noi operiamo il bene veramente bene; non quindi per paura di mali temporali ma per l'attrattiva che possiede in se stesso il bene spirituale " 36.
Altrove, parlando sempre al popolo: " Credi e vieni; ama e sei attratto... è dolce, è soave: la stessa soavità ti attrae; ipsa suavitas te trahit " 37. E nelle opere dommatiche la stessa dottrina: Dio opera interiormente affinché " cum ineffabili suavitate credatur " 38.

Dalla soavità la libertà: gli angeli servono Dio con libertà; ma perché con libertà? perché con soavità: liberaliter, quia suaviter 39. Gli esempi soccorrono la teoria: sono celebri quelli delle noci o del ramo verde. " Tu mostri alla pecora un ramo verde, e l'attrai. Mostri delle noci ad un bambino e questo viene attratto: egli corre dove si sente attratto; è attratto da ciò che ama, senza che subisca alcuna costrizione; è il suo cuore che rimane avvinto " 40. Dal sensibile Agostino sale al mondo dello spirito: " Ora se queste cose, che appartengono ai gusti e ai piaceri terreni, esercitano tanta attrattiva su coloro che amano non appena vengono loro mostrate - poiché veramente 'ciascuno è attratto dal suo piacere' -, quale attrattiva eserciterà il Cristo rivelato dal Padre? Che cosa desidera l'anima più ardentemente della verità? " 41.
Non v'è dubbio: è l'amore, la dilettazione, la soavità che assicurano la libertà dell'uomo attratto dalla grazia. Ma ne assicurano anche l'efficacia effettiva? E' quello che vedremo.

3. L'amore fonte d'infallibile efficacia

L'amore non è solo la chiave per capire la libertà dell'uomo che risponde all'azione della grazia, ma la chiave altresì per capire l'infallibilità dell'azione divina. L'insegnamento agostiniano si può riassumere come in un climax in tre affermazioni.
La prima è questa: ancorché conosciamo ciò che dobbiamo fare, nisi etiam delectet et ametur, non agitur, non suscipitur, non bene vivitur 42.
La seconda, non meno importante, è quest'altra: " Tanto più fortemente noi vogliamo qualcosa quanto meglio conosciamo la grandezza della sua bontà e quanto più ardentemente ci diletta " 43.
La terza, infine, la più forte, è quest'altra ancora: Quod amplius nos delectat, secundum id operemur necesse est 44.
La conseguenza è che l'amore, rendendo leggera ogni cosa pesante e dolce ogni cosa amara, assicura il raggiungimento del fine. Esempio classico il martire. Sul martirio Agostino ha parole di profonda teologia e di alta mistica. Eccone un esempio: " I martiri sono i veri e perfetti amanti della giustizia... [il martire] ama, arde, bolle, calpesta tutto ciò che diletta, e passa; si appressa alle cose aspre, orrende, truculente, minac ciose, le calpesta, le spezza, e passa ". " Oh amare, oh andare, oh perire a sé, oh pervenire a Dio! " 45. Queste parole e queste esclamazioni dicono tutta l'ammirazione e l'entusiasmo di Agostino per la fortezza dei martiri e la sua profonda convinzione che davvero omnia vincit amor.
Si può ricordare anche a questo proposito l'esempio della conversione di Agostino stesso. Dopo la drammatica lotta tra la carne e lo spirito, tra gli ideali puramente terreni e quelli altamente sapienziali descritta nel libro VIII delle Confessioni, dopo la lettura d'un passo di San Paolo, scrive: Statim... quasi luce securitatis infusa cordi meo omnes dubitationes tenebrae diffugerunt 46. Fu quella luce di sicurezza che determinò la sua conversione.




Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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