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La difesa della vera LIBERTA' DELL'UOMO contro le tesi dei manichei e pelagiani

Ultimo Aggiornamento: 04/06/2011 09:57
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04/06/2011 09:48
 
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II

LA GRATUITA' DELLA GRAZIA


Abbiamo seguito Agostino mentre affrontava il difficile tema della libertà dell'uomo e dell'azione divina della grazia; seguiamolo mentre approfondisce l'altro aspetto di questo mistero: la gratuità della grazia, così spesso inculcata dalla Scrittura, soprattutto da S. Paolo, e così cara al vescovo d'Ippona che vede in essa il segno della misericordia divina che non ha limiti.
Anche qui come altrove cominceremo con l'indicare il fondamento biblico a cui il nostro dottore si richiama e a cui vuol restare fedele, anche se spesso quel fondamento offre non piccole difficoltà alla ragione umana; poi indicheremo la dottrina pelagiana e la risposta agostiniana; illustreremo inoltre i tre punti della gratuità della grazia: la giustificazione, l'inizio della fede, la perseveranza finale; come conseguenza di questa gratuità tratteremo la dottrina agostiniana del merito; infine vedremo come Agostino passi incolume tra il " vanto " del giusto e le " scuse " del peccatore, il primo - il " vanto " - escluso dalla grazia, le altre - le " scuse " - non ammesse dalla responsabilità umana nel peccato.

CAPITOLO QUINTO

FONDAMENTO BIBLICO DEL DONO GRATUITO DELLA GRAZIA


Cominciamo da qui, perché da qui comincia Agostino. I testi biblici in proposito sono molti, e si può esser certi che il nostro dottore li ha raccolti tutti. Non solo, ma li ha commentati e ha fatto leva su di essi per difendere contro i pelagiani un aspetto essenziale della grazia: la gratuità.

1. Romani 9, 10-29 nella risposta a Simpliciano

Cominciò appena vescovo con la risposta a Simpliciano, successore di Ambrogio. Simpliciano, succeduto nell'episcopato al suo figlio spirituale 1, scrisse ad Agostino, alla cui conversione aveva molto contribuito 2, per proporgli alcuni dubbi sull'interpretazione della Scrittura. Due di essi riguardavano la Lettera ai Romani, dei quali il secondo verteva sulla pericope 9, 10- 29, cioè sull'elezione divina e sul dono gratuito della fede, questione quanto mai oscura e difficile. Il giovane vescovo d'Ippona 3 che venerava Simpliciano come un " padre " 4, nonostante le difficoltà dell'argomento, si fece un dovere di rispondere. Rispose infatti intessendo il suo discorso su questo principio: " Prima di tutto terrò presente, per consultarla, l'intenzione dell'Apostolo che appare lungo tutta la lettera. L'intenzione è questa: nessuno si glori delle proprie opere; de operum meritis nemo glorietur " 5.
Seguendo questa intenzione e tenendo presente tutta la pericope paolina ed altri passi scritturistici, come la Lettera agli Efesini, la interpreta senza esitazione, anche se dopo lunga indagine, secondo l'assoluta gratuità della grazia che precede tutte le buone opere: le precede attraverso il dono della fede. Osserva che i giudaizzanti, i quali volevano sottomettere i cristiani ai riti giudaici, " non capivano che proprio perché la grazia è evangelica, non è dovuta alle opere, altrimenti la grazia non è più grazia (Rom 11,6) ". La prima grazia è dunque quella della fede: " l'uomo comincia a percepire la grazia da quando comincia a credere a Dio "; questa è minore nei catecumeni, maggiore nei battezzati 6. Esempio di questa elezione divina che dona la fede è Giacobbe che Dio preferì ad Esaù (Rom 9, 10-13), elezione assolutamente gratuita, perché non dipende dalla volontà né dagli sforzi dell'uomo, ma da Dio che usa misericordia (Rom 9,16), cioè dipende dal disegno divino fondato sull'elezione (Rom 9,11): " Perció - commenta Agostino - non è il disegno divino che rimane fermo secondo l'elezione, ma è l'elezione che proviene dal disegno divino: ex proposito electio. Questo disegno è un disegno di misericordia che elargisce il dono della fede prima di ogni merito: ante omne meritum est gratia, poiché Cristo è morto per gli empi " 7.

A questo punto Agostino prende le difese di Esaù. " C'è una questione - scrive - che ci angustia sommamente ed è questa: perché la misericordia non è stata usata nei riguardi di Esaù? " 8. Dov'è una condizione uguale, perché una sorte tanto diversa? Né si può dire che Esaù sia stato " riprovato " perché Dio nella sua prescienza ha previsto la cattiva volontà di lui. Infatti " se per la prescienza di Dio della futura cattiva volontà di Esaù, perché non dire che Giacobbe fu 'approvato' per la prescienza della sua buona volontà futura? " 9. Del resto " chi può dire che all'Onnipotente manchi la maniera di persuadere chiunque perché creda? " 10. Resta dunque da vedere se, quando Dio abbandona (deserit) non chiamando quomodo scit ei congruere ut vocantem non respuat 11, non sia già una pena derivante da un giusto giudizio per quanto occulto 12.
Prima di seguire Agostino in questa faticosa ricerca giova ricordare un passo delle Ritrattazioni. Recensendo quest'opera che stiamo esaminando, dice a proposito della nostra questione: " Nella soluzione di tale questione si è faticato a favore del libero arbitrio della volontà umana, ma vinse la grazia di Dio: vicit gratia Dei " 13. Chi legge attentamente quanto scrisse nella risposta a Simpliciano, non può non essere d'accordo. Faticò molto per trovare una ragione che riponesse nella volontà dell'uomo la distinzione tra gli eletti e i non eletti. Prima di allora - come dirò subito - l'aveva trovata nella volontà di credere e di non credere, ora si accorge che era impossibile: l'Apostolo gli sbarrava la strada. Gliela sbarrava non solo con quella tagliente domanda della 1 Cor 4,7: Che cosa mai possiedi che tu non abbia ricevuto?; ma anche con le forti parole della pericope della Lettera ai Romani 9,18: Dio usa misericordia con chi vuole e indurisce chi vuole, col conseguente esempio del vasaio che è padrone di fare con la medesima pasta (massa) un vaso per uso nobile e uno per uso volgare (Rom 9,21). Agostino spiega che Dio non indurisce infondendo la malizia, ma non impartendo la misericordia, non spingendo a peccare ma abbandonando l'uomo a se stesso 14. Ma questo non toglie la profondità del mistero. E' chiaro in ogni caso che la distinzione tra " reprobi " e " approvati " sta nell'imperscrutabile disegno di Dio, di fronte al quale l'uomo non può non ricordarsi della sua condizione di uomo peccatore. O uomo, tu chi sei per disputare con Dio? (Rom 9,20).
La luce che può rischiarare e rasserenare un poco la mente umana è una sola: la certezza - una certezza incrollabile che dobbiamo ritenere con fermezza assoluta 15 -, che non c'è iniquità presso Dio 16. Dio non avversa nelle sue creature se non il peccato 17. Ora il genere umano è diventato in Adamo una " massa " di peccato: una quaedam massa peccati 18, cui è dovuta la pena meritata. Questa pena Dio per misericordia la condona a chi vuole, ed aequitate occultissima la esige da chi vuole. Questa divina economia dimostra due cose: " ciò che dobbiamo temere affinché attraverso il timore ognuno si converta a Dio con pietà, e i ringraziamenti senza fine che dobbiamo alla misericordia divina, la quale dimostra nella pena degli uni qual è il dono che fa agli altri " 19. Noterà il lettore questa conclusione pastorale, che è lo scopo ultimo a cui mirano tutte le indagini, anche le più profonde, di Agostino. Ne segue dunque che i " reprobi " non possono che incolpare se stessi, gli " approvati " non possono che rendere grazie a Dio, e così qui gloriatur in Domino glorietur (1 Cor 1,31), che era appunto l'intenzione dell'Apostolo in tutta la pericope.

2. Un cambiamento che Agostino riconosce e confessa.

Ho detto sopra che, studiando la pericope paolina - Rom 9, 10-29 - per rispondere a Simpliciano, quello che sarà il dottore della grazia si accorse che stava commettendo un errore circa la grazia, cioè l'errore di credere che l'inizio della fede derivasse dall'uomo, e quindi dall'uomo il merito cui faceva seguito il dono della giustificazione e delle opere buone.
Si sa che molto si è insistito e molto s'insiste sui cambiamenti del pensiero agostiniano. Giuliano pretese che il vescovo d'Ippona avesse cambiato opinione circa il peccato originale. Alcuni moderni, come il Turmel, il Buonaiuti e il Gross, lo seguono e gli danno ragione 20. Agostino, appellandosi alle sue opere, anche a quelle giovanili, protestò fortemente, affermando di non aver cambiato opinione su questo punto 21: la critica deve dargli ragione 22. Sulla grazia invece confessò candidamente il suo errore, indicando il momento in cui lo riconobbe e lo corresse 23. Di esso del resto sono testimonianza alcune opere scritte prima del 397.
Leggiamo nell'Esposizione di alcune proposizioni della lettera ai Romani: " non predestinò se non colui che previde che avrebbe creduto e avrebbe seguito la sua vocazione " 24; e poco dopo: " il credere è nostro, ma operare il bene è di Colui che dà a coloro che credono lo Spirito Santo " 25. Nel ritrattare le Ottantatré diverse questioni, q. 68, sente il bisogno di avvertire, a proposito di alcune sue osservazioni, che " la misericordia di Dio previene la stessa volontà " 26. Sono alcuni esempi 27.
Invece di proseguire, vale la pena di notare che nelle Diverse questioni a Simpliciano Agostino corresse decisamente questa errata convinzione, che da allora in poi sparisce dai suoi scritti, ma non lo disse esplicitamente: lo dirà nelle Ritrattazioni e poi nelle ultime opere, quando nel suo antico errore scoprirà quello dei monaci provenzali, i quali si appellavano alle sue opere ma non si preoccupavano di progredire insieme a lui nella dottrina 28.
A proposito di questo cambiamento è importante notare che in una questione tanto delicata - la electio gratiae - il pensiero agostiniano si è maturato per ragioni bibliche, non per ragioni polemiche, e si è maturato molto tempo prima - 15/16 anni prima - che scoppiasse la controversia pelagiana e 30/31 anni prima che i monaci provenzali si appellassero alla sua antica dottrina e la facessero propria 29.
Ma forse per intendere meglio l'atteggiamento agostiniano è utile distinguere tre momenti: quello della fede semplice, quello della prima riflessione e quello della maturità. Del primo se ne ha una traccia nella preghiera dei Soliloqui, del secondo nei testi ricordati, del terzo nelle Diverse questioni a Simpliciano. Infatti nella preghiera dei Soliloqui, cominciando, prega Dio così:" Concedimi di pregarti bene, poi d'esser fatto degno ch'io sia esaudito, infine che tu mi liberi " 30. E poco appresso: " Comanda ed ordina ciò che vuoi, ti prego, ma guarisci ed apri le mie orecchie affinché possa udire la tua voce. Guarisci ed apri i miei occhi affinché possa vedere i tuoi cenni " 31. Ed ancora: " Se tu abbandoni, si va in rovina; ma tu non abbandoni perché sei il sommo bene che sempre si è raggiunto se si è rettamente cercato; ed ha rettamente cercato chiunque sia stato da te reso capace di cercare rettamente " 32. E' evidente che Agostino, convertito ma ancora catecumeno, ascrive a Dio l'inizio stesso del suo cammino verso di Lui. Del resto in un altro dialogo di Cassiciaco ascrive apertamente alla preghiera di sua madre la sua conversione: " Io credo senza incertezze ed affermo che per le tue preghiere Dio mi ha concesso l'intenzione di non preporre, non volere, non pensare, non amare altro che il raggiungimento della verità. E continuo a credere che per le tue richieste conseguiremo un bene tanto grande cui abbiamo per i tuoi meriti aspirato " 33. Lo stesso pensiero troviamo nel Dono della perseveranza dove parlando delle Confessioni dice: " Se vi ricordate, con il mio racconto [della conversione] mostrai che mi fu concesso di non perire grazie alle lacrime quotidiane e piene di fede di mia madre " 34. Questa coincidenza tra le prime opere del catecumeno e le ultime del vecchio maestro è molto significativa e ci lascia pensare che Agostino non è mai avaro di sorprese.

3. La grazia è, per definizione, gratuita

Ma se qualcuno pensasse che per sostenere la gratuità della grazia il vescovo d'Ippona si riferisce solo alla pericope di Rom 9, 10-19, avrebbe torto. Egli trova e propone tutti i testi paolini, che non sono pochi. Il primo tra essi, e tante volte citato, è preso dalla stessa Lettera ai Romani 11,6, dove l'Apostolo, parlando del tema della " elezione della grazia ", tema tanto caro ad Agostino, commenta: E se lo è per la grazia, non lo è per le opere; altrimenti la grazia non sarebbe più grazia (Rom 11,6). Il dottore della grazia ripete molte volte le parole paoline, fin da quando comincia la polemica con i pelagiani su questo tema della gratuità 35, e spesso le commenta: " Che cos'è la grazia? Un dono gratuito. Qualcosa che viene regalato, non qualcosa che è dovuto. Se essa ti fosse stata dovuta, il dartela avrebbe significato pagarti un debito, non farti una grazia " 36.
Ma non bisogna equivocare, spiega insistentemente Agostino. Dice al suo popolo con ansia pastorale e chiarezza teologica: " Comune a tutti è la natura, non la grazia. Non si deve reputare grazia la natura [ricevuta]; che se la si considera grazia, è perché anch'essa è donata gratuitamente. Difatti non fu l'uomo, che ancora non esisteva, a meritarsi l'esistenza " 37. " Questa è la grazia. Al di là di quella grazia ordinaria e d'indole naturale per cui noi che non esistevamo diventammo uomini ( grazia non meritata perché non esistevamo), al di là di quella grazia, quest'altra è la grazia più grande: essere diventati suo popolo e pecore del suo pascolo, per l'opera del nostro Signore Gesù Cristo " 38. Ed insiste: " Non consideriamo quindi la grazia della creazione della natura umana, grazia comune ai cristiani ed ai pagani. La grazia più grande è questa: non l'essere stati creati uomini ad opera del Verbo, ma l'essere diventati credenti ad opera del Verbo incarnato " 39.
Non si poteva essere né più espliciti né più incisivi. Nella Predestinazione dei Santi la differenza tra natura e grazia viene espressa in chiave di potere ed avere: il potere appartiene alla natura degli uomini, l'avere alla grazia dei fedeli. " Non tutti hanno la fede (2 Thess 3,2), anche se tutti possono averla...In conclusione, poter avere la fede, come poter avere la carità, appartiene alla natura degli uomini: ma avere la fede, come avere la carità, appartiene alla grazia dei fedeli. Pertanto quella natura che ci dà la possibilità di avere la fede, non distingue uomo da uomo; la fede invece distingue il credente dal non credente " 40.
A sigillo di questo attento insegnamento - che distingue tra natura e grazia e considera anche la natura un dono gratuito (dando in questo ragione a Pelagio), ma vuole che non si confonda e che si affermi, oltre alla natura, anche la grazia, riservando questo secondo nome al dono della salvezza a cominciar dalla fede - possono essere prese le parole della Città di Dio dette degli angeli: " Dio era presente in essi costituendo la natura ed elargendo nello stesso tempo la grazia: simul eis et condens naturam et elargiens gratiam " 41.
L'alioquin gratia iam non est gratia come netta affermazione di gratuità torna così frequentemente nelle opere agostiniane che non vale la pena d'insistere nella vana erudizione delle citazioni 42, mentre è molto più importante seguire il nostro dottore nell'ulteriore approfondimento delle Scritture che gli rivelano nuovi orizzonti.

4. La gratuità della grazia ha per fine la gloria di Dio

Tra questi orizzonti, al primo posto, c'è proprio questo: la gloria di Dio. Il testo chiave è tratto di nuovo da S. Paolo, 1 Cor 1, 30-31 cui va congiunto Ef 2, 8-9. I due testi vengono esposti e difesi nella dottrina della grazia. In essi Agostino vede la rivelazione dell'aspetto più profondo del piano divino della salvezza: ogni uomo giusto deve gloriarsi non nella sua giustizia ma nella giustizia di Dio.
In un discorso al popolo prende in esame due testi biblici: 1 Cor 1,31 di cui stiamo parlando e il Sal 70 ,2. Comincia così: " Siamo stati ammoniti dall'Apostolo che chi si gloria si glori nel Signore e a Lui, il Signore, abbiamo cantato: liberami nella tua giustizia e salvami. Questo è dunque gloriarsi nel Signore, gloriarsi non nella propria ma nella giustizia di Dio... ". I due testi diventano poi il filo conduttore di tutto il discorso. Poco dopo infatti ripete le parole dell'Apostolo e commenta: " Nulla è più al sicuro, nulla è più difeso [che gloriarsi nel Signore]. Se puoi, hai che cosa imparare: se ti sarai gloriato nel Signore non sarai confuso... Infatti colui [il salmista] che non diceva: liberami nella mia giustizia, ma liberami nella tua, aveva detto poco prima: in te ho sperato, Signore, non sarò confuso in eterno ". Spiega poi che gloriarsi nel Signore significa gloriarsi in Cristo crocifisso dove sono tutti i tesori della sapienza e della scienza, e conclude ripetendo ancora i due testi biblici che costituiscono il fondamento della speranza cristiana 43.
Non sarà dispiaciuto al lettore se mi sono trattenuto un poco più a lungo su questo discorso: esso dimostra che Agostino pastore ha sempre presenti i grandi princìpi della grazia e sa tirare da essi le conclusioni necessarie per la pietà cristiana a cui tende la sua sollecitudine di pastore. Lo stesso avviene dell'altro passo, molto simile del resto, della Lettera agli Efesini che va spesso congiunto a Tit 3,5. Dopo aver citato le parole agli Efesini, commenta: " Non credere che lo abbia ricevuto meritando, tu che non avresti meritato se non avessi ricevuto: la grazia precede il merito: non la grazia del merito, ma il merito della grazia... ". Poi, rivolto al Signore: " Tu precedi ogni merito affinché i miei meriti seguano i tuoi doni. Senz'altro tu doni gratuitamente, salvi gratuitamente, tu che non trovi nulla [nell'uomo] per salvarlo e trovi molto per condannarlo " 44. E altrove, commentando un salmo, cita il passo paolino e spiega: " Ebbene, guardiamo alla grazia di Dio non solo per averci egli creati ma anche per averci chiamati alla nuova vita... Devi ringraziare il tuo artefice non per la sola creazione; ascolta un altro intervento, che è pure una creazione. Dice: Non per le opere, affinché nessuno se ne vanti (Ef 2,9). Ma colui che dice: Non per le opere, affinché nessuno se ne vanti, che cosa ha affermato prima? Mediante la grazia voi siete stati salvati attraverso la fede e questo non per opera vostra. Parole dell'Apostolo, non mie. Mediante la grazia siete stati salvati attraverso la fede e questo (cioè l'essere stati salvati attraverso la fede) non per opera vostra. In effetti la semplice menzione della grazia lasciava intendere che non era per opera vostra, ma per escludere ogni altra interpretazione si degnò parlare più apertamente. Dammi un'anima in grado di capire: egli ha detto tutto. Siete stati salvati mediante la grazia. Sentendo la parola grazia intendi gratis. E se gratis, tu non vi hai apportato nulla, non hai meritato nulla, poiché se si fosse trattato d'una qualche ricompensa accordata a meriti [precedenti], non sarebbe stata una grazia ma, appunto, un compenso. Dice: Mediante la grazia siete stati salvati attraverso la fede. Spiegaci un po' queste tue parole in una maniera più chiara a motivo di certi presuntuosi, di certi tipi che cercano di lusingare se stessi e misconoscendo la giustizia di Dio vogliono affermare una loro propria giustizia. Ascolta lo stesso concetto con parole più chiare. Dice: E questo, cioè che siete stati salvati mediante la grazia, non è per opera vostra ma è dono di Dio. Ma potrebbe darsi che anche noi abbiamo fatto qualcosa per meritare i doni di Dio. Dice: Non è dalle opere affinché nessuno se ne glori. E allora? Non siamo noi ad operare il bene? Certo che lo operiamo. Ma come? Con la forza di colui che opera in noi. Con la fede infatti noi facciamo spazio nel nostro cuore a colui che in noi e per nostro mezzo opera il bene. Ascolta in qual maniera tu operi il bene. Di lui infatti siamo fattura, creati in Cristo Gesù per le opere buone, nelle quali dobbiamo camminare (Ef 2, 8-10) " 45.
La lunga citazione, appunto perché lunga, non ha bisogno di commenti per chi vuol conoscere l'aderenza di Agostino, dottore della grazia, alla Bibbia. Nei tre versicoli della Lettera agli Efesini egli trova il fondamento di tre verità che entrano nei tessuti del dono della grazia e del mistero della predestinazione:
1) la nostra salvezza proviene dalla fede, non dalle opere,
2) non proviene dalle opere perché nessuno se ne glori,
3) come uomini nuovi siamo fattura di Dio, creati in Cristo nelle opere buone. Le nostre opere buone, spiega altrove Agostino, non negano la libertà ma suppongono la grazia.
Il ne quis glorietur (Ef 2,9) o (in positivo) qui gloriatur, in Domino glorietur (1 Cor 1,31), se ricorrono spesso negli scritti agostiniani - i testi riportati sopra non sono che un saggio -, nelle ultime opere, quelle sulla questione semipelagiana, che è appunto la questione della gratuità della grazia, assumono un compito decisivo e fondante. In un passo chiave - su di esso, per la sua importanza, tornerò a lungo nella Introduzione all'opera 46 -, dirà che tutta la ragione del grande mistero della predestinazione sta proprio in questo: Dio ha voluto dimostrare che nessuno deve gloriarsi in se stesso: ogni bocca dev'essere ostruita (Rom 3,19) - solo il silenzio adorante di fronte ai giudizi di Dio -, e chi vuol gloriarsi si glori nel Signore 47.
Agostino insiste su questo testo, e non solo su esso, ma su tutta la pericope: 1 Cor 1, 29-31, ripetendo con l'Apostolo le ragioni del piano divino: " Per estirpare completamente la superbia (si noti il motivo spirituale che s'inserisce in quello teologico), piacque a Dio che nessuna carne si gloriasse davanti a lui, cioè nessun uomo. Ma di che cosa non si deve gloriare la carne davanti a lui se non dei propri meriti? E certo meriti poteva averne, ma li ha perduti; e li ha perduti con lo stesso mezzo con cui avrebbe potuto averli, cioè con il libero arbitrio. Per questo non resta a coloro che devono essere liberati nient'altro che la grazia di colui che li libera. Così dunque nessuna carne si glori di fronte a lui " 48.
E' inutile dire che questi testi, e altri di cui è ricco S. Paolo, tornano spesso nelle opere predette e costituiscono la teologia biblica che Agostino va esponendo sull'assoluta gratuità della grazia.
Potremmo fermarci qui, ma giova ricordare esplicitamente un testo che per lui fu il più convincente e lascia pensosi anche noi (1 Cor 4,7), un testo che merita comunque tutta l'attenzione per l'influsso che ha esercitato nella dottrina della grazia.

5. " Che cosa mai possiedi che tu non abbia ricevuto? "

Applicato, come faceva Agostino e come facevano molti al suo tempo 49, al piano spirituale della grazia, il testo paolino aveva un significato profondo e un grosso vantaggio. Conteneva infatti tre verità insieme:
1) l'uomo non ha ragione di gloriarsi in se stesso;
2) non ha ragione perché tutto ciò che possiede lo ha ricevuto da Dio;
3) è Dio che distingue tra uomo e uomo e non è l'uomo con le sue qualità.
Chi ti distingue? Che cosa mai possiedi che tu non abbia ricevuto? E se l'hai ricevuto, perché te ne glori come se non lo avessi ricevuto? (1 Cor 4,7).
Della forza di questo testo per radicare in lui la convinzione dell'assoluta gratuità della grazia, Agostino parla due volte: nelle Ritrattazioni e nella Predestinazione dei Santi.
Nella prima opera lo cita a proposito dell'approfondimento della dottrina dell'Apostolo e del cambiamento di opinione di cui si è detto. " Si è faticato per il libero arbitrio della volontà umana, ma vinse la grazia di Dio ". L'ho ricordato sopra. Ma Agostino continua: " non si poté arrivare se non a capire (ed ammettere) quanto con chiarissima verità disse l'Apostolo ". E cita 1 Cor 4,7. Aggiunge poi la testimonianza di S. Cipriano: " Anche il martire Cipriano, volendo dimostrare tutto questo [cioè quello detto dall'Apostolo nel luogo citato], lo definì con lo stesso titolo [della sua esposizione] dicendo: 'Non dobbiamo gloriarci di nulla, perché nulla è nostro' " 50.
Nella Predestinazione dei Santi non solo riporta tutto il testo delle Ritrattazioni 51, ma dichiara apertamente, per ben due volte, che si era convinto di essere nell'errore " principalmente con questo passo [dell'Apostolo] " 52. A confermare la sua convinzione soccorreva, come si è visto, la testimonianza di Cipriano. Ne riporterò il testo un poco appresso.
Intanto vale la pena di notare la parte singolare di questo testo paolino nelle ultime controversie sulla grazia. Ai monaci di Adrumeto faceva buon gioco per confermare la loro opinione sulla inutilità della correzione fraterna 53; a quelli della Provenza faceva difficoltà per la loro dottrina sull'inizio della fede, difficoltà che superavano facendo un'eccezione alla sua universalità 54. Agostino risponde agli uni e agli altri, conservando al testo biblico il suo significato universale e profondo. Lo vedremo meglio in seguito attraverso la polemica coi pelagiani e semipelagiani.

CAPITOLO SESTO

DOTTRINA PELAGIANA E RISPOSTA AGOSTINIANA


RAgostino aveva scritto molte opere contro i pelagiani sul peccato originale, la impeccantia, la necessità della grazia, la redenzione, quando s'incontrò con un altro aspetto del loro insegnamento, gravemente lesivo, non meno degli altri, della dottrina cattolica: la dipendenza della grazia dai nostri meriti.

1. Pelagio e i pelagiani

Recensendo gli Atti del sinodo aveva trovato questa proposizione, tratta da un'opera di Celestio, discepolo di Pelagio, e contestata al maestro: la grazia di Dio viene data secondo i nostri meriti. Pelagio non riconobbe per sua questa proposizione e la condannò 1, ma poi dichiarò di suo: " Noi... diciamo che Dio dona tutte le grazie a chi è degno di riceverle " 2. Queste parole rendono Agostino perplesso e lo inducono a raccogliere in poche pagine gli argomenti biblici a favore dell'assoluta gratuità della grazia, compresa la grazia della fede, servendosi soprattutto di Paolo, il quale proclamava altamente con l'esempio e la dottrina che non chi è degno riceve la grazia, ma è la grazia che rende l'uomo degno di ricevere il premio e pertanto i meriti dell'uomo sono doni di Dio 3.
A questo punto si poneva il problema del vero pensiero di Pelagio. Agostino, esaminando le opere da lui scritte dopo il sinodo di Diospoli, lo studierà per ciò che riguarda il peccato originale, la natura e la necessità della grazia, tirandone conclusioni negative circa la sincerità dell'autore 4; ma non ci sono opere che studino il problema sotto l'aspetto della grazia che precede ogni merito umano. Ma forse non ce n'era bisogno. Ad Agostino divenne sempre più chiaro che se non Pelagio - lasciamo da parte questa precisazione storica -, almeno i pelagiani facevano dipendere la grazia dai meriti dell'uomo.
Poco dopo gli Atti di Pelagio scrisse la celebre lettera 194 5 per dimostrare la gratuità della grazia. Dando ai monaci di Adrumeto, che vi avevano trovato difficoltà, la chiave interpretativa, dice loro: " Sappiate che quella lettera fu scritta contro i nuovi eretici pelagiani. Questi affermano che la grazia ci viene largita nella misura dei nostri meriti, cosa questa che induce uno a vantarsi non già nel Signore, ma in se stesso, vale a dire nell'uomo, e non affatto nel Signore. Orbene, è proprio questo che è vietato dall'Apostolo " 6.
Qualche anno dopo, nei libri Contro le due lettere dei Pelagiani, non solo appare chiara la dottrina che questi difendevano, ma troviamo anche l'argomento con cui intendevano sostenerla. Questo era di natura strettamente polemica e consisteva nell'accusare di fatalismo chi difendeva il contrario: Sub nomine gratiae fatum asserunt 7, perché, sostenevano, fato fit quod merito non fit 8. Nello stesso tempo appare negli scritti agostiniani la gratuità della grazia come una delle tre grandi verità che la Chiesa cattolica difendeva contro i pelagiani 9.
Non fa dunque meraviglia di trovare nelle ultime opere queste affermazioni: " Quando [i pelagiani] che non sono difensori ma esaltatori e distruttori del libero arbitrio, vengono convinti che la grazia, che ci viene data per mezzo del nostro Signore Gesù Cristo, non è né la conoscenza della legge divina, né la natura, né la sola remissione dei peccati - si noti questa precisazione agostiniana che dimostra come il dottore della grazia conoscesse bene i tre sensi secondo i quali i pelagiani parlano di grazia - ... essi si volgono a quest'altra tesi: si sforzano di dimostrare con ogni mezzo che la grazia di Dio è concessa secondo i nostri meriti. Essi dicono:'Anche se essa non è concessa secondo il merito delle opere buone, perché è per mezzo di essa che operiamo bene, tuttavia è concessa secondo il merito della volontà buona; infatti la volontà buona di colui che prega precede la grazia e prima ancora c'è stata la volontà di colui che crede: la grazia di Dio che esaudisce segue secondo questi meriti' " 10.
Secondo il metodo allora frequente e dopo, Agostino non cita la fonte precisa di queste parole, ma chi conosce la sua scrupolosità nell'informarsi sulle dottrine che prende a confronto e sull'attenzione che usa per riportarle con esattezza, non può dubitare che questo era l'insegnamento non dirò di Pelagio, ma certamente dei pelagiani 11. Del resto non molto tempo dopo sarà informato da Prospero e Ilario che qualcosa di poco diverso veniva difeso dai monaci provenzali 12.

2. Risposta di Agostino

In ogni modo Agostino s'impegna a rispondere con tutte le risorse del suo arsenale teologico, convinto che si tratti di una delle grandi verità della fede - l'ho detto sopra e lo ripeterò più ampiamente altrove 13 - che costituiscono il fondamento della pietà cristiana. Giova ripetere, anche se superfluo, che quella della pietà era la preoccupazione dominante di Agostino vescovo, che è un grande teologo ma è, prima di tutto, un pastore. Le sue argomentazioni abbracciano tutto il panorama teologico: sono bibliche, liturgiche, patristiche e particolarmente, in questo caso, cristologiche.
1) Le argomentazioni bibliche - mai si dirà abbastanza che le argomentazioni agostiniane sono soprattutto bibliche: la sua teologia è in primo luogo una teologia biblica -, le argomentazioni bibliche, dico, le ho ricordate sopra sia pure a modo di saggio. Qui giova forse riassumerle con un testo tratto da una lettera ai monaci di Adrumeto. Scrive: " Poiché l'uomo carnale gonfio di vanità, sentendosi dire: Chi ti separa, alla domanda dell'Apostolo potrebbe a parole o col pensiero rispondere:'Ciò che mi separa è la mia fede, è la mia preghiera, è la mia giustizia', subito l'Apostolo replica a simili idee e dice: Ma che cosa hai tu che non hai ricevuto? Se poi l'hai ricevuto, perché mai ti vanti come se non lo avessi ricevuto? E' proprio così che si vantano di quello che hanno, come se non l'avessero ricevuto, coloro che credono d'essere giustificati da se stessi e perciò ripongono la propria gloria in se stessi e non nel Signore " 14. Poco dopo, dell'affermazione pelagiana secondo la quale la grazia ci viene data a misura dei nostri meriti, dirà in modo secco e perentorio: omnino falsissimum est 15.
2) Conosciamo pure in sostanza l'argomentazione liturgica. Sappiamo che la liturgia è un luogo preferito del suo insegnamento teologico tanto nella fase espositiva quanto in quella polemica: lo è di fatto nella dottrina del peccato originale con la liturgia del battesimo 16, lo è in quella a favore dell'imperfezione della nostra giustizia contro l'impeccantia di Pelagio 17, lo è in quella della necessità della grazia 18, in quella dell'efficacia della grazia 19, lo diventa anche in questa della gratuità. Il fondo dell'argomentazione è il principio non enunziato ma applicato continuamente da lui: lex orandi legem statuit credendi 20.
Se il peccatore chiede a Dio la conversione, l'incredulo la fede, il giusto la perseveranza, se la Chiesa chiede a Dio che il peccatore si converta, l'infedele creda, il giusto perseveri, vuol dire che conversione, fede e perseveranza sono doni di Dio. Lo vedremo più in particolare tra poco.
2) Intanto giova dedicare un accenno all'argomentazione patristica. Agostino non sentì il bisogno di svolgerla, come fece per esempio con il peccato originale 21. La ragione, a mio parere, sta nel fatto che, a differenza del peccato originale, non ci si appellò in contrario alla testimonianza dei Padri, come appunto sul peccato originale Giuliano, che giunse ad accusare Agostino di novità. Si può aggiungere un'altra ragione: gli argomenti biblici e liturgici gli parvero tanto copiosi ed efficaci che non era necessario indagare sulla fede della Chiesa del passato, la quale aveva sempre predicato la gratuità della grazia, se non con le parole, certamente con la preghiera. Ecco un testo del Dono della perseveranza degno di attenzione. Si riferisce a quelli che sono più lenti e più deboli a capire le dispute teologiche e dice loro di badare di più " a ripetere quelle preghiere che la Chiesa ha sempre custodito dai suoi inizi e sempre custodirà finché abbia fine ogni vita temporale! Infatti su questa verità che ora contro i nuovi eretici siamo costretti non solo a ricordare ma anche a custodire e a difendere con vigore, la Chiesa non ha mai taciuto nelle sue preghiere, anche se in alcuni periodi, quando nessun avversario ve la costringeva, non ritenne opportuno esporla in discorsi " 22.
L'argomento patristico si riduce pertanto a ben poco: a un testo tante volte ripetuto di Cipriano 23, ad uno di Ambrogio 24 e a un terzo di Gregorio Nazianzeno 25. Poco, si dirà, ma dopo le ragioni addotte, comprensibile.
4) Ma dove l'argomentazione agostiniana si estende con particolare compiacenza e con profonda convinzione d'irrefragabilità è sull'aspetto cristologico della grazia, aspetto che ne proclama altamente la gratuità. Chi vuol capire il pensiero di Agostino deve fermarsi a considerare questo argomento che riassume tutti gli altri.
Prima di tutto si deve dire che esso percorre tutta la controversia pelagiana, dalla prima opera all'ultima. Scrive nella prima: Cristo uomo, " così unito con il Verbo di Dio tanto che in forza di questa unione il solo ed unico soggetto fosse insieme figlio di Dio e figlio dell'uomo, non ottenne ciò per i meriti precedenti della sua volontà " 26. Scrive nell'ultima: " La grazia dalla quale gli uomini che rinascono in Cristo sono fatti giusti è la medesima per la quale è nato Cristo, l'uomo giusto ". E poco prima aveva chiesto al suo avversario: " Dimmi, di grazia, con quali opere l'uomo Cristo Gesù meritò questo [di essere Figlio di Dio]; osa garrire per quale divina giustizia lo meritò Egli solo, o, se non osi, confessa finalmente che la grazia viene concessa senza meriti " 27.
Tra queste due opere il discorso su Cristo uomo, esemplare e causa dell'assoluta gratuità della nostra giustificazione, torna ad ogni momento, nei libri, nelle lettere, nei discorsi. Ne parla riferendosi alla grazia in genere e alla predestinazione in particolare. Della predestinazione appresso 28, qui mi sia lecito fermarmi un poco sulla grazia in generale.
Nel De civitate Dei, parlando a Porfirio perché intendessero i suoi discepoli, indica nel Cristo il sommo modello della grazia: summum exemplum gratiae. " Se tu avessi riconosciuto la grazia mediante il Signor nostro Gesù Cristo e la sua incarnazione, con cui ha assunto l'anima e il corpo dell'uomo, avresti potuto scorgere che vi è un sublime modello di grazia ". E poco dopo: " La grazia di Dio non poteva esser fatta valere in una forma più gratuita di quella per cui lo stesso Figlio di Dio, rimanendo in sé fuori del divenire, ha assunto l'uomo e ha dato agli uomini lo Spirito del suo amore con la mediazione dell'uomo " 29.
Nella nota e splendida lettera sulla presenza di Dio, dopo aver parlato " della singolare assunzione dell'umanità in virtù della quale Cristo è divenuto una sola persona col Verbo ", osserva: " Singolare è quindi l'azione [del Verbo] di assumere [la natura umana] e non può essere assolutamente comune ad alcun uomo quanto si voglia eminente per sapienza e per santità. In essa abbiamo una prova assai evidente della grazia di Dio ". Insistendo poi su questo concetto si domanda: " Ora, chi sarebbe tanto sacrilego da osare di affermare che un'anima, col solo libero arbitrio, possa fare in modo di essere un secondo Cristo? In qual modo quindi una sola anima avrebbe potuto meritare, mediante il dono del libero arbitrio comune a tutti gli uomini e proprio della natura umana, di appartenere alla persona del Verbo unigenito senza averlo ottenuto per un privilegio singolare della grazia? " 30.
Parlando al popolo espone la stessa dottrina, anzi, preoccupato di essere chiaro e incisivo, trova spesso, come in questo caso, le formule più brevi e più efficaci. Dice, per esempio: " Per quanto riguarda l'assunzione della stessa natura umana, tutto è grazia, grazia singolare, grazia perfetta: tota gratia, singularis gratia, perfecta gratia ". E aggiunge: " Togli la grazia [dell'assunzione nella persona del Verbo], che cosa sarebbe Cristo se non un uomo, se non quello che sei tu? " 31.
Commentando S. Giovanni dice: " Benché la natura umana non fa parte della natura divina, tuttavia appartiene alla persona dell'unigenito Figlio di Dio per grazia, e per una tale grazia di cui non si può concepire una maggiore né uguale. Nessun merito ha preceduto quell'assunzione e tutti hanno avuto origine da essa " 32.
Ma i testi che mi paiono più luminosi sono due 33. Mi limito a riportare in parte il primo, nel quale, dopo aver proposto una delle sue felicissime formule del mistero dell'incarnazione per cui Cristo è l'utrumque unus, commenta: " Qui viene raccomandata la grazia di Dio, in maniera grandissima ed evidentissima. Infatti che cosa la natura umana ha meritato nell'uomo Cristo per essere assunta in modo singolare nell'unità della persona dell'unico Figlio di Dio? Quale buona volontà, quale desiderio di buoni propositi, quali opere buone precedettero con le quali quest'uomo meritasse di diventare una sola persona con Dio? Forse che prima fu uomo e questo singolare beneficio gli è stato concesso per aver singolarmente meritato presso Dio? No davvero. Da quando cominciò ad essere uomo, non cominciò ad essere altro se non il Figlio di Dio " 34.
Non c'è bisogno di dire che tutto il ragionamento di Agostino, che con tanta profondità e chiarezza non si trova prima di lui, si fonda su tre grandi verità riguardanti la cristologia. Esse sono:
1) la chiara e perfetta nozione del mistero del Verbo incarnato, per cui c'è una sola persona in Cristo: una persona in utroque natura 35;
2) l'impossibilità che l'uomo Cristo potesse in qualche modo meritare l'ineffabile grazia che ricevette, quella di essere una sola persona col Verbo, perché cominciò ad esistere nel momento stesso dell'incarnazione;
3) il Cristo totale, modello e causa della salvezza degli uomini. Dio ha scelto gli uomini per la salvezza in unione a Cristo, anzi, per dir tutto e meglio, in Lui, con Lui, per Lui, e con un solo volere, una sola scelta, un solo decreto.
Ci torneremo a proposito della predestinazione della quale Cristo è il praeclarissimum lumen, ma intanto vale la pena di fare un'osservazione: la dottrina della grazia dipende tutta, per Agostino, dalla visione cristologica della teologia. Avendo posto al centro della teologia questa visione, ne ha tirato poi, senza esitazione, le conseguenze ultime per la dottrina della grazia. Chiave dunque di tutta la dottrina agostiniana della grazia è Cristo, causa, modello e fine della nostra salvezza.



Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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