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La difesa della vera LIBERTA' DELL'UOMO contro le tesi dei manichei e pelagiani

Ultimo Aggiornamento: 04/06/2011 09:57
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04/06/2011 09:53
 
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CAPITOLO SETTIMO

I DONI DELLA SALVEZZA


Lasciando da parte, sia pure con rammarico, il tema cristologico, così caro ad Agostino e ad ognuno che studi il tema che qui c'interessa, vediamo più in particolare i doni della salvezza, affinché la tesi generale della gratuità della grazia appaia in tutto il suo illuminante significato. Il " dottore della grazia ", del resto, non poté limitarsi alla difesa della tesi generale, ma dové scendere, per ragioni polemiche, nei particolari: la giustificazione, l'inizio della fede, la perseveranza finale. Giova seguirlo in questo laborioso ricamo di una dottrina tanto essenziale per la fede quanto insostituibile per la pietà.

1. La giustificazione

Ho esposto altrove le prerogative della giustificazione messe in rilievo dal nostro dottore: l'interiorità, la progressività, la gratuità 1. Le tre prerogative mostrano:
1) le ricchezze interiori della giustificazione: la remissione dei peccati, che è tota et plena, plena et perfecta, la giustizia di Dio con la quale Dio rende giusto l'uomo, la carità che lo Spirito Santo diffonde nei cuori, la deificazione;
2) il cammino della perfezione cristiana che esclude le colpe che impediscono l'ingresso nel regno di Dio, ma non include l'impeccantia, tanto cara a Pelagio, cioè quella perfezione che non renda più necessario il dimitte nobis debita nostra;
3) la misericordia divina che, senza meriti, dona all'uomo la giustificazione e lo conduce alla salvezza escatologica dove, oltre la remissione dei peccati, ci sarà la pienezza della giustificazione.
Qui interessa questo terzo punto e, in particolare, l'inciso: senza meriti. Ma forse il lettore preferisce rileggere nel luogo indicato le pagine dedicate all'argomento. Qui dunque dirò solo, riassumendo, che tutta la preoccupazione di Agostino fu quella di mettere in rilievo il gratis dell'Apostolo: iustificati gratis, gratuitamente, cioè senza meriti precedenti. Vedremo appresso la questione dei meriti; qui interessa capire quel gratuitamente.
Spiegandolo al popolo dice: " Perché grazia? Perché è data gratuitamente. Perché è data gratuitamente? Perché non l'hanno preceduta i tuoi meriti, ma i doni di Dio hanno prevenuto te. Gloria dunque a Colui che ci libera. Tutti infatti hanno peccato e hanno bisogno della gloria di Dio ". Trasferendo poi sul piano esistenziale della pietà questa stupenda dottrina, continua, citando le parole della Scrittura e inserendo le sue: " In te dunque, Signore, ho sperato, non in me; che io non sia confuso in eterno, perché spero in Colui che non confonde. Nella tua giustizia liberami e salvami: poiché non hai trovato in me la giustizia, liberami nella tua; cioè mi liberi quel che mi giustifica, che trasforma l'empio in pio, l'iniquo in giusto, il cieco in veggente, che rialza chi cade, che rallegra chi piange. Questo mi libera, non io. Nella tua giustizia liberami e salvami " 2.
Altrove, e per innumerevoli volte, la stessa insistente affermazione: " giustificati gratuitamente dal sangue di Cristo ", " gratuitamente, cioè per grazia. Infatti non è grazia, se non è gratuita. Poiché niente di buono avevamo compiuto prima, per meritarci tali doni; a maggior ragione, proprio perché non senza motivo ci sarebbe stata inflitta la pena, gratuitamente ci è stato offerto il beneficio. Da parte nostra non avevamo meritato precedentemente nulla, se non di dover essere condannati. Egli, invece, non per nostra giustizia ma per sua misericordia ci ha salvato nel lavacro della rigenerazione. Questa è, dico, la gloria di Dio; e questa i cieli hanno narrato. Questa è, ripeto, gloria di Dio, non tua " 3.
L'uomo giusto può gloriarsi, ma nel Signore, secondo il precetto dell'Apostolo: chi si gloria, si glori nel Signore (1 Cor 1,31). Su questo tema, tanto caro alla teologia e alla spiritualità agostiniana, si veda il commento nel Sermone 160.

2. L'inizio della fede

Difendendo la gratuità della giustificazione, Agostino non poteva non insistere sulla gratuità della fede, che ne è il principio e il fondamento. Il discorso agostiniano sulla fede è ampio, impegnato, determinante. Qui non si tratta della natura e della necessità della fede, che pur sono due tesi fondamentali, l'una nei riguardi della ragione, l'altra nei riguardi della salvezza. La prima infatti, la natura, investe le relazioni tra fede e ragione, sulle quali il vescovo d'Ippona - che aveva superato il razionalismo, che respinge la fede, per abbracciare la fede che non respinge ma invoca la ragione - ha scritto molto. Motto delle sue molte pagine può essere l'affermazione: habet et fides oculos suos 4 e testo l'aureo libretto L'utilità del credere. La seconda invece si può riassumere nel principio: nessuno è stato, è o sarà mai giusto senza la fede 5; principio che ripete senza posa.
Qui interessa la fede come dono. Questa tesi l'aveva ribadita tante volte: era una delle tre grandi verità che la Chiesa cattolica difendeva contro i pelagiani 6. Ma verso la fine della vita ebbe la sorpresa di sentire che i monaci provenzali distinguevano tra inizio della fede e aumento della medesima, attribuendo l'inizio all'uomo, l'aumento a Dio 7. Avvertì in questa distinzione un modo sottile di reintrodurre la tesi cara ai pelagiani 8 e quello stesso errore nel quale egli era caduto per alcun tempo e che aveva scoperto e corretto all'inizio dell'episcopato 9.
Si rimise pertanto al lavoro e scrisse la Predestinazione dei santi. Dice fin dall'inizio: " Dunque in primo luogo dobbiamo dimostrare che la fede che ci fa cristiani è un dono di Dio, sempre che riusciamo a dimostrarlo con precisione maggiore di quanto abbiamo già fatto in tanti e tanti volumi. Ecco la tesi che noi, a quanto vedo, dobbiamo controbattere; secondo i dissenzienti le testimonianze divine che abbiamo utilizzato su questo argomento servono a farci conoscere che la fede in sé e per sé dipende da noi stessi, ma il suo accrescimento lo riceviamo da Dio, come se la fede non ci fosse donata proprio da lui, ma Egli ce l'accrescesse semplicemente per questo merito: che l'inizio è partito da noi ". Osserva, poi, che con questo insegnamento si resta nell'errore pelagiano: " In definitiva non ci si distacca da quell'opinione:'la grazia di Dio viene data secondo i nostri meriti' che Pelagio stesso, nel sinodo episcopale di Palestina, fu costretto a condannare, come attestano gli Atti. Non apparter rebbe cioè alla grazia di Dio il fatto che cominciamo a credere, ma piuttosto l'aggiunta di fede che per quel merito ci viene fornita, in modo che crediamo più pienamente e perfettamente. Quindi saremo noi a dare per primi a Dio l'inizio della fede, affinché ci sia reso in ricompensa l'accrescimento di essa e quanto altro con la fede possiamo chiedere " 10.
Dopo questa impostazione del problema, tutto il libro si svolge nella dimostrazione della tesi proposta: l'inizio stesso della fede, cioè il primo movimento di conversione dell'animo a Dio, è un dono di Dio; è Dio infatti, non l'uomo, che comincia l'opera della salvezza. L'argomentazione è lunga e molteplice: biblica, liturgica, patristica, teologica.
Tutti o quasi tutti i testi biblici sono chiamati a raccolta e schierati in battaglia tanto da costituire un ampio panorama di teologia biblica, la quale, fuori di ogni dubbio, dimostra che la Scrittura insegna che la nostra fede, anche il suo inizio, è un dono di Dio. Lo schieramento biblico comincia con Rom 11,35-36, continua con 2 Cor 3,5; con 1 Cor 4,7; con Gv 6,44; con Ez 11,19; ecc. ecc., e conclude: " Quando dunque il Padre interiormente è udito ed insegna a venire al Figlio, strappa il cuore di pietra e dà un cuore di carne, come promise con le parole del Profeta " 11.
Dopo l'argomento biblico Agostino affronta quello liturgico che, come si sa, ha tanta parte nella dottrina della grazia. Ecco le sue parole a proposito della preghiera della Chiesa per gli infedeli e i persecutori: " Che cosa dunque preghiamo per coloro che non vogliono credere se non che Dio operi in essi anche il volere? E' dei Giudei certo che l'Apostolo dice: Fratelli, la brama del mio cuore e la mia preghiera a Dio è per la loro salvezza. Egli prega per i non credenti, e che cosa prega se non che credano? Infatti essi non potranno conseguire la salvezza in altra maniera. Se dunque la fede di chi prega previene la grazia di Dio, sarà forse vero che la fede previene la grazia anche in coloro per cui si prega che credano? Ma è proprio questo che si prega per essi, affinché a chi non crede, cioè non ha la fede, la fede sia donata " 12.

L'argomento patristico è ridotto al minimo: una citazione di Cipriano, bella ma isolata. Agostino non sentì il bisogno d'indagare il pensiero dei Padri su questo argomento come aveva fatto per il peccato originale 13, e ne spiega la ragione: " ma quale bisogno c'è che noi andiamo a frugare nelle loro opere, dato che prima che sorgesse l'eresia pelagiana non avevano la necessità di sprofondarsi in questa difficile questione per risolverla? Però naturalmente l'avrebbero fatto se fossero stati costretti a rispondere a simili individui. Il risultato è che in alcuni punti dei loro scritti accennano brevemente e di passaggio alla loro opinione sulla grazia di Dio; si trattengono invece sugli argomenti intorno ai quali si svolgeva allora la lotta contro i nemici della Chiesa ". Ma non omette di aggiungere l'immancabile argomento della preghiera: " Quale fosse la forza della grazia di Dio era indicato semplicemente nel continuo ricorso alle preghiere; infatti non s'implorerebbe da Dio di adempiere le cose che Egli ordina di fare, se l'adempierle non fosse un suo dono " 14.
E' invece ampio e smagliante l'argomento teologico tratto dall'incarnazione del Verbo, che è il summum exemplum gratiae. Ne ho parlato nel capitolo precedente, il discorso tornerà appresso a proposito della predestinazione 15, non c'è bisogno di ripeterlo qui. Basti dire che questo costante riferimento cristologico è veramente il segreto della dottrina agostiniana sulla grazia, sulla grazia in genere e, qui, sull'inizio della fede 16. Il bell'argomento termina con queste solenni parole: Humana hic merita conticescant. E continua: " Chiunque troverà nel nostro Capo dei meriti che abbiano preceduto la sua singolare generazione, questi ricerchi anche in noi, sue membra, dei meriti che abbiano preceduto il moltiplicarsi in noi della rigenerazione " 17.

3. La perseveranza finale

Tra i doni della salvezza, quello che costituisce il coronamento di tutti gli altri, è la perseveranza finale. E' la perseveranza che assicura la salvezza e la rende definitiva, indefettibile. I monaci provenzali sostenevano che la perseveranza dipende solo dall'uomo e che Dio, prevedendo nella sua prescienza la perseveranza nel bene, lo predestina alla vita eterna 18. Agostino sostiene che è un dono di Dio. Ne aveva scritto a lungo e molto esaurientemente nella Correzione e grazia 19, ma vi torna sopra per chiarire, approfondire, difendere quella che ritiene, con assoluta certezza, la dottrina cattolica. Aggiunge perciò un altro libro a quello precedente. La tesi che sostiene è questa: " Noi sosteniamo che la perseveranza con la quale si persevera in Cristo fino alla fine è un dono di Dio, e intendo parlare della fine che pone termine a questa vita, che è la sola nella quale esista il pericolo di cadere " 20.
Che la perseveranza finale sia un dono di Dio, anzi un grande dono di Dio - magnum Dei munus 21 - lo aveva dimostrato, come ho detto, nell'opera scritta poco prima sulla Correzione e grazia; lo aveva dimostrato col suo solito metodo della tessitura dei testi biblici da cui scaturisce l'autentico insegnamento della Scrittura.
Ricordiamo alcuni di questi testi. Il primo è la preghiera di Cristo perché non venisse meno la fede di Pietro (Lc 22,32); Agostino commenta: con questa preghiera " che altro chiese se non la perseveranza finale? " 22; infatti non chiese altro se non che avesse nella fede una volontà " liberissima, fortissima, invittissima, perseverantissima " 23. Un altro testo è quello di S. Paolo che prega per i fedeli perché Dio, che ha cominciato in loro l'opera buona, la porti a compimento fino al giorno di Cristo Gesù (Fil 1,3-6). Agostino commenta: con queste parole " che altro promette dalla misericordia divina se non la perseveranza nel bene sino alla fine? " 24.
Un testo ancora di S. Paolo: l'inno degli eletti (Rom 8,31-39), che esprime, commenta anche qui Agostino, la forza del dono della perseveranza 25. In ultimo il testo biblico contestato dai monaci provenzali 26: Fu rapito, perché la malizia non ne mutasse i sentimenti o l'inganno non ne traviasse l'animo (Sap 4, 11). Agostino lo cita nella Correzione e grazia 27, vi torna sopra nella Predestinazione dei Santi 28, e vi accenna ancora nel Dono della perseveranza 29. Egli conosce i dubbi sull'autore e la canonicità del libro della Sapienza 30, ma la canonicità la ritiene con fermezza per l'autorità della Chiesa 31 e la lunga tradizione dei Padri 32. Il testo pertanto conserva il suo valore scritturistico. In ogni caso il suo contenuto è incontestabile. Ogni cristiano sa che, se il giusto muore nella giustizia, avrà la vita eterna; se invece cessa di essere giusto e muore nel peccato andrà in perdizione. Ora il momento della morte non sta nelle nostre ma nelle mani di Dio. Dio dunque, disponendo che il giusto muoia prima di cadere in peccato, gli elargisce il dono ineffabile della perseveranza finale. Non altro che questo dice il testo biblico, della cui appartenenza ad un libro canonico non si deve discutere, del cui contenuto meno ancora 33.
A questo punto stava la dimostrazione, quando Agostino cominciò a dettare il Dono della perseveranza, dove, fin dall'inizio, impostò ancora una volta con estrema chiarezza la tesi ricordata sopra. Per confermarla non ripete quanto aveva detto altrove sull'insegnamento biblico, ma insiste sull'argomento della preghiera.

Seguendo Cipriano commenta il Padre nostro in chiave di perseveranza - è infatti la perseveranza nel bene che il giusto chiede a Dio ripetendo la preghiera del Signore 34 -, e conclude: " Se anche non ci fossero altre testimonianze, questa orazione domenicale basterebbe da sola alla causa della grazia che noi sosteniamo, perché nulla essa ci ha lasciato in cui ci possiamo gloriare come fosse nostro. In realtà anche il fatto di non allontanarci dal Signore l'orazione dimostra che non viene concesso se non da Dio, poiché dichiara che a Dio dev'essere chiesto " 35.
La forza dell'argomentazione è sempre la stessa: non si chiede a Dio ciò che si sa che non viene donato da Dio ma è riposto nel potere dell'uomo, come non si ringrazia di ciò che si sa che non è stato donato da Dio. Ecco le sue forti parole: " E poi, perché si dovrebbe chiedere a Dio questa perseveranza se non è concessa da lui? Non sarebbe forse una richiesta beffarda, se si pregasse dal Signore quello che si sa che Egli non concede, e che quindi, se non è lui a concederlo, è in potestà degli uomini? Così pure sarebbe una beffa e non un rendimento di grazie se si rendesse grazie a Dio di una cosa che Egli non ha donato né compiuto ". Ne tira infine questa severa conclusione: " Ma quello che ho detto sopra 36 lo ripeto qui: Non ingannatevi, dice l'Apostolo, non ci si può prendere gioco di Dio " (Gal 6,7) 37.
Perciò la Chiesa non ha bisogno di tante discussioni in proposito: consideri le sue preghiere e tiri le conclusioni. " Dunque su questo argomento la Chiesa non indugi in laboriose disputazioni, ma attenda alle sue preghiere quotidiane. Essa prega affinché gli infedeli credano: allora è Dio che converte alla fede. Essa prega perché i credenti perseverino: allora è Dio che dona la perseveranza fino alla fine " 38. La trattazione termina con un nuovo riferimento veramente stupendo al motivo cristologico: Cristo causa e modello della grazia 39.
Il discorso agostiniano sulla gratuità della grazia che, come si è visto, si apre a raggiera ed include tutta la vita cristiana dal primo sbocciare dell'amore per mezzo della fede fino all'amore giustificante e all'amore perseverante - tre doni della misericordia che salva -, si chiude o, per dir meglio, si perfeziona e si riapre con due raccomandazioni di fondo: una alla preghiera e un'altra alla fiducia. La perseveranza finale è un dono che non possiamo meritare, ma possiamo e dobbiamo ottenere con la preghiera: Hoc Dei donum suppliciter emereri potest, poiché Dio ha stabilito " di dare alcuni doni anche a chi non prega, come l'inizio della fede; altri soltanto a chi prega, come la perseveranza finale " 40. Alla preghiera vanno congiunte la fiducia e l'abbandono totale a Dio, che sono fonte della nostra sicurezza: Tutiores vivimus si totum Deo damus 41.
Ma di questo più diffusamente al termine della introduzione 42. Qui, per completare il panorama agostiniano, occorre parlare di un altro argomento che sembra opposto a quello trattato finora, eppur necessario.

CAPITOLO OTTAVO

IL MERITO


E' il discorso del merito. Dopo quanto si è detto sui doni della salvezza, sembra superfluo farne uno sul merito. E lo sarebbe in realtà se il nostro dottore non lo avesse fatto egli stesso più volte e a lungo e con grande impegno, non solo per escludere che la grazia venga concessa secondo i meriti, ma anche per chiarire la nozione stessa del merito e sciogliere i problemi che pone. Del resto basta riandare alla storia della teologia per vedere quante discussioni ha suscitato. E spesso, se non sempre, legate al nome di Agostino 1. Il problema lo pone la stessa Scrittura che il nostro dottore, come al solito, si studia di concordare con se stessa 2. Vediamo dunque sia il problema cha la soluzione, e poi vedremo se questa non ponga a noi qualche problema ulteriore.

1. Le due verità della Scrittura

Nei riguardi della vita eterna vi sono nella Scrittura due serie di testi che esprimono due verità apparentemente contrarie: una serie che proclama la vita eterna una grazia, l'altra che la proclama una mercede. Grazia e mercede. Si sa quanto i concetti siano diversi. Come conciliarli? Ecco il problema.
Agostino ha raccolto i testi della prima serie e ne ha fatto il supporto biblico della grande tesi difesa contro i pelagiani: la grazia non ci viene concessa secondo i nostri meriti; perciò la vita eterna è un dono. Ne ho parlato lungamente sopra 3. Ma l'insistenza sulla grazia non fa dimenticare i testi biblici sulla mercede. Il nostro dottore non li occulta, anzi li raccoglie e li schiera in battaglia. Due soprattutto. Ambedue dell'Apostolo che ha tanto parlato della grazia: Rom 2,6: Dio renderà a ciascuno secondo le sue opere - si sa che queste parole sono l'eco di quelle di Gesù nel Vangelo (Mt 16,27) - e di quelle della 2 Tim 4,8: mi resta solo la corona di giustizia che il Signore, giusto giudice, mi consegnerà. V'è poi tante volte ricordata nel Vangelo l'idea della mercede (Mt 5,12: Lc 6,23); vi sono le parabole degli operai e dei talenti (Mt 20,1-16; 25,14-30); v'è l'ultimo giudizio che sarà tenuto sulle opere di misericordia (Mt 25,31-46), a cui Agostino si riferisce di continuo 4.
Più in generale si può dire che nel panorama dottrinale agos tiniano il ricorso alla necessità delle opere e quindi al conseguimento della mercede promessa è legato in particolare ad un libro, a un testo biblico, ad un'esortazione pastorale. Il libro ha per titolo La fede e le opere. Lo scrisse all'inizio della controversia pelagiana dopo Il castigo e il perdono dei peccati e Lo spirito e la lettera 5, le prime due opere antipelagiane e le più importanti, lo scrisse per rispondere a quelli che sostenevano che per raggiungere la vita eterna bastava la sola fede 6. Il testo biblico è quello della fede quae per dilectionem operatur (Gal 5,6) che il nostro dottore cita in continuazione; mentre l'esortazione pastorale si può riassumere in questo aforisma: Si vis sustinere laborem, attende mercedem 7, o in quest'altro ancora più forte: " Esercitati nelle opere, lavora nella vigna; finito il giorno, chiedi la mercede: finito die, pete mercedem " 8.
Non v'è dubbio che Agostino vede ed urge i due aspetti del problema: grazia e mercede. Non solo li vede, ma mette in rilievo il problema che ne deriva e ne propone la soluzione. Scrive in una delle ultime opere, La grazia e il libero arbitrio: " Da ciò nasce un problema non trascurabile, la cui soluzione dev'essere ricercata con l'intervento del Signore. Se infatti la vita eterna viene data in ricompensa delle opere buone, come dice la Scrittura in maniera estremamente chiara: Dio renderà a ciascuno secondo le sue opere, in qual maniera la vita eterna può essere grazia, dato che la grazia non è assegnata in ricompensa alle opere, ma viene conferita gratuitamente? ". E dopo aver riportato alcuni testi paolini che escludono la mercede quando si tratta di grazia (Rom 4,4; 11,5-6), incalza: " Dunque la vita eterna come può essere una grazia, se si acquista in seguito alle opere? O forse non è la vita eterna che l'Apostolo chiama grazia? Al contrario, egli si è espresso in una maniera che l'identificazione non si può negare; e non c'è bisogno nemmeno di un acuto intenditore, ma soltanto di uno che dia ascolto attentamente " 9.

2. La soluzione: " meritum... gratuitum "

Dopo la chiara posizione del problema ecco la soluzione agostiniana, non meno chiara: " Una tale questione non mi sembra che si possa sciogliere in nessun modo, se non intendendo che anche le nostre stesse opere buone, alle quali si conferisce la vita eterna, appartengono alla grazia di Dio " 10. Dimostra lungamente, testi della Scrittura alla mano, questa affermazione, e conclude: " Pertanto, o carissimi, se la nostra vita buona altro non è che grazia di Dio, senza dubbio anche la vita eterna, che viene data in contraccambio alla vita buona, è grazia di Dio; ed essa pure viene data gratuitamente, perché è stata data gratuitamente la vita buona per la quale quella eterna viene concessa ". Spiegando poi l'espressione giovannea di gratia pro gratia (Gv 1,16), termina così: " Ma questa vita buona per cui viene concessa, è semplicemente grazia; in definitiva questa vita eterna che viene concessa per essa, poiché di essa è premio, è grazia per grazia, come una ricompensa che contraccambia la giustizia. E così si dimostra vero, perché è vero, che Dio renderà a ciascuno secondo le sue opere (Rom 2,6) " 11.
Da questa soluzione nasce l'effato ripetuto molte volte, con vera compiacenza, dal dottore della grazia: Dio, coronando i tuoi meriti, non corona che i suoi doni; effato che ne La grazia e il libero arbitrio, dove problema e soluzione sono proposti esplicitamente, suona così: " Se dunque i tuoi meriti nel bene sono doni di Dio, Dio non corona i tuoi meriti come tuoi meriti, ma come suoi doni " 12. Nella stessa opera, parlando della corona di giustizia che l'apostolo Paolo attendeva, se ne esce in queste interrogazioni che hanno una straordinaria forza persuasiva: " A chi il giudice giusto renderebbe la corona, se il Padre misericordioso non avesse donato la grazia? E come ci sarebbe questa corona della giustizia, se non l'avesse preceduta la grazia che giustifica l'empio? In qual modo si renderebbe come dovuta la corona, se prima la grazia non fosse stata donata come gratuita? " 13.
Ma si avrebbe torto a credere che questa dottrina sui meriti che sono, sì, meriti, ma anche doni della grazia, il vescovo d'Ippona l'abbia maturata gli ultimi anni della sua vita o comunque durante la controversia pelagiana. La troviamo invece, sostanzialmente, nella prima opera in cui approfondì il tema della grazia 14, di cui ho detto sopra 15. La troviamo con la stessa formula delle opere posteriori, nelle Confessioni, per esempio, ove leggiamo: " Chi enumera innanzi a te i suoi veri meriti, che altro ti enumera se non i tuoi doni? " 16. Con la controversia pelagiana questa o formule simili diventano, com'era naturale, più frequenti sia nei libri che nelle lettere che nei discorsi.

Per i libri basti il più volte citato su La grazia e il libero arbitrio. Per le lettere vanno menzionate la celebre 194 e l'altra, meno celebre ma non meno importante, a Paolino di Nola, la 186: nella prima c'è la formula che ho ricordato or ora: " quando Dio corona i nostri meriti non corona altro che i suoi doni " 17; nella seconda c'è una formula semanticamente ancora più felice, quella di merito gratuito: ipsum hominis meritum donum est gratuitum 18. Nei discorsi poi l'insistenza è continua e le formule le stesse 19. Qualche volta prendono un tono più tagliente, come questo: " Dio ti dice: Discuti bene i tuoi meriti, vedrai che sono miei doni " 20. Infine nel commento ai Salmi il testo biblico offre l'occasione di tornare spesso nell'argomento. Un esempio sono le parole del Salmo 102,4: qui coronat te in miseratione et misericordia 21. La ragione di questa insistenza è sempre la stessa, quella che ho ricordato sopra: impedire che l'uomo si glori in se stesso e non in Dio. " Non vantare in alcun modo i tuoi meriti, perchè anche questi tuoi meriti sono doni suoi " 22. " Tuoi sono i peccati, i meriti sono di Dio. A te si deve il castigo; quando invece ti viene dato il premio, Dio corona i doni suoi, non i meriti tuoi " 23.

3. Meriti e giustificazione

Questa dottrina, che riassume, come si è detto, i due aspetti dell'insegnamento biblico, ha per fondamento tutta la dottrina della grazia. Il merito dunque non precede ma segue la grazia, la grazia, dico, che dona la fede e dona la giustificazione. E' la giustificazione, dono di Dio, che costituisce il fondamento del merito: lo fonda, non lo esclude. Ecco un testo breve e perentorio: " I giusti, allora, non hanno merito alcuno? Sicuro che ne hanno, poiché sono giusti, ma non ne hanno avuto alcuno per diventare tali, essendolo divenuti quando sono stati giustificati, come dice l'Apostolo: Sono stati giustificati senza alcun merito precedente e solo per la grazia di lui (Rom 3,24) " 24.
Non ci sono dunque meriti prima della giustificazione, ci sono - e debbono esserci - dopo. E sono meriti certi, perchè legati alla promessa di Dio. Parlando ai fedeli, dopo aver detto che " Dio si è fatto nostro debitore non accettando qualcosa da noi, ma promettendo ciò che gli è piaciuto ", Agostino suggerisce loro di chiedere a Dio il compimento delle sue promesse con queste coraggiose parole: " Rendi ciò che hai promesso, perché abbiamo fatto ciò che hai comandato ". Ma aggiunge subito: " E questo lo hai fatto tu, perché hai aiutato coloro che faticavano " 25. Le parole di questo brano oratorio, soprattutto le prime, sembrano aliene dal dottore della grazia, eppure sono sue. Il discorso poi dev'essere inserito tra quelli pronunciati nel forte della controversia pelagiana 26. Un caso di contraddittorietà? No, un caso, un altro, di sintesi. Il discorso è tutto dedicato a esaltare i doni di Dio: predestinazione, vocazione, giustificazione, glorificazione, ma anche il merito che il giusto acquista presso Dio, per la promessa di Dio, operando il bene. E' la corona iustitiae fondata sul dono della misericordia, di cui si è detto poco sopra.
Altre volte mette a fondamento dei meriti il dono della fede: " ...quel dono da cui partono tutti gli altri doni che si dicono ricevuti da noi per nostro merito, e cioè il dono della fede, lo riceviamo senza nostro merito " 27. Altrove scrive contro i pelagiani: " Non mi resta dunque che attribuire... la stessa fede, che costoro esaltano, non già alla volontà dell'uomo né ad alcun merito precedente, perché da essa hanno origine tutti i meriti buoni, nessuno escluso... " 28.
In uno splendido discorso dommatico sulla fede e le opere o più precisamente " della grazia di Dio e della nostra giustificazione " 29 - si sa che nessuno è tanto dottore come Agostino quando parla - fra i tanti memorabili effati espone anche questo: " Non presumere di conseguire il Regno per la tua giustizia, e non presumere della misericordia di Dio per peccare " 30. Parole cui seguono come spiegazione queste altre: " Nessuno vanti le sue opere prima della fede, nessuno sia pigro nel compiere le buone opere dopo che ha ricevuto la fede. Dio dunque concede il perdono a tutti gli empi, e li giustifica con la fede " 31.

In realtà il testo parla delle opere buone e non, direttamente, delle opere meritorie. Ma si applica molto bene anche a queste. Solo che esso pone due problemi: sulle opere buone, quello della possibilità dell'uomo di compierle senza la fede, di cui ho parlato altrove 32, e sulle opere meritorie, se hanno per fondamento la fede e la giustificazione, di cui è utile fare un cenno qui.
I testi sulla fede ricordati sopra sembrano supporre che basti la fede per meritare davanti a Dio e non sia necessaria la giustificazione come dicono altri testi. Occorre concordare Agostino con se stesso. Non è difficile. Egli intende la fede quae per dilectionem operatur (Gal 5,6) e quindi, parlando dei meriti, non la distingue dalla giustificazione. Tanto è vero che il lungo e bel discorso da cui son tratte le ultime espressioni ha per argomento, come ho detto, la grazia di Dio e la giustificazione.


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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