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ISTRUZIONE "IL SERVIZIO DELL'AUTORITÀ E L'OBBEDIENZA"

Ultimo Aggiornamento: 09/07/2011 15:55
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09/07/2011 15:52
 
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PRIMA PARTE

CONSACRAZIONE E RICERCA
DELLA VOLONTÀ DI DIO


« Perché, liberati, possiamo servirlo in santità e giustizia »
(cf. Lc 1,74-75)

Chi stiamo cercando?

4. Ai primi discepoli che, forse ancora incerti e dubbiosi, si mettono al seguito di un nuovo Rabbì, il Signore chiede: « Che cercate? » (Gv 1,38). In questa domanda possiamo leggere altre radicali domande: che cosa cerca il tuo cuore? Per che cosa ti affanni? Stai cercando te stesso o stai cercando il Signore tuo Dio? Stai inseguendo i tuoi desideri o il desiderio di Colui che ha fatto il tuo cuore e lo vuole realizzare come Lui sa e conosce? Stai rincorrendo solo cose che passano o cerchi Colui che non passa? « In questa terra della dissomiglianza, di che cosa dobbiamo occuparci, Signore Dio? Dal sorgere del sole al suo tramonto vedo uomini travolti dai vortici di questo mondo: alcuni cercano ricchezze, altri privilegi, altri ancora le soddisfazioni della popolarità », osservava san Bernardo.10

« Il tuo volto, Signore, io cerco » (Sl 26,8) è la risposta della persona che ha compreso l'unicità e l'infinita grandezza del mistero di Dio e la sovranità della sua santa volontà; ma è anche la risposta, sia pur implicita e confusa, di ogni creatura umana in cerca di verità e felicità. Quaerere Deum è stato da sempre il programma di ogni esistenza assetata di assoluto e di eterno. Molti tendono oggi a considerare mortificante qualunque forma di dipendenza; ma appartiene allo statuto stesso di creatura l'essere dipendente da un Altro e, in quanto essere in relazione, anche dagli altri.

Il credente cerca il Dio vivo e vero, il Principio e il Fine di tutte le cose, il Dio non fatto a propria immagine e somiglianza, ma il Dio che ci ha fatto a sua immagine e somiglianza, il Dio che manifesta la sua volontà, che indica le vie per raggiungerlo: « Mi indicherai il sentiero della vita, gioia piena nella tua presenza, dolcezza senza fine alla tua destra » (Sl 15,11).

Cercare la volontà di Dio significa cercare una volontà amica, benevola, che vuole la nostra realizzazione, che desidera soprattutto la libera risposta d'amore al suo amore, per fare di noi strumenti dell'amore divino. È in questa via amoris che sboccia il fiore dell'ascolto e dell'obbedienza.

L'obbedienza come ascolto

5. « Ascolta, figlio » (Pr 1,8). L'obbedienza è prima di tutto atteggiamento filiale. È quel particolare tipo d'ascolto che solo il figlio può prestare al padre, perché illuminato dalla certezza che il padre ha solo cose buone da dire e da dare al figlio; un ascolto intriso di quella fiducia che rende il figlio accogliente della volontà del padre, sicuro che essa sarà per il bene.

Ciò è immensamente più vero nei riguardi di Dio. Noi, infatti, raggiungiamo la nostra pienezza solo nella misura in cui ci inseriamo nel disegno con cui Egli ci ha concepito con amore di Padre. Dunque l'obbedienza è l'unica via di cui dispone la persona umana, essere intelligente e libero, per realizzarsi pienamente. In effetti, quando dice “no” a Dio la persona umana compromette il progetto divino, sminuisce se stessa e si destina al fallimento.

L'obbedienza a Dio è cammino di crescita e, perciò, di libertà della persona perché consente di accogliere un progetto o una volontà diversa dalla propria che non solo non mortifica o diminuisce, ma fonda la dignità umana. Al tempo stesso, anche la libertà è in sé un cammino d'obbedienza, perché è obbedendo da figlio al piano del Padre che il credente realizza il suo essere libero. È chiaro che una tale obbedienza esige di riconoscersi come figli e di godere d'esser figli, perché solo un figlio e una figlia possono consegnarsi liberamente nelle mani del Padre, esattamente come il Figlio Gesù, che si è abbandonato al Padre. E se nella sua passione si è pure consegnato a Giuda, ai sommi sacerdoti, ai suoi flagellatori, alla folla ostile e ai suoi crocifissori, lo ha fatto solo perché era assolutamente certo che ogni cosa trovava un suo significato nella fedeltà totale al disegno di salvezza voluto dal Padre, al quale – come ricorda san Bernardo – « non fu la morte che piacque, ma la volontà di colui che spontaneamente moriva ».11

« Ascolta, Israele » (Dt 6,4)

6. Figlio, per il Signore Iddio, è Israele, il popolo che Egli si è scelto, che ha generato, che ha fatto crescere tenendolo per mano, che ha sollevato alla sua guancia, cui ha insegnato a camminare (cf. Os 11, 1-4), cui – come somma espressione di affetto – ha rivolto in continuazione la sua Parola, anche se questo popolo non sempre l'ha ascoltata, o l'ha vissuta come un peso, come una « legge ». Tutto l'Antico Testamento è un invito all'ascolto, e l'ascolto è in funzione dell'alleanza nuova, quando, come dice il Signore, « porrò le mie leggi nella loro mente e le imprimerò nei loro cuori; sarò il loro Dio ed essi saranno il mio popolo » (Eb 8,10; cf. Ger 31,33).

All'ascolto segue l'obbedienza come risposta libera e liberante del nuovo Israele alla proposta del nuovo patto; l'obbedienza è parte della nuova alleanza, anzi il suo distintivo caratteristico. Ne segue che essa può essere compresa compiutamente solo all'interno della logica di amore, d'intimità con Dio, di appartenenza definitiva a Lui che rende finalmente liberi.

L'obbedienza alla Parola di Dio

7. La prima obbedienza della creatura è quella di venire all'esistenza, in adempimento al fiat divino che la chiama ad essere. Tale obbedienza raggiunge piena espressione nella creatura libera di riconoscersi ed accettarsi come dono del Creatore, di dire “sì” al proprio venire da Dio. Così essa compie il primo, vero atto di libertà, che è anche il primo e fondamentale atto di autentica obbedienza.

L'obbedienza propria della persona credente, poi, è l'adesione alla Parola con la quale Dio rivela e comunica se stesso, e attraverso la quale rinnova ogni giorno la sua alleanza d'amore. Da quella Parola è scaturita la vita che ogni giorno continua ad essere trasmessa. Perciò la persona credente cerca ogni mattina il contatto vivo e costante con la Parola che in quel giorno è proclamata, meditandola e custodendola nel cuore come un tesoro, facendone la radice d'ogni azione e il criterio primo d'ogni scelta. E alla fine della giornata si confronta con essa, lodando Dio come Simeone per aver visto il compiersi della Parola eterna dentro la piccola vicenda della propria quotidianità (cf. Lc 2,27-32), e affidando alla forza della Parola quanto è rimasto ancora incompiuto. La Parola, infatti, non lavora solo di giorno, ma sempre, come insegna il Signore nella parabola del seme (cf. Mc 4,26-27).

L'amorosa frequentazione quotidiana della Parola educa a scoprire le vie della vita e le modalità attraverso le quali Dio vuole liberare i suoi figli; alimenta l'istinto spirituale per le cose che piacciono a Dio; trasmette il senso e il gusto della sua volontà; dona la pace e la gioia di rimanergli fedeli, rendendo sensibili e pronti a tutte le espressioni dell'obbedienza: al Vangelo (Rm 10,16; 2 Tes 1,8), alla fede (Rm 1,5; 16,26), alla verità (Gal 5,7; 1 Pt 1,22).

Non si deve tuttavia dimenticare che l'esperienza autentica di Dio resta sempre esperienza di alterità. « Per quanto grande possa essere la somiglianza tra il Creatore e la creatura, sempre più grande è tra loro la dissomiglianza ».12 I mistici, e tutti coloro che hanno gustato l'intimità con Dio, ci ricordano che il contatto con il Mistero sovrano è sempre contatto con l'Altro, con una volontà che talvolta è drammaticamente dissimile dalla nostra. Obbedire a Dio significa infatti entrare in un ordine “altro” di valori, cogliere un senso nuovo e differente della realtà, sperimentare una libertà impensata, giungere alle soglie del mistero: « Perché i miei pensieri non sono i vostri pensieri, le vostre vie non sono le mie vie, oracolo del Signore. Quanto il cielo sovrasta la terra, tanto le mie vie sovrastano le vostre, i miei pensieri sovrastano i vostri » (Is 55,8- 9).

Se può incutere timore questo ingresso nel mondo di Dio, tale esperienza, sull'esempio dei santi, può mostrare che quanto per l'uomo è impossibile è reso possibile da Dio; essa diviene così autentica obbedienza al Mistero di un Dio che è, nello stesso tempo, « interior intimo meo » 13 e radicalmente altro.

Alla sequela di Gesù, il Figlio obbediente al Padre

8. In questo cammino non siamo soli: siamo guidati dall'esempio di Cristo, l'amato nel quale il Padre s'è compiaciuto (cf. Mt 3,17; 17,5), ma anche Colui che ci ha liberati grazie alla sua obbedienza. È Lui che ispira la nostra obbedienza, perché si compia anche attraverso di noi il disegno divino di salvezza.

In Lui tutto è ascolto e accoglienza del Padre (cf. Gv 8,28-29), tutta la sua vita terrena è espressione e continuazione di ciò che il Verbo fa dall'eternità: lasciarsi amare dal Padre, accogliere in maniera incondizionata il suo amore, al punto di non far nulla da se stesso (cf. Gv 8,28), ma di compiere sempre ciò che piace al Padre. La volontà del Padre è il cibo che sostiene Gesù nella sua opera (cf. Gv 4,34) e che frutta a Lui e a noi la sovrabbondanza della risurrezione, la gioia luminosa di entrare nel cuore stesso di Dio, nella schiera beata dei suoi figli (cf. Gv 1,12). È per questa obbedienza di Gesù che « tutti sono costituiti giusti » (Rm 5,19).

Egli l'ha vissuta anche quando essa gli ha presentato un calice difficile da bere (cf. Mt 26,39.42; Lc 22,42), e s'è fatto « obbediente fino alla morte, e alla morte di croce » (Fil 2,8). È questo l'aspetto drammatico dell'obbedienza del Figlio, avvolta da un mistero che non potremo mai penetrare totalmente, ma che è per noi di grande rilevanza perché ci svela ancor più la natura filiale dell'obbedienza cristiana: solo il Figlio, che si sente amato dal Padre e lo riama con tutto se stesso, può giungere a questo tipo di obbedienza radicale.

Il cristiano, come Cristo, si definisce come essere obbediente. L'indiscutibile primato dell'amore nella vita cristiana non può far dimenticare che tale amore ha acquistato un volto e un nome in Cristo Gesù ed è diventato Obbedienza. L'obbedienza, dunque, non è umiliazione ma verità sulla quale si costruisce e si realizza la pienezza dell'uomo. Perciò il credente desidera così ardentemente compiere la volontà del Padre da farne la sua aspirazione suprema. Come Gesù, egli vuol vivere di questa volontà. Ad imitazione di Cristo e imparando da lui, con gesto di suprema libertà e di fiducia incondizionata, la persona consacrata ha posto la sua volontà nelle mani del Padre per rendergli un sacrificio perfetto e gradito (cf. Rm 12,1).

Ma prima ancora di essere il modello di ogni obbedienza, Cristo è Colui al quale va ogni vera obbedienza cristiana. Infatti è il mettere in pratica le sue parole che rende effettivo il discepolato (cf. Mt 7,24) ed è l'osservanza dei suoi comandamenti che rende concreto l'amore a Lui e attira l'amore del Padre (cf. Gv 14,21). Egli è al centro della comunità religiosa come Colui che serve (cf. Lc 22,27), ma anche come Colui al quale si confessa la propria fede (« Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me »: Gv 14,1) e si dona la propria obbedienza, perché solo in essa si attua una sequela sicura e perseverante: « In realtà è lo stesso Signore risorto, nuovamente presente tra i fratelli e le sorelle riuniti nel suo nome, che addita il cammino da percorrere ».14

Obbedienti a Dio attraverso mediazioni umane

9. Dio manifesta la sua volontà attraverso la mozione interiore dello Spirito, che « guida alla verità tutta intera » (cf. Gv 16,13), e attraverso molteplici mediazioni esteriori. In effetti, la storia della salvezza è una storia di mediazioni che rendono in qualche modo visibile il mistero di grazia che Dio compie nell'intimo dei cuori. Anche nella vita di Gesù si possono riconoscere non poche mediazioni umane, attraverso le quali Egli ha avvertito, ha interpretato e ha accolto la volontà del Padre, come ragione di essere e come cibo permanente della sua vita e della sua missione.

Le mediazioni che comunicano esteriormente la volontà di Dio vanno riconosciute nelle vicende della vita e nelle esigenze proprie della vocazione specifica; ma si esprimono anche nelle leggi che regolano la vita associata e nelle disposizioni di coloro che sono chiamati a guidarla. Nel contesto ecclesiale, leggi e disposizioni, legittimamente date, consentono di riconoscere la volontà di Dio, divenendo attuazione concreta e “ordinata” delle esigenze evangeliche, a partire dalle quali vanno formulate e percepite.

Le persone consacrate, inoltre, sono chiamate alla sequela di Cristo obbediente dentro un “progetto evangelico”, o carismatico, suscitato dallo Spirito e autenticato dalla Chiesa. Essa, approvando un progetto carismatico quale è un Istituto religioso, garantisce che le ispirazioni che lo animano e le norme che lo reggono possono dar luogo ad un itinerario di ricerca di Dio e di santità. Anche la Regola e le altre indicazioni di vita diventano quindi mediazione della volontà del Signore: mediazione umana ma pur sempre autorevole, imperfetta ma assieme vincolante, punto di avvio da cui partire ogni giorno, e anche da superare in uno slancio generoso e creativo verso quella santità che Dio “vuole” per ogni consacrato. In questo cammino l'autorità è investita del compito pastorale di guidare e di decidere.

È evidente che tutto ciò sarà vissuto coerentemente e fruttuosamente solo se rimangono vivi il desiderio di conoscere e fare la volontà di Dio, ma anche la consapevolezza della propria fragilità, come pure l'accettazione della validità delle mediazioni specifiche, anche quando non si cogliessero appieno le ragioni che esse presentano.

Le intuizioni spirituali dei fondatori e delle fondatrici, soprattutto di coloro che hanno maggiormente segnato il cammino della vita religiosa lungo i secoli, hanno sempre dato grande risalto all'obbedienza. San Benedetto già all'inizio della sua Regola si indirizza al monaco dicendogli: « A te (...) si rivolge ora la mia parola; a te che, rinunciando alle tue proprie volontà per militare per Cristo Signore, vero re, prendi su di te le fortissime e gloriose armi dell'obbedienza ».15

Si deve poi ricordare che il rapporto autorità-obbedienza si colloca nel contesto più ampio del mistero della Chiesa e costituisce una particolare attuazione della sua funzione mediatrice. A riguardo il Codice di Diritto Canonico raccomanda ai superiori di esercitare « in spirito di servizio la potestà che hanno ricevuto da Dio, mediante il ministero della Chiesa ».16

Imparare l'obbedienza nel quotidiano

10. Alla persona consacrata, pertanto, può avvenire di “imparare l'obbedienza” anche a partire dalla sofferenza, ovvero da alcune situazioni particolari e difficili: quando, ad esempio, viene domandato di lasciare certi progetti e idee personali, di rinunciare alla pretesa di gestire da soli la vita e la missione; o tutte le volte in cui ciò che viene richiesto (o chi lo richiede) appare umanamente poco convincente. Chi si trova in tali situazioni non dimentichi, allora, che la mediazione è per natura sua limitata e inferiore a ciò a cui rimanda, tanto più se si tratta della mediazione umana nei confronti della volontà divina; ma ricordi pure, ogniqualvolta si trova di fronte ad un comando legittimamente dato, che il Signore chiede di obbedire all'autorità che in quel momento lo rappresenta17 e che anche Cristo « imparò l'obbedienza dalle cose che patì » (Eb 5,8).

È opportuno ricordare, a questo proposito, le parole di Paolo VI: « Dovete dunque sperimentare qualcosa del peso che attirava il Signore verso la sua croce, questo “battesimo con cui doveva essere battezzato”, ove si sarebbe acceso quel fuoco che infiamma anche voi (cf. Lc 12, 49- 50); qualcosa di quella “follia” che San Paolo desidera per tutti noi, perché solo essa ci rende sapienti (cf. 1 Cor 3,18-19). La croce sia per voi, come è stata per il Cristo, la prova dell'amore più grande. Non esiste forse un rapporto misterioso tra la rinuncia e la gioia, tra il sacrificio e la dilatazione del cuore, tra la disciplina e la libertà spirituale? ».18

È proprio in questi casi sofferti che la persona consacrata impara ad obbedire al Signore (cf. Sl 118,71), ad ascoltarlo e ad aderire solo a Lui, nell'attesa, paziente e piena di speranza, della sua Parola rivelatrice (cf. Sl 118,81), nella disponibilità piena e generosa a compiere la sua volontà e non la propria (cf. Lc 22,42).

Nella luce e nella forza dello Spirito

11. Si aderisce dunque al Signore quando si scorge la sua presenza nelle mediazioni umane, specie nella Regola, nei superiori, nella comunità,19 nei segni dei tempi, nelle attese della gente, soprattutto dei poveri; quando si ha il coraggio di gettare le reti in forza « della sua parola » (cf. Lc 5,5) e non di motivazioni solo umane; quando si sceglie di obbedire non solo a Dio bensì anche agli uomini, ma, in ogni caso, per Dio e non per gli uomini. Scrive Sant'Ignazio di Loyola nelle sue Costituzioni: « La vera obbedienza non guarda a chi si fa, ma per chi si fa; e se si fa soltanto per il nostro Creatore e Signore, è proprio a Lui, Signore di tutti, che si obbedisce ». 20

Se nei momenti difficili chi è chiamato ad obbedire chiederà con insistenza al Padre lo Spirito (cf. Lc 11,13), Egli lo donerà e lo Spirito darà luce e forza per essere obbedienti, farà conoscere la verità e la verità renderà liberi (cf. Gv 8,32).

Gesù stesso, nella sua umanità, è stato condotto dall'azione dello Spirito Santo: concepito nel grembo della Vergine Maria per opera dello Spirito Santo, all'inizio della sua missione, nel battesimo, riceve lo Spirito che discende su di Lui e lo guida; risorto, effonde lo Spirito sui suoi discepoli perché entrino nella sua stessa missione, annunciando la salvezza e il perdono da Lui meritato. Lo Spirito che ha unto Gesù è lo stesso Spirito che può rendere la nostra libertà simile a quella di Cristo, perfettamente conforme alla volontà di Dio.21

È indispensabile, dunque, che ciascuno si renda disponibile allo Spirito, a cominciare dai superiori che proprio dallo Spirito ricevono l'autorità 22 e, « docili alla volontà di Dio »,23 sotto la sua guida la devono esercitare.

Autorità al servizio dell'obbedienza alla volontà di Dio

12. Nella vita consacrata ognuno deve cercare con sincerità la volontà del Padre, perché diversamente sarebbe la ragione stessa della sua scelta di vita a venire meno; ma è ugualmente importante portare avanti insieme ai fratelli o alle sorelle tale ricerca, perché è proprio essa che unisce, rende famiglia unita a Cristo.

L'autorità è al servizio di questa ricerca, perché avvenga nella sincerità e nella verità. Nell'omelia di inizio del ministero petrino, Benedetto XVI ha affermato significativamente: « Il mio vero programma di governo è quello non di fare la mia volontà, di perseguire le mie idee, ma di mettermi in ascolto, con tutta quanta la Chiesa, della parola e della volontà del Signore e lasciarmi guidare da Lui, cosicché sia egli stesso a guidare la Chiesa in questa ora della nostra storia ».24 D'altro lato si deve riconoscere che il compito di essere guida agli altri non è facile, specie quando il senso dell'autonomia personale è eccessivo o conflittuale e competitivo nei confronti degli altri. È necessario perciò, da parte di tutti, acuire lo sguardo di fede nei confronti di questo compito, che deve ispirarsi all'atteggiamento di Gesù servo che lava i piedi dei suoi apostoli affinché abbiano parte alla sua vita e al suo amore (cf. Gv 13,1-17).

Si esige una grande coerenza da parte di chi guida gli Istituti, le province (o altre circoscrizioni dell'Istituto), le comunità. La persona chiamata ad esercitare l'autorità deve sapere che potrà farlo solo se essa per prima intraprende quel pellegrinaggio che conduce a cercare con intensità e rettitudine la volontà di Dio. Vale per essa il consiglio che sant'Ignazio di Antiochia rivolgeva ad un suo confratello vescovo: « Nulla si faccia senza il tuo consenso, ma tu non fare nulla senza il consenso di Dio ».25 L'autorità deve agire in modo che i fratelli o le sorelle possano percepire che essa, quando comanda, lo fa unicamente per obbedire a Dio.

La venerazione per la volontà di Dio mantiene l'autorità in uno stato di umile ricerca, per far sì che il suo agire sia il più possibile conforme a quella santa volontà. Sant'Agostino ricorda che colui che obbedisce compie sempre la volontà di Dio, non perché il comando dell'autorità sia necessariamente conforme alla volontà divina, ma perché è volontà di Dio che si obbedisca a chi presiede.26 Ma l'autorità, per parte sua, deve ricercare assiduamente, con l'aiuto della preghiera, della riflessione e del consiglio altrui, ciò che veramente Dio vuole. In caso contrario il superiore o la superiora, invece di rappresentare Dio, rischiano di mettersi temerariamente al suo posto.

Nell'intento di fare la volontà di Dio, autorità e obbedienza non sono dunque due realtà distinte o addirittura contrapposte, ma due dimensioni della stessa realtà evangelica, dello stesso mistero cristiano, due modi complementari di partecipare alla stessa oblazione di Cristo. Autorità e obbedienza si trovano personificate in Gesù: per questo devono essere intese in relazione diretta con Lui e in configurazione reale a Lui. La vita consacrata intende semplicemente vivere la Sua Autorità e la Sua Obbedienza.

Alcune priorità nel servizio dell'autorità

13. a) Nella vita consacrata l'autorità è prima di tutto un'autorità spirituale.27 Essa sa di essere chiamata a servire un ideale che la supera immensamente, un ideale al quale è possibile avvicinarsi soltanto in un clima di preghiera e di umile ricerca, che permetta di cogliere l'azione dello stesso Spirito nel cuore d'ogni fratello o sorella. Un'autorità è “spirituale” quando si pone al servizio di ciò che lo Spirito vuole realizzare attraverso i doni che Egli distribuisce ad ogni membro della fraternità, dentro il progetto carismatico dell'Istituto.

Per essere in grado di promuovere la vita spirituale, l'autorità dovrà prima coltivarla in se stessa, attraverso una familiarità orante e quotidiana con la Parola di Dio, con la Regola e le altre norme di vita, in atteggiamento di disponibilità all'ascolto degli altri e dei segni dei tempi. « Il servizio d'autorità esige una presenza costante, capace di animare e di proporre, di ricordare le ragioni d'essere della vita consacrata, di aiutare le persone a corrispondere con una fedeltà sempre rinnovata alla chiamata dello Spirito ».28

b) L'autorità è chiamata a garantire alla sua comunità il tempo e la qualità della preghiera, vegliando sulla fedeltà quotidiana ad essa, nella consapevolezza che a Dio si va con i passi, piccoli ma costanti, di ogni giorno e d'ognuno, e che le persone consacrate possono essere utili agli altri nella misura in cui sono unite a Dio. Inoltre è chiamata a vigilare perché, a partire dalla sua persona, non venga meno il contatto quotidiano con la Parola che « ha il potere di edificare » (At 20,32) le singole persone e la comunità e di indicare le vie della missione. Memore del comando del Signore « fate questo in memoria di me » (Lc 22,19), procurerà che il santo mistero del Corpo e del sangue di Cristo sia celebrato e venerato come “fonte e culmine” 29 della comunione con Dio e tra i fratelli e le sorelle. Celebrando e adorando il dono dell'Eucaristia in fedele obbedienza al Signore, la comunità religiosa vi attinge ispirazione e forza per la sua dedizione totale a Dio, per essere segno del suo amore gratuito verso l'umanità e rimando efficace ai beni futuri.30

c) L'autorità è chiamata a promuovere la dignità della persona, prestando attenzione ad ogni membro della comunità e al suo cammino di crescita, facendo dono ad ognuno della propria stima e della propria considerazione positiva, nutrendo verso tutti sincero affetto, custodendo con riservatezza le confidenze ricevute.

È opportuno ricordare che prima di invocare l'obbedienza (necessaria) va praticata la carità (indispensabile). È bene, inoltre, fare un uso appropriato della parola comunione, che non può e non deve essere intesa come una sorta di delega dell'autorità alla comunità (con l'invito implicito a che ciascuno “faccia ciò che vuole”), ma neppure come una più o meno velata imposizione del proprio punto di vista (ciascuno “faccia ciò che io voglio”).

d) L'autorità è chiamata ad infondere coraggio e speranza nelle difficoltà. Come Paolo e Barnaba incoraggiavano i loro discepoli insegnando che « è necessario attraversare molte tribolazioni per entrare nel Regno di Dio » (At 14,22), così l'autorità deve aiutare ad accogliere le difficoltà del momento presente ricordando che esse fanno parte delle sofferenze di cui è spesso disseminata la strada che conduce al Regno.

Di fronte ad alcune situazioni difficili della vita consacrata, per esempio dove la sua presenza sembra indebolirsi e persino venir meno, chi guida la comunità ricorderà il perenne valore di questo genere di vita, perché, oggi come ieri e come sempre, nulla è più importante, bello e vero dello spendere la propria vita per il Signore e per i più piccoli dei suoi figli.

La guida comunitaria è come il buon pastore che dedica la sua vita per le pecore, anche perché nei momenti critici non si tira indietro, ma è presente, partecipa alle preoccupazioni e alle difficoltà delle persone affidate alle sue cure, lasciandosi coinvolgere in prima persona; e, come il buon samaritano, sarà pronta a curare le eventuali ferite. Riconosce inoltre umilmente i propri limiti e il bisogno dell'aiuto degli altri, sapendo far tesoro anche dei propri insuccessi e delle proprie sconfitte.

e) L'autorità è chiamata a tener vivo il carisma della propria famiglia religiosa. L'esercizio dell'autorità comporta anche il mettersi al servizio del carisma proprio dell'Istituto di appartenenza, custodendolo con cura e rendendolo attuale nella comunità locale o nella provincia o nell'intero Istituto, secondo i progetti e gli orientamenti offerti, in particolare, dai Capitoli generali (o riunioni analoghe).31 Ciò esige nell'autorità un'adeguata conoscenza del carisma dell'Istituto, assumendolo anzitutto nella propria esperienza personale, per poi interpretarlo in funzione della vita fraterna comunitaria e del suo inserimento nel contesto ecclesiale e sociale.

f) L'autorità è chiamata a tener vivo il “sentire cum Ecclesia”. Compito dell'autorità è anche di aiutare a mantenere vivo il senso della fede e della comunione ecclesiale, in mezzo ad un popolo che riconosce e loda le meraviglie di Dio, testimoniando la gioia di appartenere a Lui nella grande famiglia della Chiesa una, santa, cattolica e apostolica. La sequela del Signore non può essere impresa di navigatori solitari, ma è attuata nella comune barca di Pietro, che resiste nelle tempeste; e alla buona navigazione la persona consacrata darà il contributo di una fedeltà laboriosa e gioiosa.32 L'autorità dovrà dunque ricordare che « la nostra obbedienza è un credere con la Chiesa, un pensare e parlare con la Chiesa, un servire con essa. Rientra in questo sempre anche ciò che Gesù ha predetto a Pietro: “Sarai portato dove non volevi”. Questo farsi guidare dove non vogliamo è una dimensione essenziale del nostro servire, ed è proprio ciò che ci rende liberi ».33

Il sentire cum Ecclesia, che brilla nei fondatori e fondatrici, implica un'autentica spiritualità di comunione, cioè « un rapporto effettivo ed affettivo con i Pastori, prima di tutto con il Papa, centro dell'unità della Chiesa »:34 a lui ogni persona consacrata deve piena e fiduciosa obbedienza, anche in forza dello stesso voto.35 La comunione ecclesiale domanda, inoltre, un'adesione fedele al magistero del Papa e dei Vescovi, come testimonianza concreta dell'amore alla Chiesa e della passione per la sua unità.36

g) L'autorità è chiamata ad accompagnare il cammino di formazione permanente. Compito da considerare oggi sempre più importante, da parte dell'autorità, è quello di accompagnare lungo il cammino della vita le persone ad essa affidate. Questo compito essa adempie non solo offrendo il suo aiuto per risolvere eventuali problemi o superare possibili crisi, ma anche avendo attenzione alla crescita normale d'ognuno in ogni fase e stagione dell'esistenza, affinché sia garantita quella « giovinezza dello spirito che permane nel tempo »37 e che rende la persona consacrata sempre più conforme ai « sentimenti che furono in Cristo Gesù » (Fil 2,5).

Sarà dunque responsabilità dell'autorità tener alto in ognuno il livello della disponibilità formativa, della capacità di imparare dalla vita, della libertà di lasciarsi formare ciascuno dall'altro e di sentirsi ognuno responsabile del cammino di crescita dell'altro. Tutto ciò sarà favorito dall'utilizzo degli strumenti di crescita comunitaria trasmessi dalla tradizione e oggi sempre più raccomandati da chi ha sicura esperienza nel campo della formazione spirituale: condivisione della Parola, progetto personale e comunitario, discernimento comunitario, revisione di vita, correzione fraterna.38

Il servizio dell'autorità alla luce della normativa ecclesiale

14. Nei paragrafi precedenti è stato descritto il servizio dell'autorità nella vita consacrata in riferimento alla ricerca della volontà del Padre e ne sono state indicate alcune priorità.

Affinché tali priorità non siano intese come puramente facoltative, pare opportuno riprendere i caratteri peculiari dell'esercizio dell'autorità secondo il Codice di Diritto Canonico.39 In esso vengono tradotti in norme i tratti evangelici della potestà esercitata dai superiori religiosi ai vari livelli.

a) Obbedienza del superiore. Movendo dalla caratteristica natura di munus dell'autorità ecclesiale, il Codice ricorda al superiore religioso che egli è innanzitutto chiamato ad essere il primo obbediente. In forza dell'ufficio assunto, egli deve obbedienza alla legge di Dio, dal quale viene la sua autorità e al quale dovrà rendere conto in coscienza, alla legge della Chiesa e al Romano Pontefice, al diritto proprio dell'Istituto.

b) Spirito di servizio. Dopo aver riaffermato l'origine carismatica e la mediazione ecclesiale dell'autorità religiosa, si ribadisce che, come ogni autorità nella Chiesa, anche l'autorità del superiore religioso deve caratterizzarsi per lo spirito di servizio, sull'esempio di Cristo che « non è venuto per essere servito, ma per servire » (Mc 10,45).

In particolare, di tale spirito di servizio vengono indicati alcuni aspetti, la cui fedele osservanza farà sì che i superiori, nell'adempimento del proprio incarico, siano riconosciuti come « docili alla volontà di Dio ».40

Ogni superiore pertanto è chiamato a far rivivere visibilmente, fratello tra fratelli o sorella tra sorelle, l'amore con cui Dio ama i suoi figli, evitando, da un lato, ogni atteggiamento di dominio e, dall'altro, ogni forma di paternalismo o maternalismo.

Tutto ciò è reso possibile dalla fiducia nella responsabilità dei fratelli, « suscitando la loro volontaria obbedienza nel rispetto della persona umana »,41 e attraverso il dialogo, tenendo presente che l'adesione deve avvenire « in spirito di fede e di amore, per seguire Cristo obbediente » 42 e non per altre motivazioni.

c) Sollecitudine pastorale. Il Codice indica quale fine primario dell'esercizio della potestà religiosa quello di « costruire in Cristo una comunità fraterna nella quale si ricerchi Dio e lo si ami sopra ogni cosa ».43 Pertanto nella comunità religiosa l'autorità è essenzialmente pastorale, in quanto per sua natura è tutta in funzione della costruzione della vita fraterna in comunità, secondo l'identità ecclesiale propria della vita consacrata.44

I mezzi precipui che il superiore deve utilizzare per conseguire tale fine primario non possono che essere basati sulla fede: essi sono, in particolare, l'ascolto della Parola di Dio e la celebrazione della Liturgia.

Vengono infine segnalati alcuni ambiti di particolare sollecitudine da parte dei superiori nei confronti dei fratelli o delle sorelle: « provvedano in modo conveniente a quanto loro personalmente occorre; visitino gli ammalati procurando loro con sollecitudine le cure necessarie, riprendano gli irrequieti, confortino i timidi, siano pazienti con tutti ».45

In missione con la libertà dei figli di Dio

15. La missione si rivolge oggi, non raramente, a persone preoccupate della propria autonomia, gelose della propria libertà, timorose di perdere la propria indipendenza.

La persona consacrata, con la sua stessa esistenza, presenta la possibilità di una via diversa per la realizzazione della propria vita: una via dove Dio è la meta, la sua Parola è luce e la sua volontà è guida, dove si procede sereni perché certi d'essere sorretti dalle mani di un Padre accogliente e provvidente, dove si è accompagnati da fratelli e sorelle, sospinti dallo stesso Spirito, il quale vuole e sa come appagare i desideri seminati dal Padre nel cuore di ciascuno.

È questa la prima missione della persona consacrata: essa deve testimoniare la libertà dei figli di Dio, una libertà modellata su quella di Cristo, uomo libero di servire Dio e i fratelli; deve inoltre dire con il proprio essere che quel Dio che ha plasmato la creatura umana dal fango (cf. Gen 2,7.22) e l'ha intessuta nel seno di sua madre (cf. Sl 138,13), può plasmare la sua vita modellandola su quella di Cristo, uomo nuovo e perfettamente libero.
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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