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ATTENZIONE: mons. Pozzo sulla corretta recezione del Concilio Vaticano II

Ultimo Aggiornamento: 14/09/2011 11:51
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14/09/2011 00:20
 
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Aspetti della ecclesiologia cattolica nella recezione del Concilio Vaticano II - Conferenza tenuta da Mons. Guido Pozzo, Segretario della Ecclesia Dei

Testo della conferenza di Mons. Guido Pozzo, Segretario della Pontificia Commissione "Ecclesia Dei", fatta ai sacerdoti europei della Fraternità San Pietro il 2 luglio 2010 a Wigratzbad.

Non senza dover ricordare che Il Concilio nei suoi punti più ambigui nel linguaggio e nella novità di alcune proposte dottrinali non è mai stato esplicitato in modo esaustivo e definitivo così da poter aderirvi senza neppur dover ricorrere, per salvar capre e cavoli a quella divisione di gradi di consenso ricordati da Mons. Gherardini.

La S. Sede con molti anni di ritardo sembra cominci a prender atto delle distorsioni e dei disorientamenti perché ormai è ineludibile il fatto che i documenti del Vat. II - privo com'è volutamente sin dall'indizione della nota di infallibilità che si esprime soprattutto nei canoni che in esso mancano, dati i suoi presupposti più modesti - non abbiano tutti lo stesso valore. Uno stesso documento in una parte può ribadire dottrine sempre credute ed in quel caso è vincolante; nella pagina seguente può esporre argomentazioni teologiche o posizioni dottrinali non facilmente incanalabili nel magistero precedente, e allora restano sì magistero, ma puramente come indicazioni pastorali e queste posson esser messe in discussione. Ora lo si può fare con maggiore apertura e nell'intervista è evidente l'intenzione di affermare che ciascuna della notvità introdotte dal concilio è in continuità con l'equivalente dottrina pregressa. Ma il discorso di Pozzo non risolve quali siano i criteri di appartenenza alla Chiesa né la sua causa formale. E' la solita tiritera del Concilio male interpretato che vuole salvare una continuità solo proclamata e non dimostrata dogmaticamente.

E tuttavia è sotto gli occhi di tutti l'attentato alla continuità perpetrato attraverso le varie dottrine uscite dal concilio e sviluppate nel post-concilio: nuova ecclesiologia; collegialità; libertà religiosa; fusione delle fonti della Rivelazione; ecumenismo senza rete; sincretismo diffuso (Assisi nonché Rito insegnamenti e prassi neocatecumenali e neomoderniste); tendenze giudaizzanti; irenismo ingenuo e superficiale; affermazione del medesimo Dio adorato da cristiani, ebrei e islamici; modifica della “Dottrina della sostituzione” della Sinagoga con la Chiesa in “dottrina delle due salvezze parallele”; antroprocentrismo ed equivocità tra chiesa storica e chiesa metafisica; sostituzione del Rito: Novus Ordo Missae in luogo del Rito usus Antiquior, oggi riesumato ma purtroppo in subordine; per finire con la dottrina che tutte le genera e raccoglie, l’ameriana «dislocazione della divina Monotriade» con cui la libertà ruba il primato alla verità.


Premessa

Se si considera la Costituzione Dogmatica sulla Chiesa del Concilio Vaticano II, si rendono subito visibili la grandezza e l’ampiezza dell’approfondimento del mistero della Chiesa e del suo rinnovamento interiore, ad opera dei Padri conciliari. Se però si legge o si ascolta molto di ciò che è stato detto da certi teologi, alcuni famosi, altri che inseguono una teologia dilettantistica, o da una diffusa pubblicistica cattolica post conciliare, non si può non essere assaliti da una profonda tristezza e non si possono non nutrire serie preoccupazioni. È davvero difficile concepire un contrasto maggiore di quello esistente tra i documenti ufficiali del Concilio Vaticano II, del Magistero pontificio posteriore, degli interventi della Congregazione per la Dottrina della Fede da un parte, e, dall’altra parte, le tante idee o le affermazioni ambigue, discutibili e spesso contrarie alla retta dottrina cattolica, che si sono moltiplicate negli ambienti cattolici e in genere nell’opinione pubblica. Quando si parla del Concilio Vaticano II e della sua recezione, il punto chiave di riferimento ormai deve essere uno solo, quello che lo stesso Magistero pontificio ha formulato in modo chiarissimo e inequivocabile. Nel Discorso del 22 dicembre alla Curia Romana Papa Benedetto XVI si è così espresso: “Emerge la domanda: perché la recezione del Concilio, in grandi parti della Chiesa, finora si è svolta in modo così difficile ? Ebbene, tutto dipende dalla giusta interpretazione del Concilio – come diremmo oggi – dalla sua giusta ermeneutica, dalla giusta chiave di lettura e di applicazione. I problemi della recezione sono nati dal fatto che due ermeneutiche contrarie si sono trovate a confronto e hanno litigato tra loro. L’una ha causato confusione, l’altra, silenziosamente, ma sempre più visibilmente, ha portato e porta frutti. Da una parte esiste un’interpretazione che vorrei chiamare – aggiunge il Santo Padre –‘ermeneutica della discontinuità e della rottura’; essa non di rado si è potuta avvalere della simpatia dei mass-media, e anche di una parte della teologia moderna. Dall’altra parte c’è l’ ‘ermeneutica della riforma, del rinnovamento nella continuità dell’unico soggetto-Chiesa, che il Signore ci ha donato; è un soggetto che cresce e si sviluppa, rimanendo però sempre lo stesso, unico soggetto del popolo di Dio in cammino” (cf. Benedetto XVI, Insegnamenti, vol. I, 2005, Ed. Vaticana, Città del Vaticano 2006, pp. 1023 sg.).

Evidentemente, se il Santo Padre parla di due interpretazioni o chiavi di lettura divergenti, una della discontinuità o rottura con la Tradizione cattolica, e una del rinnovamento nella continuità, ciò significa che la questione cruciale o il punto veramente determinante all’origine del travaglio, del disorientamento e della confusione che hanno caratterizzato e ancora caratterizzano in parte i nostri tempi non è il Concilio Vaticano II come tale, non è l’insegnamento oggettivo contenuto nei suoi Documenti, ma è l’interpretazione di tale insegnamento.

In questa esposizione mi propongo di sviluppare brevemente due aspetti particolari, allo scopo di mettere in luce i punti fermi per una interpretazione corretta della dottrina conciliare, a confronto con le deviazioni e gli equivoci provocati dall’ermeneutica della discontinuità:

I. L’unità e l’unicità della Chiesa cattolica.

II. La Chiesa cattolica e le religioni in rapporto alla salvezza.


Nella conclusione infine vorrei fare alcune considerazioni sulle cause dell’ermeneutica della discontinuità con la Tradizione, mettendo in risalto soprattutto la forma mentis che ne sta alla base.

I. L’unità e l’unicità della Chiesa cattolica.


1. Contro l’opinione, sostenuta da numerosi teologi, che il Vaticano II abbia introdotto cambiamenti radicali riguardo la comprensione della Chiesa, si deve constatare anzitutto che il Concilio rimane sul terreno della Tradizione per ciò che concerne la dottrina sulla Chiesa. Ciò tuttavia non esclude che il Concilio abbia prodotto nuovi orientamenti ed esplicitato alcuni determinati aspetti. La novità rispetto alle dichiarazioni precedenti il Concilio è già nel fatto che il rapporto della Chiesa cattolica verso le chiese ortodosse e le comunità evangeliche nate dalla Riforma luterana è trattato come tema a se stante e in modo formalmente positivo, mentre nell’Enciclica Mortalium animos di Pio XI (1928), ad esempio, lo scopo era quello di delimitare e distinguere nettamente la Chiesa cattolica dalle confessioni cristiane non cattoliche.

2. E tuttavia, in primo luogo, il Vaticano II insiste sulla posizione di unità e unicità della vera Chiesa, riferendosi alla Chiesa cattolica esistente: “È questa l’unica Chiesa di Cristo che nel simbolo professiamo una, santa, cattolica e apostolica” (LG, 8). In secondo luogo, il Concilio risponde alla domanda su dove sia possibile trovare la vera Chiesa: “Questa Chiesa, costituita ed organizzata in questo mondo come società, sussiste nella Chiesa cattolica” (LG, 8). E per evitare ogni equivoco riguardo all’identificazione tra la vera Chiesa di Cristo e la Chiesa cattolica, si aggiunge che si tratta della Chiesa “governata dal Successore di Pietro e dai Vescovi in comunione con lui” (LG, 8). L’unica Chiesa di Cristo ha dunque nella Chiesa cattolica la sua realizzazione, la sua esistenza, la sua stabilità. Non c’è nessuna altra Chiesa di Cristo accanto alla Chiesa cattolica. Con ciò si afferma – almeno implicitamente - che la Chiesa di Gesù Cristo non è divisa in se stessa, neanche nella sua sostanza e che la sua unità indivisa non viene annullata dalle tante separazioni dei cristiani.

Tale dottrina sull’indivisibilità della Chiesa di Cristo, della sua identificazione sostanziale con la Chiesa cattolica, è ribadita nei Documenti della Congregazione per la Dottrina della Fede, Mysterium Ecclesiae (1973), Dominus Iesus, 16 e 17 (2000) e nei Responsa ad dubia su alcune questioni ecclesiologiche (2007).

L'espressione subsistit in di Lumen gentium 8 significa che la Chiesa di Cristo non si è smarrita nelle vicende della storia, ma continua ad esistere come un unico e indiviso soggetto nella Chiesa cattolica. La Chiesa di Cristo sussiste, si ritrova e si riconosce nella Chiesa cattolica. In questo senso, vi è piena continuità con la dottrina insegnata precedentemente dal Magistero (Leone XIII, Pio XI e Pio XII).

3. Con la formula “subsistit in” la dottrina del Concilio – conformemente alla Tradizione cattolica – voleva esattamente escludere qualsiasi forma di relativismo ecclesiologico. Nello stesso tempo la sostituzione del “subsistit in” con l’ “est” adoperato dall’Enciclica Mystici Corporis di Pio XII, intende affrontare il problema ecumenico in modo più diretto ed esplicito di quanto si era fatto in passato. Sebbene la Chiesa sia soltanto una e si trovi in un unico soggetto, esistono però al di fuori di questo soggetto elementi ecclesiali veri e reali, che, tuttavia, essendo propri della Chiesa cattolica, spingono all’unità cattolica.

Il merito del Concilio è d’una parte di aver espresso l’unicità, l’indivisibilità e la non moltiplicabilità della Chiesa cattolica, e d’altra parte aver riconosciuto che anche nelle confessioni cristiane non cattoliche esistono doni ed elementi che hanno carattere ecclesiale, che giustificano e spingono ad operare per la restaurazione dell’unità di tutti i discepoli di Cristo. La pretesa di essere l’unica Chiesa di Cristo non può essere infatti interpretata al punto da non riconoscere la differenza essenziale tra i fedeli cristiani non cattolici e i non battezzati. Non è possibile infatti mettere sullo stesso piano quanto all’appartenenza alla Chiesa i cristiani non cattolici e coloro che non hanno ricevuto il battesimo. Il rapporto con la Chiesa cattolica da parte delle Chiese e Comunità ecclesiali cristiane non cattoliche non è tra il nulla e il tutto, ma è tra la parzialità della comunione e la pienezza della comunione.

4. Nel paradosso, per così dire, della differenza tra unicità della Chiesa cattolica ed esistenza di elementi realmente ecclesiali al di fuori di questo unico soggetto, si riflette la contradditorietà della divisione e del peccato. Ma tale divisione è qualcosa di totalmente diverso da quella visione relativistica che considera la divisione fra i cristiani non come una frattura dolorosa, ma come la manifestazione delle molteplici variazioni dottrinali di uno stesso tema, nel quale tutte le variazioni o divergenze sarebbero in qualche modo giustificate e dovrebbero fra loro riconoscersi e accettarsi come differenze o divergenze. L’idea che ne deriva è che l’ecumenismo dovrebbe consistere nel reciproco e rispettoso riconoscimento delle diversità, e il cristianesimo sarebbe alla fine l’insieme dei frammenti della realtà cristiana. Tale interpretazione del pensiero conciliare è espressione per l’appunto di quella discontinuità o rottura con la Tradizione cattolica e rappresenta una profonda falsificazione del Concilio.

5. Per recuperare una autentica interpretazione del Concilio nella linea di un’evoluzione nella continuità sostanziale con la dottrina tradizionale della Chiesa, occorre sottolineare che gli elementi di «santificazione e di verità» che le altre Chiese e Comunità cristiane hanno in comune con la Chiesa cattolica, costituiscono insieme la base per la reciproca comunione ecclesiale e il fondamento che le caratterizza in modo vero, autentico e reale. Sarebbe però necessario aggiungere, per completezza, che quanto esse hanno di proprio, non condiviso dalla Chiesa cattolica e che separa da essa queste comunità, le connota come non-Chiesa. Esse quindi sono «strumento di salvezza» (UR 3) per quella parte che hanno in comune con la Chiesa cattolica e i loro fedeli seguendo questa parte comune possono raggiungere la salvezza; per quella parte invece che è estranea o opposta alla Chiesa cattolica, esse non sono strumenti di salvezza (salvo che si tratti di coscienza invincibilmente erronea; in tal caso il loro errore non è imputabile, sebbene si debba qualificare la coscienza comunque come erronea) [cf. ad es. il fatto delle ordinazioni di donne al sacerdozio e all’episcopato, o l’ordinazioni di persone omosessuali in certe comunità anglicane o vetero-cattoliche].

6. Il Vaticano II insegna che tutti i battezzati in quanto tali sono incorporati a Cristo (UR 3), ma nello stesso tempo dichiara che si può parlare soltanto di una aliqua communio, etsi non perfecta, tra i credenti in Cristo e battezzati non cattolici da una parte e la Chiesa cattolica dall'altra (UR 3).

Il battesimo costituisce il vincolo sacramentale dell'unità dei credenti in Cristo. Tuttavia esso di per sé è soltanto l'inizio e l'esordio, per così dire, perché il battesimo tende intrinsecamente all'acquisto della intera vita in Cristo. Pertanto il battesimo è ordinato all'integra professione di fede, all'integrale comunione nell'istituzione della salvezza voluta da Cristo, che è la Chiesa, e infine all'integrale inserzione nella comunione eucaristica (UR 22). È evidente quindi che l’appartenenza ecclesiale non si può mantenere piena, se la vita battesimale ha poi un seguito sacramentale e dottrinale oggettivamente difettoso e alterato. Una Chiesa è pienamente identificabile soltanto laddove si trovano riuniti gli elementi «sacri» necessari e irrinunciabili che la costituiscono come Chiesa: la successione apostolica (che implica la comunione con il Successore di Pietro), i sacramenti, la sacra Scrittura. Quando qualcuno di questi elementi manca o è difettosamente presente, la realtà ecclesiale risulta alterata in proporzione della manchevolezza riscontrata. In particolare, il termine «Chiesa» può essere legittimamente riferito alle Chiese orientali separate, mentre non lo può essere alle Comunità nate dalla Riforma, poiché in queste ultime l'assenza della successione apostolica, la perdita della maggior parte dei sacramenti, e specialmente dell'eucaristia, feriscono e indeboliscono una parte sostanziale della loro ecclesialità (cf. Dominus Iesus, 16 e 17).

7. La Chiesa cattolica ha in sé tutta la verità, poiché è il Corpo e la Sposa di Cristo. Tuttavia non la comprende tutta pienamente. Perciò ha bisogno di essere guidata dallo Spirito «alla verità tutta intera» (Gv 16,13). Altro è l'essere, altra la conoscenza piena dell'essere. Perciò la ricerca e la conoscenza progredisce e si sviluppa. Anche i membri della Chiesa cattolica non sempre vivono all'altezza della sua verità e dignità. Perciò la Chiesa cattolica può crescere nella comprensione della verità, nel senso di appropriarsi consapevolmente e riflessamente di ciò che ontologicamente ed esistenzialmente essa è già. In questo contesto si capisce l'utilità e la necessità del dialogo ecumenico, per recuperare ciò che eventualmente sia stato emarginato o trascurato in determinate epoche storiche e integrare nella sintesi dell'esistenza cristiana nozioni in parte dimenticate. Il dialogo con i non cattolici non è mai sterile né formale, nel presupposto però che la Chiesa è consapevole di avere nel suo Signore la pienezza della verità e dei mezzi salvifici.

Le suddette puntualizzazioni dottrinali consentono di sviluppare una teologia in piena continuità con la Tradizione e nello stesso tempo in linea con l’orientamento e l’approfondimento voluto dal Concilio Vaticano II e dal Magistero successivo fino ad oggi.



Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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