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ATTENZIONE: mons. Pozzo sulla corretta recezione del Concilio Vaticano II

Ultimo Aggiornamento: 14/09/2011 11:51
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14/09/2011 00:26
 
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Conclusione

Che cosa sta all’origine dell’interpretazione della discontinuità o della rottura con la Tradizione ?

Sta ciò che possiamo chiamare l’ideologia conciliare, o più esattamente para-conciliare, che si è impadronita del Concilio fin dal principio, sovrapponendosi a esso. Con questa espressione, non si intende qualcosa che riguarda i testi del Concilio, né tanto meno l’intenzione dei soggetti, ma il quadro di interpretazione globale in cui il Concilio fu collocato e che agì come una specie di condizionamento interiore nella lettura successiva dei fatti e dei documenti. Il Concilio non è affatto l’ideologia paraconciliare, ma nella storia della vicenda ecclesiale e dei mezzi di comunicazione di massa ha operato in larga parte la mistificazione del Concilio, cioè appunto l’ideologia paraconciliare. Perché tutte le conseguenze dell’ideologia paraconciliare venissero manifestate come evento storico, si dovette verificare la rivoluzione del ’68, che assume come principio la rottura con il passato e il mutamento radicale della storia. Nell’ideologia paraconciliare il ’68 significa una nuova figura di Chiesa in rottura con il passato, anche se le radici di questa rottura erano già da qualche tempo presenti in certi ambienti cattolici.
Tale quadro di interpretazione globale, che si sovrappone in modo estrinseco al Concilio, si può caratterizzare principalmente da questi tre fattori:

1) Il primo fattore è la rinuncia all’anathema, cioè alla netta contrapposizione tra ortodossia ed eresia.


In nome della cosiddetta “pastoralità” del Concilio, si fa passare l’idea che la Chiesa rinuncia alla condanna dell’errore, alla definizione dell’ortodossia in contrapposizione all’eresia. Si contrappone la condanna degli errori e l’anatema pronunciato dalla Chiesa in passato su tutto ciò che è incompatibile con la verità cristiana al carattere pastorale dell’insegnamento del Concilio, che ormai non intenderebbe più condannare o censurare, ma soltanto esortare, illustrare o testimoniare.

In realtà non c’è nessuna contraddizione tra la ferma condanna e confutazione degli errori in campo dottrinale e morale e l’atteggiamento di amore verso chi cade nell’errore e di rispetto della sua dignità personale. Anzi, proprio perché il cristiano ha un grande rispetto per la persona umana, si impegna oltre ogni limite per liberarla dall’errore e dalle false interpretazioni della realtà religiosa e morale.

L’adesione alla persona di Gesù Figlio di Dio, alla sua Parola e al suo mistero di salvezza, esige una risposta di fede semplice e chiara, quale è quella che si trova nei simboli della fede e nella regula fidei. La proclamazione della verità della fede implica sempre anche la confutazione dell’errore e la censura delle posizioni ambigue e pericolose che diffondono incertezza e confusione nei fedeli.

Sarebbe quindi sbagliato e infondato ritenere che dopo il Concilio Vaticano II il pronunciamento dogmatico e censorio del Magistero debba essere abbandonato o escluso, così come sarebbe altrettanto sbagliato ritenere che l’indole espositiva e pastorale dei Documenti del Concilio Vaticano II non implichi anche una dottrina che esige il livello di assenso da parte dei fedeli secondo il diverso grado di autorità delle dottrine proposte.

2) Il secondo fattore è la traduzione del pensiero cattolico nelle categorie della modernità.

L’apertura della Chiesa alle istanze e alle esigenze poste dalla modernità (vedi Gaudium et Spes) viene interpretata dall’ideologia para-conciliare come necessità di una conciliazione tra Cristianesimo e pensiero filosofico e ideologico culturale moderno. Si tratta di un’operazione teologica e intellettuale che ripropone nella sostanza l’idea del modernismo, condannato all’inizio del Novecento da S. Pio X.

La teologia neo-modernistica e secolaristica ha cercato l’incontro con il mondo moderno proprio alla vigilia della dissoluzione del “moderno”. Con il crollo del cosiddetto “socialismo reale” nel 1989 sono crollati quei miti della modernità e della irreversibilità dell’emancipazione della storia che rappresentavano i postulati del sociologismo e del secolarismo. Al paradigma della modernità succede infatti oggi quello post-moderno del “caos” o della “complessità pluralistica”, il cui fondamento è il relativismo radicale. Nell’Omelia dell’allora Cardinale Joseph Ratzinger, prima di essere eletto Papa, in occasione della celebrazione liturgica “Pro eligendo pontifice”(18/04/2005), viene focalizzato il centro della questione: “Quanti venti di dottrina abbiamo conosciuto in questi ultimi decenni, quante correnti ideologiche, quante mode del pensiero…La piccola barca del pensiero di molti cristiani è stata non di rado agitata da queste onde, gettata da un estremo all’altro: dal marxismo al liberalismo, fino al libertinismo; dal collettivismo all’individualismo radicale; dall’ateismo ad un vago misticismo religioso; dall’agnosticismo al sincretismo e così via…Avere una fede chiara, secondo il Credo della Chiesa, viene spesso etichettato come fondamentalismo. Mentre il relativismo, cioè il lasciarsi portare “qua e là da qualsiasi vento di dottrina”, appare come l’unico atteggiamento all’altezza dei tempi odierni. Si va costituendo una dittatura del relativismo che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie”.

Di fronte a questo processo occorre innanzitutto recuperare il senso metafisico della realtà (cf. Enciclica Fides et ratio di Papa Giovanni Paolo II) ed una visione dell’uomo e della società fondata su valori assoluti, metastorici e permanenti. Questa visione metafisica non può prescindere da una riflessione sul ruolo nella storia della Grazia, cioè del Soprannaturale, di cui la Chiesa, Corpo Mistico di Cristo, è depositaria. La riconquista del senso metafisico con il lumen rationis deve essere parallela a quella del senso soprannaturale con il lumen fidei.

Al contrario, l’ideologia para-conciliare ritiene che il messaggio cristiano deve essere secolarizzato e reinterpretato secondo le categorie della cultura moderna extra e anti ecclesiale, compromettendone l’integrità, magari col pretesto di un “opportuno adattamento” ai tempi. Il risultato è la secolarizzazione della religione e la mondanizzazione della fede.

Uno degli strumenti per mondanizzare la Religione è costituito dalla pretesa di modernizzarla adeguandola allo spirito moderno. Questa pretesa ha condotto il mondo cattolico ad impegnarsi in un “aggiornamento”, che costituiva in realtà in una progressiva e a volte inconsapevole omologazione della mentalità ecclesiale con il soggettivismo e il relativismo imperanti. Questo cedimento ha portato ad un disorientamento nei fedeli privandoli della certezza della fede e della speranza nella vita eterna, come fine prioritario dell'esistenza umana.

3) Il terzo fattore è l’interpretazione dell’aggiornamento voluto dal Concilio Vaticano II.

Con il termine “aggiornamento”, Papa Giovanni XXIII volle indicare il compito prioritario del Concilio Vaticano II. Questo termine nel pensiero del Papa e del Concilio non esprimeva però ciò che invece è accaduto in suo nome nella recezione ideologica del dopo-Concilio. “Aggiornamento” nel significato papale e conciliare voleva esprimere la intenzione pastorale della Chiesa di trovare i modi più adeguati e opportuni per condurre la coscienza civile del mondo attuale a riconoscere la verità perenne del messaggio salvifico di Cristo e della dottrina della Chiesa. Amore per la verità e zelo missionario per la salvezza degli uomini sono alla base i principi dell’azione di “aggiornamento” voluto e pensato dal Concilio Vaticano II e dal Magistero pontificio successivo.

Invece dall’ideologia para-conciliare, diffusa soprattutto dai gruppi intellettualistici cattolici neomodernisti e dai centri massmediatici del potere mondano secolaristico, il termine “aggiornamento” venne inteso e proposto come il rovesciamento della Chiesa di fronte al mondo moderno: dall’antagonismo alla recettività. La Modernità ideologica – che certamente non deve essere confusa con la legittima e positiva autonomia della scienza, della politica, delle arti, del progresso tecnico – si è posta come principio il rifiuto del Dio della Rivelazione cristiana e della Grazia. Essa non è quindi neutrale di fronte alla fede. Ciò che fece pensare ad una conciliazione della Chiesa con il mondo moderno portò così paradossalmente a dimenticare che lo spirito anticristiano del mondo continua ad operare nella storia e nella cultura. La situazione postconciliare venne così descritta già da Paolo VI nel 1972:

“Da qualche fessura è entrato il fumo di Satana nel tempio di Dio: c’è il dubbio, l’incertezza, la problematica, l’inquietudine. E’ entrato il dubbio nelle nostre coscienze ed è entrato per finestre che invece dovevano essere aperte alla luce. Anche nella Chiesa regna questo stato di incertezza. Si credeva che dopo il Concilio sarebbe venuta una giornata di sole per la storia della Chiesa. E’ venuta invece una giornata di nuvole, di tempeste, di buio, di ricerca, di incertezza. Come è avvenuto questo? Vi confidiamo un nostro pensiero: c’è stato l’intervento di un potere avverso: il suo nome è il diavolo, questo misterioso essere a cui si fa allusione anche nella lettera di san Pietro” (Paolo VI, Insegnamenti, Ed. Vaticana,vol. X, 1972, p. 707).

Purtroppo gli effetti di quanto individuato da Paolo VI non sono scomparsi. Un pensiero estraneo è entrato nel mondo cattolico, gettando scompiglio, seducendo molti animi e disorientando i fedeli. Vi è uno “spirito di autodemolizione” che pervade il modernismo, che si è impadronito, tra l’altro, di gran parte della pubblicistica cattolica. Questo pensiero estraneo alla dottrina cattolica si può constatare ad esempio sotto due aspetti.

Un primo aspetto è la visione sociologica della fede, cioè un’interpretazione che assume il sociale come chiave di valutazione della religione, e che ha comportato una falsificazione del concetto di chiesa secondo un modello democratico. Se si osservano le discussioni attuali sulla disciplina, sul diritto, sul modo di celebrare la liturgia, non si può evitare di registrare che questa falsa comprensione della Chiesa è diventata diffusa tra i laici e teologi secondo lo slogan: Noi siamo il popolo, noi siamo Chiesa (Kirche von unten). Il Concilio in realtà non offre alcun fondamento a questa interpretazione, poiché l’immagine del popolo di Dio riferita alla Chiesa è sempre legata alla concezione della chiesa come Mistero, come comunità sacramentale del corpo di Cristo, composto da un popolo che ha un capo e da un organismo sacramentale composto da membra gerarchicamente ordinate. La Chiesa non può quindi diventare una democrazia, in cui il potere e la sovranità derivano dal popolo, poiché la Chiesa è una realtà che proviene da Dio ed è fondata da Gesù Cristo. Essa è intermediaria della vita divina, della salvezza e della verità, e dipende dalla sovranità di Dio, che una sovranità di grazia e di amore. La Chiesa è allo stesso tempo dono di grazia e struttura istituzionale, perché così ha voluto il suo Fondatore: chiamando gli Apostoli, “Gesù ne istituì dodici” (Mc 3,13).

Un secondo aspetto, su cui attiro la vostra attenzione, è l’ideologia del dialogo. Secondo il Concilio e la Lettera Enciclica di Paolo VI Ecclesiam suam, il dialogo è un importante e irrinunciabile mezzo per il colloquio della Chiesa con gli uomini del proprio tempo. Ma l’ideologia paraconciliare trasforma il dialogo da strumento a scopo e fine primario dell’azione pastorale della Chiesa, svuotando sempre più di senso e oscurando l’urgenza e l’appello alla conversione a Cristo e all’appartenenza alla Sua Chiesa.

Contro tali deviazioni, occorre ritrovare e recuperare il fondamento spirituale e culturale della civiltà cristiana, cioè la fede in Dio, trascendente e creatore, provvidente e giudice, il cui Figlio Unigenito si è incarnato, è morto e risuscitato per la redenzione del mondo e ha effuso la grazia dello Spirito Santo per la remissione dei peccati e per rendere gli uomini partecipi della natura divina. La Chiesa, Corpo di Cristo, istituzione divino-umana, è il sacramento universale della salvezza e l’unità degli uomini, di cui essa è segno e strumento, è nel senso di unire gli uomini a Cristo mediante il suo Corpo, che è la Chiesa.

L’unità di tutto il genere umano, di cui parla LG, 1, non deve essere intesa quindi nel senso di raggiungere la concordia o la riunificazione delle varie idee o religioni o valori in un “regno comune o convergente”, ma essa si ottiene riconducendo tutti all’unica Verità, di cui la Chiesa cattolica è depositaria per affidamento di Dio stesso. Nessuna armonizzazione delle dottrine “varie e peregrine”, ma annuncio integro del patrimonio della verità cristiana, nel rispetto della libertà di coscienza, e valorizzando i raggi di verità sparsi nell’universo delle tradizioni culturali e delle religioni del mondo, opponendosi nello stesso tempo alle visioni che non coincidono e non sono compatibili con la Verità, che è Dio rivelato in Cristo.

Concludo ritornando alle categorie interpretative suggerite da Papa Benedetto nel Discorso alla Curia Romana, citato all’inizio. Esse non fanno riferimento al consueto e obsoleto schema ternario: conservatori, progressisti, moderati, ma si appoggiano su un binario squisitamente teologico: due ermeneutiche, quella della rottura e quella della riforma nella continuità. Occorre imboccare quest’ultimo indirizzo nell’affrontare i punti controversi, liberando, per così dire, il Concilio dal para-concilio che si è mescolato ad esso, e conservando il principio dell’integrità della dottrina cattolica e della piena fedeltà al deposito della fede trasmesso dalla Tradizione e interpretato dal Magistero della Chiesa.

Articolo consigliato da Unavox

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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