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DALLE PREDICHE DI SAN GREGORIO MAGNO PAPA (A.D.535/540)

Ultimo Aggiornamento: 17/03/2016 19:11
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[SM=g1740733] Omelia XV di san Gregorio Magno, tenuta al popolo nella Basilica di san Paolo Apostolo nella Domenica di Sessagesima, sul Vangelo di san Luca capitolo 8, 4-15

[4] Poiché una gran folla si radunava e accorreva a lui gente da ogni città, disse con una parabola:
[5] "Il seminatore uscì a seminare la sua semente. Mentre seminava, parte cadde lungo la strada e fu calpestata, e gli uccelli del cielo la divorarono.
[6] Un'altra parte cadde sulla pietra e appena germogliata inaridì per mancanza di umidità.
[7] Un'altra cadde in mezzo alle spine e le spine, cresciute insieme con essa, la soffocarono.
[8] Un'altra cadde sulla terra buona, germogliò e fruttò cento volte tanto". Detto questo, esclamò: "Chi ha orecchi per intendere, intenda!".
[9] I suoi discepoli lo interrogarono sul significato della parabola.
[10] Ed egli disse: "A voi è dato conoscere i misteri del regno di Dio, ma agli altri solo in parabole, perchè
vedendo non vedano
e udendo non intendano.
[11] Il significato della parabola è questo: Il seme è la parola di Dio.
[12] I semi caduti lungo la strada sono coloro che l'hanno ascoltata, ma poi viene il diavolo e porta via la parola dai loro cuori, perché non credano e così siano salvati.
[13] Quelli sulla pietra sono coloro che, quando ascoltano, accolgono con gioia la parola, ma non hanno radice; credono per un certo tempo, ma nell'ora della tentazione vengono meno.
[14] Il seme caduto in mezzo alle spine sono coloro che, dopo aver ascoltato, strada facendo si lasciano sopraffare dalle preoccupazioni, dalla ricchezza e dai piaceri della vita e non giungono a maturazione.
[15] Il seme caduto sulla terra buona sono coloro che, dopo aver ascoltato la parola con cuore buono e perfetto, la custodiscono e producono frutto con la loro perseveranza.

**********************

(In illo tempore.....)
4 Cum autem turba plurima conveniret, et de singulis civitatibus properarent ad eum, dixit per similitudinem:
5 “ Exiit, qui seminat, seminare semen suum. Et dum seminat ipse, aliud cecidit secus viam et conculcatum est, et volucres caeli comederunt illud.
6 Et aliud cecidit super petram et natum aruit, quia non habebat umorem.
7 Et aliud cecidit inter spinas, et simul exortae spinae suffocaverunt illud.
8 Et aliud cecidit in terram bonam et ortum fecit fructum centuplum ”. Haec dicens clamabat: “ Qui habet aures audiendi, audiat ”.
9 Interrogabant autem eum discipuli eius, quae esset haec parabola.
10 Quibus ipse dixit: “ Vobis datum est nosse mysteria regni Dei, ceteris autem in parabolis, ut videntes non videant et audientes non intellegant.
11 Est autem haec parabola: Semen est verbum Dei.
12 Qui autem secus viam, sunt qui audiunt; deinde venit Diabolus et tollit verbum de corde eorum, ne credentes salvi fiant.
13 Qui autem supra petram: qui cum audierint, cum gaudio suscipiunt verbum; et hi radices non habent, qui ad tempus credunt, et in tempore tentationis recedunt.
14 Quod autem in spinis cecidit: hi sunt, qui audierunt et a sollicitudinibus et divitiis et voluptatibus vitae euntes suffocantur et non referunt fructum.
15 Quod autem in bonam terram: hi sunt, qui in corde bono et optimo audientes verbum retinent et fructum afferunt in patientia.

Omelia XV di san Gregorio Magno, tenuta al popolo nella Basilica di san Paolo Apostolo nella Domenica di Sessagesima, sul Vangelo di san Luca capitolo 8, 4-15

1. La lezione del santo Vangelo, della quale or ora, o fratelli carissimi, avete udito la lettura, non ha bisogno di spiegazione bensì di raccomandazione.
L'umana fragilità non deve presumere di ancora spiegare ciò che è già stato spiegato dalla Verità stessa.
Ma non mancano le cose, nella stessa spiegazione fatta dal Signore, su cui voi dovete riflettere seriamente; perchè se noi vi avessimo detto che il seme significa la parola, il campo, il mondo, gli uccelli, i demoni, le spine, le ricchezze, forse voi avreste stentato a crederci. Per questo, lo stesso Signore si è degnato di spiegare personalmente quanto diceva, affinchè impariate a cercare il significato anche di quelle cose che non ha voluto Lui stesso spiegare.
Dandoci la spiegazione di ciò che Egli aveva parlato, volle pure farci comprendere che Egli aveva parlato in figura, per rendervi certi anche di ciò che la fragilità nostra vi avrebbe detto spiegandovi il senso del Suo linguaggio figurato. Chi mai avrebbe creduto se io avessi voluto vedere nelle spine raffigurate le ricchezze? tanto più che le spine pungono, mentre le ricchezze dilettano!
Eppure le ricchezze sono spine perchè lacerano la mente con le punture dei pensieri che portano seco, e quasi insanguinano, con la ferita inferta, quando trascinano fino al peccato.
E assai bene, come attesta un altro Evangelista riferendo questa stessa parabola, il Signore non solo le chiama semplicemente ricchezze, ma ricchezze "fallaci" (Matteo 13,22). E tali sono infatti: fallaci, perchè non possono rimanere a lungo in nostro possesso; fallaci, perchè non tolgono la povertà della nostra mente. Sono invece vere ricchezze quelle sole che ci fanno ricchi di virtù.
Se dunque, o fratelli carissimi, bramate di essere ricchi, amate le ricchezze vere. Se cercate l'eccellenza del vero onore, tendete al regno celeste. Se amate la gloria delle dignità, affrettatevi per essere ascritti in quella suprema curia degli Angeli.

2. Ritenete nella mente le parole del Signore che udite colle vostre orecchie.
Cibo della mente è infatti la divina parola. Come il cibo ricevuto viene rigettato da uno stomaco debole e malato, così avviene della parola udita, se non è ritenuta nel ventre della memoria, se non viene ritenuta da una mente esercitata alla meditazione.
Ma se uno non può ritenere gli alimenti è certamente in grave pericolo di morire. Temete perciò il pericolo di una morte eterna, se dopo aver ricevuto il cibo della santa esortazione non tenete nella memoria le parole di vita, ossia il nutrimento della giustizia.
Ecco che tutto quello che fate passa, e volenti o nolenti, ogni giorno vi avvicinate, senza mai un momento di sosta, all'eterno giudizio.
Perchè dunque amare ciò che si deve abbandonare? Perchè trascurare quello a cui si deve arrivare? Tenete presente l'ammonimento: Chi ha orecchi da intendere intenda - Qui habet aures audiendi, audiat - e senza dubbio, tutti quelli che erano presenti avevano le orecchie corporali, e di certo udirono, ma se a quelli che pur avendo le orecchie corporali, il Signore ammonisce a ben intendere, è segno evidente che Egli intendeva parlare delle orecchie del cuore e della mente, le orecchie dell'anima, non quelle corporali.
Badate dunque che la Parola ricevuta permanga nelle orecchie del cuore, della mente e dell'anima; badate che il seme non cada lungo la strada affinchè non giunga il maligno e vi tolga dal cuore e dalla mente questa Parola di vita; badate che il seme non cada in terreno pietroso, e faccia frutto di opere che seppur buone sono prive delle radici della perseveranza e della conversione.
A molti piace il Bene che viene loro proposto, propongono buoni propositi, si adoperano ad iniziare opere buone, ma appena cominciano ad incontrare le contrarietà, appena gli si dice loro ciò che è giusto o quel che è sbagliato delle loro intenzioni, con superbia abbandonano l'opera iniziata, oppure pretendono di mandarla avanti senza correzione alcuna. Ma fu per mancanza di umore che la terra pietrosa non permise a ciò che era germogliato di giungere al frutto della maturazione.
Molti, o fratelli carissimi, udendo predicare contro l'avarizia, destano tosto la medesima avarizia, e lodano il disprezzo di ogni ricchezza, ma appena vedono qualche cosa che il loro animo brama, subito dimenticano ciò che lodavano, e per soddisfare i propri interessi cedono anch'essi ad ogni genere di avarizia.
Molti, quando sentono parlare contro il male della lussuria, non soltanto non desiderano le soddisfazioni impure della carne, ma arrossiscono anche di quelle che si sono vissute in passato, ma appena appare loro una bellezza corporale, la mente loro non esercitata a conservare la divina Parola di vita, resta imbrigliata dal desiderio, e, come se essa non avesse proposto di astenersi da tali desideri, compie quel male che avrebbe dovuto deplorare e che forse aveva deplorato in altri.
Spesso sentiamo compunizione delle colpe commesse, e tuttavia dopo averle piante, ricadiamo di nuovo nelle stesse colpe. Così Balaam, contemplando gli attendamenti del popolo d'Israele, pianse, e chiese di essere simile a loro nella morte, dicendo: Che io muoia della morte dei giusti, e il mio fine sia simile al loro (Numeri 23,10) Moriatur anima mea morte iustorum, et fiant novissima mea horum similia; ma appena passata l'ora della compunizione, arse di nuovo nella nequizia dell'avarizia e della superbia. Infatti, per i doni che gli furono promessi, diede consiglio di morte contro quel popolo, alla cui morte aveva desiderato di essere fatto partecipe, e dimenticò ciò che aveva sentito e pianto, perchè non volle estinguere il fuoco alimentato dall'avarizia.

3. Si deve pure rilevare che il Signore nostro Gesù Cristo + dice, nella sua spiegazione, che le sollecitudini, le voluttà e le ricchezze, in definitiva tutto ciò che è destinato a rimanere sulla terra, soffocano la Parola la quale è data per l'altra Vita. La soffocano infatti, perchè con i loro pensieri importuni strangolano la gola della mente, e, non lasciando penetrare fino al cuore il buon desiderio, chiudono questo passaggio al soffio vitale.
Si noti pure come siano due le cose che il Signore aggiunge alle ricchezze, cioè la sollecitudine e le voluttà.
Infatti le ricchezze, per la cura che richiedono, opprimono la mente, e, con la loro abbondanza senza mai bastevole, la effeminano. Può sembrare una contraddizione poichè le ricchezze sono anche un dono di Dio, ma l'avidità per le ricchezze rendono coloro che si affliggono per averle, afflitti e viziosi. Ma poichè il diletto non si può accordare con l'afflizione alla quale siamo chiamati per esercitare le virtù, esse ora affliggono con la preoccupazione del possederle, aumentarne la quantità e per custodirle contro i ladri, ed ora allettano il piacere con la loro abbondanza.

4. Il buon terreno, perciò, rende frutto mediante la pazienza, la virtù delle rinuncie, perchè naturalmente le opere veramente buone che facciamo non producono nulla se noi per primi non tolleriamo con infinita pazienza i mali del prossimo, gli scherni, la povertà, i sacrifici. Quanto più uno sarà salito in alto nella perfezione, tanto più troverà, in questo mondo, più duramente da patire, perchè la nostra mente, che istruita mantiene il seme della Parola, rifugge ogni concetto di piacere che proviene dal secolo presente, cresce contro di essa l'avversità del medesimo secolo con tutte le sue voglie.
Di qui ne consegue che noi vediamo molti che fanno il vero bene, e che tuttavia, apparendoci come una contraddizione, gemono sotto il peso di pesante fardello di tribolazioni. Essi fuggono bensì i terreni desideri, ma sono ugualmente colpiti da più duri flagelli. Tuttavia costoro, secondo la promessa del Signore, renderanno frutto mediante la pazienza e la perseveranza, perchè accogliendo con umiltà i flagelli, e dando testimonianza di fiducia e di fede nella Parola del Signore, verranno ricevuti, dopo le dure prove, nella gloria dei Santi. Non vi è dunque contraddizione nel fare bene e subire i flagelli, perchè come l'uva che si pesta coi piedi si trasforma in vino saporito che delizia; così come l'oliva che si deve spremere nel frantoio, liberandosi dalla sua morchia e si cambia nel profumato olio; così come per la trebbiatura sull'aia, il grano viene separato dalla paglia e giunge pulito al granaio; così, o fratelli carissimi, deve essere passata l'anima.
Chiunque pertanto desidera vincere pienamente la sua battaglia contro le tenebre, contro i propri vizi, si studi di sopportare con piena e vera umiltà i flagelli che lo dovranno purificare: tanto più mondo si presenterà per il suo giudizio, quanto più ora purgherà la sua ruggine ed ogni imperfezione nel fuoco delle tribolazioni.

5. Sotto quel porticato ove passano coloro che entrano nella Chiesa di san Clemente, vi stava un certo Servolo, che molti di voi, come me, conobbero: povero di sostanze, ma ricco di meriti, e che fu consumato da una lunga e dolorosa infermità. Dai suoi primi anni, difatti, fino alla fine della sua vita, giacque paralitico. C'è bisogno che vi dica che non poteva stare in piedi, dato che non gliela faceva neppure di alzarsi per sedersi sul lettuccio? Mai potè portare la sua mano alla bocca, perchè la sua infermità era in tutto il corpo, non poteva neppure girarsi di un lato, ma il Signore gli aveva concesso la mente lucida e la parola. Se ne prendevano cura la coraggiosa madre e il fratello; e quanto riceveva in elemosina per sovvenire alle sue necessità, egli predisponeva che ciò fosse dato a quei poveri più poveri di lui, che non avevano neppure una madre e un fratello che li potesse accudire come era amorevolmente accudito lui. Non aveva mai imparato a leggere, e certamente non avrebbe mai potuto scrivere, ma si era fatto regalare i libri della Sacra Scrittura e, quando riceveva in ospitalità dei religiosi, se li faceva leggere senza tregua, non amava parlare di altro, non voleva sentirsi compiangere per il suo stato, voleva ascoltare invece la Parola di Dio.
Così avvenne che imparò ad intendere pienamente la Sacra Scrittura, il seme era stato seminato. Egli si sforzava, in mezzo a tanto dolore, di sempre ringraziare Dio, e di passare le notti che non riusciva a dormire, a lodare Dio.
Quando infine giunse il tempo di ricevere il premio promesso per tanta pazienza, la malattia fu come impazzita, esplose improvvisa colpendo gli organi vitali fino a quel momento risparmiati. Preparato dalla conoscenza delle Scritture, Servolo comprese di essere prossimo alla morte, e poichè la sua casa era un via vai di pellegrini che da lui ricevevano conforto e testimonianza cristiana, egli avvisò quelli presenti di cominciare a cantare inni con lui e di invocare i Salmi all'Altissimo, e di sostenerlo con la Preghiera nell'attesa prossima della sua dipartita.
Mentre, morente, recitava con i pellegrini e i religiosi i Salmi, ad un tratto li fece chetare tutti, dicendo a gran voce: "Tacete! tacete!, ascoltate! Ascoltate quali lodi risuonano in Cielo?"
E mentre questa santa Anima aveva orecchie e cuore già protesi verso la nuova vita, la sua anima si sciolse finalmente dal quel corpo che per tutta la sua vita l'aveva tenuta prigioniera, chiudendo gli occhi a questo mondo lasciando sul suo viso l'espressione di un angelico sorriso. Non appena Servolo morì, tutti i presenti furono testimoni di un soave profumo che si sprigionò da quel corpo oramai liberato e tutti compresero che quei canti che egli aveva udito, avevano attirato quella santa Anima al Cielo.
Al fatto fu presente un nostro monaco, tuttora vivente, il quale suole attestare con gran pianto, che quell'odore soavissimo non si allontanò dal loro olfatto, fino a che il corpo del Defunto non fu composto nel sepolcro e dato ad esso la degna e sacra sepoltura.
Ecco, fratelli carissimi, come finì la sua vita uno che, durante la vita, pur non potendo compiere opere materialmente, operò nella fede quella missione evangelizzante che Cristo Nostro Signore + ha comandato di preferire ad ogni altra ricchezza, sopportando con sconfinata pazienza flegelli e tribolazioni per amore di Cristo + ed è certo che, questa buona terra come dice il Signore, che raccolse il seme divino della Parola, diede dunque il suo frutto per mezzo della fede, della pazienza e dell'opera mediante la sua testimonianza; tale terra arata col vomere della sofferenza, pervenne al raccolto del premio.
Ma vi prego, o fratelli carissimi, di riflettere a quale argomento di scusa ci attaccheremo noi nel tremendo giorno del Giudizio; noi, che pur avendo ricevuto le mani, le sostanze, le ricchezze, siamo così pigri nel compiere il vero bene; mentre quest'uomo, povero e senza l'uso delle mani, nè dei piedi, senza andare in giro a predicare, potè osservare così bene i comandamenti del Signore il quale, nella Sua infinita bontà, predispose che fiumi di pellegrini vi si recassero perchè egli potesse soddisfare l'obbligo delle opere.
Non ci additerà, allora, il Signore, come motivo di condanna, e gli Apostoli i quali con la predicazione attiravano con loro schiere di fedeli; non ci mostrerà i Martiri, che pervennero alla Patria Celeste versando il proprio sangue? Ma cosa diremo, allora, vedendo questo Servolo, a cui la lunga infermità potè imobilizzare gli arti, ma non gli potè impedire di compiere il vero bene?
Pensate seriamente, fratello carissimi, nel vostro interno a tali cose, e spronatevi così al santo desiderio di ben fare, onde, come ora vi proponete i buoni modelli dei Santi e dei Martiri da imitare, possiate un giorno essere compartecipi della loro sorte eterna.


[SM=g1740771]




Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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