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DALLE PREDICHE DI SAN GREGORIO MAGNO PAPA (A.D.535/540)

Ultimo Aggiornamento: 17/03/2016 19:11
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01/08/2014 22:43
 
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   "Chi tocca carboni ardenti si accende (Quisquis carbonem tangit, incenditur) e chi viene a contatto di un santo (qui sancto viro adhaeret), lo frequenta, lo sente parlare e vede e osserva il suo modo di vivere, riceve il dono di accendersi anche lui di amore per la verità (exemplo operis accipit ut accendatur in amorem veritatis) così che, messe in fuga le tenebre dei propri peccati, venga attratto dal desiderio della luce e cominci a bruciare anche lui di vero amore (in desiderio lucis exardescat, et iam per verum amorem ardeat)".
 
 
 (Omelie su Ezechiele, I, V, 6. Città Nuova Editrice, Roma 1992, p. 173).


"Sono più gravi le colpe che rivestono l'apparenza di virtù (graviores culpae sunt quae superducta specie virtutes imitantur). Infatti quelle apertamente riconoscibili gettano l'animo nella confusione e lo inducono al pentimento, mentre queste, non solo non lo umiliano nel pentimento, ma quando sono considerate virtù, rendono per giunta orgoglioso chi le compie (istae vero non solum in paenitentia non humiliant, sed etiam mentem operantis elevant dum virtutes putantur)".
 
(Omelie su Ezechiele, I, V, 4. Città Nuova Editrice, Roma 1992, p.171).



"Nel discorso che vi ho rivolto l'altro ieri, fratelli carissimi, vi ho detto come gli esseri viventi a noi mostrati (nella profezia di Ezechiele) simboleggino sia il nostro Redentore, sia i quattro evangelisti, sia tutti i perfetti (nudiustertius facta est qualiter ostensa animalia vel Redemptorem nostrum, vel quatuor eius evangelistas atque perfectos omnes significent dictum est). La potenza di questi esseri viventi si manifesta in maniera ancor più evidente nel fatto che noi, deboli e insignificanti, possiamo tendere ad imitarli, nonostante i nostri limiti, con l'aiuto del Signore (ut ad eorum imitationem nos quoque, infirmi et despicabiles, in quantum Domino largiente possumus, extendamur)".
 
(Omelie su Ezechiele I, V, 1. Città Nuova Editrice, Roma 1992, p. 169).
 
"Andavano dove l'impeto dello spirito li dirigeva" (Ez 1,12).
 
"E' necessario che consideriamo con grande attenzione, in tutto ciò che facciamo, quale impulso ci guidi, cioè se il nostro pensiero è spinto dall'impulso della carne oppure dall'impulso dello spirito (necesse est ut magna semper cura considerare debeamus in omne quod agimus quis nos impetus ducat). Amare le cose della terra, preferire le cose temporali a quelle eterne, bramare il piacere, possedere beni esteriori più del necessario, cercare di vendicarsi del nemico, godere della caduta dell'avversario, è impulso della carne (impetus carnis). Invece amare le cose del cielo, relativizzare quelle della terra, ricercare le cose che passano non per il gusto del piacere ma per l'uso necessario, affliggersi per la morte del nemico, è impulso dello spirito (impetus spiritus)".
 
(Omelie su Ezechiele I, V, 2. Città Nuova Editrice, Roma 1992, p. 169).
Leggere, spiegare, ruminare, imitare. Sono verbi che fanno parte dell'ermeneutica propria di Gregorio Magno. E dovremo tenerli presenti anche per ciascuno dei passaggi della sua interpretazione simbolica del testo, come spiega lui stesso a proposito dei quattro animali della visione di Ezechiele.


"Mirabile profondità della parola di Dio (O quam mira est profunditas eloquiorum Dei).! Ci è consentito di rivolgere ad essa la nostra attenzione e, guidati dalla grazia, penetrare nella sua intimità (Libet huic intendere, libet eius intima, gratia duce, penetrare). Ogni volta che la meditiamo, cercando di comprenderla (quoties intellegendo discutimus), è come se ci addentrassimo nell'oscurità di una selva (silvarum opacitatem ingredimur), per trovare refrigerio contro gli ardori di questo mondo. Leggendola, cogliamo in essa l'erba fresca dei pensieri, spiegandola andiamo ruminandola (Ibique viridissimas sententiarum herbas legendo carpimus, tractando ruminamus)".
 
 
 (Omelie su Ezechiele, I, V, 1. Città Nuova Editrice, Roma 1992, p.169).



Ciascuno andava diritto davanti a sé e andavano là dove il loro spirito li sospingeva" (Ez 1, 12)
 
"Camminare davanti a sé è andare avanti, mentre camminare presenti a se stessi è camminare non rimanendo assenti a se stessi (Ante faciem quippe ambulare est anteriora petere; in praesenti vero ambulare est sibimetipsi absentem non esse). Ogni giusto, infatti, che è sollecito della propria vita e diligentemente valuta il suo progresso quotidiano nel bene, o il suo eventuale regresso, cammina alla propria presenza (coram se ambulat)...Chi invece trascura di vigilare sulla propria vita... non cammina alla propria presenza (coram se iste non ambulat), perché ignora se stesso, nei suoi costumi e nelle sue azioni (quia qualis sit in suis moribus vel in actibus, ignorat). Né è presente a se stesso colui che non è sollecito di scoprire e conoscere se stesso ogni giorno. (Nec sibimetipsi praesens est qui semetipsum cotidie exquirere atque cognoscere sollicitus non est)" 
 
(Omelie su Ezechiele, I, IV, 8. Città Nuova Editrice, Roma 1992, pp.163-165).



"Ciascuno aveva due ali che si congiungevano e due che coprivano il corpo" (Ez 1,11).
 
"Quattro sono le virtù che elevano dalle azioni terrene ogni essere vivente alato,  (quatuor esse virtutes invenimus quae a terrenis actibus omne pennatum animal levant) e cioè l'amore e la speranza delle cose future, il timore e la penitenza delle cose passate (in futuris videlicet amor et spes de praeteritis autem timor et paenitentia)...Giustamente si dice che che sono congiunte, perché gli eletti senza dubbio amano le cose che sperano, e sperano ciò che amano. Due ali coprono il corpo, perché il timore e la penitenza nascondono agli occhi di Dio onnipotente le loro colpe passate (duae vero corpora contegunt, quia timor et poeni/tentia ab omnipotentis Dei oculis eorum mala praeterita abscondunt). Due ali invece si congiungono verso l'alto, quando l'amore e la speranza elevano in alto il cuore il cuore degli eletti e lo tengono sospeso verso il cielo (duae pennae iunguntur sursum, quando amor et spes electorum corda ad superiora elevant, ad caelestia suspendunt)".
 
(Omelie su Ezechiele, I, IV, 5. Città Nuova Editrice, Roma 1992, p. 161).

I due atteggiamenti descritti da Gregorio, caratterizzati: il primo da amor et spese il secondo da timor et paenitentia corrispondono al tradizionale insegnamento gregoriano. Può essere opportuno però osservare che la prima volta il testo utilizza il vocabolo latino paenitentia - che provine dal me paenitet - traducibile in italiano con <mi dispiace> e perciò <mi pento>, mentre la seconda volta il testo latino (almeno quello riportato dall'edizione del Migne, utilizza il vocabolo latino poenitentia - con riferimento alla radice di poena - che sottolinea la sofferenza intesa come espiazione. Siamo già agli albori del medioevo? Oppure bisognerebbe studiare com maggiore acume critico la trasmissione dei manoscritti gregoriani?


"Le loro ali erano protese verso l'alto" (Ez 1, 11).
 
"Chi nella Scrittura contempla le cose di Dio allo scopo di utilizzare quel che capisce per delle discussioni (qui idcirco in sacro eloquio ea quae divinitatis sunt contemplatur ut per hoc quod intellegit occupari ad quaestiones possit), poiché non aspira a saziarsi della dolcezza insita nella felicità che offre il testo, ma pensa solo ad apparire dotto (quia non dulcedine quaesitate beatitudinis satiari appetit, sed doctus videri), costui non spiega al di sopra di sé le ali della sua intelligenza (iste nimirum intellectus sui pennas desuper non extendit)...Infatti chi per mezzo del bene che compie, aspira alla gloria terrena, spinge in basso le ali e il suo stesso volto (Qui enim per bona quae facit terrenam gloriam concupiscit, pennas suas et faciem deorsum deprimit)".
 
(Omelie su Ezechiele, I,IV, 4. Città Nuova Editrice, Roma 1992, p. 159).


"I detti dei profeti, che erano come terreni aridi per i Giudei perché non vollero coltivarli cercandone il senso mistico (quia per intellectum mysticum excolere noluerunt), per noi si sono trasformati invece in pascoli ubertosi, perché ciò che il profeta diceva a livello storico ha acquisito un sapore spirituale al palato della nostra anima, grazie al dono di Dio (quia uxta historiam visionis dicta largiente Deo menti nostrae spiritualiter sapiunt). E così noi che eravamo stranieri ci nutriamo di quelle cose che non vollero mangiare coloro che possedevano il diritto di cittadinanza".
 
(Omelie su Ezechiele, I, III, 19. Città Nuova Editrice, Roma 1992, p. 153).



"CHI BADA AL VENTO NON SEMINA MAI 
 
E CHI OSSERVA LE NUBI NON MIETE 
 
 
(QUI ATTENDIT VENTUM NON SEMINAT 
 
ET QUI CONSIDERAT NUBES NUMQUAM METIT)".
 
Omelie su Ezechiele I, III, 18. Città Nuova editrice 1992, p. 151.




"e le loro ali erano unite l'una all'altra" (Ez 1,9).

"Le loro ali sono unite l'una all'altra, perché ogni loro virtù, ogni sapienza, per cui i predicatori della parola superano tutti gli altri uomini col volo della loro contemplazione (quia omnis eorum virtus, omnis sapientia, qua ceteros homines contemplationis suae volatu trascendunt), li congiunge fra loro nella pace e nell'unanimità (vicissim sibi  in pace atque unanimitate coniungitur)...Le ali dell'uno sarebbero divise dalle ali dell'altro, se nel momento in cui ciascuno vola verso la sapienza, rifiutasse di essere in pace con l'altro (Penna autem alterius ab altero divisa esset, si in hoc quod unusquisque in sapientiam evolat, habere pacem cum altero recusaret)".

(Omelie su Ezechiele, I, III, 15. Città Nuova Editrice, Roma 1992, p.149).


    "Ognuno di noi perseveri nella forma di vita intrapresa (necesse est ut unusquisque nostrum in hoc quod incipit perseveret) e vi permanga fino al compimento dell'opera...Ma passa correttamente alla vita contemplativa (ille quippe bene ad contemplativam transit) colui che, durante la vita attiva, non ha mutato in senso deteriore il suo proposito (qui in activa vita intentionis suae vestem ad deteriora non mutaverit)". 
 
(Omelie su Ezechiele, I, III, 11. Città Nuova Editrice, Roma 1992, p. 145).
E' impressionante scoprire in questa massima di Gregorio Magno una sorta di direttiva generale di cui sembra aver tenuto seriamente conto il nostro Papa emerito Benedetto XVI!.

"Sotto le ali, ai quattri lati, avevano mani d'uomo" (Ez 1,8).

"Che significa la mano se non la vita attiva? E che significano le ali se non la vita contemplativa? La mano dell'uomo è sotto le loro ali, come a dire che il valore dell'attività è legato al volo della contemplazione (virtus operis sub volatu contemplationis). Simboleggiano bene questo le due donne del Vangelo che sono Marta e Maria. Marta era tutta presa dai molto servizi; Maria invece, sedutasi ai piedi del Signore, ascoltava le sue parole(Lc 10, 40.39). Una attendeva all'azione, l'altra alla contemplazione (erat ergo una intenta operi, altera contemplationi). Una era impegnata nella vita attiva con un servizio esteriore (una activae serviebat per exterius ministerium), l'altra nella vita contemplativa con il cuore sospeso alla Parola (altera contemplativae per suspensionem cordis in verbum). Ora, quantiunque la vita attiva sia buona, tuttavia la vita contemplativa è migliore, perché la prima termina con questa vita mortale, la seconda, invece, raggiunge la sua pienezza nella vita immortale (Et quamvis activa bona sit, melior tamen est contemplativa, quia ista cum mortali vita deficit, illa vero in immortali vita plenius excrescit). Per cui è detto: Maria si è scelta la parte migliore, che non le sarà tolta (Lc 10,42). Siccome la via attiva è inferiore, per dignità, a quella contemplativa (quia igitur activa minor est merito quam contemplativa), giustamente qui si dice: Sotto le ali avevano mani d'uomo (Ez 1,8). Infatti, quantunque per mezzo della vita attiva noi compiamo qualcosa di buono, tuttavia per mezzo della vita contemplativa voliamo con il desiderio verso il cielo (Nam etsi per activam boni aliquid agimus, ad caeleste tamen desiderium per contemplativam volamus)".
 
(Omelie su Ezechiele, I, III, 9. Città Nuova Editrice, Roma 1992, pp.141-143).

Ho anticipato a questo brano quello del  <post> precedente questo, perché intendevo lanciare anzitutto il messaggio di Gregorio e poi lasciar dare a lui stesso la spiegazione con l'accostamento, che a qualcuno può sembrare eccessivamente allegorico, tra Ez 1,8 e Lc 10, 39.40.42! 
NB: Siamo negli anni dei <Due> Papi: uno attivo e l'altro contemplativo! Gregorio Magno avrebbe detto: FACTUM AUDIVIMUS MYSTERIUM INQUIRAMUS: cioè: siamo posti di fronte ad un evento della nostra storia contemporanea; ma qual è il mistero che  questo evento nasconde rivelandolo? La risposta non dovrebbe prescindere oggi, per noi, dal mistero del Natale del Signore, che  è poi sempre un aspetto dell'unico e ineffabile <mistero> della Pasqua!


"In Mosé la vita attiva viene chiamata servizio, mentre quella contemplativa libertà (apud Moysen activa vita servitus, contemplativa libertas vocatur). E benché l'una e l'altra vita siano un dono della grazia, tuttavia, finché viviamo in mezzo al prossimo, una è necessaria e l'altra facoltativa (et cum utraeque vitae ex dono sint gratiae, quamdiu tamen inter proximos vivimus, una nobis in necessitate est, altera in voluntate). Chi infatti conoscendo Dio può entrare nel suo regno se prima non ha operato il bene? Perciò, senza la vita contemplativa possono accedere alla patria celeste coloro che non trascurano le opere buone che possono compiere (sine contemplativa ergo vita intrare possunt ad caelestem patriam, qui bona quae possunt operari, non negligunt); i contemplativi invece non possono accedervi senza la vita attiva, cioè se trascurano le opere buone che possono compiere (sine activa autem intrare non possunt, si negligunt operari quae possunt). La vita attiva, dunque, è necessaria, quella contemplativa è facoltativa (Illa ergo in necessitate haec in voluntate est). Quella si vive in stato di servizio, questa in stato di libertà(Illa in servitute, ista in libertate)".
 
(Omelie su Ezechiele I, III, 10. Città Nuova Editrice, Roma 1992, p. 143).
Dunque la vita contemplativa è <maior>, ma non dà accesso alla patria celeste se prima non viene preceduta dalla vita attiva che, pur essendo <minor>, ha le chiavi atte ad aprire il regno dei cieli! Per poter accedere alla <libertas> bisogna passare dalla <servitus>! Grande il nostro Gregorio! N.B. Ho tradotto <servitus> con <servizio>, ma il vocabolo potrebbe essere tradotto anche in modo più duro con <servitù>!


"La vita attiva, in ordine di tempo, è prima della vita contemplativa, perché operando bene, si tende alla contemplazione (Vita activa prior est tempore quam contemplativa, quia ex bono opere tenditur ad contemplationem). La vita contemplativa è però maggiore, nel merito, alla vita attiva, perché gusta già, nel suo intimo sapore, il riposo futuro (contemplativa autem maior est merito quam activa, quia haec in usu praesentis operis laborat, illa vero sapore intimo venturam iam requiem degustat)".
 
 (Omelie su Ezechiele, I, III, 9. Città Nuova Editrice, Roma 1992, p. 141).


"Sotto le loro ali, ai quattro lati, avevano mani d'uomo" (Ez 1,8).
 
"Possiamo ricoscere nei quattro lati le quattro virtù cardinali, dalle quali hanno origine le altre virtù. Cioè: la prudenza, la fortezza, la giustizia e la temperanza. Prendiamo nel senso giusto queste virtù, quando ne rispettiamo l'ordine (quas nimirum virtutes tunc veraciter accipimus, cum earum ordinem custodimus). Prima la prudenza, seconda la fortezza, terza la giustizia, quarta la temperanza. A che cosa serve infatti la prudenza, se manca la fortezza? Sapere senza poter fare è piuttosto una pena che una virtù (scire etenim cuiquam quod non potest facere poena magis quam virtus est). Ma chi prudentemente comprende ciò che deve fare e attua ciò che ha compreso, è già certamente giusto. Alla sua giustizia deve però far seguito la temperanza, perché di solito la giustizia, senza la moderazione, cade nella crudeltà. E' vera giustizia quella che è moderata dal freno della temperanza (ipsa ergo iustitia vere iustitia est, quae se temperantiae freno moderatur), così che anche nell'ardore dello zelo non venga meno la temperanza; né accada che, per eccesso di zelo, venga meno la giustizia, di cui non si sa custodire la misura " 
 
(Omelie su Ezechiele, I, III, 8. Città Nuova Editrice. Roma 1992, p. 141).


"La Parola della predicazione è seme nel cuore di chi l'ascolta. 
(Verbum quippe praedicationis semen in corde audientis est)".

(Omelie in Ezechiele, I, III, 6. Città Nuova Editrice, Roma 1992, p.139).


"Se, quando leggiamo la Bibbia, interpretiamo tutto alla lettera, perdiamo la virtù del discernimento (si omnia ad litteram sentiamus, virtutem discretionis amisimus); se riportiamo tutto sul piano dell'allegoria spirituale, cadiamo ugualmente nella mancanza di discernimento (si omnia ad spiritalem allegoriam ducimus, similiter indiscretionis stultitia ligamur). I santi predicatori invece quando leggono gli oracoli divini (sacra eloquia), ora colgono la lettera nella storia, e ora, attraverso il significato della lettera, ne ricercano lo spirito (aliquando in historia litteram suscipiunt, alquando vero per significationem litterae spiritum requirunt). Inoltre: ora imitano i buoni esempi dei padri che li hanno preceduti, seguendo la lettera, e ora traggono profitto dai fatti storici che non possono essere imitati, interpretandoli in senso spirituale (et modo bona facta patrum praecedentium, sicut iuxta litteram inveniunt, imitantur, modo quaedam, quae iuxta historiam imitanda non sunt, spiritaliter intellegunt et ad provectum tendunt)". 
 
(Omelie su Ezechiele, I, III, 4, Città Nuova Editrice, Roma 1992, p.137).
Siamo di fronte a delle dichiarazioni di intenti molto precisi dell'ermeneutica gregoriana. Consiglierei il lettore moderno di tener conto di due vocaboli che esprimono in sintesi il pensiero gregoriano. Essi sono: <discretio> e <provectum>. All'interno di questi due vocaboli è possibile capire l'importanza dei binomi <littera/historia> - <spiritus/allegoria>, anch'essi così determinanti per papa Gregorio nella comprensione sia dei <sacra/divina eloquia> sia dei <facta patrum>.


"Non  dà prova di maturità chi non è forte nell'agire contro le avversità (Nulla erit maturitatis ostensio, si contra adversa omnia non adfuerit operis fortitudo). 
La fortezza nell'agire però non è più virtù se non giudica con discernimento (Virtutis autem meritum ipsa fortitudo operis amittit, si discreta in intellectu non fuerit)".
 
(Omelie su Ezechiele, I, III, 4. Città Nuova Editrice, Roma 1992, p. 137).


"I quattro esseri viventi avevano ciascuno quattro facce e quattro ali" (Ez,1, 5-6).

"I quattro esseri viventi che, mendiante lo spirito di profezia, appaiono nella prospettiva del futuro, vengono descritti con precisione. E allora dobbiamo chiederci: Che cosa si vuol esprimere con la faccia se non la conoscenza, e che cosa con le ali se non il volo?(Quid per faciem nisi notitia, et quid per pennam nisi volatus exprimitur?)...La faccia si riferisce in realtà alla fede e le ali alla contemplazione (facies itaque ad fidem pertinet, penna ad contemplationem)... ma quale efficacia avrebbero i predicatori se, avendo la fede e contemplando il Signore, non avessero anche le opere sante? (sed quae virtus esset, fidem atque contemplationem Domini habentes si praedicatores illius, opera non haberent?)".
 
(Omelie su Ezechiele I, III, 2. Città Nuova Editrice, Roma 1992, pp. 135-137).
 
L'accostamento <simbolico> al testo di Ezechiele è lento e graduale, ma già si intravedono alcuni vocaboli che ci faranno entrare meglio nel pensiero di Gregorio. Mi permetto di segnalarne alcuni come: fides-contemplatio-opera,collegati con il soggetto <praedicatores>, dando per scontato l'accostamento tra i quattro esseri viventi, i quattro evangelisti e i predicatori.


"Il vigore della parola, ritemprato dal silenzio, si levi più robusto a scrutare i misteri"

(Loquendi virtus silentio refota, ad indaganda mysteria robustior exsurgat).
 
(Omelie su Ezechiele, I,II, 21. Città Nuova editrice, Roma 1992, p. 133).



"Chi medita in silenzio le vie del Signore e si esercita con impegno nei suoi comandamenti, che altro fa se non ricreare in sé l'immagine dell'Uomo nuovo? (Qui viam Domini tacitus in mente considerat, et se exercere in mandatis illius festinat, quid aliud in sempetispo nisi imaginem novi hominis reformat?). E siccome proprio questo avviene nel cuore dei santi (in sanctorum cordibus incessanter hoc agitur), giustamente vien detto degli esseri viventi che <avevano la somiglianza dell'Uomo> (Ez 1,10)". 
 
(Omelie su Ezechiele, I, II, 19. Città Nuova Editrice, Roma 1992, p. 133).



Al centro apparve una figura composta di quattro esseri viventi" (Ez 1, 5).

"Che cosa simboleggiano i quattro esseri viventi, se non i quattro evangelisti? (Quid enim per quatuor animalia, nisi quatuor evangelistae signantur?) E non a caso per mezzo dei quattro evangelisti si esprime il numero di tutti i perfetti, perché quanti adesso nella Chiesa sono perfetti hanno appreso dal Vangelo la regola della loro perfezione (quia omnes qui in Ecclesia modo perfecti sunt, perfectionis suae rectitudinem per eorum Evangelium didicerunt). Al centro apparirà la figura di quattro esseri viventi, perché quanti adesso sono uniti al suo corpo saranno associati allora alla sua maestà e quanti seguono adesso da vicino i suoi esempi, secondo i precetti del Vangelo, giudicheranno allora il mondo, insieme con lui (qui modo perfecta opera iuxta evangelica praecepta secuti sunt). E' quanto è stato già detto ai santi apostoli". 

(Omelie su Ezechiele I, II, 18. Città Nuova Editrice, Roma 1992, p. 129).
Non si dovrebbe dimenticare mai che l'intento perseguito da Gregorio nel  leggere e spiegare il testo biblico resta sempre quello di aiutare il credente nel suo cammino verso la piena maturità della fede. Il seguito del commento gregoriano lo dimostrerà ulteriormente.

"Questo era il loro aspetto: avevano la somiglianza dell'Uomo" (Ez 1,10).
 
"Gli esseri viventi tendono alla somiglianza con quest'Uomo per poter giungere alla vetta della santità, (animalia ut surgere ad sanctitatis virtutem valeant, ad huius hominis similitudinem tendunt)...Uno è santo nella misura in cui tende alla somiglianza con quest'Uomo, ed imita la vita del proprio Redentore (sanctus enim quisque in tantum...in quantum vitam Redemptoris imitatur). Non essere in consonanza con i suoi precetti e con i suoi esempi, che altro significa se non allontanarsi dalla somiglianza con Lui? (Nam ab eius mandatis atque operibus discordare, quid est aliud quam a similitudine longe recedere?)".
 
(Omelie su Ezechiele I, II, 19. Città Nuova Editrice, Roma 1992, pp. 129-131).


Dai commenti di Gregorio a Ez 1, 1-28:
 
"Quella natura immutabile che, rimanendo stabile in se stessa, rinnova tutto, se avesse voluto manifestarsi a noi così com'è, anziché rinnovarci, ci avrebbe incendiati col suo splendore (si ita ut est nobis apparere voluisset, fulgore suo nos incenderet potius quam renovaret). Ma Dio ha temperato ai nostri occhi lo splendore della sua grandezza (sed claritatem suae magnitudinis temperavit nostris oculis Deus), affinché, mentre per riguardo verso di noi egli tempera il suo splendore, la nostra debolezza, grazie alla somiglianza con lui, splendesse della sua luce (ut dum nobis eius claritas temperatur, etiam nostra infirmitas per eius similitudinem in eius luce claresceret) e, per dono della sua grazia, mutasse, se così si può dire, il suo colore abituale. E infatti Dio fatto uomo è diventato, nella sua persecuzione, quasi come l'elettro in mezzo al fuoco (quasi electrum ergo in igne est Deus homo factus in persecutione)"  .
 
(Omelie su Ezechiele I, II, 14. Città Nuova Editrice, Roma 1992, pp. 125-127).

"Bisogna sapere che quanti vengono riempiti di spirito di profezia (qui prophetiae spiritu replentur), per il fatto che qualche volta parlano apertamente di se stessi e qualche volta parlano di sé come se si trattasse di altri, dimostrano che non è il profeta che parla, ma è lo Spirito santo che parla per bocca del profeta ( non propheta, sed Spiritus sanctus loquitur per prophetam). In quanto la parola passa per la loro bocca, essi parlano di sé, ma in quanto parlano per ispirazione dello Spirito santo, è lo Spirito santo stesso che parla per mezzo di loro (Pro enim quod per ipsos sermo fit, ipsi loquuntur de se, et pro eo quod aspirante sancto Spiritu loquuntur, idem Spiritus sanctus per ipsos loquitur de ipsis)".  
 
(Omelie su Ezechiele I, II, 8. Città Nuova Editrice, Roma 1992, p. 119).



"Nell'età dei primi anni della nostra adolescenza o giovinezza, non si deve arare, cioè non si deve ancora predicare: il vomere della nostra lingua non osi fendere la terra del cuore altrui (cum prima sunt adolescentiae vel iuventutis nostrae tempora, nobis adhuc a praedicatione cessandum est, ut vomer linguae nostrae proscindere non audeat terram cordis alieni). Finché si è deboli, ci si deve limitare a noi stessi, perché non ci accada di perdere i beni ancora teneri che anzi tempo vogliamo ostentare (Quoadusque infirmi sumus, continere nos intra nosmetipsos debemus, ne dum tenera bona citius ostendimus, amittamus)". 
 
(Omelie su Ezechiele. I, II, 3. Città Nuova Editrice, Roma 1992, p. 115).


"Non si deve proporre come esempio agli altri chi non è ancora sufficientemente stabile (Ad exemplum non sunt ostendenda nisi quae firma sunt). Occorre che la persona prima si consolidi in se stessa (Prius etenim convalescere debet mens) e solo dopo, quando cioè innalzata dalla lode non cadrà e colpita dal biasimo non si avvilirà, (dum iam nec per laudem elevata corruat, nec per vituperationem percussa contabescat),venga posta in grado di essere utile al prossimo (ad utilitatem proximorum postmodum demonstrari)". 
 
(Omelie su Ezechiele, I, II, 3. Città Nuova Editrice, Roma 1992, p. 115)



"Occorre tener presente che i sensi del profeta vedono le cose spirituali così come noi vediamo quelle corporali (sicut nos corporalia, sic prophetae sensus spiritalia aspiciunt). Per loro sono presenti quelle cose che a noi, cui sfuggono, sembrano assenti. Nella mente dei profeti le cose esteriori sono così strettamente congiunte a quelle interiori che essi vedono le une e le altre simultaneamente (unde fit ut in mente prophetarrum ita coniuncta sintexterioribus interiora, quatenus simul utraque videant). Nei profeti la parola che essi ascoltano dentro di sé è contemporanea alla parola che annunziano fuori (simulque eis fiat et intus verbum quod audiunt, et foras quod dicunt)". 


(Omelie su Ezechiele, I,II,2. Città Nuova Editrice, Roma 1992, p.113).

Profeta, esegeta e <orator>  in Gregorio sono spesso sinonimi!




 




[Modificato da Caterina63 02/08/2014 10:38]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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