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MONUMENTALE CATECHESI del Cardinale Ranjith sul modo di intendere l'Eucarestia

Ultimo Aggiornamento: 28/12/2011 11:21
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28/09/2011 16:56
 
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[SM=g1740735] Ars celebrandi

E’ proprio per questo che il santo Padre parla - nella Esortazione Apostolica Sacramentum Caritatis, dell’ars celebrandi, da intendersi non come un’altra arte per rendere più impressionante le celebrazioni liturgiche, nel senso descritto dall’autore Rey, ma come un modo effettivo di adeguarsi al vero senso della liturgia, adeguarsi al suo senso più profondo e mistico.

Dice il Papa: “l’ars celebrandi scaturisce dall’obbedienza fedele alle norme liturgiche  nella loro completezza, poiché è proprio questo modo di celebrare ad assicurare da duemila anni la vita di fede di tutti i credenti, i quali sono chiamati a vivere la celebrazione in quanto Popolo di Dio, sacerdozio regale e nazione santa (cf. 1Pt 2, 4-5, 9)” (Sacramentum Caritatis, 38). Inoltre afferma il Papa: “l’ars celebrandi deve favorire il senso del sacro e l’utilizzo di quelle forme esteriori che educano a tale senso, come ad esempio l’armonia del rito, delle vesti liturgiche, dell’arredo e del luogo sacro” (ibid. 40). L’ars celebrandi perciò connota fedeltà a Cristo, alla prassi della Chiesa, al senso mistico e sacro che sfugge ai nostri sensi, e fedeltà alle norme liturgiche come ai libri liturgici.

Che le norme liturgiche non vanno manipolate, toccate o ignorate è stato chiaramente indicato nella Costituzione Liturgica del Concilio - la Sacrosanctum Concilium. Essa diceva: “Regolare la sacra liturgia compete unicamente all’autorità della Chiesa, la quale risiede nella Sede Apostolica e, a norma del diritto, nel Vescovo … di conseguenza assolutamente nessun altro, anche se sacerdote, osi, di sua iniziativa, aggiungere, togliere o mutare alcunché in materia liturgica” (SC 22). L’allora Cardinale Ratzinger nel suo libro Introduzione allo Spirito della Liturgia, spiega che le grandi forme rituali “sono sottratte all’intervento del singolo, della singola comunità, o anche di una Chiesa particolare. La non arbitrarietà è un elemento costitutivo della loro stessa natura. Essi [i riti] sono espressione del fatto che nella liturgia mi viene incontro qualcosa che non sono io a farmi da me stesso, che io entro in qualcosa di più grande che, ultimamente, proviene dalla Rivelazione. Per questo la liturgia è chiamata in oriente « divina liturgia », un’espressione che ne sottolinea la non disponibilità da parte degli uomini” (Introduzione allo Spirito della Liturgia, San Paolo, Milano 2001, p. 161).


[SM=g1740720] Eucaristia e Adorazione

L’Eucaristia è la visibile presenza di Cristo tra noi. Difatti, come definiva il Concilio di Trento: “per consecrationem panis et vini conversionem fieri totius substantiae panis in substantiam Corporis Christi Domini Nostri, et totius substantiae vini in substantiam Sanguinis eius. Quae conversio convenienter et proprie a Sancta Cattolica Ecclesia transubstantiatio est appellata” (Denzinger, 877), e: “in almo Sanctae Eucharistiae Sacramento post panis et vini consecrationem Dominum nostrum Iesum Christum verum Deum atque hominem vere, realiter ac substantialiter sub specie illarum rerum sensibilem contineri” (Denzinger, 874).

Tali constatazioni ci vengono proposte sulla base delle stesse parole di Gesù che in quell’ultima Cena con gli apostoli, la sera prima della sua morte, prendendo il pane nelle sue mani sante pronunciò quelle parole – “questo è il mio Corpo, dato per voi” (Lc. 22, 19), e, con il vino “questo calice è il nuovo patto nel mio sangue sparso per voi” (Lc. 22, 20) e poi ordinò loro: “fate questo in memoria di me” (Lc. 22, 19). Così è nata la celebrazione liturgica dell’Eucaristia.

Il sacerdote agisce in persona Christi e ripetendo le stesse parole di Gesù effettua la totale trasformazione del pane e del vino nel Corpo e Sangue di Cristo. La transustanziazione delle specie del pane e del vino avviene in questo modo tramite la strumentalità del sacerdote.  Dice San Giovanni Crisostomo: “non è l’uomo che fa diventare le cose offerte, Corpo e Sangue di Cristo, ma è Cristo stesso, che è stato crocifisso per noi. Il sacerdote figura di Cristo, pronunzia quelle parole, ma la loro virtù e la grazia sono di Dio. Questo è il mio Corpo, dice. Questa parola trasforma le cose offerte” (De proditione Judae, 1, 6; PG 49, 380 c).

Per questa ragione le specie eucaristiche diventano non solo il ricordo vivo del sacrificio salvifico di Cristo sul Golgota, ma anche l’espressione reale, viva e tangibile della sua presenza tra noi. La Chiesa ha sempre difeso e salvaguardato questo grande dono di Cristo e la fede eucaristica. Inoltre, col passare dei secoli, altre espressioni di questa fede venivano scoprendosi gradualmente diventando un grande patrimonio di pratiche liturgiche e paraliturgiche come anche delle devozioni nuove al Signore presente nelle specie eucaristiche: adorazione eucaristica fuori dalla Santa Messa, processioni eucaristiche, visite al Santissimo Sacramento, preghiere giaculatorie, celebrazione della festa del Corpus Domini, Ora santa, Quarantore, benedizione del Santissimo Sacramento, confraternite di adoratori e congressi eucaristici. Tali pratiche hanno subito un continuo processo di sviluppo e arricchimento.

La costatazione importante qui è che siccome Cristo è presente nelle specie eucaristiche non solo durante la celebrazione della Santa Messa (quella è la concezione protestante) ma anche dopo, Gesù eucaristico deve essere adorato e glorificato sempre. Le specie eucaristiche una volta consacrate rimangono divine e così adorabili – la visibile presenza di Cristo tra noi. “E’ Lui!” Esclamava spesso San Giovanni Maria Vianney, il santo Curato D’Ars.

Ci sono purtroppo delle persone che la pensano diversamente e dicono che il Concilio Vaticano II non avrebbe dato grande importanza all’Adorazione Eucaristica. Tale constatazione non è senza una base poiché, di fatto, la costituzione liturgica del Concilio non menziona l’Adorazione Eucaristica. Il testo infatti include una sezione sulle devozioni popolari (n. 13) ma non menziona devozioni eucaristiche. È quanto mai sorprendente come dopo numerosi pronunciamenti in materia, sia nel decreto sull’Eucaristia del Concilio di Trento che nei successivi scritti Pontifici e poi nella Lettera Encliclica Mediator Dei (n.129 – 137) del Papa Pio XII, pubblicata appena qualche anno prima, nessun accenno al tema si trova nella costituzione liturgica del Concilio Vaticano II Sacrosantum Concilium. Forse è per questo silenzio che in certi ambienti era nata una presa di posizione sfavorevole all’Adorazione Eucaristica nell’epoca della riforma postconciliare. Infatti il Papa, parlando di ciò, dice: “mentre la riforma muoveva i primi passi, a volte l’intrinseco rapporto tra la Santa Messa e l’Adorazione del Santissimo Sacramento non fu abbastanza chiaramente percepito. Un’obiezione allora diffusa prendeva spunto ad esempio dal rilievo secondo cui il Pane Eucaristico non ci sarebbe dato per essere contemplato ma per essere mangiato” (Sacramentum Caritatis, 66).

Tale posizione va collocata anche nell’insieme di alcune confusioni teologiche verificatesi durante e dopo il Concilio e contro le quali Papa Paolo VI già prima della fine del Concilio volle porre fine con la sua grande Enciclica sull’Eucarestia, la Mysterium Fidei. Infatti diceva Papa Paolo VI: “Tuttavia, Fratelli Venerabili, non mancano, proprio nella materia che ora trattiamo, motivi di grave sollecitudine pastorale e di ansietà, dei quali la coscienza del Nostro dovere apostolico non ci permette di tacere. Ben sappiamo infatti che tra quelli che parlano e scrivono di questo Sacrosanto Mistero ci sono alcuni che circa le Messe private, il dogma della transustanziazione e il culto eucaristico, divulgano certe opinioni che turbano l'animo dei fedeli ingerendovi non poca confusione intorno alle verità di fede, come se a chiunque fosse lecito porre in oblio la dottrina già definita dalla Chiesa, oppure interpretarla in maniera che il genuino significato delle parole o la riconosciuta forza dei concetti ne restino snervati.

Non è infatti lecito, tanto per portare un esempio, esaltare la Messa così detta « comunitaria » in modo da togliere importanza alla Messa privata; né insistere sulla ragione di segno sacramentale come se il simbolismo, che tutti certamente ammettono nella Santissima Eucaristia, esprimesse esaurientemente il modo della presenza di Cristo in questo Sacramento; o anche discutere del mistero della transustanziazione senza far cenno della mirabile conversione di tutta la sostanza del pane nel Corpo e di tutta la sostanza del vino nel Sangue di Cristo, conversione di cui parla il Concilio di Trento, in modo che essi si limitino soltanto alla « transignificazione » e « transfinalizzazione » come dicono; o finalmente proporre e mettere in uso l'opinione secondo la quale nelle Ostie consacrate e rimaste dopo la celebrazione del sacrificio della Messa Nostro Signore Gesù Cristo non sarebbe più presente” “(Mysterium Fidei,  9-11). [SM=g1740721]

Il Papa spiega quale sia l’intento dell’Enciclica: “Affinché dunque la speranza, suscitata dal Concilio, di una nuova luce di pietà eucaristica, che investe tutta la Chiesa, non sia frustrata e inaridita dai semi già sparsi di false opinioni, abbiamo deciso di parlare di questo grave argomento a voi, Venerabili Fratelli, comunicandovi sopra di esso il Nostro pensiero con apostolica autorità” (ibid. 13).

Questa lunga citazione dell’Enciclica uscita il 3 settembre 1965, già prima della fine del Concilio, dimostra quanto il Papa fosse turbato per ciò che stava accadendo. D’altronde il Papa si impegnava con una certa celerità a regolare un’altra prassi che nasceva nella chiesa, specialmente nel nord Europa, sulla ricezione della Santa Comunione. Con l’Istruzione Memoriale Domini, della Congregazione per il Culto Divino del 28 maggio 1969, Papa Paolo VI voleva regolare questa prassi, cioè la comunione sulla mano abusivamente introdotta in questi ambienti. Il documento spiega che il modo di ricevere la Santa Comunione sulla lingua doveva essere conservato, non solo perché fa parte di una lunga tradizione, ma per la ragione di conservare il senso di riverenza per il Signore Eucaristico  presso i fedeli (cf. n. 8). Pur accettando la possibilità di ricevere la Santa Comunione sulla mano, l’Istruzione voleva assicurare che tutto si facesse in modo ordinato. È interessante notare come, in un sondaggio fatto presso i Padri Conciliari, la stragrande maggioranza avesse votato “non placet” a tre domande favorevoli a questa prassi (cf. n. 13). Tutte queste scelte di Papa Paolo VI dimostrano un senso di grave preoccupazione che sentiva in verso certe posizioni teologiche – dottrinali erronee, o riduttive, del Santissimo Sacramento, presso alcune scuole teologiche e liturgiche.

Anche il Papa Benedetto XVI, come abbiamo visto sopra nella Sacramentum Caritatis al n. 66, raccomanda ai fedeli di salvaguardare un grande senso di riverenza verso l’Eucaristia e non lasciarsi confondere da certe posizioni erronee. Tali posizioni effettivamente riducevano il senso divino dell’Eucaristia ad un livello puramente materialista ed umano. Il Papa osserva che già Agostino aveva detto: « nemo autem illam carnem manducat, nisi prius adoraverit; peccemus non adorando – nessuno mangia questa carne senza prima adorarla; peccheremmo se non la adorassimo » (Sacr. Carit. 66).
Per il Papa senza adorazione non c’è un vero ricevimento del Signore: “ricevere l’Eucaristia significa porsi in atteggiamento di adorazione verso colui che riceviamo … soltanto nell’adorazione può maturare un’accoglienza profonda e vera” (Sacramentum Caritatis, 66). Per celebrare con intenso coinvolgimento il mistero della salvezza realizzata sull’altare ci vuole un profondo atteggiamento di silenzio, contemplazione e intensa comunione con Gesù Eucaristico. Dovremmo infatti vivere tale atteggiamento di riverenza e adorazione durante tutta la giornata, per esprimere la nostra disponibilità ad essere in piena comunione con Cristo. Più adoratori diveniamo sull’altare, più saremo toccati dalla comunione trinitaria in Cristo e capaci perciò di rispondere meglio alla nostra chiamata cristiana.

Senza un atteggiamento di adorazione, perciò, non può essere completata una vera celebrazione del Sacrificio Eucaristico. Come spiega Papa Benedetto XVI, ‘adorazione’ nella lingua greca è ‘proskynesis’, parola che significa un gesto di sottomissione: “il riconoscimento di Dio come nostra vera misura, la cui norma accettiamo di seguire” (Omelia a Marienfeld, Colonia, 21 agosto 2005). La parola latina ‘adoratio’, come spiega il Papa, significa “contatto bocca a bocca, bacio, abbraccio e quindi, in fondo amore. La sottomissione diventa unione, perché colui al quale ci sottomettiamo è amore” (ibid.). Adorazione perciò è l’atteggiamento di lasciarsi coinvolgere nell’immenso atto d’amore e auto-donazione di Cristo sulla croce. L’Eucaristia, ripresentando questa auto-donazione sulla croce ci avvolge e ci inserisce intimamente nella sua Pasqua – il passaggio dalla morte alla vita nel quale l’egoismo, il peccato e la morte umana vengono superati definitivamente.
Non è dunque strano che i primi adoratori ai piedi della Croce, che vengono travolti dall’amore di Dio, siano stati Maria, la Madre di Dio, Giovanni e il centurione romano il quale grida la prima confessione di fede, parola di adorazione profonda: “veramente quest’uomo era il Figlio di Dio” (Mc 15, 39).

Siamo noi veramente consci della grandezza di ciò che, in un certo modo, sta accadendo sui nostri altari? Le nostre espressioni di fede come “Ecco l’Agnello di Dio, ecco colui che toglie i peccati del mondo” oppure “in questo sacrificio o Padre, noi tuoi ministri e tutto il tuo popolo santo, celebriamo il memoriale della beata passione, della risurrezione dai morti” oppure “O Signore non sono degno di partecipare alla tua mensa, ma dì soltanto una parola e io sarò salvato”: sono veramente ciò che sentiamo nell’intimo del nostro cuore? Oppure sono solo suoni senza contenuto?

Il Papa chiede che ogni volta che si celebra la Santa Messa ci siano non solo il senso di raccoglimento e di sobrietà, ma anche momenti di silenzio e di contemplazione. Parlando anzi dell’actuosa participatio dice – “con tale parola non si intende fare riferimento ad una semplice attività esterna durante la celebrazione. In realtà, l’attuale partecipazione auspicata dal Concilio deve essere compresa in termini più sostanziali, a partire da una più grande consapevolezza del mistero che viene celebrato” (Sacramentum Caritatis, 52). Il Papa rigetta quell’atteggiamento di alcuni di noi che per “l’incapacità di distinguere, nella comunione ecclesiale, i diversi compiti spettanti a ciascuno”, causano la confusione dei ruoli di chi deve occupare il presbiterio e chi la navata. In particolare, è necessario “che vi sia chiarezza riguardo ai compiti specifici del sacerdote” (ibid. 53).

L’atteggiamento di venerazione verso ciò che accade esige anche, come dice il Papa, uno spirito “di costante conversione che deve caratterizzare la vita di tutti i fedeli”. E aggiunge: “non ci si può aspettare una partecipazione attiva alla liturgia eucaristica, se ci si accosta ad essa superficialmente, senza prima interrogarsi sulla propria vita” (ibid. 55). Inoltre Egli parla del raccoglimento del silenzio, del digiuno e, quando necessario, della confessione sacramentale (cf. Sacramentum Caritatis, 55).
L’Eucaristia – come si vede – è quel trasporsi dalla nostra quotidianità ai piedi della croce dove Cristo, assieme a Maria, Giovanni ed il centurione è l’Agnello immolato che rinnova il suo sacrificio d’amore donandosi per la nostra salvezza eterna.



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Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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