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MONUMENTALE CATECHESI del Cardinale Ranjith sul modo di intendere l'Eucarestia

Ultimo Aggiornamento: 28/12/2011 11:21
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28/09/2011 17:01
 
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[SM=g1740766] La lingua sacra

Una delle banalizzazioni ed interpretazioni molto riduttive dell’Eucaristia è stata il quasi totale abbandono dell’uso della lingua latina nella liturgia. Bisogna comunque affermare che non c’è niente di negativo se noi celebriamo la liturgia nella lingua vernacolare. Anzi, la scelta del Concilio di introdurre più uso delle lingue vernacolari nella liturgia era il punto d’arrivo, dopo decenni di tentativi, soprattutto nelle Chiese d’oltralpe, affinché i fedeli partecipassero con maggior intensità alla preghiera della Chiesa, soprattutto nella sua espressione eucaristica. In un tempo nel quale la conoscenza e l’apprezzamento delle lingue classiche perdeva terreno, la Chiesa non aveva altra scelta.

Ma ciò che avrebbe dovuto accadere era un graduale ed illuminato uso delle lingue vernacolari e non l’abbandono totale di una lingua comune liturgica universalmente usata.
Tale abbandono ha portato non solo a una riduzione in generale del senso del sacro, particolarmente nella liturgia, ma anche ad una sorta di convenzionalismo nei confronti della Chiesa. Noi per esempio abbiamo nello Sri Lanka, nel contesto del dopoguerra, contrasti a livello liturgico fra i due gruppi etnici e linguistici dei cingalesi e tamil, di pregare insieme in una lingua. La liturgia non ci unisce più, ma ci divide; questa è la nostra esperienza odierna.

Il Concilio non aveva auspicato un abbandono totale della lingua comune liturgica della Chiesa, la lingua latina. Di fatto, esso aveva così auspicato: “l’uso della lingua latina, salvo diritti particolari, sia conservato nei riti latini” (Sacrosanctum Concilium,  36). Anche nell’apertura verso le lingue vernacolari a scopi di utilità per il popolo, il Concilio aveva affermato: “si conceda alla lingua nazionale una parte più ampia, specialmente nelle letture e nelle ammonizioni, in alcune preghiere e canti, secondo le norme fissate per i singoli casi”. Non era previsto né era raccomandato dai Padri conciliari il totale abbandono della lingua latina,  come la mens del documento Sacrosanctum Concilium chiaramente indica.

L’uso di una lingua antica nel culto religioso, una lingua non usata nel contesto odierno, è comune per molte altre religioni. Per esempio, la lingua liturgica dell’Induismo è il sanscrito, del Buddismo è il pali, e nell’Islam l’arabo coranico. Nessuna di queste lingue è parlata oggi. Ognuna di queste lingue è rispettata e riservata per esprimere qualcosa che oltrepassa il livello dei suoni e delle lettere. Nel Giudaismo, per esempio, si scrive con il tetragramma il non pronunciabile nome di Dio. Di per sé le quattro lettere di questa parola non hanno un significato linguistico particolare, ma rappresentano il sacrosanto nome di Dio nella tradizione scritta della Masora. La parola stessa non è traducibile ed è stata lasciata intoccabile sia dai rabbini, che da esperti del Giudaismo. Di fatto, in alcune culture le lingue sono nate da una combinazione di suoni e concetti liturgici. La parola “Om” nell’Induismo, o la parola “Nirvana” del Buddismo, sono parole che esprimono molto più di ciò che il suono originale rappresenta, e cercare di spiegare con altre parole tali concetti comporta un impoverimento.

La fede cattolica è spesso identificata con alcuni concetti teologici di base che non sono di per sé traducibili e che sono intimamente legati al patrimonio linguistico greco e latino nel quale tali concetti sono nati. Abbandonando questo patrimonio nella nostra liturgia si corre il pericolo di impoverimento e di gravi errori quanto al contenuto della nostra stessa fede.
Per questo il Concilio era cauto su tale scelta; ed infatti incoraggiava i fedeli a “recitare e cantare insieme anche in lingua latina, le parti dell’ordinario della Messa che spettano ad essi”
(Sacrosanctum Concilium, 54) e i chierici a recitare l’Ufficio divino in lingua latina (cf. 101, 1). Credo che l’insistenza con la quale Papa Benedetto parli dell’uso della lingua latina e del canto gregoriano nella liturgia (cf. Sacamentum Caritatis, 62), vada nella giusta direzione, quella auspicata dal Concilio Vaticano II.

Conclusione

Nelle mie riflessioni non ho cercato di presentare una totale ed esauriente presentazione sull’Eucaristia o sulla liturgia ma, anche per la limitatezza del tempo, solo alcuni punti che a me sembrano importanti. L’Eucaristia, come dice la dottrina della Chiesa, è un mistero; mistero anche perché è il Signore. Nessuno lo ha mai capito o compreso. Le stesse sacre pagine attestano che nessun uomo capirà mai le vie del Signore: “Chi ha diretto lo spirito del Signore e come suo consigliere gli ha dato suggerimenti? A chi ha chiesto consiglio, perché lo istruisse e gli insegnasse il sentiero della giustizia?” (Is. 40, 13-14).

La Chiesa nella sua lunga tradizione ha celebrato Cristo nella sua auto-donazione sul Calvario. Ciò che spetta a noi è solo di adeguarci a ciò che Egli, misticamente, realizza sui nostri altari, diventando noi stessi l’alter Christus, la vittima e sacerdote che, con grande devozione e fede, aderisce a lui e gli permette di abbracciarci nel suo atto d’amore: “quel volgersi di Dio contro se stesso nel quale Egli si dona per rialzare l’uomo e salvarlo, amore, questo, nella sua forma più radicale” (Deus Caritas Est, 12).

Vorrei terminare questa riflessione con alcune parole del Santo curato d’Ars, bellissime per la profondità, non solo teologica, ma anche per la sua tenera affettuosità verso il Signore: “Tutte le buone opere non sono uguali nel valore quando si considera il sacrificio della Messa, perché quelle sono opere degli uomini, ma la Santa Messa è l’opera di Dio. Il martirio non è niente paragonato ad essa; esso è il sacrificio che l’uomo fa della sua vita a Dio. Ma la Messa è il sacrificio che Dio fa all’uomo del suo Corpo e del suo Sangue. Quanto grande è un sacerdote! Se capisce questo, morrà … Dio gli obbedisce; lui pronuncia due parole e il Signore scende dal cielo e si chiude dentro una piccola ostia. Quale dono!" (Piccolo Catechismo).



[SM=g1740738]  * F I N E *



Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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