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Sacramentum Caritatis: Enciclica sulla Liturgia di Bendetto XVI

Ultimo Aggiornamento: 04/08/2013 10:33
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Santa Messa ed Eucarestia, Tabernacolo e devozione...


 
INVITIAMO I SACERDOTI (ma anche noi laici cattolici) A FARSI PROMOTORI ED ESECUTORI DI QUANTO PRONUNCIATO DAL SANTO PADRE:

Coerenza eucaristica

83. È importante rilevare ciò che i Padri sinodali hanno qualificato come coerenza eucaristica, a cui la nostra esistenza è oggettivamente chiamata. Il culto gradito a Dio, infatti, non è mai atto meramente privato, senza conseguenze sulle nostre relazioni sociali: esso richiede la pubblica testimonianza della propria fede. Ciò vale ovviamente per tutti i battezzati, ma si impone con particolare urgenza nei confronti di coloro che, per la posizione sociale o politica che occupano, devono prendere decisioni a proposito di valori fondamentali, come il rispetto e la difesa della vita umana, dal concepimento fino alla morte naturale, la famiglia fondata sul matrimonio tra uomo e donna, la libertà di educazione dei figli e la promozione del bene comune in tutte le sue forme.(230) Tali valori non sono negoziabili. Pertanto, i politici e i legislatori cattolici, consapevoli della loro grave responsabilità sociale, devono sentirsi particolarmente interpellati dalla loro coscienza, rettamente formata, a presentare e sostenere leggi ispirate ai valori fondati nella natura umana.(231) Ciò ha peraltro un nesso obiettivo con l'Eucaristia (cfr 1 Cor 11,27-29). I Vescovi sono tenuti a richiamare costantemente tali valori; ciò fa parte della loro responsabilità nei confronti del gregge loro affidato.(232)


CONTRO IL PACIFISMO

La dottrina sociale della Chiesa

91. Il mistero dell'Eucaristia ci abilita e ci spinge ad un impegno coraggioso nelle strutture di questo mondo per portarvi quella novità di rapporti che ha nel dono di Dio la sua fonte inesauribile. La preghiera, che ripetiamo in ogni santa Messa: « Dacci oggi il nostro pane quotidiano », ci obbliga a fare tutto il possibile, in collaborazione con le istituzioni internazionali, statali, private, perché cessi o perlomeno diminuisca nel mondo lo scandalo della fame e della sottoalimentazione di cui soffrono tanti milioni di persone, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo. Il cristiano laico in particolare, formato alla scuola dell'Eucaristia, è chiamato ad assumere direttamente la propria responsabilità politica e sociale. Perché egli possa svolgere adeguatamente i suoi compiti occorre prepararlo attraverso una concreta educazione alla carità e alla giustizia. Per questo, come è stato richiesto dal Sinodo, è necessario che nelle Diocesi e nelle comunità cristiane venga fatta conoscere e promossa la dottrina sociale della Chiesa.(248) In questo prezioso patrimonio, proveniente dalla più antica tradizione ecclesiale, troviamo gli elementi che orientano con profonda sapienza il comportamento dei cristiani di fronte alle questioni sociali scottanti. Questa dottrina, maturata durante tutta la storia della Chiesa, si caratterizza per realismo ed equilibrio, aiutando così ad evitare fuorvianti compromessi o vacue utopie.


La lingua latina

62. Quanto affermato non deve, tuttavia, mettere in ombra il valore di queste grandi liturgie. Penso in questo momento, in particolare, alle celebrazioni che avvengono durante incontri internazionali, oggi sempre più frequenti. Esse devono essere giustamente valorizzate. Per meglio esprimere l'unità e l'universalità della Chiesa, vorrei raccomandare quanto suggerito dal Sinodo dei Vescovi, in sintonia con le direttive del
Concilio Vaticano II: (182) eccettuate le letture, l'omelia e la preghiera dei fedeli, è bene che tali celebrazioni siano in lingua latina; così pure siano recitate in latino le preghiere più note(183) della tradizione della Chiesa ed eventualmente eseguiti brani in canto gregoriano. Più in generale, chiedo che i futuri sacerdoti, fin dal tempo del seminario, siano preparati a comprendere e a celebrare la santa Messa in latino, nonché a utilizzare testi latini e a eseguire il canto gregoriano; non si trascuri la possibilità che gli stessi fedeli siano educati a conoscere le più comuni preghiere in latino, come anche a cantare in gregoriano certe parti della liturgia.(184)


La riverenza verso l'Eucaristia


65. Un segnale convincente dell'efficacia che la catechesi eucaristica ha sui fedeli è sicuramente la crescita in loro del senso del mistero di Dio presente tra noi. Ciò può essere verificato attraverso specifiche manifestazioni di riverenza verso l'Eucaristia, a cui il percorso mistagogico deve introdurre i fedeli.(190) Penso, in senso generale, all'importanza dei gesti e della postura, come l'inginocchiarsi durante i momenti salienti della preghiera eucaristica. Nell'adeguarsi alla legittima diversità di segni che si compiono nel contesto delle differenti culture, ciascuno viva ed esprima la consapevolezza di trovarsi in ogni celebrazione davanti alla maestà infinita di Dio, che ci raggiunge in modo umile nei segni sacramentali.


Adorazione e pietà eucaristica


Il rapporto intrinseco tra celebrazione e adorazione


66. Uno dei momenti più intensi del Sinodo è stato quando ci siamo recati nella Basilica di San Pietro, insieme a tanti fedeli per l'adorazione eucaristica. Con tale gesto di preghiera, l'Assemblea dei Vescovi ha inteso richiamare l'attenzione, non solo con le parole, sull'importanza della relazione intrinseca tra Celebrazione eucaristica e adorazione. In questo significativo aspetto della fede della Chiesa si trova uno degli elementi decisivi del cammino ecclesiale, compiuto dopo il rinnovamento liturgico voluto dal Concilio Vaticano II. Mentre la riforma muoveva i primi passi, a volte l'intrinseco rapporto tra la santa Messa e l'adorazione del Ss.mo Sacramento non fu abbastanza chiaramente percepito. Un'obiezione allora diffusa prendeva spunto, ad esempio, dal rilievo secondo cui il Pane eucaristico non ci sarebbe stato dato per essere contemplato, ma per essere mangiato. In realtà, alla luce dell'esperienza di preghiera della Chiesa, tale contrapposizione si rivelava priva di ogni fondamento. Già Agostino aveva detto: « nemo autem illam carnem manducat, nisi prius adoraverit; peccemus non adorando – Nessuno mangia questa carne senza prima adorarla; peccheremmo se non la adorassimo ».(191) Nell'Eucaristia, infatti, il Figlio di Dio ci viene incontro e desidera unirsi a noi; l'adorazione eucaristica non è che l'ovvio sviluppo della Celebrazione eucaristica, la quale è in se stessa il più grande atto d'adorazione della Chiesa.(192) Ricevere l'Eucaristia significa porsi in atteggiamento di adorazione verso Colui che riceviamo. Proprio così e soltanto così diventiamo una cosa sola con Lui e pregustiamo in anticipo, in qualche modo, la bellezza della liturgia celeste. L'atto di adorazione al di fuori della santa Messa prolunga ed intensifica quanto s'è fatto nella Celebrazione liturgica stessa. Infatti, « soltanto nell'adorazione può maturare un'accoglienza profonda e vera. E proprio in questo atto personale di incontro col Signore matura poi anche la missione sociale che nell'Eucaristia è racchiusa e che vuole rompere le barriere non solo tra il Signore e noi, ma anche e soprattutto le barriere che ci separano gli uni dagli altri ».(193)


La pratica dell'adorazione eucaristica


67. Insieme all'Assemblea sinodale, pertanto, raccomando vivamente ai Pastori della Chiesa e al Popolo di Dio la pratica dell'adorazione eucaristica, sia personale che comunitaria.(194) A questo proposito, di grande giovamento sarà un'adeguata catechesi in cui si spieghi ai fedeli l'importanza di questo atto di culto che permette di vivere più profondamente e con maggiore frutto la stessa Celebrazione liturgica. Nel limite del possibile, poi, soprattutto nei centri più popolosi, converrà individuare chiese od oratori da riservare appositamente all'adorazione perpetua. Inoltre, raccomando che nella formazione catechistica, ed in particolare negli itinerari di preparazione alla Prima Comunione, si introducano i fanciulli al senso e alla bellezza di sostare in compagnia di Gesù, coltivando lo stupore per la sua presenza nell'Eucaristia.

Vorrei qui esprimere ammirazione e sostegno a tutti quegli Istituti di vita consacrata i cui membri dedicano una parte significativa del loro tempo all'adorazione eucaristica. In tal modo essi offrono a tutti l'esempio di persone che si lasciano plasmare dalla presenza reale del Signore. Desidero ugualmente incoraggiare quelle associazioni di fedeli, come anche le Confraternite, che assumono questa pratica come loro speciale impegno, diventando così fermento di contemplazione per tutta la Chiesa e richiamo alla centralità di Cristo per la vita dei singoli e delle comunità.


Forme di devozione eucaristica


68. Il rapporto personale che il singolo fedele instaura con Gesù, presente nell'Eucaristia, lo rimanda sempre all'insieme della comunione ecclesiale, alimentando in lui la consapevolezza della sua appartenenza al Corpo di Cristo. Per questo, oltre ad invitare i singoli fedeli a trovare personalmente del tempo da trascorrere in preghiera davanti al Sacramento dell'altare, ritengo doveroso sollecitare le stesse parrocchie e gli altri gruppi ecclesiali a promuovere momenti di adorazione comunitaria. Ovviamente, conservano tutto il loro valore le già esistenti forme di devozione eucaristica. Penso, ad esempio, alle processioni eucaristiche, soprattutto alla tradizionale processione nella solennità del Corpus Domini, alla pia pratica delle Quarant'ore, ai Congressi eucaristici locali, nazionali e internazionali, e alle altre iniziative analoghe. Opportunamente aggiornate e adattate alle circostanze diverse, tali forme di devozione meritano di essere anche oggi coltivate.(195)


Il luogo del tabernacolo nella chiesa


69. In relazione all'importanza della custodia eucaristica e dell'adorazione e riverenza nei confronti del sacramento del Sacrificio di Cristo, il Sinodo dei Vescovi si è interrogato riguardo all'adeguata collocazione del tabernacolo all'interno delle nostre chiese.(196) La sua corretta posizione, infatti, aiuta a riconoscere la presenza reale di Cristo nel Santissimo Sacramento. È necessario pertanto che il luogo in cui vengono conservate le specie eucaristiche sia facilmente individuabile, grazie anche alla lampada perenne, da chiunque entri in chiesa. A tale fine, occorre tenere conto della disposizione architettonica dell'edificio sacro: nelle chiese in cui non esiste la cappella del Santissimo Sacramento e permane l'altare maggiore con il tabernacolo, è opportuno continuare ad avvalersi di tale struttura per la conservazione ed adorazione dell'Eucaristia, evitando di collocarvi innanzi la sede del celebrante. Nelle nuove chiese è bene predisporre la cappella del Santissimo in prossimità del presbiterio; ove ciò non sia possibile, è preferibile situare il tabernacolo nel presbiterio, in luogo sufficientemente elevato, al centro della zona absidale, oppure in altro punto ove sia ugualmente ben visibile. Tali accorgimenti concorrono a conferire dignità al tabernacolo, che deve sempre essere curato anche sotto il profilo artistico. Ovviamente è necessario tener conto di quanto afferma in proposito l'Ordinamento Generale del Messale Romano.(197) Il giudizio ultimo su questa materia spetta comunque al Vescovo diocesano.


************************
clicca qui:
TESTO INTEGRALE [SM=g1740717]


ESORTAZIONE APOSTOLICA
POSTSINODALE
SACRAMENTUM CARITATIS
DEL SANTO PADRE
BENEDETTO XVI
ALL'EPISCOPATO, AL CLERO
ALLE PERSONE CONSACRATE
E AI FEDELI LAICI
SULL'EUCARISTIA
FONTE E CULMINE DELLA VITA
E DELLA MISSIONE DELLA CHIESA


Dato a Roma, presso San Pietro, il 22 febbraio 2007, festa della Cattedra di San Pietro Apostolo, secondo del mio Pontificato.
BENEDICTUS PP. XVI



__________________
"Se sarete quello che dovete essere, metterete fuoco in Italia e nel mondo intero" (Santa Caterina da Siena)
__________________
Vogliamo essere veramente segno di contraddizione?

Altro non vi dico (…) Non vorrei più parole, ma trovarmi nel campo della battaglia, sostenendo le pene, e combattendo con voi insieme per la verità infino alla morte, per gloria e lode del nome di Dio, e reformazione della Santa Chiesa…”
(Santa Caterina da Siena, Lettera 305 al Papa Urbano VI ove lottò fino alla morte per difendere l’autorità del Pontefice)



Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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Mercoledì 17 maggio – I Santi parlano ai Sacerdoti

CONFERENZA DELLA PROF.SSA MARIA ANTONIETTA FALCHI PELLEGRINI

SANTA CATERINA E I SACERDOTI: UN MESSAGGIO PER LA CHIESA DEL TERZO MILLENNIO


"Nei secoli, sempre, gli avvenimenti visibili della vita della Chiesa si preparano nel dialogo silenzioso delle anime consacrate con il loro Signore. La Vergine, che custodiva nel suo cuore ogni parola che Dio le rivolgeva, è il modello di quelle anime attente in cui rivive la preghiera di Gesù sommo sacerdote, e quelle anime che, dietro il suo esempio, si danno alla contemplazione della vita e della passione di Cristo, vengono scelte di preferenza dal Signore per essere gli strumenti delle sue grandi opere nella Chiesa, come una santa Brigida e una santa Caterina da Siena".

Queste parole sono di Edith Stein e ci introducono in modo sorprendente alla comprensione di Santa Caterina, della sua relazione privilegiata con la Chiesa e con i suoi Ministri. Sono unite, in questo passo, le tre Sante che Giovanni Paolo II ha proclamato recentemente Compatrone d'Europa: santa Brigida di Svezia, santa Caterina da Siena, santa Teresa Benedetta della Croce. E' una significativa coincidenza, forse l'intuizione di un cammino comune di cui l'Autrice non poteva prevedere gli esiti, ma comune a queste tre donne è certo "la contemplazione della vita e della passione di Cristo", la condivisione della sua preghiera sacerdotale.

Giungiamo, attraverso queste riflessioni, al cuore della santità di Caterina, al suo fondamento, forte come roccia: l'amore a Gesù Crocifisso, che si traduce in amore e dedizione alla Chiesa, sua Sposa, al suo Vicario in terra, ai suoi Ministri. E' un amore al tempo stesso di figlia e di madre, tenero e forte, apprensivo e rassicurante, severo e comprensivo, che tutto chiede e tutto da, totale, che non si risparmia. Perciò la Santa è stata scelta, ed ha accettato di diventare, strumento dell'opera di Dio nella Chiesa.

Straordinario e mirabile è il percorso diacronico di questa fanciulla senese: nata nel 1347, ventiquattresima figlia del tintore di panni Iacopo di Benincasa e di Monna Lapa, morta a Roma nel 1380, canonizzata da Pio II nel 1461, proclamata il 4 ottobre 1970 Dottore della Chiesa da Paolo vi, è infine proclamata il 1° ottobre 1999 Compatrona d'Europa da Giovanni Paolo II. Questo percorso, che attraversa molti secoli di storia della Chiesa, segna una sempre crescente attualità del messaggio di Caterina a fronte delle nuove prospettive socioculturali.

La Santa senese, che rifiuta il matrimonio, voluto dalla madre, per essere totalmente fedele all'unico Sposo, Gesù, e vive il suo matrimonio mistico nel mondo, nel terz'ordine domenicano delle Mantellate, incarna luminosamente il "genio femminile" descritto da Giovanni Paolo II nella Mulieris Dignitatem. Nelle parole del Papa, l'unione con Cristo e la libertà radicata in Dio spiegano la grande opera di Santa Caterina da Siena nella vita della Chiesa (M.D., n.27).

Solo l'unione con Cristo può aver dato a Caterina, in tempi in cui la donna non aveva spazi d'azione al di fuori della casa o del convento, la forza di viaggiare, di parlare in pubblico, di trattare con Papi e sovrani, di svolgere preziose e difficili funzioni di pacificazione nei sanguinosi conflitti politici del tempo, di combattere per la riforma e per l'unità della Chiesa. straziata prima dall'esilio avignonese e poi dallo Scisma d'Occidente. Caterina, una giovane donna incolta, che tratta con autorità gli uomini più potenti dell'epoca! Certo non erano sue la forza, l'autorità che manifestava: come ella stessa non ai stancava di ripetere. Cristo parlava in lei e per mezzo di lei, che era diventata strumento perfetto della volontà di Dio. Scriveva infatti ai potenti in nome di Gesù Crocifisso e nel suo prezioso Sangue e in questo nome glorioso poteva permettersi rampogne ed incitamenti, avendo sempre di mira la gloria di Dio, il bene della Chiesa, la salvezza delle anime, la pace di tutti gli uomini.

Leggendo la vita di Caterina, sovvengono le parole rivolte alla Vergine Santissima dall'Arcangelo Gabriele: "Nulla è impossibile a Dio". Ed il Signore stesso ricorda queste parole a Caterina, quando le chiede di uscire dalla casa per iniziare il suo apostolato pubblico. Nella sua vita tutto è opera di Dio: dalla sua dottrina, di cui già Pio II, nella bolla di canonizzazione, diceva "non acquisita fuit", non supportata da una adeguata formazione culturale, alla sua azione, che trascendeva ogni possibile impegno di forze umane. Di lei Paolo VI, proclamandola Dottore della Chiesa, dice: "Ciò che più colpisce nella santa è la sapienza infusa, cioè la lucida, profonda ed inebriante assimilazione delle verità divine e dei misteri della fede... una assimilazione, favorita, sì, da doti naturali singolarissime, ma evidentemente prodigiosa, dovuta ad un carisma di sapienza dello Spirito santo".

La docilità all'azione di Dio, al dono dello Spirito è ciò che fa grande santa Caterina, in una totale unione d'amore tra Colui che è e colei che non è, come il tipico linguaggio cateriniano esprime il rapporto tra il Creatore e la creatura. "Ho deciso di mandare femmine ignare, deboli e fragili per natura, ma ricche della mia sapienza divina, a confusione della loro superbia e temerarietà", le dice il Signore. Ancora una volta Dio ha scelto i deboli per confondere i forti ed ha rivelato ai piccoli, ad una piccola grande donna, i misteri del Suo Regno.

Vicina a Maria nell'obbedienza della fede, Caterina lo è anche nella maternità spirituale verso la Chiesa. "Caterina riflette in se stessa l'immagine di Maria, madre della Chiesa. Essa sente questo compito materno come la sua missione particolarissima". Perciò soffre quando vede la Sposa sciupata ed impallidita per le colpe dei suoi figli e di questo li accusa e li rimprovera, ed ancor più se sono i suoi stessi Ministri a ferire con la loro condotta la Sposa di Cristo. Come ricorda Giovanni Paolo II proclamandola Compatrona d'Europa, la vergine senese ha speso senza riserve tutta la vita per la Chiesa. Ella stessa lo testimonia ai suoi figli spirituali sul letto di morte: "Tenete per fermo, figlioli carissimi, che io ho dato la vita per la santa Chiesa".

Nel 1370, risvegliatasi dopo l'esperienza della morte mistica, Caterina confida al suo Confessore di aver udito dal Signore queste parole; "La cella non sarà più la tua consueta abitazione; anzi, per la salute delle anime ti toccherà uscire anche dalla tua città... porterai l'onore del mio nome e la mia dottrina a piccoli o grandi, siano essi laici, chierici o religiosi. Metterò sulla tua bocca una sapienza, alla quale nessuno potrà resistere. Ti condurrò davanti ai Pontefici, ai Capi delle Chiese e del popolo cristiano, affinché per mezzo dei deboli, come è mio modo di fare, io umilii la superbia dei forti".

Inizia così, per obbedienza all'amore di Dio, la vita pubblica di Caterina. Se lascia la cella della sua stanza per diventare ambasciatrice di Cristo, "Dolce Verità" in Italia ed in Europa, sempre più si raccoglie nella "cella, inferiore", dove l'anima s'intrattiene da sola con il suo Signore e qui, solo qui, attinge dal Crocifisso la sapienza e la forza per l'azione. Certo, S. Tommaso e l'intera tradizione cristiana sono presenti in Caterina, assimilati dall'ambiente religioso che la circonda. Ma la Santa non si fonda su una cultura umana, bensì, come S. Paolo, sulla conoscenza di Cristo Crocifisso e, da vera figlia di S. Domenico, trasmette agli altri ciò che ha conosciuto nella contemplazione.

La vita della santa senese testimonia come azione e contemplazione non siano alternative, ne tanto meno antitetiche, ma necessariamente si integrino, poiché nessuna è completa senza l'altra. Tanto più nella società contemporanea/ dove viviamo in una continua corsa contro il tempo, questo insegnamento appare significativo: nessun impegno» pastorale o lavorativo, può distoglierci dall'intimità con Colui senza il quale niente avrebbe più senso. Occorre permanere nella "cella interiore", nella cella del "conoscimento di sé": questo non si stanca di raccomandare Caterina ai Sacerdoti, come arma per vincere le tentazioni e le insidie del mondo.

Mentre l'Italia era straziata dalle lotte civili e la Chiesa era preda della corruzione e degli interessi politici, l'opera della Santa ha tre principali obiettivi; la pacificazione delle città italiane, la riforma della Chiesa, il ritorno del Papa a Roma da Avignone. In ogni impresa si impegna senza risparmiarsi, munita solo della forza della sua fede e della sua carità. E Dio corona di risultati la sua opera. Il ritorno di Gregorio XI dall'esilio di Avignone è il massimo di questi risultati, quello per cui la storia ricorderà sempre il nome di Caterina, un risultato arduo per chiunque, impossibile per una fanciulla priva di alcun potere terreno. Ma Dio operava attraverso di lei.

La gioia per il ritorno del Papa è di breve durata. Dopo poco la Chiesa è dilaniata dallo scisma. Caterina si reca a Roma, chiamata da urbano VI, è qui consuma le sue residue forze in olocausto per la Chiesa, sostenendo in ogni modo il legittimo Pontefice, non risparmiando alcun mezzo, dai rimproveri infuocati, alle esortazioni, alle preghiere per questa ultima battaglia, di cui non vedrà la conclusione.

Le battaglie combattute da santa Caterina per la Chiesa sono testimoniate nelle sue lettere a Papi, Cardinali, Monaci, Sacerdoti, ... In esse è sempre presente un grande amore ai sacri Ministri, amore unito a devozione e rispetto, riverente di fronte alla dignità del Sacramento che essi amministrano. "Padre, per la riverenza del Sacramento": molte volte si rivolge così ai Sacerdoti. La profondità di questo amore, che non dipende certo dai ineriti umani dei destinatari, è pari solo alla forza dei rimproveri per coloro che hanno deturpato il volto della Chiesa-Sposa. Ed è la consapevolezza di questo amore che rende libera Caterina, consentendole di pronunciare accuse e rimproveri per il bene della Chiesa, senza timore di essere spinta da altre, più terrene ragioni.

Solo al Papa, e mai ai secolari, tenuti sempre alla riverenza verso i Sacerdoti, spetta infatti la correzione dei difetti di questi ultimi, poiché Cristo ha lasciato all'Apostolo Pietro ed ai suoi successori le chiavi del suo Sangue, da cui traggono vita tutti i Sacramenti. Al Papa, che con ardente fede Caterina riconosce come "dolce Cristo in terra" e con tenero affetto chiama "Babbo mio dolcissimo", chiede di operare con forza per la riforma della Chiesa. "Mettete mano a levare la puzza de ministri della santa Chiesa; traetene e' fiori puzzolenti, piantatevi fiori odoriferi, uomini virtuosi che temano Dio".

Nelle lettere ai Sacerdoti, Caterina propone le linee di una riforma che, per toccare l'intero corpo ecclesiale, deve prendere le mosse dalla conversione personale. Addita ad essi l'amor proprio come fonte di tutti i vizi e l'umiltà come prima tra le virtù, raccomandando una vita sobria, staccata dai piaceri terreni, ma sollecita del bene delle anime, ispirata alla purezza, alla pace, alla carità. Il Sacerdote vive nell'orazione e, come lo descrive con bella simbologia Caterina, "con la sposa del breviario a fianco". Rivolgendosi, con materna sollecitudine, ai Sacerdoti nelle loro diverse condizioni umane, sempre rende presente, anche ai più fragili, la dignità, in cui Dio li ha posti, di dispensatori del Sangue dell'Agnello. E, per aiutarli, ricorda come il "conoscimento di sé", ottenuto con la ragione illuminata dalla fede, sia irrinunciabile condizione di una vita virtuosa ed incoraggia ad affidarsi a Maria alla quale, scrive, "siete stati offerti e donati". E ancora materna è la forza dei rimproveri, sempre orientât! alla conversione di chi ha sbagliato. Ma c'è un'unica raccomandazione da cui mai Caterina prescinde: "Rimanete nella dolce e santa dilezione di Dio".

E per concludere ascoltiamo dal carisma sapienziale di Caterina chi sono i Sacerdoti. La Santa vi dedica molte pagine del Libro, che sarà poi indicato come Dialogo della Divina Provvidenza, da lei dettato ai discepoli durante le estasi, e descrive la dignità ministeriale, dono di Dio, come dignità superiore a quella degli Angeli.

"O carissima Figliola, tutto questo ti ho detto acciò che tu meglio conosca la dignità in cui ho posto i miei ministri, e più ti dolga delle loro miserie… Essi sono i miei unti, ed io li chiamò i miei cristi, perché ho dato loro me stesso da amministrare a voi. Questa dignità non ha l'angelo, e l'ho data agli uomini, a quelli che io ho eletto per miei ministri".

I Sacerdoti sono per Caterina "ministri del Sole", poiché sono ministri del Corpo e del Sangue di Cristo, che è una sola cosa con Dio, vero sole. Da questo altissimo Ministero derivano le funzioni, i doveri dei Sacerdoti: l'amministrazione dei Sacramenti, la dedizione alla gloria di "Di.o e alla salute delle anime, l'illuminazione dei fedeli con la parola e con l'esempio, la correzione dei peccatori, te preghiera per i fedeli, la carità verso i poveri.

I ministri santi e virtuosi, dice ancora Dio a Caterina, sono essi stessi somiglianti al gole. Ne hanno infatti la luce e il calore, "poiché in loro non vi è tenebra di peccato ne ignoranza, perché seguono la dottrina della mia Verità; ne sono tiepidi, poiché ardono nella fornace della mia carità". Perciò danno lume e calore nel corpo mistico della Chiesa, illuminando e riscaldando le anime con la scienza soprannaturale e l'ardente carità.

Per i Sacerdoti, i suoi "cristi", Dio chiede sempre riverenza e rispetto, qualunque possa essere la loro debolezza umana, poiché ogni offesa fatta a loro è fatta a Lui stesso, e chiede, a Caterina ed a tutti i cristiani, la preghiera assidua per la santa Chiesa e per i suoi ministri.

_________________________________________

1 La preghiera della Chiesa, 1936.
2 Tommaso da Siena detto il Caffarini, Vita di S.Caterina, P.II, c.I.
3 AAS, LXII, 31 ottobre 1970.
4 Tommaso da Siena detto il Caffarini, op.cit, P.II, c.I.
5 C. Riccardi, II messaggio filosofico e mistico di S. Caterina da Siena, Ed. Cantagalli, 1994, p.152.
6 Raimondo da Capua, Vita di S, Caterina da Siena, l.III, c.IV, n.363.
7 Ibid., n. 216.
8 Cfr. S. Caterina da Siena, Dialogo della Divina Provvidenza, c.115.
9 A Gregorio XI, Lettera 270.
10 A prete Andrea de' Vitroni, Lettera n.2.
11 A don Roberto da Napoli, Lettera n.342.
12 S. Caterina da Siena, Dialogo della Divina provvidenza, c.113.
13 Ibid., c. 119.
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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Intervista a padre Edward McNamara


ROMA, martedì, 17 aprile 2007 (ZENIT.org).- La vera bellezza della liturgia traspare quando il prete e l’assemblea partecipano ad essa in modo attivo e pieno di fervore, afferma padre Edward McNamara, L.C.

Padre McNamara, professore di Liturgia presso l’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum di Roma, scrive settimanalmente per la rubrica liturgica dell'edizione inglese di ZENIT.

ZENIT lo ha intervistato in relazione all’Esortazione apostolica postsinodale di Benedetto XVI, che raccoglie le conclusioni del Sinodo dei Vescovi dell’ottobre 2005, al quale il padre McNamara ha partecipato in qualità di esperto.

In questa intervista egli approfondisce alcune osservazioni ed esortazioni particolari che il Papa esprime nella “Sacramentum Caritatis”.

Al n. 35 il Papa scrive: “La liturgia, infatti, come del resto la Rivelazione cristiana, ha un intrinseco legame con la bellezza: è veritatis splendor”. È troppo dire che una liturgia bella è conditio sine qua non di una comunità cattolica viva?

Padre McNamara: Come afferma il Santo Padre, la bellezza è connaturata alla liturgia; è intimamente legata a una liturgia autentica.

Bellezza, tuttavia, non significa solo avere meravigliosi edifici sacri e musica sublime. La bellezza principale nella liturgia è quella che emerge da una comunità unita, cuore ed anima, nella preghiera e nella celebrazione del sacrificio di Cristo. È la bellezza di una partecipazione piena, attiva e piena di fervore del sacerdote e dell’assemblea, al Mistero.

Questa bellezza si raggiunge, nonostante eventuali carenze esteriori, ogni qual volta i ministri e ciascuno dei fedeli si sforzano di vivere in pienezza la liturgia.

Altre forme di bellezza: musica, arte, poesia e una sobria solennità nel rituale, derivano in modo naturale da questa bellezza interiore, perché quanto più profondamente una comunità vive e comprende la bellezza del mistero liturgico, tanto più essa cerca di esprimerlo in forme esteriori altrettanto belle. È la considerazione naturale secondo cui solo il meglio di ciò che possiamo offrire è veramente degno del Signore.

In questo senso, vi sono solidi elementi storici che dimostrano che persino prima dell’epoca delle persecuzioni, i cristiani celebravano l’Eucaristia con i materiali più preziosi che avevano a disposizione. Questo spiega perché il boom nella costruzione delle basiliche, subito dopo il periodo delle persecuzioni, e la solennità delle forme rituali che a ciò si accompagnò, fu percepito come un’evoluzione naturale, e non come una rottura, rispetto alla pratica precedente.

È la stessa considerazione che ha condotto le generazioni dei poveri immigrati negli Stati Uniti a fare grandi sacrifici pur di dotare le loro comunità parrocchiali con chiese maestose, colme di sublimi opere d’arte.

D’altra parte, forme liturgiche brutte, blande, banali e di cattivo gusto, sono segno di uno scarso apprezzamento del Mistero e talvolta, purtroppo, di scarsa fede.

Al n. 37 il Santo Padre scrive: “Poiché la liturgia eucaristica è essenzialmente actio Dei che ci coinvolge in Gesù per mezzo dello Spirito, il suo fondamento non è a disposizione del nostro arbitrio e non può subire il ricatto delle mode del momento”. Questa frase è indirizzata al clero?

Padre McNamara: È certamente indirizzata al clero, ma non solo ad esso. Anzitutto essa riguarda la struttura fondamentale della liturgia e non solo le rubriche; dicendo che la liturgia è principalmente un’azione di Dio, essa contraddice tutti coloro che tentano di ridurla ad una mera espressione sociologica che può essere liberamente adattata al mutare delle società.

Il pericolo di tenere la liturgia ostaggio dell’ultima moda riguarda non solo il clero ma tutti coloro che partecipano alla preparazione liturgica. Vi sono certamente dei preti che cambiano arbitrariamente la liturgia a loro piacimento, ma vi sono anche dei lettori che spontaneamente correggono le letture per motivi ideologici, e direttori di musica che subordinano la liturgia alle esigenze della musica e non viceversa, e coloro che introducono forme inappropriate di musica in nome dell’attualità.

Credo che il punto che il Santo Padre ha cercato di sottolineare è quello della necessità di reimparare a ricevere la liturgia come una preziosa eredità da custodire e non come un gioco con cui divertirsi.

Benedetto XVI dice schiettamente al n. 46 che: “In relazione all’importanza della Parola di Dio si pone la necessità di migliorare la qualità dell’omelia”. In che modo i sacerdoti possono migliorare in questo?

Padre McNamara: Vi sono molti testi eccellenti a cui si può attingere nei libri e su Internet, ma io credo che nulla può sostituire l’importanza delle tre “P” nel migliorare la qualità delle omelie: preghiera, preparazione e pratica. Anzitutto l’omelia deve essere il frutto della preghiera, di una genuina conversazione con Dio sul testo.

Può sembrare duro, ma un prete o un diacono la cui omelia non è frutto della meditazione in realtà non ha nulla che meriti di essere pronunciato, perché egli avrà potuto solo che dare se stesso. Un’omelia di 8 o 10 minuti richiede una notevole preparazione per porre nella migliore forma umana possibile ciò che Dio vuole che venga detto.

Preparazione significa anche che il sacerdote o il diacono devono continuamente alimentare la propria anima e la propria mente attraverso una formazione continua. Un buon predicatore cerca anche di esercitarsi prima di pronunciare la sua omelia, nella sua dizione, nelle inflessioni e anche nella tempistica. Quest’ultima raccomandazione è particolarmente importante per i preti e diaconi più giovani, il cui entusiasmo unito ad una mancanza di esperienza spesso li porta a voler dire troppe cose tutte insieme.

Al n. 6 dell’Esortazione il Papa scrive: “Ogni grande riforma è legata, in qualche modo, alla riscoperta della fede nella presenza eucaristica del Signore in mezzo al suo popolo”. Questa importanza data all’Eucaristia la pone in precedenza rispetto ad altre priorità come l’ecumenismo, la vita familiare e i rapporti con l’Islam?

Padre McNamara: Io credo che sia più una questione della qualità di questi obiettivi, piuttosto che della loro priorità cronologica. Se noi cattolici non siamo profondamente ancorati ai principi fondamentali della nostra fede e della nostra pratica, allora l’impegno in altre priorità come l’ecumenismo o i rapporti con l’Islam sarà superficiale e vacuo, e basato su un falso irenismo e una vuota retorica.

Per esempio, un cristiano evangelico pieno di fervore e di grande cultura biblica si sentirebbe probabilmente più a suo agio con un cattolico di profondo zelo eucaristico, rispetto ad uno che sia carente in tale devozione. Magari si accorderebbero su pochi elementi da un punto di vista teologico, ma avrebbero una comprensione reciproca molto migliore come persone per le quali la questione della presenza di Dio costituisce una realtà vissuta. Qualcosa di simile si potrebbe dire riguardo ai musulmani devoti.

L’Esortazione incoraggia un uso più ampio del latino nelle celebrazioni eucaristiche. Quali sono i vantaggi che potrebbero derivare da un uso più diffuso del latino e come si può concepire questo in un mondo che in gran parte ha perso la sua familiarità con questa lingua?

Padre McNamara: I vantaggi sono molteplici. Si pensi alla differenza che comporterebbe, per la prossima Giornata Mondiale della Gioventù di Sydney, se i 500.000 giovani potessero cantare ad una sola voce “Sanctus, Sanctus” o il Padre Nostro, e non solo ascoltarne il coro. Il senso di appartenenza alla Chiesa potrebbe essere notevolmente rafforzato.

Da un altro punto di vista, celebrare ogni tanto, o anche più di frequente, la Messa in latino, e usare il latino dei canti gregoriani, aiuterebbe a recuperare il senso del sacro nella liturgia, poiché molti di questi canti riescono a musicare i testi molto meglio degli arrangiamenti in lingua locale.

È vero che vi è una familiarità con il latino molto minore rispetto a prima, ma paradossalmente, il fatto che le versioni originarie dei testi siano già ben impresse nella mente, potrebbe invece facilitare l’uso occasionale del latino. La gente conoscerebbe a memoria il significato del testo e potrebbe apprezzare la bellezza di quello latino, soprattutto per quanto riguarda i canti.

Alcuni dicono che si tratti di un’avventura stravagante, tuttavia sono molti gli esempi in tutto il mondo di parrocchie che hanno raggiunto un equilibrio tra l’uso della lingua locale e del latino, sia per i testi, sia per la musica, e di cui tutti hanno tratto beneficio spirituale.

Una sezione del documento tratta delle implicazioni sociali dell’Eucaristia. In che modo la nostra vita eucaristica ci induce ad una maggiore attenzione alla giustizia e alla carità?

Padre McNamara: Come si afferma nel già citato n. 37, la liturgia dell’Eucaristia ci porta a Cristo attraverso lo Spirito Santo. Più un’anima è vicina a Cristo, più essa si identifica con lui e cerca di imitarlo.

La vicinanza con Cristo ci porta a riconoscerlo negli altri, soprattutto nelle persone che hanno fame, sete, che sono nude, ignoranti, ammalate o in prigione. Essere vicini a Cristo significa essere vicini al suo atto supremo di donazione di se stesso sul Calvario, una donazione che rappresenta il culmine dei suoi insegnamenti delle beatitudini. In questo modo, un’autentica devozione eucaristica non può non portare frutti di giustizia e di carità.

Per alcuni, questo comporterà un impegno concreto in attività in cui si promuovono la giustizia e la carità. Per altri, implicherà forme di preghiera e di sacrificio in favore delle persone bisognose. Per tutti, significa praticare la giustizia e la carità nella nostra vita quotidiana e nei nostri rapporti con gli altri.


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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L'apertura a Fabriano della sessantunesima Settimana liturgica nazionale

Eucaristia
per la vita quotidiana


Aperta a Fabriano la sessantunesima settimana liturgica nazionale dedicata a "Eucaristia e condivisione. "Dacci oggi il nostro pane quotidiano" (Matteo 6, 11)" che si concluderà il 27 agosto. Pubblichiamo ampi stralci della relazione introduttiva del cardinale patriarca di Venezia.
  

di Angelo, cardinale Scola

Nel titolo della relazione - Eucaristia per la vita quotidiana - introduttiva ai lavori della sessantunesima Settimana liturgica nazionale, la preposizione per che unisce le due parti apre una strada feconda di riflessione. Il per dice, infatti, l'intrinseco dono dell'evento salvifico di Gesù Cristo fatto agli uomini. Egli, infatti, si è fatto uno come noi, in tutto simile tranne che nel peccato, è morto e risorto e ha donato il Suo Spirito, per noi e per la nostra salvezza.

Ma perché possa emergere in tutta la sua potenza il valore di questo per come trait d'union tra l'Eucaristia e la vita quotidiana, è necessario dire una parola su entrambi questi termini:  Eucaristia e vita quotidiana. 
Con un'espressione icastica, Benedetto XVI si è riferito al Santissimo Sacramento affermando:  "L'Eucaristia è Cristo che si dona a noi, edificandoci continuamente come suo corpo" (14).
 
In modo geniale vengono qui indicati gli elementi essenziali della teologia eucaristica: 
il suo essere celebrazione sacramentale (Eucaristia),
la presenza reale (Cristo),
il sacrificio (si dona - tradens),
la Chiesa come res sacramenti (suo corpo).

Inoltre l'uso dei participi presenti - tradens, aedificans - dice l'immediato riferimento all'altro termine del nostro titolo:  il quotidiano, cioè, l'hic et nunc. Ed in esso trova oggettiva collocazione il tema della radice eucaristica della condivisione, messo a titolo di questa sessantunesima Settimana Eucaristica Nazionale. Questa poi ha voluto esplicitamente collegarsi all'ormai imminente Congresso Eucaristico Nazionale il cui significativo titolo recita:  "Signore da chi andremo? L'Eucaristia per la vita quotidiana".

Una riflessione organica sull'Eucaristia non potrà dimenticare nessuno di questi elementi fondamentali. Anzi, è possibile affermare che le distorsioni riscontrabili lungo i secoli, nella teologia e nella prassi eucaristica, potrebbero essere descritte a partire dall'esame delle verità a essa relative che sono state trascurate.
Così, senza la pretesa di essere esaustivi, possiamo riconoscere che dimenticare la dimensione liturgico-sacramentale condurrebbe inevitabilmente a disincarnare il rapporto con Cristo. Non parlare della presenza reale equivarrebbe a confinare la specificità dell'evento cristiano nelle strette maglie di una generica religiosità. Dimenticare la dimensione sacrificale sradicherebbe l'Eucaristia dalla singolare missione redentrice di Gesù. O, infine, trascurare che la res sacramenti è la Chiesa e la sua unità, sfocerebbe nella riduzione individualistica del cristianesimo
.

L'Eucaristia, quindi, in forza della sua propria e specifica integralità, deve essere per la vita quotidiana.
Cosa dire, ora, sull'espressione "vita quotidiana"? Essa si presenta in modo molto più complesso di quanto a prima vista si potrebbe pensare.

Innanzitutto occorre affermare che tale espressione si riferisce all'esperienza della vita comune propria di tutti gli uomini. Se si è precisi, infatti, il succedersi degli istanti non costituisce vita quotidiana né per il mondo inanimato, né per quello animale. Il quotidiano esige che il soggetto protagonista ne sia consapevole, possa riconoscerlo come tale. Pertanto l'espressione "vita quotidiana" dice qualcosa di specificamente umano. Parliamo della vita, ciò in cui tutti noi, per il fatto di essere uomini e donne, siamo immersi. Il quotidiano è l'humanum in sé e per sé.
In secondo luogo parlare di vita quotidiana significa primariamente riferirsi alla dimensione del tempo come costitutiva dell'umana esperienza dell'esistenza. L'etimologia di "quotidiano" ci rimanda all'avverbio latino quotidie, di ogni giorno. Esso da una parte ci richiama la dimensione del presente:  è quotidiano ciò che è oggi. Dall'altra ci ricorda la dimensione della continuità:  è quotidiano ciò che è di ogni giorno. Le due dimensioni, presente e continuità, ci permettono di identificare le costanti dell'esperienza umana che, riproponendosi in ogni tempo e in ogni luogo, ci fanno appunto parlare di "vita quotidiana".

Possiamo indicarne almeno due:  gli affetti e il lavoro, cui aggiungeremo qualche considerazione decisiva sul sacrificio. A partire da queste costanti, e da tutto ciò che in esse è implicato (fecondità, dono di sé, riposo, edificazione sociale, sofferenza, condizione di prova...), può essere descritta la vita quotidiana degli uomini.

La "vita quotidiana", in quanto espressione propriamente umana, si gioca, innanzitutto, nell'esperienza che ogni uomo fa, e non può non fare, del tempo.
Il tempo, come sappiamo, è rilevabile dall'uomo anzitutto nel presente. Occorre, tuttavia, affermare che non è possibile parlare di presente fuori dalle dimensioni del passato e del futuro. Infatti, possiamo parlare di presente solo perché sta in relazione con quanto è già avvenuto e con quanto deve ancora accadere. E proprio in questo doppio intrinseco riferimento il presente trova la sua consistenza. Da questa insuperabile connessione tra presente, passato e futuro si evince che così come il presente è l'ambito specifico della libertà, il passato lo è della memoria e il futuro della speranza. Memoria, libertà e speranza esprimono un io in cammino, individuano cioè un uomo che, dall'origine (passato), possiede una sua effettiva consistenza (presente), ma che ancora si trova sulla strada del compimento definitivo (futuro).

In che modo l'Eucaristia illumina l'esperienza che inevitabilmente l'uomo fa del tempo a cui, con rapidissimi tratti, abbiamo accennato?

Anzitutto occorre ricordare che il presente eucaristico, il nostro partecipare alla santa messa, sta sotto una precisa ingiunzione di nostro Signore:  "Fate questo in memoria di me" (Luca, 22, 19).
 La "ripetizione" dell'azione eucaristica (che non va mai confusa con la ripetitività) è un dato liturgico di primissimo ordine che sta alla radice non solo del ritmo celebrativo domenicale, ma anche di quello feriale. Essa è legata al mistero della presenza reale di Cristo, mistero sacramentale che assicura la contemporaneità del Crocifisso Risorto a ogni uomo di ogni tempo.
In secondo luogo, non possiamo dimenticare la natura di memoriale propria del sacramento eucaristico
.

Questo radicamento dell'evento eucaristico nella storia provoca la libertà del fedele al riconoscimento del dono che la precede e la costituisce:  l'Eucaristia, come afferma Benedetto XVI, dice "la precedenza non solo cronologica ma anche ontologica del suo averci amati "per primo". Egli è per l'eternità colui che ci ama per primo" (Sacramentum caritatis, n. 14).
Se consideriamo la rilevanza antropologica dell'Eucaristia nelle dimensioni essenziali dell'esperienza umana dobbiamo prendere in considerazione l'ambito degli affetti.

Con questo vocabolo intendo indicare i cardini costitutivi dell'amore nell'umana esperienza.
Innanzitutto la dimensione del corpo e, quindi, della differenza sessuale. La vita quotidiana è inevitabilmente vissuta da ciascuno di noi nel suo proprio corpo, interamente maschile o femminile, e ogni azione e passione esprimono sempre un io situato nella differenza sessuale.
Alla considerazione del corpo sessuato la nostra umana esperienza lega immediatamente la dimensione del desiderio, quindi dell'attrazione che l'altro esercita sull'io e, pertanto, dell'uscita da sé, della strada verso il dono di sé. È la strada dell'amore, inscindibile intreccio di eros e agape.

A nessuno di noi sfugge il livello di confusione in cui queste dimensioni fondamentali dell'avventura umana vengono oggi vissute e, ciò che è più grave, proposte dalla cultura dominante. La pretesa di poter prescindere dalla differenza sessuale e, contemporaneamente, un'esaltazione astratta del corpo, la separazione di amore e fecondità - o perché si cerca un preteso sterile dono di sé o perché si vuol essere fecondi senza consegna di sé -, l'orizzonte assai inquietante della clonazione umana che abolirebbe l'esperienza originaria della paternità-figliolanza... e l'elenco potrebbe continuare.

Di fronte a tutti questi elementi che rendono il travaglio del nostro tempo particolarmente doloroso e che, senz'altro, lasceranno non poche ferite, l'Eucaristia ha qualcosa da dirci?
Benedetto XVI, nel numero 27 di Sacramentum caritatis, risponde affermativamente a questa domanda:  "L'Eucaristia, sacramento della carità, mostra un particolare rapporto con l'amore tra l'uomo e la donna, uniti in matrimonio. Approfondire questo legame è una necessità propria del nostro tempo".

Per farlo è opportuno partire da un dato:  l'Eucaristia è il Corpo del Signore. La modalità con cui Gesù ha voluto rendersi permanentemente presente alla libertà degli uomini è stata quella di farli prendere parte al dono del Suo Corpo e al Suo Sangue:  la comunione. Ma parlare del Corpo del Signore - a un tempo l'Eucaristia e la Chiesa (la communio eucaristica e quella ecclesiale) - implica riconoscere il legame che esiste, nella Sacra Scrittura e quindi nella riflessione teologica, tra il linguaggio somatologico (del corpo) e quello nuziale.

Così, attraverso la partecipazione quotidiana all'Eucaristia, i fedeli vengono educati all'esperienza del "bell'amore". Nell'Eucaristia il Corpo del Signore viene loro amorosamente offerto sempre come l'Altro gratuitamente donato.

Una seconda dimensione che caratterizza l'esperienza elementare di ogni uomo, vissuta nella vita quotidiana, è il lavoro. L'ambito del lavoro esprime la capacità di interagire con la realtà, in tutte le sue dimensioni, ivi comprese quelle economica e socio-politica.

Infatti, nel suo rapporto con la realtà, l'uomo impegna la propria capacità creativa per edificare la vita sociale in tutti i soggetti personali e comunitari che la costituiscono, cominciando da quelle più prossime. Basti pensare, ad esempio, alla necessità di "lavorare per mangiare" (cfr. Seconda lettera ai Tessalonicesi, 3, 10). Questo dato elementare - l'uomo lavora per guadagnarsi il pane - rivela, a uno sguardo attento, l'intreccio di una serie di rapporti e fattori non privi di una certa complessità.

Come l'Eucaristia può illuminare tutti questi elementi riferiti al lavoro inteso in questo senso largo come fattore costitutivo della vita quotidiana?

L'Eucaristia è sempre azione eucaristica (tutta la teologia del rito viene qui chiamata in causa). Certamente il soggetto proprio, il protagonista di questa azione eucaristica è lo stesso Cristo Signore. E proprio per questo possiamo dire che l'Eucaristia è, nel presente della Chiesa, il compimento permanente delle parole di Gesù:  "Pater meus usque modo operatur, et ego operor - Il Padre mio agisce anche ora e anch'io agisco" (Giovanni, 5, 17). Ma, come ben sappiamo, l'opera del Padre e del Figlio coinvolge, nello Spirito, la libertà degli uomini, li rende co-agonisti dell'azione eucaristica (ministri e assemblea).

Infatti l'Eucaristia è azione nella forma del dono e questo chiede sempre una libertà che lo accolga, che si metta in rel-azione e riceva quanto le viene offerto gratuitamente. In questo modo, nell'azione eucaristica, l'uomo impara quotidianamente anche in cosa consista la verità del suo agire, perciò anche del suo lavoro. Il suo agire non è mai come l'agire del Creatore, ma è sempre un co-agire, un agire che è rel-azione e in quanto tale non si può attuare in modo autonomo rispetto a ciò che lo precede:  la realtà in tutta la sua alterità. L'Eucaristia è quella azione paradigmatica che precede e provoca l'azione dell'uomo.

In secondo luogo, vale la pena soffermarsi sull'Eucaristia in quanto communio. La celebrazione eucaristica è invito a partecipare al Corpo e al Sangue del Signore senza limiti di parentela o affinità.
Nella comunione eucaristica siamo fatti uno in Cristo Gesù, ogni divisione viene superata e l'io personale incontra il proprio compimento nella comunità. La comunione fa di noi una cosa sola, senza che nessuno debba rinunciare alla propria identità.
Nulla è più lontano dalla comunione cristiana dell'annullamento dell'io nel collettivo.
 
Così l'Eucaristia diventa scuola di vita perché è dono offerto contemporaneamente a tutti - dimensione universale della communio christifidelium - e a ciascuno personalmente:  nessuno, infatti, si può comunicare al mio posto! Nello stesso tempo, l'amore eucaristico (agape per eccellenza) compie l'esigenza di giustizia, come ben mostra la necessità di essere riconciliati con Dio per poter ricevere la comunione. Nell'Eucaristia le esigenze della giustizia vengono accolte dall'orizzonte più compiuto della carità, mostrando in questo modo la potenza edificatrice della carità nello scrupoloso rispetto dell'ordine giusto.

Per dare conto dell'importanza decisiva dell'Eucaristia nella vita quotidiana dobbiamo fare riferimento ad un dato che, tra l'altro, fa parte dell'essenza del sacramento. Mi riferisco alla condizione di sacrificio che costituisce una costante dell'esperienza elementare degli uomini. Possiamo tentare di descrivere sommariamente questa condizione a partire da alcune considerazioni sintetiche.

La prima l'abbiamo già enunciata proprio parlando del sacrificio come condizione. Il termine "condizione" situa immediatamente la realtà del sacrificio come punto di passaggio, evitando dall'origine di confonderlo con la meta o il fine del cammino. Passando ora al secondo livello implicato nel sacrificio come condizione, l'esperienza storica dell'uomo non è segnata solo da una libertà creata, bensì anche da una sua cattiva autodeterminazione. Mi riferisco, ovviamente, al peccato. Davanti all'inevitabile dinamica del sacrificio, l'umana libertà si ribella e si oppone, giungendo fino a determinarsi al male.

In che modo l'Eucaristia illumina il sacrificio come condizione della vita quotidiana in entrambi questi aspetti? Non possiamo dimenticare che il Corpo e il Sangue del Signore offerti come alimento per il cammino, sono sempre il "Corpo offerto in sacrificio per voi" e "il Sangue sparso versato per voi e per tutti", sono la Pasqua del Signore. In questo modo, la morte di Cristo quale passaggio verso la risurrezione assume in sé ogni possibile sacrificio, e fa sì che la croce nella vita dell'uomo sia, per quanto dolorosa, soltanto una condizione. Nella potenza salvifica del Redentore persino il peccato, se riconosciuto, perde la sua sembianza di morte.

La Chiesa non cessa di obbedire quotidianamente al comando del Suo Signore:  "Fate questo in memoria di me" (Luca, 22, 19). Ai cristiani, soprattutto oggi, è chiesto di non ridurre questo comando a puro pretesto da lasciare alle spalle nella vita quotidiana, cadendo in quella separazione tra fede e vita denunciata con forza straordinaria già da Paolo vi. In ogni circostanza, in ogni rapporto, la presenza eucaristica di Cristo deve brillare come l'Evento che spalanca al desiderio di Dio.


(©L'Osservatore Romano - 23-24 agosto 2010)



              
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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PREGHIERA PER LA VITA

composta per l'occasione
dal santo Padre Benedetto XVI
e recitata ai piedi del SS. Sacramento
al termine dei Primi Vespri per l'Avvento 2010:

Signore Gesù,
che fedelmente visiti e colmi con la tua Presenza
la Chiesa e la storia degli uomini;
che nel mirabile Sacramento del tuo Corpo e del tuo Sangue
ci rendi partecipi della Vita divina
e ci fai pregustare la gioia della Vita eterna;
noi ti adoriamo e ti benediciamo.

Prostráti dinanzi a Te, sorgente e amante della vita
realmente presente e vivo in mezzo a noi, ti supplichiamo.

Ridesta in noi il rispetto per ogni vita umana nascente,
rendici capaci di scorgere nel frutto del grembo materno
la mirabile opera del Creatore,
disponi i nostri cuori alla generosa accoglienza di ogni bambino
che si affaccia alla vita.

Benedici le famiglie,
santifica l'unione degli sposi,
rendi fecondo il loro amore.

Accompagna con la luce del tuo Spirito
le scelte delle assemblee legislative,
perché i popoli e le nazioni riconoscano e rispettino
la sacralità della vita, di ogni vita umana.

Guida l'opera degli scienziati e dei medici,
perché il progresso contribuisca al bene integrale della persona
e nessuno patisca soppressione e ingiustizia.

Dona carità creativa agli amministratori e agli economisti,
perché sappiano intuire e promuovere condizioni sufficienti
affinché le giovani famiglie possano serenamente aprirsi
alla nascita di nuovi figli.

Consola le coppie di sposi che soffrono
a causa dell'impossibilità ad avere figli,
e nella tua bontà provvedi.

Educa tutti a prendersi cura dei bambini orfani o abbandonati,
perché possano sperimentare il calore della tua Carità,
la consolazione del tuo Cuore divino.

Con Maria tua Madre, la grande credente,
nel cui grembo hai assunto la nostra natura umana,
attendiamo da Te, unico nostro vero Bene e Salvatore,
la forza di amare e servire la vita,
in attesa di vivere sempre in Te,
nella Comunione della Trinità Beata.

 Amen.








Benedictus Deus.
Benedictum Nomen Sanctum eius

Benedictus Iesus Christus, verus Deus et verus homo
Benedictum Nomen Iesu
Benedictum Cor eius sacratissimum
Benedictus Sanguis eius pretiosissimus
Benedictus Iesus in sanctissimo altaris Sacramento
Benedictus Sanctus Spiritus, Paraclitus
Benedicta excelsa Mater Christi, Maria sanctissima
Benedicta sancta eius et immaculata Conceptio
Benedicta eius gloriosa Assumptio
Benedictum nomen Mariae, Virginis et Matris
Benedictus sanctus Ioseph, eius castissimus Sponsus
Benedictus Deus in Angelis suis, et in Sanctis suis

(italiano)

Dio sia benedetto.
Benedetto il suo santo nome.
Benedetto Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo.
Benedetto il nome di Gesù.
Benedetto il suo sacratissimo Cuore.
Benedetto il suo preziosissimo Sangue.
Benedetto Gesù nel santissimo Sacramento dell’Altare.
Benedetto lo Spirito Santo Paraclito.
Benedetta la gran Madre di Dio, Maria santissima.
Benedetta la sua santa e immacolata Concezione.
Benedetta la sua gloriosa Assunzione.
Benedetto il nome di Maria, vergine e madre.
Benedetto san Giuseppe, suo castissimo sposo.
Benedetto Dio nei suoi angeli e nei suoi santi.
Amen.


Fraternamente CaterinaLD

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24/04/2012 18:48
 
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Papa/ Scrive a vescovi tedeschi su disputa liturgia post-Concilio

Lunga lettera su traduzione di 'pro multis' in 'per tutti'

Città del Vaticano, 24 apr. (TMNews)

Il Papa ha inviato una lettera di cinque cartelle ai vescovi tedeschi per dirimere una annosa diatriba linguistica nata con la riforma liturgica voluta dal Concilio vaticano II e la connessa traduzione in lingue volgari dei Vangeli.


La missiva, firmata da Benedetto XVI il 14 aprile e diffusa oggi dalla Conferenza episcopale tedesca, si riferisce alla traduzione - teologicamente densa di implicazioni - delle parole pronunciate da Gesù nell'ultima cena. Il proprio sacrificio "pro multis", in latino, è stato tradotto in tedesco "fuer alle" (per tutti) e non, più letteralmente, "fuer viele" (per molti). In vista della prossima pubblicazione nel mondo germanofono della nuova traduzione dell'innario (Gotteslob), il Papa, da sempre molto attento alle questioni liturgiche e alla corretta interpretazione del Concilio vaticano II, sottolinea che questa traduzione "è un'interpretazione" coerente con i "principi che hanno guidato la traduzione in lingua moderne dei libri liturgici".


Per Ratzinger, però, oltre una "certa misura" la traduzione interpretativa non è giustificata per le Sacre Scritture e ha portato, in alcuni casi, a "banalizzazioni" che hanno significato "autentiche perdite". [SM=g1740733]

"Anche personalmente mi è divenuto sempre più chiaro che il principio della corrispondenza non letterale ma strutturale come linea-guida nella traduzione ha i suoi limiti", spiega il Papa, che sottolinea: "Poiché devo pregare le preghiere liturgiche in diverse lingue, mi accorgo che tra le diverse traduzioni a volte è difficile trovare ciò che le accomuna e che il testo originale è spesso riconoscibile solo da lontano".
Come è suo solito, nella lettera ai vescovi tedeschi Ratzinger anticipa le possibili obiezioni degli interlocutori: "Cristo non è morto per tutti? La Chiesa ha cambiato il suo insegnamento? E' capace di farlo e può farlo? Si tratta di una reazione che vuole distruggere l'eredità del Concilio?".

La risposta è negativa. Richiamando l'istruzione vaticana 'Liturgiam authenticam' del 2001, il Papa spiega che la fedeltà dei testi liturgici contemporanei al "pro multis", per molti, dei Vangeli di Matteo e Marco (mentre nei racconti di Luca e Paolo Gesù si rivolge direttamente ai disepoli che il suo sacrificio è "per voi") rimanda alla fedeltà del linguaggio di Gesù al capitolo 53 del libro biblico di Isaia. E non è modificabile arbitrariamente. [SM=g1740722]

 

[SM=g1740733]

 

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[SM=g1740733] il futuro Papa Francesco, cardinale Bergoglio, nel 2008 tenne una Catechesi sull'Eucaristia avendo come traccia del tema l'Enciclica di Benedetto XVI, Sacramentum Caritatis e la Ecclesia de Eucharistia di Giovanni Paolo II...
a dimostrazione della continuità tra i pontefici....

www.youtube.com/watch?NR=1&feature=fvwp&v=RNXSfAagGxM

qui invece trovate il testo purtroppo solo in francese, inglese e spagnolo:
www.vatican.va/roman_curia/pont_committees/eucharist-congr/archive/inde...



[SM=g1740771]


[SM=g1740766]

[Modificato da Caterina63 04/05/2013 11:58]
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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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I luoghi della Liturgia

Proponiamo lo studio sugli spazi Liturgici che l'Arch.Claudio Mecozzi ha gentilmente realizzato per MiL e che sarà suddiviso in tre parti.
Ringraziamo l'Autore al quale auguriamo di perseverare fortissimamente nell' impostazione " benedettiana " che tradotto significa : buon gusto antico e moderno, pervaso da una sana ed equilibrata impostazione " nova et vetera ".
Elementi costitutivi del buon senso umano ed ecclesiale che hanno caratterizzato le fasi più felici della bimillenaria storia della Chiesa .
Buona lettura !
A.C.
 
I DUE LUOGHI DELLA LITURGIA (1)
 
La liturgia della chiesa cristiana primitiva deriva dalla liturgia sinagogale già strutturata su due luoghi nello spazio della basilica.
Al centro della navata vi è il luogo della Parola costituito dai fuochi liturgici; i fedeli sono radunati attorno al bema, una sorta di tribuna, dove trova posto il trono dell’Evangelo il seggio episcopale ed il leggio.
La liturgia eucaristica vera e propria ha il suo luogo nell’abside presso l’altare dove i fedeli si rivolgono con il celebrante verso oriente, al Signore che viene.
Dal bema avrà origine l’ambone monumentale, mentre la sede, introdotta con la riforma liturgica è “figlia” della cattedra episcopale ed in dipendenza da questa.
La cattedra episcopale denota sempre un luogo ministeriale strettamente connesso con la Parola di Dio. La sede che non è la cattedra episcopale tuttavia rende visibile quest’ultima in ogni chiesa particolare.
Nel medioevo si assiste ad un progressivo approfondimento del mistero eucaristico che troverà espressione con l’accresciuta importanza dell’altare.

A partire dal XIII° sec. il tabernacolo verrà intronizzato al centro dell’altare insieme alla croce; l’altare eserciterà così un ruolo di attrazione nei confronti dei diversi fuochi liturgici ad esso più direttamente relazionati ed il cui esito sarà l’altare monumentale tridentino.
L’Altare assumerà in sé anche l’ambone in cornu Epistolae e in cornu Evangelii e nel luogo della Parola sulla navata prenderà posto il pulpito; vero e proprio luogo della Parola spezzata al popolo, attraverso la predicazione in lingua volgare.

La Liturgia Tridentina non fece altro che dare forma canonica agli usi liturgici che si erano sviluppati e consolidati nel tempo. In questa spazialità permangono dunque i due luoghi liturgici delle origini sia pur in forma diversa; in particolare vi è lo sviluppo del luogo dell’Eucarestia che si arricchirà anche artisticamente con il dossale.
Nella spazialità liturgica tradizionale la sede del celebrante è costituita da un semplice seggio disposto lateralmente dinanzi l’altare e rivolto verso l’asse liturgico.
 
 
Lo spazio dell’altare
 
Nel considerare l’adeguamento liturgico intendo soffermarmi su un aspetto forse poco considerato; ovvero la dimensione dello spazio necessario all’altare. Per far questo pongo a confronto le due tipologie di altare entrambe legittimamente in uso nella liturgia; l’altare tradizionale versus Deum e l’altare che maggiormente si è affermato nel post-Concilio ovvero l’altare versus populum.
Il confronto dimensionale tra questi due altari evidenzia una essenziale differenza: l’altare libero sui quattro lati atto alla celebrazione versus populum necessita per esser realizzato correttamente di una superficie sostanzialmente tripla rispetto alla superficie necessaria all’altare tradizionale su dossale.
Lo spazio dell’altare infatti comprende il piano costituente il livello delle azioni liturgiche che dovranno poter esser svolte in modo agevole e sicuro.
Le norme infatti richiedono per l’altare staccato dalla parete di essere “…praticabile tutto all’intorno.”(norme C.E.I. nuove chiese)
Perché dovrà “consentire di girarvi intorno e di compiere agevolmente tutti i gesti liturgici ad esso inerenti” (norme C.E.I. adeguamento chiese)

Và da sé che per realizzare un altare libero sui quattro lati atto alla celebrazione versus populum è necessario disporre della superficie necessaria tanto più se il piano liturgico dell’altare dovrà esser raggiunto da uno o più specifici gradini. In tal caso i gradini tutt’intorno l’altare invitando alla salita dovranno effettivamente condurre nello spazio del livello liturgico dell’altare.
La quota del livello dell’altare una volta raggiunta è necessario sia spaziosa da ogni lato per consentire un agevole e sicura percorribilità all’intorno.
Gli spazi risicati ai fianchi e davanti l’altare non permettono i movimenti in sicurezza e si costituiscono come vere e proprie zone di pericolo.
Tali soluzioni sono espedienti che hanno origine nelle insufficienti dimensioni trasversali dei catini absidali storici.
E’ necessario pertanto aver consapevolezza riguardo le caratteristiche dimensionali dei presbiteri storici che spesso non si conciliano con certe interpretazioni architettoniche della riforma a meno di evidenti forzature.

Non è raro pertanto trovare nuovi altari apparentemente liberi su tutti i lati dove in realtà è impedito di compiervi attorno i gesti liturgici ad essi inerenti.
Così che nell’incensazione ad esempio il sacerdote è costretto a muoversi in tutto o in parte fuori del piano liturgico dell’altare ricercando di volta in volta spazi sicuri dove poggiare i piedi.
Tali soluzioni si rivelano quindi gravemente deficitarie; pericolose per l’incolumità dei ministri e di chi svolge il servizio all’altare.
Lo spazio attorno l’altare deve essere adeguatamente ampio sui fianchi; maggiormente ampio potrà esserlo dietro per la celebrazione versus populum e sul davanti per la celebrazione versus Deum.
Soprattutto nelle nuove chiese lo spazio liturgico proprio dell’altare costituisce area dove può trovar posto il ciborio o baldacchino con la possibilità di appendervi centralmente il tabernacolo.
 
Il luogo della Parola e il luogo dell’Eucarestia
 
Di primaria importanza è l’esplicitarsi del rapporto tra luogo della Parola e luogo dell’Eucarestia (luogo dell’altare).
Sono questi i due luoghi liturgici principali tra loro gerarchicamente ordinati in corrispondenza delle due liturgie della Santa Messa. Il luogo della Parola non è semplicemente rivolto al popolo; nel coro della schola delimitato dal recinto al centro della navata gli amboni e i seggi sono rivolti verso l’asse liturgico aperti alla visuale dell’altare. (fig.1)
Nel riformarsi dello spazio liturgico il coro ed il seggio si trasferiranno nell’abside ed il recinto si ritirerà nella balaustra che delimiterà il presbiterio nell’area absidale.
Il luogo della Parola sarà mantenuto sino al XIII° sec. con l’ambone monumentale che continuerà ad esser rivolto verso l’asse liturgico e disposto lateralmente sulla navata.
L’ambone cederà il posto al pulpito con assoluta continuità.
Il rinnovamento negli aspetti architettonici conseguenti la riforma non riguarda tanto l’altare quanto proprio il luogo della Parola.

Si tratta piuttosto di innestare nella spazialità liturgica la “novità” del luogo della Parola reso nuovamente esplicito; la riforma non azzera la spazialità liturgica precedente ma parte piuttosto da questa.
Non potrà che essere allora un inedito luogo della Parola; ritrovando la connessione tra ambone e sede nel corretto rapporto con il luogo dell’Eucarestia così come è giunto sino a noi.
E’ necessario pertanto che le istanze di diretta visibilità dell’ambone e delle sede siano contemperate dal corretto rapporto con gli altri fuochi liturgici nell’ambito dell’intero spazio sacro.
La via non può esser che quella della mediazione delle diverse esigenze dovendo anche considerare la presenza condizionante ma insostituibile dei banchi.
Questi con le loro postazioni essenziali costituiscono in certo qual modo “gli stalli dei fedeli” consentendo di svolgere agevolmente e ordinatamente i gesti del corpo necessari alla preghiera a cominciare dal gesto dell’inginocchiarsi.
“Sentite bene: l’evangelizzazione si fa in ginocchio. Siate sempre uomini e donne di preghiera.” (Papa Francesco S.ta Messa con i seminaristi e novizi, S.Pietro 07/07/2013)
Arch. Claudio Mecozzi
 
 
Figura 1 Basilica di S. Clemente a Roma.
Al centro della navata centrale il recinto della schola comprendente i seggi e gli amboni in cornu epistola e in cornu evangeli. Nell’abside è visibile il ciborio posto sopra l’altare.


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Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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04/08/2013 10:33
 
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La Liturgia nel pensiero di Benedetto XVI
"La Chiesa ha nei suoi confronti un debito di gratitudine per la chiarezza di pensiero, l'invito alla bellezza e la promozione della liturgia"


di Giles D. Dimock da The Institute for Sacred Architecture, vol 23 - spring 2013
trad. it. di d. G. Rizzieri del(28/07/2013), da Sito della Diocesi di Porto Santa Rufina
 
 
 
 
 
La Liturgia nel pensiero di Benedetto XVI
 
"La Chiesa nei suoi confronti un debito di gratitudine per la chiarezza di pensiero, l'invito alla bellezza e la promozione della liturgia"
 
 
 
di Giles D. Dimock
 
Benedetto XVI ama la liturgia, intesa come la dimensione nella quale il nostro essere viene assimilato al Mistero divino della salvezza, e ha promosso tale visione durante il pontificato con i suoi scritti, con la predicazione e il suo magistero. La sua spiritualità sembra avere non solo un'impronta agostiniana, ma mostra anche un'influenza dell'originario movimento liturgico tedesco, favorito in gran parte dai Benedettini verso i quali egli ha sempre avuto una grande devozione. In questo articolo, esamineremo il suo sviluppo liturgico da giovane in Germania fino al suo operato sulla cattedra di Pietro, per il quale siamo tutti grati.
 
 
 

La giovinezza

 
Il pensiero liturgico di Benedetto XVI si può ritrovare in gran parte nella sua autobiografia "La mia vita", che ne descrive la vita fino alla sua venuta a Roma. Qui leggiamo il grande effetto che la liturgia ebbe su di lui quando era ragazzo nella sua chiesa parrocchiale, soprattutto la spogliazione della chiesa durante il sobrio tempo quaresimale. Fu ancor più introdotto ai santi misteri quando i genitori gli regalarono un messalino per i bambini simile al loro messale tascabile.

 
Al suo ingresso in seminario, scoprì il nuovo personalismo di Martin Buber insieme all'insegnamento di San Tommaso, la cui "logica cristallina" era "troppo racchiusa in sé, almeno nella rigida neo-scolastica" con cui veniva presentata. All'università, fu influenzato  da Michael Schmaus che aveva abbandonato la neo-scolastica per il nuovo movimento liturgico che presentava la fede come un ritorno alle Sacre Scritture e ai Padri della Chiesa. Mi piace inserire qui una nota personale: mi sento in piena sintonia con lui, poiché anch'io lasciai una formazione tomistica estremamente rigida per studiare la liturgia, e più tardi riscoprii la grande sapienza del nostro fratello maggiore, San Tommaso. Era ormai nell'aria la "nuova teologia". Un suo professore era influenzato dalla "teologia del mistero" di Dom Odo Casel, OSB, mentre un altro vedeva nella Messa il momento centrale di ogni giorno, e lo studio della Sacra Scrittura era considerato l'anima della teologia... tutti temi che sarebbero stati ripresi dal Vaticano II.
 
Tuttavia agli inizi, il giovane Joseph Ratzinger aveva delle riserve: un certo "razionalismo e storicismo unilaterali" del movimento liturgico nel quale alcuni vedevano "valida soltanto una forma della liturgia", cioè quella della Chiesa primitiva. Non così invece per De Lubac, il cui insegnamento sull'unità della Chiesa sostenuta dall'Eucaristia influì profondamente il suo pensiero.
 
 
 

Il Vaticano II

 
Il racconto di Ratzinger sulla considerazione della liturgia al Vaticano II - al quale partecipò come 'peritus' - è interessante. Egli afferma che lo schema liturgico al Concilio non avrebbe suscitato controversie poiché nessuno si aspettava grandi cambiamenti. Ma avvenne che dalla Francia e dalla Germania ci furono pressioni per riformare la Messa secondo la forma più pura del Rito Romano in conformità alle riforme di Pio XI e Pio XII. Una Messa secondo tali linee fu respinta da un sinodo di Padri conciliari nel 1967, ma ciò nonostante divenne il modello operativo per la nuova Messa. La Sacrosanctum Concilium decretò di mantenere il latino e che i fedeli possano cantare l'Ordinario della Messa in latino, e allo stesso modo i chierici possano pregare l'Ufficio. Ben presto ciò divenne una questione controversa (Vittorio Messori, "Rapporto sulla Chiesa", intervista con il Cardinale Ratzinger).
 
 
 

Il Messale di Paolo VI

 
La reazione di Ratzinger all'introduzione del Messale di Paolo VI fu in qualche modo negativa, ma non del tutto. La proibizione del Messale di Pio V lo rattristò (in realtà solo un rifacimento del Messale del Rito Romano usato fin dal tempo di San Gregorio Magno). Ritenne che questa fosse una breccia nella prassi, per cui vediamo qui già un'anticipazione del Motu Proprio che avrebbe emanato da Papa. Sosteneva che molto di quanto doveva essere mantenuto fosse stato cancellato e che molti tesori fossero scomparsi nella nuova liturgia creata da una commissione, e spesso celebrata in modo trascurato e priva di qualità artistiche. Per cui chi critica l'attuale liturgia come banale in una comunità autocelebrativa, non necessariamente è integralista. La sua critica riguarda il fatto che "la liturgia non è celebrata in modo che il dato del grande mistero di Dio in mezzo a noi mediante l'azione della Chiesa risplenda". La Chiesa ci dona il rituale, ma non può generare la potenza, l'energia operante in tali riti, è infatti il totalmente Altro che agisce. Noi possiamo partecipare di fatto e realmente e personalmente spesso in profondo silenzio. Partecipiamo al Mistero che rimane incomprensibile.

 
Nel suo libro "La festa della fede", Joseph Ratzinger afferma di essere riconoscente per il nuovo Messale di Paolo VI in quanto contiene nuove preghiere e prefazi, molti dei quali provenienti da altri riti occidentali: il gallicano, il mozarabico e l'ambrosiano. Considera fuorvianti le preghiere all'offertorio della vecchia Messa, in quanto tendevano a identificare l'offerta del Sacrificio di Cristo con questa parte della Messa, invece che alla consacrazione stessa. Ratzinger criticava soprattutto il modo non tradizionale di interpretare la nuova liturgia, con una ermeneutica di discontinuità piuttosto che di continuità. Si rallegrò perciò dell'indulto di Papa Giovanni Paolo II che egli forse volle proseguire con il suo Motu Proprio.
 
 
 

Il sacrificio

 
Un grande tema teologico caro a Ratzinger concerne la convinzione che "l'Eucaristia è più di un convito fraterno". Primariamente è il sacrificio della Chiesa in cui il Signore prega con noi e si dona a noi. In "Feast of Faith", il futuro Papa chiarisce che se l'Eucaristia ha "il contesto di una cena", la "Eucharistia è la preghiera di anamnesi o sacrificio verbale nel quale il sacrificio di Cristo si rende presente". Pertanto, non è mai inutile parteciparvi, anche chi non può ricevere la comunione, come i divorziati e i cattolici risposati. Tale sacrificio è una festa in cui trascendiamo noi stessi in qualcosa di più grande... entriamo nella gioia cosmica della Risurrezione, il Mysterium Paschale. Nel suo libro "God is near Us", egli vede l'Eucaristia come la fonte di vita dal fianco aperto di Cristo in sacrificio, pienamente presente a tutti noi sparsi nel mondo e ai santi in cielo.
 
 
 

L'adorazione

 
Se Cristo è presente in modo reale nell'Eucaristia con il suo corpo risorto, noi rispondiamo non solo ricevendolo, ma pure adorandolo con gesti e posture, con la genuflessione e con il silenzio. La riscoperta dell'aspetto di convito non elimina la necessità dell'adorazione. Si è dimenticato, egli dice, che adorare è intensificare la comunione, tanto è vero che la processione del Corpus Christi è una intensificazione della processione di comunione, un camminare con il Signore. In "Feast of Faith", racconta la storia di questa processione: il Signore come capo di Stato, visita le strade di ogni villaggio, una processione trionfale di Cristo Vincitore nella sua lotta contro la morte.
E' una bella pratica anche se non è di origine patristica ma medievale, la Chiesa infatti è sempre viva e sia la Chiesa del Medio Evo che quella dell'era barocca svilupparono una profondità liturgica che deve essere bene esaminata prima di abbandonarla. Nel libro "Spirit of the Liturgy", il nostro autore sottolinea che il dibattito medievale sulla transustanziazione ha dato origine ai tabernacoli di ogni sorta, esposizione, ostensori, processioni: "tutti errori medievali" secondo alcuni, Ratzinger però non è affatto d'accordo. Egli fa risalire la custodia eucaristica alla Chiesa primitiva che la riservava per i malati, e attribuisce all'evangelizzazione francescana e domenicana l'enfasi sull'Eucaristia mediante le colombe eucaristiche, le nicchie per i vasi sacri, e le torri sacramentarie costruite per custodire l'Eucaristia.

Afferma che questa devozione medievale fu "un meraviglioso risveglio spirituale" e che "una chiesa senza la presenza eucaristica è morta", il che mi ritrova perfettamente d'accordo. Concludiamo questo paragrafo con la sua osservazione sul fatto che se l'Eucaristia è il centro della vita della Chiesa, ciò presuppone gli altri sacramenti a cui si riferiscono. Presuppone anche preghiera personale, familiare, extra liturgica come la Via Crucis, il Rosario e in particolare la devozione alla Madonna.
 
 
 

L'architettura

 
Il nostro autore ha una prospettiva ben definita sull'architettura sacra. Nel suo "Introduzione allo spirito della Liturgia", cita Bouyer per il concetto che come la sinagoga rifletteva la presenza di Dio a Gerusalemme, così le prime chiese erano volte verso oriente dove sorge il sole, segno di Cristo Sole di giustizia che esce "come sposo dalla stanza nuziale" (Salmo 19). Camminiamo verso Cieli nuovi e terra nuova e verso Cristo luce del mondo. L'immagine di Cristo in questo modo si fonde presto con l'immagine della croce sull'abside orientale della chiesa, secondo Ratzinger. L'altare sotto la croce nell'abside è "il luogo dove si apre il cielo" e dove noi siamo condotti alla gloria eterna. Seguendo Bouyer, sottolinea come nelle prime chiese siriane i fedeli si riunivano dapprima attorno al presbiterio per la Liturgia della Parola, e poi si accostavano all'altare e all'oriente per l'Eucaristia, volti insieme al celebrante nella stessa direzione, "conversi ad Dominum", guardando ad oriente.

A Roma, la basilica di San Pietro a causa della topografia della collina vaticana, era volta non a oriente ma ad occidente, e l'altare al centro della navata si volgeva a oriente attraverso le porte principali. Quando San Gregorio Magno fece portare avanti l'altare sulla tomba di San Pietro, pose le basi per il successivo sviluppo della Messa 'versus populum'. Altre chiese a Roma copiarono San Pietro per la sua direzione verso il popolo (ma non si hanno riscontri fuori Roma), e ciò divenne l'ideale del rinnovamento liturgico anche se non fu esplicitamente menzionato nella Sacrosanctum Concilium del Vaticano II. Ratzinger mantiene la forte convinzione che sia più importante il mandato che tutti si volgano ad Dominum, piuttosto che sacerdote e fedeli si pongano l'uno di fronte agli altri. Riorientare tante chiese sarebbe un compito improbo e costoso, per cui egli propone di appendere una croce sospesa sull'altare o di collocarla sull'altare stesso, in modo che tutti sarebbero orientati ad Dominum invece che l'uno verso gli altri. Coloro che hanno partecipato a Messe papali in San Pietro o hanno assistito a quelle celebrate dal Papa nella sua visita in altri Paesi, ricordano che la croce (crocifisso) era sempre sull'altare davanti al Papa, e spesso anche le candele.
 
 
 

La bellezza

 
Ratzinger è assai attratto dalla bellezza come irradiazione della verità e dichiara in "Feast of Faith" che i cristiani devono fare della chiesa edificio un luogo in cui la bellezza sia di casa, e con drammaticità afferma che senza bellezza il mondo diventa l'ultimo cerchio dell'inferno. I teologi che non "amano l'arte, la poesia, la musica e la natura possono essere pericolosi (perché) la cecità e la sordità verso il bello non sono incidentali, ma si riflettono necessariamente nella teologia". Le immagini sacre sono necessarie e tutte le forme storiche di arte dalla cristianità primitiva al barocco pongono i principi dell'arte sacra nel futuro. Non si deve buttare via tutta l'arte che si è formata da San Gregorio Magno in poi. La solennità e la bellezza sono ricchezze di tutti (compresi i poveri) che le desiderano ardentemente e che sanno perfino privarsi del necessario pur di tributare onore a Dio.
 
 
 

La musica

 
Musicista egli stesso, Benedetto XVI si è molto impegnato ad incoraggiare la buona musica sacra, dedicando perfino un libro all'argomento "A new song for the Lord". Suo fratello Georg sacerdote era direttore della corale della grande cattedrale di Regensburg, il cui nome è sinonimo della grande tradizione del bel canto e della eccellente polifonia. Benedetto pensa che in nome della partecipazione popolare, abbiamo dato alla gente "musica di servizio", vale a dire banale e monotona, al suo minimo denominatore comune. La liturgia semplice non deve essere banale, perché la vera semplicità viene solo da una ricchezza spirituale, culturale e storica.

La Chiesa deve suscitare la voce del cosmo, magnificarne la gloria facendo sì che esso diventi anche glorioso, bello, abitabile e amato. Egli cita San Tommaso d'Aquino nella II-IIae della Summa q 91, a I, resp. 1 poiché il gaudio nel Signore, la gioia condivisa per essere alla Sua presenza, è l'effetto della nostra lode che ci fa ascendere a Dio per essere condotti a un senso di riverenza, essendo "l'orazione vocale necessaria non per Dio, ma per l'orante". L'uomo vuole cantare, afferma Sant'Agostino, perché "amare è cantare", ma anche l'ascolto è una forma di partecipazione: "ascoltare la grande musica è partecipazione interiore così come ascoltare il coro che canta grandi brani di musica corale rallegra il cuore ed eleva lo spirito", e l'assemblea può unirsi alla bella e semplice musica.
 
 

L'esortazione apostolica Sacramentum Caritatis

 
Nell'Esortazione Apostolica sull'Eucaristia 'Sacramentum Caritatis' (pubblicata dopo il Sinodo dei Vescovi sull'Eucaristia dell'ottobre 2005), Benedetto XVI, nel suo primo magistero pontificio sulla liturgia, articola - secondo il suo modo originale - la classica fede cattolica sulla Eucaristia come mistero e sacrificio. Viene trattata la relazione della SS.ma Trinità con questo mistero e in particolare lo Spirito Santo, la relazione della Chiesa con l'Eucaristia, e il rapporto con gli altri sacramenti. Infine si rapporta l'Eucaristia alla escatologia e alla Beata Vergine Maria.
 
E' da sottolineare la sua interpretazione dell'ars celebrandi dell'Eucaristia e l'enfasi che pone al rito stesso, ricordando che questo è il modo migliore per garantire una actuosa participatio (SC 38). Ci sollecita inoltre al rispetto dei libri liturgici, ai colori liturgici dei paramenti, all'arredo e al luogo sacro per l'arte, le parole, i movimenti del corpo e i silenzi che nella liturgia "hanno una varietà di registri di comunicazione che consentono di mirare al coinvolgimento di tutto l'essere umano" (SC 40). Pone in luce l'architettura della chiesa e la sua disposizione per la celebrazione dei sacri misteri, e proponendo la collocazione del tabernacolo, che deve essere segnalato da una lampada e facilmente visibile da tutti nella chiesa. Si possono usare vecchi altari maggiori oppure un altare centrale nel presbiterio, purché non vi stia davanti la cattedra del celebrante. Si possono usare cappelle per la custodia eucaristica, secondo il giudizio dell'Ordinario (SC 69).

La musica liturgica deve essere bella nel rispetto del grande patrimonio ecclesiale. Tratta anche la struttura della Messa, la liturgia della Parola e l'omelia. Sottolinea l'esigenza di una buona predicazione basata sui testi del Lezionario, senza temere di usare le quattro colonne del Catechismo: il Credo, i Sacramenti, i 10 Comandamenti, e la Preghiera (SC 46). Nella liturgia eucaristica, invita a sapersi controllare nello scambiarsi il segno della pace (in un'altra occasione, ha proposto di spostare il segno della pace al termine della Liturgia della Parola 'cfr. S. Giustino'). Ricorda la partecipazione attiva interiore (SC 52)e l'adorazione eucaristica (SC 66-68). Solleva la questione di grandi concelebrazioni che possono distogliere dall'attenzione, l'unità del sacerdozio e l'obbligo di studiare il latino per quelli che si preparano al sacerdozio in modo da poter celebrare e cantare in latino (SC 62).
 
 
 
 
Il motu proprio Summorum Pontificum

 
Papa Benedetto XVI ci ha dunque offerto una splendida teologia dell'Eucaristia nella Sacramentum Caritatis e ha altresì indicato una nuova direzione alla vita liturgica della Chiesa con il suo Motu Proprio che ha reso disponibile la Messa in latino di San Pio V.
 
Benedetto XVI nel documento sottolinea il ruolo dei Papi nell'assicurare rituali degni da offrire alla suprema Maestà e le Chiese particolari concorrono con la Chiesa universale non solo nella dottrina ma anche nei segni sacramentali e nelle consuetudini universalmente accettate dalla tradizione apostolica, che devono essere osservati non soltanto per evitare gli errori ma pure per trasmettere l'integrità della fede, perché lex orandi statuit lex credendi (San Prospero di Aquitania). Elogia poi San Gregorio Magno che contribuì a codificare il Rito Romano e inviò il grande Ordine di San Benedetto in tutta Europa. E rende omaggio al santo domenicano, Papa Pio V, per il rinnovamento di quel medesimo rito al tempo del Concilio di Trento.
 
Menziona la radicale riforma del Messale Romano di Papa Paolo VI e la sua traduzione in vernacolare, come pure la terza edizione tipica di Papa Giovanni Paolo II. Tuttavia, nota che "non sono pochi" gli affezionati al vecchio rito e quello stesso Papa lo aveva permesso a certe condizioni nel 1984 (Quattuor Adhinc Annis) e successivamente i vescovi esortarono ad essere generosi nel permetterlo ai devoti del vecchio rito nel 1988 (Ecclesia Dei). Considerando come ci fosse ancora necessità, dopo aver consultato il Concistoro dei Cardinali nel 2000, Papa Benedetto pubblicò il Motu Proprio Summorum Pontificum il 7 luglio 2007, con il quale autorizza i sacerdoti a celebrare la Messa del Messale del Beato Giovanni XXIII.

Le disposizioni sono le seguenti:

 
Nella lettera accompagnatoria il Papa esprime il timore di alcuni secondo i quali questa concessione sarebbe un voltare le spalle al Vaticano II. Afferma che la forma ordinaria per i cattolici continuerà ad essere il rito corrente. Alcuni ritengono che questo porterà disunione nella Chiesa. Il Papa chiarisce che l'uso del vecchio rito richiede formazione liturgica, conoscenza del Messale e del latino, cosa non possibile per tutti. Un uso che sarà perciò limitato. Osserva che il duplice uso del Rito Romano sarà mutualmente arricchente, con nuovi santi e prefazi per il vecchio Messale e maggiore riverenza per la Messa nel nuovo Messale. Esprime la speranza che ciò porti una più grande unità nella Chiesa, soprattutto da parte dei dissidenti a destra, come è già avvenuto.

 
Il Papa ritorna sulla continuità della tradizione della Chiesa, che aveva già ricordato negli auguri natalizi alla Curia nel 2005. Non sorprende la continuità nel suo approccio con la liturgia. Il nuovo Maestro delle celebrazioni pontificie, Mons. Guido Marini, ha estratto ricchezze della tradizione che erano state dimenticate e di cui oggi ci possiamo riappropriare. Nelle Messe papali vengono indossate magnifiche casule, e in altri momenti permane il più fluente gotico. Vecchi troni e altri paramenti pontifici vengono rispolverati, non per un ritorno al trionfalismo ma come oggetti che manifestano la bellezza al servizio della liturgia. La ristrutturazione della Congregazione per il Culto Divino ha assegnato ora un ufficio per promuovere l'arte, l'architettura e la musica liturgica. Il direttore di questo nuovo ufficio è l'abate Michael Zelinski, OSB, esperto in canto gregoriano. Sono da attendersi cose egregie in futuro.

 
Abbiamo dunque percorso il pensiero liturgico di Joseph Ratzinger nel suo sviluppo dall'adolescenza alle esperienze da seminarista e da perito al Vaticano II, da professore universitario, Arcivescovo di Monaco, Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, e infine da Papa, e tutto con una costante coerenza di principio. Vedremo come la sua teologia e l'indirizzo pastorale toccherà la liturgia della Chiesa e il suo desiderio di continuità, ma credo che prometta bene e certamente costituisce la sua eredità alla Chiesa del futuro. Abbiamo un gran debito di gratitudine a Papa Benedetto per la chiarezza di pensiero, l'invito alla bellezza e la promozione della liturgia, e ora egli prega per noi.

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Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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