Misericordia, Concilio Vaticano II, evangelizzazione, ecco il Papato di Francesco

di antonelloiapicca

 

Se mi chiedessero di riassumere in poche parole i due anni di pontificato di Papa Francesco non avrei dubbi: gli ruberei quelle che ha rivolto un paio di giorni fa ai partecipanti al Corso sul foro interno del Tribunale della Penitenzieria: “Non esiste alcun peccato che Dio non possa perdonare! Nessuno!”.

Due anni per gridare a ogni uomo che la misericordia di Dio è infinita, perché Cristo ha portato nel suo corpo sulla Croce ogni peccato cancellandolo con il suo sangue ed è risorto per donarci una vita nuova in Lui. C’è speranza per tutti perché se “non esiste nessun peccato che Dio non possa perdonare” vuol dire che non esiste nessuno che possa restare escluso dalla sua misericordia.

Questo è il fondamento del cristianesimo, la novità che San Paolo ha annunciato in ogni riga delle sue lettere e con ogni parola della sua predicazione. Chi non si sente perdonato da Dio vive frustrato e in continua agitazione, scontento e sempre pronto a mormorare. Accendi il televisore, sfoglia un giornale e te ne renderai conto. Ira, indignazione, scandalo e poi proteste, violenze verbali e non solo, cause in tribunale, querele, liti in famiglia, al condominio, sull’autobus, al posto di lavoro, perfino in Chiesa. Non c’è fine al fiume di male che ogni giorno investe le nostre vite.

Non c’è argine, è inutile. Pensate che l’ideologia gender sia l’ultimo conato del demonio? No vero? Aspettate qualche anno e vi troverete in galera per il reato di “pedofobia”, perché di sicuro la pedofilia sarà sdoganata e inserita tra le leggi di uno Stato capace di recepire le conquiste civili.

Ma questo tsunami di male non solo ti si appiccica addosso. Esso sorge anche dal nostro cuore. E monta e nessuno sa come fare per neutralizzarlo. Per questo, come già nel Giardino dell’Eden, non si può far altro che cominciare a chiamarlo bene, così si risolve il problema. Non sai come tenere tua figlia a casa il sabato sera? Non sai come impedirle di andare in vacanza con il suo ragazzino, lei che ha solo 15 anni? Semplice, basta dire che non c’è nulla di male, che deve fare le sue esperienze, che capirà da sola che cosa sia bene e cosa male.

E così via, con divorzio, aborto ed eutanasia, nozze omosessuali, adozioni e uteri in affitto, sperimentazione genetica e lavaggio del cervello dei bambini, giochi erotici e perversi per “liberare” il genere che è in ciascuno. Infilateci quello che volete, basta dire che il male è bene e il gioco è fatto. Ma….

Ma la gente è infelice, si suicida a vent’anni come a ottanta, si fa del male con droghe e alcool illudendosi di vincere così l’invincibile debolezza. Insoddisfatti di un sesso ridotto a sport per genitali ci si lascia assorbire dai siti porno sino a lasciarvi dentro anima e coscienza. Insomma, più si cambia l’acqua più i pesci muoiono… Più si escogitano stratagemmi per cancellare il male più esso riaffiora rabbioso. E quanto cadaveri sul ciglio della storia, accanto a te e a me, e forse lo stiamo diventando anche noi, senza accorgercene.

Ma un morto non può mangiare. Ascoltai questa frase molti anni fa in un incontro e mi si piantò dentro come una rivelazione. Si riferiva all’episodio del Vangelo nel quale Gesù si reca a casa di Giàiro, il capo della sinagoga che lo aveva implorato per la sua figlioletta agli estremi. Mentre Gesù si incammina gli dicono che la ragazza è morta. Giunto a casa però, sorprende tutti dicendo: “La bambina non è morta, ma dorme”. Entrato nella camera dove giaceva le prende la mano e le dice: “Talità kum, – Fanciulla, io ti dico, alzati!”. Immediatamente la fanciulla si alza, comincia a camminare mentre Gesù “ordina” ai genitori “di darle da mangiare”.

Dietro alle parole di Papa Francesco si può leggere questo brano. Neanche i morti sono esclusi dalla misericordia. “Nessuno” che si sia lasciato trascinare nella menzogna che soffoca questa società si deve sentire indegno del perdono di Dio, perché per Cristo i peccatori dormono e hanno solo bisogno che Lui li risvegli per poter mangiare la sua carne, ossia vivere nel suo amore. Ciò accade con il Sacramento della Confessione, ad esempio, che realizza la Pasqua in chi vi si accosta, l’unico argine al male, perché dopo averlo distrutto nel cuore vi deposita la vita stessa di Dio. E chi la sperimenta sa camminare attraverso le follie del mondo, senza restarne impigliato, rivelando a tutti che c’è un modo diverso di vivere, bello e felice.

I due anni del pontificato di Papa Francesco sono stati soprattutto un annuncio gioioso della Pasqua di Cristo! La riforma della Curia? Sarà possibile solo se attingerà forza e ispirazione dalla Pasqua, capace di “riformare” i cuori prima delle strutture. Dalla Pasqua che nella misericordia fa dei cristiani delle creature nuove si potrà avviare la Chiesa sul cammino si “uscita” dalla “pastorale di conservazione” per raggiungere le “periferie esistenziali” di questa generazione. Perché altrimenti, ditemi, che ci andiamo a fare nei bassifondi morali della società? A mettere ordine e a fare pulizia a suon di leggi e moralismi?

Impossibile, e lo dico per esperienza personale. Gli anni passati su questo fronte dell’evangelizzazione che è il Giappone, “periferia opulenta” dai bisogni infiniti, e i tempi trascorsi in Italia mi hanno convinto che o sarà misericordia, o la Chiesa non riuscirà ad attrarre a Cristo i piccoli, i poveri, i peccatori. L’annuncio del Vangelo, infatti, è essenzialmente l’annuncio del perdono dei peccati, come ha scritto il Papa all’Università cattolica argentina: “La misericordia non è solo un atteggiamento pastorale, ma è la stessa sostanza del Vangelo”. Basta leggere gli Atti degli Apostoli, paradigma di ogni missione della Chiesa nella storia. E prima ancora scrutare il ministero di Gesù: Lui ha sempre prima perdonato i peccati e poi guarito le infermità.

Per questo le parole del Santo Padre ci introducono direttamente nel cuore di Cristo e del Padre: “Il sacramento della Riconciliazione rende presente con speciale efficacia il volto misericordioso di Dio: lo concretizza e lo manifesta continuamente, senza sosta”.

Non è un colpo decisivo a tanto clericalismo che chiude a mille mandate le porte della Chiesa? Sono persuaso che gli eventi degli ultimi anni, anche quelli dolorosi che hanno circondato la rinuncia di Benedetto XVI, come quelli di Papa Francesco siano incastonati in un progetto meraviglioso di Dio che risale al Concilio Vaticano II.

Non a caso, durante la celebrazione penitenziale presieduta ieri, il Papa ha messo in stretta relazione il Concilio con la Misericordia, annunciando l’indizione di un Anno Santo della Misericordia. Il Giubileo straordinario inizierà il prossimo 8 dicembre, in occasione del cinquantesimo anniversario della chiusura del Concilio Ecumenico Vaticano II e terminerà il 20 novembre 2016, festa di Cristo Re: “Cari fratelli e sorelle, ho pensato spesso a come la Chiesa possa rendere più evidente la sua missione di essere testimone della misericordia. È un cammino che inizia con una conversione spirituale. Per questo ho deciso di indire un Giubileo straordinario che abbia al suo centro la misericordia di Dio. Lo vogliamo vivere alla luce della parola del Signore: “Siate misericordiosi come il Padre”.

Il Concilio appare dunque, a cinquanta anni dalla sua chiusura, il faro che illumina il cammino della Chiesa perché diventi “testimone della misericordia”. Nella storia la ricezione e l’attuazione dei Concili ha necessitato di tempi lunghi, e il Vaticano II non sembra un’eccezione. La fioritura dei carismi e dell’Iniziazione Cristiana per giovani e adulti che proprio il Papa ha benedetto e confermato, l’impulso missionario e la ritrovata centralità del Mistero Pasquale sono alcune tra le orme lasciate dallo Spirito durante il Concilio, il dono di Dio alla sua Chiesa perché sappia aprire i tesori della misericordia per ogni uomo. Per me, che sono prete grazie al Concilio e ai grandi Papi che lo hanno e lo stanno attuando, è un’emozione grande.

E non è un caso neanche che il Papa abbia voluto affidare l’organizzazione del Giubileo al Pontificio Consiglio per la promozione della Nuova Evangelizzazione, “perché possa animarlo come una nuova tappa del cammino della Chiesa nella sua missione di portare a ogni persona il Vangelo della misericordia. Sono convinto che tutta la Chiesa potrà trovare in questo Giubileo la gioia per riscoprire e rendere feconda la misericordia di Dio, con la quale tutti siamo chiamati a dare consolazione a ogni uomo e ogni donna del nostro tempo”. Concilio Vaticano II, missione, misericordia, il tripode della Chiesa di Papa Francesco!

Gli schemi atrofizzati e obsoleti ai quali troppo spesso noi preti chiediamo le certezze che i fallimenti pastorali minano ogni giorno, sono un ostacolo per la missione della Chiesa. I nostri peccati, i miei, con l’inclinazione al protagonismo e alla vanità di fronte alla quale mi ritrovo così debole; la superbia di fronte alla storia di una missione spesso difficile e senza visibili risultati che evapora l’umiltà. L’installazione nelle proprie idee e nei propri criteri, nei progetti e nell’effimero potere sono virus sempre in agguato dei quali, lo confesso, ho sentito il bruciore più di una volta. E, soprattutto, la tentazione nascosta dietro ogni angolo, di sentirsi importante e imprescindibile per il destino eterno delle persone affidate, che ti precipita nelle crisi più nere quando scopri che l’opera è solo di Dio e non sei indispensabile. Ed è qui che il Papa mi ha aiutato tanto a non aver paura “dell’esperienza della vergogna: io, nel sentire questo peccato, quest’anima che si pente con tanto dolore o con tanta delicatezza d’animo, sono capace di vergognarmi dei miei peccati? E questa è una grazia”.

Allora, peccatore con i peccatori, penitente con i penitenti posso ogni istante accostarmi al trono della misericordia per essere rialzato dal lettuccio dove la mia debolezza mi confina. Ed è proprio qui il segreto della vita di ogni presbitero. Abbeverarsi all’acqua viva della misericordia per sapervi condurre le pecore affidate. Quanto vere sono state sino ad oggi nella mia vita le parole di Francesco, che meraviglia sentirmele rivolgere ora, in terra di missione: “Ed è proprio a voi confessori che dico: lasciatevi educare dal Sacramento della Riconciliazione! Quanto possiamo imparare dalla conversione e dal pentimento dei nostri fratelli! Anime semplici che si abbandonano totalmente al Signore, che si fidano della Chiesa e, perciò, anche del confessore. Ci è dato anche, spesso, di assistere a veri e propri miracoli di conversione. Persone che da mesi, a volte da anni sono sotto il dominio del peccato. Essi ci spingono a fare anche noi un esame di coscienza: io, sacerdote, amo così il Signore, come questa vecchietta? Io, confessore, sono disponibile al cambiamento, alla conversione, come questo penitente? Tante volte ci edificano queste persone”.

Ne sono testimone, ho imparato la conversione dai peccatori che si sono accostati al confessionale! Ho imparato a piangere da chi, ormai allo stremo come la figlia di Giairo, si rivolgeva a Cristo senza più difendersi. Ho imparato il suo potere assistendo ai miracoli che nessuno osava più sperare. Ho imparato la misericordia dispensandola senza alcun merito: “dobbiamo ravvivare in noi la consapevolezza che nessuno è posto in tale ministero per proprio merito; né per le proprie competenze teologiche o giuridiche, né per il proprio tratto umano o psicologico. Tutti siamo stati costituiti ministri della riconciliazione per pura grazia di Dio, gratuitamente, proprio per misericordia. Io che ho fatto questo e questo e questo, adesso devo perdonare…”. E questo ti fa finalmente libero e grato dell’onore di essere un povero strumento della misericordia di Dio, e “non dobbiamo mai perdere questo sguardo soprannaturale, che ci rende davvero umili, accoglienti e misericordiosi”.

L’ho visto migliaia di volte, “la confessione non è una tortura”, ma un letto d’amore dove il Signore crocifisso attende la sua sposa per purificarla e renderla immacolata nel suo amore. Mi vengono i brividi nel ricordare i volti e le esperienze di tante persone incatenate a peccati atroci, a schiavitù incancrenite, tornare a brillare di una luce soprannaturale. Sì, la confessione è la migliore Spa che ci sia, l’unica beauty farm che ti rigenera sin dentro le cellule più compromesse, e ti fa bello e bella di una bellezza che non ha eguali, la stessa che rifulge sul volto di Cristo, il più bello tra i figli dell’uomo: proprio come ha detto Papa Francesco: “tutti dovrebbero uscire dal confessionale con la felicità nel cuore, con il volto raggiante di speranza, anche se talvolta – lo sappiamo – bagnato dalle lacrime della conversione e della gioia che ne deriva”.

Per Gesù, infatti, non è il trucco, non sono le qualità a suscitare attenzioni e sguardi, perché Lui cerca la debolezza, proprio tutto quello che l’uomo disprezza, come la “figlioletta” di Giairo. Mentre attorno le voci dei parenti e degli amici ci ripetono che ogni “figlia” del nostro cuore, dei desideri di bene di amore è ormai “morta”. Parole di una logica così stringente che ci assediano anche dal nostro intimo. Il matrimonio fa acqua, i figli non ascoltano, l’irreparabile suscita “derisione”, e molti “piangono e strepitano”, inducendoci a disperare e a vestire il lutto che avvolga i fallimenti, il vero obiettivo del demonio.

Ma Dio ha voluto aprire una porta sul nostro dolore, come ha dischiuso la pietra del sepolcro dove giaceva suo Figlio. Una porta come il fianco squarciato di Cristo crocifisso, immagine di ogni confessionale, di ciascun luogo dove un prete è disponibile ad ascoltare la nostra confessione. Su di essa ogni ministro della misericordia aiuta “i fratelli a fare esperienza di pace e di comprensione, umana e cristiana” perché ogni volta Gesù annuncia che la nostra vita “è solo addormentata, non è morta!”. Per questo Gesù “caccia via” tutti quelli che ci vogliono allontanare dalla fede, come fa Papa Francesco quando ci mette in guardia dicendoci: “né un confessore di manica larga, né un confessore rigido è misericordioso. Nessuno dei due. Il primo, perché dice: “Vai avanti, questo non è peccato, vai, vai!”. L’altro, perché dice: “No, la legge dice…”. Ma nessuno dei due tratta il penitente come fratello”.

Invece il confessore “misericordioso” scende verso il peccatore, “lo ascolta, lo perdona, e se ne fa carico e lo accompagna, perché la conversione sì, incomincia – forse – oggi, ma deve continuare con la perseveranza…”. Fa come Gesù che entra con la sua Chiesa nella casa di Giairo “dove è la bambina”, dove cioè giacciono i peccatori. Ci porta con sé, preti e per questo “genitori” e “apostoli” suoi intimi, a cui è stata affidata la vita delle persone con la loro storia; e in noi “prende la loro mano” e sussurra quell’ “Alzati, risuscita!” con cui ristabilisce nello splendore originale della volontà del Padre ogni frammento della vita.

Ma attenzione, il perdono dei peccati non è questione di un istante e “non bisogna confondere: Misericordia significa prendersi carico del fratello o della sorella e aiutarli a camminare. E chi può fare questo? Il confessore che prega, il confessore che piange, il confessore che sa che è più peccatore del penitente. Misericordioso è essere vicino e accompagnare il processo della conversione”. Per questo “anche il modo di ascoltare l’accusa dei peccati dev’essere soprannaturale, rispettoso della dignità e delle storia personale di ciascuno, così che possa comprendere che cosa Dio vuole da lui o da lei. Per questo la Chiesa è chiamata ad «iniziare i suoi membri – sacerdoti, religiosi e laici – all’“arte dell’accompagnamento”, perché tutti imparino sempre a togliersi i sandali davanti alla terra sacra dell’altro» da “coltivare” con dedizione, cura e attenzione pastorale”.

Mamma mia che missione ci è stata affidata! Essa è un cammino che non finisce mai, dove deporre i nostri passi insieme a quelli del gregge. Altro che clericalismo… Si tratta di camminare nella fede e nella conversione per diventare tutti insieme cristiani!

Appare in filigrana nelle parole del Papa la comunità cristiana, perché ogni peccato, anche quello più nascosto, ferisce anche i fratelli, come ogni sussulto di conversione li attira nella stessa Grazia. Non esiste cristianesimo senza Chiesa, come non esiste Chiesa senza la misericordia alla quale ci chiama a convertirci il Papa, finestra spalancata sul Cielo: “Quando si ascoltano le confessioni sacramentali dei fedeli, occorre tenere sempre lo sguardo interiore rivolto al Cielo, al soprannaturale”. Cristo è nato, è morto ed è risorto, per prepararci un posto nel Cielo dove potremo arrivare perché Lui torna ogni giorno nella sua Chiesa, nei sacramenti che prima ci resuscitano e poi ci nutrono, nella Parola e nella predicazione, per portarci insieme ai fratelli dove Lui “è” eternamente.

 

Articolo pubblicato su “La Croce” del 14 marzo 2015