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Le armi del cardinale Ercole Consalvi tra la Rivoluzione Francese e l'Impero napoleonico

Ultimo Aggiornamento: 28/08/2009 19:21
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05/06/2009 17:03
 
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Pubblicati gli atti di un convegno su Ercole Consalvi e il suo tempo a duecentocinquant'anni dalla nascita

Le armi
del cardinale


Il 5 giugno a Roma, nella rettoria di San Marcello al Corso, viene presentato il volume, curato da Roberto Regoli, degli atti del convegno "Ercole Consalvi, 250 anni dalla nascita" tenutosi a Roma nel 2007. Dal volume - Trieste, Biblioteca Civica, 2008, pagine 157, euro 15, 50; anche come numero monografico della rivista "Neoclassico" - pubblichiamo parti dell'introduzione del cardinale prefetto della Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli, del saggio del curatore (a destra) e di un testo (in basso) dedicato al ruolo del porporato al congresso di Vienna.

di Ivan Dias

Mi sento onorato di essere stato invitato a presentare la pubblicazione degli Atti di questo iii Comitato consalviano, frutto di anni di intensa ricerca storica da parte di molti studiosi. Debbo confessare che per me, attuale prefetto della Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli (già "de Propaganda Fide"), risulta molto istruttivo avere l'occasione di approfondire la secolare storia di questo dicastero missionario e poter presentare la figura di un così illustre predecessore nella carica di prefetto, sebbene in realtà il cardinale Ercole Consalvi sia stato soltanto per un brevissimo periodo di tempo - dal 13 al 24 gennaio 1824 - a capo di questa istituzione.
Inoltrarsi nella figura del cardinale Ercole Consalvi vuol dire entrare nel cuore di vicende che hanno sconvolto non soltanto la storia della Chiesa, ma anche quella dell'Europa e del mondo. Per il credente, la Divina Provvidenza si manifesta nei fatti e nelle persone che Dio ispira in momenti particolarmente difficili per guidare la storia.

Nella figura del cardinale Consalvi si può osservare chiaramente come Dio lo preparerà per assumersi le responsabilità che in futuro gli verranno assegnate. Nello studio della sua biografia e delle sue carte, ci si accorge di due periodi della sua vita e, perciò, della crescita umana e spirituale del nostro personaggio. In un primo momento incontriamo il giovane prelato romano che non aspira altro che a trovare un posto sicuro e tranquillo nella curia romana che gli permetta di "fare carriera" e diventare, in una placida anzianità, cardinale di Santa Romana Chiesa. In un secondo periodo troviamo un Consalvi maturo che, senza cercarlo - a suo dire - si trova, non come spettatore, ma come parte attiva, al centro degli sconvolgimenti epocali di fine Settecento - la rivoluzione francese - ed inizio Ottocento - l'impero napoleonico.

Il nostro allora prelato fu testimone di un momento cruciale per la storia della Chiesa:  la morte nell'esilio francese di Papa Pio vi e la successiva elezione di Pio VII nel difficile conclave di Venezia, durante il quale spiccherà il ruolo di prima importanza esercitato da lui come segretario del conclave. Nominato segretario di Stato ed immediatamente dopo creato cardinale da Papa Pio VII, il neoporporato dovrà presto affrontare faccia a faccia il difficile carattere di Napoleone Bonaparte, facendo il possibile per evitare la dissoluzione degli Stati Pontifici e i danni prodotti dallo stesso imperatore. Tenace, coraggioso e chiaroveggente - a detta dei suoi coevi - sarà l'uomo destinato dalla Divina Provvidenza ad opporsi alle voglie dell'imperatore per difendere, anche a rischio della propria vita e della propria libertà, l'indipendenza della Chiesa nei confronti dello Stato.

Di viva intelligenza e capacità diplomatica, il nostro cardinale riuscirà, nel congresso di Vienna, una volta scampato il pericolo napoleonico, a ricuperare gran parte di quanto perso dallo Stato della Chiesa durante il disastro degli anni precedenti.

Uomo integro, d'indole generosa e magnanima, di modi cortesi e amico dei principali regnanti del tempo - come descritto dal Moroni - il cardinale Consalvi fu un fedele servitore della Chiesa nella persona di Papa Pio VII. Il suo amore per questa Chiesa per la quale ha saputo lottare, con pacifiche armi, si pone infine in evidenza con il generoso atto testamentario di donazione dei suoi beni al dicastero missionario "de Propaganda Fide", da lui presieduto negli ultimi giorni della sua vita.


Diplomatico e umanista


di Roberto Regoli
Pontificia Università Gregoriana
 

Chi è Ercole Consalvi? Che cosa si dice sulla sua persona? Esemplificando, egli viene descritto come:  uomo ascoltato a Roma; un "grande"; "serviteur passionnément dévoué à l'Église romaine (...) un ministre de premier ordre"; un moderato, "determinato nel risanamento e rafforzamento del vecchio edificio statuale quanto aperto alle sollecitazioni dei tempi nuovi"; uomo politico; "viveva ed operava in lui l'ideale politico d'un reggitore di stati italiani del Settecento"; "mente chiara, limpida, perspicace che comprendeva con rapidità fulminea una situazione ed agiva prontamente"; uomo dalle "vedute nuove e persino ardite"; "uomo del Settecento"; "un moderato dallo spirito aperto, ma non è un riformatore liberale"; "un riformista conservatore nella linea degli spiriti "illuminati" del XVIII secolo (...) politico prudente e accorto"; "uno dei più grandi uomini di Stato della Santa Sede", "uno dei più grandi statisti che abbia mai avuto la Chiesa, degno di tener testa a Napoleone che ne riconosceva le doti". 
Emerge un ritratto assolutamente positivo  ed elogiativo. Ma c'è unanimità? Non proprio e soprattutto da parte dei curiali del suo tempo. Cardinali come Di Pietro, Pacca, Fontana e Litta lamentano l'influsso di Consalvi sul Papa.

L'espressione più significativa, anche se amara, è del cardinale Di Pietro:  "Consalvi est maintenant tout ici. Nous autres nous sommes plus des antiquaires, qu'on ne consulte plus, que pour la forme et dont on ne suit aucun conseil. Souvent même nous ignorons tous les projets". Consalvi è tutto e gli altri degli antiquari. E questa visione passerà anche nella storiografia. Parlando di Consalvi non si potrà mai fare a meno di considerarlo come un accentratore. Nei primi studi sulla sua persona si riportano anche alcune critiche dei contemporanei che lo descrivono come un uomo "insaziabile di dominio". Non per tutti, però, aveva questo volto. Non così tra i suoi amici artisti, tra gli stranieri e i governanti esteri, come Castlereagh. La persona e l'immagine di Consalvi passano alla storiografia attraverso le opinioni delle persone che lo hanno conosciuto, facendo da filtro, ma non da ostacolo.

L'iniziale storiografia consalviana mette subito in evidenza la rettitudine di intenzioni del cardinale nel disimpegno dei suoi doveri, rispondendo così alla critica che lo descriveva come uomo "insaziabile di dominio". Anche successivamente prevale una linea positiva che sottolinea la moralità del cardinale, come il suo spirito religioso e i suoi sentimenti di sincera amicizia. Da questa interpretazione si discosta chiaramente Adolfo Omodeo che considera il cardinale "tutt'altro che un'anima religiosa", ma su questa strada rimarrà da solo. Lo storico Raffaele Colapietra, a lui successivo, ad esempio, prenderà chiaramente le distanze da una comprensione riduzionistica della religiosità, anche se ammetterà una carenza di spirito religioso nell'azione governativa consalviana. Si distingue, allora, tra la persona e la sua azione politica.

Sempre Colapietra intravede nella spiritualità consalviana una certa spiritualità tardosettecentesca romana, forse razionalistico-sentimentale e non evangelica, populista e dogmatico gesuitica. Di spirito religioso parlano anche altri storici, sottolineando le sue pratiche esterne (come i digiuni, le confessioni, la partecipazione puntuale alle cappelle pontificie), come anche la sua preghiera solitaria e raccolta in qualche chiesa. Grazie ai più recenti studi sulla biblioteca consalviana emergono degli aspetti più intimi. La sua spiritualità si basa sui "classici" cristiani come l'Imitazione di Cristo o le opere di Teresa d'Avila, con una base mariana - è da ricordare che giovanetto partecipò ad una congregazione mariana. Pertanto non solo si deve correggere l'Omodeo affermando che il Consalvi è un uomo religioso, ma addirittura che ci sono tutte le premesse per ritenerlo uomo spirituale.

Sulle sue qualità personali c'è unanimità di consensi. Lo storico Massimo Petrocchi parla chiaramente di un "ricco e sincero senso di umanità", così come del suo equilibrio e della sua operosità. È descritto come uomo non attaccato alla ricchezza, tanto da rifiutare le regalie dei sovrani e morendo "quasi povero" - secondo i canoni dell'epoca relativi ad un cardinale. C'è pieno consenso nel presentarlo come attento alle arti - poesia, musica, scultura - e sensibile alla bellezza. Gli è riconosciuta una sincera delicatezza d'animo.
 
C'è sin dall'inizio (1847) una presentazione riguardevole del cardinale che viene paragonato ai cardinali Ximenes, Richelieu e Mazzarino. Questo raffronto presente in Gaetano Moroni trova una prima base già nel 1823 in un manoscritto (con più copie), poco conosciuto, intitolato Abbozzo comparativo di un autore anonimo zelante che, nel presentare un confronto tra Consalvi ed altri cardinali politici e diplomatici (Ximenes, Wolsey e Richelieu), tende ad esprimere "un giudizio severissimo di onnipotenza e di arbitrio ai danni di Consalvi". Il confronto con altri cardinali continua nel tempo, ancora un secolo dopo, trovando addirittura anche nuovi termini di paragone (quale il cardinale Casaroli). In questo senso viene spesso associato alla sua persona un aggettivo qualificativo assai impegnativo:  "grande". Così tanti storici gesuiti, come Ilario Rinieri e Giacomo Martina, come pure altri studiosi impiegano questa terminologia elogiativa. Si ricorda a livello esemplificativo Giuseppe Alessandro Angelucci, che è dichiaratamente di parte sin dal titolo della sua monografia. Così tramite un semplice aggettivo viene espresso un giudizio comprendente non solo la persona, ma anche la sua azione. Viene dato al lettore un pregiudizio più che favorevole.

Su questa presentazione lodevole del cardinale viene ad inserirsene un'altra, insolita, ma significativa, interessante ed originale, anch'essa basata sulla lettura degli scritti di Consalvi:  Richard Wichterich lo presenta come uomo insicuro, dalla limitata fiducia in se stesso, senza ambizioni, che si percepisce inetto. Così fino all'invio a Parigi (1801). Quella fu l'ultima volta nella sua vita in cui tentò di evitare apertamente un compito difficile:  "Dopo aver affrontato a Parigi il potente Bonaparte ed avergli tenuto testa, parve che le nuove prove non lo spaventassero più".

A questa interpretazione è giustapposta quella di Lajos Pásztor. L'autore fa notare come al Consalvi piaccia la parte di mentore - le sue lettere all'allora amico Giuseppe Albani, in missione a Vienna, sono piene di consigli ed ammonimenti, nonostante il fatto che Albani stesse alla sua terza missione diplomatica e il Consalvi non ne avesse avuta ancora nessuna - e come il suo stile sia conciso, essenziale, utilizzando termini precisi e chiari, tanto da poter affermare che è espressione di una personalità forte e decisa. Entrambi gli autori considerano fonti precedenti al 1801:  stesso personaggio, ma diversa valutazione della personalità. E non c'è possibilità di conciliazione. Probabilmente le due interpretazioni andrebbero armonizzate.

Negli ultimi due anni si sono avuti contributi innovativi che hanno utilizzato come fonte gli elenchi dei testi librari di Consalvi conservati presso l'Archivio di Propaganda Fide. Essi riportano la situazione della biblioteca negli anni 1793, 1797 e 1824. Grazie al loro studio, si sono potuti conoscere meglio il pensiero e la personalità del prelato romano. 
cardinale Ercole Consalvi Più esattamente, dal punto di vista teologico e spirituale si possono fare diverse considerazioni. Consalvi, diplomatico e politico, è in qualche modo vicino all'uomo più semplice. Ha anche lui le sue devozioni:  si nota una preferenza per san Francesco di Sales e, maggiormente, per santa Teresa d'Avila; nutre pure interessi per i santi gesuiti. Per quanto concerne i libri teologici il discorso si fa più ampio, poiché vi si trovano rispecchiate le esigenze dell'epoca ed anche le necessità riguardanti il ministero pubblico del cardinale.

Si trovano opere riguardanti la potestà del Romano Pontefice o la giurisdizione episcopale (si pensi al libro del Bolgeni e al De Potestate ecclesiastica di Pietro Ballerini, presente nel terzo catalogo), libri sui sinodi diocesani - anche quello di Pistoia - e infine opere relative alla condizione del clero in Francia - principalmente in relazione al giuramento civile. Si rileva, pertanto, un'osmosi tra le letture del Consalvi e le situazioni che doveva quotidianamente affrontare.

Considerando i gusti poetici e letterari, si riscontrano interessi diversi. Nella biblioteca figurano classici dell'antichità, opere del periodo tardo medievale, dell'umanesimo, del Seicento, della poesia settecentesca e del romanticismo. Per la varietà letteraria dei libri da lui posseduti, si può riconoscere una personalità composita, che spazia su tutto l'arco della produzione disponibile.

Inoltre, emerge il profilo di un uomo che mira ad avere una cultura impegnata, insomma di un intellettuale. È un uomo aperto, che considera seriamente la produzione letteraria. C'è una effettiva volontà di comprendere. Emerge anche una caratteristica personale:  quella di essere un uomo che non si accontenta - dello stesso testo ha più edizioni, più traduzioni e più commentari. Questa immagine finale di Consalvi come di una personalità composita e perfezionista, continuamente teso ad approfondire, aiuta a capire il personaggio, facendo emergere lo spessore dell'uomo. Il cardinale, alla fine, si può unicamente definire, andando oltre l'immagine di un uomo di cultura, come un uomo intellettualmente aperto.

L'ambito fin qui trattato, relativo alla persona di Consalvi, richiede ulteriori ricerche, soprattutto in vista di una futura biografia. Si conosce ancora ben poco dei familiari del cardinale, delle loro attività e dunque degli stimoli che Ercole può aver ricevuto. Solo recentemente si sono aggiunti alcuni dati riguardanti la sua formazione scolastica e superiore.

Per quanto riguarda il periodo giovanile del cardinale, si hanno poche notizie. Alcuni - a partire da Moroni e specificamente nella produzione di voci dei dizionari - sottolineano il suo curriculum vitae, altri riferiscono i suoi interessi giovanili (Wichterich), altri ancora esprimono giudizi di sconcertante superficialità - quando ad esempio Bernard Plongeron lo descrive come nuovo nella carriera all'età di 43 anni!


(©L'Osservatore Romano - 5 giugno 2009)
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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E dal congresso di Vienna lo Stato pontificio uscì vincitore


di Alessandro Roveri
Università di Ferrara


Il 2 aprile 1810 ebbe luogo a Parigi (Saint-Denis) il matrimonio tra Napoleone Bonaparte e Maria Luisa d'Austria. Poiché in precedenza Bonaparte aveva sposato Giuseppina Beauharnais, l'imperatore aveva avuto bisogno dell'annullamento canonico delle precedenti nozze. Tale annullamento venne rifiutato sdegnosamente da Pio VII, benché egli si trovasse prigioniero dell'imperatore dei francesi a Savona.


Allora Bonaparte cercò e ottenne l'annullamento dalla compiacente Chiesa metropolitana di Parigi. Consalvi, che già il 26 gennaio precedente aveva ribadito a Bonaparte la propria intransigenza in difesa dei diritti della Santa Sede, insieme ad altri dodici cardinali si rifiutò di presenziare al rito. Il gruppo ribelle fu privato della porpora e disperso. Consalvi, divenuto così "cardinale nero", fu deportato a sua volta a Reims, dove giunse il 13 giugno 1810 e soggiornò fino al 2 febbraio 1813. Questo isolamento fu il risultato della sua fermezza dinanzi ad un Bonaparte che si trovava all'apogeo della sua potenza. 


cardinale Ercole Consalvi In quei due anni e mezzo nulla poté Consalvi per aiutare il vecchio e malato Pontefice a resistere alle pretese di Bonaparte che infatti approfittò della rassegnazione del Papa suo prigioniero per fargli accettare e il concilio gallicano del 1811 e il conseguente concordato di Fontainebleau del 25 gennaio 1813:  una vera capitolazione, quel concordato, ad onta della recente disfatta napoleonica di Russia, dalla quale l'imperatore stava cercando di riprendersi. Ciò perché 27 diocesi francesi erano rimaste senza titolare, e Bonaparte, oltre alla nomina da parte sua, ottenne istituzioni canoniche "gallicane" dopo un semestre di eventuale rifiuto pontificio, e inoltre il diritto alle nomine episcopali anche nel Regno d'Italia.

Grazie, tuttavia, alla stipulazione del concordato di Fontainebleau, Consalvi fu liberato e, lasciata Reims, raggiunse immediatamente Pio VII allo scopo di porre rimedio alla situazione. Già il 24 marzo 1813, quindi, Pio VII , spalleggiato dai cardinali Consalvi, Di Pietro e Pacca, scrisse a Bonaparte, alle prese con la sua guerra di rivincita contro i Russo-Prussiani e sempre più isolato in campo internazionale, e dichiarò nullo il concordato di Fontainebleau. Consalvi, sempre attento ai rapporti di forza, approfittò abilmente della successiva disfatta napoleonica di Lipsia dell'ottobre 1813 dinanzi ai Russo-Prussiani e alla riscossa del sentimento nazionale germanico. E la linea consalviana culminò nel diktat di Pio VII del 12 gennaio 1814:  nessuna trattativa è ora più possibile, se prima Bonaparte non restituisce Roma al Papa.

Si ebbe allora l'ultimo rabbioso colpo di coda di Bonaparte:  Bartolomeo Pacca, considerato complice della congiura antinapoleonica, deportato a Uzès, Consalvi ancor più lontano, a Béziers. Vi giunse il 9 febbraio 1814, ma non vi restò a lungo. Avendo Bonaparte ordinato il 10 marzo di ricondurre il Papa a Roma, il 19 marzo, mentre Bonaparte subiva sul suolo francese un'altra sconfitta ad opera della coalizione nemica, Pio VII prese la strada per Roma scegliendo di percorrere la via Flaminia, e Consalvi poté finalmente lasciare Béziers il 20 aprile. Da quel giorno il grande cardinale inseguì letteralmente il suo amato pontefice con la maggiore velocità possibile, ansioso di prendere in mano la politica estera della Santa Sede sottraendola a consiglieri meno di lui capaci di intendere il senso dell'ora storica.

E il senso dell'ora storica, che Consalvi aveva ben compreso - ma temeva che non di altrettanta lungimiranza si fosse capaci in curia - era che non si poteva tornare a prima del 1789. Per esempio:  non si poteva, in tutta Europa, restituire ai vecchi proprietari, Chiesa romana compresa, i beni nazionali mediante i quali era sorta una nuova borghesia terriera, pena una ripresa rivoluzionaria.
L'inseguimento affannoso di Consalvi terminò a Rimini l'8 maggio 1814, quando l'insigne inseguitore rivide finalmente il suo amato pontefice.
 
Troppo tardi, però, perché il maggiore guaio era già stato fatto, con l'invio a Parigi, in qualità di nunzio interinale incaricato di missione straordinaria presso i sovrani alleati, dello "zelante" monsignore Della Genga che si era riunito al Papa già dal 19 aprile, ma era latore di istruzioni, da lui stesso ispirate, intese a contestare sia il concordato del 1801 sia il testo costituzionale che il Senato francese aveva varato il 6 aprile. Per giocare con le diplomazie dei vincitori la carta del riacquisto delle Legazioni, da tempo oggetto delle mire dell'Austria, sarebbe stata un disastro, questa pretesa di convincere Luigi XVIIi a non firmare la nuova costituzione.

Consalvi comprese inoltre immediatamente che occorreva salvare quel concordato del 1801 che aveva rappresentato il trionfo di Roma sulla Chiesa gallicana:  erano ancora viventi 17 di quei vescovi che nel 1801 avevano rifiutato le dimissioni loro imposte da Pio VII. Inoltre Consalvi sapeva bene che non si poteva al tempo stesso pretendere per i cattolici piena libertà nei Paesi protestanti e impugnare in Francia la tolleranza per gli altri culti. Bisognava - pensò Consalvi - rompere l'alleanza tra gli zelanti della Chiesa e gli "ultra" di Francia, perché la Santa Sede non doveva legarsi a nessun partito politico. Per questo l'insigne Adolfo Omodeo ha scritto:  "appena nel maggio del 1814 riprese contatto col Papa reduce nei suoi Stati, e seppe dell'invio di monsignor Della Genga, intuì l'insidia dei suoi avversari di curia:  si fece delegare pieni poteri e corse in tutta velocità a Parigi a stornare errori irreparabili". 

cardinale Ercole Consalvi Il 20 maggio 1814, non appena ottenuta la nomina a segretario di Stato, ritardata di dodici giorni per l'evidente resistenza degli zelanti, da Foligno Consalvi prese la strada di Parigi. Aveva ottenuto istruzioni di Pio VII nelle quali era detto testualmente:  "vogliamo che, se le lettere da Noi consegnate al detto monsignor Della Genga non sono state ancor presentate all'arrivo del cardinal segretario di Stato, non si presentino più, dovendo presentarsi quelle che reca il cardinale anzidetto".

E che cosa pensasse il "cardinale anzidetto" risulta assai chiaro da quanto Consalvi scrisse al pro-segretario Pacca da Calais il 9 giugno 1814:  "Debbo io dare o no una nota a Parigi sull'articolo della Costituzione che accorda a tutti i culti eguale protezione ed eguale stipendio? La ragione di dubitare nasce dai seguenti riflessi: 
1, questa Costituzione è stata fatta dal re medesimo, il quale ha creduto che le circostanze della Francia esigessero indeclinabilmente questa misura;
2, è assolutissimamente impossibile di ottenerne la revoca;
3, se alle anzidette due difficoltà si potesse passar sopra (malgrado i non leggieri ostacoli che presentano) col riflesso che almeno il Santo Padre fa quello che può dal canto suo, vi è però una difficoltà assai più grave, quella cioè del danno che può risultare dalla cosa.

Mi spiego. Il Santo Padre desidera certo e dimanda che nei paesi non cattolici, come l'Ollanda, la Svizzera, Ginevra, l'Inghilterra, la Russia ed altri ecc., i cattolici siano almeno protetti e trattati egualmente che i protestanti. Può dunque parere o una contradizione o una pretensione ingiusta (benché nel fondo e secondo i principi della religione non lo sia), che impugni  per  gli  altri  quella  tolleranza che implora per i suoi. È vero che si può dire che la Francia è uno Stato cattolico,  ma  questo  di  può  dire  fino a un certo segno, e si noti che la religione cattolica non si è potuta dichiarare nella Costituzione per religione dominante, ma solo per religione dello Stato".

Il grande cardinale stava imbarcandosi per Londra, dove doveva chiedere ai sovrani la restituzione delle Legazioni, come aveva fatto con Luigi XVIIi a Parigi, e l'Inghilterra, che non aveva relazioni diplomatiche con la Santa Sede, escludeva ancora i cattolici dalla vita pubblica ed aveva una legislazione caratterizzata da un'amplissima libertà di stampa. Nonostante ciò, Consalvi fece di tutto per giungere a un concordato con l'Inghilterra, di cui ammirava l'abolizione della schiavitù:  un concordato che contemplasse l'emancipazione dei cattolici inglesi. Egli era entusiasta di un possibile accordo che permettesse ai cattolici inglesi di partecipare all'attività legislativa, ma non riuscì a convincere la Congregazione per gli Affari Ecclesiastici Straordinari, dominata dagli zelanti.

Quando riprese i colloqui con gli statisti della coalizione antinapoleonica al congresso di Vienna, Consalvi dovette superare, quindi, molti ostacoli che avrebbe voluto vedere rimossi a Roma dal pro-segretario Pacca. A essi si aggiunse una politica interna ed ecclesiastica, a suo giudizio, piena di errori.

A proposito della vigorosa battaglia di Consalvi contro i vescovi francesi non dimissionari, il conte Cortois de Pressigny, che era uno di loro, allora ambasciatore francese a Roma, scrisse al ministro degli Esteri francese Talleyrand il 3 ottobre 1814 con nessun rispetto per la verità storica e con aristocratico disdegno nei confronti di uno di quegli uomini di umili origini che la Chiesa di Roma ha sempre saputo portare ai più alti fastigi:  un homme d'une naissance médiocre, tour à tour protecteur et protégé de Bonaparte, tient en échec, pendant trois mois, aux yeux de toute la ville de Rome, un prélat nommé par le Roi. Quel "plebeo" era Ercole Consalvi.

A onta di tante difficoltà, l'uomo dalla naissance médiocre, che non era mai stato né protettore né, tanto meno, protetto di Bonaparte, riuscì a compiere il miracolo della conservazione del concordato del 1801, che resterà in vigore fino al 1905, e, a Vienna, quello del mantenimento dell'integrità territoriale dello Stato pontificio - con la sola eccezione del Ferrarese transpadano, preteso e ottenuto dall'Austria.



(©L'Osservatore Romano - 5 giugno 2009)
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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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Duecento anni fa Pio VII, prigioniero di Napoleone, venne trionfalmente accolto a Cuneo durante il viaggio che lo portava a Savona

Non sta bene gettare gli ufficiali francesi nel burrone


Nell'ambito delle celebrazioni per il bicentenario del passaggio di Pio VII a Cuneo, nell'agosto del 1809, il decano del Collegio Cardinalizio tiene venerdì 28 una conferenza presso il Teatro "Alla Confraternita" di Limone Piemonte. Ne pubblichiamo uno stralcio.

di Angelo Sodano


Dopo dieci giorni di detenzione del Papa a Grenoble, giunse un improvviso ordine di Napoleone, che, preoccupato delle crescenti critiche del mondo cattolico e delle potenze europee per l'arresto del Pontefice, dispose che il grande suo prigioniero fosse trasferito a Savona.

Iniziò così la penosa avventura che oggi ci interessa, con tappe forzate a Valence, Avignone, Aix e Nizza, per le strade meno frequentate, per evitare i contati del Papa con i fedeli. Da Nizza l'ordine fu poi di passare dal Col di Tenda e passando per Vievola, Limone, Vernante, Roccavione, Borgo San Dalmazzo, puntare su Cuneo, Mondovì, Carcare, Colle di Cadibona e Savona. Si concludeva così un viaggio doloroso e umiliante, iniziato a Roma nella famosa notte del 6 luglio del 1809 e terminato a Savona il 17 agosto successivo. 

Pio VII Di là, dopo tre anni, il Papa sarà trasferito in gran segreto in Francia, e precisamente a Fontainebleau, presso Parigi, per restarvi quasi due anni sotto custodia di Napoleone. Solo la sua ritirata dalla Russia e la sua sconfitta a Lipsia da parte della coalizione europea, il 18 ottobre 1813, obbligherà Napoleone a trattare con il Papa, prima per un nuovo Concordato, e poi per rimandarlo libero a Savona, il 23 febbraio del 1814. Termineranno solo allora i lunghi cinque anni di prigionia di Pio VII.

Nel commentare quel doloroso viaggio di Pio VII da Grenoble a Savona, non posso esimermi nel dirvi la grande soddisfazione con cui ho appreso le notizie della grande devozione con la quale fu qui accolto il successore di Pietro.

Il vostro vescovo, monsignor Giuseppe Cavallotto, mi ha fatto conoscere alcune notizie apparse sulla stampa dell'epoca circa quel viaggio. La loro lettura mi ha rivelato la fede profonda della gente di questa valle e la concreta devozione dei fedeli verso il vicario di Cristo. Rendere oggi onore a Pio VII è, quindi, anche un'occasione per rendere onore alla comunità cristiana di questa terra e alla sua storia.

Le autorità francesi erano allora preoccupate dalle grandi dimostrazioni d'affetto verso il Papa, se si fosse andati da Nizza a Savona passando per la riviera. Esse si dovettero ben presto pentire d'aver deciso di prendere la strada più solitaria del Col di Tenda. I gendarmi francesi pensavano che forse fra queste montagne non fosse giunta la notizia del viaggio del Papa a Savona. In ogni caso se vi fossero stati degli applausi, almeno essi non sarebbero giunti alle orecchie di Napoleone! I gendarmi francesi dovettero ben presto ricredersi.

Ciò che successe qui quel 12 agosto del 1809 vi è ben noto. Di buon'ora il Papa era passato per il Col di Tenda, rannicchiato in fondo alla carrozza per il freddo del mattino (egli aveva solo con se gli abiti leggeri con cui vestiva a Roma). Ben presto il Papa incontrò i buoni limonesi che erano venuti con una portantina e con i muli per trasportare il suo bagaglio. I limonesi accompagnarono subito il Papa a scaldarsi presso il fuoco di una buona donna del posto, e accompagnarono poi il vicario di Cristo a Limone. Il Papa non se la sentiva di andare a cavallo, e allora lo trasportarono con una apposita portantina. Il signor Tosello, detto "Bridon", a un certo punto fece un cenno al Papa di voler gettare giù da un burrone il comandante francese, il capitano Boissard, ma il Papa sottovoce lo sgridò ed egli dovette così esclamare commosso:  "Questo Papa è davvero un santo" (cfr. Ram Repertorio di Antiche Memorie, Cuneo, tomo ii, p. 481).

A Limone il Papa giunse verso mezzogiorno di quel 12 agosto, accolto fin dalla prima cascina del paese dalla gente del posto con il baldacchino che s'usava per la processione del Corpus Domini. Suonavano a festa le campane e giungeva correndo il parroco e il clero in cotta e stola. Il comandante francese impedì però al Papa di entrare nella vostra chiesa, già tutta addobbata a festa, come nelle grandi solennità. Il Papa fu poi condotto per un poco di riposo e refezione all'albergo del signor Gioanni Battista Viale detto "Buffon". Lì il clero e i fedeli poterono finalmente baciare la mano al Papa e ricevere la sua benedizione. Tutto avvenne in gran fretta perché alle tre dopo mezzodì il Papa fu già obbligato a partire per Cuneo e Mondovì. Le forze fisiche del Papa andavano però scemando e così dovettero andare a Mondovì da Limone dodici portantini molto affezionati, che di là lo portarono fino a Savona. I loro nomi sono citati con orgoglio nella storia della vostra terra, dai Blangero, Bottero e Dalmasso fino ai Fiandino, Tosello e ai Viale. Il Papa li ricorderà sovente come esempi di fedeltà del popolo cristiano al successore di Pietro.

Parimenti fu di gran conforto al Papa prigioniero l'affetto dimostratogli in tutto il suo percorso dalla gente di Cuneo. Il Papa non fu però autorizzato a recarsi in Duomo. Allora alcuni canonici ottennero dal comandante francese di recarsi a salutare il Papa nella casa del marchese Lovera, dove era stato alloggiato. Il Papa, che aveva potuto celebrare la messa nella cappelletta del marchese, donerà poi a quei canonici il calice che sempre portava con se. Quel calice è ancor oggi un caro ricordo del Papa per tutta la diocesi.

Pio VII poté salutare, sempre chiuso in casa, numerosi fedeli. Dovette poi partire per Rocca dei Baldi, per essere verso sera a Mondovì, che allora era il centro della diocesi. Pio VII però, appena ritornato libero a Roma, come segno di grande stima e affetto verso queste popolazioni, eresse subito la diocesi di Cuneo, smembrandola da quella di Mondovì. Di questa cara Chiesa particolare il Papa conserverà sempre grato ricordo.
Dopo tutte le peripezie di un lungo viaggio, il Papa prigioniero di Napoleone poteva infine giungere a Savona, il luogo definitivo della sua detenzione. Lì rimarrà tre anni, da lui offerti al Signore per tutta la Santa Chiesa, di cui si sentiva sempre pastore.


(©L'Osservatore Romano - 29 agosto 2009)
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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