A tutti voi che passate da qui: BENVENUTI
Se avete desiderio di capire che cosa insegna la Bibbia che il Magistero della Santa Chiesa, con il Sommo Pontefice ci insegna, questo Gruppo fa per voi. Non siamo "esperti" del settore, ma siamo Laici impegnati nella Chiesa che qui si sono incontrati da diverse parti d'Italia per essere testimoni anche nella rete della Verità che tentiamo di vivere nel quotidiano, come lo stesso amato Giovanni Paolo II suggeriva.
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Le basi per la Nuova Evangelizzazione nell'Anno della Fede con la Dottrina e il Catechismo

Ultimo Aggiornamento: 16/01/2013 18:57
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07/02/2012 14:40
 
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[SM=g1740733]Cari amici,
in alcune e-mail che ci sono giunte ci è stato chiesto se avessimo a portata di mano-clic... alcuni argomenti fondamentali e di base per riflettere in questo Anno della Fede e per la Nuova Evangelizzazione....
Rispondendo a queste e-mail ho fatto presente che molto materiale è di fatto esposto in tutto il forum e in molte sezioni, specialmente nella Catechesi .... ma a questo punto ci pare cosa buona ed utile raccogliere qui, in ordine sparso, alcuni argomenti specifici e che, per noi, costituiscono il fondamento della nostra Fede....
Cominceremo da alcuni articoli postati per ultimo in ordine di data, per poi andare a ripescare testi più, forse, dimenticati....

Ringraziando coloro che ci hanno scritto testimoniandoci così un vivo interesse che condividiamo, auspichiamo per tutti una buona meditazione.... confermando, visto che ci è stato chiesto, che i testi possono essere prelevati e divulgati raccomandando solo di citare la fonte e di non estrapolare singoli passi rischiando di snaturalizzare l'unico significato autentico che è quello Dottrinale Cattolico, indissolubilmente unito in quell'ermeneutica della continuità con tutta la Tradizione viva e bimillenaria della Chiesa, auspicata ed insegnata dal santo Padre Benedetto XVI, al quale dedichiamo con affetto filiale questo modesto impegno! [SM=g1740738]

Cominceremo dalla CARITA' senza la quale la fede non produrrebbe opere sante.... ma chiariamo subito che cosa è la vera Carità insegnata dal Vangelo.... [SM=g1740722]

LA CARITA'
fonte: La Chiesa Cattolica - la sua dottrina - Vol.II - con Imprimatur Vescovile - Trieste 1886

Mescolato anch'io con gli Apostoli, nel Cenacolo, sentirò quelle dolci parole di Gesù, Dio nostro: < amatevi gli uni gli altri, come io ho amato voi > (Gv.15,12).

Orazione per ottenere la vera Carità

Fatemi conoscere, o Gesù amatissimo, la Carità inesauribile con la quale amaste e amate ciascuno di noi, anche il più miserabile. Fatemi penetrare intimamente il comando dell'autentica Carità che Voi ci avete dato, testimoniata e vissuta in pienezza, che Voi avete fatto di tal Carità il segno distintivo della Missione della Santa Chiesa, segno distintivo dei Vostri Discepoli nel servizio alla Chiesa.
Datemi lume per conoscere il pericolo della falsa carità la quale, offuscando quella vera, si ridurrebbe ad un falso perbenismo, rischiando persino di non più praticar la vera Carità che mi vuol martire per amor Vostro, martire per la missione della Chiesa, martire per la propaganda dell'unica e vera fede Cattolica.
Datemi un pò del Vostro ardente amore, sì che abbia ad infiammar il mio cuore di ardente Carità, sciogliendo il ghiaccio che lo intrappola, sì da riempirlo di Voi, e sentirlo d'infuocar di passione donde cominciar a vivere di vera Carità: per Voi, mio Dio; per la Santa Chiesa, per il Sommo Pontefice, per i Divini Sacramenti, per la santa  Dottrina, per i divini Comandamenti, per i Santi e gli Angeli, per l'Augusta mia Regina, la Vostra Santissima Madre, ed ancor ardere per il prossimo, per i peccatori, per gli ammalati e i sofferenti, per i carcerati e gli oppressi, per gli orfani, le vedove, i poveri, i tribolati e per le Anime Sante del Purgatorio, ed anche per i ricchi, per i Sacerdoti, i Vescovi e i Catechisti, i Diaconi e i Missionari, tutti coinvolgici affinché veniamo a voler conoscere la grande pratica della divina Carità.
Amen

Il sommo Magistero della Santa Chiesa ha individuato nel tempo diversi tipi di Carità e che maternamente Essa ci viene a dispiegare.

1. Carità soprannaturale

L'amore per il prossimo si fonda principalmente sulle ragioni della fede e sul desiderio della grazia; in questo mio prossimo ho il dovere soprannaturale della grazia di veder il volto di Cristo, un tralcio della Vite Divina; se battezzato anche un membro del Corpo Mistico di Cristo, se ancora non battezzato, un figlio di Dio per il quale devo desiderare l'ardente Carità della grazia battesimale. Riguardo a ciò, conscia del mandato del proprio Fondatore: "Euntes ergo docete omnes gentes, baptizantes eos in nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti, docentes eos servare omnia, quaecumque mandavi vobis. Et ecce ego vobiscum sum omnibus diebus usque ad consummationem saeculi. / Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo." (Mt.28,19-20), la Santa Chiesa manda, invia i suoi missionari per il mondo ad esercitare questa Carità soprannaturale. Il Collegio di Propaganda Fide, fondato dal Pontefice Papa Gregorio XV (a.D.1622), e rafforzato da tutti i suoi Successori, educa ancora oggi giovani di tutte le Nazioni e somministra degli abili Sacerdoti alle Missioni, tante sono le forme suscitate dallo Spirito Santo perché provvedessero alla Carità soprannaturale, ne vogliamo ricordare qualcuna tanto raccomandata dai Pontefici: le tante pie associazioni di fedeli laici impegnati come la Leopaldina, quelle Mariane e quella di Lione, in esse si raccolgono fondi onde soccorrere ai bisogni delle Chiese per la propagazione della santa Fede e per il mantenimento di intere famiglie bisognose.

2. Carità universale

La Carità universale non conosce confini, barriere, differenze di lingue, razze o culture, come abbiamo specificato sopra. Essa raggiunge tutti i confini della terra per portare Colui che è Somma Carità, l'Elargitore di ogni carità, il Procuratore di tutti i doni e di ogni Bene. Il nostro primo dovere è quello di un amore generale, universale, uguale,  intero per tutti i nostri fratelli e sorelle sparsi nel mondo, ma ancor più somma Carità è rivolgersi a quei fratelli e sorelle che ancora non hanno conosciuto il Procuratore di tal grande Bene, Nostro Signore Gesù Cristo. Nessuna antipatia o particolare simpatia deve animare questa Carità universale, che va data senza eccezioni, senza distinzioni, ma da guardar solo bene che in questa Carità vi sia la pienezza di Colui che l'ha a noi donata: Gesù, Nostro Signore, Dio! "Il successo dei missionari cattolici - disse un pastore protestante (opera Hettinger pag.76, 1869) - proviene dal fatto che essi penetrano con assoluta abnegazione del loro essere, anche a sprezzo della propria vita, nel più interno ed intimo tessuto sociale dei paesi pagani, si assimilano col popolo in mezzo al quale vogliono agire, ma non fanno compromessi con le loro dottrine, ed ottengono influendo sui cuori il principio della conversione a Cristo: io, vedendo per l'opposto un missionario evangelico dimorare comodamente con moglie e  figliuoli in case eleganti, a pensare come primo lavoro di mantener bene la propria famiglia anziché pensare alle cose di Dio, me ne dovetti veramente vergognare..."
In mezzo agli eretici, ai pagani, la Chiesa non può spiegare tutta la sua attività e tutta la sua dottrina, ma è proprio coll'esempio che essi portano frutto, la Carità universale è così espressa con fede ed opere, coll'evidenza dei fatti e dei suoi dommi, colla semplice maestà del suo Culto, colla carità che da ogni suo fare traspira, ed il Signore  benedice ogni sua impresa.

3. Carità umile

Siamo tutti servitori, ma nessuno è indispensabile, siamo servi "inutili" (Lc.17,7-10). Servi di Dio, ma anche indegni di stare in compagnia degli amici prediletti di Gesù: i poveri, gli afflitti, i carcerati, i malati, gli orfani, le vedove, i perseguitati, i sofferenti... Mi sento davvero l'ultimo nella Casa del Signore? Stimo tutte le altre membra più di  quanto non stimi me stesso? Porgo la dovuta riverenza ai miei superiori anche quando so che stanno sbagliando? Porgo la dovuta attenzione al superiore che sta cercando di correggermi nei difetti? La vera Carità umile è anche quella pia pratica che si esercita nel consigliare i dubbiosi, facendo attenzione a non parlare con superbia; è consigliare sui Comandamenti e sulla sana dottrina, facendo molta attenzione ad essere innanzi tutto testimoni nella pratica di così grande dottrina e nei Comandamenti, e non solo a parole onde evitare di svergognare la Carità dando una falsa testimonianza di se stessi. E' falsa Carità e per nulla umile quando , invece, si vuol tacere di correggere coloro che hanno intrapreso delle strade sbagliate e, si dice per esempio: per senso di carità non parlo! E' di fatto codardia, oppure paura, oppure ignoranza della fede, o peggio apostasia, è falsa carità ed è falsa umiltà soffocare la fede lasciando che l'errante prosegua la sua strada verso il baratro, come ci ammonisce il Profeta Ezechiele (cap.3, 16-21): "Si autem tu commonueris impium, et ille non fuerit conversus ab impietate sua et a via sua impia, ipse quidem in iniquitate sua morietur, tu autem animam tuam liberasti. / Ma se tu ammonisci il malvagio ed egli non si allontana dalla sua malvagità e dalla sua perversa condotta, egli morirà per il suo peccato, ma tu ti sarai salvato."

4. Carità disinteressata e devota


La Carità è un atto di gratuità senza alcun interesse, l'unico interesse (che è desiderio prima di tutto di Gesù Cristo) è quello che tale Carità porti il bisognoso a conoscere il Procuratore del nostro Sommo Bene, il Salvatore nostro Gesù Cristo che gratuitamente si è donato portando e procurandoci ogni vero bene. Il servo buono e devoto e veramente disinteressato è colui che esercita questa Carità, la carità in nome di Gesù Cristo, e per questo non si procura altri interessi né verso se stesso, né verso le proprie utilità, né per i propri piani, né per i propri progetti, egli è quel servo devoto e fedele che tutto arde di Carità Ecclesiale.  Ancora, la Carità disinteressata e devota è  quella raccomandataci dall'Apostolo San Paolo "Alter alterius onera portate et sic adimplebitis legem Christi./ Portate i pesi gli uni degli altri per adempiere la legge di Cristo" (Gal.6,2), così questa Carità si attua quando siamo pronti ad aiutare le altre membra, a cooperare con i Chierici, a servire i Pastori anche quando non ne riceverò alcuna gratificazione. Dicono i Santi che essere vera Carità disinteressata significa diventare il "facchino della comunità Ecclesiale", dire "sì" alle legittime richieste dei superiori e dei fratelli, è muoversi come fece la nostra Augusta Regina quando, incinta del Verbo Divino, scese per portare sollievo e sostegno alla cugina Santa Elisabetta...

5. Carità misericordiosa

Dice San Francesco di Sales: " Se una azione ha cento lati cattivi e uno solo buono, dobbiamo fare di tutto per sforzarci di guardarla da quello buono", la prima tentazione invece ci spinge a sottolineare tutti gli aspetti negativi, ma un autentico atto di Carità misericordiosa è proprio quello di perseguire l'unico lato buono, farlo emergere in modo tale che i cento lati cattivi lentamente perdano spessore fino a cancellarsi.
Occorre correggere la propria inclinazione ed allontanare dalla mente il giudizio prettamente sfavorevole. Altro atto di questa forma di Carità è il compatire i difetti e le miserie altrui, pur non tacendo, dove fosse necessario, di rigettarne i peccati, ma piuttosto amorevolmente soccorrere il tal fratello e sorella in modo da far sentire in loro tutta la compassione del Cristo. E' indispensabile che si applichi tale Carità misericordiosa perdonando le offese ricevute, le parole e le osservazioni pungenti, anche quando queste fossero state fatte senza ragione alcuna, ricordando le parole del Cristo: "Estote misericordes, sicut et Pater vester misericors est./ Siate misericordiosi come è misericordioso il Padre vostro" (Lc.6,36), e senza dimenticare il perdonare settanta volte sette (Mt.18,22). Evitate di imprigionare il vostro cuore nelle inutili amarezze e risentimenti, allontanate da voi i sospetti e le vendette. Se vi è da correggere qualcuno, lo si faccia con bontà, con umiltà, con tatto e somma prudenza, con il pudore, facendo passare ogni parola attraverso il Cuore misericordioso di Gesù, mai dimenticando che ogni Anima, come quella di un bambino, è uno strumento delicatissimo che il Signore pone nelle nostre mani non per tiranneggiare, ma per servire.

6. Carità paziente e mansueta

Questo tipo di Carità rafforza in noi l'autentica umiltà.
Sopportare le persone moleste, perdonare i difetti altrui, sorvolare sulle piccole mancanze degli altri, sopportare gli inconvenienti della vita, i caratteri noiosi, irritanti, pungenti o capricciosi... in sostanza si tratta di evitare inutili contrasti, noiose querele, piccoli litigi che potrebbero sfociare in liti omicide, o avanzare con asserzioni esagerate e personali da fare delle proprie idee delle verità assolute perfino comportamentali. Quando si è stanchi e affaticati, è meglio evitare ogni discussione, Gesù ci richiama a metterci in disparte, con Lui: "Et ait illis: “ Venite vos ipsi seorsum in desertum locum et requiescite pusillum ”. Erant enim, qui veniebant et redibant, multi, et nec manducandi spatium habebant./ Ed egli disse loro: "Venite in disparte, in un luogo solitario, e riposatevi un pò". Era infatti molta la folla che andava e veniva e non avevano più neanche il tempo di mangiare." (Mc.6 30-34).
Infine il cosiddetto Inno alla Carità dell'Apostolo San Paolo, ci richiama ai doveri di questo esercizio: "Caritas patiens est, benigna est caritas, non aemulatur, non agit superbe, non inflatur, non est ambitiosa, non quaerit, quae sua sunt, non irritatur, non cogitat malum, non gaudet super iniquitatem, congaudet autem veritati; omnia suffert, omnia credit, omnia sperat, omnia sustinet. Caritas numquam excidit. / La carità è paziente, è benigna la carità; non è invidiosa la carità, non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell'ingiustizia, ma si compiace della verità. Tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta. La carità non avrà mai fine." (1Cor.13,1-13)

7. Carità delicata

Questa forma di Carità è quella più visibile nelle comunità, negli Ordini Religiosi, i Santi ne hanno parlato molto.
La prima attuazione è nell'avere attenzione con le persone con le quali si vive. Sforzarsi di rendere la croce degli altri più leggera e la vita meno pesante.... e questi consigli possono tornare utili anche agli sposi, persino nelle carceri, negli ospedali, nei ricoveri per gli anziani: una società civile che si prodigasse nel sollevar le croci degli altri e nel rendere la vita meno litigiosa, procurerebbe una sana civiltà.
La Carità delicata esulta nel successo degli altri membri della comunità più dei propri, e si presta a sottolineare i successi ottenuti dai fratelli più deboli anziché lodarsi dei propri. Questa Carità ci spinge a soffrire con chi soffre, condivide le pene altrui, le malattie e le afflizioni, i lutti come vivendoli in prima persona, e subito pronti a portar loro conforto, spendendosi in parole ed opere, con atti di generosità. Questa Carità deve riflettersi in ogni Cattolico il quale non vive nella Chiesa come in una società esteriore, civile o politica, ma vive in essa come il ramo che riceve nutrimento e vita dall'albero, è membro di un Corpo santo, perciò il Cattolico la chiama ben a ragione sua "Madre - la Santa Madre Chiesa" imperciocch'essa lo partorisce, lo rigenera, mediante il Battesimo, lo alleva, lo educa, lo risana, ne mai finisce di aiutarlo. Per questo un vero Cattolico ha come dovere di vivere questa Carità delicata prima di tutto nei confronti della Santa Chiesa, che se egli non facesse di questa Carità alla Chiesa sua Madre, come potrebbe rivolgersi con autentica carità verso il prossimo?

8. Carità cortese e amabile

Questa forma di Carità è quella più visibile nei Santi, si esprime soprattutto nei modi di parlare evitando ogni modo rozzo, sgarbato, duro, vendicativo, superbo soprattutto quando, correggendo, si è nel giusto nei rimproveri.... Questa Carità ci spinge a domandar perdono, immediatamente, quando in qualche modo si è ecceduti nel parlare offendendo, disgustando, trascurando la sensibilità dell'altro. Inoltre è Carità cortese ed amabile quando, trovandoci di fronte ad un torto subito, non lo allunghiamo con inutili dispute ma piuttosto, si accettano subito le scuse e si ringrazia! E si ringrazia anche se le scuse non le riceviamo, perdonando anche se siamo stati offesi. E' Carità amabile non parlare mai male degli assenti, o dissentire su ogni cosa, e se son richiesto della mia opinione, è bene darla con umiltà e cortesia procurando di lodare ciò che c'è di buono (leggi punto 5) secondo il monito di san Francesco di Sales e rifugiandosi in risposte dotte ed ecclesiali, senza mai censurare totalmente indicando, laddove fosse possibile, il miglioramento che potrebbe giovare ad una disputa in corso.

9. Carità sincera

Essere sinceri è sempre più difficile, ed essere sinceri nella Carità lo è ancora di più. Si tratta di eliminare da ogni parlare e pensiero ogni possibile doppiezza che spesso è formata dal desiderio di rendere del bene ma mettendoci del proprio, e questo genera l'ambiguità e fa prevalere i propri desideri. Occorre fare attenzione alle simulazioni ed alle dissimulazioni, specialmente quando si vuole parlare di Dio e della Propaganda della Fede retta. E' fondamentale che qualora altri avessero la possibilità di leggere i nostri pensieri, o i nostri affetti, o potessero vedere come questi sono messi nell'animo nostro, non dovrebbero vedervi nulla che possa loro scandalizzare, nulla di  cui dovremmo poi vergognarci.... Il Nostro Signore Gesù Cristo vive nella Chiesa Cattolica la quale in Lui, per Lui e con Lui compie la propria missione santificatrice, e prepara l'umanità a quel dì, quando, chiusa la giornata di lavoro, il padrone della vigna purgherà la sua aia, ragrumerà il suo frumento nel granaio e abbrucerà la paglia col fuoco inestinguibile... (cfr Lc.3,17).

10. Carità lieta

La gioia e la lietizia è tipico dell'insegnamento dei Santi! Si narra di Santi che piangevano per i peccatori, non dormivano e facevano digiuni e penitenze nel segreto, ma quando parlavano con loro erano lieti e gioiosi nel trovar parole di conforto che un Dio si era tanto prodigato per portare la Salvezza e il perdono! La Carità lieta è l'ansia e premura di seminare intorno la gioia del perdono, la gioia della Presenza del Divin Salvatore, l'amore di fomentare l'unione Ecclesiale nella Persona di Cristo, Somma Verità Incarnata, davanti al Sommo Pontefice il Suo Vicario in terra preposto a governar ed a custodir le Leggi eterne. Inoltre con questa Carità le ricreazioni e il divertimento diventano vero rinnovamento dello spirito: senza lamenti, critiche e mormorazioni, allusioni indelicate; domande seccanti o umilianti, senza rinvangare piccoli torti, senza appesantire il fardello della vecchiaia alle persone più anziane escludendole dalla ricreazione, evitando amicizie particolari o crocchi particolari; evitando pettegolezzi o pensieri impudichi venendo meno al senso del pudore, evitando di monopolizzare la conversazione, ridere in modo smodato o sguaiato, evitando di interrompere chi sta parlando per mettersi in mostra, sforzandosi di vedere nell'altro il Volto di Dio....

11. Carità particolare

Questa Carità riepiloga un pò il senso di quanto abbiamo riportato negli altri aspetti.
E' Carità particolare quel praticare un atto verso gli infermi, i carcerati, gli anziani, i moribondi, gli ospiti, verso coloro nei quali avvertiamo un senso di antipatia, oppure che ci hanno offeso. Seppur dovrebbe essere carità quotidiana, essa è particolare in quanto, applicandola, verrebbe ad alimentare le nostre virtù correggendo proprio i nostri peggior difetti. E' Carità particolare rivolgersi agli eretici, agli infedeli, ai pagani. Questa Carità è tipica della Santa Chiesa perché solo in Essa vi è salvezza, nessuna proposizione fu più di questa combattuta dagli eretici: la chiamano intolleranza papistica e furibondo fanatismo, ma si sbagliano.
Questa forma di Carità è particolare perché Nostro Signore Gesù Cristo volle istituire con la Sua Chiesa un mezzo sicuro, ed efficace per trasmettere la Salvezza. Quando la Chiesa insegna questa Salvezza non intese mai dire che tutti gli altri che non appartengono alla Chiesa siano come eternamente dannati o perduti... ma solamente dice che la sola Chiesa di Gesù Cristo ha la potenza di condurre gli uomini alla certezza della salvezza. I mezzi per conseguire l'eterna salute sono quelli ordinari, ma anche quelli straordinari: i mezzi ordinari sono nelle mani della Chiesa e sono i suoi Divini Sacramenti, quelli straordinari sono nelle mani di Dio  e sono quelli che la Chiesa definisce "strade misteriose che conducono a Dio", tuttavia anche i mezzi straordinari si muovono in modo ordinato che ha nella Divina Eucaristia, la Santa Messa, il suo principio motore, e poi le Preghiere della Chiesa e dei fedeli, specialmente il santo Rosario. La Santa Chiesa vive, insegna ed applica la Carità particolare, tenendo bene a mente l'insegnamento dell'Apostolo Paolo ai Romani 12, 9-14 o quando sollecita: " Tu autem, quid iudicas fratrem tuum? Aut tu, quare spernis fratrem tuum? Omnes enim stabimus ante tribunal Dei; scriptum est enim:“ Vivo ego, dicit Dominus, mihi flectetur omne genu, et omnis lingua confitebitur Deo ”. Itaque unusquisque nostrum pro se rationem reddet Deo. Non ergo amplius invicem iudicemus, sed hoc iudicate magis, ne ponatis offendiculum fratri vel scandalum. /
Ma tu, perché giudichi il tuo fratello? E anche tu, perché disprezzi il tuo fratello? Tutti infatti ci presenteremo al tribunale di Dio, poiché sta scritto: "Come è vero che io vivo, dice il Signore, ogni ginocchio si piegherà davanti a me e ogni lingua renderà gloria a Dio". Quindi ciascuno di noi renderà conto a Dio di se stesso. Cessiamo dunque di giudicarci gli uni gli altri; pensate invece a non esser causa di inciampo o di scandalo al fratello. " (Rm.14,10-13)
Scrive Sant'Agostino: "L'uomo non può aver salute se non nella Chiesa Cattolica. Fuori della Chiesa può trovare tutto, tranne la salute: può avere autorità, può anche possedere il Vangelo, può tenere e predicare la fede col nome del Padre e del Figliuolo e dello Spirito Santo, ma in nessun luogo, se non nella Chiesa potrà trovare salvezza"  (Sermone ad Caesariens. Eccl. prebem. n.6).
Che nella Chiesa vi sia questa Salvezza è perciò la Carità particolare che il Signore Gesù Cristo ha voluto consegnare ad Essa.

***

La tesi di Rousseau, che ai fanciulli non s'abbia a parlar di di Religione fino a che il loro intelletto non si sia sviluppato quanto basta per giudicarne, è un vero assurdo e che mette in pericolo l'esercizio della Carità; da questo assurdo ne seguirebbe che, come la immensa maggioranza del genere umano non arriva mai a tanto sviluppo mentale da poter giudicare in fatto di Religione, così la immensa maggioranza degli uomini debba passare tutta la vita senza istruzione religiosa, senza la Carità.
S'aggiunga senza timore che, ammessa la esistenza dell'Essere Supremo, non è permesso all'uomo di attendere l'età adulta per tributarGli il Culto, l'Onore, l'Adorazione come, del resto, ciò che è onore e rispetto, nonchè la conoscenza, viene preteso dai fanciulli nei confronti di un re, di un imperatore, di un alto funzionario della nazione.
L'istruzione religiosa deve dunque cominciare dalla prima fanciullezza, quando l'anima non ancora travagliata da passioni mondane, è capace di accogliere senza contrasti la verità e vi deve continuare in un graduale sviluppo armonioso, così come al fanciullo, a buona ragione, gli si insegnano i doveri civili ed a rispettar la legge nel solo vedere un gendarme in divisa.
E' Carità della Chiesa rifuggere dall'essere accuratamente discussa, ch'Essa anzi, dicea Tertulliano ai gentili (apolog.adv.gent.) ciò la Chiesa domanda, "che senza esame non la si condanni", solo si richiede l'uso onesto della ragione, e l'uso sincero della Carità.

***

Ci piace annotare il sostegno del santo Padre Benedetto XVI che ha dedicato il

MESSAGGIO PER LA QUARESIMA 2012 ALLA CARITA' , soprattutto della correzione fraterna...

«Prestiamo attenzione gli uni agli altri, per stimolarci a vicenda nella carità e nelle opere buone» (Eb10,24)


dice il Papa:

Il «prestare attenzione» al fratello comprende altresì la premura per il suo bene spirituale. E qui desidero richiamare un aspetto della vita cristiana che mi pare caduto in oblio: la correzione fraterna in vista della salvezza eterna. Oggi, in generale, si è assai sensibili al discorso della cura e della carità per il bene fisico e materiale degli altri, ma si tace quasi del tutto sulla responsabilità spirituale verso i fratelli. Non così nella Chiesa dei primi tempi e nelle comunità veramente mature nella fede, in cui ci si prende a cuore non solo la salute corporale del fratello, ma anche quella della sua anima per il suo destino ultimo.

Nella Sacra Scrittura leggiamo: «Rimprovera il saggio ed egli ti sarà grato. Dà consigli al saggio e diventerà ancora più saggio; istruisci il giusto ed egli aumenterà il sapere» (Pr 9,8s). Cristo stesso comanda di riprendere il fratello che sta commettendo un peccato (cfr Mt 18,15). Il verbo usato per definire la correzione fraterna - elenchein - è il medesimo che indica la missione profetica di denuncia propria dei cristiani verso una generazione che indulge al male (cfr Ef 5,11). La tradizione della Chiesa ha annoverato tra le opere di misericordia spirituale quella di «ammonire i peccatori». E’ importante recuperare questa dimensione della carità cristiana. Non bisogna tacere di fronte al male. Penso qui all’atteggiamento di quei cristiani che, per rispetto umano o per semplice comodità, si adeguano alla mentalità comune, piuttosto che mettere in guardia i propri fratelli dai modi di pensare e di agire che contraddicono la verità e non seguono la via del bene. Il rimprovero cristiano, però, non è mai animato da spirito di condanna o recrimina-zione; è mosso sempre dall’amore e dalla misericordia e sgorga da vera sollecitudine per il bene del fratello. L’apostolo Paolo afferma: «Se uno viene sorpreso in qualche colpa, voi che avete lo Spirito correggetelo con spirito di dolcezza. E tu vigila su te stesso, per non essere tentato anche tu» (Gal 6,1).







[Modificato da Caterina63 16/01/2013 18:57]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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07/02/2012 14:45
 
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[SM=g1740733] I Dogmi della Chiesa Cattolica e la sua Missione nel mondo

 

fonte: La Chiesa Cattolica - la sua dottrina - Vol.II - con Imprimatur Vescovile - Trieste 1886

 

Mescolato anch'io con gli Apostoli, nel Cenacolo, sentirò quelle dolci parole di Gesù, Dio nostro: < amatevi gli uni gli altri, come io ho amato voi > (Gv.15,12).

 

- Che cosa dobbiamo intendere per Dogmi?

 

Dogmi si chiamano tutte quelle verità religiose che sono ai Cristiani Cattolici articoli indiscussi di Fede, e si distinguono in ciò dalle "Opinioni teologiche", ché queste, per quanto siano autorevoli e spesso ben fondate, degne di essere discusse, non inducono mai un obbligo di tenerle per vere.

Le fonti indiscutibili dei Dogmi sono solo due: la Sacra Scrittura e la Tradizione della Chiesa; nella Bibbia, poiché divinamente ispirata, sono contenute tutte le verità infallibili che la Chiesa insegna ed ispiratamente interpreta. Nella Tradizione è il fatto Divino per cui il Vero rivelato si conserva e si sviluppa incorrotto nel decorso dei secoli. Testimoni della Tradizione sono i Padri della Chiesa i quali, seppur singolarmente soggetti ad errare, quando si accordano nell'insegnare la stessa e medesima Dottrina, esprimono il principio Cattolico, vale a dire "ciò che sempre e dappertutto e da tutti venne creduto", il loro insegnamento è pertanto infallibile ed è riconosciuta dalla Chiesa quale "Tradizione storica", o Memoria storica del Deposito della Fede.

 

- In cosa consiste la Missione della Chiesa?

 

La Bibbia e la Tradizione abbisognano d'essere interpretate, sì, anche la Tradizione ha bisogno di essere interpretata nel corso dei secoli, capita ed esposta sempre più chiaramente come la Sacra Scrittura: la prima missione di farlo spetta esclusivamente alla Chiesa docente la quale, per l'indeficiente assistenza dello Spirito Santo possiede in seno la Parola viva di Dio rivelante Sé Stesso, e che definiamo Tradizione viva della Chiesa, e derivando il Vero rivelato dalla Scrittura e dai Padri, ne determina il senso, l'unico vero senso, spiegato e sviluppato, e così nel tempo lo spiega e lo sviluppa, lo soddisfa ai bisogni intellettuali del tempo.

Ma se il Divin Redentore sottrasse la fede al giudizio dei dotti, non è perciò che la scienza non concorda anch'essa come fonte ausiliare allo sviluppo delle discipline teologiche! Il Pontefice Gregorio XVI, infatti, come condannò gli Ermesiani che troppo concedevano all'umana ragione, così condannò del pari il sistema dell'Abbé Bautin (1836) secondo il quale, la umana ragione, sarebbe incapace di conoscere alcuna verità religiosa che a lei dalla Tradizione non sia derivata, ossia, la pretesa del "tradizionalismo".

E' bene insegnare soprattutto ai giovani e a quanti si dedicano all'insegnamento di materia religiosa, che la Chiesa Cattolica, fondata per tutti i tempi e per tutte le Nazioni, sa di essere "debitrice" ai popoli civili ed anche ai barbari, alle persone dotte, quanto a quelle ignoranti, come insegna l'Apostolo Paolo ai Romani 1,14-15 "Graecis ac barbaris, sapientibus et insipientibus debitor sum. Itaque, quod in me est, promptus sum et vobis, qui Romae estis, evangelizare. / Poiché sono in debito verso i Greci come verso i barbari, verso i dotti come verso gli ignoranti: sono quindi pronto, per quanto sta in me, a predicare il vangelo anche a voi di Roma."

 

E' pertanto la Chiesa stessa a favorire lo studio delle discipline teologiche, nella Sua Missione c'è la predicazione del santo Vangelo per sollecitare la Fede, quanto la sollecitazione ad impegnar la ragione rispettando l'evolversi delle dispute, tollerando le diversità delle opinioni altrui, favorendo un clima di libertà intellettuale, Essa non interviene che allora, quando vede compromessa la purità della fede, quando vede che i Dogmi sono minacciati, quando si vede costretta a farlo per proteggere il Depositum Fidei.

Quindi la Missione della Chiesa è evangelizzare ai popoli tutti l'annuncio del santo Vangelo, nel quale rientra tutta la Dottrina dei Sacramenti e la Legge della Chiesa, e al tempo stesso guidare e condurre i popoli non solo con la fede ma anche con la ragione, ossia, sviluppando e favorendo le dispute. Si ammonisce solo che entrambe le missioni della Chiesa, siano contestualizzate in una sola grande Missione e del suo unico scopo e fine: conoscere il Sommo Bene e il Cristo Signore affinché tutti i popoli Lo accolgano e si lascino Battezzare, perseguendo la via del bene e il suo fine ultimo: "Fur non venit, nisi ut furetur et mactet et perdat; ego veni, ut vitam habeant et abundantius habeant. / Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza.  " (Gv.10,10)

 

- Per qual motivo è necessaria la Chiesa? Non basterebbe la "sola Fede"?

 

Acciocché gli esseri contingenti sussistano, non basta che Dio li abbia creati, ma è pur necessario che li conservi; imperciocché non avendo essi la causa della propria esistenza in sé medesimi ma in Dio, s'Egli cessasse di volerli positivamente esistenti, cesserebbe la causa del loro essere, e ricadrebbero nel nulla. La Sacra Scrittura dice:

"Quomodo autem posset aliquid permanere, nisi tu voluisses? Aut, quod a te vocatum non esset, conservaretur? / Come potrebbe sussistere una cosa, se tu non vuoi? O conservarsi se tu non l'avessi chiamata all'esistenza?" (Sapienza XI,25).

Tale conservazione si deve quindi considerare come una continuazione dell'atto creatore, come una permanente creazione che nella Chiesa, Corpo di Cristo Signore di cui Egli è il Capo e stessa continuazione del Padre e con lo Spirito Santo, vede realizzarsi pienamente il Suo Divino Progetto in favore dell'uomo di ogni tempo, fino al Suo ritorno glorioso.

E la conservazione non basta, ma appunto è necessario che il Signore stesso governi le sue creature (Sacramenti) e le conduca a raggiungere il fine per cui furono create.

Per questo la Missione della Chiesa è anche quella "docente", insegnare, ammaestrare tutte le genti:" Tua autem, Pater, providentia gubernat, quoniam dedisti et in mari viam et inter fluctus semitam firmissimam, ostendens quoniam potens es ex omnibus salvare, etiamsi sine arte aliquis adeat mare.  / ma la tua provvidenza, o Padre, la guida perché tu hai predisposto una strada anche nel mare, un sentiero sicuro anche fra le onde, mostrando che puoi salvare da tutto, sì che uno possa imbarcarsi anche senza esperienza." (Sapienza XIV, 3-4), come rivela la Patristica quando spiega la simbologia della barca Petrina nelle onde dei mari in tempesta di ogni epoca storica.


Non basta perciò solo la fede poiché il Signore Gesù non disse di essere solo la Via (fede) ma anche la Vita (Eucaristia e Sacramenti tutti) e la Verità (Dogmi e Dottrine): "Ego sum via et veritas et vita; nemo venit ad Patrem nisi per me./ Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me." (Gv.14,6) infatti, gli altri profeti non somministrarono altro se non un indottrinamento parziale e non influirono che esternamente su chi li ascoltava poiché non avevano i Sacramenti, ma quando Gesù colla voce e coll'opera ci avviò alle cristiane virtù, è dalle Sue parole con i Sacramenti che i Suoi Sacerdoti amministrano, che questa forza penetra nei cuori. Scrive San Tommaso D'Aquino: "Se ricerchi per dove tu passi, accogli Cristo, perché Lui è la Via; se ricerchi per dove ti avvii, attieniti a Cristo perché Egli è la Verità alla quale desideriamo arrivare; se ricerchi dove hai da restare, unisciti a Cristo nell'Eucaristia perché Egli è la Vita..." (St.Th.Aq.Comm. in Joann. XIV,c.).


E non basta solo la fede perché è legittimo e doveroso che l'uomo offra a Dio un Sacrificio perfetto.

Dice l'Apostolo san Paolo nella Lettera agli Ebrei 5,1 - ss "Ogni sommo sacerdote, preso fra gli uomini, viene costituito per il bene degli uomini nelle cose che riguardano Dio, per offrire doni e sacrifici per i peccati. In tal modo egli è in grado di sentire giusta compassione per quelli che sono nell'ignoranza e nell'errore, essendo anch'egli rivestito di debolezza; proprio a causa di questa anche per se stesso deve offrire sacrifici per i peccati, come lo fa per il popolo. Nessuno può attribuire a se stesso questo onore, se non chi è chiamato da Dio, come Aronne. Nello stesso modo Cristo non si attribuì la gloria di sommo sacerdote, ma gliela conferì colui che gli disse: Mio figlio sei tu, oggi ti ho generato.  Come in un altro passo dice: Tu sei sacerdote per sempre, alla maniera di Melchìsedek ", vi è dunque che Gesù Cristo è l'unico Sacerdote vero e perfetto, poiché offrì Sé stesso al Padre, ed è Sacerdote eterno, perché eterno è il Suo Sacrificio, ed Egli volle ed istituì il sacerdozio che la Santa Chiesa ha "Ordinato" ed è perciò uno dei Sette Sacramenti istituiti da Nostro Signore, affinché questo Sacrificio si perpetuasse non in Sua vece, ma in Sua Presenza davanti agli uomini di ogni tempo, in un Memoriale in quanto incruento, e vivo e vero in quanto alla Sua divina Presenza sul Calvario che si attualizza in ogni Santa Messa.

Per questo l'Apostolo dice che è vero che la Fede è grande, ma che più grande di tutte è la Carità (1Cor.13,13) "Nunc autem manet fides, spes, caritas, tria haec; maior autem ex his est caritas  / Queste dunque le tre cose che rimangono: la fede, la speranza e la carità; ma di tutte più grande è la carità!  ", e la Carità perfetta è l'oblazione che Gesù fece di Sé stesso al Padre sulla Croce:"maiorem hac dilectionem nemo habet, ut animam suam quis ponat pro amicis suis / Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici. (Gv.15,13).

 

- Perchè sono necessari i Sette Sacramenti?

 

Il Sacramento è un segno sensibile il quale, per disposizione ed istituzione Divina, esprime e conferisce la grazia santificante.

Si dice "segno sensibile" perché Gesù Cristo, adattandosi alla nostra miseria umana, volle che la grazia ci venisse conferita per mezzo di segni anche esteriori attraverso i quali, tipico della nostra sensibilità umana, ci potessimo preparare degnamente per riceverli e, dopo averli ricevuti, nutrire ferma fiducia di tale ricezione e prodigarsi per mantenere tale grazia attraverso una vita santa e corretta.

Si dice "istituzione Divina" perché la grazia santificante non viene dall'uomo ma da Dio solo, e solo Dio può stabilire il modo di conferirla. Perciò l'istituzione divina non appartiene solo al Sacramento in generale, ma anche alla parte essenziale del rito con cui ogni singolo riceve il Sacramento, perciò appartiene anche alla volontà di Dio che il singolo venga ammaestrato su ogni singolo Sacramento, ed appartiene alla Chiesa stabilire le Norme che sanciscano in quale modo tale Sacramento possa essere dato e reso valido, a tal riguardo rammenta sant'Ambrogio: " Chi è l'Autore dei Sacramenti, se non il Signore Gesù? Questi Sacramenti vennero dal Cielo e la Chiesa li dispensa".

Si dice "esprime la grazia" poiché il segno esteriore simboleggia l'effetto spirituale del Sacramento.

Si dice "conferisce la grazia santificante" perché questo è tipico dell'insegnamento stesso del Nuovo Testamento. I sacrifici dell'Antico Testamento, infatti, non avevano la virtù di operare la santificazione, imperciocché, scrive San Paolo: "Impossibile enim est sanguinem taurorum et hircorum auferre peccata. / poiché è impossibile eliminare i peccati con il sangue di tori e di capri." (Ebrei 10.4), essi non erano che "ombre e figure" del Sacrificio di Gesù Cristo e il loro effetto santificante dipendeva non dal rito che si compiva, ma "dall'opera dell'operante", cioè dal sacerdote gradito a Dio, ma con il Nuovo Testamento non è più così, il loro effetto santificante deriva "dall'opera operata", cioè dalla Redenzione operata e compiuta da Nostro Signore Gesù Cristo, la Vittima, l'Agnello puro ed immacolato, ed essi operano la risorsa santificatrice in virtù della Divina Istituzione e, l'opera di chi li ricevere, è limitata non più a rendere la vittima pura, poiché Nostro Signore è la Vittima pura, ma a togliere tutti quegli ostacoli (che sono i vizi e l'ostinazione del rifiuto alla grazia) che impediscono alla grazia di farsi strada, cioè, ostacoli che impediscono al Sacramento di santificare la persona. In una parola: il Sacramento conferisce sempre la grazia, ma l'effetto della santificazione dipende dagli ostacoli non rimossi di colui che la riceve, s'egli rimuovesse immediatamente l'ostacolo con la Confessione, il pentimento, ed una vita corretta, sarebbe già questa conversione un effetto della grazia sacramentale ricevuta, inoltre potrebbe così sperimentare altri immensi benefici non ancora sperimentati a causa degli ostacoli non rimossi.

Il Concilio di Trento ha sancito definitivamente: "Se alcuno dirà che i Sacramenti della nuova Legge non contengano la grazia che esprimono, o non conferiscano essa grazia a quelli che vi pongono ostacoli - sia anatema"

La grazia è pertanto data col Sacramento, colui che vi pone ostacoli non la rende inadempiuta ma inefficace, perciò verrà giudicato da Dio non come colui che non ebbe a ricevere i Sacramenti, ma come colui che avendoli ricevuti li mise da parte, li rese inefficaci, egli verrà giudicato come colui che avendo ricevuto i talenti, li sotterrò senza farli fruttificare (Mt.25,14-30).

Tutti e Sette i Sacramenti si trovano espressi nella Sacra Scrittura e sono stati magistralmente interpretati dalla Tradizione della Chiesa che già con St. Ireneo di Lione (+203) li nominava tutti e sette nel secondo secolo.

 

- E' obbligatorio credere nella "Presenza Reale"  Gesù nell'Eucaristia?

 

Sì, è obbligante, e non perché "la Chiesa ha ragione" ma perché il non credere alla Presenza Reale sarebbe come dare al Signore del mentitore.

La Storia Ecclesiastica ci mostra che fino al nono secolo nessuno negò questa Presenza Reale di Nostro Signore nella Eucaristia, sotto le due specie del pane e del vino dopo la Consacrazione. Il primo a mettere per iscritto dei dubbi fu tale Giovanni Erigena (+884), il primo che, invece, lo negò pubblicamente fu Berengario, arcidiacono di Vandome. La sua eresia venne subito condannata altrettanto pubblicamente dal Pontefice San Leone IX, in un concilio romano del 1050, dalla cui condanna pervenne una delle più forti insurrezioni del popolo cattolico contro tale l'eresia. Memorabile è rimasto lo scritto di Lanfranco, Arcivescovo di Cantuaria nella sua opera "de Corpo et Sanguine Domini" cap.22: " ..ciò che tu credi e sostieni intorno al Corpo di Cristo, è falso ciò che intorno allo stesso argomento si crede e si sostiene dappertutto nella Chiesa. Imperciocché tutti quelli che si vantano d'essere e di venir chiamati cattolici, si gloriano di ricevere in questo Sacramento la vera Carne di Cristo e il suo vero Sangue. Interroga quelli che hanno ricevuta notizia delle nostre lingue e delle nostre lettere: interroga i Greci e gli Armeni ed altri quali che sieno uomini Cristiani di qualunque nazione; essi tutti, di pieno accordo, rendono testimonianza di avere questa medesima fede".

Ed appunto in questi tempi di Lanfranco che la Chiesa greca si staccò dalla latina, ma non per questo cessò l'accordo intorno a questo dogma, ma greci ed Armeni conservavano tuttavia la fede della Presenza Reale di Gesù sotto le specie Eucaristiche.

Ed effettivamente nessun dogma si trova espresso nella Tradizione in modo più chiaro ed inequivocabile e più solenne, che quello della Santissima Eucaristia.

Incominciando da sant'Ignazio Martire, diretto discepolo degli Apostoli, e scendendo di secolo in secolo, troviamo una serie continua di testimonianze perfettamente concordi ch'esprimono la fede comune di tutta la Chiesa su questo punto e sull'interpretazione stessa delle parole di Nostro Signore a riguardo.

Già nel secondo secolo San Giustino Martire, presbitero, scrive il rito con cui celebravasi allora la Divina Eucaristia e come era la comunione ai fedeli: " e noi - dice - non prendiamo queste cose come pane comune, né qual comune bevanda, ma siamo stati ammaestrati che, come il Verbo di Dio, Gesù nostro Salvatore, fu incarnato ed ebbe carne e sangue per la nostra salvezza, così pure l'alimento sul quale si fecero delle orazioni che contengono le di Lui parole, è la Carne ed il Sangue di quell'Incarnato Gesù" (S. Just. M. Apol. I n.65,66).

Cessate che furono poi le persecuzioni, Anno Domini 325, la Chiesa poté sviluppare il proprio Culto esteriore a Colui che il popolo fedele già conosceva come Presente, Vivo e Vero, poté organizzare pubblicamente il proprio rito in quella parte principale di cui si formava l'Eucaristia, ed i Padri e Dottori della Chiesa svolsero nelle loro opere, specialmente nei sermoni al popolo (Omelie), e in tutta la completezza di tale Dottrina sulla Reale Presenza del Redentore nell'Eucaristia e perciò nella Santa Messa.

Possiamo dire che prima ancora della Messa così come la conosciamo, il popolo di Dio adorava già la Divina Presenza, adorava Dio "in spirito e verità" attraverso la Santa Eucaristia.

Gli errori dei protestanti obbligarono poi la Chiesa a prendere decisioni più drastiche contro la negazione della Presenza Divina. Costrinsero la Chiesa ad essere più dettagliata e più precisa nella definizione del dogma.

- La Chiesa Cattolica insegna che Gesù Cristo, nostro Signore, è nella Eucaristia non già nel Suo stato naturale, ma come Sacramento, cioè la sostanza del pane e del vino si cangia, si muta, nella sostanza del Corpo e del Sangue, assieme coll'anima e la divinità del Redentore, rimanendo del pane e del vino solo gli accidenti. Questo "cangiare", mutare delle specie, è definito dalla Chiesa con il termine Transustanziazione ed è un profondo Mistero che però non contraddice la ragione, piuttosto la nutre colla fede e la indirizza verso un sapere più elevato e soprannaturale.

- Imperciocché "sostanza" si chiama ciò che sussiste da sé e racchiude in sé la essenza delle cose, le quali per essa sono ciò che sono. Ora, inerenti alla sostanza sono gli "accidenti", cioè, i caratteri fisici e chimici del corpo, ed essi appunto non sono la sostanza in sé, né la sostanza esiste per gli accidenti, quanto piuttosto gli accidenti esistono per la sostanza... E dunque, se è vero che nell'ordine naturale gli accidenti sono inseparabili dalla sostanza, non potrà forse Dio, Autore della Natura, il quale ha fissato ad ogni sostanza i propri accidenti, cangiare la propria legge e nella Sua Divina Onnipotenza sostituire Sostanza a sostanza, lasciando inalterati gli accidenti? Senza alcun  dubbio  che la Transustanziazione ripugna pertanto alle leggi della natura, ma giammai a quelle del pensiero: essa è un prodigio, un miracolo, un fatto possibile persino alla ragione, e non invece un assurdo al quale sarebbe impossibile credere.

Se dunque nell'Eucaristia è presente Gesù Cristo, come vero Dio e vero uomo, realmente presente in Corpo, Anima e Divinità, è naturale e conseguente che ad Essa è dovuto il Culto dell'Adorazione, e che attorno ad Essa ruoti il Rito della Santa Messa, e la Storia stessa dei primi Martiri e tanti Santi ci dimostra che fin dal primo secolo i Cristiani tributarono sempre al Redentore velato sotto gli accidenti del Pane e del Vino consacrati, l'istesso Culto, come s'Ei fosse presente senza velo.


Così scriveva san Giovanni Grisostomo nella sua opera Epistola ai Corinthi : "Questo Corpo lo riverirono i Magi nel presepio, e uomini barbari dopo aver fatto un lungo viaggio, con molto timore e tremore lo adorarono. Imitiamo dunque i barbari noi che siamo cittadini del cielo. Tu non lo vedi nel presepio, ma sull'Altare; non vedi una Donna che lo tiene fra le braccia, ma vedi il sacerdote presente. Né com'essi, tu vedi solamente il Corpo di Lui; ma conosci anche la Sua potenza, e comprendi ciò che ha fatto per te".

Quanto alla "materia" dell'Eucaristia sono il pane di frumento ed il vino d'uva, nella più forma naturale possibile, senza alterazioni, poiché sono questi gli elementi scelti da Nostro Signore quando la istituì. In quanto al pane, la Chiesa latina usa il pane àzimo, ossia senza lievito, e fin dai primi secoli si conosce l'uso delle "particole piccole e tonde che non dovevano sbriciolarsi" (poiché in ogni frammento è contenuto integralmente Nostro Signore), il Concilio di Firenze (1439) definì poi, potersi consacrare validamente sia il pane àzimo che il fermentato, in uso nella Chiesa greca, e che dovere di ogni concelebrante era quello di attenersi all'uso invalso nella propria Chiesa. In quanto al vino, vi si aggiungono delle gocciole d'acqua, pratica di cui si parla già con San Cipriano nel III secolo e che vi deriva dalla Tradizione apostolica conservata dalla Chiesa. Riguardo alla forma del rito, già sant'Ambrogio scriveva: "La Consacrazione si fa solo colle parole di Nostro Signore Gesù: colle altre cose che si dicono si da gloria a Dio. Si premette la orazione per il popolo, pei re e pegli altri, ma quando si viene a fare il Venerabile Sacramento, il sacerdote non usa più delle parole proprie, ma usa delle parole di Cristo".


[SM=g1740733] I Ministri della Eucaristia sono solo i Sacerdoti , cioè i Presbiteri che possono avere il ruolo di Vescovi. I Diaconi non sono Ministri dell'Eucaristia, essi furono istituiti dagli Apostoli per la distribuzione delle elemosine ai poveri (Atti VI,3), non hanno il carattere apostolico, non sono sacerdoti, e se fin dal primo secoli vennero impegnati anche per portare l'Eucaristia agl'infermi, ai confessori della fede nelle carceri ed anche a distribuirla al popolo quando accorreva numeroso, non ebbero mai la potestà di celebrare l'Eucaristia, anzi, al Concilio Ecumenico di Nicea (A.D.325) si proibì loro di dispensarla ai presbiteri, e ciò perché "né la regola, né la consuetudine permetteva, che quelli che fanno il Sacrificio, ricevano il Corpo da chi non ha il potere di farlo" (Conc.Ec.Nicea I can.18). (*)


Infine, possiamo considerare brevemente i Caratteri della Santa Eucaristia che sono due.

Nell'Ultima Cena Nostro Signore Gesù Cristo consacrò il pane e il vino e li porse ai Suoi Apostoli, acciocché se ne cibassero ma, al tempo stesso, compì Egli un doppio uffizio dicendo ai Suoi: Fate questo in memoria di me, mostrando in questo modo ch'essi sarebbero dovuti diventare da quel momento consacratori e distributori del Divino Sacramento. La potestà, il potere, di Consacrare era così, da quel momento, passata agli Apostoli ed ai loro legittimi Successori, ma la distribuzione doveva farsi a tutti i fedeli, secondo il Suo stesso monito: "Amen, amen dico vobis: Nisi manducaveritis carnem Filii hominis et biberitis eius sanguinem, non habetis vitam in vobismetipsis. Qui manducat meam carnem et bibit meum sanguinem, habet vitam aeternam; et ego resuscitabo eum in novissimo die. Caro enim mea verus est cibus, et sanguis meus verus est potus. Qui manducat meam carnem et bibit meum sanguinem, in me manet, et ego in illo.  / In verità, in verità vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell'uomo e non bevete il suo sangue, non avrete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell'ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui." (Gv.6, 53-56)

Così l'Eucaristia ha un doppio Carattere: essa è un Sacrificio, l'unico perfetto, l'unico gradito a Dio, l'unico Sacrificio, e come tale viene offerto dai Sacerdoti non in sostituzione di Cristo, ma con Cristo, in Cristo ed in Cristo; ed è anche Sacramento, Sacramentum Charitatis per eccellenza, elargitore di grazie viene ricevuta da tutti i fedeli.


__________

(*) Si legga cliccando anche da qui , il Documento della Sacra Congregazione per la Dottrina della Fede su I Ministri dell'Eucaristia

del 6 agosto 1983


[SM=g1740771] 

 


[Modificato da Caterina63 07/02/2012 14:54]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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07/02/2012 15:03
 
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IL PECCATO ORIGINALE ESISTE

3 dicembre 2008, San Paolo (15): Adamo e Cristo - Dal peccato (originale) alla libertà
[Francese, Inglese, Italiano, Portoghese, Spagnolo, Tedesco]

Il peccato originale "esiste", e' come "un fiume sporco" e ha un "aspetto empirico, toccabile da tutti: esiste una contraddizione nel nostro essere. Ognuno di noi la prova ogni giorno, non e' teoria" e la "vediamo sempre intorno a noi: basta guardare le notizie quotidiane su ingiustizia, violenze, menzogna, lussuria": cosi' il Papa e' entrato in merito alla dottrina del peccato originale, seguendo la trattazione di San Paolo nella Lettera ai Romani, durante la tradizionale Udienza Generale del Mercoledi’.

"Cos'e' il peccato originale? È sostenibile questa dottrina, oggi? Esiste o no il peccato originale?". Per Benedetto XVI, il peccato originale e' una realta', ma non esiste in se stessa: esso e' "inscindibilmente connesso con il dogma della salvezza e della liberta' in Cristo. Non bisogna mai trattare il peccato di Adamo e dell'umanita' in modo separato, senza comprenderlo nell'orizzonte della giustificazione in Cristo". Tanto che Paolo "accenna al peccato di Adamo solo per dimostrare la centralita' della Grazia" e arrivare a dire che "dove abbondo' il peccato, sovrabbondo' la Grazia".
C'e' dunque una contraddizione nell'uomo, e "da questo potere del male sulle nostre anime si e' sviluppato il fiume sporco del male, che avvelena la storia umana". Ma - continua il Papa - "questa contraddizione deve provocare, e provoca anche oggi, il desiderio della redenzione, che il mondo sia cambiato".


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La Catechesi del Santo Padre

Adamo e Cristo: dal peccato (originale) alla libertà.

Cari fratelli e sorelle,

nell'odierna catechesi ci soffermeremo sulle relazioni tra Adamo e Cristo, delineate da san Paolo nella nota pagina della Lettera ai Romani (5,12-21), nella quale egli consegna alla Chiesa le linee essenziali della dottrina sul peccato originale. In verità, già nella prima Lettera ai Corinzi, trattando della fede nella risurrezione, Paolo aveva introdotto il confronto tra il progenitore e Cristo: “Come infatti in Adamo tutti muoiono, così in Cristo tutti riceveranno la vita... Il primo uomo, Adamo, divenne un essere vivente, ma l'ultimo Adamo divenne spirito datore di vita” (1 Cor 15,22-45).

Con
Rm 5,12-21 il confronto tra Cristo e Adamo si fa più articolato e illuminante: Paolo ripercorre la storia della salvezza da Adamo alla Legge e da questa a Cristo. Al centro della scena non si trova tanto Adamo con le conseguenze del peccato sull'umanità, quanto Gesù Cristo e la grazia che, mediante Lui, è stata riversata in abbondanza sull'umanità. La ripetizione del “molto più” riguardante Cristo sottolinea come il dono ricevuto in Lui sorpassi, di gran lunga, il peccato di Adamo e le conseguenze prodotte sull'umanità, così che Paolo può giungere alla conclusione: “Ma dove abbondò il peccato, sovrabbondò la grazia” (Rm 5,20). Pertanto, il confronto che Paolo traccia tra Adamo e Cristo mette in luce l’inferiorità del primo uomo rispetto alla prevalenza del secondo.

D’altro canto, è proprio per mettere in evidenza l'incommensurabile dono della grazia, in Cristo, che Paolo accenna al peccato di Adamo: si direbbe che se non fosse stato per dimostrare la centralità della grazia, egli non si sarebbe attardato a trattare del peccato che “a causa di un solo uomo è entrato nel mondo e, con il peccato, la morte” (Rm 5,12). Per questo se, nella fede della Chiesa, è maturata la consapevolezza del dogma del peccato originale è perché esso è connesso inscindibilmente con l’altro dogma, quello della salvezza e della libertà in Cristo. La conseguenza di ciò è che non dovremmo mai trattare del peccato di Adamo e dell’umanità in modo distaccato dal contesto salvifico, senza comprenderli cioè nell’orizzonte della giustificazione in Cristo.

Ma come uomini di oggi dobbiamo domandarci: che cosa è questo peccato originale? Che cosa insegna san Paolo, che cosa insegna la Chiesa? È ancora oggi sostenibile questa dottrina? Molti pensano che, alla luce della storia dell'evoluzione, non ci sarebbe più posto per la dottrina di un primo peccato, che poi si diffonderebbe in tutta la storia dell'umanità. E, di conseguenza, anche la questione della Redenzione e del Redentore perderebbe il suo fondamento. Dunque, esiste il peccato originale o no? Per poter rispondere dobbiamo distinguere due aspetti della dottrina sul peccato originale. Esiste un aspetto empirico, cioè una realtà concreta, visibile, direi tangibile per tutti.

E un aspetto misterico, riguardante il fondamento ontologico di questo fatto. Il dato empirico è che esiste una contraddizione nel nostro essere. Da una parte ogni uomo sa che deve fare il bene e intimamente lo vuole anche fare. Ma, nello stesso tempo, sente anche l'altro impulso di fare il contrario, di seguire la strada dell'egoismo, della violenza, di fare solo quanto gli piace anche sapendo di agire così contro il bene, contro Dio e contro il prossimo. San Paolo nella sua Lettera ai Romani ha espresso questa contraddizione nel nostro essere così: «C'è in me il desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo; infatti io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio» (
7, 18-19). Questa contraddizione interiore del nostro essere non è una teoria. Ognuno di noi la prova ogni giorno. E soprattutto vediamo sempre intorno a noi la prevalenza di questa seconda volontà. Basta pensare alle notizie quotidiane su ingiustizie, violenza, menzogna, lussuria. Ogni giorno lo vediamo: è un fatto.

Come conseguenza di questo potere del male nelle nostre anime, si è sviluppato nella storia un fiume sporco, che avvelena la geografia della storia umana. Il grande pensatore francese Blaise Pascal ha parlato di una «seconda natura», che si sovrappone alla nostra natura originaria, buona. Questa “seconda natura” fa apparire il male come normale per l'uomo. Così anche l'espressione solita: «questo è umano» ha un duplice significato. «Questo è umano» può voler dire: quest'uomo è buono, realmente agisce come dovrebbe agire un uomo. Ma «questo è umano» può anche voler dire la falsità: il male è normale, è umano. Il male sembra essere divenuto una seconda natura.

Questa contraddizione dell'essere umano, della nostra storia deve provocare, e provoca anche oggi, il desiderio di redenzione. E, in realtà, il desiderio che il mondo sia cambiato e la promessa che sarà creato un mondo di giustizia, di pace, di bene, è presente dappertutto: in politica, ad esempio, tutti parlano di questa necessità di cambiare il mondo, di creare un mondo più giusto. E proprio questo è espressione del desiderio che ci sia una liberazione dalla contraddizione che sperimentiamo in noi stessi.

Quindi il fatto del potere del male nel cuore umano e nella storia umana è innegabile. La questione è: come si spiega questo male? Nella storia del pensiero, prescindendo dalla fede cristiana, esiste un modello principale di spiegazione, con diverse variazioni. Questo modello dice: l'essere stesso è contraddittorio, porta in sé sia il bene sia il male. Nell'antichità questa idea implicava l'opinione che esistessero due principi ugualmente originari: un principio buono e un principio cattivo. Tale dualismo sarebbe insuperabile; i due principi stanno sullo stesso livello, perciò ci sarà sempre, fin dall'origine dell'essere, questa contraddizione.

La contraddizione del nostro essere, quindi, rifletterebbe solo la contrarietà dei due principi divini, per così dire. Nella versione evoluzionistica, atea, del mondo ritorna in modo nuovo la stessa visione. Anche se, in tale concezione, la visione dell'essere è monistica, si suppone che l'essere come tale dall'inizio porti in se il male e il bene. L'essere stesso non è semplicemente buono, ma aperto al bene e al male. Il male è ugualmente originario come il bene. E la storia umana svilupperebbe soltanto il modello già presente in tutta l'evoluzione precedente. Ciò che i cristiani chiamano peccato originale sarebbe in realtà solo il carattere misto dell'essere, una mescolanza di bene e di male che, secondo questa teoria, apparterrebbe alla stessa stoffa dell'essere. È una visione in fondo disperata: se è così, il male è invincibile.

Alla fine conta solo il proprio interesse. E ogni progresso sarebbe necessariamente da pagare con un fiume di male e chi volesse servire al progresso dovrebbe accettare di pagare questo prezzo. La politica, in fondo, è impostata proprio su queste premesse: e ne vediamo gli effetti. Questo pensiero moderno può, alla fine, solo creare tristezza e cinismo.

E così domandiamo di nuovo: che cosa dice la fede, testimoniata da san Paolo? Come primo punto, essa conferma il fatto della competizione tra le due nature, il fatto di questo male la cui ombra pesa su tutta la creazione. Abbiamo sentito il capitolo 7 della Lettera ai Romani, potremmo aggiungere il capitolo 8.

Il male esiste, semplicemente.
Come spiegazione, in contrasto con i dualismi e i monismi che abbiamo brevemente considerato e trovato desolanti, la fede ci dice: esistono due misteri di luce e un mistero di notte, che è però avvolto dai misteri di luce. Il primo mistero di luce è questo: la fede ci dice che non ci sono due principi, uno buono e uno cattivo, ma c'è un solo principio, il Dio creatore, e questo principio è buono, solo buono, senza ombra di male. E perciò anche l'essere non è un misto di bene e male; l'essere come tale è buono e perciò è bene essere, è bene vivere. Questo è il lieto annuncio della fede: c'è solo una fonte buona, il Creatore. E perciò vivere è un bene, è buona cosa essere un uomo, una donna, è buona la vita. Poi segue un mistero di buio, di notte. Il male non viene dalla fonte dell'essere stesso, non è ugualmente originario. Il male viene da una libertà creata, da una libertà abusata.

Come è stato possibile, come è successo? Questo rimane oscuro. Il male non è logico. Solo Dio e il bene sono logici, sono luce. Il male rimane misterioso. Lo si è presentato in grandi immagini, come fa il capitolo 3 della Genesi, con quella visione dei due alberi, del serpente, dell'uomo peccatore. Una grande immagine che ci fa indovinare, ma non può spiegare quanto è in se stesso illogico. Possiamo indovinare, non spiegare; neppure possiamo raccontarlo come un fatto accanto all'altro, perché è una realtà più profonda. Rimane un mistero di buio, di notte. Ma si aggiunge subito un mistero di luce. Il male viene da una fonte subordinata. Dio con la sua luce è più forte.

E perciò il male può essere superato. Perciò la creatura, l'uomo, è sanabile. Le visioni dualiste, anche il monismo dell'evoluzionismo, non possono dire che l'uomo sia sanabile; ma se il male viene solo da una fonte subordinata, rimane vero che l'uomo è sanabile. E il Libro della Sapienza dice: “Hai creato sanabili le nazioni” (
1, 14 volg).

E finalmente, ultimo punto, l’uomo non è solo sanabile, è sanato di fatto. Dio ha introdotto la guarigione. È entrato in persona nella storia. Alla permanente fonte del male ha opposto una fonte di puro bene. Cristo crocifisso e risorto, nuovo Adamo, oppone al fiume sporco del male un fiume di luce. E questo fiume è presente nelle storia: vediamo i santi, i grandi santi ma anche gli umili santi, i semplici fedeli. Vediamo che il fiume di luce che viene da Cristo è presente, è forte.

Fratelli e sorelle, è tempo di Avvento. Nel linguaggio della Chiesa la parola Avvento ha due significati: presenza e attesa. Presenza: la luce è presente, Cristo è il nuovo Adamo, è con noi e in mezzo a noi. Già splende la luce e dobbiamo aprire gli occhi del cuore per vedere la luce e per introdurci nel fiume della luce. Soprattutto essere grati del fatto che Dio stesso è entrato nella storia come nuova fonte di bene. Ma Avvento dice anche attesa. La notte oscura del male è ancora forte. E perciò preghiamo nell'Avvento con l'antico popolo di Dio: «Rorate caeli desuper».

E preghiamo con insistenza: vieni Gesù; vieni, dà forza alla luce e al bene; vieni dove domina la menzogna, l'ignoranza di Dio, la violenza, l'ingiustizia; vieni, Signore Gesù, dà forza al bene nel mondo e aiutaci a essere portatori della tua luce, operatori della pace, testimoni della verità.

Vieni Signore Gesù!





E la notte fu. La vera storia del peccato originale

È uno dei dogmi più trascurati e negati. Ma per Benedetto XVI è "di un'evidenza schiacciante". Ne ha parlato tre volte in otto giorni. Senza di esso, ha detto, la redenzione cristiana "perderebbe il suo fondamento"


di Sandro Magister


ROMA, 11 dicembre 2008 – Per tre volte in otto giorni Benedetto XVI ha insistito su un dogma che è quasi scomparso dalla comune predicazione ed è negato dai teologi neomodernisti: il dogma del peccato originale.

L'ha fatto lunedì 8 dicembre all'Angelus della festa dell'Immacolata; il precedente mercoledì 3 all'udienza settimanale con migliaia di fedeli e pellegrini; e poi ancora all'udienza generale di mercoledì 10.

All'Angelus dell'Immacolata papa Joseph Ratzinger si è così espresso:

"Il mistero dell’Immacolata Concezione di Maria, che oggi solennemente celebriamo, ci ricorda due verità fondamentali della nostra fede: il peccato originale innanzitutto, e poi la vittoria su di esso della grazia di Cristo, vittoria che risplende in modo sublime in Maria Santissima.

"L’esistenza di quello che la Chiesa chiama peccato originale è purtroppo di un’evidenza schiacciante, se solo guardiamo intorno a noi e prima di tutto dentro di noi. L’esperienza del male è infatti così consistente, da imporsi da sé e da suscitare in noi la domanda: da dove proviene? Specialmente per un credente, l’interrogativo è ancora più profondo: se Dio, che è Bontà assoluta, ha creato tutto, da dove viene il male? Le prime pagine della Bibbia (Genesi 1-3) rispondono proprio a questa domanda fondamentale, che interpella ogni generazione umana, con il racconto della creazione e della caduta dei progenitori: Dio ha creato tutto per l’esistenza, in particolare ha creato l’essere umano a propria immagine; non ha creato la morte, ma questa è entrata nel mondo per invidia del diavolo il quale, ribellatosi a Dio, ha attirato nell’inganno anche gli uomini, inducendoli alla ribellione (cfr. Sapienza 1, 13-14; 2, 23-24). È il dramma della libertà, che Dio accetta fino in fondo per amore, promettendo però che ci sarà un figlio di donna che schiaccerà la testa all’antico serpente (Genesi 3, 15).

"Fin dal principio, dunque, 'l’eterno consiglio' – come direbbe Dante (Paradiso, XXXIII, 3) – ha un 'termine fisso': la Donna predestinata a diventare madre del Redentore, madre di Colui che si è umiliato fino all’estremo per ricondurre noi alla nostra originaria dignità. Questa Donna, agli occhi di Dio, ha da sempre un volto e un nome: 'piena di grazia' (Luca 1, 28), come la chiamò l’Angelo visitandola a Nazareth. È la nuova Eva, sposa del nuovo Adamo, destinata ad essere madre di tutti i redenti. Così scriveva sant’Andrea di Creta: 'La Theotókos Maria, il comune rifugio di tutti i cristiani, è stata la prima ad essere liberata dalla primitiva caduta dei nostri progenitori' (Omelia IV sulla Natività, PG 97, 880 A). E la liturgia odierna afferma che Dio ha 'preparato una degna dimora per il suo Figlio e, in previsione della morte di Lui, l’ha preservata da ogni macchia di peccato' (Orazione Colletta).

"Carissimi, in Maria Immacolata noi contempliamo il riflesso della bellezza che salva il mondo: la bellezza di Dio che risplende sul volto di Cristo".

Angelus, 8 dicembre 2008, Solennità dell’Immacolata Concezione della Beata Vergine Maria

Il peccato originale, questo dogma oggi così trascurato, è una di queste verità che papa Ratzinger sente il bisogno di rinverdire.

E il motivo l'ha spiegato ai fedeli così, nella catechesi del 3 dicembre, quella più diffusamente dedicata al tema, riprodotta integralmente in apertura di questo discorso....

* * *
[SM=g1740771]


[Modificato da Caterina63 07/02/2012 15:09]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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[SM=g1740733] fonte: La Chiesa Cattolica - la sua dottrina - Vol.II - con Imprimatur Vescovile - Trieste 1886

Mescolato anch'io con gli Apostoli, nel Cenacolo, sentirò quelle dolci parole di Gesù, Dio nostro: < amatevi gli uni gli altri, come io ho amato voi > (Gv.15,12).


- Che cosa è la Santa Messa per un Cattolico?

 

L'Eucaristia è uno dei sette Sacramenti ma, possiamo anche dire, che è il Sacramento per eccellenza e senza il quale tutti gli altri non avrebbero senso, né compimento.

Tutta la vita della Chiesa, infatti, si muove e prende vita dall'Eucaristia, e senza l'Eucaristia non avremmo alcun Culto a Dio, o nulla di così unico, specifico di Colui che si è Incarnato e che volendo assumere la nostra natura umana, è al tempo stesso Dio al quale dobbiamo rendere Culto.

L'unicità di questo Culto risiede nel fatto che solo la religione Cattolica possiede un Culto che non proviene dal basso, cioè dall'uomo, ma questo viene dall'Alto, ci è "disceso" dal Cielo, comandato e raccomandato dal Signore stesso, da farsi ogni giorno fino al Suo ritorno glorioso.

Altra eccezionalità di tal Culto è la Presenza Reale di Nostro Signore Gesù Cristo, Egli infatti non è assente, non ha raccomandato il Divino Memoriale per farsi sostituire dal Sacerdote, Egli è l'unico Sacerdote che ha dato ai suoi Ministri, validamente Ordinati nella Santa Chiesa, di agire con Lui, in Sua Persona, per Suo tramite, la Santa Messa risponde così ad un comando, ad un ordine voluto da Dio stesso, ad un rituale che ci è disceso dal Cielo, che nutre il fedele di Sé, lo eleva alla vita della grazia per santificarlo, imperciocché non sarebbe mai possibile santificarci con il cibo che perisce o con altre funzioni materiali, per questo la Chiesa definisce la Messa "Santa", perché essa santifica il fedele e al tempo stesso rende Culto a Dio "in ispirito e verità"; spirito in quanto Nostro Signore Gesù Cristo è presente con il Suo Corpo glorificato con la Risurrezione, in verità perché sono le Sue parole e la Sua Presenza a rendere tale Culto vivo e vero.

Per tanto, la Comunione si deve considerare:

- quale intima unione con Gesù Cristo, secondo le di Lui parole:" Caro enim mea verus est cibus, et sanguis meus verus est potus. Qui manducat meam carnem et bibit meum sanguinem, in me manet, et ego in illo. /Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui."(Gv.6,55-56). Così spiega san Cirillo Alessandrino: " Come se qualcuno liquefasse col fuoco della cera aggiunta ad altra cera, d'ambedue formerebbe una sola massa, così per la partecipazione del Corpo e del Sangue prezioso di Cristo, ed Egli in noi si unisce, e noi ci uniamo a Lui" (comm. libr. Joann.10).

- quale viva ed autentica partecipazione al Sacrificio Eucaristico, secondo le di Lui parole: " Ego sum panis vivus, qui de caelo descendi. Si quis manducaverit ex hoc pane, vivet in aeternum; panis autem, quem ego dabo, caro mea est pro mundi vita ”. Litigabant ergo Iudaei ad invicem dicentes: “ Quomodo potest hic nobis carnem suam dare ad manducandum? ”. Dixit ergo eis Iesus: “ Amen, amen dico vobis: Nisi manducaveritis carnem Filii hominis et biberitis eius sanguinem, non habetis vitam in vobismetipsis. / Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo". Allora i Giudei si misero a discutere tra di loro: "Come può costui darci la sua carne da mangiare?". Gesù disse: "In verità, in verità vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell'uomo e non bevete il suo sangue, non avrete in voi la vita." (Gv.6 51-53).

In quanto a "partecipazione del Sacrificio", benché il solo Celebrante ne sia propriamente il Ministro, perché egli solo compie l'atto essenziale della Consacrazione, pure non è ch'egli solo offre a Dio il Sacrificio, ma lo compie assieme al popolo redento, infatti non è che il Sacerdote dice: Io ti offro il mio sacrifizio, ma dice: "questo nostro Sacrificio, che piaccia a Te Signore Dio...". Perciò. quanto più uno s'immedesima col Celebrante e prende parte più viva al Santo Mistero, tanto più maggiormente egli beneficia del medesimo, e poiché chi si comunica alla Santa Messa non solo concorre come gli altri all'oblazione del Sacrificio, ma concorre anche con il Sacerdote alla consumazione del medesimo, col "cibarsi della Carne e del Sangue" della Vittima "immolata per la nostra salvezza", così è chiaro che la Santa Comunione fatta durante la Messa, è una viva e reale partecipazione al Sacrificio Eucaristico.

Bisogna anche chiarire e con santo scrupolo, quanto segue:

a quanto detto si oppone che, essendo uno solo il Sacrificio, ogni Comunione, sé anche fatta fuori della Santa Messa è una reale "consumazione della Vittima" e quindi è una partecipazione al Sacrificio fatta dal Sacerdote celebrante. Questo è dunque ben vero, ma si tratta di una partecipazione indiretta in quanto che, chi si comunica con Particole consacrate prima, non concorre col Celebrante alla Oblazione e, non prendendo parte viva al Sacrificio, non partecipa direttamente del medesimo se non in quanto, indirettamente, dal momento che Esso è offerto dalla santa Chiesa per tutti, che se pure o prima della Messa, o dopo della Comunione assiste ad una Santa Messa, ei perde sempre, non comunicandosi nella stessa, la pienezza dell'effetto che avrebbe ricevuto se, insieme col Sacerdote, fosse concorso non solo ad offrire ma pure a consumare la Vittima.

E' perciò che la Chiesa ha sempre considerato come lecita, legittima e santa la Comunione con Particole consacrate prima, in altre Messe, ed ha condannato invece l'opinione di Padre Nanarroni, il quale sosteneva "essere obbligati i cristiani a comunicarsi almeno una volta in vita, durante la Messa, con Particole consacrate durante la medesima", tuttavia la Chiesa stessa raccomanda ugualmente ai fedeli tale pratica, la quale corrisponde all'antica disciplina approvata dai Concili, dai Padri, dai teologi, perché è semplicemente di maggior vantaggio a chi lo fa.

L'intenzione della Chiesa è del resto molto ben espressa anche dal nostro ultimo Sinodo Diocesano, il quale riporta: "Noi crediamo e proponiamo come lecita e santa la Comunione con le Particole pre-consacrate, essa però abbia luogo solamente per motivi ragionevoli e non per capriccio; essendo nostra intenzione, che per principio abbia luogo durante l'azione della Messa la Comunione del popolo..". (Synod. Dioec. Bonifac. a Ponte a.1779 cap.XIII).

 

Il Sacrificio della Santa Messa, e la partecipazione ad Essa da parte del fedele, del popolo, è perciò fondamentale e di vitale importanza per la vita stessa delle comunità e della Chiesa universale, imperciocchè non è il popolo né il fedele che la rende così speciale, unica e santa, ma è il Sacrificio che possiede un valore infinito e sovrannaturale. Il Sacrificio della Divina Eucaristia, infatti, non giova agli individui se non in quanto viene loro applicato, e il partecipare di questa applicazione dipende da due circostanze:

 

1. per partecipare veramente del Frutto del Sacrificio è indispensabile trovarsi in stato di grazia e santificazione, ossia, bisogna essere confessati e purificati da ogni peccato mortale. Chi è tale, riceve in proporzione alla parte che prende nel Sacrificio:

a - l'aumento della grazia abituale;

b - la remissione dei peccati veniali se profondamente pentiti;

c - il perdono, almeno in parte, delle pene dovute ai peccati commessi;

d - le grazie necessarie delle quali abbisogna per la santificazione;

e - la distribuzione delle grazie necessarie per le Anime del Purgatorio.

E' bene ricordare che chi assiste alla Santa Messa nello stato di peccato mortale, specialmente nell'ostinazione e nel rifiuto alla confessione ed alla vera conversione, non rende inefficace il Divino Sacrificio, ma impedisce a sé stesso la ricezione e l'aumento della grazia santificante, perché non l'ha, e nell'ostinazione la rifiuta; né può usufruire del perdono dei peccati veniali, poiché si trova in uno stato grave di peccato; né può ricevere il perdono delle pene temporali, perché reo di pena eterna, ma egli può ricevere ugualmente e solamente le grazie attuali che si dipartono dalla Santa Messa, e se vi partecipa con cuore afflitto e pronto a volersi rimettere in ordine con Dio, il Sacrificio al quale vi assiste può offrirgli la grazia di una perfetta contrizione, ed indirizzato verso il Confessionale, può riconciliarsi con Dio e ricevere la Santa Comunione. Non è perciò che torni inutile ai peccatori, anche ai più incalliti, l'assistere al Santo Sacrificio, al contrario e come la Santa Chiesa ha sempre insegnato, è per essi importante che in qualche modo vi assistano, perché la Messa è per i peccatori, ma affinché si convertano e si santifichino, imperciocchè divotamente assistendovi, pur non partecipandovi poiché sono in stato di grave peccato, impetrano da Dio la forza di vincere le loro cattive abitudini, e di riacquistare per mezzo d'una sincera penitenza, la grazia santificante.

Facciano pertanto attenzione, i Ministri dell'Eucaristia, ad istruire i propri fedeli sul danno del peccato mortale, a non dare ad essi la Santa Comunione, ma tuttavia ad invitarli ad assistere al Divino Sacrificio, quand'anche essi non vi potessero partecipare a causa della condizione peccaminosa, vi potrebbero ricevere giovamenti di conversione nell'assistervi.

 

2. dal concorrere ch'Esso fa più, o meno all'Oblazione, parlando in generale, significa che partecipa assai di più del Frutto della Santa Messa chi è presente alla celebrazione e, con somma divozione, accompagna l'azione del Sacerdote che celebra, la mancanza della corretta divozione vanifica su di sé la partecipazione al Frutto del Divino Sacrificio. Fra i presenti vi partecipa di più colui che concorre all'Oblazione, quindi:

a - più d'ogni altro è il Celebrante stesso, perché a preferenza d'ogni altro e chiamato dal Signore stesso ad essere Suo Sacerdote, concorre al Divino Sacrificio in nome della Chiesa, facendo ciò che N.S. Gesù Cristo in Essa ha comandato di fare;

b - quanti si comunicano in stato di grazia concorrono alla consumazione della Vittima per sé stessi ma anche per gli altri, specialmente per i Suffragi delle Anime del Purgatorio e la conversione dei peccatori, e la Chiesa stessa raccomanda che tutti i presenti possano ricevere l'Eucaristia "acciocché loro dal Sacrificio, maggiori frutti ne derivassero..." (Conc. Trid. sess. XXII, cap. VI);

c - e più di altri vi partecipa chi, con pio raccoglimento, oblazione personale, seguendo con santa divozione la Celebrazione e al momento stesso della Consumazione, fa un atto di desiderio di unirsi spiritualmente al Redentore sul Calvario, insieme alla Vergine Santissima, a San Giovanni e a tutti i Santi.

In parità di circostanze, e a seconda delle necessità della Chiesa stessa, partecipa con più frutto chi offre al Sacerdote l'elemosina acciocché applichi la Santa Messa per lui, o secondo la di lui intenzione, specialmente per le Anime del Purgatorio.

 

Fin dal primo secolo il popolo portava nelle Chiese, o nella assemblea riunita in qualche casa prima che le Chiese venissero costruite, il pane e il vino occorrente al Sacrificio, ed i Diaconi raccoglievano il tutto al momento dell'Offertorio, insieme anche a qualche indumento per i più poveri, o alle somme di danaro: chi trascurava di fare la sua offerta, ben sapendo che poteva farla, si considerava come "non partecipante" al Sacrificio. San Cipriano disse così ad una ricca signora: "Sei doviziosa, e credi tu di partecipare al Sacrificio di Nostro Signore, venendo al Sacrificio senza la tua offerta?!" (St.Cypr. de opere elemos.), e lo stesso Sant'Agostino diceva: "Portate voi le offerte da consacrarsi. Chi lo può si deve vergognare di ricevere la Comunione dall'oblazione di un altro!" (St.August. de temp. serm. 15).

L'uso di queste pubbliche offerte durò fino al decimo secolo, ma l'offerta continuò in forma spesso privata, i fedeli continuarono a portare ai Sacerdoti le elemosine acciocché nella Santa Messa pregassero anche per loro, imperciocchè è bene sottolineare che i Sacerdoti che le ricevevano come prezzo delle loro preghiere, ma come offerta fatta alla Chiesa, per concorrere alle necessità dei più poveri della comunità, per le necessità della Chiesa e pure per il sostentamento dei sacri Ministri i quali, come ben ammaestra San Paolo: " Nescitis quoniam, qui sacra operantur, quae de sacrario sunt, edunt; qui altari deserviunt, cum altari participantur? / Non sapete che coloro che celebrano il culto traggono il vitto dal culto, e coloro che attendono all'altare hanno parte dell'altare?" (1Cor.9,13).

Non si trascuri di ammaestrare, dunque, che il Divino Sacrificio non viene celebrato solamente per chi fa l'elemosina, o che la limosina sia maggiore del Sacrificio stesso, ma tale Sacrificio si auto sostiene dalla Divina Provvidenza la quale si serve dei fedeli per sovvenire alle necessità della Carità, è il Sacrificio stesso che produce la Carità in ogni sua forma, è Esso stesso la Carità, e viene celebrato per tutti ritraendone vantaggio quanto maggiormente i fedeli vi partecipino con divozione e responsabilità.

 

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Mescolato anch'io con gli Apostoli, nel Cenacolo, sentirò quelle dolci parole di Gesù, Dio nostro: < amatevi gli uni gli altri, come io ho amato voi > (Gv.15,12).


- In cosa consiste il Sacrificio della Divina Eucaristia?

 

A quanto detto nel capitolo precedente, su cosa è la Santa Messa, a riguardo del Sacrificio occorre dire che: come il Sacrificio storico di Gesù Cristo consistette nell'essersi Egli umiliato come Dio e come Uomo: "humiliavit semetipsum factus oboediens usque ad mortem, mortem autem crucis. / umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce." (Filippesi 2,8), così allo stesso modo consiste il Sacrificio Eucaristico della Santa Messa, nella umiliazione, a cui per la Transustanziazione volontariamente Egli si assoggetta, e poiché questa umiliazione, tanto che come Dio che come Uomo, è nuova e maggiore dal momento che Egli è risuscitato e "siede alla destra del Padre nella gloria", così costituisce Essa un vero e proprio Sacrificio.

Nella Eucaristia è nuova e maggiore della prima umiliazione di Gesù "come Dio", perché durante il corso della Sua vita terrena la Sua divinità era nascosta, ma non così che a traverso del velo della umana natura non trasparisse lo splendore della Sua gloria Divina. Ei nasce in una stalla, ma gli angeli annunziano la Sua nascita e pastori e magi vengono per adorarlo. Ei vive come povero e circondato dai poveri, dagli umili o dai semplici, come quando si circonda degli Apostoli provenienti dagli umili lavori come i pescatori, ma tra loro opera prodigi e miracoli attestando lentamente la Sua onnipotenza comune al Padre. Muore sulla Croce, fra due malfattori, come un comune brigante e bestemmiatore, ma alla Sua morte la natura Gli rende testimonianza, il sole s'oscurò, la terra tremò, accaddero molti prodigi, che l'istesso centurione non può che esclamare, piegando le sue ginocchia: Videns autem centurio, qui ex adverso stabat, quia sic clamans exspirasset, ait: “ Vere homo hic Filius Dei erat ”  /  Allora il centurione che gli stava di fronte, vistolo spirare in quel modo, disse: "Veramente quest'uomo era Figlio di Dio!"(Mc. 15,39)

Così, anche l'umiliazione di Gesù "come Uomo" è nell'Eucaristia maggiore della prima: imperciocchè per quanto Egli fosse dispregiato e l'infimo degli uomini, uomo dei dolori che ben conosce il patire, come ci ricorda il Profeta Isaia 53,3, pur aveva la figura d'uomo, veniva amato dai Suoi Discepoli, acclamato come grande profeta, rispettato per umani riguardi persino dai farisei, e quando venne condotto al supplizio, le donne di Gerusalemme piangevan per Lui.

Ora, nell'Eucaristia anche l'umanità del Divino Redentore è interamente nascosta, e, se la fede non illumina l'intelletto, nessuno potrebbe ravvisare Gesù sotto le specie del pane e del vino.

Il Divino Redentore, nella Santa Eucaristia si riduce all'estremo dell'abiezione, si spoglia di tutto ciò che potrebbe cattivargli amore e rispetto, si espone agli oltraggi, alle profanazioni, all'incredulità, ai motteggi dei peccatori, persino all'indecenza dei Suoi Sacerdoti quando celebrano in stato di peccato oppure quando celebrano con svogliatezza, o credendosi insostituibili spadroneggiando. Gesù ancora una volta e nell'Eucaristia: " Afflictus est et ipse subiecit se et non aperuit os suum; sicut agnus, qui ad occisionem ducitur, et quasi ovis, quae coram tondentibus se obmutuit et non aperuit os suum. / Maltrattato, si lasciò umiliare e non aprì la sua bocca; era come agnello condotto al macello, come pecora muta di fronte ai suoi tosatori, e non aprì la sua bocca." (Is.53,7).

Perciò è fondamentale che si istruiscano i fedeli nella corretta visione dell'Eucaristia nella Santa Messa, in questo dobbiamo guardare alla relazione fra il Sacrificio storico e l' Eucaristico.

1. Il Sacrificio dell'Eucaristia è identico, inteso come medesimo, al Sacrificio che si compì sul Calvario, imperciocchè, così in quello come in questo abbiamo:

a - il medesimo Sacerdote, Gesù Signore, il quale là si offriva da Sé medesimo ma per le mani dei carnefici, e di ognun di noi peccatore, e s'offre qui per mezzo dei Suoi Ministri "santi e santificatori";

b - la medesima Vittima Gesù, Agnello immolato, Agnello condotto al macello, che là s'offriva al Padre raccogliendo tutti i peccati, prima sofferti, coronandoli col patir sulla Croce, e qui offre al Padre tutte le umiliazioni e i peccati, ora subiti nel corso della storia dalla Sua Incarnazione, coronandoli assoggettandosi ad una umiliazione nuova e maggiore;

c - il medesimo scopo, cioè, la Gloria di Dio Padre e la salute degli uomini, la loro vita eterna.

La differenza fra il Sacrificio storico e l'Eucaristico è solo accidentale: il primo comprese i patimenti fisici compiendosi in maniera cruenta; questo, Eucaristico è spirituale, cioè, incruento, Gesù non patisce più fisicamente, Egli già regna Vincitore sulla Morte e nella Gloria del Padre, ma nei veli nascosti dell'Eucaristia Egli patisce ancora il rifiuto degli uomini, le profanazioni, le ingiurie, e nell'Oblazione supplica per noi, ancora una volta, ad ogni Messa, il Padre, affinché l'uomo si salvi, lo accolga, abbia compassione di ciò che patì e si converta.

2. Dall'essere il Sacrificio della Santa Messa identico a quello che Gesù compì storicamente sulla Croce, ne segue:

a - ch'Esso è unico e di valore infinito, perché umiliazione dell'Uomo-Dio;

b - ch'Esso è un Sacrificio di adorazione di Gesù sulla Croce e di ringraziamento a Gesù gloriosamente Vincitore;

c -  ch'Esso è di propiziazione pei peccati e d'impetrazione di grazie, avente in Sé tutti i tesori Divini e tutte le Grazie necessarie a tutte le necessità dell'umanità in ogni tempo;

d - ch'Esso è un Sacrificio Cattolico, universale, il quale è offerto per tutti, non solo per i viventi ma anche per i Defunti nel Signore; universale perché lo si offre in memoria dei Santi, non ai Santi, ma a Dio, adorandolo e ringraziandolo per le vittorie loro concesse ed impetrando il loro patrocinio, primo fra tutti il patrocinio della Beatissima Vergine, Madre di Dio, di san Giuseppe Patrono della Santa Chiesa, e di tutti i Santi; universale perché lo si offre per le Anime del Purgatorio, per abbreviare il tempo della loro punizione e addolcire il rigore delle pene che ancora debbono soffrire.

E' con sana ragione che i Cattolici possono dire: "Quae est enim alia natio tam grandis, quae habeat deos appropinquantes sibi, sicut Dominus Deus noster adest cunctis obsecrationibus nostris? / Infatti qual grande nazione ha la divinità così vicina a sé, come il Signore nostro Dio è vicino a noi ogni volta che lo invochiamo?" (Deutaron.IV,7).

 

 





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Mescolato anch'io con gli Apostoli, nel Cenacolo, sentirò quelle dolci parole di Gesù, Dio nostro: < amatevi gli uni gli altri, come io ho amato voi > (Gv.15,12).




- Santa Messa o Santa Cena?

 

Dalla Riforma Protestante è invalso l'uso, ma con motivi diversi non propriamente cattolici, di rinominare il Divino Sacrificio con un termine di per sé antico: santa Cena.

Imperciocchè è da annotare, a quanto abbiamo detto fino a qui, che per insegnare tutto sulla Santa Messa è più indicato parlare di Oblazione, Sacrificio di Adorazione e Ringraziamento, senza aver timore di usare il termine amato dai Padri: Santa Messa.

La voce "Messa" la troviamo usata già da St.Ambrogio nel IV secolo (Epistola 20, n.4) e deriva dal latino Missa che significa "mandata, licenziata", ed è stata sempre intesa sia per il Sacrificio Eucaristico "il mandato di celebrare questi Misteri", sia ch'abbia a sott'intendere l'Oblatio, l'offerta, il Sacrificio espiatorio che, mandato da Dio, include anche al "licenziarsi" del popolo dopo l'adorazione del Sacrificio stesso e dopo aver consumato la Vittima nella Comunione fraterna. Inoltre, Messa, indica la "missius", l'atto del mandare, del congedare dopo aver affidato qualcosa, una missione. L'Ite Missa est significa, appunto: andate, l'adunanza è sciolta, licenziata.

Santa Cena: seppur con tal termine si è sempre inteso, nella Chiesa, indicare il momento specifico della Comunione dei fedeli al comando di Gesù di "essere accolto-ricevuto, prefigurazione della Mensa Celeste ed eterna", si è ritenuto sempre valido e più corretto parlare di Santa Messa dal momento che tale Funzione Sacra non racchiude solamente il momento della Comunione dei fedeli, ma anzi, sott'intende principalmente il Sacrificio della Croce, l'offerta della Vittima, i Divini Misteri e che si conclude con il rendimento di grazie colla distribuzione della Santa Comunione.

La Riforma Protestante avendo rigettato la sacralità della Messa, per essi è solo spirituale, la Presenza reale di N.S. Gesù Cristo nella Transustanziazione, e avendo essa rinnegato il Sacerdozio come Sacramento specifico dei Ministri di Dio e conservato esclusivamente il sacerdozio comune a tutti i battezzati, ha ritenuto "normale" modificare anche il termine, non più "Santa Messa" ma una santa Cena, con un pane e vino distribuiti senza la Transustanziazione, di conseguenza essi celebrano solo la comunione, una Cena santa nelle intenzioni, ma in una forma non sacramentale bensì solo spirituale, imperciocchè imperfetta, poiché anche se lo chiamano "sacramento", avendo tolti i segni sacramentali, essa è solo un ricordo spirituale.

 

 

- La Santa Messa che celebriamo è quella del primo secolo?

 

Si risponde a questa domanda a causa dell'avvento del Protestantesimo che ha snaturato la Santa Messa, ha eliminato il Sacerdozio come Sacramento, ed ha rinnegato il prodigio della Transustanziazione.

La celebrazione della Santa Messa ha sempre compreso più parti al suo interno.

Fin dal primo secolo si comprendevano due parti ben distinte:

1. la Prima parte quale preparazione al Sacrificio Divino e si chiama "Messa dei Catecumeni" in quanto vi potevano partecipare anche coloro che, fanciulli in età della ragione e adulti, si preparavano a ricevere il Battesimo, e perché anche a loro, come ai pubblici penitenti è dato di assistere alla Messa, ma senza partecipare all'Oblazione in quanto ancora non battezzati. Questa prima parte comprende:

a - l'Introito, ingresso: nell'antica Chiesa il Celebrante preceduto dal Clero e dal popolo entrava nel Tempio cantando Salmi e, presi i paramenti recitava le Orazioni alternate dal canto del Kyrie eleison e Christe eleison (Signore pietà, Cristo pietà). Queste finivano con l'inno Gloria in excelsis, inno che già si sapeva essere tralasciato quando si dicevano le Messe per i Defunti o nei tempi di penitenza, dopo di che si concludeva con il celebrante che salutava il popolo dicendo: " Dominus vobiscum" (il Signore sia con voi), o, s'era il Vescovo, col "Pax vobis" (la pace sia con voi).

Oggi l'Introito è ristretto ad un Salmo cantato, o ad una Antifona indicante spesso anche il Tempo liturgico, e a seguire il Confiteor che recita il Sacerdote a pié dell'Altare. Seguono poi, ma non è più parte dell'Introito e siamo già dentro la Messa, il Kyrie e Christe eleison ed il Gloria nei tempi festosi, concludendo la parte con il saluto al popolo. Come possiamo vedere non è cambiato nulla di sostanziale.

b - le Orazioni: il Celebrante dice le Orazioni del proprio Tempo e vi aggiunge, meno che nella Messa di morto, delle altre Orazioni pei bisogni del popolo, o anche di qualche persona in particolare. Oggi, queste Orazioni hanno il nome di Collette che significa "raccolte", perché in esse si raccolgono i desideri e le preghiere del popolo e di tutta la Chiesa, qui i fedeli possono esprimere singolarmente, nel silenzio del proprio cuore, le proprie preghiere o unirsi, mediante un messale o breviario, a quelle del Sacerdote.

c - l'Epistola (Lettera): fin dal primo secolo si usava questa occasione per far conoscere alle comunità gli sviluppi della Chiesa; si comunicavano all'assemblea le relazioni che una Chiesa mandava ad un'altra, specialmente le Lettere degli Apostoli o di qualche Vescovo apostolico, specialmente se questi era rinchiuso in qualche carcere o stava per subire il martirio, e se così lo richiedeva una festa particolare, vi si leggeva un brano storico dell'Antico Testamento o dagli Atti degli Apostoli. Dopo l'Epistola, mentre il diacono saliva i gradini dell'Altare per ricevere la benedizione del Celebrante, si cantava un Salmo chiamato "Graduale". Nel Tempo di Penitenza (solitamente la Quaresima) il canto si tirava più in lungo e perciò si chiamava Tractus.

Oggi le cose non sono cambiate, solamente che per l'Epistola non si leggono più gli scritti dei Vescovi o dalle altre Chiese, ma solo brani tratti dalla Sacra Scrittura.


All'Epistola fu sempre associata la lettura d'un brano della vita di Gesù Cristo tratta dagli Evangelisti, e perciò detto subito "Dal Vangelo di..." la Buona Novella portata dal Redentore agli uomini. Il Celebrante offre l'incenso al Sacro Testo e con riverenza lo bacia, annuncia la Lettura e il Ministro dice in nome del popolo: Lode a Te o Cristo.

Dopo la lettura del Vangelo, nelle Feste principali e nelle Domeniche, aveva luogo l'Omelia, che significa proprio: discorso, istruzione sul Vangelo.

Nell'antica Chiesa solo i Vescovi potevano tenere l'Omelia, e nelle opere dei SS. Padri abbiamo delle omelie che sono dei capolavori della vera eloquenza, letteratura, e persino di poesia. Finita l'Omelia il Vescovo pregava pei Catecumeni e pei pubblici penitenti, e a questo punto il Diacono li licenziava dalla Messa, ossia , i Catecumeni lasciavano l'assemblea in attesa di ricevere il Battesimo, dal momento che non potevano ricevere l'Eucaristia. Si chiudevano poi le porte del Tempio ed i ministri giravano silenziosi, acciocché nessuno disturbasse il silenzio, il raccoglimento e la divozione dei fedeli presenti.

 

2. La Seconda parte della Messa cominciava con i preparativi per il Sacrificio "vivo e santo" il quale comprende l'Offertorio, la Consacrazione e la Comunione, da qui si parlava già di "Messa dei fedeli" derivante dal fatto che i presenti si uniscono all'offerta del Celebrante, in una partecipazione oblativa e in quanto destinatari della Comunione Eucaristica.

a - l'Offertorio: dopo il Concilio di Nicea (a.325) che condannò l'eresia di Ario, all'Offertorio si fé precedere il Credo, poiché la fede è la base dell'ecclesiastica unità. Il Simbolo che diciamo oggi è quello del Concilio Ecumenico di Costantinopoli (a.381), un pò più lungo e più articolato, coll'aggiunta del Filioque fatta in quello di Firenze. Tale Simbolo viene pronunciato solennemente nelle Feste di maggior solennità, o a motivo del grande concorso di popolo.

Terminato il momento delle pubbliche offerte, il Celebrante prepara prima l'Hostia, Vittima del Sacrificio, perché sotto gli accidenti del pane, Gesù s'offre vittima di amore per il popolo e per la Sua Sposa, ch'è la Chiesa, poi prepara le Particole da consacrarsi insieme all'Hostia. Anticamente durante l'Offerta si cantavano dei Salmi, poi il Celebrante prosegue in silenzio e a bassa voce pregando, scoperto il Calice offre a Dio il pane sulla patena (piattino col quale si sposta con riverenza l'Hostia evitando di toccarla troppe volte con le mani) e poi il Calice col vino, nel quale versa alcune gocciole d'acqua in memoria dell'acqua che assieme col Sangue sgorgò dal costato  trafitto del Redentore.

A questo punto il Sacerdote si lava le mani, un gesto simbolico e reale che richiama all'acqua che con il Battesimo ci donò lo stato primordiale della purificazione, ripetendo a bassa voce brani dal Salmo 25 per esprimere l'interna mondezza, ed anche per riverenza verso il Divin Sacramento che dovrà toccare con le mani, poi sollecita gli astanti a sollevar i loro cuori in un inno, un cantico di lode "uniti agli Angeli", con il trisagio: Santo, Santo, Santo il Signore Dio..... Ad oggi nulla è cambiato nella sostanza di ciò che esprimeva la Chiesa fin dai primi secoli.

b - La Consacrazione (Transustanziazione): i fedeli si inginocchiano e il Celebrante supplica Dio di accogliere i Doni che sono stati offerti per la santa Chiesa, pel Sommo Pontefice, pel Vescovo, anche per l'Imperatore, e raccomanda quindi in particolare le persone  per le quali si intende di applicare il Sacrificio (Memento per i vivi). Egli esprime la relazione dei viventi coi Santi venerandone la memoria e con tutta la Chiesa Mistica, trionfante, stende poi le mani sul pane e sul vino supplicando il Signore di accogliere e gradire questa Offerta e passa a compiere l'augusta azione, che compì il Signore Gesù nell'Ultima Cena, pronunciando sulle offerte le stesse parole. Appena avvenuta la Consacrazione, il Celebrante inchinato continua le orazioni adorando l'Hostia pura e Santa e il Vino transustanziati, l'adora più volte, poi la solleva all'adorazione dei fedeli, poi torna alla adorazione con le orazioni a bassa voce, e così fa con il Pane e il Vino Consacrati.

Vi è da ricordare che l'elevazione dell'Hostia e del Calice col Vino Consacrati fu introdotta dopo l'eresia di Berengario (leggasi il paragrafo:- E' obbligatorio credere nella "Presenza Reale"  Gesù nell'Eucaristia?).

Ora il Sacerdote offre a Dio Padre la Vittima del Sacrificio perfetto, il Pane Santo della vita eterna e il Calice della salute perpetua, e Lo supplica di farlo portare dalle mani del Suo Angelo alla Sua stessa Presenza, acciocché "ogni qualvolta partecipando di questo Altare, avremo preso il Corpo e il Sangue del Suo Figliuolo, siamo ricolmati d'ogni celeste benedizione".

Segue il Memento pei Defunti in generale, e in particolare, ed il Celebrante battendosi il petto, continua: " Anche a noi peccatori concedi parte e società coi Tuoi Santi per Cristo nostro Signore, per mezzo di cui Tu crei tutti questi beni, santifichi, vivifichi e doni a noi..." Le croci che il Sacerdote compie nel dire queste parole, si riferiscono alle specie sacramentali, come rappresentanti i beni della terra, e a questo punto anticamente, si benedicevano le offerte dei fedeli che non erano destinate all'Eucaristia, per esempio il pane benedetto, e si chiamava "Eulogia" (benedizione) il quale veniva distribuito anche a quelli che non avevano preso parte all'Eucaristia. I Cristiani se lo portavano a casa o se lo mandavano come dono, come segno di comunione e di pace. Da qui l'uso delle focacce che per le feste pasquali i cristiani si mandavano come dono, ancora in uso in molte Chiese Ortodosse, purtroppo in disuso nella Chiesa Cattolica.

c - La Comunione (il Banchetto) questa parte inizia con la Preghiera comune a tutti i Cristiani, il Padre Nostro, da qui il Celebrante invoca il Signore di "liberarci da tutti i mali" e donarci la Sua Pace, Nostro Signore Gesù Cristo, e questa Pace egli augura a tutti i presenti colle parole: Pax + Domini sit + semper vobis+cum, e la intercede loro quando dopo il terzo Agnus Dei qui tollis peccata mundi, il popolo fedele già inginocchiato risponde: dona nobis pacem.

Nell'antica Chiesa i Cristiani prima di ricevere la Santa Comunione, si davano un abbraccio l'un l'altro, col segno della pace e di fraternità. Il Celebrante si prepara ora alla Comunione e prendendo nella mano sinistra l'Hostia Santa, colla destra si batte il petto dicendo per tre volte: Domine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum; sed tantum dic verbo et sanabitur anima mea / Signore, non son degno che Tu entri nella mia casa, ma di una parola e l'anima mia sarà risanata.

Poi viene risanato il popolo che si reca presso il Celebrante per ricevere la Comunione. Nella sostanza, anche oggi, nulla è stato modificato della Santa Messa che si celebrava fin dai primi secoli.

- Licenziamento dell'Assemblea, dopo aver fatto ulteriori Preghiere con voce bassa, il Sacerdote avvia il rito di conclusione, si congeda dal popolo con le parole: Ite Missa est / Andate, la Messa è finita, e il popolo risponde: Deo gratias, ossia, rendiamo grazie a Dio, colla Benedizione il Celebrante scioglie l'assemblea affidando ad essa la missione di annunciare alle genti quanto hanno ricevuto.

Si conclude il Rito con la Lettura dell'ultimo Vangelo ch'è d'ordinario il principio del Vangelo di San Giovanni, che tratta dell'Incarnazione del Verbo con cui incominciò il Sacrificio di Gesù Cristo Nostro Signore.

 



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Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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17/02/2012 11:14
 
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Mons. Athanasius Schneider, La nuova evangelizzazione e la Santa Liturgia. Le cinque piaghe del corpo mistico e liturgico

Quel che la Chiesa ha sempre insegnato e che il nostro cuore desidera.

4° Incontro per l'Unità Cattolica - 15 gennaio 2012

Intervento di Monsignor Athanasius Schneider
Vescovo ausiliare dell’arcidiocesi di Santa Maria d’Astana,
Segretario della Conferenza dei vescovi cattolici del Kazakhstan



Per parlare correttamente della nuova evangelizzazione è indispensabile portare innanzitutto il nostro sguardo su Colui che è il vero evangelizzatore, Nostro Signore Gesù-Cristo il Salvatore, il Verbo di Dio fatto uomo. Il figlio di Dio è venuto su questa terra per espiare e riscattare il più grande peccato, il peccato per eccellenza. E questo peccato per eccellenza dell'umanità consiste nel rifiuto di adorare Dio, nel rifiuto di riservargli il primo posto, il posto d'onore. Questo peccato degli uomini consiste nel fatto che non si presta attenzione a Dio, nel fatto che non si possiede più il senso delle cose, nel fatto che non si vuol vedere Dio, nel fatto che non ci si vuole inginocchiare davanti a Dio.

Di fronte ad un simile atteggiamento, l'incarnazione di Dio è imbarazzante, ugualmente e di riflesso imbarazzante è la presenza reale di Dio nel mistero eucaristico, imbarazzante la centralità della presenza eucaristica di Dio nelle chiese. L'uomo peccatore vuole in effetti mettersi al centro, tanto all'interno della Chiesa che al di fuori della celebrazione eucaristica, vuole esser visto, vuol farsi notare.

È la ragione per cui Gesù eucaristia, Dio incarnato, presente nei tabernacoli sotto la forma eucaristica, si preferisce piazzarLo di lato. Anche la rappresentazione del Crocifisso sulla croce in mezzo all'altare al momento della celebrazione di fronte al popolo è imbarazzante, perché il viso del prete se ne troverebbe nascosto. Dunque l'immagine del Crocifisso al centro come pure Gesù eucaristia nel tabernacolo similmente al centro dell'altare, sono imbarazzanti. Conseguentemente la croce e il tabernacolo sono piazzati di lato. Durante la celebrazione, chi assiste deve poter osservare in permanenza il viso del prete, di colui a cui piace mettersi letteralmente al centro della casa di Dio. E se per sbaglio Gesù eucaristia è quanto meno lasciato nel suo tabernacolo al centro dell'altare, perché il ministero dei beni culturali persino sotto un regime ateo, ha vietato di spostarlo per ragioni di conservazione del patrimonio artistico, il prete, spesso durante tutta la celebrazione liturgica, gli gira senza scrupolo le spalle.

Quante volte bravi fedeli adoratori del Cristo, nella loro semplicità ed umiltà, avranno esclamato : « Benedetti voi, Monumenti storici! Per lo meno voi ci avete lasciato Gesù al centro della nostra Chiesa. »
È solo a partire dall'adorazione e dalla glorificazione di Dio che la Chiesa può annunciare in maniera adeguata la parola di verità, cioè evangelizzare. Prima che il mondo ascoltasse Gesù, il Verbo eterno fattosi carne, predicare e annunciare il regno, Gesù ha taciuto e ha adorato per trent'anni. Ciò resta per sempre la legge per la vita e l'azione della Chiesa così come di tutti gli evangelizzatori. « È dal modo di curare la liturgia che si decide la sorte della Fede e della Chiesa », ha detto il cardinal Ratzinger, nostro attuale Santo Padre e Papa Benedetto XVI. Il concilio Vaticano II voleva richiamare alla chiesa la realtà e l'azione che dovevano prendere il primo posto nella sua vita. È ben per questo che il primo documento conciliare è dedicato alla liturgia. In esso il concilio ci dà i seguenti principi: Nella Chiesa e da qui nella liturgia, l'umano deve orientarsi al divino ed essergli subordinato, ed anche ciò che è visibile in rapporto all'invisibile, l'azione in rapporto alla contemplazione, e il presente in rapporto alla città futura, alla quale aspiriamo (cf. Sacrosanctum Concilium, 2). La nostra liturgia terrestre partecipa, secondo l'insegnamento del Vaticano II, al pregustare la liturgia celeste della città Santa, Gerusalemme (cf. idem, 2)

Per questo, tutto nella liturgia della Santa Messa deve servire ad esprimere in maniera più netta la realtà del sacrificio di Cristo, cioè le preghiere di adorazione, di ringraziamento, d'espiazione, che l'eterno Sommo-Sacerdote ha presentato al Padre Suo.

Il rito e tutti i dettagli del Santo Sacrificio della Messa devono incardinarsi nella glorificazione e nell'adorazione di Dio, insistendo sulla centralità della presenza del Cristo, sia nel segno e nella rappresentazione del Crocifisso, che nella Sua presenza eucaristica nel tabernacolo, e soprattutto al momento della consacrazione e della santa comunione. Più ciò è rispettato, meno l'uomo di pone al centro della celebrazione, meno la celebrazione somiglia ad un circolo chiuso, ma è aperta anche in maniera esteriore sul Cristo, come una processione che si dirige verso di lui col prete in testa, più una tale celebrazione liturgica rifletterà in modo fedele il sacrificio d'adorazione del Cristo in croce, più ricchi saranno i frutti provenienti dalla glorificazione di Dio che i partecipanti riceveranno nelle loro anime, più il Signore li onorerà.

Più il sacerdote e i fedeli cercheranno in verità durante le celebrazioni eucaristiche la gloria di Dio e non la gloria degli uomini, e non cercheranno di ricevere la gloria gli uni dagli altri, più Dio li onorerà lasciando partecipare la loro anima in maniera più intensa e più feconda alla Gloria e all'Onore della Sua vita divina. Nel momento attuale e in diversi luoghi della terra, sono numerose le celebrazioni della Santa Messa delle quali si potrebbero dire le seguenti parole, inversamente alle parole del Salmo 113,9: « A noi, o Signore, e al nostro nome dai gloria » ed inoltre a proposito di tali celebrazioni si applicano le parole di Gesù : « Come potete credere, voi che ricevete la vostra gloria gli uni dagli altri, e non cercate la gloria che viene da Dio solo ? » (Giovanni 5, 44).

Il Concilio Vaticano II ha emesso, riguardo ad una riforma liturgica, i seguenti principi:
  1. Durante la celebrazione liturgica, l'umano, il temporale, l'attività, devono orientarsi al divino, all'eterno, alla contemplazione e avere un ruolo subordinato in rapporto a questi ultimi (cf. Sacrosanctum Concilium, 2).
  2. Durante la celebrazione liturgica, si dovrà incoraggiare la presa di coscienza che la litrugia terrestre partecipa della liturgia celeste (cf. Sacrosanctum Concilium, 8).
  3. Non deve esserci alcuna innovazione, dunque alcuna nuova creazione di riti liturgici, soprattutto nel rito della messa, tranne se ciò è per un frutto vero e certo in favore della Chiesa, e a condizione che si proceda con prudenza sul fatto che eventuali forme nuove sostituiscano in maniera organica le forme esistenti (cf. Sacrosanctum Concilium, 23).
  4. I riti della Messa devono esser tali che il sacro sia espresso più esplicitamente (cf. Sacrosanctum Concilium, 21).
  5. Il latino deve essere conservato nella liturgia e soprattutto nella Santa Messa (cf. Sacrosanctum Concilium, 36 e 54).
  6. Il canto gregoriano ha il primo posto nella liturgia (cf. Sacrosanctum Concilium, 116).
I padri conciliari vedevano le loro proposizioni di riforma come la continuazione della riforma di S. Pio X (cf. Sacrosanctum Concilium, 112 e 117) e del servo di Dio, Pio XII, e in effetti, nella costituzione liturgica, la più citata è l'enciclica Mediator Dei di papa Pio XII.

Papa Pio XII ha lasciato alla Chiesa, tra gli altri, un principio importante della dottrina sulla Santa liturgia, e ciè la condanna di ciò che chiama archeologismo liturgico, le cui proposizioni coincidevano largamente con quelle del sinodi giansenista e protestantizzante di Pistoia del 1976 (cf. « Mediator Dei », n° 63-64) e che di fatto richiamano le idee teologiche di Martin Lutero.
Perciò già il Concilio di Trento ha condannato le idee liturgiche protestanti, specialmente l''esagerata accentuazione di banchetto nella celebrazione eucaristica a detrimento del carattere sacrificale, la soppressione dei segni univoci della sacralità in quanto espressione del mistero della liturgia (cf. Concilio di Trento, sessio XXII).

Le dichiarazioni liturgiche dottrinali del magistero, come nel caso del Concilio di Trento e dell'enciclica Mediator Dei, che si riflettono in una prassi liturgica secolare, anzi da più di un millennio, costante e universale, queste dichiarazioni dunque, fanno parte di quell'elemento della santa tradizione che non si può abbandonare senza incorrere in grandi danni sul piano spirituale. Queste dichiarazioni dottrinali sulla liturgia, il Vaticano II le ha riprese, come può constatarsi leggendo i principi generali del conto divino nella costituzione liturgica Sacrosanctum Concilium.

Come errore concreto nel pensiero e nell'azione dell'archeologismo liturgico, il papa Pio XII cita la proposizione di dare all'altare la forma di una tavola (cf. Mediator Dei n° 62). Se già papa Pio XII rifiutava l'altare a forma di tavola, si immagini come avrebbe a fortiori rifiutato la proposizione di una celebrazione come intorno ad una tavola « versus populum » !
Se la Sacrosanctum Concilium al n° 2 insegna che, nella liturgia, la contemplazione deve avere la priorità e che tutta la celebrazione della messa deve essere orientata verso i misteri celesti (cf. idem n° 2 et n° 8), vi si trova un'eco fedele della seguente dichiarazione di Trento che diceva: « E perché la natura umana è tale, che non facilmente viene tratta alla meditazione delle cose divine senza piccoli accorgimenti esteriori, per questa ragione la chiesa, pia madre, ha stabilito alcuni riti, che cioè, qualche tratto nella messa, sia pronunziato a voce bassa, qualche altro a voce più alta. Ha stabilito, similmente, delle cerimonie, come le benedizioni mistiche; usa i lumi, gli incensi, le vesti e molti altri elementi trasmessi dall’insegnamento e dalla tradizione apostolica, con cui venga messa in evidenza la maestà di un sacrificio così grande, e le menti dei fedeli siano attratte da questi segni visibili della religione e della pietà, alla contemplazione delle altissime cose, che sono nascoste in questo sacrificio.» (sessio XXII, cap. 5).

I citati insegnamenti del magistero della Chiesa e soprattutto quello di Mediator Dei sono stati riconosciuti senza alcun dubbio anche dai padri conciliari come pienamente validi; di conseguenza essi devono continuare ancor oggi ad essere pienamente validi per tutti i figli della Chiesa.
Nella lettera indirizzata ai vescovi della Chiesa cattolica unita al Motu proprio Summorum Pontificum del 7 luglio 2007, il papa fa questa dichiarazione importante: « Nella storia della Liturgia c’è crescita e progresso, ma nessuna rottura. Ciò che per le generazioni anteriori era sacro, anche per noi resta sacro e grande, e non può essere improvvisamente del tutto proibito o, addirittura, giudicato dannoso ». Dicendo questo, il papa esprime il principio fondamentale della liturgia che il Concilio di Trento e papa Pio XII hanno insegnato.

Se si guarda senza idee preconcette e in maniera obbiettiva la pratica liturgica della stragrande maggioranza delle chiese in tutto il mondo cattolico nel quale è in uso la forma ordinaria del rito romano, nessuno può negare in tutta onestà che i sei principi liturgici menzionati dal Concilio Vaticano II sono rispettati poco o niente addirittura. Ci sono un certo numero di aspetti concreti nell'attuale pratica liturgica dominante, nel rito ordinario, che rappresentano una vera e propria rottura con una pratica religiosa costante da oltre un millennio. Si tratta dei cinque usi liturgici seguenti che si possono considerare come le cinque piaghe del corpo mistico liturgico del Cristo. Si tratta di piaghe, perché rappresentano una violenta rottura col passato, perché mettono apertamente meno l'accento sul carattere sacrificale che è quello centrale ed essenziale della messa, mettono avanti il banchetto; tutto ciò diminuisce i segni esteriori dell'adorazione divina, perché esse mettono meno in rilievo il carattere del mistero in ciò che ha di celeste ed eterno.

In ordine a queste cinque piaghe, si tratta di quelle che - ad eccezione di una (le nuove preghiere dell'offertorio) - non sono previste nella forma ordinaria del rito della messa, ma sono state introdotte in modo deplorevole dalla pratica.

La prima piaga, la più evidente, è la celebrazione del sacrificio della messa in cui il prete celebra volto verso i fedeli, specialmente durante la preghiera eucaristica e la consacrazione, il momento più alto e più sacro dell'adorazione dovuta a Dio. Questa froma esteriore corrisponde per sua natura più al modo in cui ci si comporta quando si condivide un pasto. Ci si trova in presenza di un circolo chiuso. E questa forma non è assolutamente conforme al momento della preghiera ed ancor meno a quello dell'adorazione. Ora questa forma, il concilio Vaticano II non l'ha auspicata affatto e non è mai stata raccomandata dal magistero dei papi postoconciliari. Papa Benedetto XVI nella sua prefazione al primo tomo della sua OperaOmnia scrive: « l’idea che sacerdote e popolo nella preghiera dovrebbero guardarsi reciprocamente è nata solo nella cristianità moderna ed è completamente estranea in quella antica. Sacerdote e popolo certamente non pregano uno verso l’altro, ma verso l’unico Signore. Quindi guardano nella preghiera nella stessa direzione: o verso Oriente come simbolo cosmico per il Signore che viene, o, dove questo non fosse possibile, verso una immagine di Cristo nell’abside, verso una croce, o semplicemente verso il cielo, come il Signore ha fatto nella preghiera sacerdotale la sera prima della sua Passione (Giovanni 17, 1). Intanto si sta facendo strada sempre di più, fortunatamente, la proposta da me fatta alla fine del capitolo in questione nella mia opera: non procedere a nuove trasformazioni, ma porre semplicemente la croce al centro dell’altare, verso la quale possano guardare insieme sacerdote e fedeli, per lasciarsi guidare in tal modo verso il Signore, che tutti insieme preghiamo. ».

La forma di celebrazione in cui tutti portano il loro sguardo nella stessa direzione (conversi ad orientem, ad Crucem, ad Dominum) è anche evocata dalle rubriche del nuovo rito della messa (cf. Ordo Missae, n. 25, n. 133 et n. 134). La celebrazione che si dice « versus populum » certamente non corrisponde all'idea della Santa Liturgia tal quale è menzionata nelle dichiarazioni di Sacrosanctum Concilium n°2 et n° 8.

La seconda piaga è la comunione sulla mano diffusa dappertutto nel mondo. Non soltanto questa modalità di ricevere la comunione non è stata in alcun modo evocata dai Padri conciliari del Vaticano II, ma apertamente introdotta da un certo numero di vescovi in disobbedienza verso la Santa Sede e nel disprezzo del voto negativo nel 1968 della maggioranza del corpo episcopale. Solo successivamente papa Paolo VI l'ha legittimata controvoglia, a condizioni particolari.

Papa Benedetto XVI, dopo la Festa del Corpus Domini 2008, non distribuisce più la comunione che a fedeli in ginocchio e sulla lingua, e ciò non soltanto a Roma, ma anche in tutte le chiese locali alle quali rende visita. Attraverso ciò egli donò all'intera Chiesa un chiaro esempio di magistero pratico in materia liturgica. Se la maggioranza qualificata del corpo episcopale, tre anni dopo il concilio, ha rifiutato la comunione nella mano come qualcosa di nocivo, quanti più Padri conciliari l'avrebbero fatto ugualmente!

La terza piaga, sono le nuove preghiere dell'offertorio. Esse sono una creazione interamente nuova e non sono mai state usate nella Chiesa. Esse esprimono meno l'evocazione del mistero del sacrificio della croce che quella di un banchetto, richiamando le preghiere del pasto ebraico del sabato. Nella tradizione più che millenaria della Chiesa d'Occidente e d'Oriente, le preghiere dell'offertorio sono sempre state espressamente incardinate al sacrificio della croce (cf. p. es. Paul Tirot, Storia delle preghiere d'offertorio nella liturgia romana dal VII al XVI secolo, Roma 1985). Una tale creazione assolutamente nuova è senza nessun dubbio in contraddizione con la formulazione chiara del Vaticano II che richiama « Innovationes ne fiant … novae formae ex formis iam exstantibus organice crescant » (Sacrosanctum Concilium, 23).

La quarta piaga è la sparizione totale del latino nell'immensa maggioranza delle celebrazioni eucaristiche della forma ordinaria nella totalità die paesi cattolici. È una infrazione diretta contro le decisioni del Vaticano II.

La quinta piaga è l'esercizio dei sevizi liturgici di lettori e di accoliti donne, così come l'esercizio degli stessi servizi in abito civile penetrando nel coro durante la Santa Messa direttamente oltre lo spazio riservato ai fedeli. Quest'abitudine non è giammai esistita nella Chiesa, o per lo meno non è mai stata la benvenuta. Essa conferisce alla messa cattolica il carattere esteriore di qualcosa di informale, il carattere e lo stile di un'assemblea piuttosto profana. Il secondo concilio di Nicea vietava già, nel 787, tali pratiche, redigendo questo canone: « Se qualcuno non è ordinato, non gli è permesso fare la lettura dall'ambone durante la santa liturgia », (can. 14). Questa norma è stata costantemente rispettata nella Chiesa. Solo i suddiaconi o i lettori avevano il diritto fare la lettura durante la liturgia della Messa. Al posto dei lettori e accoliti mancanti, sono uomini o ragazzi in veste liturgica che possono farlo, e non donne, essendo un dato di fatto che il sesso maschile sul piano sacramentale dell'ordinazione non sacramentale dei lettori ed accoliti, rappresenta simbolicamente il primo legame con gli ordini minori.

Nei testi del Vaticano II, non è fatta alcuna menzione della soppressione degli ordini minori e del suddiaconato, né dell'introduzione di nuovi ministeri. Nella Sacrosanctum Concilium n° 28, il concilio fa la differenza tra « minister » e « fidelis » durante la celebrazione liturgica, e sancisce che l'uno e l'altro hanno diritto di fare ciò che loro spetta in ragione della natura della liturgia. Il n° 29 meziona i « ministrantes », cià gli addetti al servizio dell'altare che non hanno ricevuto alcuna ordinazione. In opposizione a costoro ci sarebbero, scondo i termini giuridici dell'epoca, i « ministri », cioè coloro che hanno ricevuto un ordine maggiore o minore che sia.

Con il Motu proprio Summorum Pontificum, Papa Benedetto XVI afferma che entrambe le forme del Rito romano sono da guardare e trattare con lo stesso rispetto, perché la Chiesa rimane la stessa prima e dopo il Concilio. Nella lettera che accompagna il Motu proprio, il Papa auspica che le due forme si arricchiscano reciprocamente. Inoltre, auspica che nella nuova forma "appaia, più di quanto non sia avvenuto finora, il senso del sacro che attira molte persone verso il vecchio rito."

Le quattro ferite liturgiche o usi infelici (celebrazione versus populum, comunione nella mano, totale abbandono del latino e del canto gregoriano e l'intervento delle donne per il servizio di lettura e quello di accolito) non hanno di per sé nulla a che fare con la forma ordinaria della Messa e sono inoltre in contraddizione con i principi liturgici del Vaticano II. Se si ponesse fine a questi usi, si ritornerebbe al vero insegnamento del Vaticano II. E allora le due forme del Rito romano si avvicinerebbero enormemente così che, almeno esternamente, non si dovrebbe constatare una rottura fra di loro e, quindi, nessuna rottura tra la Chiesa di prima del Concilio e quella del dopo.

Per quel che riguarda le nuove preghiere dell'Offertorio, sarebbe auspicabile che la Santa Sede le sostituisca con le preghiere corrispondenti della forma straordinaria o almeno che permetta il loro uso ad libitum. Così, non è solo esteriormente, ma interiormente, che la rottura tra le due forme sarebbe evitata. La rottura nella liturgia, è appunto quel che la maggior parte dei padri conciliari non ha voluto ; lo testimoniano gli atti del Concilio, perché in duemila anni di storia della liturgia nella Santa Chiesa, non c'era mai stata rottura liturgica e, pertanto, non deve mai essercene. Invece ci deve essere una continuità come deve essere per il Magistero.
È per questo che c'è bisogno oggi di nuovi Santi, di una o più Santa Caterina da Siena. Abbiamo bisogno della "vox populi fidelis" che reclama la soppressione di questa rottura liturgica. Ma il tragico della storia, è che oggi, come al momento dell'esilio di Avignone, una larga maggioranza del clero, soprattutto del clero alto, si accontenta di questo esilio, di questa rottura.

Prima che possiamo aspettarci frutti efficaci e duraturi dalla nuova evangelizzazione, deve innanzitutto instaurarsi un processo di conversione all'interno della Chiesa. Come si può chiamare gli altri a convertirsi fino a quando, tra chi la reclama, nessuna conversione convincente a Dio non è ancora avvenuta perché, nella liturgia, non sono sufficientemente rivolti a Dio, sia interiormente che esteriormente. Si celebra il sacrificio della Messa, il sacrificio di adorazione di Cristo, il più grande mistero della fede, l'atto di adorazione più sublime in un cerchio chiuso, guardandosi a vicenda.

Manca la necessaria "conversio ad Dominum", anche esternamente, fisicamente. Perché durante la liturgia si tratta Cristo come se non fosse Dio e non Gli si mostrano i segni esterni chiari di un'adorazione dovuta a Dio solo, non solo nel fatto che i fedeli ricevono la Santa Comunione in piedi ma che la prendono nelle loro mani come un cibo ordinario, prendendolo e mettendolo loro stessi in bocca . C'è il pericolo di una sorta di arianesimo o un semi-arianesimo eucaristico.

Una delle condizioni necessarie per una fruttuosa nuova evangelizzazione sarebbe la testimonianza di tutta la Chiesa sul piano del culto liturgico pubblico, osservando almeno questi due aspetti del culto divino, vale a dire:
  1. Che su tutta la terra la Santa Messa sia celebrata, anche nella forma ordinaria, nella "conversio ad Dominum", interiormente e necessariamente anche esternamente.
  2. Che i fedeli pieghino il ginocchio davanti a Cristo al momento della Santa Comunione, come San Paolo lo domanda, evocando il nome e la persona di Cristo (cfr. Phil 2, 10) e che Lo ricevano con il più grande amore e il massimo rispetto possibile, come è suo diritto in quanto Vero Dio.
Dio sia lodato, Papa Benedetto ha iniziato, con due misure concrete, il processo di ritorno dall'esilio avignonese liturgico, attraverso il Motu proprio Summorum Pontificum e la reintroduzione del rito tradizionale per la comunione.

C'è ancora molto bisogno di preghiera e forse di una nuova Santa Caterina da Siena perché seguano gli altri passi, in modo da guarire le cinque piaghe sul corpo liturgico e mistico della Chiesa e perché Dio sia venerato nella liturgia con lo stesso amore, rispetto, senso del sublime che hanno sempre rappresentato la realtà della Chiesa e del suo insegnamento, specialmente attraverso il concilio di Trento, papa Pio XII nella sua enciclica Mediator Dei, il concilio Vaticano II nella sua costituzione Sacrosanctum Concilium e papa Benedetto XVI nella sua teologia e liturgia, nel suo magistero liturgico pratico e nel Motu proprio citato.

Nessuno può evangelizzare se non ha prima adorato, e parimenti se non adora in permanenza e non dà a Dio, il Cristo Eucaristia, la vera priorità nella maniera di celebrare e in tutta la sua vita. In aeffetti, per riprendere le parole del card Joseph Ratzinger : « È nel modo di trattare la Liturgia che si decide la sorte della Fede e della Chiesa ».
_________________________

[Fonte: Réunicatho] - Traduzione dall'originale francese di Maria Guarini
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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26/02/2012 21:49
 
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[SM=g1740733]IL CATECHISMO ROMANO E LA CATECHESI PER L'OGGI quando l'allora card. Ratzinger insegnava sulla fede, ma pochi lo ascoltavano....




Trasmissione della fede e fonti della fede

 
Il 15 e il 16 gennaio di quest'anno, rispettivamente a Lione e a Parigi, nelle chiese di Notre-Dame delle due città di Francia, il prefetto della Sacra Congregazione per la Dottrina della Fede, cardinale Joseph Ratzinger, arcivescovo già di Monaco di Baviera e di Frisinga, ha tenuto una importante conferenza.

Affrontando lo scottante tema della catechesi e, quindi, dei catechismi, l'autorevole porporato, già professore di teologia, ha illustrato possibili cause della crisi che travaglia anche questo fondamentale settore della vita ecclesiale, analizzando i rapporti tra catechesi, Bibbia e dogma. Quindi, dopo avere definito la fede e le sue fonti, ha messo in risalto, nella prospettiva di un superamento di tale crisi, le strutture della catechesi, richiamandosi come a modello al Catechismo Tridentino, pubblicato da san Pio V per decreto del Concilio di Trento, e definendolo " il più importante catechismo cattolico".
Non è necessario essere "addetti ai lavori" per cogliere la portata dell'intervento: basta conoscere la relazione che corre tra l'opera di san Tommaso di Aquino e il Catechismo Tridentino, e tra questo e i diversi catechismi pubblicati per ordine di san Pio X.
Perciò, come era facilmente prevedibile, la conferenza ha suscitato e sta suscitando in Francia polemiche violente e accanite, al punto che si e parlato, a suo proposito, di una "operazione di polizia", di "cattivo servizio" e di opera di distruzione (cfr. ADIST A, anno XVII, nn. 2604-2605-2606,. 21/22/23-3-1983, p. 15). A informazione e a edificazione dei cattolici italiani, non insensibili ai gravi problemi della catechesi anche nel nostro paese, presentiamo il testo, cui appartengono sia il titolo - Transmission de la Foi et sources de la Foi - che i sottotitoli, in una traduzione dell'originale francese fatta dalla rivista Cristianità -
http://www.alleanzacattolica.org/indici/cr_indici_5.htm - nel 1983.

 ********************

Con le ultime parole rivolte ai suoi apostoli, il Signore diede loro l'incarico di andare in tutto il mondo per farvi dei discepoli (Mt. 28,19 ss.; Lc. 16,15; Atti 1,7). Fa parte della essenza della fede il richiedere di essere trasmessa: e la interiorizzazione di un messaggio, che si rivolge a tutti perché é la verità, e l'uomo non può essere salvato senza la verità (1 Tim. 2,4). Per questo la catechesi e la trasmissione della fede sono state, fino dalle origini, una funzione vitale per la Chiesa, e tali devono restare fin tanto che la Chiesa durerà.
 
 
 
Parte prima.
La crisi della catechesi e il problema delle fonti
 
1. Caratteristiche generali della crisi

 
Le difficoltà attuali della catechesi sono un luogo comune che non è necessario provare nei particolari. Le cause della crisi e le sue conseguenze sono state descritte spesso e abbondantemente (Cfr. Conferenza Episcopale Francese, La catéchèse des enfants. Texte de reference, Le Centurion, Parigi 1980, pp. 11-26; Sinodo Generale delle diocesi della Germania Federale, edizione ufficiale, I).

Nel mondo della tecnica, che é una creazione dell'uomo stesso, non si incontra anzitutto il Creatore, ma l'uomo incontra sempre se stesso. La sua struttura fondamentale consiste nell'essere "fattibile", il mondo delle sue certezze e il calcolabile. Per questo motivo il problema della salvezza non si pone in funzione di Dio, che non compare da nessuna parte, ma in funzione del potere dell'uomo, che vuole diventare costruttore di se stesso e della sua storia.
 
L'uomo non cerca più, dunque, i criteri della sua morale in un discorso sulla creazione o sul Creatore, che gli sono diventati sconosciuti. La creazione non ha più, per lui, risonanze morali; essa gli parla solamente il linguaggio matematico della sua utilità tecnica, a meno che non protesti contro le violenze che fa a essa subire. Anche allora l'appello morale che la creazione così gli rivolge, resta indeterminato: in definitiva, la morale si identifica, in un modo o nell'altro, con la sociabilità, quella dell'uomo verso se stesso e quella dell'uomo con il suo ambiente. Da questo punta di vista, anche la morale è diventata una questione di calcolo delle migliori condizioni di sviluppo del futuro. La società ne è stata mutata profondamente: la famiglia, che è la cellula portante della cultura cristiana, sembra essere, il più delle volte, in via di dissoluzione. Quando i legami metafisici non contano più, essa non può essere conservata, per lungo tempo, da altre specie di legami.

Questa nuova visione del mondo, da una parte si riflette nei mass media, dall'altra si nutre di essi. La rappresentazione del mondo e degli avvenimenti da parte dei mass media oggi segna la coscienza, più di quanto non lo faccia l'esperienza personale della realtà. Tutto ciò influisce sulla catechesi, che vede spezzati i classici sostegni della società cristiana, senza, peraltro, potersi appoggiare sull'esperienza vissuta della fede in una Chiesa vivente: in un tempo in cui il linguaggio e la coscienza si nutrono solo con la esperienza di un mondo che si vuole creatore di se stesso, la fede sembra condannata al mutismo.
 
Negli ultimi decenni la teologia pratica si è consacrata con energia a questi problemi per tracciare alla trasmissione della fede vie nuove e meglio adattate a questa situazione. Certo molti, nel frattempo, sono arrivati a convincersi che questi sforzi hanno contribuito più ad aggravare che a risolvere la crisi. Sarebbe ingiusto generalizzare questa affermazione, ma sarebbe anche falso negarla puramente e semplicemente. Un primo grave errore fu quello di sopprimere il catechismo e di dichiarare "sorpassato" il genere stesso del catechismo. Certo, il catechismo come libro è divenuto comune soltanto al tempo della Riforma; ma la trasmissione della fede, come struttura fondamentale nata dalla logica della fede, è vecchia quanto il catecumenato, cioè quanto la Chiesa stessa. Essa scaturisce dalla natura stessa della sua missione e, dunque, non si può rinunciarvi. La rottura con una trasmissione della fede come struttura fondamentale, attinta alle fonti di una tradizione totale, ha avuto come conseguenza la frammentazione della proclamazione della fede. Questa fu non solo lasciata in balìa dell'arbitrio nella sua esposizione, ma anche rimessa in discussione in alcune sue parti, che appartengono a un tutto e che, staccate da esso, appaiono sconnesse.
 
Cosa vi era dietro questa decisione errata, affrettata e universale? Le ragioni sono molteplici e fino a ora poco esaminate. Inizialmente essa è, con certezza, da mettere in rapporto con la evoluzione generale dell'insegnamento e della pedagogia, caratterizzata da una ipertrofia del metodo rispetto al contenuto delle diverse discipline. I metodi diventano i criteri del contenuto e non più i veicoli di esso. L'offerta si regola sulla domanda: è così che sono tracciate le vie della nuova catechesi nella disputa sul catechismo olandese (Cfr. JOSEPH RATZINGER, Dogma und Verkiindigung, Erich Wewel, Monaco di Baviera 1973, p. 70). Bisogna così limitarsi alle questioni per principianti, invece di cercare le vie che avrebbero permesso di superarle e di arrivare a ciò che inizialmente era, non compreso, unico metodo che modifica positivamente l'uomo e il mondo. Così, il potenziale di cambiamento proprio della fede fu paralizzato. Infatti la teologia pratica non era più intesa come uno sviluppo concreto della teologia dogmatica o sistematica, ma come un valore in se. Ciò corrispondeva, di nuovo, alla tendenza attuale a subordinare la verità alla prassi, che, nel contesto delle filosofie neo-marxistiche e positivistiche, ha fatto breccia anche in teologia (cfr. IDEM, Theologische Prinzipienlehre, Monaco di Baviera 1982).

Tutti questi fatti contribuirono a impoverire considerevolmente l’antropologia: precedenza del metodo sul contenuto significa predominanza dell'antropologia sulla teologia, di modo che questa dovette trovarsi un posto nel contesto di un antropocentrismo radicale. Il declino dell'antropologia fece apparire, a sua volta, nuovi centri di gravità: regno della sociologia, o, ancora, primato della esperienza, come nuovi criteri di comprensione della fede tradizionale.
 
Dietro a queste cause e ad altre ancora, che si possono trovare nel rifiuto del catechismo e nel crollo della catechesi classica, vi è, tuttavia, un processo più profondo. Il fatto di non avere più il coraggio di presentare la fede come un tutto organico in se stesso, ma solamente come riflessi scelti di esperienze antropologiche parziali, si fondava, in ultima analisi, su una certa diffidenza nei riguardi della totalità. Esso si spiega con una crisi della fede, meglio: della fede comune alla Chiesa di tutti tempi e risultava che la catechesi ometteva generalmente il dogma e tentava di ricostruire la fede direttamente a partire dalla Bibbia. Ora, il dogma non è niente altro, per definizione, che interpretazione della Scrittura, ma questa interpretazione, nata dalla fede dei secoli, non sembrava più potersi accordare con la comprensione dei testi, a cui il metodo storico aveva nel frattempo condotto. In questo modo, coesistevano due forme di interpretazione apparentemente irriducibili: la interpretazione storica e quella dogmatica.
 
Ma quest'ultima, secondo le concezioni contemporanee, poteva essere considerata solo come una tappa prescientifica della nuova interpretazione. Così, sembrava difficile riconoscere a essa un posto proprio. Laddove la certezza scientifica è considerata la sola forma valida, perfino la sola possibile, della certezza, quella del dogma doveva sembrare o come una tappa sorpassata di un pensiero arcaico, oppure come la espressione della volontà di potenza di istituzioni sopravviventi. Essa deve allora essere valutata secondo la misura dell'esegesi scientifica e può, al massimo, confermare le dichiarazioni di questa ultima; essa non può più pretendere di giudicarla in ultima istanza.
 
2. Catechesi, Bibbia e dogma
 
Eccoci arrivati al punto centrale del nostro tema, al problema del posto occupato dalle "fonti" nel processo di trasmissione della fede. Una catechesi che sviluppava, per così dire, la fede direttamente a partire dalla Bibbia, senza passare attraverso il dogma, poteva pretendere di essere una catechesi dedotta specificamente dalle fonti. Ma allora emerse un fenomeno curioso. L'effetto di freschezza, all'inizio provocato dal contatto diretto con la Bibbia, non fu durevole. Certo, all'inizio ne risultò molta fecondità, bellezza e ricchezza nella trasmissione della fede. Si sentiva "l'odore della terra di Palestina", si riviveva il dramma umano nel quale la Bibbia è nata. Vi fu così, più verità umana e concreta. Ben presto, però, apparve l’ambiguità del progetto, che J. A. Mohler aveva descritto in modo classico centocinquanta anni fa. Ciò che la Bibbia apporta in fatto di bellezza, di immediatezza, a cui non si può rinunciare, e così descritto: "Senza la Scrittura, la forma propria delle parole di Gesù ci resterebbe nascosta, noi non sapremmo come parlava il Figlio dell'uomo e credo che non mi piacerebbe più continuare a vivere se non la sentissi più".
 
Ma Mohler sottolinea subito il motivo per cui la Scrittura non può essere separata dalla comunità vivente, nella quale soltanto può essere "la Scrittura", quando continua dicendo: "Solo che, senza la tradizione, noi non sapremmo chi parlava allora, ne ciò che annunciava, e anche la gioia che proviene da questo modo di parlare svanirebbe" (J. A. MOHLER, L'unite dans l'Eglise, trad. francese, Parigi 1938, p.52).
 
Nel libro che Albert Schweitzer consacrò alla storiografia delle ricerche sulla vita di Gesù, si trova descritta, da tutt'altro punto di vista, la stessa evoluzione di una catechesi legata unicamente allo studio letterario delle fonti: "Ciò che è capitato alla ricerca sulla vita di Gesù è singolare. Essa è partita alla ricerca del Gesù della storia, e credette di poterlo ricollocare nel nostro tempo così come era, come Maestro e Salvatore. Essa disfece i legami che, da secoli, la univano alla roccia dell'insegnamento della Chiesa, e si rallegrava vedendo la sua figura riprendere vita e movimento, e il Gesù storico venire incontro. Ma ecco, esso non si arrestò, passò di fianco al nostro tempo e ritornò verso il suo" (cit. in W. G. KOMMEL, Das Neue Testament, Geschichte der Erforschung seiner Probleme, Friburgo in Brisgovia 1958, p. 305).

In realtà questo processo, di cui, circa un secolo fa, Schweitzer aveva creduto di avere arrestato l'evoluzione teologica, si ripete sempre in un modo nuovo e con svariati cambiamenti nella moderna catechesi. Infatti, i documenti che si sono voluti leggere senza alcun altro intermediario oltre al metodo storico, per ciò stesso si allontanarono alla distanza che li separa dal fatto storico. Una esegesi che non vive e non comprende più la Bibbia con l'organismo vivente della Chiesa diventa archeologia: un museo di cose passate.
 
Concretamente, ciò si verifica anzitutto nel fatto che la Bibbia si disgrega come Bibbia, per non essere niente altro che una collezione di libri eterogenei. Di qui la domanda: come assimilare questa letteratura, e secondo quali criteri scegliere i testi con i quali bisogna costruire la catechesi? La rapidità con cui si è realizzata questa evoluzione si vede, per esempio, in questa proposta fatta recentemente in Germania, in una lettera di un lettore a una rivista: stampare, nelle nuove edizioni della Bibbia, in caratteri piccoli ciò che è superato, e mettere invece in evidenza ciò che resta valido. Ma che cosa è valido? Che cosa è superato? In fin dei conti, è il gusto a decidere, e la Bibbia potrà tutt'al più servire a secondare la nostra decisione.
 
Ma la Bibbia si disgrega anche in un altro modo. Cercando l'elemento primitivo, giudicato sicuro e affidabile, ci si scontra con le fonti più antiche ricostruite a partire dalla Bibbia, che si pensa in definitiva essere più importanti de "la fonte". Una madre tedesca mi raccontò, un giorno, che suo figlio, che frequentava la scuola media, era in procinto di essere iniziato alla cristologia della presunta fonte dei "logia del Signore"; ma dei sette sacramenti, degli articoli del Credo, egli non sospettava ancora neppure la esistenza. L'aneddoto vuole dire questo: con il criterio dello strato letterario più antico come testimonianza storica più sicura, la vera Bibbia spariva a vantaggio di una Bibbia ricostruita, a vantaggio di una Bibbia come dovrebbe essere. Lo stesso succede di Gesù. Quello dei Vangeli è considerato come un Cristo notevolmente rimaneggiato dal dogma, dietro il quale bisognerebbe ritornare al Gesù dei logia oppure di un'altra fonte presunta, per trovare il Gesù reale. Questo Gesù "reale", a questo punto, non dice e non fa niente di più di quello che ci piace. Ci risparmia, per esempio, la croce come sacrificio espiatorio; la croce è ricondotta alle dimensioni di uno scandaloso incidente, al quale non conviene prestare troppa attenzione. Anche la Resurrezione diventa una esperienza dei discepoli secondo la quale Gesù, o almeno la sua "realtà", continua. Non ci si sofferma più sugli avvenimenti, ma sulla coscienza che ne hanno avuto i discepoli e la "comunità". La certezza della fede è sostituita dalla fiducia nell'ipotesi storica. Ora, questo modo di procedere mi sembra irritante. La garanzia della ipotesi storica, in un grande numero di testi di catechismo, diventa assolutamente più importante della certezza della fede. Questa è scaduta al livello di una vaga fiducia senza contorni precisi. Ma la vita non è una ipotesi, e la morte neppure; ci si rinchiude nello scrigno vitreo di un mondo intellettuale, che si è fatto da solo e che, allo stesso modo, può dissolversi.
 
Ma ritorniamo al nostro tema. Se ricapitoliamo le riflessioni fatte finora, possiamo anzitutto constatare che lo sconvolgimento della catechesi negli ultimi venti o trenta anni è caratterizzato da una nuova immediatezza nel contatto con le fonti scritte della fede, con la Bibbia. Se prima la Bibbia entrava nell'insegnamento della fede solo nella forma di dottrina della Chiesa, ora si tenta di penetrare nel cristianesimo attraverso un dialogo diretto tra la esperienza attuale e la parola biblica. L'utilità di questo sforzo consisteva in un accrescimento di umanità concreta nella esposizione dei fondamenti del fatto cristiano. Così facendo, il dogma non era generalmente negato, ma scadeva al rango di una specie di quadro orientativo di poca importanza per il contenuto e per la struttura della catechesi. Dietro a ciò stava una certa perplessità nei confronti del dogma, che proveniva dal fatto di non avere chiarito i rapporti tra lettura dogmatica e lettura storico-critica della Scrittura. Nella misura in cui questa evoluzione progrediva, apparve manifesto che la Scrittura, lasciata a se stessa, cominciava a dissolversi: la si sottometteva sempre a nuove "riletture". Nel tentativo di attualizzare il passato, l'esperienza personale o comunitaria diveniva, a vista d'occhio, il criterio decisivo di ciò che rimaneva attuale. Così nasceva una specie di empirismo teologico, in cui la esperienza del gruppo, della comunità oppure degli "esperti", diventa la fonte ultima. Le fonti comuni sono allora canalizzate in modo tale che non si riconosce più granché del loro dinamismo originario. Se un tempo è stato rimproverato alla catechesi tradizionale di non condurre alle fonti, ma di farle arrivare agli uomini dopo averle filtrate, oggi queste canalizzazioni del passato dovrebbero piuttosto essere paragonate a torrenti in rapporto ai nuovi metodi di dominio delle fonti.
 
Infatti, oggi, si pone una domanda centrale, ed è questo propriamente il nostro tema: come può essere conservata pura l'acqua delle fonti nella trasmissione della fede? Con questa domanda sono messi in luce due problemi essenziali per la situazione attuale.
 
a. I rapporti tra esegesi dogmatica ed esegesi storico-critica
 
La questione che deve essere esaminata in primo luogo è quella dei rapporti tra esegesi dogmatica ed esegesi storico-critica. Questa è anche la questione dei rapporti da stabilire tra il tessuto vivente della tradizione, da una parte, e i metodi razionali di ricostruzione del passato, dall'altra. Ma è anche la questione dei due livelli del pensiero e della vita: qual è, dunque, il posto dell'articolazione razionale della scienza nel tutto dell'esistenza umana e del suo incontro con il reale?
 
b. Rapporti tra metodo e contenuto, e tra esperienza e fede
 
La seconda questione ci sembra consistere nella determinazione dei rapporti tra metodo e contenuto, tra esperienza e fede. E' chiaro che la fede senza esperienza può essere soltanto chiacchiericcio di formule vuote. Per contro, è ugualmente evidente che ridurre la fede alla esperienza significa privarla del suo contenuto. Ci smarriremmo nel campo del non sperimentato e non potremmo dire con il salmo: "hai guidato al largo i miei passi" (Sal. 31 30,9), prigionieri della strettezza delle nostre esperienze.
 
 


[SM=g1740771]  continua..........


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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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26/02/2012 21:56
 
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[SM=g1740733] Parte seconda.
Per superare la crisi
 
1. Cosa e la fede?

 
Sarebbe dare prova di un inammissibile accademismo attendere che si "sia finito di discutere" prima di promuovere un rinnovamento della catechesi. La vita non aspetta che la teoria sia arrivata alla fine della sua elaborazione; la teoria, piuttosto, ha bisogno delle iniziative della vita, che è sempre "aggiornata". La fede stessa è anticipazione su quanto è attualmente inaccessibile. Così essa 1o raggiunge nella nostra vita e conduce la nostra vita a superarsi.
 
In altri termini: in vista di un giusto rinnovamento teorico e pratico della trasmissione della nostra fede, proprio come in vista di un vero rinnovamento della catechesi, è indispensabile che i problemi appena enunciati siano riconosciuti come tali e condotti verso la loro soluzione. Ora, l'impossibilita in cui siamo di rinunciare alla teoria, sia nella Chiesa che riguardo alla fede, non significa che la fede debba risolversi in teoria, né che dipenda totalmente dalla teoria. La discussione teologica, di norma, è possibile e significativa solo se e perché vi è, in permanenza, una avanzata del reale. Di questo parla con insistenza la prima lettera di san Giovanni, a proposito di una crisi del tutto simile alla nostra: "[...] voi avete l'unzione ricevuta dal Santo e tutti avete la scienza" (1 Gv. 2,20).
 
Questo vuole dire: la vostra fede battesimale, la conoscenza che vi è stata trasmessa con l'unzione (sacramentale), sono un contatto con la realtà stessa, che ha, dunque, la precedenza sulla teoria. Non è la fede battesimale che deve giustificarsi davanti alla teoria, ma la teoria davanti alla realtà, davanti alla conoscenza della verità concessa nella confessione battesimale. Alcuni versetti più avanti, l'Apostolo traccia una frontiera molto netta alle esigenze intellettuali che si chiamavano "gnosi". Poiché ciò che allora era in causa, era l'esistenza stessa del cristianesimo o il suo recupero da parte della filosofia del tempo. L'Apostolo dice: "E quanto a voi, l'unzione che avete ricevuto da Lui rimane in voi [cioè la conoscenza della fede in comunione di spirito con la Chiesa]. E non avete bisogno che alcuno vi ammaestri; ma come la sua unzione vi insegna ogni cosa [la sua unzione, cioè la fede cristologica della Chiesa, dono dello Spirito], è veritiera e non mentisce, così state saldi in Lui come essa vi insegna" (Ibid. 2,27).
 
Questo passaggio avverte, attraverso l'autorità apostolica di colui che aveva toccato il Verbo incarnato, che i fedeli devono resistere alle teorie che dissolvono la fede in nome dell’autorità della pura ragione. Ai cristiani viene detto che il loro giudizio - quello della semplice fede della Chiesa - ha una autorità più alta di quella delle teorie teologiche, poiché la loro fede esprime la vita della Chiesa, che è al di sopra delle spiegazioni teologiche e delle loro certezze ipotetiche (è la posizione di base di sant'Ireneo nel suo scontro con la gnosi; questa posizione, che sta al fondamento stesso della teologia cattolica, ha avuto, e ha ancora, una importanza decisiva nella formazione, come pure nella esistenza, della Chiesa cattolica: cfr. H. J. JASCHKE, Der Heilige Geist im Bekenntnis der Kirche, Munster 1976, pp. 265-294).
 
Ora, con questi rinvii al primato della fede battesimale su tutte le teorie didattiche e teologiche, diamo, in realtà, una risposta completa alle domande fondamentali della nostra esposizione. Per meglio elaborare e approfondire queste vedute, dobbiamo adesso formulare meglio la nostra questione. Per rispondere esattamente, dobbiamo, dunque, chiarire ciò che si deve intendere per fede e per fonte della fede.
 
L’ambiguità del termine "credere" deriva dal fatto che riveste due atteggiamenti spirituali diversi. Nel linguaggio quotidiano, credere significa "pensare, supporre"; questo è un grado inferiore del sapere rispetto a realtà di cui non abbiamo ancora certezza. Ora, è comunemente ammesso che la fede cristiana stessa è un insieme di supposizioni su argomenti di cui non abbiamo una conoscenza esatta. Ma una tale opinione manca totalmente il suo obiettivo. Il più importante catechismo cattolico, il Catechismo Romano pubblicato sotto Pio V in seguito al Concilio di Trento - e al quale dovremo sovente ritornare -, in merito al fine e al contenuto della catechesi, che è la somma delle conoscenze cristiane, si esprime, infatti, conformemente a un detto di Gesù riportato da san Giovanni: "E la vita eterna è questa, che conoscano te, solo vero Dio, e Colui che hai mandato, Gesù Cristo" (Gv. 17,3. Cfr. Catechismo Tridentino, prefazione, n. 10 [trad. it., Cantagalli, Siena 1981, p. 26]).
 
Dicendo ciò, il Catechismo Romano intende precisare contenuto e finalità di ogni catechesi, e precisa effettivamente, in un modo fondamentale, ciò che è la fede: credere significa trovare e realizzare la vita, la vera vita. Non si tratta di un qualsiasi potere, che sarebbe lecito acquisire o lasciare da parte, ma proprio del potere di imparare a vivere, e di vivere una vita che possa rimanere sempre. Sant’Ilario di Poitiers, che scrisse nel secolo IV un libro sulla Trinità, ha descritto in modo simile il punta di partenza della sua ricerca di Dio: aveva finalmente preso coscienza che la vita non è donata solamente per morire; nello stesso tempo, aveva compreso che i due scopi della vita, che si impongono come contenuto di vita, sono insufficienti: non sono sufficienti, dice, ne' il possesso ne' il godimento tranquilli della vita. "Beni e sicurezza" sono ciò che la vita non può accontentarsi di essere, "altrimenti l'uomo ubbidirebbe solo al suo ventre e alla sua pigrizia" (SANT'ILARIO DI POITIERS, La Trinità, I, 1 e 2).
 
Il vertice della vita può essere raggiunto solo la' dove vi è qualche cosa di più: la conoscenza e l’amore. Si potrebbe dire anche: solo la relazione dona alla vita la sua ricchezza: la relazione con l’altro, la relazione con l'universo. Tuttavia, neppure questa duplice relazione è sufficiente, perché "la vita eterna è che conoscano te". La fede è la vita, perché è relazione, cioè conoscenza che diventa amore, amore che viene dalla conoscenza e che conduce alla conoscenza. Come la fede indica un altro potere oltre a quello di compiere alcune azioni isolate, cioè il potere di vivere, così essa possiede anche, in proprio, un altro campo oltre a quello della conoscenza degli esseri particolari, vale a dire il potere della conoscenza fondamentale stessa, grazie alla quale prendiamo coscienza del nostro fondamento, impariamo ad accettarlo, e grazie a esso possiamo vivere. Il dovere essenziale della catechesi consiste, dunque, nel condurre alla conoscenza di Dio e del suo inviato, come dice giustamente il Catechismo Tridentino.
 
Le nostre riflessioni ci hanno fatto descrivere, fino a ora, quello che si potrebbe chiamare il carattere personale della nostra fede. Ma questa è solo la meta di un tutto. Vi è un secondo aspetto che troviamo ancora descritto nella prima lettera di san Giovanni. Al versetto I, l'esperienza dell'Apostolo è definita "visione" e "contatto" con il Verbo, che è Vita e si offrì al tatto facendosi carne. Di qui la missione degli apostoli, che consiste nel trasmettere quanto hanno sentito e visto, "perché anche voi siate in comunione con noi", con questa Parola (1 Gv I, 1-4).
 
La fede non è, dunque, soltanto un incontro a faccia a faccia con Dio e Cristo: è anche quel contatto che apre all'uomo la comunione con coloro ai quali Dio stesso si è comunicato. Questa comunione - possiamo aggiungere - è dono dello Spirito, che getta per noi un ponte verso il Padre e il Figlio. La fede non è, dunque, solo un "io" e un "tu", essa è anche un "noi". In questo "noi" vive il memoriale che ci fa ritrovare quanto abbiamo dimenticato: Dio e il suo Inviato.
 
Per dirla in altri termini, non vi è fede senza Chiesa. Henri de Lubac ha dimostrato che l’"io" della confessione di fede cristiana non è l’"io" isolato dell'individuo, ma l’"io" collettivo della Chiesa (Cfr. HENRI DE LUBAC S.J., Paradoxe et mystere de l’Eglise, Aubier-Montagne, Parigi 1967). Quando io dico: "Credo", significa che supero le frontiere della mia soggettività per integrarmi nell'"io" della Chiesa e, nello stesso tempo, mi integro nel suo sapere, che oltrepassa i limiti del tempo. L'atto di fede è sempre un atto con il quale si entra nella comunione di un tutto. E' un atto di comunione con il quale ci si lascia integrare nella comunione dei testimoni, tanto che, attraverso loro, tocchiamo l’intoccabile, udiamo l'inaudibile, vediamo l'invisibile. Il cardinale de Lubac ha dimostrato anche che noi non crediamo nella Chiesa allo stesso modo con il quale crediamo in Dio, ma che la nostra fede è fondamentalmente un atto compiuto con tutta la Chiesa (Cfr. IDEM, La Foi chretienne. Essai sur la structure du symbole des apotres. Aubier-Montagne, Parigi 1969, 28 ed. 1970, pp.201-234; cfr. anche J. RATZINGER, Theologische Prinzipienlehre. cit., pp. 15-27; importante e chiarificatore a tale proposito è quanto sottolinea LOUIS BOUYER, Le metier du theologien, France-Empire, Parigi 1979, pp. 207-227).

Dunque, tutte le volte che si pensa di potere trascurare anche solo un poco, nella catechesi, la fede della Chiesa, con il pretesto di attingere alla Scrittura una conoscenza più diretta e più precisa, si penetra nel campo dell'astrazione. Allora, infatti, non si pensa più, non si vive più, non si parla più in ragione di una certezza che oltrepassa le possibilità dell'io individuale e che si fonda su una memoria ancorata alle basi della fede e derivante da essa; non si parla più in virtù di una delega che oltrepassa i poteri dell'individuo; al contrario, ci si tuffa in quell'altra sorta di fede che è solo opinione, più o meno fondata, su quanto non è conosciuto. In queste condizioni, la catechesi si riduce a essere soltanto una teoria accanto ad altre, un potere simile ad altri; essa non può più essere, allora, studio e accoglienza della vita vera, della vita eterna.
 
2. Che cosa sono le "fonti"?
 
Considerando la fede in questa prospettiva, anche il problema delle "fonti" si pone in modo diverso. Quando, circa trent'anni fa, tentavo di fare uno studio della Rivelazione nella teologia del secolo XIII, mi scontravo con una constatazione inaspettata: infatti, in questa epoca nessuno aveva avuto l'idea di chiamare la Bibbia "la Rivelazione"; così pure a essa non venne applicato il termine di "fonte". Non che allora si fosse tenuta la Bibbia in minore stima di oggi: al contrario, se ne aveva un rispetto assai meno condizionale, ed era chiaro che la teologia non poteva e non doveva essere altro che interpretazione della Scrittura. E' l'idea che ci si faceva dell'armonia tra Scrittura e Vita che era differente. Per questo si applicava la parola "Rivelazione", da un lato, al solo atto - mai esprimibile con parole umane - con il quale Dio si fa conoscere alla sua creatura e, d'altro lato, all'accoglienza con la quale la "condiscendenza" divina diventa percettibile all'uomo in forma di Rivelazione. Tutto ciò che deve essere fissato in parole, dunque la Scrittura stessa, testimonia della Rivelazione, senza essere questa Rivelazione nel senso più stretto del termine. Solo la Rivelazione medesima è, propriamente parlando, "fonte", una fonte alla quale attinge anche la Scrittura. Se la si distacca da questo contesto vitale della "condiscendenza" divina nel "noi" dei credenti, allora la fede è strappata al suo terreno naturale, per non essere più che "lettera" e "carne" (in seguito a diverse circostanze, fino a ora ho potuto pubblicare solo frammenti delle ricerche fatte a quell'epoca; cfr. J. RATZINGER, Offenbarung - Schrift – Uberlieferung, in Trierer Theologische Zeitschrift. 67, 1958, pp. 13-27; IDEM, Wesen und Weisen der Auctoritas im Werk des hlg. Bonaventura in Die Kirche und ihre Amter und Stande, Miscellanea cardinale Frings, Colonia 1960, pp. 58-72; si troveranno ugualmente alcune indicazioni nella mia opera Die Geschichtstheologie des hlg. Bonaventura, Monaco di Baviera 1959; cfr., per la problematica, H. DE LUBAC S.J., Exégèse mèdiévale, 3 voll., Aubier-Montagne, Parigi 1959-1964).

Quando, molto più tardi, si applicò alla Bibbia il concetto storico di "fonte", si eliminò contemporaneamente la sua capacità interna di superamento, che, ciononostante, appartiene alla sua essenza, e si ridussero pure a una sola le dimensioni della sua lettura. Questa non poteva cogliere altro che lo storicamente verosimile; ma che Dio agisca, ciò non poteva e non doveva più rientrare nelle categorie del verosimile agli occhi dello storico.
 
Se non si considera la Bibbia altrimenti che come una fonte nel senso del metodo storico - cosa che certo essa è anche -, allora lo storico è il solo competente a interpretarla; ma allora, anche, essa può darci soltanto informazioni storiche. Lo storico si sente in dovere di provare a fare dell'agire di Dio, in un tempo e in un luogo determinati, una ipotesi inutile.
 
Se, al contrario, la Bibbia è il condensato di un processo di Rivelazione molto più grande e inesauribile, e il suo contenuto è percettibile al lettore solamente quando costui è stato aperto a questa dimensione più alta, allora il senso della Bibbia non ne risulta diminuito. Ciò che, per contro, cambia totalmente sono le competenze della sua interpretazione. Ciò significa che essa appartiene a un ambito di riferimenti, mediante i quali il Dio vivente si comunica in Cristo mediante lo Spirito Santo. Ciò significa che essa è espressione e strumento della comunione grazie alla quale l’"io" divino e il "tu" umano si toccano nel "noi" della Chiesa attraverso la mediazione di Cristo. Essa è allora parte di un organismo vivente dal quale trae, per altro, la sua origine; di un organismo che - attraverso le vicissitudini della storia - conserva nondimeno la sua identità e che, di conseguenza, può fare valere, per così dire, i suoi diritti d'autore sulla Bibbia come su un bene che a esso appartiene. Che la Bibbia, come tutte le opere d'arte e ben più di tutte le opere d’arte, dica di più di quello che noi possiamo comprendere ora della sua lettera, risulta allora dal fatto che essa esprime una Rivelazione, riflessa ma non esaurita dalla parola.
 
Si spiega così anche che, la' dove la Rivelazione è stata "percepita" ed è ridiventata vivente, ne sia seguita un'unione con la parola più profonda che là dove essa è stata analizzata soltanto come un testo. La "simpatia" dei santi con la Bibbia, le loro sofferenze condivise con la Parola, la fanno loro comprendere più profondamente di quanto non abbiano potuto farlo i sapienti dell'epoca dei lumi. Questa è una conseguenza del tutto logica. Ma, contemporaneamente, divengono comprensibili sia il fenomeno della Tradizione che quello del Magistero della Chiesa (Cfr. P. G. MOLLER, Der Traditionsprozess im Neuen Testament, Friburgo in Brisgovia 1981, che ha bene dimostrato, con l’aiuto del metodo linguistico, come la Bibbia stessa presupponga questo contesto e possa, dunque, essere letta nella sua prospettiva propria solamente nella misura in cui vi si acceda così; H. GESE, Zur biblischen Theologie, Monaco di Baviera 1977, pp. 9-30, presenta, a questo riguardo, punti di vista importanti e interessanti; sulla Chiesa in quanto soggetto, cfr. COMMISSIONE TEOLOGICA INTERNAZIONALE, L'unite de la loi et le pluralisme theologique, Einsiedeln 1973, in particolare il mio commento sulle tesi IV-VIII, pp. 32-48).
 
Che rapporto hanno queste analisi con il nostro soggetto? Se sono esatte, significa che le fonti storiche devono sempre confluire nella fonte per eccellenza, cioè Dio che agisce in Cristo. Questa fonte non è altrimenti accessibile che nell'organismo vivente che l’ha creata e la mantiene in vita. In questo organismo, i libri della Scrittura e i commenti della Chiesa che spiegano la fede non sono più testimonianze morte di avvenimenti passati, ma elementi portatori di una vita nuova. Là, essi non hanno mai smesso di essere presenti e di aprire le frontiere del presente. Dal momento che essi ci conducono verso Colui che tiene il tempo nella sua mano, rendono anche permeabili le frontiere del tempo. Il passato è il presente si ricongiungono nell'oggi della fede (così l’"oggi" e il "domani" della liturgia nel tempo di Avvento e in quello di Quaresima non sono un semplice gioco di parole nella fede, ma, piuttosto, interpretazione della realtà).
 
3. La struttura della catechesi
 
a. Le quattro parti principali

 
La coesione interna tra la parola e l’organismo che la veicola traccia la via alla catechesi. La sua struttura appare attraverso gli avvenimenti principali della vita della Chiesa, che corrispondono alle dimensioni essenziali della esistenza cristiana. Così, fino dai primi tempi, è nata una struttura catechetica, il cui nucleo risale alle origini della Chiesa. Lutero ha utilizzato questa struttura per il suo catechismo altrettanto naturalmente di quanto hanno fatto gli autori del catechismo del Concilio di Trento. Ciò fu possibile perché non si trattava di un sistema artificiale, bensì, semplicemente, della sintesi del materiale mnemonico indispensabile alla fede, che riflette contemporaneamente gli elementi vitalmente indispensabili alla Chiesa: il simbolo degli apostoli, i sacramenti, il decalogo, la preghiera del Signore.
 
Queste quattro parti classiche e principali della catechesi sono servite per secoli come dispositivo e riassunto dell’insegnamento catechetico; esse hanno anche aperto l'accesso alla Bibbia così come alla vita della Chiesa. Vogliamo dire che corrispondono alle dimensioni della esistenza cristiana. E quanto afferma il Catechismo Romano dicendo (cfr. Catechismo Tridentino, prefazione, n. 12; trad. it. cit., p. 29) che vi si trova quanto il cristiano deve credere (simbolo), sperare (Padre Nostro), fare (decalogo), e in quale spazio vitale deve compierlo (sacramenti e Chiesa). Così diventa percettibile contemporaneamente l’accordo con i quattro gradi della esegesi, di cui si parla nel Medioevo, e che sono anche considerati come una risposta alle domande che si pongono alle quattro tappe della esistenza umana.
 
Vi è, anzitutto, il senso letterale della Scrittura, che si ricava con l’attenzione al radicamento storico degli avvenimenti della Bibbia. Viene poi il senso detto allegorico, cioè la intuizione e la interiorizzazione di tali avvenimenti in vista di superarli - quello grazie al quale i fatti storici riportati fanno parte di una storia della salvezza. Vi sono, infine, il senso morale e quello anagogico, che mettono in evidenza come l'agire deriva dall’essere e come la storia, al di là dell'avvenimento, è speranza e sacramento del futuro (Cfr. H. DE LUBAC S.J., Histoire et esprit. L'intelligence de l'Ecriture d'apres Origene. Aubier-Montagne, Parigi 1950). Oggi occorrerebbe rifare 1o studio di questa dottrina dei quattro sensi della Scrittura: essa spiega il posto indispensabile della esegesi storica, ma delimita altrettanto chiaramente i suoi confini e il suo necessario contesto.
 
Alla raccolta mnemonica delle materie della fede, che rappresentano le quattro componenti principali che stiamo enumerando, presiede, dunque, una innegabile logica interna. Per questo il Catechismo Romano le ha caratterizzate a giusto titolo come i "Luoghi della esegesi biblica".Nel linguaggio scientifico e teorico di oggi si direbbe che esso intende considerare come i punti fissi di una topica e di una ermeneutica della Scrittura (cfr. Il Catechismo Tridentino, prefazione, n. 12 - trad. it. cit., pp. 29-30 -, parla di "quatuor his quasi communibus Sacrae Scripturae locis", "questi quattro luoghi per così dire comuni della sacra Scrittura"; il n. 13 - trad. it. cit., p. 30 - tratta di "prima ilia quatuor genera", "queste quattro categorie prime"; la parola "fonte" interviene quando si dice che ogni enunciato della Bibbia può essere ricondotto a uno di questi "Luoghi", ai quali ogni catecheta deve ricorrere come alla fonte della dottrina da spiegare in ogni caso, "quo tamquam ad ejus doctrinae fontem [...] confugient", trad. it. cit., p. 30). Per l’uso della parola "fonte", come pure per la comprensione esatta dei fattori che entrano in gioco nell'insegnamento cristiano, l'osservazione seguente non mi pare priva di importanza; qui, non si considera la Bibbia come fonte, in opposizione alle "componenti principali", "capita", che sarebbero uno schema di organizzazione, ma sono, invece, le "componenti principali" a essere la fonte dalla quale scaturiscono gli enunciati biblici particolari. Il fatto che ciò sia valido per il decalogo nel suo rapporto con i libri legislativi dell'Antico Testamento e stato dimostrato in modo convincente da H. Gese, con i metodi della esegesi scientifica, nel suo fondamentale studio sulla legge Zur biblischen Theologie (cit., pp. 55-84). Lo si dimostrerebbe ugualmente, non in modo equivalente ma analogo anche per le altre ("componenti principali").
 
Non si vede perché oggi si creda di dovere abbandonare a tutti i costi questa struttura semplice, esatta tanto teologicamente che pedagogicamente. Nei primi tempi del nuovo movimento catechetico essa passava per ingenua. Si credeva di dovere edificare a tutti i costi una sistematizzazione cristiana contemporaneamente logica e cogente. Ora, tentativi di questo genere appartengono alla ricerca teologica e non alla catechesi: essi, d'altronde, raramente sopravvivono ai loro autori. All'estremo opposto, vi è abolizione di qualunque struttura e caducità di scelte fatte in ragione della situazione attuale: fu una reazione inevitabile agli eccessi del pensiero sistematico.
 
b. Riflessioni su due problemi di contenuto
 
Il fine di questa esposizione non è di dare in dettaglio il contenuto di queste quattro componenti principali. Qui si tratta solo di problemi di struttura. Non posso nondimeno evitare alcune brevi riflessioni a proposito di due elementi di queste strutture, che mi sembrano oggi particolarmente minacciati.
 
La nostra Fede in Dio Creatore e nella creazione
 
Il primo punto è quello della nostra fede in Dio creatore e nella creazione, come elementi del simbolo di fede della Chiesa. Di tanto in tanto compare il timore che una troppo forte insistenza su tale aspetto della fede possa compromettere la cristologia (questo timore è ricordato dalla Conferenza Episcopale Francese, La catéchèse des enfants. Texte de reference. cit., p. 37, che sottolinea, per altro giustamente, "che si può parlare cristianamente di Dio creatore soltanto nella luce di Gesù Cristo risorto"). Considerando qualche presentazione della teologia neoscolastica, questo timore potrebbe sembrare giustificato.

Oggi, tuttavia, è il timore inverso che mi sembra giustificato. La emarginazione della dottrina della creazione riduce la nozione di Dio e, di conseguenza, la cristologia. Il fenomeno religioso non trova, allora, altra spiegazione al di fuori dello spazio psicologico e sociologico; il mondo materiale è confinato nel campo di indagine della fisica e della tecnica. Ora, soltanto se l’essere, ivi compresa la materia, è concepito come uscito dalle mani di Dio e conservato nelle mani di Dio, Dio è anche, realmente, nostro Salvatore e nostra Vita, la vera Vita.
 
Oggi si tende a evitare la difficoltà dovunque il messaggio della fede ci mette in presenza della materia, e si tende ad attenersi a una prospettiva simbolica: questo comincia con la creazione, continua con la nascita verginale di Gesù e la sua resurrezione, finisce con la presenza reale di Cristo nel pane nel vino consacrati, con la nostra stessa resurrezione e con la parusìa del Signore. Non si tratta di una discussione teologica di poca importanza quando si situa la resurrezione individuale al momento della morte, negando così non soltanto l'anima, ma anche la realtà della salvezza per il corpo (su questa problematica, cfr. J. RATZINGER, La Mort et l’Au-delà Court traile d'esperance chretienne; trad. francese, Fayard, 1979, e il mio articolo Entre la mort et la resurrection, in Revue catholique internationale Communio, V 1980, 3, pp. 4-19, dove sintetizzo e approfondisco tale problema). Per questo un rinnovamento decisivo della fede nella creazione costituisce una condizione necessaria e preliminare alla credibilità e all'approfondimento sia della cristologia che della escatologia.
 
Il decalogo
 
Il secondo punto che vorrei sottolineare concerne il decalogo. Fu a causa di una incomprensione fondamentale della critica fatta da Paolo alla Legge che molti sono giunti a pensare che il decalogo, in quanto legge, doveva essere eliminato dalla catechesi e sostituito dalle beatitudini del discorso della Montagna. Si misconosceva così non solo il decalogo, ma anche il discorso della Montagna, come pure tutta la struttura interna della Bibbia. Paolo, al contrario, ha caratterizzato il passaggio dalla Legge al Nuovo Testamento dicendo che "pieno compimento della Legge è l'amore", e per spiegare questo compimento si è espressamente riferito al decalogo (Rom. 13,8-10; cfr. Lev. 19,8; Es. 20,13 ss.; Deut. 5,17. Cfr. anche H. GESE, Zur biblischen Theologie. cit.).

Dove il decalogo è espulso dalla catechesi, viene intaccata la struttura fondamentale di essa. Non vi e più, allora, alcuna introduzione reale alla fede della Chiesa (è merito del testo di riferimento della Conferenza Episcopale Francese avere situato con esattezza l’attualità del decalogo - La catéchèse des enfants. Texte de reference, cit., p. 59 -; così pure è in rapporto con il nostro discorso quanta e detto della catechesi come "processo strutturato sacramentalmente", ibid.. p. 57).
 
c. La struttura formale della catechesi
 
Vorrei terminare le mie riflessioni con due osservazioni sui problemi teologici essenziali, che sono stati oggetto della nostra considerazione nella prima parte della esposizione.
 
Rapporti tra esegesi dogmatica ed esegesi storica
 
La prima riflessione concerne i rapporti della esegesi dogmatica con la esegesi storica. All'origine del ritorno alla Scrittura che fu in pari tempo un abbandono della catechesi dogmatica tradizionale, vi era la paura che il legame con il dogma non lasciasse vera libertà a una lettura comprensiva della Bibbia. Il modo con il quale la tradizione dogmatica aveva effettivamente praticato la esegesi scritturale giustificava ampiamente, infatti, questo timore. Ma oggi constatiamo che solo il contesto della tradizione ecclesiale mette il catechista in condizione di attenersi a tutta la Bibbia e alla vera Bibbia. Oggi vediamo che solo nel contesto della fede comunitaria della Chiesa si può prendere la Bibbia alla lettera, ritenere ciò che essa dice come realtà attuale, tanto per il nostro mondo di oggi che per la sua storia. Questa circostanza legittima l'interpretazione dogmatica della Bibbia anche da un punta di vista storico: il luogo ermeneutico costituito dalla Chiesa è il solo che possa fare accettare gli scritti della Bibbia come Sacra Scrittura, e le loro dichiarazioni come significative e vere. Vi sarà, nondimeno, sempre una certa tensione tra i nuovi problemi della storia e la continuità della fede. Ma, nello stesso tempo, ci sembra chiaro che la fede tradizionale non costituisce il nemico, bensì il garante di una fedeltà alla Bibbia che sia conforme ai metodi della storia.
 
[SM=g1740733] Rapporto tra metodo e contenuto della catechesi
 
La seconda e ultima riflessione ci fa tornare al problema dei rapporti tra metodo e contenuto della catechesi. Il lettore di oggi può stupirsi che il Catechismo Romano del secolo XVI abbia avuto una coscienza assai viva del metodo catechetico.
 
Vi si legge, infatti, che importava enormemente sapere se tale insegnamento dovesse essere impartito in questa o in quella maniera. Per questo la catechesi doveva essere esattamente adeguata all'età, alle capacita di comprensione, alle abitudini di vita e alla situazione sociale degli uditori, per essere veramente tutto a tutti. Il catechista doveva sapere chi aveva bisogno di latte, chi aveva bisogno di alimenti solidi, al fine di adattare il suo insegnamento alla capacita di ciascuno. Lo stupefacente per noi è che il Catechismo Romano abbia lasciato al catechista molta più libertà di quanto non faccia generalmente la catechetica attuale. Infatti, esso lascia all'iniziativa dell'insegnante l’ordine da adottare nella sua catechesi in funzione delle persone e delle circostanze. Esso presuppone anche, è vero, che il catechista viva e faccia sua la materia del suo insegnamento attraverso una meditazione continua e una assimilazione interiore e che - nella scelta del proprio piano - non perda di vista la necessità di ordinarlo in funzione delle quattro componenti principali della catechesi (Catechismo Tridentino, prefazione, n. 13: "Docendi autem ordinem eum adhibebit, qui et personis et temporis accomodatum videbitur" - trad. it. cit., p.30 -; gli altri riferimenti sono alla prefazione, n. 12 - trad. it. cit., pp. 27-28).
 
- Conclusione

 Il Catechismo Romano non esige certo di prescrivere tale metodo didattico. Esso dice piuttosto: quale che sia l’ordine scelto dal catechista, noi abbiamo scelto per questo libro la via dei Padri (Ibid., n. 13; trad. it. cit., p. 30). [SM=g1740721]

In altre parole, mette a disposizione del catechista il dispositivo fondamentale indispensabile, come pure i materiali con cui riempirlo; ma non lo dispensa dal trovare lui stesso quale via sia più appropriata alla sua trasmissione nella tale situazione concreta. Senza alcun dubbio, il Catechismo Romano presupponeva già, così, l'esistenza di una letteratura di secondo grado, grazie alla quale il catechista poteva essere aiutato nel suo compito, senza che si potessero tuttavia programmare anticipatamente tutte le situazioni particolari.
 
Questa distinzione di livelli è, ai miei occhi, essenziale. Il guaio della nuova catechesi consiste, in definitiva, in questo: ci si è un poco dimenticati di distinguere il "testo" dal suo "commento". Il "testo", cioè il contenuto propriamente detto di ciò che bisogna annunciare, si diluisce sempre più nel suo commento; ma il commento non ha allora più nulla da commentare, è diventato misura di se stesso, e perde, nello stesso tempo, la sua serietà. Sono dell'avviso che la distinzione fatta dal Catechismo Romano tra il testo di base (il contenuto della fede della Chiesa) e i testi parlati o scritti della sua trasmissione non sia una via possibile tra altre: essa appartiene all'essenza della catechesi (questo ordinamento di livelli appare chiaramente a partire dal secolo II nella struttura di relazioni simbolo - regula fidei - dei trattati catechetici: se il simbolo presenta la parola comune della confessione orante, per contro la regula, che non può essere fissata parola per parola, è una struttura fondamentale dei "capita" del cristianesimo preesistente a ogni maestro, struttura che, a sua volta, è riflessa, concretizzata e applicata alle diverse situazioni nella produzione teologica; per le relazioni tra il simbolo, la regula e la teologia, cfr. H. J. JASCHKE, op. cit., passim, ma, in particolare, le pp. 36-44 e 140-147). Da un lato è al servizio della necessaria libertà del catechista nel trattare le situazioni particolari; dall’altro, essa è indispensabile per garantire la identità del contenuto della fede.
 
A ciò non si può obiettare che qualunque discorso umano relativo alla fede è già un commento e non più il testo primitivo, perché la Parola di Dio non può mai essere imprigionata nella parole umane. Che la Parola di Dio sia sempre infinitamente più grande di ogni parola umana, più grande anche delle parole ispirate dalla stessa Scrittura, questo non toglie al messaggio della fede il suo volto e i suoi contorni.
 
Al contrario, questo ci obbliga tanto più alla salvaguardia della nostra fede ecclesiale come un bene comune. Essa dobbiamo sforzarci di spiegare nelle situazioni sempre mutevoli, con parole sempre nuove, al fine di corrispondere così, attraverso il tempo, alla inesauribile ricchezza della Rivelazione. Credo, di conseguenza, che sia necessario distinguere di nuovo con chiarezza i gradi del discorso catechetico, anche nei libri destinati alla catechesi e al catechista. Ciò vuol dire che bisogna avere il coraggio di presentare il catechismo come un catechismo, affinché il commento possa restare un commento e affinché le fonti e la loro trasmissione possano ritrovare il loro rapporto esatto.
 
Non saprei trovare migliore conclusione alle mie riflessioni delle parole con le quali il Catechismo Tridentino - che ho spesso citato - descrive la catechesi: "L'intera finalità della dottrina e dell'insegnamento deve essere posta nell'amore che non finisce. Poiché si può ben esporre ciò che bisogna credere, sperare o fare: ma, soprattutto, si deve sempre fare apparire l’amore di Cristo, affinché ciascuno comprenda che ogni atto dl virtù perfettamente cristiano non ha altra origine che l'Amore e nessun altro termine che l'Amore" (Catechismo Tridentino, prefazione, n. 10; trad. it. cit., p. 27).
 
+ Joseph card. Ratzinger  - 15.1.1983 -
Arcivescovo già di Monaco di Baviera e di Frisinga
Prefetto della Sacra Congregazione per la Dottrina della Fede

[SM=g1740738]

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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29/02/2012 17:50
 
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proseguiamo da sopra

fonte: La Chiesa Cattolica - la sua dottrina - Vol.II - con Imprimatur Vescovile - Trieste 1886

Mescolato anch'io con gli Apostoli, nel Cenacolo, sentirò quelle dolci parole di Gesù, Dio nostro: < amatevi gli uni gli altri, come io ho amato voi > (Gv.15,12).







[SM=g1740771] - Dio è retributore, ma chi sceglie è l'uomo: la vita e la morte.

 

Che cosa è la vita? - dice il Guerrazzi - E' un male o un bene? Se è un male, perché mi viene data? Se è un bene, perché mi viene tolta?.

L'incredulo non può conoscere il pregio della vita, la quale in sé è un bene ed un male:

- è un bene, perché approfittando del tempo che dimoriamo sulla terra, possiamo acquistarci l'eterna beatitudine;

- è un male perché, a che siamo in questo mondo, non possiamo mai essere pienamente felici.

E' perciò che la Divina Provvidenza ci dona la vita in quanto è un bene e, imperciòcché ce la toglie in quanto è un male.

Nel piano della Divina Economia, infatti, è la morte il termine di tutti i mali, ma anche il principio dell'eterno bene, ma dipende dall'uomo che questo piano della Provvidenza s'effettui e che la morte, anziché divenire il principio dell'eterna gioia, non gli procuri l'inizio dell'eterna dannazione.

Così anche la morte diventa o un bene o un male, dice infatti la Sacra Scrittura: "Pretiosa in conspectu Domini mors sanctorum eius. / Preziosa agli occhi del Signore è la morte dei suoi fedeli" (Sal.116 (CXV) 15), oppure: "Siccitas et calor abstulerunt aquas nivium, et inferi eos, qui peccaverunt / Come siccità e calore assorbono le acque nevose, così la morte rapisce il peccatore. (Gb.24,19)". Ma così ammonisce la Divina Sapienza: " Qui autem in me peccaverit, laedet animam suam: omnes, qui me oderunt, diligunt mortem / ma chi pecca contro di me, danneggia se stesso: quanti mi odiano amano la morte " (Prov. 8,36), pessima è dunque la morte dei peccatori, poiché dobbiamo essere memori del Creatore prima che la polvere "et revertatur pulvis in terram suam, unde erat, et spiritus redeat ad Deum, qui dedit illum. / torni nella sua terra d'onde ebbe origine: dalla polvere, e lo spirito ritorni a Dio di cui fu dono" (Eccles.12,7).

I Santi Padri e tutta la Doctrina della Chiesa ci insegnano che la morte, sopraggiunta a causa del Peccato Originale, è stata ora resa un passaggio necessario, ma come un ritorno alla vera Patria, nel Tract. de Mortalit. vol.I cap.16 si legge: "Accogliamo con trasporto - scrive San Cipriano - il giorno che assegna ad ogni uno il suo domicilio, che libera da qui, e sciolti dai legami della terra, ci restituisce al Paradiso ed al Regno Celeste. Qual viaggiatore non s'affretterebbe di ritornare alla sua vera Patria? Chi, facendo vela verso i suoi, non desidererebbe ardentemente dé prosperi venti per poter abbracciare più presto i suoi cari? La nostra Patria è il Paradiso, là ci attende un numero grande di persone care, là ci brama numerosa turba di parenti, di fratelli, di figli, della sua sorte già sicura e solo della nostra salvezza sollecita. Quanta sarà la nostra e la loro allegrezza, quando ci troveremo assieme con essi! Qual sarà nel Regno dei Cieli la contentezza, esenti come saremo del timore di morire, certi di vivere eternamente..."

 

- Che cosa è dunque questa morte?

 

La morte è la separazione dell'anima dal corpo. Il corpo, privo del principio vegetativo ed animale che l'anima gli dava, si scioglie, si decompone, si scompone, ritorna alla polvere, e gli elementi dei quali era composto passano a far parte di altri organismi fino al giorno in cui corpo ed anima si riuniranno, ma trasformati, incorruttibili eternamente, come è stato promesso: "Haec dicit Dominus Deus: Ecce ego aperiam tumulos vestros et educam vos de sepulcris vestris / Dice  il Signore  Dio: Ecco, io apro i vostri sepolcri, vi risuscito dalle vostre tombe" (Ezech.37,12).

Invece l'anima, non essendo originata dalla polvere, separata dal corpo, come aveva una vita intellettiva quando era nel corpo, così la conserva qual puro spirito, solo si trova in uno stato diverso di prima, imperciocché:

a. l'intelletto dei Defunti non conosce il vero, né la via dei sensi, né per deduzione da principii generali, ma solo per intuizione derivante e dalla natura dello spirito e da rivelazione Divina. Perciò, come noi conoscendo per intuizioni i primi principii, così ai Defunti è dato di "vedere" il vero ch'é oggetto di loro intuizione, sia ch'esso li consoli, se la loro morte fu santa, sia ch'esso li spaventi se morirono peccando.

b. Cessata la guerra fra la carne e lo spirito, la volontà dei Defunti, libera da ogn'interno contrasto, deve necessariamente determinarsi secondo i principii dell'intelletto, ed è quindi astretta ad una interna necessità. Imperciocché, essendo immutabile l'intelletto maturato durante la coabitazione tra corpo ed anima, immutabile sarà anche la volontà: "Ante hominem vita et mors, bonum et malum: quod placuerit ei, dabitur illi. / Davanti agli uomini stanno la vita e la morte; a ognuno sarà dato ciò che a lui piacerà." (Sirac.15,17).

c. Non più uniti ad organismo materiale, i Defunti non provano le sensazioni che da esso dipendono, ma appunto perciò più vive sono le loro sensazioni spirituali: il compiacimento o il rimorso; la gioia o il dolore.

E' per questo che i Defunti non possono più acquistarsi né merito, né demerito, e necessitano, per coloro che morirono nel giusto, le Preghiere del Suffragio; la vita terrena è come una giornata di lavoro, finita la quale, ogni possibilità di guadagnare finisce, come ci ammonisce Nostro Signore Gesù Cristo: "Nos oportet operari opera eius, qui misit me, donec dies est; venit nox, quando nemo potest operari. / Dobbiamo compiere le opere di colui che mi ha mandato finché è giorno; poi viene la notte, quando nessuno può più operare". (Gv.9,4).

Infine, la condizione dei Defunti nell'altro mondo dipende dallo stato morale in cui si trovano al terminare della vita presente, come ammonisce la Sacra Scrittura: "si ceciderit lignum ad austrum aut ad aquilonem, in quocumque loco ceciderit, ibi erit. / se un albero cade a sud o a nord, là dove cade rimane. (Eccles.11,3).


 

- Dio retribuisce ciò che l'uomo avrà scelto

 

San Paolo scrive: "Et quemadmodum statutum est hominibus semel mori, post hoc autem iudicium / E come è stabilito per gli uomini che muoiano una sola volta, dopo di che viene il giudizio" (Eb.9,27), imperciocché è necessario che noi tutti ci presentiamo davanti al Tribunale di Cristo col desiderio di portare il bene, giacché è chiaro che vi porteremo anche il male compiuto (cfr 2Cor.5,10).

Questo Giudizio che ha luogo tosto, subito dopo la morte d'ogni individuo, si chiama "Giudizio particolare".

L'anima, appena separata dal corpo, acquista nell'immediatezza la chiara coscienza di tutto il bene e male che ha fatto e ne conosce il giusto valore, come ci insegna il Santo teologo domenicano Tommaso d'Aquino, e come ivi è confermato dalla Sacra Scrittura: "Finis loquendi, omnibus auditis: Deum time et mandata eius observa; hoc est enim omnis homo. Et cuncta, quae fiunt, adducet Deus in iudicium circa omne occultum, sive bonum sive malum. / Conclusione del discorso, dopo che si è ascoltato ogni cosa: Temi Dio e osserva i suoi comandamenti, perché questo per l'uomo è tutto. Infatti, Dio citerà in giudizio ogni azione, tutto ciò che è occulto, bene o male". (Ecclesiast.12, 13-14), cioè, ogni opera sarà spoglia da quella vernice, di cui spesso il nostro amor proprio le copre.

Essa si presenta tosto innanzi a Gesù Cristo, a cui il Padre ha dato potestà di far ogni Giudizio, e tosto da Lui riceve la retribuzione del bene o del male operato, né ci sarà azione, per quanto insignificante possa sembrarci, la quale non conseguirà un premio o un castigo, persino il dono di un bicchiere d'acqua potrebbe risolvere il destino di un anima: "Et, quicumque potum dederit uni ex minimis istis calicem aquae frigidae tantum in nomine discipuli, amen dico vobis: Non perdet mercedem suam. / E chi avrà dato anche solo un bicchiere di acqua fresca a uno di questi piccoli, perché è mio discepolo, in verità io vi dico: non perderà la sua ricompensa" (Mt.10,42), così come per ogni parola espressa: "Dico autem vobis: Omne verbum otiosum, quod locuti fuerint homines, reddent rationem de eo in die iudicii: ex verbis enim tuis iustificaberis, et ex verbis tuis condemnaberis. / Ma io vi dico che di ogni parola infondata gli uomini renderanno conto nel giorno del giudizio; poiché in base alle tue parole sarai giustificato e in base alle tue parole sarai condannato" (Mt.12,36-37).

Perciò, come annota San Tommaso d'Aquino, nel Giudizio particolare alcune anime sono in istato di ricevere la retribuzione finale ed altre ne sono impedite; e poiché le prime la ricevono, o pel gran bene che hanno fatto, o pel male ch'avranno scelto, tre sono i luoghi nei quali lo stato dell'anima del Defunto verrà di trovarsi, questi sono: l'Inferno, che il Giudizio particolare immediatamente retribuisce all'anima che lo abbia scelto commettendo il male e rifiutando ogni pentimento; il Paradiso e il Purgatorio che andremo a vedere più approfonditamente e che conosciamo col termine di Novissimi.

 

- L'Inferno

 

Dio non ha creato l'Inferno, neppure era Suo desiderio, ma questo è il luogo che Dio ha destinato agli Angeli che diventarono Demoni quando scelsero con la propria volontà di opporsi al Progetto Divino, qui vanno i demoni e i dannati, quanti scelgono di porsi contro Dio, imperciocchè pensano da stolti coloro che credono che vi sia un'altra strada dopo la morte, dice chiaramente Gesù Cristo: "Qui non est mecum, contra me est / Chi non è con me è contro di me" (Mt.12,30). La Santa Chiesa nella sua infinita saggezza insegna:

a. che la pena dei dannati consiste nell'essere esclusi, per loro scelta, dalla beatifica visione, e di ricevere per retribuzione il tormento eterno a seconda del male compiuto e nel quale hanno persistito. La pena maggiore è l'essere esclusi dal godimento di Dio (poena damni), questa pena è atroce perché l'anima, creata per godere dell'infinita beatitudine e avendo persistito nel male mentre era in vita, appena uscita dal corpo intuisce l'oggetto che solo può saziare la sua brama, e verso lui si slancia, ma ne viene respinta, come respinse in vita ogni monito, ogni avvertimento, ogni vero bene, e questa separazione dal suo principio, questa esclusione dal Vero Bene che per tutta la vita aveva rifiutato, è per lei come un fuoco che la brucia, un verme che eternamente la rode. L'anima dannata vede, in Dio che la respinge, la causa del suo tormento, e lo odia, e l'odia tanto più quanto maggiormente in Lui ravvisa  e riconosce l'oggetto di cui non gli è più dato di beatificarsi, in essa combattono l'odio e l'amore, l'aborrimento e la stima, il desiderio e il ribrezzo; l'odio che volle in vita vomitare addosso Iddio e l'amore che ha rifiutato, l'aborrimento che ha avuto in vita quando gli si parlava di Dio e di queste realtà Ultime e la stima che rifiutò dell'umiltà, il desiderio che ebbe per le cose materiali e il ribrezzo che provava in vita quando la si invitava alla conversione.

Questi tormenti sono interni ed esterni. Nell'interno li corruccia il rimorso di essere essi stessi causa della loro condanna: vivida è la memoria delle colpe commesse, dell'ostinatezza con cui rifiutarono ogni grazia che veniva loro offerta; il confronto fra la loro condizione e quella dei giusti e la certezza che non sarà mai per cessare o raddolcirsi la loro pena (cfr Parabola di Lazzaro e del ricco Epulone dal Vangelo di San Luca 16,19-31). All'esterno li tormenta l'orribile compagnia in cui si trovano, il luogo della loro condanna, i Demoni, e le gravi pene a cui sono soggetti: "filii autem regni eicientur in tenebras exteriores: ibi erit fletus et stridor dentium / i figli del regno saranno cacciati fuori nelle tenebre, ove sarà pianto e stridore di denti" (Mt.8,12), e sempre Nostro Signore Gesù Cristo, ci mette sempre in guardia da questa realtà Ultima, anche là dove dice:" bonum est tibi luscum introire in regnum Dei, quam duos oculos habentem mitti in gehennam, ubi vermis eorum non moritur, et ignis non exstinguitur / è meglio per te entrare nel regno di Dio con un occhio solo, che essere gettato con due occhi nella Geenna, dove il loro verme non muore e il fuoco non si estingue" (Mc.9 46-48), e con la dura reprimenda per i reprobi:" Discedite a me, maledicti, in ignem aeternum, qui praeparatus est Diabolo et angelis eius. / Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli."(Mt.25,41). E come la parola di Nostro Signore è verità quando parliamo della Sua Presenza reale nella Divina Eucaristia, così è vera quando ci mette in guardia dall'Inferno, o quando promette il Paradiso: "Et ibunt hi in supplicium aeternum, iusti autem in vitam aeternam. / E se ne andranno, questi al supplizio eterno, e i giusti alla vita eterna" (Mt.25,46).

Commettono grave errore coloro che non vogliono credere, e peggio chi fra i Cristiani va dicendo che le pene dell'Inferno non sarebbero eterne, o che il Signore, per Divina compassione, perdonerà tutti, o chi va dicendo che scontato un certo periodo nell'Inferno, dopo vi si potrà uscire! L'Inferno è eterno, come è eterno il Paradiso. Lo stesso San Paolo rammenta nella seconda Lettera ai Tessalonicesi (1,9) che gli empi nella loro perdizione pagheranno eternamente, ed anche nell'Apocalisse 24,11 si rammenta che il fumo dei loro tormenti si alzerà né secoli dé secoli. I Santi Padri della Chiesa unanimamente insegnarono queste verità, e nel secondo Concilio ecumenico di Costantinopoli (a.D. 553), fra gli errori degli Origenisti, fu condannato anche il loro asserto secondo cui, le pene dell'Inferno non sarebbero eterne.

Contro questo dogma si obbietta ch'esso non è conciliabile né colla giustizia, perché, dicono, le colpe finite verrebbero punite con una pena infinita ed eterna; né colla misericordia di Dio la quale si mostrerebbe così crudele e irreconciliabile colle sue creature.


Rispondiamo a questo quesito:

- le pene infernali sono "finite" riguardo ai dannati perché una creatura non è capace di tormenti "infiniti" il dannato infatti, non subisce ulteriori tormenti o nuove pene, egli subisce in modo eterno ciò che ha scelto di subire allontanandosi da Dio e volendo rimanere lontano da Lui, e sono eterne, infinite, riguardo alla durata, e questo corrisponde perfettamente non solo alla gravità dei peccati mortali i quali hanno una malizia finita rispetto a chi li commette, ma anche in quanto al fatto che è una scelta della creatura, e dunque una pena infinita rispetto a Dio che è stato rifiutato. Insegna Sant'Agostino nell'Epistol.167: " Dio è misericordioso quando giudica, e giusto quando perdona: quale speranza ci resterebbe mai se la Sua misericordia non fosse maggiore della giustizia?" Egli infatti ha mandato il Suo Unigenito non soltanto per applicare questa misericordia, ma per farsi sempre fonte di misericordia per mezzo dei Sacramenti; Egli ha mandato il Suo Unigenito a morire sulla Croce, altrimenti non avremmo avuto alcuna fonte di misericordia; Egli ci ha lasciato la Santa Messa nella quale, il Sacrificio che si compie, è propiziatorio per i Vivi e i Defunti, fiumi di grazie e di misericordia raggiungono migliaia di persone in tutto il mondo quando avviene la Divina Eucaristia, ma ha anche detto e ammonito che i reprobi, se non si convertiranno, andranno all'Inferno, ma non ha deciso Egli il grado della colpa dell'uomo, per cui la Sua misericordia non possa avere luogo. L'eternità delle pene non offende dunque la Divina giustizia, chi arriva all'Inferno ci arriva per sua scelta, ed è solo dopo la sua morte che la giustizia valuterà le pene, finché c'è vita nell'uomo, è bene spingerlo verso la Divina Sapienza, anche a costo della propria vita, questo ha fatto Nostro Signore Gesù Cristo, che si lasciò inchiodare sulla Croce per strapparci da questa realtà Ultima, e questo devono fare coloro che vogliono dirsi Suoi discepoli, e questo ci insegnano molti Santi.

- la misericordia di Dio, infine, non consiste affatto in ciò: che Dio non punisca il male e che non dia la retribuzione adeguata; la Sua Misericordia consiste nel dar tempo al peccatore di far penitenza, di pentirsi, nell'aiutarlo ad emendarsi, nell'accoglierlo come il Figliol Prodigo. Acciocché Dio perdonasse i dannati, sarebbe quindi necessario che si pentissero e s'emendassero, e a ciò bisognerebbe che tornassero ad essere com'erano quando hanno peccato; ma abbiamo una sola vita da vivere e Dio non sbaglia nel Suo giudizio, colui che muore ha terminato la sua corsa terrena, ha terminato il suo tempo, Dio non commette errori: se in quell'anima c'era un seme di pentimento Egli lo avrà di certo accolto, ma se in quell'anima non c'era ombra di pentimento, anche tornando indietro egli non si pentirebbe per il semplice fatto che si dolerebbe non del male commesso ma per le conseguenze che troverebbe dopo morto, la misericordia di Dio non può accoglierli e giustificarli "dopo" aver provato perché Egli ci ha dato questo tempo della vita nella quale sperimentare la Sua misericordia e la Sua giustizia, la Sua bontà e la Sua infinita pazienza, questo è il tempo della Sua misericordia, ion questo tempo ha mandato il Suo Unigenito, dopo è il tempo della Sua giustizia.

L'eternità delle pene infernali è anche un postulato della stessa umana ragione, la quale deve ammettere un termine finale alla lotta fra il vizio e la virtù, e un abisso che separi definitivamente il male dal bene. Imperciocché le pene infernali non sono date a tutti i dannati in eguale maniera, la misericordia, la giustizia di Dio tengono conto delle differenze dei peccati commessi e sono proporzionate al reato: "Quantum glorificavit se et in deliciis fuit, tantum date illi tormentum et luctum. / Tutto ciò che ha speso per la sua gloria e il suo lusso, restituiteglielo in tanto tormento e afflizione". (Apoc.18,7).

 

- Il Paradiso

 

Il Paradiso è la Casa del Padre Celeste il luogo dove noi, come eredi di Dio e coeredi di Gesù Cristo (Rom.8,17), ci uniremo a Lui per sempre. Il gaudio e la felicità del Paradiso è sì grande che l'umana mente non può comprenderlo e, come ci dice San Paolo "Nessun occhio ha mai veduto, nessun orecchio ha mai udito, né mai nel cuore d'alcun uomo è penetrato ciò che Dio preparò a quelli che lo amano" (1Cor.2,9). Tutto ciò che del Paradiso può dirsi, non è che una scolorita immagine della beata condizione dei Santi, ragione umana e bontà di cuore sarebbe di non ignorare le loro esperienze, di ascoltarli, e di farceli amici, loro sono i testimoni più vicini a noi e sono credibili. Come la pena dei reprobi consiste nella privazione di quel Bene che hanno rigettato e nell'affluenza di tutti i mali che hanno voluto, così la giustizia di Dio premia coloro che lo hanno cercato:

a. con la liberazione da ogni male che in vita hanno rigettato;

b. con l'afflusso di ogni Bene che hanno perseguito anche a costo della propria vita e perciò è donata loro la Vita in pienezza: "et absterget omnem lacrimam ab oculis eorum, et mors ultra non erit, neque luctus neque clamor neque dolor erit ultra, quia prima abierunt / E tergerà ogni lacrima dai loro occhi; non ci sarà più la morte, né lutto, né lamento, né affanno, perché le cose di prima sono passate" (Apoc.21,4).

Scrive Sant'Agostino: " Là tutto è sommamente grande, tutto vero, tutto santo, tutto eterno. Là il nostro pane è la giustizia, la sapienza è bevanda, veste la immortalità, abitazione eterna è il Cielo. Ivi la pace, la tranquillità, il gaudio, la giustizia".

Lo spirito umano illustrato da Luce Divina conoscerà ogni vero, come dice il Salmista: "Quoniam apud te est fons vitae, et in lumine tuo videbimus lumen. / È in te la sorgente della vita, alla tua luce vediamo la luce"(Sal.36,10).

La volontà, non più in lotta, amerà necessariamente il Bene e nel Bene troverà la sua soddisfazione e il proprio compiacimento, nel cielo, dice ancora Sant'Agostino, la virtù sarà l'amare ciò che vedi, e immensa felicità il possedere ciò che ami. La Società degli Angeli e dei Santi e l'intimo commercio con Essi, renderà piena la beatitudine di coloro che avranno perseguito in vita, questa Vita.

Ma ciò che metterà il colmo alla felicità dei comprensori beati, sarà l'eterna visione di Dio e la pienezza di Lui. Noi, dice l'Apostolo, ora vediamo Dio come in uno specchio e in un enimma, allora vedremmo faccia a faccia (1Cor.13,12), e S. Giovanni scrive:

" Carissimi, nunc filii Dei sumus, et nondum manifestatum est quid erimus; scimus quoniam, cum ipse apparuerit, similes ei erimus, quoniam videbimus eum, sicuti est. / Carissimi, noi fin d'ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è"(1Gv.3,2).

Questo doppio oggetto della nostra beatitudine: il "vedere Dio faccia a faccia, come Egli è" e "divenire simili a Lui", è possibile solo grazie a Nostro Signore Gesù Cristo, in cui la Natura Divina si unì a quella umana, elevando noi a divenire "simili a Lui" e in questa similitudine "vedere Dio faccia a faccia", secondo delle di Lui parole: "Pater, quod dedisti mihi, volo, ut ubi ego sum, et illi sint mecum, ut videant claritatem meam, quam dedisti mihi / Padre, voglio che anche quelli che mi hai dato siano con me dove sono io, perché contemplino la mia gloria, quella che mi hai dato" (Gv.17,24), ed è questa intuizione gloriosa che innalza i Santi alla visione di Dio, perché come l'Anima di Gesù per la Sua natura Divina contemplava in terra sempre il Suo Celeste Padre, così noi per Sua grazia e misericordia, se cerchiamo il vero Bene e contempliamo la gloria dell'Uomo-Dio, allora in Lui vedremo Dio per intuizione immediata, e saremmo abbracciati da tanta Luce Divina che saremo "simili a lui".

 

 

San Bernardo, commentando le parole del Redentore:" et dabitur vobis: mensuram bonam, confertam, coagitatam, supereffluentem dabunt in sinum vestrum; eadem quippe mensura, qua mensi fueritis, remetietur vobis / e vi sarà dato; una buona misura, pigiata, scossa e traboccante vi sarà versata nel grembo, perché con la misura con cui misurate, sarà misurato a voi in cambio"(Lc.6,38), osserva che la misura dell'eterna beatitudine sarà "buona" perché vedremo Dio in tutte le creature, come avevamo desiderato in terra; sarà "pigiata" a motivo del nostro stato interiore; "scossa" per la nostra esteriore condizione, e "traboccante" per la visione dello stesso Iddio, nel quale consisterà il colmo della beatitudine (Sermone 5).

 

- Il Purgatorio

 

Il Purgatorio non è eterno, e per questo lo trattiamo per ultimo. E' il luogo dove le anime che sono macchiate ancora da qualche peccato veniale, o che per qualche motivo, che il Signore stesso giustifica, non hanno potuto soddisfare pienamente per i peccati rimessi, ossia confessati, vengono purificate e rese degne di entrare pienamente nel Regno dei Cieli.

L'esistenza del Purgatorio è un postulato della ragione stessa e di quella stessa domanda che alcuni si fanno circa la misericordia di Dio; imperciocché, se Dio infinitamente giusto punisce ogni colpa anche leggera perchè: "Nec intrabit in ea aliquid coinquinatum et faciens abominationem et mendacium, nisi qui scripti sunt in libro vitae Agni. / Non entrerà in essa nulla d'impuro, né chi commette abominio o falsità, ma solo quelli che sono scritti nel libro della vita dell'Agnello" (Apoc.21,27), o bisogna ammettere uno stato di purgazione per i Defunti, o abbandonarsi al desolante pensiero, che basti ogni leggera colpa per essere condannati all'Inferno. E' perciò che la esistenza di un luogo, dove le anime che si purgano delle loro colpe, si trova espressa nelle tradizioni di tutti i popoli. Maggiormente noi abbiamo la Rivelazione che ce ne parla con la Santa Tradizione.

a. La Sacra Scrittura del Vecchio Testamento ci prepara a questa dottrina attraverso la storia di Giuda Maccabeo il quale mandò a Gerusalemme una somma di danaro, acciocché s'offrissero sacrifici espiatori per i peccati dei morti in battaglia, perché è santo e salutare il pensare di pregare per i Defunti, affinché siano sciolti dei loro peccati (cfr 2Maccab.12,43-46); nel Nuovo Testamento, Gesù Cristo dice che tutto potrà essere perdonato a chi bestemmierà persino al Figlio dell'Uomo, cioè a Lui medesimo, ma che ogni perversione contro lo Spirito Santo non sarà perdonato, né in questo secolo, né in quello futuro (Mt.12,32), ci sono così peccati che potranno essere perdonati e peccati che non potranno essere condonati. Per i peccati che si possono perdonare deve esserci una purificazione per quelle anime che vi muoiono e forse anche senza loro colpa, perché uccisi in un tranello, o perché hanno avuto un incidente, e se è vero che siamo ammoniti al vigilare perché la morte sopraggiunge come un ladro nella notte, è pur vero che la misericordia di Dio conosce chi si era avviato già sulla strada della perfezione, imperciocché come nulla di impuro può entrare nel Regno dei Cieli, è vero che se non abbiamo peccato contro lo Spirito Santo, possiamo avere modo di essere purificati per un certo tempo che solo Iddio conosce a noi necessario.

b. La Santa Tradizione attraverso i Padri della Chiesa ci parlano della purificazione pelle anime nell'altro mondo. San Cipriano scrive: "Altra cosa è il ricevere tosto la mercede della fede e della virtù, altra il venir mondato dai peccati, afflitto da lungo dolore e lungamente venir purificato dal fuoco" (Ep.52), e Sant'Agostino, lagnandosi del fatto che taluni fanno poco affidamento al Purgatorio, scrive: "Quel fuoco sarà più grave di quanto nella vita presente l'uomo possa soffrire" (Om. Salm.37).

Tutte le Liturgie fin dal primo secolo hanno dei Suffragi pei Defunti, e la Santa Chiesa definì nel Concilio di Trento, che v'è il Purgatorio e che le anime che in esso vi si trovano, vengono sollevate dai Suffragi dei viventi, colle opere di misericordia, coi digiuni e colle penitenze, ma soprattutto e specialmente col Sacrificio dell'Altare, nel quale è Cristo stesso che viene offerto al Padre per la loro purificazione. (Conc. Trid. Sess.XXV. de Purgat.).

In certo qual modo, le pene del Purgatorio, consistono come quelle dell'Inferno: nella privazione della visione beatifica, e nei tormenti positivi, solo che non sono pene eterne e l'anima è definita già "santa e beata" e per mezzo dei Suffragi offerti dalla Chiesa essa stessa è sollecitata a pregare per noi viventi, poiché per essa non può più fare nulla.

Osserva San Tommaso d'Aquino che le anime purganti soffrono immensamente a motivo di questa privazione, non solo per l'amore che porta a Dio, ma pur anche per essere consapevoli che col loro contegno in vita hanno ritardato il momento di unirsi a Lui definitivamente. Con la Sacra Scrittura l'insegnamento della Chiesa ci conferma l'esistenza del fuoco purificatore "equiparandolo alle pene positive", ma come al fuoco infernale. San Paolo scrive che il fuoco proverà quale sia il lavoro, e che quello, il lavoro del quale arderà, sarà salvo, così però come attraverso il fuoco (1Cor.3,14-15) e Sant'Ambrogio dice che: "Gesù preparò un fuoco ai suoi servi per mondarli dalle impurità che contrassero vivendo in mezzo ai peccatori" (S.Ambr. de laps. Virg. cap.8 n.32), "Nolite errare: Deus non irridetur. Quae enim seminaverit homo, haec et metet / Non vi fate illusioni; non ci si può prendere gioco di Dio. Ciascuno raccoglierà quello che avrà seminato" (Gal.6,7).

 

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Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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Benedetto XVI

(Benedetto XVI Messaggio per la Quaresima 2012)

proseguiamo da sopra

fonte: La Chiesa Cattolica - la sua dottrina - Vol.II - con Imprimatur Vescovile - Trieste 1886

Mescolato anch'io con gli Apostoli, nel Cenacolo, sentirò quelle dolci parole di Gesù, Dio nostro: < amatevi gli uni gli altri, come io ho amato voi > (Gv.15,12).

- La Comunione dei Santi

 

1) Quali nozioni e quali prove della Comunione dei Santi?

 

La Chiesa Cattolica è una Istituzione Divina e perciò è Istituzione di Santificazione: essa santifica l'uomo nel Battesimo quando lo accoglie; gli ridona la perduta santità nel Sacramento della Penitenza quando il battezzato, pentito e convertito, si riconcilia con Dio; aumenta la santità delle sue membra cogli altri Sacramenti, specialmente con la Divina Eucaristia presa nello stato di grazia. Chi corrisponde alle premure della Chiesa diventa Santo, né lo diventa morendo, ma se lo è tale in vita giacché la morte non santifica nessuno, perciò semmai "si muore santi" o come si dice "in odore di santità"; e chi muore santo, se tale santità è perfetta, l'anima subito gode della beatitudine eterna, se tale ancora non lo è, lo diventerà dopo essersi reso degno con la purificazione in Purgatorio.

Imperciocché diciamo che la Chiesa Universale di Cristo opera in tre parti:

a. Chiesa militante (combattente), cioè siamo noi, viventi sulla terra, combattenti ogni giorno per la "buona battaglia", combattenti i nostri vizi e le nostre cattive inclinazioni, e combattenti con la Missione della Chiesa nel mondo;

b. Chiesa purgante, giacché le Anime del Purgatorio pur non potendo fare nulla per sé stesse, esse pregano per noi;

c. Chiesa trionfante, i Beati nel Cielo, le miriadi di Santi che ci hanno preceduto.

L'intima unione che passa tra queste "tre" Chiese si chiama Comunione dei Santi.

 

2) La Comunione dei Santi è un dogma di fede contenuto nel Simbolo Apostolico (Sanctorum Comunionem), ed espresso chiaramente nella S. Scrittura e nella Tradizione. Questa Comunione si esplica con una mutua dilezione e del mutuo soccorso fra le membra la cui descrizione ci viene fornita in diversi esempi dall'Apostolo S. Paolo: "Sicut enim in uno corpore multa membra habemus, omnia autem membra non eundem actum habent, ita multi unum corpus sumus in Christo, singuli autem alter alterius membra. / Poiché, come in un solo corpo abbiamo molte membra e queste membra non hanno tutte la medesima funzione, così anche noi, pur essendo molti, siamo un solo corpo in Cristo e ciascuno per la sua parte siamo membra gli uni degli altri" (Rom.12,4-5). San Paolo spiega che Gesù Cristo è il Capo per mezzo del quale tutto il corpo della Chiesa compaginato e connesso, per mezzo dei Sacramenti e della dottrina, mediante l'opera assegnata ai singoli membri, avente ognuno il proprio specifico ruolo, riceve incremento nella carità imperciocché Dio ha fatto nel corpo umano diverse membra, acciocché in esso non vi sia discordia, ma che tutte concorrano, vicendevolmente, per aiutarsi nella santificazione e nel crescere insieme:" Sed Deus temperavit corpus, ei, cui deerat, abundantiorem tribuendo honorem, ut non sit schisma in corpore, sed idipsum pro invicem sollicita sint membra. Et sive patitur unum membrum, compatiuntur omnia membra; sive glorificatur unum membrum, congaudent omnia membra. Vos autem estis corpus Christi et membra ex parte / Ma Dio ha composto il corpo, conferendo maggior onore a ciò che ne mancava, perché non vi fosse disunione nel corpo, ma anzi le varie membra avessero cura le une delle altre. Quindi se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme; e se un membro è onorato, tutte le membra gioiscono con lui. Ora voi siete corpo di Cristo e sue membra, ciascuno per la sua parte" (1Cor.12,24-27).

Non si dica che l'Apostolo parla solamente della Chiesa militante, imperciocché quelli che vivendo sulla terra sono membri di Gesù Cristo, cessano forse di esserlo quando sono in Cielo, o nel Purgatorio? O non si uniscono piuttosto maggiormente a Lui e per mezzo di Lui con le membra della Chiesa militante? Forse che la morte possa spezzare il vincolo della carità faticosamente raggiunto dalle membra santificate? Scrive S. Paolo: "Quis nos separabit a caritate Christi? Tribulatio an angustia an persecutio an fames an nuditas an periculum an gladius? Sicut scriptum est: Propter te mortificamur tota die, aestimati sumus ut oves occisionis ”. Sed in his omnibus supervincimus per eum, qui dilexit nos. Certus sum enim quia neque mors neque vita neque angeli neque principatus neque instantia neque futura neque virtutes neque altitudo neque profundum neque alia quaelibet creatura poterit nos separare a caritate Dei, quae est in Christo Iesu Domino nostro. / Chi ci separerà dunque dall'amore di Cristo? Forse la tribolazione, l'angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada? Proprio come sta scritto:Per causa tua siamo messi a morte tutto il giorno, siamo trattati come pecore da macello. Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori per virtù di colui che ci ha amati. Io sono infatti persuaso che né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze, né altezza né profondità, né alcun'altra creatura potrà mai separarci dall'amore di Dio, in Cristo Gesù, nostro Signore" (Rm.8,35-39).

Tutta la Tradizione della Chiesa rende poi ampia testimonianza di questo dogma. Fino dai tempi apostolici troviamo la venerazione ed invocazione dei Santi e al tempo stesso anche il Suffragio per le Anime dei Defunti, le liturgie più antiche ed i SS. Padri di tutti i tempi ne parlano e lo insegnano. San Cipriano scrive: "Siamo ricordevoli l'uno dell'altro, concordi ed unanimi sempre, l'uno per l'altro preghiamo; e se alcuno di noi per disposizione della bontà Divina sarà partito prima, continui presso il Signore la nostra dilezione, non cessi l'orazione presso la misericordia del Padre pei nostri fratelli e per le nostre sorelle" (S. Cypr. ad Cornel. Pap. - Ed.Paris 1725 pag.96).

 


[SM=g1740771] continua...

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fonte: La Chiesa Cattolica - la sua dottrina - Vol.II - con Imprimatur Vescovile - Trieste 1886

Mescolato anch'io con gli Apostoli, nel Cenacolo, sentirò quelle dolci parole di Gesù, Dio nostro: < amatevi gli uni gli altri, come io ho amato voi > (Gv.15,12).


2) Quale nesso fra i vivi e i morti?

 

Non tutti i vivi né tutti i morti appartengono alla Comunione dei Santi; imperciocché, essendo la carità il vincolo che unisce le membra della Chiesa Cattolica, e che il primo vincolo che unisce è la carità che si esplica nell'Eucaristia, Sacramento di unità feconda; chi non ha questa carità, sia egli defunto o ancora vivo in questo mondo, non partecipa dei beni comuni. Perciò:

a. non c'é alcun nesso fra i vivi, membra della Chiesa militante, e i dannati, questi non appartengono alla Città di Dio, ma al regno del demonio, o come un tralcio staccato dalla vite non riceve alcun succo dalla medesima, così i reprobi, segregati per sempre dalla società dei Santi, non possono partecipare dei frutti della vite, che è Cristo Signore (Gv.15,1);

b. non appartengono al nesso della Comunione dei Santi coloro che vivono e sono ostinati nel peccato mortale, perché rinunziando alla grazia santificante, né possono partecipare delle opere buone fatte dagli altri e del merito del Divino Sacrificio, né sono essi in grado di fare opere meritorie per la vita eterna. Tutto il vantaggio spirituale che possono ricavare dalle opere dei Santi, sia vivi che Defunti, è che la misericordia di Dio, sollecitata dalle loro suppliche, e dalle penitenze dei vivi, conceda ad essi la grazia, il tempo di convertirsi, e che l'opera ch'essi compiono, possa risultare gradita a Dio "nella persona o per commissione" di un altro, appunto, e concedere un merito che possa essere applicabile per la salvezza di qualche anima. Tale sarebbe, per esempio, il caso di un Sacerdote che in peccato mortale celebrasse la S. Messa, o facesse le Esequie per un Defunto, o d'un secolare che in peccato mortale facesse delle opere pie a cui è obbligato per volontà d'un vivente o di un Defunto (cfr. S. Thom. Summ. Suppl. P.III quest. 71 art.3), nel primo caso opererebbe il Sacerdote come ministro della Chiesa, nel secondo caso, il secolare, sarebbe uno strumento  del committente che la misericordia Divina non trascurerebbe. Il nesso della Comunione dei Santi non ha dunque luogo, che per quelli che godono in qualche modo della vita spirituale in Cristo, cioè per i viventi che si trovano in grazia di Dio: fra di loro; colle Anime sante del Purgatorio; coi Santi tutti che godono la vita eterna.

I viventi che si trovano in grazia di Dio - essi sono coloro che rifiutano di giacere nel peccato mortale, si confessano assiduamente e conducono una vita nel sacro timor di Dio, ascoltano la Santa Messa con somma devozione e ricevono spesso la santa Eucaristia nel medesimo stato di grazia  e, naturalmente, che compiono anche le opere di misericordia - partecipano non solo dei beni spirituali comuni a tutti, cioè delle orazioni della Chiesa, del frutto dei Sacramenti e specialmente di quello della Santa Messa, ma pur anche ognuno secondo la sua capacità partecipa del merito delle opere buone fatte dagli altri. La ragione di questa grande opportunità è semplice: perché - spiega S. Tommaso d'Aquino - le opere buone hanno una radice comune, esse provengono dall'unico vero Bene e colui che le compie è in qualche modo innescato a questo Bene, imperciocché tutti quelli che per la carità vi si connettono, ossia che le compiono senza pensare a sé stessi o al guadagno che da queste potrebbero trarvi ma lo fanno gratuitamente in Nome del Sommo Bene, ricavano dalle mutue opere buone un qualche prezioso vantaggio, e questo vantaggio è maggiore quando l'operante ha l'intenzione di applicare ai più bisognosi l'opera sua, specialmente verso chi necessità di soccorso spirituale a salvamento dell'anima, in tal senso così scrive San Paolo: "Sed sicut in omnibus abundatis, fide et sermone et scientia et omni sollicitudine et caritate ex nobis in vobis, ut et in hac gratia abundetis. / E come vi segnalate in ogni cosa, nella fede, nella parola, nella scienza, in ogni zelo e nella carità che vi abbiamo insegnato, così distinguetevi anche in quest'opera generosa" (2Cor.8,7), e  ancora  "in praesenti tempore vestra abundantia illorum inopiam suppleat, ut et illorum abundantia vestram inopiam suppleat / Per il momento la vostra abbondanza supplisca alla loro indigenza, perché anche la loro abbondanza supplisca alla vostra indigenza" (2Cor.8,14) e dove per indigenza, l'apostolo intende soprattutto l'indigenza spirituale.

Le Anime del Purgatorio, avendo la carità che le unisce come membra del Corpo mistico di Cristo, partecipano dei beni spirituali comuni a tutti quei che sono in grazia di Dio. La Chiesa stessa suffraga ogni giorno per i Defunti in generale, pei quali non conosciamo i nomi ma che di tutti auspichiamo la salvezza, ed anche per i Defunti in particolare sollecitando i fedeli a fare altrettanto attraverso il dono delle Sante Messe di Suffragio, quelle Messe da applicarsi per un Defunto familiare ad esempio o nello specifico quando la sia applica per le Anime del Purgatorio, e questi suffragi sono i più graditi a Dio, che li raccoglie per raddolcire le loro pene ed abbreviare il tempo del loro purgatorio. Tutte le opere buone concorrono a questo bene ma, spiega S. Tommaso d'Aquino, nate a suffragare i morti sono specialmente quelle opere che Dio ama di più: opere che concorrono alla comunione nella carità, e perciò prima opera fra tutte è la Comunione eucaristica da riceversi nello stato di grazia, Essa è vincolo d'unione ecclesiastica, l'elemosina data in nome di Cristo e guardando alla Divina Provvidenza con fiducia, questa elemosina è fondamentale per essere graditi a Dio, scrive l'Apostolo: "Beneficientiae autem et communionis nolite oblivisci; talibus enim hostiis oblectatur Deus. / Non scordatevi della beneficenza e di far parte dei vostri beni agli altri, perché di tali sacrifici il Signore si compiace" (Ebr.13,16), ed infine le orazioni, come quella che manifesta la intenzione verso l'altro.

I suffragi dei viventi, scrive Sant'Agostino: "giovano a quei Defunti, i quali mentre vivevano hanno meritato ch'essi possano loro giovare". Imperciocché v'é un modo di vivere così deciso nel bene da non aver bisogno di suffragi, ed avviene che altri siano stati così decisi nel male che, quando termina la loro vita, anche i suffragi non gli giovano, come ammonisce l'Apostolo: "Si quis videt fratrem suum peccare peccatum non ad mortem, petet, et dabit ei Deus vitam, peccantibus non ad mortem. Est peccatum ad mortem; non pro illo dico, ut roget. Omnis iniustitia peccatum est, et est peccatum non ad mortem. / Se uno vede il proprio fratello commettere un peccato che non conduce alla morte, preghi, e Dio gli darà la vita; s'intende a coloro che commettono un peccato che non conduce alla morte: c'è infatti un peccato che conduce alla morte; per questo dico di non pregare. Ogni iniquità è peccato, ma c'è il peccato che non conduce alla morte" (1Gv.5,16), e quali sono questi peccati per cui si va alla morte? I destinatari della Lettera erano forse informati su questo peccato di una gravità eccezionale. Può essere il peccato contro lo Spirito Santo, contro la verità (Mt 12,31) o l’apostasia degli anticristi, perciò, che cosa significa non pregare per questo peccato? Quando San Giovanni dice di non pregare per questo peccato non intende dire che dobbiamo escludere qualcuno dalla preghiera. Gesù non ha escluso nessuno dalla sua preghiera. Quando in croce ha detto: “Pater, dimitte illis, non enim sciunt quid faciunt / Padre perdona loro perché non sanno quello che fanno”(Lc.23,34) non ha inteso escludere i farisei, i sommi sacerdoti, Giuda, ecc... E non intendeva escludere neanche coloro che commettono un peccato contro lo Spirito Santo. San Giovanni non proibisce assolutamente di pregare per gli apostati e neppure dice che tali preghiere non saranno mai esaudite. La Chiesa infatti prega per essi il Venerdì Santo e ad ogni Divino Sacrificio dell'Altare reca la speranza, la supplica della conversione. Ma fa notare che la sua raccomandazione non riguarda tali peccatori e lascia capire che le preghiere fatte per essi più difficilmente saranno esaudite, a motivo senza dubbio dell’indurimento nel male che si verifica in coloro che abbandonano Gesù Cristo e la sua Chiesa. San Giovanni  intende affermare che per quanto riguarda i fratelli che si sono macchiati di particolari peccati mortali, è opportuno abbandonarli al giusto giudizio di Dio.

 

Questo giudizio di Dio imperciocché, non significa una condanna irrevocabile, ma implica un castigo che il Signore nella sua giustizia infligge a questi peccatori perché serva loro di salutare richiamo: in tal modo questi peccatori, tempestivamente puniti da Dio, eviteranno una condanna eterna (cfr. 1 Cor 5,5; 1 Tm 1,20).

“Quando occorrono nella S. Scrittura o nei Padri sentenze che sembrano affermare che per alcuni peccati non c’è remissione, bisogna intenderle nel senso che il loro perdono è oltremodo difficile. Come una malattia vien detta insanabile quando il malato respinge l’uso della medicina, così c’è una specie di peccato che non si rimette né si perdona perché rifugge dalla grazia di Dio, che è il rimedio suo proprio” (Catechismo Romano, c. 5,19). È questo il motivo per cui S. Tommaso affermava: “Questo non impedisce all’onnipotenza e alla misericordia di Dio di trovare la via del perdono e della guarigione che talora sana spiritualmente anche costoro in una maniera quasi prodigiosa” (Somma Teologica, II-II, 14, 3).

Perciò -risponde Sant'Agostino - quando per tutti i battezzati Defunti si offrono sacrifici, o di Sante Messe, o di elemosine, essi pei molti buoni sono rendimenti di grazie, pei non molto cattivi sono propiziazioni, ma pei molto cattivi e reprobi, benché nulla giovino ai morti, servono a consolare in qualche modo i viventi, e non ultimo, è lode che s'innalza a consolare il Divino Crocefisso che ha dato la Sua vita anche per coloro che hanno voluto dannarsi.

I Santi sono per tanto in un intimo nesso con noi, scrive San Cipriano: "Trovandosi a Dio famigliarmente vicini, sono consci dei divini secreti, e costantemente pregano la clemenza del Signore per i nostri travagli e per il conseguimento della beatitudine eterna", imperciocché, osserva San Girolamo: "Se gli Apostoli e i Martiri possono pregare per altri trovandosi col corpo, quando devono ancora essere solleciti della propria salvezza, quanto più potranno in seguito alle corone, alle vittorie, ai trionfi?" Infine ci rammenta San Tommaso d'Aquino: "non già come se in Dio vedessero o sapessero ogni cosa, ma perché spettando alla loro beata condizione il poter soccorrere chi ne abbisogna, il Signore concede loro la cognizione che a ciò si riferisce, e così è chiaro ch'essi nel Divin Verbo conoscono i voti, e le devozioni, e le preghiere degli uomini che ricorrono al loro aiuto".

 

- Le obiezioni

 

I Protestanti pur ammettendo che vi sia una specie di Comunione dei Santi che pregano "con noi", di fatto sostengono ed insegnano che noi non possiamo invocarli, e che l'unico tramite fra noi e Dio è solo Gesù Cristo, l'unico che deve essere pregato e invocato in avvocatura, l'uno mediatore fra noi e Dio.

a. Osserviamo in primo luogo che se i Santi intercedono per noi, non credono di offendere Gesù Cristo giacché sanno che ogni intercessione avviene tramite di Lui, e non v'é alcuna ragione per pensare di offendere Nostro Signore quando ai Santi ricorriamo, perché sappiamo che ogni supplica, la stessa Santa Messa, tutto passa attraverso di Lui.

b. Osserveremo in secondo luogo che la parola intercessione s'applica in modo differente da quello in cui si applica a Nostro Signore Gesù Cristo, Egli solo è infatti l'intercessore imperciocché se gli uomini ricevono grazie, e per grazia possono rivolgersi ai Santi in Cielo, questo avviene per tramite Suo, per i meriti infiniti del  Suo Divino Sacrificio, Gesù è pertanto l'intercessore necessario ed indispensabile, e chi non invoca la sua intercessione, o pretende di essere ascoltato senza vivere dei Sacramenti, dei Comandamenti e della dottrina, non può conseguire alcuna grazia, ogni intercessione infatti è subordinata alla intercessione di Gesù Cristo, è Lui che decide a chi accordare le preghiere rivolte ai Santi, è Lui che decide come e quando i Santi possono rispondere ai fedeli che li invocano (es. il compiersi dei miracoli in nome di un santo), è Lui elargitore e distributore della grazia, i Santi sono il tramite dello spargimento dei misteri, delle grazie, dei favori divini, così come è il Sacerdote, Ministro Ordinato, il tramite attraverso il quale il Signore Gesù Cristo, e tutta la Santissima Trinità, vivificano il Sacrificio dell'Altare, o come quando assolvono i penitenti dai propri peccati: il penitente riceve questa assoluzione tramite il Sacerdote il quale non agisce in nome proprio ma "nel Nome del Padre e del Figliolo e dello Spirito Santo". Il Concilio di Trento ha definito perciò: "essere cosa buona ed utile l'invocare supplichevolmente i Santi ed il ricorrere alle loro azioni, al loro soccorso e al loro aiuto, affine di impetrare da Dio dei benefici per mezzo del Suo Figliolo Gesù Cristo, nostro Signore, ch'é il solo nostro Redentore e Salvatore" (Conc. Trid. Sess. XXV).

Vi sono anche altri rami Protestanti come quello francese ed olandese, i quali sostengono che "i Santi ignorano ciò che nasce fra noi e non si danno alcun pensiero di quanto avviene sotto il sole", a questa affermazione oltre a quanto spiegato in tutto questo lavoro, ricordiamo il racconto fatto da San Paolo per la nostra edificazione nella 2Cor.12,1-5, come negare perciò che i Santi che sono puri spiriti, chiamati a condividere l'opera e le meraviglie del Signore, non conoscano per Sua grazia le cose di questa terra? La stessa parabola di Lazzaro e del ricco Epulone ci rammentano che c'è conoscenza fra questi mondi, ma un abisso li separa: Et ait: “Rogo ergo te, Pater, ut mittas eum in domum patris mei — habeo enim quinque fratres — ut testetur illis, ne et ipsi veniant in locum hunc tormentorum”. / E quegli replicò: Allora, padre, ti prego di mandarlo a casa di mio padre, perché ho cinque fratelli. Li ammonisca, perché non vengano anch'essi in questo luogo di tormento" (Lc.16,19-31), l'abisso che separa il mondo dei dannati resta separato, mentre il Cielo che separa i Santi dai viventi santificanti è raggiungibile per mezzo di Cristo, questo proprio perché la nostra meta è il Cielo e non l'Inferno, e Gesù è venuto per portarci in Cielo dove già vivono e con Lui operano i Santi, coloro che sono morti in Cristo.

Il dogma Cattolico della Comunione dei Santi fa di tutti i figliuoli di Dio una sola famiglia, separata dal luogo ma unita col vincolo della carità, prima carità unitiva, come abbiamo spiegato, è proprio la Divina Eucaristia. Questo affetto unitivo corrisponde al bisogno del nostro cuore, ed il tributo di suffragi e preghiere, di elemosine e penitenze che diamo a quelli che ci lasciarono su questa terra, per mezzo di Nostro Signore Gesù Cristo fa che viviamo ancora con essi, perché essi sono vivi seppure in un modo a noi ancora incomprensibile.

Inoltre questo dogma che proviene dalla Sacra Scrittura e che la Tradizione della Chiesa ha confermato e vincolato nella fede comune, ci solleva dagli interessi puramente materiali e ci trasporta nel modo corretto nel mondo degli spiriti:

a. le Anime del Purgatorio pregano per noi e ci ricordano anche della nostra sorte;

b. l'invocazione e il culto dei Santi ci parlano della gloria che è stata per noi preparata;

c. e la memoria, i Suffragi eucaristici per coloro che ci hanno preceduto col segno della Croce e "dormono il sonno della pace", è per noi causa di dolci emozioni e scuola di cristiane virtù. Non esiste infatti alcuna specie di "comunione con i dannati", anzi, ogni contatto con loro è espressamente vietato da Dio in tutta la Sacra Scrittura, un regno definito dei "morti", morti alla grazia, morti alla partecipazione della divinità, morti alla beatitudine. Chiunque invochi questi Defunti, si mette contro Dio e mette in pericolo la propria anima lasciandola in balia di forze occulte e demoniache.

 

  [SM=g1740771] continua......


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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21/03/2012 09:49
 
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[SM=g1740733] continua da sopra fonte:

La Chiesa Cattolica - la sua dottrina - Vol.II - con Imprimatur Vescovile - Trieste 1886


- Come avverrà la retribuzione finale?

 

1) il finimondo

 

Il Peccato Originale, attirando alla terra e agli uomini la maledizione divina (Gn.3,17), ha fatto degenerare tutte le creature le quali, come scrive San Paolo: " omnis creatura congemiscit et comparturit usque adhuc / tutta la creazione geme e soffre fino ad oggi nelle doglie del parto" (Rm.8,22), la Redenzione operata già da Gesù Cristo, spiega così l'Apostolo, rigenererà anche la natura materiale, ed il mondo sarà reso libero dalla schiavitù della materialità, da ogni corruzione alla libertà della Creazione originale, per la gloria dei Figli di Dio.

 

Ma quando avverrà tutto questo, e in che modo verrà distrutta la terra?

Tutto il capitolo 24 di San Matteo ci racconta come il Signore Gesù ha spiegato questo "finimondo" e come avverrà, ma quanto al giorno e all'ora è stato chiarissimo: " De die autem illa et hora nemo scit, neque angeli caelorum neque Filius, nisi Pater solus. / Quanto a quel giorno e a quell'ora, però, nessuno lo sa, neanche gli angeli del cielo e neppure il Figlio, ma solo il Padre" (Mt.24,36), si fugga pertanto dai falsi profeti finimondisti, seguaci di quel millenarismo sempre condannato dalla Santa Chiesa. L'aver detto, nostro Signore Gesù Cristo, che allora:" Consurget enim gens in gentem, et regnum in regnum, et erunt fames et terrae motus per loca (...) et multi pseudoprophetae surgent et seducent multos / Si solleverà popolo contro popolo e regno contro regno; vi saranno carestie e terremoti in vari luoghi (..) Sorgeranno molti falsi profeti e inganneranno molti" (Mt.24,7-11), fa si che ogni qualvolta che i tempi erano calamitosi, si predicesse vicino il termine del tempo del mondo, ma seppur non ebbe fine il mondo, sicuramente ebbero fine dei tempi che gravavano periodicamente e pesantemente contro i Cristiani.

Per capire come queste profezie di Nostro Signore vadano interpretate, è saggio e confortevole ascoltare i Santi Padri come S. Cipriano nel terzo secolo, nel quarto ne parlava S. Giovanni Grisostomo, nel sesto S. Gregorio Magno e sempre, fra i più grandi Santi c'è l'insegnamento a guardare "i segni dei tempi". La opinione che il mondo non dovrebbe durare oltre i "sei mille anni" (da non confondersi con l'eresia millenarista) è antichissima, si pensa persino apostolica, di certo è che Sant'Agostino la riporta nel suo Libro "La Città di Dio" e vi osserva che: "essendo mille anni presso Dio come un giorno solo (2Pt.3,8), come la settimana della Creazione durò sei giorni e il settimo fu di riposo, così sei mille anni durerà il tramestio delle cose terrene, ed a questo succederà il Sabbato eterno. Ma nessuno può sapere quando ciò avverrà, quando il mondo finirà, quale il suo giorno, quale la sua ora, solo ci è detto di guardare ai segni dei tempi..."

"Vigilate ergo, quia nescitis qua die Dominus vester venturus sit.  / Vegliate dunque, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà" (Mt.24,42), nell'insegnamento dei Santi Padri è più conveniente che il fedele si preoccupi più per la sua anima che non di stabilire il giorno e l'ora del finimondo: " Dico vobis: Cito faciet vindictam illorum. Verumtamen Filius hominis veniens, putas, inveniet fidem in terra? / Vi dico che farà loro giustizia prontamente. Ma il Figlio dell'uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?" (Lc.18,8), benché i segni saranno manifesti, il Signore amorevolmente continua a metterci in guardia dall'ozio spirituale: " Sicut enim erant in diebus ante diluvium comedentes et bibentes, nubentes et nuptum tradentes, usque ad eum diem, quo introivit in arcam Noe, et non cognoverunt, donec venit diluvium et tulit omnes, ita erit et adventus Filii hominis. / Infatti, come nei giorni che precedettero il diluvio mangiavano e bevevano, prendevano moglie e marito, fino a quando Noè entrò nell'arca, e non si accorsero di nulla finché venne il diluvio e inghiottì tutti, così sarà anche alla venuta del Figlio dell'uomo" (Mt.24,38-39).

Intorno al modo del finimondo, oltre quanto riportato dal Vangelo di Matteo 24, anche San Pietro scrive: " dicentes: “ Ubi est promissio adventus eius? Ex quo enim patres dormierunt, omnia sic perseverant ab initio creaturae ”. Latet enim eos hoc volentes, quod caeli erant prius, et terra de aqua et per aquam consistens Dei verbo, per quae ille tunc mundus aqua inundatus periit; caeli autem, qui nunc sunt, et terra eodem verbo repositi sunt igni, servati in diem iudicii et perditionis impiorum hominum.  / 

e diranno: "Dov'è la promessa della sua venuta? Dal giorno in cui i nostri padri chiusero gli occhi tutto rimane come al principio della creazione". Ma costoro dimenticano volontariamente che i cieli esistevano già da lungo tempo e che la terra, uscita dall'acqua e in mezzo all'acqua, ricevette la sua forma grazie alla parola di Dio; e che per queste stesse cause il mondo di allora, sommerso dall'acqua, perì. Ora, i cieli e la terra attuali sono conservati dalla medesima parola, riservati al fuoco per il giorno del giudizio e della rovina degli empi" (2Pt.3,4-7), l'uomo oggi sa che le indagini della scienza confermano le parole dell'Apostolo. Come il corpo dell'uomo ha in sé stesso il principio della dissoluzione, così racchiude la terra nelle sue viscere l'elemento che se oggi l'alimenta, domani la distruggerà. E' riportato nel Corso di Storia Naturale (Geologia di F.S. Beudant, Milano, Vallardi 1847) che le osservazioni dei dotti hanno dimostrato che ad ogni 33 metri di profondità sotto il punto della temperatura stazionaria, il calore cresce d'un grado; per il che, se anche il calore non cresce uniformemente, ad una profondità di 200 chilometri l'interna temperatura dev'essere di 4000 gradi, temperatura che mantiene in fusione qualunque corpo. Considerando ora, che il raggio terrestre è di 6000 e più chilometri, e lo spessore della crosta solida non è più che di 20 e quindi non raggiunge neppure, in paragone, allo spessore che ha il guscio dell'uovo relativamente al suo raggio, s'arriva a persuadersi, che il periodo di calma in cui si trova oggi la nostra terra (ricordiamo che questo testo è del 1886 - nota mia), periodicamente riprende le sue attività assottigliandosi sempre di più, aumentando i disastri naturali, terremoti e vulcani, e il tutto trova un appoggio anche nelle stesse leggi che sembrano reggere il mondo e che sono riportate nella "Città di Dio" di Sant'Agostino dove scrive: "In questo mondano incendio s'abbruceranno interamente le qualità degli elementi corruttibili ch'erano adatte ai nostri corpi corruttibili, e la sostanza medesima avrà quelle qualità che per ammirabile cambiamento possono convenire a corpi immortali; cioè così, che il mondo rinnovato in meglio, ben si adatti agli uomini, che pur saranno nella carne in meglio rinnovati."

Il Santo Padre della Chiesa non fa altro che riportare le parole dell'Apostolo: " Non tardat Dominus promissionem, sicut quidam tarditatem existimant, sed patienter agit in vos nolens aliquos perire, sed omnes ad paenitentiam reverti. Adveniet autem dies Domini ut fur, in qua caeli magno impetu transient, elementa vero calore solventur, et terra et opera, quae in ea invenientur. Cum haec omnia ita dissolvenda sint, quales oportet esse vos in sanctis conversationibus et pietatibus, exspectantes et properantes adventum diei Dei, propter quam caeli ardentes solventur, et elementa ignis ardore tabescent! Novos vero caelos et terram novam secundum promissum ipsius exspectamus, in quibus iustitia habitat. Propter quod, carissimi, haec exspectantes satagite immaculati et inviolati ei inveniri in pace  /  Il Signore non ritarda nell'adempiere la sua promessa, come certuni credono; ma usa pazienza verso di voi, non volendo che alcuno perisca, ma che tutti abbiano modo di pentirsi. Il giorno del Signore verrà come un ladro; allora i cieli con fragore passeranno, gli elementi consumati dal calore si dissolveranno e la terra con quanto c'è in essa sarà distrutta. Poiché dunque tutte queste cose devono dissolversi così, quali non dovete essere voi, nella santità della condotta e nella pietà, attendendo e affrettando la venuta del giorno di Dio, nel quale i cieli si dissolveranno e gli elementi incendiati si fonderanno! E poi, secondo la sua promessa, noi aspettiamo nuovi cieli e una terra nuova, nei quali avrà stabile dimora la giustizia. Perciò, carissimi, nell'attesa di questi eventi, cercate d'essere senza macchia e irreprensibili davanti a Dio, in pace". (2Pt.3,9-14)

- Diremo solamente due parole alla questione relativa dell'Anticristo.

 

L'argomento è di prudenziale trattazione e molto deve essere concepito alla luce della dottrina sulle "cose ultime" e dei Novissimi, tratteremo qui solo alcuni spunti di riflessione e di ammaestramento essenziale. La questione dell'Anticristo che precederà il ritorno di Cristo, imperciocché non si trascuri di studiare le Sacre Scritture e il magistero dei Santi i quali spiegano come per mezzo di prodigi diabolici e pervertitori l'Anticristo pretenderà d'essere Dio e di come vorrà essere adorato come Lui: cfr. 2Tess.2,4-10/Ap.13,4. La Scrittura stessa pone la figura dell'ultimo nemico di Cristo terreno, da cui appunto il nome "Anti", col duplice senso che chi sta contro Cristo, a Lui pretende di sostituirsi. Le Profezie ritenute edificanti dalla Chiesa ci mettono in guardia da questa evoluzione: prima avviene la persecuzione a Cristo il quale è stato odiato e Crocefisso, ma Lui è Risorto e da allora i nemici del Cristo, "anticristi", muovono guerra ai suoi discepoli, alla Sua Chiesa, perseguitandoli ed uccidendoli, poi alla fine dei tempi, quando ai nemici di Cristo non basterà più di perseguitare i Suoi discepoli, arriveranno tanti che diranno di essere Lui e alla fine verrà l'Anticristo che Gesù stesso, nostro Signore, sconfiggerà definitivamente.

Non si faccia ulteriore discussione dell'argomento al di fuori dell'insegnamento della Chiesa, tenendo per saggio il monito di Papa Leone X nel Quinto Concilio Lateranense del 1516, nel quale emanò il seguente Decreto: "Ordiniamo a tutti coloro che esercitano l'ufficio della predicazione o che l'eserciteranno in futuro, di non presumere di fissare nelle loro predicazioni o nelle loro affermazioni un tempo determinato per i mali futuri, sia per la venuta dell'Anticristo, sia per il giudizio finale. Poiché la Verità ha detto: non vi è dato di conoscere il tempo o il momento che il Padre ha fissato di sua propria autorità. Dunque, coloro che sino al presente, hanno osato asserire simili cose, hanno mentito, ed è accaduto che, per causa loro, un gran danno è stato arrecato all'autorità di coloro che predicano saggiamente".

La Chiesa insegna che sappiamo per certo che l'impero dell'Anticristo sarà universale, S. Giovanni ci dice che alla bestia "fu dato potere sopra ogni stirpe, popolo, lingua e nazione" (Ap.13,7), e - spiega S. Giovanni Grisostomo: " E neanche pensiamo ch'egli (l'Anticristo) sia il Diavolo o un demone, come alcuni erroneamente pensano, ma sarà uno dell'umanità (un uomo) in cui Satana abiterà totalmente (...) proferendo dalla sua bocca grande vanto, perché egli è l'uomo del peccato, il figlio della perdizione, tanto che siederà nel tempio come fosse Dio..." (S. G.Chrisost. III Om. su II.Tess. ), e S. Girolamo scrive: "Cristo non verrà a giudicare i vivi e i morti, se prima non verrà il suo avversario, l'Anticristo, a trarre in errore i morti nell'anima, sebbene attiene a un giusto giudizio di Dio che da lui siamo tratti in errore. Infatti la sua presenza avverrà nella potenza di Satana con ogni specie di portenti, di segni e prodigi, di menzogna, e con ogni sorta di inganno per quelli che si vogliono perdere. Allora Satana sarà slegato e regnerà per un certo tempo e agirà mediante l'Anticristo..." (S. Girolam. Commentariorum in Danielem).

Due sole sono le corrispondenze che noi, viventi, dobbiamo avere a riguardo di questi tempi:

a. Verumtamen Filius hominis veniens, putas, inveniet fidem in terra? / Ma il Figlio dell'uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?" (Lc.18,8);

b. et multi pseudoprophetae surgent et seducent multos. Et, quoniam abundavit iniquitas, refrigescet caritas multorum; qui autem permanserit usque in finem, hic salvus erit.  / Sorgeranno molti falsi profeti e inganneranno molti; per il dilagare dell'iniquità, l'amore di molti si raffredderà. Ma chi persevererà sino alla fine, sarà salvato" (Mt.24,11-13).

 

 

- Conclusione dei Capitoli trattati

 

L'uomo è nato per essere felice, ma la sua felicità non può che trovarla in Dio. S'illude chi pensa che esistano altre strade, e s'illude chi pensa che dopo la morte non vi sia nulla per cui non valga la pena di discutere sul proprio senso della vita. Il tentativo di stravolgere questa felicità è sempre stato presente in ogni società e ad ogni generazione, imperciocché troppi rifiutano di studiare le radici di questi stravolgimenti che sono nel Peccato Originale. Ma l'uomo è nato per essere veramente felice e i nostri primi padri la cercarono rendendosi indipendenti da Dio, e finirono col precipitare, ma la misericordia Divina riorganizzò la vita così  che, l'uomo soffrendo su questa terra le conseguenze del peccato, trovasse in un mondo migliore la sua felicità. A questo convito di eterna beatitudine, Dio chiama tutti, perché tutti vuole che si salvino (1Tim.2,4), ma non tutti corrispondono a questo invito.

Per superare le difficoltà di questa apologetica Cattolica, è necessario munirsi di tutte le virtù e di esercitarle ogni giorno, non serve alcuna scienza, serve solo la volontà per accogliere il messaggio contenuto, affidarsi alla Divina Provvidenza, Pregare, mantenersi nello stato di grazia sfruttando spesso il Sacramento della Penitenza, ricevere la Divina Eucaristia.

Alla Beatissima Vergine Maria, Madre di Dio e Madre nostra, noi che ricorriamo supplici mentre viviamo in questa valle di lacrime, affidiamo la conversione di tutti i cuori che tanto dolore costano al suo Cuore Immacolato, e tanto dolore costò al suo Divin Figlio, Gesù Cristo, il nostro Signore Dio.

 

Sia lodato Gesù Cristo +

 

P.S. I Sacramenti verranno trattati in un capitolo a parte.

 

[SM=g1740771] 

 


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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[SM=g1740758] 9 Domande sull’Anno della Fede
 
Il prossimo 11 ottobre avrà inizio l’Anno della Fede indetto da Benedetto XVI. Di che si tratta? Che cosa desidera il Santo Padre? Che cosa possiamo fare noi? Ecco, a due mesi dall’inizio, le risposte a queste domande.

09 agosto 2012



 
 
1. Che cos’è l’Anno della Fede?

L’Anno della Fede “è un invito a un’autentica e rinnovata conversione al Signore, unico Salvatore del mondo” (Porta Fidei, 6).


2. Quando inizia e quando finisce?

Inizia l’11 ottobre 2012 e finirà il 24 novembre 2013.


3. Perché sono state scelte queste date?

L’11 ottobre 2012 ricorrono due anniversari: il 50° anniversario dell’apertura del Concilio Vaticano II e il 20° anniversario della promulgazione del Catechismo della Chiesa Cattolica. Il giorno della chiusura, il 24 novembre 2013, è la solennità di Cristo Re.


4. Perché il Papa ha indetto un Anno della Fede?



“Mentre nel passato era possibile riconoscere un tessuto culturale unitario, ampiamente accolto nel suo richiamo ai contenuti della fede e ai valori da essa ispirati, oggi non sembra più essere così in grandi settori della società, a motivo di una profonda crisi di fede che ha toccato molte persone”. Per questo il Papa invita “a un’autentica e rinnovata conversione al Signore, unico Salvatore del mondo”. L’obiettivo principale di questo anno è che ogni cristiano possa riscoprire il cammino della fede per mettere in luce con sempre maggiore evidenza la gioia e il rinnovato entusiasmo dell’incontro con Cristo”.


5. Quali mezzi ha indicato il Santo Padre?


 
Come ha esposto nel Motu Proprio “Porta Fidei”: intensificare la celebrazione della fede nella liturgia, e in particolare nell’Eucaristia; dare testimonianza della propria fede; riscoprire i contenuti della propria fede, esposti principalmente nel Catechismo.


6. Dove avrà luogo?

Come ha detto Benedetto XVI, la portata sarà universale. “Avremo l’opportunità di confessare la fede nel Signore Risorto nelle nostre cattedrali e nelle chiese di tutto il mondo; nelle nostre case e presso le nostre famiglie, perché ognuno senta forte l’esigenza di conoscere meglio e di trasmettere alle generazioni future la fede di sempre. Le comunità religiose come quelle
parrocchiali, e tutte le realtà ecclesiali antiche e nuove, troveranno il modo, in questo Anno, per rendere pubblica professione del Credo”.


7. Dove trovare indicazioni più precise?

In una nota pubblicata dalla Congregazione per la Dottrina della Fede. Vi si propone, per esempio:

- Incoraggiare i pellegrinaggi dei fedeli alla Sede di Pietro.

- Organizzare pellegrinaggi, celebrazioni e incontri presso i principali Santuari.

- Organizzare simposi, convegni e raduni che favoriscano la conoscenza dei contenuti della dottrina della Chiesa Cattolica e tengano aperto il dialogo tra fede e ragione.

- Leggere e rileggere i principali documenti del Concilio Vaticano II.

- Accogliere con maggiore attenzione le omelie, le catechesi, i discorsi e gli altri interventi del Santo Padre.

- Produrre trasmissioni televisive o radiofoniche, filmati e pubblicazioni, anche a livello popolare, accessibili a un ampio pubblico, sul tema della fede.

- Far conoscere i santi di ogni territorio, autentici testimoni della fede.

- Stimolare l’apprezzamento del patrimonio artistico religioso.

- Preparare e divulgare sussidi dal carattere apologetico per aiutare i fedeli a rispondere meglio ai loro interrogativi.

- Organizzare momenti di catechesi destinati ai giovani affinché scoprano la bellezza della fede.

- Accostarsi con maggior fede e frequenza al sacramento della Penitenza.

- Usare nelle scuole il Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica.

- Organizzare gruppi di lettura del Catechismo e intensificarne la diffusione e la vendita.


8. Quali documenti posso leggere ora?

Il Motu Proprio di Benedetto XVI “Porta Fidei”;

La nota con le indicazioni pastorali per l’Anno della Fede;

Il Catechismo della Chiesa Cattolica;

I 40 “riassunti sulla fede cristiana”.


9. Dove possono trovare altre informazioni?

Visita il website www.annusfidei.va
 
 
fonte: Opus Dei

Read more: http://sursumcorda-dominum.blogspot.com/2012/09/9-domande-sullanno-della-fede.html#ixzz25XQyLang




[SM=g1740771]

[SM=g1740722] Dieci modi per vivere l'Anno della Fede

Messa, catechismo, vite dei Santi: dieci consigli pratici per vivere con frutto l'Anno della Fede .. senza perdersi in chiacchiere [SM=g1740721]

di S.E. David Ricken

Per onorare il 50° anniversario del Concilio Vaticano II e il 20° anniversario del Catechismo della Chiesa Cattolica, Papa Benedetto XVI ha annunciato un Anno della Fede che inizierà l'11 ottobre e si concluderà il 24 novembre 2013. Lo scopo è quello di rafforzare la fede dei cattolici e attirare il mondo alla fede con la forza del loro esempio.

Il vescovo David Ricken di Green Bay, Wisconsin, presidente della Commissione per l'Evangelizzazione e la Catechesi della Conferenza Episcopale degli Stati Uniti, offre '10 modi con i quali i cattolici possono vivere l'Anno della Fede'. Tratti dalle direttive della Congregazione Vaticana per la Dottrina della Fede, alcuni di questi suggerimenti sono già richiesti ai cattolici; altri si possono osservare in qualsiasi tempo e soprattutto durante l'Anno della Fede:


1. Partecipare alla Santa Messa. L'Anno della Fede intende promuovere l'incontro personale con Gesù. Nel modo più immediato ciò avviene nell'Eucaristia. Una partecipazione regolare alla Messa rafforza la propria fede attraverso le Scritture, il Credo, le orazioni, la musica sacra, l'omelia, ricevendo la Comunione e facendo parte di una comunità di fede.


2. Confessarsi. Come per la Messa, i cattolici ricevono forza e approfondiscono la loro fede celebrando il sacramento della Penitenza e Riconciliazione. La Confessione sollecita a ritornare a Dio, ad esprimere dolore per le cadute e ad aprire la propria vita alla potenza della grazia risanante di Dio. Perdona le ferite del passato e dona forza per il futuro.


3. Conoscere le vite dei santi. I santi sono esempi validi per tutti i tempi di come vivere una vita cristiana, e suscitano una speranza infinita. Non solo essi erano dei peccatori che incessantemente cercavano di camminare verso Dio, ma esemplificano anche le modalità con le quali servire Dio: l'insegnamento, il lavoro missionario, la carità, la preghiera e semplicemente sforzandosi di piacere a Dio nelle azioni e decisioni ordinarie della vita quotidiana.


4. Leggere la Bibbia ogni giorno. La Bibbia offre un accesso diretto alla Parola di Dio e narra la storia della salvezza degli uomini. I cattolici pregano con le Scritture (seguendo il metodo della Lectio Divina o altri) per meglio sintonizzarsi con la Parola di Dio. Non si può prescindere dalla Bibbia per una sana crescita durante l'Anno della Fede.


5. Leggere i documenti del Vaticano II. Il Concilio Vaticano II (1962 - 65) ha portato un grande rinnovamento nella Chiesa. Un rinnovamento nella celebrazione della Messa, nel ruolo dei laici, nell'autocomprensione della Chiesa e nella relazione con gli altri cristiani e i non-cristiani. Per portare avanti il rinnovamento, i cattolici devono conoscere ciò che insegna il Concilio e come esso arricchisce la vita dei credenti.


6. Studiare il Catechismo. Il Catechismo della Chiesa Cattolica, pubblicato esattamente 30 anni dopo l'inizio del Concilio, tratta in un solo volume dei dogmi di fede, della dottrina morale, della preghiera e dei sacramenti della Chiesa cattolica. E' una vera risorsa per crescere nella comprensione della fede.


7. Volontariato in parrocchia. L'Anno della Fede non può limitarsi allo studio e alla riflessione. Il solido fondamento delle Scritture, del Concilio e del Catechismo devono tradursi in azione. Un ottimo luogo per iniziare è la parrocchia, poiché i carismi di ognuno aiutano a costruire la comunità. Chiunque è benvenuto per divenire ministro di accoglienza, musicista liturgico, lettore, catechista e tanti altri ruoli della vita parrocchiale.


8. Aiutare i bisognosi. La Chiesa sollecita i cattolici a donazioni di carità e a soccorrere i bisognosi durante l'Anno della fede, poichè nel povero, nell'emarginato e nel vulnerabile si incontra Cristo perssonalmente. Aiutarli ci conduce a faccia a faccia con Cristo e costituisce un esempio per tutti gli altri.


9. Invitare un amico a Messa. L'Anno della Fede ha certamente una rilevanza globale, e intende promuovere un rinnovamento di fede e di evangelizzazione per l'intera Chiesa, ma un cambiamento reale avviene a livello locale. Un invito personale può davvero fare la differenza per qualcuno che si è allontanato dalla fede o si sente alieno dalla Chiesa. Tutti conosciamo persone così, per cui è bello poterli amichevolmente invitare.


10. Incarnare le Beatitudini nella vita di tutti i giorni. Le Beatitudini (Mt. 5, 3-12) forniscono un ricco programma per la vita cristiana. Metterle in pratica è molto utile per essere più umili, più pazienti, più giusti, più trasparenti, più misericordiosi e più liberi. E' precisamente l'esempio di fede vissuta che attira verso la Chiesa nell'Anno della Fede.

Sito della Conferenza Episcopale degli USA, 24/09/2012
http://www.usccb.org/news/2012/12-150.cfm
trad. it. di d. Giorgio Rizzieri

Vai agli altri articoli della sezione Anno della Fede & Nuova Evangelizzazione

(26/09/2012)



[Modificato da Caterina63 27/09/2012 20:53]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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25/09/2012 21:12
 
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La Nuova Evangelizzazione e l'Anno della Fede passano anche attraverso un buon catechismo. Un parroco si inventa un "giuramento cattolico" per i suoi catechisti

Ci scrive don Pierangelo Rigon, della Parrocchia di San Pancrazio di Ancignano (a Sandrigo, Vi) che ci invia una sorta di "giuramento cattolico" che egli da quest'anno propone (e non impone, -per ora?-) da firmare alle catechiste all'atto del conferimento dell'incarico.
L'iniziativa è lodevole, viste le condizioni in cui versano il catechismo e le modalità di insegnamento (relativizzato) della dottrina cattolica ai fanciulli.

Il contenuto poi è curato, serio e completo: impegno a rispettare la dottrina della Chiesa Cattolica e a dare l'esempio con la preghiera e la frequentazione delle SS. Messe in parrocchia.

Fin ora solo alcune catechieste hanno firmato... (e le altre? cosa non piace loro? il punto 2 o gli altri?).
Il parrocco ci ha dato la facoltà di pubblicare quest "accettazione di incarico di catechiesta" (equivalente un po' al giuramento dei sacerdoti-vescovi per l'assunzione degli uffici ecclesiastici) per dare l'esempio ed esortare i suoi confratelli, se non proprio a fare firmare una dichiarazione come la seguente, ma almeno a ricordare loro di vigilare sui catechisti e sull'insegnamento del catechismo (quello della Chiesa, e non quello personale del catechista) ai ragazzi.

Ci piace la coincidenza dell'inaugurazione di questo "Giuramento/impegno" per  l'anno pastorale 2012-2013 con l'inizio dell'anno della Fede. Anche da qui passa la Nuova Evangelizzazione. Se finalmente si tornerà a insegnare ai ragazzi la Dottrina Cattolica trasmessa e e insegnata dalla Chiesa (e non opinioni personali, punti di vista ecc...), si ricomincerà a trasmettere i veri valori del cattolicesimo (da applicare anche nella scuola, in famiglia, società, nel lavoro ecc) e i ragazzi se li porteranno dietro crescendo. E' il primo passo, forse piccolo ma bisognava pur farlo. Bravo don Pierangelo. Bella idea! Speriamo altri sacerdoti seguano l'esempio.

Ma quando si ritornerà a: Domanda - "Chi è Dio?"; Risposta - "Dio è l'Essere perfettissimo, Creatore e Signore del cielo e della terra". ?
 
Prendiamo in prestito un bel commento che ha lasciato un lettore sul "giuramento" seguente. Vale la pena proporlo a tutti i lettori perchè con poche ma chiare parole tesse un bell'elogio (schietto ma non melenso) al testo di don Rigon.
Spero non ce ne voglia per il plagio.
"Il testo proposto non è semplicemente rigoroso, ma anche umano e, direi, qualcosa di più: espressione di carità. Sono perfino previsti i contrasti " affrontando eventuali difficoltà nello stile della carità e della franchezza evangelica" ( secondo quanto indicato nel "Discorso della Montagna" ). Ci sono termini e concetti che il "neoclericalese" sembrava non contemplare più: "UMILE ossequio della mente e del CUORE": "e per l'EDIFICAZIONE nella fede". Da notare anche l'impegno alla preparazione con la preghiera e CON LO STUDIO ( indice della più grande serietà ). Tutto il testo indica un insieme di solidità, delicatezza, spiritualità. Insomma, c'è buona e santa stoffa."
 
***
ACCETTAZIONE DEL MINISTERO DI CATECHISTA
 PER L’ANNO 2012 – 2013

Nella piena consapevolezza di quanto comporta il servizio di catechista che la Chiesa Cattolica mi affida tramite il parroco, accetto liberamente questo compito, impegnandomi in particolare:
- a prepararmi convenientemente con la preghiera e lo studio personale e intervenendo agli incontri formativi proposti in Parrocchia o fuori di essa;
- ad insegnare e trasmettere, in materia di fede e di morale, non mie opinioni personali, o quelle che sento comunemente circolare, ma soltanto ciò che la Chiesa Cattolica insegna e trasmette e che io accetto con umile ossequio della mente e del cuore;
- a dare buon esempio di vita cristiana con la parola, con il comportamento, con la partecipazione all’Eucaristia domenicale, per quanto possibile nella propria Comunità Parrocchiale;
- a collaborare con il sacerdote e gli altri catechisti, affrontando eventuali difficoltà nello stile della carità e della franchezza evangelica, solo ed esclusivamente per il bene dei ragazzi a me affidati e per l’edificazione nella fede dell’intera Comunità;

Nel presente Anno Catechistico - Pastorale seguirò i ragazzi di _____________________   (indicare la classe)

_____________________________ (firma leggibile)


* * *
DICHIARAZIONE DEL SACERDOTE RESPONSABILE DELLA COMUNITÀ PARROCCHIALE DI ANCIGNANO

Preso atto di questa disponibilità, conferisco il ministero di catechista a ______________________

per l’anno ____________________ e m’impegno a sostenerlo/a con la preghiera, il consiglio, la formazione individuale e collettiva.
Che Dio ci aiuti!
 _____________________________________________  (firma del parroco e timbro parrocchiale)

 Ancignano, li _________________________


[SM=g1740722]


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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