Riforma del processo canonico per le cause di dichiarazione di nullità del matrimonio

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Caterina63
00lunedì 7 settembre 2015 14:02

Avviso di Conferenza Stampa, 07.09.2015


Si avvisano i giornalisti accreditati che domani, martedì 8 settembre 2015, alle ore 12.00, nell’Aula “Giovanni Paolo II” della Sala Stampa della Santa Sede, avrà luogo la Conferenza stampa di presentazione delle due Lettere motu proprio datae di Papa Francesco 
Mitis Iudex Dominus Iesus 
Mitis et misericors Iesus, 
sulla riforma del processo canonico per le cause di dichiarazione di nullità del matrimonio, rispettivamente nel Codice di Diritto Canonico e nel Codice dei Canoni delle Chiese Orientali
.

Parteciperanno e interverranno nell’ordine:

S.E. Rev.ma Mons. Pio Vito Pinto, Decano della Rota Romana e Presidente della Commissione speciale per la Riforma del processo matrimoniale canonico;
Em.mo Card. Francesco Coccopalmerio, Presidente del Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi e Membro della Commissione speciale;
S.E. Rev.ma Mons. Dimitrios Salachas, Esarca Apostolico di Atene per i cattolici greci di rito bizantino e Membro della Commissione speciale;
S.E. Rev.ma Mons. Luis Francisco Ladaria Ferrer, S.I., Segretario della Congregazione per la Dottrina della Fede e Membro della Commissione speciale;
Mons. Alejandro W. Bunge, Prelato Uditore della Rota Romana e Segretario della Commissione speciale;
Rev. P. Nikolaus Schöch, O.F.M., Promotore di Giustizia Sostituto del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica e Segretario della Commissione speciale.

I testi dei documenti in forma cartacea (in latino e nella traduzione in lingua italiana) saranno a disposizione dei giornalisti accreditati a partire dalle ore 10.30 di domani martedì 8 settembre con Embargo fino alle ore 12.30.

***

La conferenza stampa potrà essere seguita in diretta streaming audio-video tramite:

il VaticanPlayer via web digitando http://player.rv.va

il Canale TheVatican su YouTube digitando http://youtube.com/vatican

le App RadioVaticana per Android – iPhone – Windowsphone. Le app si possono scaricare direttamente dal sito della Radio Vaticana: www.radiovaticana.va

[01417-IT.01]




"Quanto alle dichiarazioni di nullità dei matrimoni, nessuno ignora essere la Chiesa guardinga e aliena dal favorirle.
Se infatti la tranquillità, la stabilità e la sicurezza dell’umano commercio in genere esigono che i contratti non siano con leggerezza proclamati nulli, ciò vale ancor più per un contratto di tanto momento, qual è il matrimonio, la cui fermezza e stabilità sono richieste dal bene comune della società umana e dal bene privato dei coniugi e della prole, e la cui dignità di Sacramento vieta che ciò che è sacro e sacramentale vada di leggieri esposto al pericolo di profanazione. "

Pio XII - Allocuzione alla Rota Romana, 3 ottobre 1941


  


e stamani - 8 settembre - il Papa all'omelia del mattino ci ha dato già la chiave di come interpretare i due MP :

 Il compito di Gesù, ha detto, è stato proprio “riconciliare e pacificare”. Ma, ha avvertito, Dio per riconciliare non fa “una grande assemblea”, non firma “un documento”. Dio, ha affermato, “pacifica con una modalità speciale. Riconcilia e pacifica nel piccolo e nel cammino”.









Caterina63
00martedì 8 settembre 2015 13:12

LETTERA APOSTOLICA 
IN FORMA DI «MOTU PROPRIO»

DEL SOMMO PONTEFICE 
FRANCESCO

MITIS IUDEX DOMINUS IESUS

SULLA RIFORMA DEL PROCESSO CANONICO PER LE CAUSE DI DICHIARAZIONE DI NULLITÀ DEL MATRIMONIO
NEL CODICE DI DIRITTO CANONICO

 

Il Signore Gesù, Giudice clemente, Pastore delle nostre anime, ha affidato all’Apostolo Pietro e ai suoi Successori il potere delle chiavi per compiere nella Chiesa l’opera di giustizia e verità; questa suprema e universale potestà, di legare e di sciogliere qui in terra, afferma, corrobora e rivendica quella dei Pastori delle Chiese particolari, in forza della quale essi hanno il sacro diritto e davanti al Signore il dovere di giudicare i propri sudditi.[1]

Nel volgere dei secoli la Chiesa in materia matrimoniale, acquisendo coscienza più chiara delle parole di Cristo, ha inteso ed esposto più approfonditamente la dottrina dell’indissolubilità del sacro vincolo del coniugio, ha elaborato il sistema delle nullità del consenso matrimoniale e ha disciplinato più adeguatamente il processo giudiziale in materia, di modo che la disciplina ecclesiastica fosse sempre più coerente con la verità di fede professata.

Tutto ciò è stato sempre fatto avendo come guida la legge suprema della salvezza delle anime,[2] giacché la Chiesa, come ha saggiamente insegnato il Beato Paolo VI, è un disegno divino della Trinità, per cui tutte le sue istituzioni, pur sempre perfettibili, devono tendere al fine di comunicare la grazia divina e favorire continuamente, secondo i doni e la missione di ciascuno, il bene dei fedeli, in quanto scopo essenziale della Chiesa.[3]

Consapevole di ciò, ho stabilito di mettere mano alla riforma dei processi di nullità del matrimonio, e a questo fine ho costituito un Gruppo di persone eminenti per dottrina giuridica, prudenza pastorale ed esperienza forense, che, sotto la guida dell’Eccellentissimo Decano della Rota Romana, abbozzassero un progetto di riforma, fermo restando comunque il principio dell’indissolubilità del vincolo matrimoniale. Lavorando alacremente, questo Coetus ha apprestato uno schema di riforma, che, sottoposto a meditata considerazione, con l’ausilio di altri esperti, è ora trasfuso in questo Motu proprio.

È quindi la preoccupazione della salvezza delle anime, che – oggi come ieri – rimane il fine supremo delle istituzioni, delle leggi, del diritto, a spingere il Vescovo di Roma ad offrire ai Vescovi questo documento di riforma, in quanto essi condividono con lui il compito della Chiesa, di tutelare cioè l’unità nella fede e nella disciplina riguardo al matrimonio, cardine e origine della famiglia cristiana. Alimenta la spinta riformatrice l’enorme numero di fedeli che, pur desiderando provvedere alla propria coscienza, troppo spesso sono distolti dalle strutture giuridiche della Chiesa a causa della distanza fisica o morale; la carità dunque e la misericordia esigono che la stessa Chiesa come madre si renda vicina ai figli che si considerano separati.

In questo senso sono anche andati i voti della maggioranza dei miei Fratelli nell’Episcopato, riuniti nel recente Sinodo straordinario, che ha sollecitato processi più rapidi ed accessibili.[4] In totale sintonia con tali desideri, ho deciso di dare con questo Motu proprio disposizioni con le quali si favorisca non la nullità dei matrimoni, ma la celerità dei processi, non meno che una giusta semplicità, affinché, a motivo della ritardata definizione del giudizio, il cuore dei fedeli che attendono il chiarimento del proprio stato non sia lungamente oppresso dalle tenebre del dubbio.

Ho fatto ciò, comunque, seguendo le orme dei miei Predecessori, i quali hanno voluto che le cause di nullità del matrimonio vengano trattate per via giudiziale, e non amministrativa, non perché lo imponga la natura della cosa, ma piuttosto lo esiga la necessità di tutelare in massimo grado la verità del sacro vincolo: e ciò è esattamente assicurato dalle garanzie dell’ordine giudiziario.

Si segnalano alcuni criteri fondamentali che hanno guidato l’opera di riforma.

I. – Una sola sentenza in favore della nullità esecutiva. – È parso opportuno, anzitutto, che non sia più richiesta una doppia decisione conforme in favore della nullità del matrimonio, affinché le parti siano ammesse a nuove nozze canoniche, ma che sia sufficiente la certezza morale raggiunta dal primo giudice a norma del diritto.

II. – Il giudice unico sotto la responsabilità del Vescovo. – La costituzione del giudice unico, comunque chierico, in prima istanza viene rimessa alla responsabilità del Vescovo, che nell’esercizio pastorale della propria potestà giudiziale dovrà assicurare che non si indulga a qualunque lassismo.

III. – Lo stesso Vescovo è giudice. – Affinché sia finalmente tradotto in pratica l’insegnamento del Concilio Vaticano II in un ambito di grande importanza, si è stabilito di rendere evidente che il Vescovo stesso nella sua Chiesa, di cui è costituito pastore e capo, è per ciò stesso giudice tra i fedeli a lui affidati. Si auspica pertanto che nelle grandi come nelle piccole diocesi lo stesso Vescovo offra un segno della conversione delle strutture ecclesiastiche,[5] e non lasci completamente delegata agli uffici della curia la funzione giudiziaria in materia matrimoniale. Ciò valga specialmente nel processo più breve, che viene stabilito per risolvere i casi di nullità più evidente.

IV. – Il processo più breve. – Infatti, oltre a rendere più agile il processo matrimoniale, si è disegnata una forma di processo più breve – in aggiunta a quello documentale come attualmente vigente –, da applicarsi nei casi in cui l’accusata nullità del matrimonio è sostenuta da argomenti particolarmente evidenti.

Non mi è tuttavia sfuggito quanto un giudizio abbreviato possa mettere a rischio il principio dell’indissolubilità del matrimonio; appunto per questo ho voluto che in tale processo sia costituito giudice lo stesso Vescovo, che in forza del suo ufficio pastorale è con Pietro il maggiore garante dell’unità cattolica nella fede e nella disciplina.

V. – L’appello alla Sede Metropolitana. – Conviene che si ripristini l’appello alla Sede del Metropolita, giacché tale ufficio di capo della provincia ecclesiastica, stabile nei secoli, è un segno distintivo della sinodalità nella Chiesa.

VI. – Il compito proprio delle Conferenze Episcopali. – Le Conferenze Episcopali, che devono essere soprattutto spinte dall’ansia apostolica di raggiungere i fedeli dispersi, avvertano fortemente il dovere di condividere la predetta conversione, e rispettino assolutamente il diritto dei Vescovi di organizzare la potestà giudiziale nella propria Chiesa particolare.

Il ripristino della vicinanza tra il giudice e i fedeli, infatti, non avrà successo se dalle Conferenze non verrà ai singoli Vescovi lo stimolo e insieme l’aiuto a mettere in pratica la riforma del processo matrimoniale.

Insieme con la prossimità del giudice curino per quanto possibile le Conferenze Episcopali, salva la giusta e dignitosa retribuzione degli operatori dei tribunali, che venga assicurata la gratuità delle procedure, perché la Chiesa, mostrandosi ai fedeli madre generosa, in una materia così strettamente legata alla salvezza delle anime manifesti l’amore gratuito di Cristo dal quale tutti siamo stati salvati.

VII. – L’appello alla Sede Apostolica. – Conviene comunque che si mantenga l’appello al Tribunale ordinario della Sede Apostolica, cioè la Rota Romana, nel rispetto di un antichissimo principio giuridico, così che venga rafforzato il vincolo fra la Sede di Pietro e le Chiese particolari, avendo tuttavia cura, nella disciplina di tale appello, di contenere qualunque abuso del diritto, perché non abbia a riceverne danno la salvezza delle anime.

La legge propria della Rota Romana sarà al più presto adeguata alle regole del processo riformato, nei limiti del necessario.

VIII. – Previsioni per le Chiese Orientali. – Tenuto conto, infine, del peculiare ordinamento ecclesiale e disciplinare delle Chiese Orientali, ho deciso di emanare separatamente, in questa stessa data, le norme per riformare la disciplina dei processi matrimoniali nel Codice dei Canoni delle Chiese Orientali.

Tutto ciò opportunamente considerato, decreto e statuisco che il Libro VII del Codice di Diritto Canonico, Parte III, Titolo I, Capitolo I sulle cause per la dichiarazione di nullità del matrimonio (cann. 1671-1691), dal giorno 8 dicembre 2015 sia integralmente sostituito come segue:

Art. 1 - Il foro competente e i tribunali

Can. 1671 § 1. Le cause matrimoniali dei battezzati per diritto proprio spettano al giudice ecclesiastico.

§ 2. Le cause sugli effetti puramente civili del matrimonio spettano al magistrato civile, a meno che il diritto particolare non stabilisca che le medesime cause, qualora siano trattate incidentalmente e accessoriamente, possano essere esaminate e decise dal giudice ecclesiastico.

Can. 1672. Nelle cause di nullità del matrimonio, che non siano riservate alla Sede Apostolica, sono competenti: 1° il tribunale del luogo in cui il matrimonio fu celebrato; 2° il tribunale del luogo in cui una o entrambe le parti hanno il domicilio o il quasi-domicilio; 3° il tribunale del luogo in cui di fatto si debba raccogliere la maggior parte delle prove.

Can. 1673 § 1. In ciascuna diocesi il giudice di prima istanza per le cause di nullità del matrimonio, per le quali il diritto non faccia espressamente eccezione, è il Vescovo diocesano, che può esercitare la potestà giudiziale personalmente o per mezzo di altri, a norma del diritto.

§ 2. Il Vescovo costituisca per la sua diocesi il tribunale diocesano per le cause di nullità del matrimonio, salva la facoltà per lo stesso Vescovo di accedere a un altro viciniore tribunale diocesano o interdiocesano.

§ 3. Le cause di nullità del matrimonio sono riservate a un collegio di tre giudici. Esso deve essere presieduto da un giudice chierico, i rimanenti giudici possono anche essere laici.

§ 4. Il Vescovo Moderatore, se non è possibile costituire il tribunale collegiale in diocesi o nel vicino tribunale che è stato scelto a norma del § 2, affidi le cause a un unico giudice chierico che, ove sia possibile, si associ due assessori di vita specchiata, esperti in scienze giuridiche o umane, approvati dal Vescovo per questo compito; allo stesso giudice unico competono, salvo che risulti diversamente, le funzioni attribuite al collegio, al preside o al ponente.

§ 5. Il tribunale di seconda istanza per la validità deve sempre essere collegiale, secondo il disposto del precedente § 3.

§ 6. Dal tribunale di prima istanza si appella al tribunale metropolitano di seconda istanza, salvo il disposto dei cann. 1438-1439 e 1444.

Art. 2 - Il diritto di impugnare il matrimonio

Can. 1674 § 1. Sono abili ad impugnare il matrimonio: 1° i coniugi; 2° il promotore di giustizia, quando la nullità sia già stata divulgata, se non si possa convalidare il matrimonio o non sia opportuno.

§ 2. Il matrimonio che, viventi entrambi i coniugi, non fu accusato, non può più esserlo dopo la morte di entrambi o di uno di essi, a meno che la questione della validità non pregiudichi la soluzione di un’altra controversia sia in foro canonico sia in foro civile.

§ 3. Se poi un coniuge muore durante il processo, si osservi il can. 1518.

Art. 3 - L’introduzione e l’istruzione della causa

Can. 1675. Il giudice, prima di accettare la causa, deve avere la certezza che il matrimonio sia irreparabilmente fallito, in modo che sia impossibile ristabilire la convivenza coniugale.

Can. 1676 § 1. Ricevuto il libello, il Vicario giudiziale, se ritiene che esso goda di qualche fondamento, lo ammetta e, con decreto apposto in calce allo stesso libello, ordini che una copia venga notificata al difensore del vincolo e, se il libello non è stato sottoscritto da entrambe le parti, alla parte convenuta, dandole il termine di quindici giorni per esprimere la sua posizione riguardo alla domanda.

§ 2. Trascorso il predetto termine, dopo aver nuovamente ammonito, se e in quanto lo ritenga opportuno, l’altra parte a manifestare la sua posizione, il Vicario giudiziale con proprio decreto determini la formula del dubbio e stabilisca se la causa debba trattarsi con il processo ordinario o con il processo più breve a norma dei cann. 1683-1687. Tale decreto sia subito notificato alle parti e al difensore del vincolo.

§ 3. Se la causa deve essere trattata con il processo ordinario, il Vicario giudiziale, con lo stesso decreto, disponga la costituzione del collegio dei giudici o del giudice unico con i due assessori secondo il can. 1673 § 4.

§ 4. Se invece viene disposto il processo più breve, il Vicario giudiziale proceda a norma del can. 1685.

§ 5. La formula del dubbio deve determinare per quale capo o per quali capi è impugnata la validità delle nozze.

Can. 1677 § 1. Il difensore del vincolo, i patroni delle parti, e, se intervenga nel giudizio, anche il promotore di giustizia, hanno diritto: 1° di essere presenti all'esame delle parti, dei testi e dei periti, salvo il disposto del can. 1559; 2° di prendere visione degli atti giudiziari, benché non ancora pubblicati, e di esaminare i documenti prodotti dalle parti.

§ 2. Le parti non possono assistere all’esame di cui al § 1, n.1.

Can. 1678 § 1. Nelle cause di nullità del matrimonio, la confessione giudiziale e le dichiarazioni delle parti, sostenute da eventuali testi sulla credibilità delle stesse, possono avere valore di prova piena, da valutarsi dal giudice considerati tutti gli indizi e gli amminicoli, se non vi siano altri elementi che le confutino.

§ 2. Nelle medesime cause, la deposizione di un solo teste può fare pienamente fede, se si tratta di un teste qualificato che deponga su cose fatte d’ufficio, o le circostanze di fatti e di persone lo suggeriscono.

§ 3. Nelle cause in materia di impotenza o di difetto del consenso per malattia mentale o per anomalia di natura psichica il giudice si avvalga dell’opera di uno o più periti, se dalle circostanze non appare evidentemente inutile; nelle altre cause si osservi il disposto del can. 1574.

§ 4. Ogniqualvolta nell’istruttoria della causa fosse insorto un dubbio assai probabile che il matrimonio non sia stato consumato, il tribunale, sentite le parti, può sospendere la causa di nullità, completare l’istruttoria in vista della dispensa super rato, ed infine trasmettere gli atti alla Sede Apostolica insieme alla domanda di dispensa di uno o di entrambi i coniugi ed al voto del tribunale e del Vescovo.

Art. 4 - La sentenza, le sue impugnazioni e la sua esecuzione

Can. 1679. La sentenza che per la prima volta ha dichiarato la nullità del matrimonio, decorsi i termini stabiliti nei cann. 1630-1633, diventa esecutiva.

Can. 1680 § 1. Alla parte, che si ritenga onerata, e parimenti al promotore di giustizia e al difensore del vincolo rimane il diritto di interporre querela di nullità della sentenza o appello contro la medesima sentenza ai sensi dei cann. 1619-1640.

§ 2. Decorsi i termini stabiliti dal diritto per l’appello e la sua prosecuzione, dopo che il tribunale di istanza superiore ha ricevuto gli atti giudiziari, si costituisca il collegio dei giudici, si designi il difensore del vincolo e le parti vengano ammonite a presentare le osservazioni entro un termine prestabilito; trascorso tale termine, il tribunale collegiale, se l’appello risulta manifestamente dilatorio, confermi con proprio decreto la sentenza di prima istanza.

§ 3. Se l’appello è stato ammesso, si deve procedere allo stesso modo come in prima istanza, con i dovuti adattamenti.

§ 4. Se nel grado di appello viene introdotto un nuovo capo di nullità del matrimonio, il tribunale lo può ammettere e su di esso giudicare come se fosse in prima istanza.

Can. 1681. Se è stata emanata una sentenza esecutiva, si può ricorrere in qualunque momento al tribunale di terzo grado per la nuova proposizione della causa a norma del can. 1644, adducendo nuovi e gravi prove o argomenti entro il termine perentorio di trenta giorni dalla proposizione dell’impugnazione.

Can. 1682 § 1. Dopo che la sentenza che ha dichiarato la nullità del matrimonio è divenuta esecutiva, le parti il cui matrimonio è stato dichiarato nullo possono contrarre nuove nozze, a meno che non lo proibisca un divieto apposto alla sentenza stessa oppure stabilito dall’Ordinario del luogo.

§ 2. Non appena la sentenza è divenuta esecutiva, il Vicario giudiziale la deve notificare all’Ordinario del luogo in cui fu celebrato il matrimonio. Questi poi deve provvedere affinché al più presto si faccia menzione nei registri dei matrimoni e dei battezzati della nullità di matrimonio decretata e degli eventuali divieti stabiliti.

Art. 5 - Il processo matrimoniale più breve davanti al Vescovo

Can. 1683. Allo stesso Vescovo diocesano compete giudicare la cause di nullità del matrimonio con il processo più breve ogniqualvolta:

1° la domanda sia proposta da entrambi i coniugi o da uno di essi, col consenso dell’altro;

2° ricorrano circostanze di fatti e di persone, sostenute da testimonianze o documenti, che non richiedano una inchiesta o una istruzione più accurata, e rendano manifesta la nullità.

Can. 1684. Il libello con cui si introduce il processo più breve, oltre agli elementi elencati nel can. 1504, deve: 1° esporre brevemente, integralmente e chiaramente i fatti su cui si fonda la domanda; 2° indicare le prove, che possano essere immediatamente raccolte dal giudice; 3° esibire in allegato i documenti su cui si fonda la domanda.

Can. 1685. Il Vicario giudiziale, nello stesso decreto con cui determina la formula del dubbio nomini l’istruttore e l’assessore e citi per la sessione, da celebrarsi a norma del can. 1686 non oltre trenta giorni, tutti coloro che devono parteciparvi.

Can. 1686. L’istruttore, per quanto possibile, raccolga le prove in una sola sessione e fissi il termine di quindici giorni per la presentazione delle osservazioni in favore del vincolo e delle difese di parte, se ve ne siano.

Can. 1687 § 1. Ricevuti gli atti, il Vescovo diocesano, consultatosi con l’istruttore e l’assessore, vagliate le osservazioni del difensore del vincolo e, se vi siano, le difese delle parti, se raggiunge la certezza morale sulla nullità del matrimonio, emani la sentenza. Altrimenti rimetta la causa al processo ordinario.

§ 2. Il testo integrale della sentenza, con la motivazione, sia notificato al più presto alle parti.

§ 3. Contro la sentenza del Vescovo si dà appello al Metropolita o alla Rota Romana; se la sentenza è stata emessa dal Metropolita, si dà appello al suffraganeo più anziano; e contro la sentenza di altro Vescovo che non ha un’autorità superiore sotto il Romano Pontefice, si dà appello al Vescovo da esso stabilmente designato.

§ 4. Se l’appello evidentemente appare meramente dilatorio, il Metropolita o il Vescovo di cui al § 3, o il Decano della Rota Romana, lo rigetti a limine con un suo decreto; se invece l’appello è ammesso, si rimetta la causa all’esame ordinario di secondo grado.

Art. 6 - Il processo documentale

Can. 1688. Ricevuta la domanda presentata a norma del can. 1676, il Vescovo diocesano o il Vicario giudiziale o il Giudice designato, tralasciate le formalità del processo ordinario, citate però le parti e con l’intervento del difensore del vincolo, può dichiarare con sentenza la nullità del matrimonio, se da un documento che non sia soggetto a contraddizione o ad eccezione alcuna, consti con certezza dell’esistenza di un impedimento dirimente o del difetto della forma legittima, purché sia chiaro con eguale sicurezza che non fu concessa la dispensa, oppure del difetto di un mandato valido in capo al procuratore.

Can. 1689 § 1. Contro questa dichiarazione il difensore del vincolo, se prudentemente giudichi che non vi sia certezza dei difetti di cui al can. 1688 ovvero della mancata dispensa, deve appellare al giudice di seconda istanza, al quale si devono trasmettere gli atti avvertendolo per scritto che si tratta di un processo documentale.

§ 2. Alla parte che si ritiene onerata resta il diritto di appellare.

Can. 1690. Il giudice di seconda istanza, con l’intervento del difensore del vincolo e dopo aver udito le parti, decida allo stesso modo di cui nel can. 1688 se la sentenza debba essere confermata o se piuttosto si debba procedere nella causa per il tramite ordinario del diritto; nel qual caso la rimandi al tribunale di prima istanza.

Art. 7 - Norme generali

Can. 1691 § 1. Nella sentenza si ammoniscano le parti sugli obblighi morali o anche civili, cui siano eventualmente tenute l’una verso l’altra e verso la prole, per quanto riguarda il sostentamento e l’educazione.

§ 2. Le cause per la dichiarazione di nullità del matrimonio non possono essere trattate con il processo contenzioso orale di cui nei cann. 1656-1670.

§ 3. In tutte le altre cose che si riferiscono alla procedura, si devono applicare, a meno che la natura della cosa si opponga, i canoni sui giudizi in generale e sul giudizio contenzioso ordinario, osservate le norme speciali per le cause sullo stato delle persone e per le cause riguardanti il bene pubblico.

* * *

La disposizione del can. 1679 si applicherà alle sentenze dichiarative della nullità del matrimonio pubblicate a partire dal giorno in cui questo Motu proprio entrerà in vigore.

Al presente documento vengono unite delle regole procedurali, che ho ritenuto necessarie per la corretta e accurata applicazione della legge rinnovata, da osservarsi diligentemente a tutela del bene dei fedeli.

Ciò che è stato da me stabilito con questo Motu proprio, ordino che sia valido ed efficace, nonostante qualsiasi disposizione in contrario, anche se meritevole di specialissima menzione.

Affido con fiducia all’intercessione della gloriosa e benedetta sempre Vergine Maria, Madre di misericordia, e dei santi Apostoli Pietro e Paolo l’operosa esecuzione del nuovo processo matrimoniale.

Dato a Roma, presso San Pietro, il 15 del mese di agosto, nell’Assunzione della Beata Vergine Maria dell’anno 2015, terzo del mio Pontificato.

Francesco



Regole procedurali per la trattazione delle cause di nullità matrimoniale

La III Assemblea Generale Straordinaria del Sinodo dei Vescovi, celebrata nel mese di ottobre 2014, ha constatato la difficoltà dei fedeli di raggiungere i tribunali della Chiesa. Poiché il Vescovo, come il buon Pastore, è tenuto ad andare incontro ai suoi fedeli che hanno bisogno di particolare cura pastorale, unitamente con le norme dettagliate per l’applicazione del processo matrimoniale, è sembrato opportuno, data per certa la collaborazione del Successore di Pietro e dei Vescovi nel diffondere la conoscenza della legge, offrire alcuni strumenti affinché l’operato dei tribunali possa rispondere alle esigenze dei fedeli, che richiedono l’accertamento della verità sull’esistenza o no del vincolo del loro matrimonio fallito.

Art. 1. Il Vescovo in forza del can. 383 § 1 è tenuto a seguire con animo apostolico i coniugi separati o divorziati, che per la loro condizione di vita abbiano eventualmente abbandonato la pratica religiosa. Egli quindi condivide con i parroci (cfr. can. 529 § 1) la sollecitudine pastorale verso questi fedeli in difficoltà.

Art. 2. L’indagine pregiudiziale o pastorale, che accoglie nelle strutture parrocchiali o diocesane i fedeli separati o divorziati che dubitano della validità del proprio matrimonio o sono convinti della nullità del medesimo, è orientata a conoscere la loro condizione e a raccogliere elementi utili per l’eventuale celebrazione del processo giudiziale, ordinario o più breve. Tale indagine si svolgerà nell’ambito della pastorale matrimoniale diocesana unitaria.

Art. 3. La stessa indagine sarà affidata a persone ritenute idonee dall’Ordinario del luogo, dotate di competenze anche se non esclusivamente giuridico-canoniche. Tra di esse vi sono in primo luogo il parroco proprio o quello che ha preparato i coniugi alla celebrazione delle nozze. Questo compito di consulenza può essere affidato anche ad altri chierici, consacrati o laici approvati dall’Ordinario del luogo.

La diocesi, o più diocesi insieme, secondo gli attuali raggruppamenti, possono costituire una struttura stabile attraverso cui fornire questo servizio e redigere, se del caso, un Vademecum che riporti gli elementi essenziali per il più adeguato svolgimento dell’indagine.

Art. 4. L’indagine pastorale raccoglie gli elementi utili per l’eventuale introduzione della causa da parte dei coniugi o del loro patrono davanti al tribunale competente. Si indaghi se le parti sono d’accordo nel chiedere la nullità.

Art. 5. Raccolti tutti gli elementi, l’indagine si chiude con il libello, da presentare, se del caso, al competente tribunale.

Art. 6. Dal momento che il Codice di diritto canonico deve essere applicato sotto tutti gli aspetti, salve le norme speciali, anche ai processi matrimoniali, a mente del can. 1691 § 3, le presenti regole non intendono esporre minutamente l’insieme di tutto il processo, ma soprattutto chiarire le principali innovazioni legislative e, ove occorra, integrarle.

Titolo I - Il foro competente e i tribunali

Art. 7 § 1. I titoli di competenza di cui al can. 1672 sono equivalenti, salvaguardato per quanto possibile il principio di prossimità fra il giudice e le parti.

§ 2. Mediante la cooperazione fra tribunali, poi, a mente del can. 1418, si assicuri che chiunque, parte o teste, possa partecipare al processo col minimo dispendio.

Art. 8 § 1. Nelle diocesi che non hanno un proprio tribunale, il Vescovo si preoccupi di formare quanto prima, anche mediante corsi di formazione permanente e continua, promossi dalle diocesi o dai loro raggruppamenti e dalla Sede Apostolica in comunione di intenti, persone che possano prestare la loro opera nel tribunale per le cause matrimoniali da costituirsi.

§ 2. Il Vescovo può recedere dal tribunale interdiocesano costituito a norma del can. 1423.

Titolo II - Il diritto di impugnare il matrimonio

Art. 9. Se il coniuge muore durante il processo, prima che la causa sia conclusa, l’istanza viene sospesa finché l’altro coniuge o un altro interessato richieda la prosecuzione; in questo caso si deve provare l’interesse legittimo.

Titolo III - L’introduzione e l’istruzione della causa

Art. 10. Il giudice può ammettere la domanda orale ogniqualvolta la parte sia impedita a presentare il libello: tuttavia, egli ordini al notaio di redigere per iscritto un atto che deve essere letto alla parte e da questa approvato, e che tiene luogo del libello scritto dalla parte a tutti gli effetti di legge.

Art. 11 § 1. Il libello sia esibito al tribunale diocesano o al tribunale interdiocesano che è stato scelto a norma del can. 1673 § 2.

§ 2. Si reputa che non si oppone alla domanda la parte convenuta che si rimette alla giustizia del tribunale o, ritualmente citata una seconda volta, non dà alcuna risposta.

Titolo IV - La sentenza, le sue impugnazioni e la sua esecuzione

Art. 12. Per conseguire la certezza morale necessaria per legge, non è sufficiente una prevalente importanza delle prove e degli indizi, ma occorre che resti del tutto escluso qualsiasi dubbio prudente positivo di errore, in diritto e in fatto, ancorché non sia esclusa la mera possibilità del contrario.

Art. 13. Se una parte ha dichiarato di rifiutare di ricevere qualsiasi informazione relativa alla causa, si ritiene che abbia rinunciato ad ottenere la copia della sentenza. In tal caso può esserle notificato il solo dispositivo della sentenza.

Titolo V - Il processo matrimoniale più breve davanti al Vescovo

Art. 14 § 1. Tra le circostanze che possono consentire la trattazione della causa di nullità del matrimonio per mezzo del processo più breve secondo i cann. 1683-1687, si annoverano per esempio: quella mancanza di fede che può generare la simulazione del consenso o l’errore che determina la volontà, la brevità della convivenza coniugale, l’aborto procurato per impedire la procreazione, l’ostinata permanenza in una relazione extraconiugale al tempo delle nozze o in un tempo immediatamente successivo, l’occultamento doloso della sterilità o di una grave malattia contagiosa o di figli nati da una precedente relazione o di una carcerazione, la causa del matrimonio del tutto estranea alla vita coniugale o consistente nella gravidanza imprevista della donna, la violenza fisica inferta per estorcere il consenso, la mancanza di uso di ragione comprovata da documenti medici, ecc.

§ 2. Tra i documenti che sostengono la domanda vi sono tutti i documenti medici che possono rendere inutile acquisire una perizia d’ufficio.

Art. 15. Se è stato presentato il libello per introdurre un processo ordinario, ma il Vicario giudiziale ritiene che la causa possa essere trattata con il processo più breve, egli, nel notificare il libello a norma del can. 1676 § 1, inviti la parte che non lo abbia sottoscritto a comunicare al tribunale se intenda associarsi alla domanda presentata e partecipare al processo. Egli, ogniqualvolta sia necessario, inviti la parte o le parti che hanno sottoscritto il libello ad integrarlo al più presto a norma del can. 1684.

Art. 16. Il Vicario giudiziale può designare se stesso come istruttore; però per quanto sia possibile nomini un istruttore dalla diocesi di origine della causa.

Art. 17. Nell’emettere la citazione ai sensi del can. 1685, le parti siano informate che, se non fossero stati allegati al libello, possono, almeno tre giorni prima della sessione istruttoria, presentare gli articoli degli argomenti sui quali si chiede l’interrogatorio delle parti o dei testi.

Art. 18. § 1. Le parti e i loro avvocati possono assistere all’escussione delle altre parti e dei testi, a meno che l’istruttore ritenga, per le circostanze di cose e di persone, che si debba procedere diversamente.

§ 2. Le risposte delle parti e dei testi devono essere redatte per iscritto dal notaio, ma sommariamente e soltanto in ciò che si riferisce alla sostanza del matrimonio controverso.

Art. 19. Se la causa viene istruita presso un tribunale interdiocesano, il Vescovo che deve pronunziare la sentenza è quello del luogo in base al quale si stabilisce la competenza a mente del can. 1672. Se poi siano più di uno, si osservi per quanto possibile il principio della prossimità tra le parti e il giudice.

Art. 20 § 1. Il Vescovo diocesano stabilisca secondo la sua prudenza il modo con cui pronunziare la sentenza.

§ 2. La sentenza, comunque sottoscritta dal Vescovo insieme con il notaio, esponga in maniera breve e ordinata i motivi della decisione e ordinariamente sia notificata alle parti entro il termine di un mese dal giorno della decisione.

Titolo VI - Il processo documentale

Art. 21. Il Vescovo diocesano e il Vicario giudiziale competenti si determinano a norma del can. 1672.

 



[1] Cf. Concilio ecumenico Vaticano II, Const. dogm. Lumen Gentium, n. 27.

[2] Cf. CIC, can. 1752.

[3] Cf. Paolo VI, Allocuzione ai partecipanti del II Convengo Internazionale di Diritto Canonico, il 17 settembre 1973.

[4] Cf. Relatio Synodi, n. 48.

[5] Cf. Francesco, Esortazione Apostolica Evangelii gaudium, n. 27, in AAS 105 (2013), p. 1031.




Caterina63
00martedì 8 settembre 2015 13:13

LETTERA APOSTOLICA 
IN FORMA DI «MOTU PROPRIO»

DEL SOMMO PONTEFICE 
FRANCESCO

MITIS ET MISERICORS IESUS

SULLA RIFORMA DEL PROCESSO CANONICO PER LE CAUSE DI DICHIARAZIONE DI NULLITÀ DEL MATRIMONIO
NEL CODICE DEI CANONI DELLE CHIESE ORIENTALI

 

Francesco P.P.

 

Gesù, clemente e misericordioso Pastore e Giudice delle nostre anime, ha affidato all’Apostolo Pietro e ai suoi Successori il potere delle chiavi per compiere nella Chiesa l’opera di giustizia e verità. Questa suprema e universale potestà, di legare e di sciogliere qui in terra, afferma, corrobora e rivendica quella dei Pastori delle Chiese particolari, in forza della quale essi hanno il sacro diritto e davanti al Signore il dovere di giudicare i propri sudditi.[1]

Il mio venerato predecessore, il santo pontefice Giovanni Paolo II, promulgando il Codice dei canoni della Chiese orientali, ebbe a sottolineare: “Fin dall’inizio della codificazione canonica delle chiese orientali, la stessa costante volontà dei romani pontefici di promulgare due codici, uno per la chiesa latina e l’altro per le chiese orientali cattoliche, dimostra molto chiaramente che essi volevano conservare ciò che è avvenuto per provvidenza divina nella chiesa, cioè che essa, riunita da un unico Spirito, deve respirare come con i due polmoni dell’Oriente e dell’Occidente e ardere nella carità di Cristo come con un solo cuore composto da due ventricoli”.[2]

Seguendo anch’io la stessa scia, e tenendo conto del peculiare ordinamento ecclesiale e disciplinare delle Chiese orientali, ho deciso di emanare con un motu proprio distinto le norme per riformare la disciplina dei processi matrimoniali nel Codice dei Canoni delle Chiese Orientali.

Nel volgere dei secoli la Chiesa in materia matrimoniale, acquisendo coscienza più chiara delle parole di Cristo, ha inteso ed esposto più approfonditamente la dottrina dell’indissolubilità del sacro vincolo del coniugio, ha elaborato il sistema delle nullità del consenso matrimoniale e ha disciplinato più adeguatamente il processo giudiziale in materia, di modo che la disciplina ecclesiastica fosse sempre più coerente con la verità di fede compresa fino in fondo. Tutto ciò è stato sempre fatto avendo come guida la legge suprema della salvezza delle anime.

In questa prospettiva, importantissimo è il ministero del Vescovo, il quale, secondo l’insegnamento dei Padri orientali, è giudice e medico, poiché l’uomo, ferito e caduto (peptokόs) a causa del peccato originale e dei propri peccati personali, divenuto infermo, con le medicine della penitenza ottiene da Dio la guarigione e il perdono e viene riconciliato con la Chiesa. Il Vescovo infatti – costituito dallo Spirito Santo come figura di Cristo e al posto di Cristo (“eis typon kai tòpon Christou”) – è anzitutto ministro della divina misericordia; pertanto l’esercizio della potestà giudiziale è il luogo privilegiato in cui, mediante l’applicazione dei principi della “oikonomia” e della “akribeia”, egli porta ai fedeli bisognosi la misericordia risanatrice del Signore.

Tutto ciò che ho stabilito con questo motu proprio, l’ho fatto seguendo le orme dei miei Predecessori, i quali hanno voluto che le cause di nullità del matrimonio vengano trattate per via giudiziale, e non amministrativa, non perché lo imponga la natura della cosa, ma piuttosto lo esiga la necessità di tutelare in massimo grado la verità del sacro vincolo: e ciò è esattamente assicurato dalle garanzie dell’ordine giudiziario.

Si segnalano alcuni criteri fondamentali che hanno guidato l’opera di riforma.

È parso opportuno, anzitutto, che non sia più richiesta una doppia decisione conforme in favore della nullità del matrimonio, affinché le parti siano ammesse a nuove nozze canoniche, ma che sia sufficiente la certezza morale raggiunta dal primo giudice a norma del diritto.

La costituzione del giudice unico, comunque chierico, in primo grado viene rimessa alla responsabilità del Vescovo, che nell’esercizio pastorale della propria potestà giudiziale dovrà assicurare che non si indulga a qualunque lassismo.

Affinché sia finalmente tradotto in pratica l’insegnamento del Concilio Vaticano II in un ambito di grande importanza, si è stabilito di rendere evidente che il Vescovo stesso nella sua Chiesa, di cui è costituito pastore e capo, è per ciò stesso giudice tra i fedeli a lui affidati. Si auspica pertanto che nelle grandi come nelle piccole eparchie lo stesso Vescovo offra un segno della conversione delle strutture ecclesiastiche,[3] e non lasci completamente delegata agli uffici della curia la funzione giudiziaria in materia matrimoniale. Ciò valga specialmente nel processo più breve, che viene stabilito per risolvere i casi di nullità più evidente.

Oltre a rendere più agile il processo matrimoniale, si è disegnata una forma di processo più breve – in aggiunta a quello documentale come attualmente vigente –, da applicarsi nei casi in cui l’accusata nullità del matrimonio è sostenuta da argomenti particolarmente evidenti. Non mi è tuttavia sfuggito quanto un giudizio abbreviato possa mettere a rischio il principio dell’indissolubilità del matrimonio; appunto per questo ho voluto che in tale processo sia costituito giudice lo stesso Vescovo, che in forza del suo ufficio pastorale è con Pietro il maggiore garante dell’unità cattolica nella fede e nella disciplina.

L’appello alla Sede Metropolitana, come ufficio capitale della provincia ecclesiastica, stabile nei secoli, è un segno distintivo della primigenia forma della sinodalità nelle Chiese orientali, che deve essere sostenuto e incoraggiato.

I Sinodi delle Chiese orientali, che devono essere soprattutto spinti dall’ansia apostolica di raggiungere i fedeli dispersi, avvertano fortemente il dovere di condividere la predetta conversione, e rispettino assolutamente il diritto dei Vescovi di organizzare la potestà giudiziale nella propria Chiesa particolare. Il ripristino della vicinanza tra il giudice e i fedeli, infatti, non avrà successo se dai Sinodi non verrà ai singoli Vescovi lo stimolo e insieme l’aiuto a mettere in pratica la riforma del processo matrimoniale.

Insieme con la prossimità del giudice curino per quanto possibile i Sinodi, salva la giusta e dignitosa retribuzione degli operatori dei tribunali, che venga assicurata la gratuità delle procedure, perché la Chiesa, mostrandosi ai fedeli madre generosa, in una materia così strettamente legata alla salvezza delle anime manifesti l’amore gratuito di Cristo dal quale tutti siamo stati salvati.

Conviene finalmente che si mantenga l’appello al Tribunale ordinario della Sede Apostolica, cioè la Rota Romana, nel rispetto di un antichissimo principio giuridico, così che venga rafforzato il vincolo fra la Sede di Pietro e le Chiese particolari, avendo tuttavia cura, nella disciplina di tale appello, di contenere qualunque abuso del diritto, perché non abbia a riceverne danno la salvezza delle anime.

La legge propria della Rota Romana sarà al più presto adeguata alle regole del processo riformato, nei limiti del necessario.

Tutto ciò opportunamente considerato, decreto e statuisco che il Titolo XXVI del Codice dei canoni delle Chiese orientali, Capitolo I, Articolo I Le cause per la dichiarazione della nullità matrimoniale (cann. 1357-1377), dal giorno 8 dicembre 2015 sia integralmente sostituito come segue:

1.° Il foro competente e i tribunali

Can. 1357 § 1. Qualsiasi causa matrimoniale di un battezzato spetta per diritto proprio alla Chiesa.

§ 2. Fermi restando, dove sono vigenti, gli Statuti personali, le cause riguardanti gli effetti meramente civili del matrimonio, se sono trattate in modo principale, spettano al giudice civile; ma se sono trattate in modo incidentale e accessorio, possono essere esaminate e definite di propria autorità anche dal giudice ecclesiastico.

Can. 1358. Nelle cause di nullità del matrimonio, che non siano riservate alla Sede Apostolica, sono competenti: 1° il tribunale del luogo in cui il matrimonio fu celebrato; 2° il tribunale del luogo in cui una o entrambe le parti hanno il domicilio o il quasi-domicilio; 3° il tribunale del luogo in cui di fatto si debba raccogliere la maggior parte delle prove.

Can. 1359 § 1. In ciascuna eparchia il giudice nel primo grado del giudizio per le cause di nullità del matrimonio, per le quali il diritto non faccia espressamente eccezione, è il Vescovo eparchiale, che può esercitare la potestà giudiziale personalmente o per mezzo di altri, a norma del diritto.

§ 2. Il Vescovo costituisca per la sua eparchia il tribunale eparchiale per le cause di nullità del matrimonio, salva la facoltà per lo stesso Vescovo di accedere a un altro viciniore tribunale eparchiale o per diverse eparchie.

§ 3. Le cause di nullità del matrimonio sono riservate a un collegio di tre giudici. Esso deve essere presieduto da un giudice chierico, i rimanenti giudici possono anche essere altri fedeli cristiani.

§ 4. Il Vescovo Moderatore, se non è possibile costituire il tribunale collegiale nell’eparchia o nel vicino tribunale che è stato scelto a norma del § 2, affidi le cause a un unico giudice chierico che, ove sia possibile, si associ due assessori di vita specchiata, esperti in scienze giuridiche o umane, approvati dal Vescovo per questo compito; allo stesso giudice unico competono, salvo che risulti diversamente, le funzioni attribuite al collegio, al preside o al ponente.

§ 5. Il tribunale di primo grado per la validità deve sempre essere collegiale, secondo il disposto del precedente § 3.

§ 6. Dal tribunale di primo grado si appella al tribunale metropolitano di secondo grado, salvo il disposto dei cann. 1064 e 1067, § 5.

2.° Il diritto di impugnare il matrimonio

Can. 1360 § 1. Sono abili a impugnare il matrimonio: 1° i coniugi; 2° il promotore di giustizia, quando la nullità sia già stata divulgata e il matrimonio non può oppure non conviene che sia convalidato.

§ 2. Il matrimonio che non è stato accusato mentre erano viventi entrambi i coniugi, dopo la morte di uno di loro o di entrambi i coniugi non può essere accusato, a meno che la questione di validità non sia pregiudiziale a un’altra controversia da risolvere sia in foro ecclesiastico sia in foro civile.

§ 3. Se invece un coniuge muore mentre è pendente la causa, si osservi il can. 1199.

3.° L’introduzione e l’istruzione della causa

Can. 1361. Il giudice, prima di accettare la causa, deve avere la certezza che il matrimonio sia irreparabilmente fallito, in modo che sia impossibile ristabilire la convivenza coniugale.

Can. 1362 § 1. Ricevuto il libello, il Vicario giudiziale, se ritiene che esso goda di qualche fondamento, lo ammetta e, con decreto apposto in calce allo stesso libello, ordini che una copia venga notificata al difensore del vincolo e, se il libello non è stato sottoscritto da entrambe le parti, alla parte convenuta, dandole il termine di quindici giorni per esprimere la sua posizione riguardo alla domanda.

§ 2. Trascorso il predetto termine, dopo aver nuovamente ammonito, se e in quanto lo ritenga opportuno, l’altra parte a manifestare la sua posizione, il Vicario giudiziale con proprio decreto determini la formula del dubbio e stabilisca se la causa debba trattarsi con il processo ordinario o con il processo più breve a norma dei cann. 1369-1373. Tale decreto sia subito notificato alle parti e al difensore del vincolo.

§ 3. Se la causa deve essere trattata con il processo ordinario, il Vicario giudiziale, con lo stesso decreto, disponga la costituzione del collegio dei giudici o del giudice unico con i due assessori secondo il can. 1359 § 4.

§ 4. Se invece viene disposto il processo più breve, il Vicario giudiziale proceda a norma del can. 1371.

§ 5. La formula del dubbio non chieda solo se consta della validità del matrimonio nel caso, ma deve definire per quale capo o per quali capi di nullità è impugnata.

Can. 1363 § 1. Il difensore del vincolo, i patroni delle parti, e, se partecipa al giudizio, anche il promotore di giustizia, hanno diritto: 1° di essere presenti all’interrogatorio delle parti, dei testimoni e dei periti, salvo restando il can. 1240; 2° di prendere visione degli atti giudiziari, anche se non ancora pubblicati, e di esaminare i documenti prodotti dalle parti.

§ 2. Le parti non possono assistere all’interrogatorio di cui nel § 1, n.1.

Can. 1364 § 1. Nelle cause di nullità del matrimonio, la confessione giudiziale e le dichiarazioni delle parti, sostenute da eventuali testi sulla credibilità delle stesse, possono avere valore di prova piena, da valutarsi dal giudice considerati tutti gli indizi e gli amminicoli, se non vi siano altri elementi che le confutino.

§ 2. Nelle medesime cause, la deposizione di un solo teste può fare pienamente fede, se si tratta di un teste qualificato che deponga su cose fatte d’ufficio, o le circostanze di fatti e di persone lo suggeriscono.

§ 3. Nelle cause di impotenza o di difetto di consenso per una malattia mentale o per anomalia di natura psichica il giudice si serva dell’opera di uno o più periti, a meno che non appaia dalle circostanze evidentemente inutile; in tutte le altre cause si osservi il can. 1255.

§ 4. Se nell’istruttoria della causa è emerso il dubbio molto probabile che il matrimonio non sia stato consumato, il tribunale, sentite le parti, può sospendere la causa di nullità del matrimonio e completare l’istruttoria per ottenere lo scioglimento del matrimonio sacramentale non consumato; quindi invii gli atti alla Sede Apostolica unitamente alla domanda di questo scioglimento, fatta da l’uno o l’altro o di entrambi i coniugi, e col voto del tribunale e del Vescovo eparchiale.

4.° La sentenza, le sue impugnazioni e la sua esecuzione

Can. 1365. La sentenza che per la prima volta ha dichiarato la nullità del matrimonio, decorsi i termini stabiliti nei cann. 1311-1314, diventa esecutiva.

Can. 1366 § 1. Alla parte, che si ritenga onerata, e parimenti al promotore di giustizia e al difensore del vincolo rimane il diritto di interporre querela di nullità della sentenza o appello contro la medesima sentenza ai sensi dei cann. 1302-1321.

§ 2. Decorsi i termini stabiliti dal diritto per l’appello e la sua prosecuzione, dopo che il tribunale di grado superiore ha ricevuto gli atti giudiziari, si costituisca il collegio dei giudici, si designi il difensore del vincolo e le parti vengano ammonite a presentare le osservazioni entro un termine prestabilito; trascorso tale termine, il tribunale collegiale, se l’appello risulta manifestamente dilatorio, confermi con proprio decreto la sentenza di primo grado.

§ 3. Se l’appello è stato ammesso, si deve procedere allo stesso modo come in primo grado, con i dovuti adattamenti.

§ 4. Se nel grado di appello si adduce un nuovo capo di nullità, il tribunale può ammetterlo come nel primo grado del giudizio e giudicare su di esso.

Can. 1367. Se è stata emanata una sentenza esecutiva, si può ricorrere in qualunque momento al tribunale di terzo grado per la nuova proposizione della causa a norma del can. 1325, adducendo nuovi e gravi prove o argomenti entro il termine perentorio di trenta giorni dalla proposizione dell’impugnazione.

Can. 1368 § 1. Dopo che la sentenza che ha dichiarato la nullità del matrimonio è divenuta esecutiva, le parti il cui matrimonio è stato dichiarato nullo possono contrarre nuove nozze, a meno che non lo proibisca un divieto apposto alla sentenza stessa oppure stabilito dal Gerarca del luogo.

§ 2. Appena la sentenza è diventata esecutiva, il Vicario giudiziale deve notificarla al Gerarca del luogo dove il matrimonio è stato celebrato; questo Gerarca poi deve provvedere perché al più presto si faccia menzione nei libri dei matrimoni e dei battezzati della nullità dichiarata del matrimonio e degli eventuali divieti stabiliti.

5.° Il processo matrimoniale più breve davanti al Vescovo

Can. 1369. Allo stesso Vescovo eparchiale compete giudicare la cause di nullità del matrimonio con il processo più breve ogniqualvolta:

 la domanda sia proposta da entrambi i coniugi o da uno di essi, col consenso dell’altro;

 ricorrano circostanze di fatti e di persone, sostenute da testimonianze o documenti, che non richiedano una inchiesta o una istruzione più accurata, e rendano manifesta la nullità.

Can. 1370. Il libello con cui si introduce il processo più breve, oltre agli elementi elencati nel can. 1187, deve: 1° esporre brevemente, integralmente e chiaramente i fatti su cui si fonda la domanda; 2° indicare le prove, che possano essere immediatamente raccolte dal giudice; 3° esibire in allegato i documenti su cui si fonda la domanda.

Can. 1371. Il Vicario giudiziale, nello stesso decreto con cui determina la formula del dubbio nomini l’istruttore e l’assessore e citi per la sessione, da celebrarsi a norma del can. 1372 non oltre trenta giorni, tutti coloro che devono parteciparvi.

Can. 1372. L’istruttore, per quanto possibile, raccolga le prove in una sola sessione e fissi il termine di quindici giorni per la presentazione delle osservazioni in favore del vincolo e delle difese di parte, se ve ne siano.

Can. 1373 § 1. Ricevuti gli atti, il Vescovo eparchiale, consultatosi con l’istruttore e l’assessore, vagliate le osservazioni del difensore del vincolo e, se vi siano, le difese delle parti, se raggiunge la certezza morale sulla nullità del matrimonio, emani la sentenza. Altrimenti rimetta la causa al processo ordinario.

§ 2. Il testo integrale della sentenza, con la motivazione, sia notificato al più presto alle parti.

§ 3. Contro la sentenza del Vescovo si dà appello al Metropolita o alla Rota Romana; se la sentenza è stata emessa dal Metropolita o da altro Vescovo eparchiale che non ha un’autorità superiore sotto il Romano Pontefice, si dà appello al Vescovo da esso designato stabilmente, dopo aver consultato il Patriarca o il Gerarca di cui al can. 175.

§ 4. Se l’appello evidentemente appare meramente dilatorio, il Metropolita o il Vescovo di cui al § 3, o il Decano della Rota Romana, lo rigetti a limine con un suo decreto; se invece l’appello è ammesso, si rimetta la causa all’esame ordinario di secondo grado.

6.° Il processo documentale

Can. 1374. Ricevuta la domanda presentata a norma del can. 1362, il Vescovo eparchiale o il Vicario giudiziale o il Giudice designato, tralasciate le formalità del processo ordinario, citate però le parti e con l’intervento del difensore del vincolo, può dichiarare con sentenza la nullità del matrimonio, se da un documento che non sia soggetto a contraddizione o ad eccezione alcuna, consti con certezza dell’esistenza di un impedimento dirimente o del difetto della forma legittima, purché sia chiaro con eguale sicurezza che non fu concessa la dispensa, oppure del difetto di un mandato valido in capo al procuratore.

Can. 1375 § 1. Il difensore del vincolo, se giudica prudentemente che non sono certi i vizi o la mancanza della dispensa, deve appellare contra la sentenza di cui al can. 1374 al giudice del tribunale di secondo grado, al quale devono essere inviati gli atti e dev’essere avvertito per iscritto che si tratta di un processo documentale.

§ 2. La parte che si sente danneggiata ha pieno diritto di appellare.

Can. 1376. Il giudice di secondo grado, con l’intervento del difensore del vincolo e ascoltate le parti, decida se la sentenza sia da confermare o se piuttosto si debba procedere nella causa secondo la norma ordinaria del diritto; in questo caso la rinvia al tribunale di primo grado.

7.° Norme generali

Can. 1377 § 1. Nella sentenza si ammoniscano le parti sugli obblighi morali o anche civili, a cui eventualmente sono tenute l’una verso l’altra e verso i figli, per assicurare il dovuto sostentamento e l’educazione.

§ 2. Le cause per la dichiarazione di nullità del matrimonio non possono essere trattate con il giudizio contenzioso sommario, di cui nei cann. 1343-1356.

§ 3. In tutte le altre cose che riguardano la procedura si devono applicare, a meno che non si opponga la natura delle cose, i canoni sui giudizi in genere e sul giudizio contenzioso ordinario, osservando le norme speciali sulle cause che riguardano il bene pubblico.

* * *

La disposizione del can. 1365 si applicherà alle sentenze dichiarative della nullità del matrimonio pubblicate a partire dal giorno in cui questo Motu proprio entrerà in vigore.

Al presente documento vengono unite delle regole procedurali, che ho ritenuto necessarie per la corretta e accurata applicazione della legge rinnovata, da osservarsi diligentemente a tutela del bene dei fedeli.

Ciò che è stato da me stabilito con questo Motu proprio, ordino che sia valido ed efficace, nonostante qualsiasi disposizione in contrario, anche se meritevole di specialissima menzione.

Affido con fiducia all’intercessione della gloriosa e benedetta sempre Vergine Maria che con piena verità è chiamata «Theotokos» e che rifulge come Madre eccelsa della Chiesa universale, e dei santi Apostoli Pietro e Paolo, l’operosa esecuzione del nuovo processo matrimoniale.

Dato a Roma, presso San Pietro, il 15 del mese di agosto, nell’Assunzione della Beata Vergine Maria dell’anno 2015, terzo del mio Pontificato.

Francesco


 

Regole procedurali per la trattazione delle cause di nullità matrimoniale

La III Assemblea Generale Straordinaria del Sinodo dei Vescovi, celebrata nel mese di ottobre 2014, ha constatato la difficoltà dei fedeli di raggiungere i tribunali della Chiesa. Poiché il Vescovo, come il buon Pastore, è tenuto ad andare incontro ai suoi fedeli che hanno bisogno di particolare cura pastorale, unitamente con le norme dettagliate per l’applicazione del processo matrimoniale, è sembrato opportuno, data per certa la collaborazione del Successore di Pietro e dei Vescovi nel diffondere la conoscenza della legge, offrire alcuni strumenti affinché l’operato dei tribunali possa rispondere alle esigenze dei fedeli, che richiedono l’accertamento della verità sull’esistenza o no del vincolo del loro matrimonio fallito.

Art. 1. Il Vescovo eparchiale in forza del can. 192 § 1 è tenuto a seguire con animo apostolico i coniugi separati o divorziati, che per la loro condizione di vita abbiano eventualmente abbandonato la pratica religiosa. Egli quindi condivide con i parroci (cfr. can. 289 § 1) la sollecitudine pastorale verso questi fedeli in difficoltà.

Art. 2. L’indagine pregiudiziale o pastorale, che accoglie nelle strutture parrocchiali o eparchiali i fedeli separati o divorziati che dubitano della validità del proprio matrimonio o sono convinti della nullità del medesimo, è orientata a conoscere la loro condizione e a raccogliere elementi utili per l’eventuale celebrazione del processo giudiziale, ordinario o più breve. Tale indagine si svolgerà nell’ambito della pastorale matrimoniale eparchiale unitaria.

Art. 3. La stessa indagine sarà affidata a persone ritenute idonee dal Gerarca del luogo, dotate di competenze anche se non esclusivamente giuridico-canoniche. Tra di esse vi sono in primo luogo il parroco proprio o quello che ha preparato i coniugi alla celebrazione delle nozze. Questo compito di consulenza può essere affidato anche ad altri chierici, consacrati o laici approvati dal Gerarca del luogo.

La eparchia, o diverse eparchie insieme, secondo gli attuali raggruppamenti, possono costituire una struttura stabile attraverso cui fornire questo servizio e redigere, se del caso, un Vademecum che riporti gli elementi essenziali per il più adeguato svolgimento dell’indagine.

Art. 4. L’indagine pastorale raccoglie gli elementi utili per l’eventuale introduzione della causa da parte dei coniugi o del loro patrono davanti al tribunale competente. Si indaghi se le parti sono d’accordo nel chiedere la nullità.

Art. 5. Raccolti tutti gli elementi, l’indagine si chiude con il libello, da presentare, se del caso, al competente tribunale.

Art. 6. Dal momento che il Codice dei Canoni della Chiese Orientali deve essere applicato sotto tutti gli aspetti, salve le norme speciali, anche ai processi matrimoniali, a mente del can. 1377 § 3, le presenti regole non intendono esporre minutamente l’insieme di tutto il processo, ma soprattutto chiarire le principali innovazioni legislative e, ove occorra, integrarle.

1.° Il foro competente e i tribunali

Art. 7 § 1. I titoli di competenza di cui al can. 1358 sono equivalenti, salvaguardato per quanto possibile il principio di prossimità fra il giudice e le parti.

§ 2. Mediante la cooperazione fra tribunali, poi, a mente del can. 1071, si assicuri che chiunque, parte o teste, possa partecipare al processo col minimo dispendio.

Art. 8 § 1. Nelle eparchie che non hanno un proprio tribunale, il Vescovo si preoccupi di formare quanto prima, anche mediante corsi di formazione permanente e continua, promossi dalle eparchie o dai loro raggruppamenti e dalla Sede Apostolica in comunione di intenti, persone che possano prestare la loro opera nel tribunale da costituirsi per le cause matrimoniali.

§ 2. Il Vescovo può recedere dal tribunale per diverse eparchie costituito a norma del can. 1067, § 1.

2.° Il diritto di impugnare il matrimonio

Art. 9. Se il coniuge muore durante il processo, prima che la causa sia conclusa, l’istanza viene sospesa finché l’altro coniuge o un altro interessato richieda la prosecuzione; in questo caso si deve provare l’interesse legittimo.

3.° L’introduzione e l’istruzione della causa

Art. 10. Il giudice può ammettere la domanda orale ogniqualvolta la parte sia impedita a presentare il libello: tuttavia, egli ordini al notaio di redigere per iscritto un atto che deve essere letto alla parte e da questa approvato, e che tiene luogo del libello scritto dalla parte a tutti gli effetti di legge.

Art. 11 § 1. Il libello sia esibito al tribunale eparchiale o al tribunale per diverse eparchie che è stato scelto a norma del can. 1359, § 2.

§ 2. Si reputa che non si oppone alla domanda la parte convenuta che si rimette alla giustizia del tribunale o, ritualmente citata una seconda volta, non dà alcuna risposta.

4.° La sentenza, le sue impugnazioni e la sua esecuzione

Art. 12. Per conseguire la certezza morale necessaria per legge, non è sufficiente una prevalente importanza delle prove e degli indizi, ma occorre che resti del tutto escluso qualsiasi dubbio prudente positivo di errore, in diritto e in fatto, ancorché non sia esclusa la mera possibilità del contrario.

Art. 13. Se una parte ha dichiarato di rifiutare di ricevere qualsiasi informazione relativa alla causa, si ritiene che abbia rinunciato ad ottenere la copia della sentenza. In tal caso può esserle notificato il solo dispositivo della sentenza.

5.° Il processo matrimoniale più breve davanti al Vescovo

Art. 14 § 1. Tra le circostanze che possono consentire la trattazione della causa di nullità del matrimonio per mezzo del processo più breve secondo i cann. 1369-1373, si annoverano per esempio: quella mancanza di fede che può generare la simulazione del consenso o l’errore che determina la volontà, la brevità della convivenza coniugale, l’aborto procurato per impedire la procreazione, l’ostinata permanenza in una relazione extraconiugale al tempo delle nozze o in un tempo immediatamente successivo, l’occultamento doloso della sterilità o di una grave malattia contagiosa o di figli nati da una precedente relazione o di una carcerazione, la causa del matrimonio del tutto estranea alla vita coniugale o consistente nella gravidanza imprevista della donna, la violenza fisica inferta per estorcere il consenso, la mancanza di uso di ragione comprovata da documenti medici, ecc.

§ 2. Tra i documenti che sostengono la domanda vi sono tutti i documenti medici che possono rendere evidentemente inutile acquisire una perizia d’ufficio.

Art. 15. Se è stato presentato il libello per introdurre un processo ordinario, ma il Vicario giudiziale ritiene che la causa possa essere trattata con il processo più breve, egli, nel notificare il libello a norma del can. 1362, § 1, inviti la parte che non lo abbia sottoscritto a comunicare al tribunale se intenda associarsi alla domanda presentata e partecipare al processo. Egli, ogniqualvolta sia necessario, inviti la parte o le parti che hanno sottoscritto il libello ad integrarlo al più presto a norma del can. 1370.

Art. 16. Il Vicario giudiziale può designare se stesso come istruttore; però per quanto sia possibile nomini un istruttore dalla eparchia di origine della causa.

Art. 17. Nell’emettere la citazione ai sensi del can. 1371, le parti siano informate che, se non fossero stati allegati al libello, possono, almeno tre giorni prima della sessione istruttoria, presentare gli articoli degli argomenti sui quali si chiede l’interrogatorio delle parti o dei testi.

Art. 18. § 1. Le parti e i loro avvocati possono assistere all’escussione delle altre parti e dei testi, a meno che l’istruttore ritenga, per le circostanze di cose e di persone, che si debba procedere diversamente.

§ 2. Le risposte delle parti e dei testi devono essere redatte per iscritto dal notaio, ma sommariamente e soltanto in ciò che si riferisce alla sostanza del matrimonio controverso.

Art. 19. Se la causa viene istruita presso un tribunale per diverse eparchie, il Vescovo che deve pronunziare la sentenza è quello del luogo in base al quale si stabilisce la competenza a mente del can. 1358. Se poi siano più di uno, si osservi per quanto possibile il principio della prossimità tra le parti e il giudice.

Art. 20 § 1. Il Vescovo eparchiale stabilisca secondo la sua prudenza il modo con cui pronunziare la sentenza.

§ 2. La sentenza, comunque sottoscritta dal Vescovo insieme con il notaio, esponga in maniera breve e ordinata i motivi della decisione e ordinariamente sia notificata alle parti entro il termine di un mese dal giorno della decisione.

6.° Il processo documentale

Art. 21. Il Vescovo eparchiale e il Vicario giudiziale competenti si determinano a norma del can. 1358.



[1] Cf. Concilio Oecumenico Vaticano II, Const. dogm. Lumen Gentium, n. 27.

[2] Giovanni Paolo II, Const. ap. Sacri canones, 18 ottobre 1990, Proemio, AAS 82 [1990], p. 1037.

[3] Cf. Francesco, Esortazione Apostolica Evangelii gaudium, n. 27, in AAS 105 (2013), p. 1031.

   




Caterina63
00martedì 8 settembre 2015 13:52

Conferenza Stampa di presentazione delle due Lettere
“motu proprio datae” di Papa Francesco
“Mitis Iudex Dominus Iesus”
e “Mitis et misericors Iesus”,
sulla riforma del processo canonico per le cause
di dichiarazione di nullità del matrimonio,
rispettivamente nel Codice di Diritto Canonico
e nel Codice dei Canoni delle Chiese Orientali,
08.09.2015


Intervento del Card. Francesco Coccopalmerio

Intervento di S.E. Mons. Dimitrios Salachas

Intervento di S.E. Mons. Luis Francisco Ladaria Ferrer, S.I.

Intervento di Mons. Alejandro W. Bunge

Intervento del Rev. P. Nikolaus Schöch, O.F.M.

Alle ore 12.00 di oggi, nell’Aula “Giovanni Paolo II” della Sala Stampa della Santa Sede, ha luogo la Conferenza stampa di presentazione delle due Lettere motu proprio datae di Papa Francesco Mitis Iudex Dominus Iesus Mitis et misericors Iesus,sulla riforma del processo canonico per le cause di dichiarazione di nullità del matrimonio, rispettivamente nel Codice di Diritto Canonico e nel Codice dei Canoni delle Chiese Orientali.

Intervengono alla conferenza stampa: S.E. Mons. Pio Vito Pinto, Decano della Rota Romana e Presidente della Commissione speciale per la Riforma del processo matrimoniale canonico; l’Em.mo Card. Francesco Coccopalmerio, Presidente del Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi e Membro della Commissione speciale; S.E. Mons. Dimitrios Salachas, Esarca Apostolico di Atene per i cattolici greci di rito bizantino e Membro della Commissione speciale; S.E. Mons. Luis Francisco Ladaria Ferrer, S.I., Segretario della Congregazione per la Dottrina della Fede e Membro della Commissione speciale; Mons. Alejandro W. Bunge, Prelato Uditore della Rota Romana e Segretario della Commissione speciale; il Rev. P. Nikolaus Schöch, O.F.M., Promotore di Giustizia Sostituto del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica e Segretario della Commissione speciale.

Riportiamo di seguito alcuni interventi dei conferenzieri:

Intervento del Card. Francesco Coccopalmerio

Gentili Amici, Signore e Signori,

il mio intervento prevede tre punti: I. Qualche precisazione concettuale, che per il grande pubblico a cui voi vi rivolgete è sempre utile; II. I cambiamenti più significativi introdotti dalla nuova normativa; III. Qualche prospettiva di lavoro futuro.

I. Qualche precisazione concettuale

Dobbiamo ancora una volta rendici esatto conto della questione di cui parliamo.

1. Si tratta del processo canonico per la dichiarazione della nullità del matrimonio.

Notiamo bene: per la dichiarazione della nullità.

Si tratta, di un processo che conduce alla dichiarazione della nullità, che conduce, in altre parole, in primo luogo a vedere se un matrimonio è nullo e poi, in caso positivo, a dichiararne la nullità.

Non si tratta, perciò, di un processo che conduca all’annullamento del matrimonio.

Nullità è diversa da annullamento, dichiarare la nullità di un matrimonio è assolutamente diverso dal decretare l’annullamento del matrimonio.

2. I motivi che determinano la nullità del matrimonio sono molteplici e non è questo il momento di elencarli e commentarli tutti.

Basti ricordarne uno, peraltro spesso ricorrente: quello della esclusione della indissolubilità.

3. Il processo di nullità del matrimonio consiste allora nel vedere se esista in un certo matrimonio qualcuno dei motivi che lo renda nullo.

Notiamo bene che si tratta di constatare, non di inventare l’eventuale esistenza di qualche motivo di nullità. Il processo di nullità del matrimonio è in altre parole un processo “pro rei veritate”.

4. Quanto fin qui detto non fa problema: è dottrina e prassi recepita senza difficoltà.

Il problema è, invece, di natura squisitamente pastorale e consiste nel rendere più veloci i processi di nullità del matrimonio, così da servire più sollecitamente i fedeli che si trovano in tali situazioni.

Anche qui una premessa peraltro del tutto intuibile: i processi di nullità del matrimonio possono certamente essere velocizzati, però nel pieno rispetto della loro natura di indagine della verità.

5. Allo scopo di velocizzare i processi dei quali stiamo trattando, Papa Francesco il 27 agosto 2014 ha costituito una Commissione apposita, una specie di “task force”, che studiasse possibili soluzioni.

La Commissione era presieduta dal Decano della Rota Romana e io stesso ne facevo parte. È precisamente in qualità di membro della predetta Commissione e solo in tale qualità che sono ora presente a questa conferenza stampa.

II. I cambiamenti più significativi introdotti dalla nuova normativa

Credo, ora, interessante illustrarvi per quanto rapidamente i cambiamenti più significativi introdotti dalla nuova normativa con l’intento di velocizzare lo svolgimento dei processi di nullità del matrimonio. Limito la mia attenzione al testo del motu proprio relativo al Codice latino, al Codex Iuris Canonici.

Scelgo tre argomenti.

1. Composizione dei tribunali

Ne parla il canone 1671.

§ 1. Presuppone la dottrina secondo la quale il Vescovo diocesano è giudice nella sua Chiesa particolare e quindi afferma che il tribunale può essere costituito dal solo Vescovo diocesano.

§ 2. Il Vescovo diocesano non è però l’unico giudice nella sua Chiesa particolare:

- si dice, infatti, al Vescovo diocesano di costituire un tribunale che possa giudicare in sua vece;

- si dà, comunque, al Vescovo stesso la facoltà di accedere a un tribunale viciniore.

§§ 3-4. Trattano di due problemi che possiamo dire annosi:

- quello del giudice collegiale o unico;

- quello del giudice chierico o laico.

E lo risolvono con le disposizioni seguenti:

- se è possibile, il tribunale sia collegiale formato da tre membri che siano tutti chierici;

- se, però, non è possibile che tutti i membri siano chierici, è consentito che uno solo sia chierico e sia presidente del tribunale, mentre gli altri possono essere anche laici;

- se, poi, non è possibile che il tribunale sia collegiale, è consentito che sia formato da un solo giudice, che deve però essere chierico;

- tale giudice, unico e chierico, dovrebbe avvalersi, se possibile, di due assessori, di vita specchiata, esperti in scienze giuridiche o umane, approvati dal Vescovo per questo compito.

§ 5. Tratta del tribunale di seconda istanza, che deve essere sempre collegiale e formato secondo i criteri visti nel § 3.

2. Abolizione della doppia conforme

Ne parlano i canoni 1679-1680, che toccano l’attuale struttura della doppia sentenza conforme e ne decretano l’abolizione.

Per toccare con mano tale cambiamento, si veda l’attuale normativa, che prevede la doppia conforme (cann. 1682, § 1 e 1684 § 1) e la si confronti con la nuova, che la abolisce (can. 1679).

L’attuale normativa così recita: “La sentenza che per la prima volta che dichiarò la nullità del matrimonio … sia trasmessa d’ufficio al tribunale di appello” (can. 1682, § 1). E ancora: “Dopo che la sentenza che dichiarò la nullità del matrimonio per la prima volta fu confermata in grado di appello … coloro, il cui matrimonio fu dichiarato nullo, possono contrarre nuove nozze…” (can. 1684, § 1).

La nuova normativa così dispone: “La sentenza che per la prima volta ha dichiarato la nullità del matrimonio, trascorsi i termini stabiliti…, diventa esecutiva” (can. 1679).

Non è, pertanto, più obbligatorio appellare ex officio a un secondo grado.

Tuttavia non è negata la possibilità di appellare la sentenza, perché la nuova normativa così al contempo dispone: “Alla parte che si ritenga onorata e parimenti al promotore di giustizia e al difensore del vincolo rimane il diritto di interporre querela di nullità della sentenza o appellare contro la medesima sentenza…” (can. 1680, § 1).

Attenzione, però, a una grossa novità: “… il tribunale collegiale se l’appello risulta manifestamente dilatorio, confermi con proprio decreto la sentenza di prima istanza” (can. 1680, § 2).

3. Il “processus brevior”

Un’altra innovazione rilevante, sempre nell’ottica di velocizzare i processi di nullità di matrimonio, è quella contenuta nei cann. 1683-1684 e consistente nel “processus brevior”.

Vediamo schematicamente gli elementi che lo strutturano:

- giudice unico è il Vescovo diocesano;

- la causa di nullità è introdotta da entrambe le parti, le quali pertanto devono essere entrambe convinte nella nullità del matrimonio;

- le prove testimoniali o documentali devono essere evidenti e rendere manifesta la nullità (cann. 1683-1684);

- il termine entro il quale il “processus brevior” deve essere celebrato a partire dal momento della convocazione di tutti i partecipanti è di trenta giorni, a cui si aggiungono altri quindici per ulteriori osservazioni (cann. 1685-1686);

- la sentenza è emanata dallo stesso Vescovo diocesano se raggiunge la certezza morale circa la nullità del matrimonio, oppure da lui la causa in esame viene rimessa a processo ordinario (can. 1687, § 1);

- un appello contro la sentenza è comunque previsto, però – anche qui – non deve essere un appello meramente dilatorio, perché, in questo caso, viene rigettato “a limine”.

Come si vede, il “processus brevior” è una struttura molto agile e perciò veloce.

Sarà, comunque, la prassi giudiziaria a rendere tale struttura più precisa e definitiva.

La stessa cosa deve tranquillamente essere detta per le altre innovazioni, specie per quelle di cui sopra. Ricordiamo, tra l’altro, che la Chiesa si estende in tutti i continenti e saranno le esperienze di tanti ambiti ad apportare migliore comprensione ed eventuali precisazioni normative.

III. Qualche prospettiva di lavoro futuro

In connessione con l’argomento trattato in questa conferenza stampa, può interessarvi sapere che i temi e i problemi del matrimonio e della famiglia, anche per stimolo del Sinodo dei Vescovi, sono costantemente all’attenzione di vari Dicasteri della Curia Romana, in modo particolare del Pontificio Consiglio per la Famiglia e del Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi.

Quest’ultimo Dicastero, d’intesa con il Santo Padre, cura la normativa canonica e ha in questo momento, relativamente al matrimonio e alla famiglia, attenzione a tre settori.

Il primo concerne i canoni sul matrimonio nel Codice latino, per i quali sembra necessario, oltre a qualche aggiornamento piuttosto di natura dottrinale, una integrazione con canoni sulla famiglia. Il Codice latino, infatti, dovrebbe dare spazio non solo al sacramento del matrimonio, bensì anche alla famiglia, alla sua identità, alla sua soggettività e alla sua missione.

Il secondo settore di auspicabile intervento è una necessaria armonizzazione tra la disciplina sul matrimonio nel Codice latino e quella parallela nel Codice orientale.

Il terzo intervento è il problema della nuove normative civili relative a matrimonio e famiglia, normative spesso incompatibili con la dottrina e la disciplina della Chiesa, però di fatto esistenti. Queste nuove normative civili vengono inevitabilmente ad avere un impatto sull’ordinamento canonico. Come reagisce tale normativa? Un solo caso, tra i più semplici; nelle legislazioni in cui le coppie omosessuali possono adottare, se una coppia omosessuale vuole battezzare il bambino, come si deve procedere? Come, per esempio, si registra il battesimo?

In questo vasto panorama di problemi e di riforme normative si inserisce anche quella dei processi di nullità del matrimonio, che stiamo esaminando oggi. I nuovi testi canonici saranno recepiti e inseriti in modo organico e definitivo nella più ampia riforma sopra illustrata.

Grazie per l’attenzione.




Caterina63
00martedì 8 settembre 2015 13:55

[01425-IT.01] [Testo originale: Italiano]


Intervento di S.E. Mons. Dimitrios Salachas


1. Come avvenne nel 1990 con la promulgazione del “Codex canonum Ecclesiarum Orientalium” da parte del Santo Papa Giovanni Paolo II, così anche l’attuale Pontefice Papa Francesco, supremo Legislatore della Chiesa cattolica, promulga ora due Lettere Apostoliche Motu proprio datae “De causis ad matrimonii nullitatem declarandam”.


Infatti nel Proemio del MP «Mitis et Misericors Jesus», Papa Francesco riprende le stesse parole di Giovanni Paolo II nel Proemio del CCEO, tenendo conto della peculiare disciplina delle Chiese orientali circa il sacramento del Matrimonio:


Fin dall'inizio della codificazione canonica delle chiese orientali, la stessa costante volontà dei romani pontefici di promulgare due codici, uno per la chiesa latina e l'altro per le chiese orientali cattoliche, dimostra molto chiaramente che essi volevano conservare ciò che è avvenuto per provvidenza divina nella chiesa, cioè che essa, riunita da un unico Spirito, deve respirare come con i due polmoni dell'Oriente e dell'Occidente e ardere nella carità di Cristo come con un solo cuore composto da due ventricoli”.


L’immagine poetica che il Santo Padre ha usato è forse più eloquente di qualsiasi arida norma giuridica. E’ una espressione di profondo senso ecclesiologico circa l’unità e la diversità della Chiesa: Unica fede, diverse discipline.


2. Anzitutto sotto l’aspetto dottrinale, il MP «Mitis et Misericors Jesus», conferma che le Chiese orientali cattoliche, in conformità all’insegnamento del Signore, degli Apostoli e dei santi Padri, professano ed affermano l’unità e l’indissolubilità del matrimonio, che nel matrimonio tra battezzati, conseguono una speciale stabilità in ragione del sacramento.


3. Per quanto riguarda la disciplina canonica per la dichiarazione della nullità del matrimonio, emerge l’ecclesiologia ispirata dall’insegnamento dei santi Padri, che lo stesso MP «Mitis et Misericors Jesus» adotta ed esplicita in norme disciplinari.


4. Emerge nel MP «Mitis et Misericors Jesus» la volontà del Supremo Legislatore secondo la quale il processo matrimoniale sia svolto in eparchia (in diocesi), perciò la centralità del ministero del Vescovo in questa materia. Infatti esplicito è il riferimento alla dottrina dei santi Padri orientali, secondo la quale il Vescovo è giudice e medico. L’uomo, ferito dal peccato originale e dai propri peccati personali è una creatura caduta (peptokòs), da Cristo redenta, è un infermo, e con le medicine della penitenza ottiene da Dio, la guarigione, il perdono e viene riconciliato con la Chiesa.


5. Il MP «Mitis et Misericors Jesus», nel descrivere il ruolo del Vescovo, esclude la via amministrativa, e conferma quella giudiziaria, proprio per garantire il carattere inviolabile della legge divina sull’indissolubilità del vincolo matrimoniale ed evitare un eventuale lassismo e “relativismo dottrinale”. La soluzione del vincolo sacramentale del matrimonio è una grave trasgressione del comandamento di Dio. La dottrina circa l’indissolubilità del matrimonio resta sempre intatta, poiché si tratta per tutti i Cattolici, Orientali e Latini, di una verità da credere per fede divina e cattolica.


6. Il MP «Mitis et Misericors Jesus», nel descrivere il ruolo del Vescovo, fa riferimento a due principi pastorali in vigore sin dall’antichità presso gli Orientali, cioè al principio della cosiddetta “oikonomia” e al principio della cosiddetta “akribeia”. Qualora un cristiano si rivolgesse alla Chiesa per sottoporre il suo caso matrimoniale, spetta anzitutto al Vescovo, munito della potestà giudiziale, di usare caso per caso il principio della “oikonomia” o il principio della “akribeia”. Infatti è proprio il Vescovo che renderà conto a Dio delle anime a lui affidate.


7. Nelle Chiese orientali, afferma il MP «Mitis et Misericors Jesus», il Vescovo – costituito dallo Spirito Santo “eis typon kai tòpon Christou” (figura di Cristo e al posto di Cristo), è anzitutto ministro della divina misericordia (Episcopus enim praeprimis divinae misericordiae minister est). E’ proprio san Basilio che ci insegna che il Vescovo, come giudice, non applicherà indiscriminatamente la misericordia e la giustizia, ma dopo aver esaminato attentamente lo stato di salute spirituale del cristiano. Dopo aver effettuato una appropriata “diagnosi” dell’infermità spirituale, il Vescovo somministrerà l’adatta medicina spirituale. Nel processo matrimoniale il giudice applicherà la “akribeia” quando ciò richiede la fedeltà alla fede, ma applicherà la “oikonomia” quando la nullità emerge manifesta dall’esame della causa.


Da notare, a quanto mi risulta, che è la prima volta che in un documento pontificio di indole giuridica si ricorre a questo principio patristico di misericordia pastorale, chiamato oikonomia presso gli orientali per affrontare un problema come quello della dichiarazione di nullità del matrimonio.


8. Da ricordare qui anche il can. 1401 del CCEO (che non ha un corrispondente nel CIC), il quale descrive nei seguenti termini l’opera della Chiesa di fronte all’uomo che trasgredisce la legge di Dio:


“Poiché Dio prende ogni iniziativa per ricondurre la pecora smarrita, coloro che da Lui hanno ricevuto la potestà di sciogliere e di legare procurino la medicina adatta alla malattia di quanti hanno peccato, li ammoniscano, li rimproverino, li esortino con ogni magnanimità e dottrina, impongano anche delle pene, per curare le ferite inferte dal delitto, in modo tale che né i delinquenti siano spinti verso i precipizi della disperazione, né i freni siano allentati fino alla rilassatezza della vita e al disprezzo della legge”.


9. Un processo breve nelle Cause di nullità sotto l’autorità giudiziale del Vescovo è un segno che la Chiesa Cattolica intende venire incontro alla moltitudine di casi di persone in situazioni matrimoniali irregolari, applicando giustizia e misericordia, ma dopo aver esaminato attentamente i dati in iure e in facto, specie quando appare manifesta la nullità del matrimonio. Non si devono imporre ai fedeli procedure pesanti, ma solo quelle necessarie per la salus animarum.


10. Il MP «Mitis et Misericors Jesus», garantisce il diritto di appello al tribunale della Sede Metropolitana, che fa capo ad una provincia ecclesiastica, segno di sinodalità nelle Chiese orientali. Resta pertanto intatto il diritto di appello alla Sede Apostolica, cioè al Tribunale ordinario della Rota Romana. Il diritto di appello a Roma è stato sancito dai sacri canoni della Chiesa sin dal primo millennio. Il sinodo di Sardica (343-344) ci offre un esempio, riconoscendo il diritto di appello a Roma per dirimere contese disciplinari e dottrinali qualora fossero sorte tra le Chiese. Il Concilio Vaticano II dichiara che per un intero millennio le Chiese d’oriente e d’occidente hanno seguito la propria via, unite dalla comunione della fede difesa e definita nei concili ecumenici insieme celebrati, sede romana moderante però qualora fossero sorti dissensi circa la fede o la disciplina (cfr. decreto conciliare UR. n. 14).


11. Infine, si può affermare che il MP «Mitis et Misericors Jesus» che viene ora alla luce circa la riforma delle norme per la dichiarazione della nullità matrimoniale nelle Chiese orientali cattoliche, si deve ritenere come un nuovo completamento del magistero pontificio dopo la promulgazione nel 1990 del “Codex canonum Ecclesiarum Orientalium”.


Caterina63
00martedì 8 settembre 2015 13:57

Intervento di S.E. Mons. Luis Francisco Ladaria Ferrer, S.I.


Diversi requisiti sono necessari secondo il diritto canonico per la validità di un matrimonio fra cattolici. In primo luogo un requisito negativo, l’assenza d’impedimenti dirimenti, quelli che rendono nullo il matrimonio. In secondo luogo un requisito formale, l’osservanza della forma canonica. In terzo luogo il requisito più importante il libero consenso dei nubendi, senza il quale il matrimonio è impossibile.


Su che cosa deve versare questo consenso. Secondo l’insegnamento della Chiesa il matrimonio è uno, si possono unire in matrimonio soltanto un uomo e una donna ed è impossibile una nuova unione matrimoniale durante la vita dei due coniugi. Il matrimonio è anche indissolubile; così è stato insegnato da Gesù e abbiamo nei Vangeli numerose testimonianze di questo insegnamento. La lettera agli Efesini ci ha spiegato che il matrimonio sacramentale non si può sciogliere perché è immagine ed espressione dell’amore di Cristo per la sua Chiesa: «Questo mistero è grande: io lo dico in relazione a Cristo e alla Chiesa» (Ef 5,32). Il matrimonio deve essere anche aperto alla trasmissione della vita. Già nell’inizio del libro della Genesi leggiamo le parole di Dio ad Adamo ed Eva: «Siate fecondi e moltiplicatevi» (Gn 1,28).


Nella nostra civiltà tradizionale si poteva presupporre che questi insegnamenti della Chiesa fossero conosciute e condivise. Negli ultimi tempi è sorto il dubbio, che sembra fondato, se tutti quelli che si sposano anche in Chiesa conoscono sufficientemente questi insegnamenti e dunque se il loro consenso si riferisca veramente ad essi. Se questo non fosse il caso, il loro matrimonio sarebbe nullo, cioè, non esisterebbe affatto.


Perché proprio questi dubbi si presentano c’era il desiderio di molti di offrire un mezzo rapido ma affidabile per risolverli e contribuire a pacificare le coscienze di molti cattolici. Senza entrare nei dettagli, sottolineo solo che anche se i processi si devono svolgere nelle diverse diocesi, e non potrebbe essere altrimenti, le regole, con le necessarie distinzione fra l’Oriente e l’Occidente, sono le stesse per tutta la Chiesa, è il Papa con la sua autorità che le stabilisce sia per le Chiese orientali come per quella latina. Come dice già il primo capoverso della Lettera Apostolica è il Papa che con la Sua autorità afferma e rafforza quella dei pastori delle Chiese particolari. Il potere delle chiavi di Pietro rimane sempre immutato, anche in questo processo l’appello alla Sede Apostolica è aperto a tutti perché si confermi il vincolo fra la Sede di Pietro e le Chiese particolari. La Chiesa universale e le Chiese particolari non entrano in concorrenza. In tante manifestazioni della vita ecclesiale si trova espressa questa mutua immanenza e queste norme processuali ne sono un’ulteriore manifestazione. Si intrecciano dunque la responsabilità dei singoli Vescovi e la suprema autorità del successore di Pietro, capo del Collegio episcopale che non può esistere senza di lui.


Speriamo che questa riforma del CIC porti il frutto che il Santo Padre desidera, e con lui desiderano anche tanti Pastori e fedeli.


[01422-IT.01] [Testo originale: Italiano]






Caterina63
00martedì 8 settembre 2015 14:01

  Intervento di Mons. Alejandro W. Bunge


Capisaldi della Riforma


1) La centralità del Vescovo Diocesano (né fughe in avanti né fughe indietro: applicazione nel segno della Collegialità).


Oltre i tribunali regionali, interdiocesani e sinodali, secondo le diverse modalità della Chiesa, tenendo conto del bene dei fedeli, e la convenienza della vicinanza dei rimedi pastorali ai fedeli feriti, si abilitano i Vescovi diocesani ad avere i propri tribunali diocesani, e se fosse il caso, anche di decidere che in questo tribunale, nell’impossibilità di avere il tribunale collegiale (presieduto sempre da un chierico), ci sia il giudice unico, sempre chierico.


2) Processo breve (evitare i termini “sommario” e “amministrativo”) per evidenti nullità di matrimonio. Si tratta di aprire alle “masse”. Qui il Giudice è il Vescovo, il quale si serve per la conoscenza dei fatti, di 2 Assessori, con i quali discute previamente sulla certezza morale dei fatti addotti per la nullità matrimoniale. Se il Vescovo raggiunge la certezza morale, egli pronunzia la decisione; altrimenti invia la causa al processo ordinario.


Si potrebbe obiettare, come farebbe il Vescovo a decidere un numero elevato di casi. La risposta è duplice: in una regione non si avrebbero solo i Tribunali regionali o interdiocesani, ma il Vescovo in ogni diocesi in casi ovviamente semplici; secondo, il Vescovo sarà assistito dal personale del suo Tribunale. La formazione permanente aiuterà a far sì che ogni Vescovo, avendo il proprio Tribunale per queste cause di nullità matrim., riscopra il ministero a lui proprio, confidatogli nell'ordinazione sacra, di Giudice dei suoi fedeli.


3) Qui raro l'appello, perché vi e l'accordo delle parti e vi sono evidenti fatti circa la nullità; in presenza di elementi che inducono a ritenere l'appello meramente dilatorio e strumentale, l’appello potrà essere rigettato a limine.


4) Processo ordinario:


Spedito (1 anno al massimo).


- Abolizione della doppia conforme.


- Sentenza affermativa non appellata ipso facto diviene esecutiva.


- Se si propone l'appello dopo una sentenza affermativa può essere respinto in limine, in caso di evidente mancanza di argomenti.


Questo può avvenire in caso di appello strumentale, per nuocere alla controparte; spesso la parte appellante non cattolica si è già risposata civilmente.


- Emerge nella Riforma la realtà, precipua ormai del motivo della massa dei cattolici: consulere conscientiae, esclusi cioè gli aspetti civilistici, la nullità è chiesta per motivi di coscienza (per es.: vivere sacramenti della Chiesa; perfezionare un nuovo vincolo, a differenza del primo, stabile e felice!).


5) La speditezza del processo va verso una maggiore limitazione degli appelli alla Santa Sede e cioè alla Rota Romana, o al ricorso in Segnatura Apostolica per la nuova proposizione della causa, negata dalla Rota.


In conclusione: La gloria di Dio è l'uomo vivente, e sia concesso di aggiungere: l'uomo salvato dal ministero sollecito della giustizia e della misericordia della Chiesa.


[01420-IT.01] [Testo originale: Italiano]

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Intervento del Rev. P. Nikolaus Schöch, O.F.M.

Premessa: questa presentazione si limita ai canoni 1671-1691 sul processo di nullità matrimoniale del CIC, senza fare riferimento ai canoni 1357-1377 del CCEO, similmente modificati.

Fine immediato dei processi matrimoniali di nullità è l'accertamento dell’esistenza o meno dei fatti che, "per legge naturale, divina od ecclesiastica, invalidano il matrimonio, cosicché si possa giungere all’emanazione di una sentenza vera e giusta circa l’asserita non esistenza del vincolo coniugale.

Già Papa Benedetto XIV (1740-1758), insigne canonista, ha introdotto nella Costituzione apostolica Dei miseratione del 3 novembre 1741 un ruolo specifico, che consente un efficace accertamento dei fatti, mantenendo nel processo di nullità matrimoniale "le caratteristiche della difesa e discussione degli argomenti pro e contro la nullità, nonché la raccolta delle prove in uno o nell’altro senso", specialmente quando entrambe le parti sono concordi nel chiedere la dichiarazione di nullità: si tratta del difensore del vincolo che apporta gli argomenti in favore della valida esistenza del vincolo coniugale.

Il Difensore del vincolo difende il diritto delle parti, di non essere ingannate con una sentenza di nullità che stia in contrasto con l’esistenza di un vero matrimonio. Tale ingiusta dichiarazione di nullità matrimoniale non troverebbe alcun legittimo avallo nel ricorso alla carità o alla misericordia. Queste, infatti, non possono prescindere dalle esigenze della verità. Sia il difensore del vincolo che le stesse parti nonché i testimoni sono esortati ed obbligati ad agire con pieno rispetto alla verità.

Nella sua realtà di sacramento, il matrimonio tra due battezzati appartiene non più solo al bene dei contraenti e della società in genere, ma al bene pubblico. Spetta al difensore del vincolo garantire la tutela del bene pubblico nella Chiesa perché il processo di nullità mai potrà ridursi "alla sfera del mero diritto soggettivo, in una visione privatistica".

Il Motu proprio Mitis Iudex Dominus Iesus non ha cambiato le norme sul difensore del vincolo contenute nei canoni 1400-1670 e nei canoni 1692-1752 del settimo libro del Codice di diritto canonico, ma soltanto alcuni dei canoni specifici per la dichiarazione di nullità del matrimonio nell'ambito della parte sul matrimonio canonico (canoni 1671-1691). Rimangono in vigore i canoni 1432-1437; 1447-1449; 1451 sul difensore del vincolo in genere nonché i canoni 1533; 1561; 1603; 1606; 1612; 1626, § 1; 1628, 1636, § 1 sui diritti ed obblighi del difensore del vincolo nel processo contenzioso ed, infine, nelle cause di dispensa dal matrimonio rato e non consumato (cf. cann. 1701, 1705, 1711).

Il Motu proprio ribadisce il compito del difensore del vincolo di proporre ogni genere di prove, di eccezioni, ricorsi ed appelli che, nel rispetto della verità, favoriscano la difesa del vincolo sia nelle cause di nullità del matrimonio che dello scioglimento del matrimonio rato, ma non consumato.

Anche alcuni canoni della parte sulle cause per la dichiarazione di nullità del matrimonio (1671-1691) sono rimaste invariate. Si tratta dei nuovi canoni 1677, § 1; 1689, § 1 e 1690 che corrispondono alla lettera ai canoni finora vigenti, cioè ai vecchi canoni 1678; 1687, § 1; 1688.

Il nuovo can. 1688 sul processo documentale aggiunge il Vescovo diocesano prima del Vicario giudiziale e fa menzione che uno di essi possa designare un giudice per il caso, ma non contiene cambiamenti rispetto alla funzione del difensore del vincolo nel can. 1686 finora vigente.

Novità riguardo al difensore del vincolo contengono soltanto tre canoni, cioè i canoni 1676, §§ 1-2 e 1680, §§ 1-2 e 1687, § 1.

Il nuovo canone 1676, §§ 1-2 modifica le prescrizioni del vecchio canone 1677, §§ 1-2. Affida al Vicario giudiziale il compito di notificare il libello al difensore del vincolo e di valutare le sue osservazioni prima di decretare la formulazione del dubbio nonché la decisione se la causa sarà trattata con il processo ordinario (descritto nei canoni seguenti) o con il processo più breve (descritto nei canoni 1683-1687).

Il nuovo can. 1680, § 1 prevede il superamento della necessità della doppia sentenza conforme, come già suggerito nell'Instrumentum Laboris per la XIV Assemblea Generale del Sinodo dei Vescovi. Si conserva, però, il diritto sia delle parti che del difensore del vincolo di impugnare la sentenza, con la querela di nullità o con l’appello, conformemente al Magistero: "Quando il Difensore del vincolo esercita il dovere di appellare, anche alla Rota Romana, contro una decisione che ritiene lesiva della verità del vincolo, il suo compito non prevarica quello del giudice. Anzi, i giudici possono trovare nell’accurata opera di colui che difende il vincolo matrimoniale un aiuto alla propria attività".

Il Tribunale d'appello ha la possibilità di confermare la sentenza affermativa o negativa appellata con decreto collegiale solo dopo aver ricevuto le osservazioni del Difensore del vincolo di secondo grado (cf. can. 1680, § 2).

Il nuovo canone 1687, § 1 appartiene al nuovo processo “più breve” (canoni 1683-1687) ed è stato elaborato dietro suggerimento dalla III Assemblea generale straordinaria del Sinodo dei Vescovi del 2014. Va ribadito che anche nel processo più breve si tratta dell’accertamento della verità sulla validità del vincolo, per cui è obbligatorio l'intervento del difensore del vincolo.

Il Vicario giudiziale potrà, perciò, decidere di applicare il processo più breve nei casi di palese nullità solo dopo aver ricevuto e valutato le osservazioni del difensore del vincolo. Anche il Vescovo diocesano pronuncerà una sentenza affermativa solo se ha raggiunto la certezza morale sulla nullità rispettivamente decidere il rinvio della causa al processo ordinario solo dopo aver ottenuto le animadversiones del difensore del vincolo elaborate in base alle prove raccolte.

Le nuove Regole procedurali sono state emanate contemporaneamente ai nuovi canoni sul processo di nullità matrimoniale e contengono alcuni articoli sull'investigazione preliminare, un procedimento pregiudiziale nuovo, che non può concludersi con una decisione circa il vincolo e non esige, perciò, l'intervento del difensore del vincolo. Gli articoli che riguardano, invece, il processo matrimoniale più breve dinanzi al Vescovo non aggiungono nulla di nuovo sul difensore del vincolo rispetto ai canoni rinnovati.

Il Motu proprio applica il principio ribadito da Papa Francesco che "il Difensore del vincolo che vuole rendere un buon servizio non può limitarsi ad una frettolosa lettura degli atti, né a risposte burocratiche e generiche" perché "dietro ogni pratica, ogni posizione, ogni causa, ci sono persone che attendono giustizia".





Caterina63
00martedì 8 settembre 2015 14:56
 il dibattito acceso..... di Sandro Magister


Il volume de "La Civiltà Cattolica" di imminente pubblicazione sui temi del sinodo è intitolato: "La famiglia, ospedale da campo". E ha un sottotitolo che spiega chiaramente di che si tratta: "Dibattito biblico, teologico e pastorale sul matrimonio, nei contributi degli scrittori della Civiltà Cattolica".

Edito dalla Queriniana – la stessa che pubblica in Italia la rivista "Concilium" – nella prestigiosa collana "Giornale di teologia", il volume raccoglie in quasi 300 pagine quindici saggi di dodici autori, tutti gesuiti, più l'introduzione di padre Spadaro.

Eccone l'indice anticipato dalla Queriniana:

> La famiglia, ospedale da campo


Alcuni dei saggi ivi compresi sono già apparsi come articoli de "La Civiltà Cattolica", come ad esempio quello sopra citato di padre Daelemans.

Oppure come i due a firma del gesuita Giancarlo Pani, professore di storia del cristianesimo all'Università "La Sapienza" di Roma e recentemente aggregato in forma stabile al "collegio degli scrittori" de "La Civiltà Cattolica"

Specialmente il primo di questi due articoli all'epoca aveva fatto sensazione, per la data della sua uscita, nell'immediata vigilia della prima delle due sessione del sinodo, nell'ottobre del 2014, e più ancora per il suo contenuto:

> Seconde nozze a Venezia per "La Civiltà Cattolica" (4.10.2014)

La tesi di padre Pani è che il Concilio di Trento, nell'astenersi dal condannare in forma diretta le seconde nozze in uso nelle Chiese orientali non solo tra i fedeli ortodossi ma anche – in alcune aree a confessione mista sotto il dominio di Venezia – tra quelli in unione con Roma, compì nel XVI secolo un profetico gesto di "misericordia evangelica" che la Chiesa cattolica d'oggi dovrebbe riprendere e rafforzare, a beneficio di "quei cristiani che vivono con sofferenza un rapporto coniugale fallito".

Subito dopo l'uscita dell'articolo, però, questa tesi si trovò contestata da vari studiosi, che la ritenevano insostenibile sia sul piano storico che su quello teologìco.

Una di queste voci critiche – ospitata da www.chiesa – fu quella di E. Christian Brugger, professore di teologia morale nel St. John Vianney Theological Seminar di Denver, Stati Uniti, e specialista del Concilio di Trento:

> La vera storia di questo sinodo. Regista, esecutori, aiuti (17.10.2014)

Oggi il professor Brugger ritorna sull'argomento con un libro espressamente da lui dedicato all'insegnamento del Concilio di Trento in materia di matrimonio – di cui prevede la pubblicazione l'anno venturo – e con una lettera già personalmente inviata a 22 padri sinodali di Stati Uniti, Canada, Inghilterra, Irlanda, Australia, Nuova Zelanda, qui sotto riprodotta a beneficio di un più vasto pubblico, nell'imminenza della seconda e ultima sessione del sinodo.

A lui la parola. 

__________



"MA QUESTO LA CHIESA CATTOLICA NON LO PUÒ FARE"

di E. Christian Brugger



Gentile Arcivescovo,

le scrivo in vista della prossima assemblea del sinodo dei vescovi in ottobre, per affrontare un punto controverso riguardante l’insegnamento del Concilio di Trento sull'indissolubilità del matrimonio.

Alcuni sostengono che la Chiesa cattolica può adottare una pratica limitata di divorzio e nuovo matrimonio per motivi analoghi al principio pastorale ortodosso di "oikonomia", e può farlo senza negare la dottrina cattolica dell'indissolubilità. Essi sostengono che il Concilio di Trento, in uno dei suoi canoni sull'indissolubilità (il canone 7), implicitamente ha insegnato che la pratica greca non era errata, e così il Concilio avrebbe lasciata aperta la possibilità di un compromesso "pastorale" che permetta ad alcuni che sono sposati sacramentalmente di risposarsi mentre i loro primi coniugi sono ancora in vita

Questo giudizio non solo fraintende la dottrina cattolica dell'indissolubilità, ma anche snatura gravemente le intenzioni del Concilio di Trento.

Nell'agosto del 1563, il Concilio accolse la petizione di una delegazione della Repubblica di Venezia che chiedeva di ridiscutere l'ultima formulazione del canone, che condannava in modo diretto chiunque dicesse che il matrimonio può essere sciolto a causa di un adulterio.

I legati veneziani spiegarono che in alcuni territori sotto la giurisdizione politica di Venezia la maggior parte degli abitanti, che erano cristiani greci, vivevano in un’unità particolare ma fragile con la Chiesa romana. Il governo veneziano consentiva agli arcipreti greci di esercitare un potere limitato sul clero greco e sulla liturgia greca, mentre gli abitanti greci erano sottoposti alla giurisdizione – vagamente definita – dei vescovi locali nominati da Roma e professavano periodicamente il riconoscimento dell'autorità di Roma. E pur soggetti e obbedienti all'autorità romana, i greci mantenevano un "rito antichissimo dei loro padri", che permetteva loro di rimandare una moglie adultera e sposarne un’altra, una tradizione conosciuta e tollerata dalla Chiesa romana. La pubblicazione di un anatema a quel punto avrebbe pesato sui greci, e sarebbe stato per loro un motivo di confusione e di ribellione contro Roma. La delegazione supplicò dunque il Concilio di moderare il linguaggio del canone per risparmiare a quei greci il peso di un anatema.

In risposta il Concilio adottò una formulazione riveduta del canone 7, che recita:

"Se qualcuno dirà che la Chiesa sbaglia quando ha insegnato e insegna, in accordo con la dottrina evangelica e apostolica, che il vincolo del matrimonio non può essere sciolto a motivo dell’adulterio di uno dei coniugi, e che né l’uno né l’altro, anche se innocente per non aver dato motivo all’adulterio, può contrarre un altro matrimonio mentre l’altro coniuge è in vita, e che quindi commette adulterio sia colui che rimandata la moglie adultera sposi un’altra, sia colei che rimandato il marito adultero sposi un altro, sia anatema".

Vediamo che Trento ha adottato per questo canone una formulazione indiretta. Invece di condannare chi dice che il matrimonio è indissolubile nei casi di adulterio, condanna chiunque dica che "la Chiesa sbaglia" quando ha insegnato ed insegna che il matrimonio è indissolubile nei casi di adulterio.

La svolta verso una formulazione indiretta ha suscitato molte controversie nel corso dei secoli sul significato preciso del canone. Vorrei offrire qui alcuni spunti che si sono chiariti per me durante la preparazione e la stesura di un libro imminente dal titolo “Finché morte non ci separi. L'indissolubilità del matrimonio e il Concilio di Trento".

Il canone 7 definisce dogmaticamente che la Chiesa è infallibile quando ha insegnato ed insegna che il matrimonio è indissolubile nei casi di adulterio. Ciò significa che questo insegnamento della Chiesa cattolica è certamente vero.
Le implicazioni di questo sono molto significative per la pratica greca. L'adulterio era il punto d'appoggio principale sul quale sia i protestanti che i greci si basavano nell’epoca di Trento per giustificare il divorzio e le nuove nozze (essendo “adulterio” il significato correntemente attribuito nel XVI secolo al termine greco biblico "porneia" usato da Matteo nella cosiddetta “clausola di eccezione" – "eccetto in caso di 'porneia'" – in 5, 32 e 19, 19).
Nell'affermare l'inerranza della Chiesa nell’insegnamento di tale proposizione, il canone 7 insegna che Matteo non stabilisce una reale eccezione all’indissolubilità del matrimonio. La chiara implicazione per i protestanti e i greci è che se Matteo non insegna una reale eccezione, allora l'indissolubilità di un matrimonio cristiano consumato è assoluta.


Questa conclusione è avvalorata dal fatto che nell'introduzione dottrinale all'insegnamento sul matrimonio (la “Doctrina”), che precede immediatamente i canoni dogmatici, il Concilio afferma due volte che il carattere perpetuo e indissolubile del vincolo matrimoniale è una verità di divina rivelazione. Siccome la portata dell'indissolubilità non è limitata nella "Doctrina" ai casi di adulterio o qualificata da qualsiasi altra circostanza, ma è piuttosto insegnata in maniera incondizionata, sappiamo che Trento intende riferirsi a una indissolubilità assoluta. Inoltre, proprio l'insegnamento di Trento nella "Doctrina" è un esempio dell’insegnamento della Chiesa che il canone 7 definisce solennemente come infallibile.

Ma che cosa ha concesso Trento nell’adottare una formulazione indiretta per il canone 7? Per rispondere a questa domanda dobbiamo guardare più da vicino a ciò che l'intervento della delegazione veneziana implicava.

Esso implicava le cose seguenti: 

1. quando i veneziani, che erano cattolici, presero il controllo dei relativi possedimenti territoriali, la popolazione locale era greca-ortodossa e praticava il divorzio e le nuove nozze;

2. i vescovi nominati dal papa erano insediati per governare quelle Chiese;

3. i sacerdoti greci e il popolo greco accettavano questi vescovi e riconoscevano il primato papale;

4. alcuni dei sacerdoti e della gente non lasciarono però cadere la pratica del divorzio e delle nuove nozze;

5. i vescovi tolleravano tale prassi.

Questo non dimostra forse che la Chiesa cattolica ammetteva che il divorzio e le nuove nozze erano possibili e che il matrimonio era scioglibile? No. Il modo in cui il Concilio ha definito la verità dell'insegnamento della Chiesa cattolica e la grande cura con cui l'ha esposto nella "Doctrina", nel canone 5 e nel canone 7 mettono in chiaro che il Concilio non ha accettato la verità dei necessari presupposti della pratica greca-ortodossa, e quindi non ha ammesso che tale pratica fosse corretta.

Se il Concilio avesse mantenuto la formulazione diretta, l'anatema avrebbe segnato la fine di quella tolleranza. Gli autori della petizione sostenevano che facendo così il Concilio avrebbe determinato la fine dell’accettazione dell'autorità papale da parte di quei cristiani. Optando per la formulazione indiretta, il Concilio ha quindi tollerato il divorzio e le nuove nozze all'interno di quelle Chiese particolari, imperfettamente unite com'erano con la Chiesa cattolica. Ciò che Trento ha fatto rende chiaro che la Chiesa cattolica può tollerare la pratica del divorzio e delle nuove nozze da parte di alcuni dei suoi membri che non credono che il matrimonio sia indissolubile.

Non dimostra questo che la Chiesa cattolica, come sostiene Walter Kasper, può allora adottare un principio pastorale simile alla "oikonomia", grazie a cui nell'"economia" della salvezza la Chiesa permetta a sposi congiunti in un matrimonio sacramentale consumato di divorziare e risposarsi come un modo "per accompagnare le persone mentre fanno il loro avvicinamento progressivo al traguardo della vita", e fare ciò senza negare la dottrina dell'indissolubilità? No. Solo dimostra che alcune Chiese particolari possono essere in comunione parziale ma non completa con la Chiesa cattolica e che la Chiesa cattolica può accogliere la loro comunione così com'è, tollerando nello stesso tempo il loro scisma residuo nonostante esso presupponga una proposizione che contraddice un verità che la Chiesa cattolica tiene ferma come divinamente rivelata.

Il Concilio di Firenze (1445), nel quale fu realizzata una riunione di breve durata con i greci, ha stabilito un precedente per ciò che Trento ha fatto nel canone 7. I padri a Firenze sapevano che i greci praticavano il divorzio e le nuove nozze. Ma il Concilio non richiese come condizione per la riunione con Roma che essi professassero ciò che la Chiesa cattolica insegna sul matrimonio. I padri conciliari a Trento erano convinti che se i vescovi delle Chiese greche avessero dichiarato la loro fede nel primato del papa, ma avessero continuato a consentire il divorzio e le nuove nozze, la Chiesa cattolica avrebbe potuto accogliere il migliorato rapporto con quelle Chiese particolari, anche se la comunione con esse fosse rimasta imperfetta .

La proposta di adottare la "oikonomia" significa però che la Chiesa cattolica stessa potrebbe adottare una pratica che presupponga la falsità della sua convinzione che l'indissolubilità assoluta del matrimonio sia divinamente rivelata. Questo la Chiesa cattolica non lo può fare. Il Vaticano II ha adottato un approccio simile quando ha affrontato l'ecumenismo. Non si è concentrato su elementi di divisione tra cattolici e ortodossi, ma su elementi di comunione residuale. Si è riferito agli ortodossi orientali come a vere Chiese, con veri sacramenti e ordini sacri. Ha evitato dichiarazioni sulle mancanze nelle posizioni orientali che rendono imperfetta la comunione. Non condannando quelle mancanze, il Vaticano II non intende dire che la Chiesa cattolica crede che quelle posizioni non siano false e contrarie alla fede, e che le pratiche fondate su di esse non siano in contrasto con l'ordine morale. Intende dire invece che quelle credenze e pratiche non sono incompatibili con una comunione parziale. Intende dire che la Chiesa cattolica e quella ortodossa non sono completamente fuori dalla comunione.

Il gesto di papa Paolo VI di cancellare l'anatema contro la Chiesa ortodossa di Costantinopoli durante il Concilio Vaticano II nel novembre del 1965 ha un significato simile alla decisione di Trento di non imporre l'anatema nel canone 7. Né l’una né l’altra di queste azioni implica che tutti gli ostacoli alla piena comunione siano stati superati. Eppure entrambe hanno dimostrato che una comunione reale anche se imperfetta esiste.

Quali che siano le soluzioni pastorali che la Chiesa adotti per affrontare la crisi globale dei cattolici divorziati e "risposati”, essa non può approvare il principio greco-ortodosso di "oikonomia" o di qualsiasi altra forma di divorzio e "nuovo matrimonio" senza essere infedele all'insegnamento di Gesù, riaffermato dal Concilio di Trento, che i matrimoni sacramentali consumati sono assolutamente indissolubili.

Con stima, in Gesù.

E. Christian Brugger
J. Francis Cardinal Stafford Chair of Moral Theology
St. John Vianney Theological Seminary
Denver, Colorado
Stati Uniti d'America

15 agosto 2015
Festa dell'Assunta

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Per altre notizie sui rapporti tra "La Civiltà Cattolica" e gli ultimi papi:

> "La Civiltà Cattolica" ha un direttore in più. In Vaticano (24.9.2007)

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Gli ultimi tre precedenti servizi di www.chiesa:

4.9.2015
> Il sinodo ombra di Svizzera e Germania ha un seguito. In due libri
Vi si legge che i divorziati risposati e le coppie omosessuali non si aspettano "misericordia", ma il riconoscimento della bontà della loro condìzione. Una replica critica del vicario della diocesi di Coira

31.8.2015
> Erano cinque e ora sono diciassette i cardinali anti-Kasper
E intervengono insieme in due libri che stanno per uscire in prossimità del sinodo. Con in prima fila Robert Sarah e gli africani



Caterina63
00martedì 8 settembre 2015 17:11
Papa Francesco e la Rota romana
 

Via l'obbligo della doppia sentenza conforme, introduzione del giudice unico: a poco più di un mese dal Sinodo ordinario sulla famiglia, Papa Francesco introduce la riforma del processo per le cause di nullità del matrimonio con due lettere Motu proprio datae. Obiettivo: tempi più rapidi. Fra le nuove cause di nullità, «quella mancanza di fede che può generare la simulazione del consenso».

di Lorenzo Bertocchi


Con due lettere Motu Proprio datae di Papa Francesco, dal titolo Mitis Iudex Dominus Iesus e Mitis et misericors Iesus, oggi è stata resa nota la riforma del processo per le cause di annullamento del matrimonio, rispettivamente nel Codice di diritto canonico e nel Codice dei canoni delle Chiese orientali cattoliche. 

Nel giro di appena un anno si è arrivati al risultato presentato oggi. Il lavoro della commissione, nominata nell'agosto 2014, ha permesso al Papa di pronunciarsi, senza attendere i lavori del prossimo sinodo di ottobre. Come ha dichiarato Mons. Pio Vito Pinto, presidente della commissione incaricata, “il Papa ha capito nel Sinodo straordinario [del 2014] che su questa questione c'era quasi unanimità”.

Tenendo fermo il fatto che per la Chiesa la stella polare è “la salvezza delle anime”, queste sono le principali indicazioni della riforma: 

- non è più richiesta la doppia sentenza conforme in favore della nullità del matrimonio, “affinché le parti siano ammesse a nuove nozze canoniche”. Rimane, ovviamente, la possibilità di appello e anche un terzo grado di giudizio;

- l'introduzione del “giudice unico”, comunque chierico, in prima istanza, viene rimessa alla responsabilità del vescovo. “Il vescovo dovrà costituire un tribunale per le cause di nullità nella sua diocesi”, ma avrà la facoltà di accedere a un altro tribunale di una diocesi vicina. “Le cause di nullità sono affidate a un collegio di tre giudici, presiedute da un chierico, mentre gli altri due giudici possono essere laici.”; 

- il Vescovo stesso diviene “giudice” e può svolgere il compito senza delegare;

- il tribunale di seconda istanza per la validità deve sempre essere collegiale; 

- viene introdotto il processo “breve”, che si aggiunge a quello cosiddetto “documentale”, e che si applica qualora “la domanda sia proposta da entrambi i coniugi o da uno di essi, col consenso dell’altro” e “ricorrano circostanze di fatti e di persone, sostenute da testimonianze o documenti, che non richiedano una inchiesta o una istruzione più accurata, e rendano manifesta la nullità”

- viene ripristinato l’appello alla sede metropolitana quale “segno distintivo della sinodalità nella Chiesa”.

Quelli sopra sono, in linea generale, i principali elementi introdotti dalla riforma presentata oggi in Vaticano. Una riforma che ha il suo principale obiettivo in una accelerazione dei tempi delle cause, ritenuti eccessivamente lunghi ed estenuanti.

Interessante notare che tra le cause che possono permettere di trattare il caso tramite la forma della processo “breve” vi è “quella mancanza di fede che può generare la simulazione nel consenso o l'errore che determina la volontà, la brevità della convivenza coniugale, l'aborto procurato per impedire la procreazione, l'ostinata permanenza in una relazione extraconiugale al tempo delle nozze o in un tempo immediatamente successivo, l'occultamento doloso della sterilità o di una grave malattia contagiosa o di figli nati da una precedente relazione o carcerazione, la causa del matrimonio del tutto estranea alla vita coniugale o consistente nella gravidanza imprevista della donna, la violenza fisica inferta per estorcere il consenso, la mancanza di uso di ragione comprovata da documenti medici».

Il Papa ha firmato i due Motu proprio il 15 agosto scorso, festa dell'Assunzione di Maria, e ha voluto espressamente che fossero resi pubblici oggi, 8 settembre, festa della Natività di Maria. La commissione incaricata ha votato all'unanimità i testi che, a loro volta, sono stati sottoposti al parere di quattro “grandi esperti” i cui nomi però non sono stati svelati.

E adesso il Sinodo sulla famiglia. Viene spontaneo chiedersi come influenzerà il dibattito questa riforma che, a molte orecchie, suona come l'anticipazione di un tema che dentro l'aula sinodale avrebbe dovuto mettere d'accordo tutti. Un freno ai novatori? Un segnale ai “conservatori”? Forse nessuno dei due, o tutti e due. 







Motu Proprio del Papa. Favorire la celerità dei processi non la nullità

Motu Proprio Papa Francesco - OSS_ROM

Motu Proprio Papa Francesco - OSS_ROM

08/09/2015 

Favorire “non la nullità dei matrimoni, ma la celerità dei processi”. E’ questo l’architrave delle due lettere Motu Proprio datae di Papa Francesco, dal titolo "Mitis Iudex Dominus Iesus" e "Mitis et misericors Iesus", rese note oggi, sulla riforma del processo canonico per le cause di dichiarazione di nullità nel Codice di Diritto Canonico e nel Codice dei Canoni delle Chiese Orientali. Le norme entreranno in vigore l'8 dicembre, inizio del Giubileo straordianrio della misericordia. Il servizio di Massimiliano Menichetti:

Nel solco dei Predecessori e del Sinodo
E’ la preoccupazione della salvezza delle anime - scrive il Papa - che ha spinto il Successore di Pietro “a offrire ai vescovi questo documento di riforma” sulle cause di nullità del matrimonio. Francesco, nel solco dei suoi Predecessori e continuando nell’opera avviata prima del Sinodo straordinario sulla Famiglia dell’anno scorso, con la creazione di una Commissione di studio in materia, ribadisce che il matrimmonio è “cardine e origine della famiglia cristiana” e che scopo del documento non è favorire la “nullità dei matrimoni, ma la celerità dei processi”.

La cura delle anime
Questo anche per “l’enorme numero di fedeli – scrive il Papa – che, pur desiderando provvedere alla propria coscienza, troppo spesso sono distolti dalle strutture giuridiche della Chiesa a causa della distanza fisica o morale”. Quindi, “processi più rapidi e accessibili” come chiesto anche nel recente Sinodo sulla famglia, precisa Francesco, per evitare che “il cuore dei fedeli che attendono il chiarimento del proprio stato non sia lungamente oppresso dalle tenebre del dubbio”.

Centralità del Vescovo - Una sola sentenza
Le cause di nullità restano “trattate per via giudiziale, e non amministrativa” per “tutelare in massimo grado la verità del sacro vincolo”. Per la celerità, si passa a una sola sentenza in favore della nullità esecutiva, quindi non più una doppia decisione conforme. Tra le cause di nullità anche la "mancanza di fede che può generare la simultazione del consenso o l'errore che determina la volonta'". Il vescovo diocesano è giudice nella sua Chiesa particolare, il quale deve costituire un tribunale, da qui la necessità che sia “nelle grandi come nelle piccole diocesi”, il vescovo non lasci completamente delegata agli uffici della curia la funzione giudiziaria in materia matrimoniale. 

Processo "Breve" oltre al "Documentale" 
In aggiunta al processo documentale attualmente vigente, si affianca anche un processo più breve “nei casi in cui l’accusata nullità del matrimonio è sostenuta da argomenti particolarmente evidenti”. Per tutelare il principio dell’indissolubilità del matrimonio, a fronte del rito abbreviato, sarà giudice lo stesso vescovo, che è “garante dell’unità cattolica nella fede e nella disciplina”. 

La sede metropolitana
Viene ripristinato l’appello alla sede metropolitana quale “segno distintivo della sinodalità nella Chiesa”. Francesco si rivolge anche alle Conferenze episcopali, che “devono essere soprattutto spinte dall’ansia apostolica di raggiungere i fedeli dispersi” e devono rispettare “il diritto dei vescovi di organizzare la potestà giudiziale nella propria Chiesa particolare”.

La gratuità del procedimento e Rota Romana
Viene ribadita la gratuità delle procedure “perché – scrive il Papa – la Chiesa, mostrandosi ai fedeli madre generosa, in una materia così strettamente legata alla salvezza delle anime, manifesti l’amore gratuito di Cristo dal quale tutti siamo stati salvati”. Rimane l’appello al Tribunale della Sede Apostolica, ovvero la Rota Romana, "nel rispetto di un antichissimo principio giuridico, così che venga rafforzato il vincolo fra la Sede di Pietro e le Chiese particolari".

Presentazione in Sala Stampa Vaticana
In Sala Stampa Vaticana, durante la presentazione dei due documenti giuridici, è stata ripresa e sottolineata la sfida della brevità a fronte di cause che oggi durano anche dieci anni. Precisato anche che la riforma non sarà retroattiva e che entrerà in vigore l’8 dicembre prossimo. Mons. Pio Vito Pinto, decano della Rota Romana e presidente della Commissione speciale per la Riforma del processo matrimoniale canonico, ha ulteriormente rimarcato la centralità del ruolo del vescovo:

R. – Il Papa investe i vescovi di fiducia. Nessun Papa ha celebrato due Sinodi a distanza di un anno: la riforma si incentra sul vescovo diocesano e chiede un’apertura onesta, non solo come anima ma anche come mente e cuore alla massa dei poveri. Quando il Papa ripete che la Chiesa deve aprirsi ai poveri che sono nelle periferie ha inteso e intende parlare anche, come voi sapete bene, della massa dei divorziati che sono una categoria di poveri.

Il cardinale Francesco Coccopalmerio, presidente del Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi e membro della Commissione speciale, ha sottolineato l’ambito operativo del Motu proprio:

R. – Si tratta, di un processo che conduce alla dichiarazione della nullità, che conduce, in altre parole, in primo luogo a vedere se un matrimonio è nullo e poi, in caso positivo, a dichiararne la nullità. Non si tratta, perciò, di un processo che conduca all’annullamento del matrimonio. I motivi che determinano la nullità del matrimonio sono molteplici. Notiamo bene che si tratta di constatare, non di inventare l’eventuale esistenza di qualche motivo di nullità. Il processo di nullità del matrimonio è in altre parole un processo “pro rei veritate”. 

Da canto suo, mons. Dimitrios Salachas, esarca apostolico di Atene per i cattolici greci di rito bizantino e membro della Commissione speciale, spiegando l’importanza della collegialità sinodale nel supportare il vescovo, ha desiderato sottolineare, l'attesa e la bellezza dei due Motu Proprio che “mostrano” come la Chiesa respiri con due polmoni, perché “la legislazione latina e la legislazione orientale hanno pari dignità”: “Un’unica fede – ha osservato – ma diverse discipline”.


Da radio Vaticana








Caterina63
00mercoledì 9 settembre 2015 14:47

Astenersi perditempo

DI COSTANZA MIRIANO
disegno di Giulia Amadei

disegno di Giulia Amadei

di Costanza Miriano

Non sono, sinceramente, in grado di valutare la novità della lettera motu proprio data dal Papa sulla riforma del processo matrimoniale per la dichiarazione di nullità (parlo al singolare perché l’altra lettera è dedicata alla questione delle chiese orientali, delle quali so ancora meno se possibile).

Credo che per valutare bene la portata delle novità introdotte da Francesco bisognerebbe sapere quale fosse la procedura prima, sulla carta, e come andassero le cose nella realtà, quindi avere una qualche dimestichezza con la Romana Rota o almeno avere un parente entro il terzo grado che ci avesse avuto qualcosa a che fare.
Dico la verità, spero solo che la cosa non mi debba riguardare personalmente – credo sia sempre una sofferenza – e sono contenta che chi dovesse trovarsi ad affrontare il fallimento del proprio matrimonio possa ricevere più accoglienza, la possa avere, se ne ha diritto davvero, velocemente (la forma brevior sarà di trenta giorni) e gratis (la Romana Rota darà il buon esempio, sperando che si adeguino tutte le diocesi, perché i vescovi saranno molto più coinvolti di adesso): non si tratterà più dunque di un procedimento che solo i ricchi potranno permettersi.

Come dicevo, non sono in grado di valutare la portata delle novità, ma soprattutto non so se mi interessano molto come fedele. Sono contenta che la cosa sia stata affrontata prima del Sinodo, perché credo che la Chiesa abbia cose molto più importanti di cui occuparsi. La nullità riguarda infatti alcune fattispecie molto particolari (aver taciuto di gravi malattie contagiose, della sterilità, il rifiutare figli eccetera), e riguarda persone che dopo quella prima esperienza abbiano deciso di risposarsi cominciando un cammino di fede vero e serio con un’altra persona. Non credo che siano folle… Quei casi verranno valutati uno ad uno, più velocemente di oggi e con maggiore misericordia. Bene per loro, mi fido del giudizio che darà la Chiesa, mia madre, sapendo che non sarà leggera: ne va della salvezza eterna di quelle persone.

Quello che mi interessa è il discorso che precede questa decisione del Papa: moltissimi dei matrimoni celebrati in chiesa, ci aveva ragionato più volte Benedetto XVI, non sono validi, spesso “per grave deficit nella comprensione del matrimonio stesso tale da determinare la volontà” – come aveva detto il Papa a gennaio, all’ultima inaugurazione dell’anno giudiziario della Romana Rota –. “La crisi del matrimonio, infatti, è non di rado nella sua radice crisi di conoscenza illuminata dalla fede, cioè dall’adesione a Dio e al suo disegno d’amore realizzato in Gesù Cristo. Vi è oggi un gran numero di fedeli in situazione irregolare, sulla cui storia ha avuto un forte influsso la diffusa mentalità mondana”. Nel matrimonio infatti sono gli sposi a essere ministri del sacramento, ed è un problema se non aderiscono o non capiscono quello che stavo facendo.

Mi sembra evidente che il grosso lavoro della Chiesa debba essere quello non solo di prevenire i fallimenti matrimoniali, ma soprattutto di continuare (ritornare?) a essere profetica, annunciando che il sacramento del matrimonio ti introduce a una forma diversa di amore, che ha poco, direi niente a che vedere con quello mondano: infatti quando Gesù ne parla ai suoi discepoli, loro gli rispondono “se le cose stanno così non conviene sposarsi”. L’amore di Cristo è qualcosa che umanamente “non conviene”, perché il cuore umano, senza la grazia, non è capace dell’amore richiesto dal per sempre del sacramento.

“Astenersi perditempo” dovrebbe essere il cartello affisso all’ingresso degli uffici matrimoni delle chiese. L’amore cristiano è un’altra cosa.

È credere alla promessa di Gesù, che ci offre la possibilità di entrare in una dinamica di amore trinitario. Se mi sposo chiedendo alla Chiesa il sacramento posso ricevere la grazia, con la mia collaborazione, di amare come ama Gesù, e quindi con una qualità di amore sostanzialmente diverso da quello del mondo. Credo che tanti problemi, tanti equivoci vengano quando si tenta di far diventare la proposta del matrimonio, che è per i discepoli, una proposta di massa: è vero, c’è una ragionevolezza naturale nello stare insieme e nel generare la vita e nel crescere figli all’interno di un’unione stabile, ma la proposta umana, è stata sovrapponibile a quella cristiana fino a qualche tempo fa, all’interno della cultura borghese. Oggi la frattura fra la morale e l’avventura cristiana è chiara, e non so se sia del tutto un male. L’importante è che si sappia, e che la Chiesa sempre si ricordi di essere vox clamans in deserto, non un modello di massa. Per tutti i battezzati, sì, ma uno a uno, pronti a vivere l’avventura della conversione personale che è un matrimonio, non di massa.



   
  ci è stato chiesto:

semplicemente ti chiedo cosa pensi dei due Motu Proprio e se sono in linea con la Santa dottrina della Fede e con la Parola di Dio.Io non ho certezze, ma mi sorgono dubbi e "frustrazione"umana. La forza per reagire a tali botte è mettersi nelle mani di Maria.
Ti chiedo.
Abbiamo tutti noi cattolici criticato il divorzio breve dei politicanti sinistroidi, poi dobbiamo cambiare idea se identica cosa viene fatta dalla Chiesa?
Inoltre, come tanti fedeli si stanno chiedendo: ma se per sposarmi nella Chiesa già dobbiamo partecipare alla corso di formazione prematrimoniale, se poi il sacerdote ci fa firmare il "processino" proprio per chiarire l'importanza del sacramento, mi dici dove nasce il motivo per cui successivamente uno dei due conigui o entrambi possano appellarsi a una supposta mancanza di fede? Ma vogliamo capire, in primis la Santa Sede, che alla Parola di Dio non c'è scorciatoia?
Vogliamo smetterla di andare incontor al Mondo? Il Mondo fa bene il suo lavoro, scaltro e menzognero. Il Mondo cento anni fa ha deciso di attaccare la Chiesa, ma come attaccandola dal Suo interno! Ci siamo forse dimenticati delle parole di Papa Paolo VI quando parlò, lui Vicario di Cristo, della diffusione tra le stanze Vaticane del fumo di Satana?Vogliamo smetterla di aprire la porta e sforzarci di passare per la porta stretta? ALLA PAROLA DI GESU' NON ESISTE ALCUNA DEROGA O INDULTO. Bisogna continuare a rimanere nella Verità. AVE MARIA




risposta:

la frustrazione resta   detto papalepapale    
perchè il Papa non ha risolto il problema ma lo ha scaricato (e giustamente) ai Vescovi ai quali ha demandato l'onere di assumersi la responsabilità del giudizio  
Il MP in sè è fatto bene, ma come dice il proverbio: fatta la legge (o fatta la festa) gabbato lo santo   
....la Conferenza episcopale tedesca, per esempio, come userà questi aggiornamenti?  
Il Papa Francesco ha fatto come Pilato, se n'è lavato le mani facendo un pò lo scarica barili....
ma del resto che poteva fare?
NON POTEVA CAMBIARE LA LEGGE lo sapeva bene e di conseguenza da buon gesuita c'ha girato attorno condendo i nuovi canoni di novità ma che di fatto vanno solo a SEMPLIFICARE gran parte dell'iter burocratico che aveva paralizzato la Sacra Rota da almeno 30 anni........

Or dunque che ne viene fuori?
IO NON SONO CANONISTA e perciò anche io limito il mio commento a ciò che leggo:
la vera riforma sta in quel chiudere con il secondo appello che di solito spettava a Roma  ma furbamente non è stato cancellato e vietato, chi vuole avrà 30 giorni per appellarsi.....

ma molti Vescovi ne approfitteranno forse per chiudere in prima istanza il giudizio e di conseguenza ANNULLARE molti matrimoni che magari erano invece validi - vedasi lo scisma tedesco ....

ma del resto le parole del Papa nel MP sono chiarissime, dice:

"....ho deciso di dare con questo Motu proprio disposizioni con le quali si favorisca non la nullità dei matrimoni, ma la celerità dei processi, non meno che una giusta semplicità, affinché, a motivo della ritardata definizione del giudizio, il cuore dei fedeli che attendono il chiarimento del proprio stato non sia lungamente oppresso dalle tenebre del dubbio."

ora non resta che vedere come sarà applicato, ma come dice il proverbio: fatta la legge (o fatta la festa) gabbato lo santo, ben si addice a questa situazione  
riuscire a ingannare chiunque; avuta la grazia (o passata la festa) gabbato lo santo, a proposito di chi fa tante promesse per ottenere un favore o un beneficio, e una volta ottenutolo si dimentica facilmente del benefattore, nel caso specifico DIO, il Cristo che sulla questione aveva parlato chiaro, aveva decretato come dovesse essere trattata la materia.






   e infatti...........



Nullità, Mons Fragnelli: "Non è pastorale low cost"

Cerimonia nuziale - ANSA

Cerimonia nuziale - ANSA

09/09/2015

"Altro che pastorale low cost! Qui si tratta di stimolare un rapporto più diretto tra pastori e uomini e donne in ricerca della verità sulle loro relazioni. Francesco ci invita ad un impegno nel maturare percorsi di fede autentica, a evitare la banalizzazione. E' la pastorale di vita interiore - quella ci propone - che si ribella, e che rifiuta una impostazione delle relazioni basate solo sull'immagine". Così Mons. Pietro Maria Fragnelli, vescovo di Trapani, Presidente della Commissione episcopale CEI per la Famiglia e la Vita, commentando la riforma del processo canonico per le cause di dichiarazione di nullità del matrimonio, presentate ieri in Vaticano.


"Sono colpito dal termine della ‘conversione’ usato dal Papa nel Motu Proprio", riprende il presule: "Lo aveva già usato nell’Evangelii Gaudium a proposito della conversione delle strutture ecclesiastiche, qui c’è l’applicazione di quel principio alla materia giuridica che riguarda le condizioni degli sposi. Ora lo ripete a noi pastori perché possiamo più celermente andare incontro senza pregiudizi alle persone con difficoltà permettendoci di accogliere le loro povertà".

E aggiunge: "Si tratta di rendere sempre più comunitaria la responsabilità per questi fratelli e queste sorelle che cercano di uscire dal dubbio della propria condizione. La Chiesa locale deve contribuire con tutta la sua ricchezza spirituale, morale ed economica perché queste persone siano aiutate ad uscire dalla situazione di incertezza e di dubbio".

Don Eugenio Zanetti, vicario giudiziale della diocesi di Bergamo e giudice nel Tribunale ecclesiastico regionale lombardo, spiega la direzione in cui leggere questo documento e lo spirito cheha mosso il Papa: "Essere più vicini possibile alle persone e riconoscere al vescovo diocesano una sua potestà anche giudiziale, oltre che legislativa e amministrativa, per cui egli può essere competente direttamente nelle cause di nullità. Potendo la singola diocesi istruire i processi, i fedeli hanno meno difficoltà logistiche, temporali ed economiche per aderire a questo tipo di cause".

"L’abolizione della doppia conforme abbrevia i tempi - precisa il sacerdote - tuttavia la riforma rimane nell’ambito di una procedura giudiziale, che segue alcune regole di rispetto delle persone, della loro possibilità di conoscere le motivazioni, di replicare e anche di manifestare la propria opinione, perché alla fine si giunga a chiarire dei fatti. Ricordiamoci infatti che si tratta sempre di procedimenti di dichiarazione che a un matrimonio mancarono degli elementi per cui non è mai stato celebrato. Non si tratta né di annullmaneto né di scioglimento".

Molti si chiedono se la mancanza di fede costituisca motivo di nullità. C’è in merito qualche novità? "Questa riforma tocca l’aspetto procedurale, mentre i motivi di nullità restano i medesimi. Quindi anche il vescovo dovrà applicare la normativa sostanziale come è oggi. Quando la mancanza di fede va a toccare l’esclusione di alcuni elementi che fondano il matrimonio (es. apertura alla procreazione, indissolubilità, sacramentarietà...), essa fa da presupposto per quei capi di nullità più precisamente presi in considerazione".
Basterà la riforma a risolvere la questione pastorale che riguarda i separati e divorziati? "

L’esperienza come fondatore de 'La Casa' - gruppo di consulenza canonica ed accompagnamento spirituale per persone separate o divorziate - mi dice che le cause di nullità rimarranno limitate rispetto al grande numero di separazioni. A Bergamo ogni anno circa 1500 sono le cause di separazione, e ogni anno si fanno 20 cause di nullità. Mettiamo pure che ora vengano raddoppiate, saranno sempre poche. Quindi ci deve essere comunque un cammino di accompagnamento spirituale ed ecclesiale perché dentro la Chiesa queste persone abbiano ad essere aiutate a fare una maturazione umana e cristiana".








Caterina63
00martedì 15 settembre 2015 09:33

  IL SANTO PADRE FRANCESCO ARRECA «UNA FERITA AL MATRIMONIO CRISTIANO»? SUVVIA, CERCHIAMO DI NON ESSERE RIDICOLI …


 


Durante le mie prediche nel deserto da anni vado dicendo che l’origine del problema è data dal fatto che il matrimonio sacramentale è concesso dai vescovi e dai loro preti con una leggerezza che grida vendetta al cospetto di Dio. 


 


 


Autore Padre Ariel
Autore
Ariel S. Levi di Gualdo  da l'isoladiPatmos

 

 

Sposa ingresso chiesa
un prete che consente a una sposa in queste condizioni l’accesso in chiesa, merita i dovuti complimenti, naturalmente assieme al suo vescovo …

Raramente capita di leggere documenti giuridici improntati in maniera così profonda su criteri pastorali. Opera riuscita a meraviglia nella lettera apostolica in forma di motu proprio del Sommo Pontefice Francesco, Mitis iudex Dominus Jesus sulla riforma del processo canonico per le cause di dichiarazione di nullità del matrimonio [testo originale integrale, QUI]. Purtroppo nelle successive ore abbiamo assistito ad una diversa ridda di male informazioni ed all’Isola di Patmos sono giunte così molte lettere di lettori che hanno domandato spiegazioni sulle «nuove procedure» riguardo «l’annullamento del matrimonio» secondo le «nuove disposizioni del Santo Padre Francesco». Fatta eccezione per i presbiteri i lettori tendono a basare i propri quesiti su notizie giornalistiche di questo genere: «Francesco continua la rivoluzione: “Annullamento matrimonio rapido e gratis» [vedere QUI].

Ripetiamo ai lettori ciò che più volte abbiamo loro raccomandato: non bisogna mai basarsi sulle notizie riportate dai giornali o su estratti spesso male interpretati dalle agenzie di stampa; è sempre necessario andare alla fonte e leggere i documenti ufficiali, tutti reperibili sul sito della Santa Sede.

sposa in chiesa 2 Guendalina Tavassi e Umberto D Aponte
Roma, Chiesa di San Lorenzo in Lucina – Non è l’immagine di unapornostar ma di una sposa ammessa in queste condizioni dentro una chiesa della Diocesi di Roma. Questo impone di  porgere i più sentiti complimenti al Monsignor Rettore di questa chiesa metropolitana ed a quelli del Vicariato di Roma …

Nel titolo poc’anzi riportato, che è solo uno tra i tanti, spiccano due parole fuorvianti e scorrette: «rivoluzione», lemma caro alla passionaria argentina Elisabetta Piqué [vedere QUI]; e quella ancora più scorretta di «annullamento». Come infatti spiegheremo nessun Pontefice, incluso il Santo Padre Francesco, può annullare un Sacramento. Se ciò fosse stato possibile i Pontefici Clemente VII e Paolo III, che scomunicarono Re Enrico VIII rispettivamente nel 1533 e nel 1538 per le sue vicende matrimoniali e la sua pretesa di piegare la disciplina dei Sacramenti alle proprie volontà, si sarebbero risparmiati volentieri lo scisma d’Occidente con tutte le persecuzioni che ne seguirono per la Chiesa Cattolica d’Inghilterra, per il clero ed i laici fedeli a Roma, come prova il martirio di Thomas More e quello del Vescovo e Cardinale John Fisher, entrambi decapitati e proclamati in seguito santi martiri.

Chiariamo i termini facendo uso di parole corrette, perché nessuno, incluso il Romano Pontefice, può “annullare”, “cancellare”, “togliere” un Sacramento validamente celebrato o amministrato. Un Sacramento — in questo specifico caso il matrimonio – può essere nullo, che è cosa diversa dal concetto aberrante di “sacramento annullato”. Per esempio: io ho ricevuto validamente e lecitamente il Sacramento dell’Ordine i cui requisiti di validità richiesti sono minimi, come del resto lo sono per tutti i Sacramenti. Se però fosse appurato che non ho ricevuto il Sacro Ordine liberamente ma sotto minaccia e costrizione e che in verità non era mia intenzione diventare prete; se fosse appurato che sono giunto al Sacro Ordine per scopi malvagi e perversi, animato da sprezzo verso il deposito della fede, il Magistero della Chiesa e le verità di fede da essa custodite e annunciate … appurato il tutto verrebbe dichiarato che il Sacramento da me ricevuto è nullo. E, seppure consacrato sacerdote, il Sacramento da me formalmente ricevuto non sarebbe valido, perché l’imposizione delle mani e la preghiera consacratoria recitata dal vescovo su di me e la unzione dei palmi delle mie mani col sacro crisma, finirebbero col risultare solo segni fini a se stessi che non hanno potuto produrre alcuna efficacia sacramentale su una persona totalmente chiusa ai doni della grazia del Sacro Ordine.

sposi Basilica di Santa Maria in Aracaeli 2
Roma, Basilica di Santa Maria in Aracoeli.Sempre con rinnovati complimenti ai Frati Minori Francescani a cui è affidata la rettoria di questa basilica ed a quelli del Vicariato di Roma.

La Chiesa può dichiarare che un Sacramento è nullo, cosa sostanzialmente diversa dall’annullare un Sacramento. La Chiesa non ha alcuna facoltà di “annullare” un Sacramento perché non può disporre della sostanza dei Sacramenti in quanto beni non disponibili e quindi non variabili  e non alterabili nella loro essenza, essendo appunto mezzi e strumenti di grazia d’istituzione divina dei quali noiministri siamo solo custodi e dispensatori secondo le diverse potestà dei tre gradi del Sacramento dell’Ordine; dei Sacramenti non disponiamo e di essi non siamo padroni. Tutto questo non è un gioco di parole e neppure una questione di lana caprina, tutt’altro: chi afferma: «il Tribunale ecclesiastico ha annullato il matrimonio di Tizio e Caia» dice un’enorme stoltezza. Il Tribunale ecclesiastico ha solo dichiarato che quel matrimonio è nullo dopo avere appurata la mancanza di uno o più requisiti necessari a renderlo valido.

sposi Basilica di Santa Maria in Aracaeli 3
Roma, Basilica di Santa Maria in Aracoeli.Sempre con rinnovati complimenti ai Frati Minori Francescani a cui è affidata la rettoria di questa basilica ed a quelli del Vicariato di Roma

Cercherò adesso di chiarire la questione:anni fa fui chiamato presso un tribunale ecclesiastico con un’altra persona a deporre per una sentenza di nullità matrimoniale. Il fatto sul quale resi testimonianza riguardava una vicenda accaduta anni prima che io divenissi prete; come infatti molti sanno sono divenuto sacerdote in età adulta. L’altra persona che depose con me era una mia ex fidanzata. Accadde infatti in passato che durante una cena, i due che poi divennero marito e moglie ebbero dinanzi a noi un colloquio che fu un vero patto scambiato alla nostra presenza come conditio sine qua non al matrimonio. Disse la futura moglie: «Io ti sposo ad una precisa condizione: sappi che non voglio figli e che userò sempre tutte le precauzioni per non averne. Io sono felice di vivere la mia vita con te, ma senza figli. Se quindi tu desideri avere figli è bene non sposarci». Replicai all’amica — che tra l’altro era pure una giurista — che a mio parere non era quello uno dei migliori presupposti per convolare a nozze. Due anni dopo ci perdemmo di vista e trascorsi altri 12 anni fui convocato presso il tribunale ecclesiastico, dinanzi al quale deposi — assieme a quella che in un’altra vita fu mia fidanzata — ciò che entrambi avevevamo udito una sera di 14 anni prima.

Non dimenticherò mai ciò che mi disse l’anziano confratello uditore [giudice ecclesiastico], prendendomi poi da parte a tu per tu. Se proprio devo raccontarla tutta mi fece anzitutto questa battuta: «Noto che prima di diventare prete avevi buoni gusti …», riferendosi in tal modo alla giovane bella Signora che aveva testimoniato assieme a me. E dopo questa battuta mirata a rompere il ghiaccio passò con un sorriso a ben più serie battute: «Questa procedura andrà sicuramente a buon fine non perché c’è di mezzo un prete, ma perché c’è di mezzo un prete che ha fede, che crede davvero al giudizio di Dio e che per questo non proferirebbe mai il falso; cosa che ho percepito subito». E proseguì affermando: «Sai quanti avanzano richiesta di riconoscimento della nullità del matrimonio basando le loro istanze sul fatto che si erano promessi di non avere figli, che si sono sposati sotto costrizione o che non erano capaci di avere rapporti sessuali di coppia in quanto sessualmente incompatibili?». E concluse: «Le motivazioni più addotte sono quelle più difficili da dimostrare anche scientificamente, per questo facciamo spesso ricorso alle formule di giuramento solenne».
Replicai io: «Stai dicendo che molti si sono compromessi la salute dell’anima proferendo spergiuri?». Sorrise e non rispose niente più, mentre io proseguivo dicendo: «… ma il sacerdote che li ha accolti, che ha parlato con loro e che ha accettato il consenso che si sono scambiati, che genere di prete è … come li ha conosciuti … che cosa ha ascoltato prima che si unissero in matrimonio … quale percezione ha questo prete dei Sacramenti di grazia? Perché a monte di queste situazioni, se proprio vogliamo essere onesti finiamo sempre con lo scoprire l’immancabile presenza di un cattivo prete, o di un prete superficiale al quale il proprio vescovo consente il pericoloso lusso di essere appunto un cattivo prete od un prete superficiale». E conclusi: «Ciò sul quale ho appena deposto sono di fatto le conseguenze della mancata applicazione della corretta disciplina dei Sacramenti da parte dei vescovi preposti alla vigilanza sui propri presbiteri».

Roma, Chiesa di San Pietro in Montorio al Gianicolo. Questa sposa è stata ammessa dentro una chiesa della Diocesi di Roma rivestita di un pizzo trasparente. Sempre con rinnovati complimenti ai Frati Minori Francescani a cui è affidata questa chiesa ed a quelli del Vicariato di Roma

Non esito a definire osceno fin dal titolo l’articolo firmato dallo storico Roberto de Mattei sull’agenzia Corrispondenza Romana: «Una ferita al matrimonio cristiano» [vedere QUIQUIQUI], al quale segue un testo che denota quanto l’Autore non abbia letto il motu proprio e, se proprio lo ha letto, ha deciso di ravvisare in esso ciò che a al suo interno non è contenuto. La differenza che corre infatti tra il cieco di Gerico [cf. Mc. 10.46-52] e Roberto de Mattei che torno oggi ad assumere come paradigma di una drammatica chiusura, è che il primo, accettò di aprire gli occhi alla grazia di Dio divenendo appresso fedele discepolo di Gesù dopo essere stato strappato alle tenebre e restituito alla luce; il secondo, nel legittimo esercizio delle sue libertà, gli occhi esige invece tenerli chiusi, convinto che la salvezza sia tutta quanta nelle tenebre. Perché solo chi vive ostinatamente nelle tenebre può ignorare l’incipit iniziale di questo motu proprio, che è il seguente:

«Il Signore Gesù, Giudice clemente, Pastore delle nostre anime, ha affidato all’Apostolo Pietro e ai suoi Successori il potere delle chiavi per compiere nella Chiesa l’opera di giustizia e verità; questa suprema e universale potestà, di legare e di sciogliere qui in terra, afferma, corrobora e rivendica quella dei Pastori delle Chiese particolari, in forza della quale essi hanno il sacro diritto e davanti al Signore il dovere di giudicare i propri sudditi» [Cf. QUI].

Santa prisca aventino
Roma, Chiesa di Santa Prisca all’Aventino.Ingresso della sposa a spalle e schiena scoperta. Sempre con rinovati complimenti ai Frati Agostiniani ai quali è affidata questa chiesa ed a quelli del Vicariato di Roma.

In quel testo non parla Jorge Mario Bergoglio e neppure semplicemente Pietro, perché in esso è Pietro che si esprime nel più alto esercizio di quella potestà che egli ha ricevuto da Cristo Dio in persona che ha conferito a lui il potere di «legare e sciogliere» [cf. Mt. 16,13-20]. Ora, se nessuno dei monsignori filosofi ed epistemologi che frequenta il de Mattei gliel’ha detto, è doveroso che glielo dica io: affermare che il Romano Pontefice «arreca una ferita al matrimonio cristiano» è un’eresia formale e sostanziale, perché si accusa il Principe degli Apostoli di ledere l’essenza di un Sacramento di grazia; e chiunque lanci di simili accuse al Romano Pontefice nel più alto esercizio del suo sommo magistero, è di per sé un eretico, non un difensore della “vera fede” e dei Sacramenti, ma un eretico palese. E per l’ennesima volta prendiamo atto con autentico dolore del pensiero ereticale di Roberto de Mattei e del piccolo circolo dei suoi, che pure sono avvezzi a presentarsi come autentici difensori della traditio catholica.

Sull’Isola di Patmos chiunque può leggere uno dei miei ultimi articoli nei quali ho dato al Santo Padre una filiale carezza con la mano rivestita di carta vetrata [vedere QUI] per una questione riguardante faccende di carattere pastorale; un testo accompagnato da altri due articolo che a loro modo hanno rincarato la dose [vedere QUIQUI]. In quel mio articolo ho espresso la mia perplessità a concedere ai sacerdoti validi ma illeciti della ereticale fraternità sacerdotale di San Pio X di amministrare confessioni; e ribadisco che in questo, il Santo Padre, a mio parere è stato pastoralmente inopportuno. Poi semmai un giorno emergeranno tutte le ragioni altamente opportune di questa sua scelta, ed in tal caso io sarò il primo a chiedere perdono per avere formulato un giudizio che a posteriori potrebbe risultare del tutto errato, ammettendo senza esitazione di avere sbagliato. In attesa di questo seguiterò a dissentire ogni volta il Santo Padre, in veste di mediatico papa piacione o ricoprendo il ruolo tele-giornalistico di Sua Simpatia anziché di Sua Santità,esordirà come dottore privato in modo estemporaneo, a braccio o tramite messaggi privati su questioni e faccende non legate a tematiche strettamente connesse alla dottrina della fede e alla disciplina dei Sacramenti. O per meglio ancòra chiarire: io seguiterò a rivendicare la libertà dei figli di Dio ed il legittimo esercizio di critica rivolta sempre con dovuta devozione anche al Sommo Pontefice, limitatamente a ciò che concerne tutte quelle questioni nelle quali non ricorrano i tre diversi gradi della infallibilità pontificia indicati nella lettera apostolica Ad tuendam fidem redatta in forma di motu proprio da San Giovanni Paolo II [vedere QUI].

sposi a san silvestro e martino ai monti
Roma, Chiesa di San Silvestro e Martino ai Monti.Per seguire con la saga delle spose seminude davanti all’altare. Con rinnovati complimenti ai Frati Carmelitani ai quali è affidata questa chiesa ed a quelli del Vicariato di Roma

Se però io leggo sull’intestazione di un documento pontificio «motu proprio», prima ancòra di leggere quanto segue nel testo ne ho già accettati i contenuti senza condizioni e discussioni, memore che Pietro ha ricevuto da Cristo il potere di «legare e sciogliere»; ed io ho prestato devota e filiale obbedienza al Vescovo che mi ha consacrato nel sacro ordine sacerdotale a sua volta in piena comunione col Vescovo di Roma; non ho certo prestato obbedienza alle mie opinioni né al mio modo di vedere e di sentire; non ho prestato obbedienza alla mia superbia e alla mia arroganza. È in questo modo che come sacerdote del clero secolare sono stato formato ad agire e rapportarmi verso l’Autorità Ecclesiastica, a partire anzitutto dallaauctoritas del Supremo Pastore della Chiesa universale, il Successore di Pietro e Vicario di Cristo in terra, al quale il Verbo di Dio ha dato potere di «legare e sciogliere».

Se invece fossi un sacerdote religioso appartenente all’odierno Ordine della Sincretistica Compagnia delle Indie ― quella che Sant’Ignazio di Loyola chiamò a suo tempo Compagnia di Gesù ― il mio approccio sarebbe diverso. Infatti i gesuiti professano speciale voto di obbedienza al Sommo Pontefice che oggi rappresenta a mio parere quanto di più ridicolo possano professare da cinquant’anni a questa parte, appurata la loro propensione ad ubbidire al Successore di Pietro solo se il Successore di Pietro fa, dice e pensa ciò che vogliono loro, perché in caso contrario non esitano, persino attraverso il loro Preposito Generale, a ricordare di non essere le guardie svizzere del Papa [vedere QUIQUI]. È bene infatti ricordare che sono tutt’oggi viventi e dotati di memoria ― alcuni sono divenuti anche vescovi ― numerosi sacerdoti che all’epoca in cui erano studenti alla Pontificia Università Gregoriana si sono dovuti sorbire tutti gli sfottò rivolti dalle cattedre nel corso degli anni Ottanta a Giovanni Paolo II da svariati accademici gesuiti. È altresì noto a quelli della Congregazione per la cause dei santi in che modo, certi gesuiti, abbiamo cercato di ostacolare in ogni modo il processo di beatificazione di Paolo VI e quello di Giovanni Paolo II, colpevoli a loro parere di essere stati severi con la Compagnia di Gesù, pur avendo in verità “peccato” a mio parere in una cosa: non essere andati fino in fondo nella questione. Infatti, se oggi siede sulla Cattedra di Pietro un Sommo Pontefice proveniente da questo Ordine, la cosa non mi irretisce né m’impedisce di esprimere che se Paolo VI prima, o Giovanni Paolo II dopo, avessero proceduto a sciogliere la Compagnia, si sarebbero evitati nei successivi quattro decenni tanti gravi problemi alla Chiesa universale, in modo particolare nel Nord dell’Europa, in America Latina e in Asia. E che dire del meglio del peggio rovesciato dalla solare e ostinata eterodossia di certi studiosi e teologi gesuiti su Benedetto XVI?

Roma, Chiesa di San Giorgio al Velabro.Uscita della sposa dalla chiesa, rivestita da una specie di pareo bianco da mare attorno al corpo. Sempre con rinnovati complimenti ai Frati Carmelitani che presso questa chiesa hanno messo in piedi un’autenticafabbrichetta dimatrimoni [vedere QUI,QUI], ed a quelli del Vicariato di Roma

Molti di questi pii religiosi votati alla speciale obbedienza al Sommo Pontefice, a questo futuro Successore di Pietro hanno fatto guerra più o meno sottile sin da quando era Arcivescovo di Monaco di Baviera, dove la intellighenzia gesuita sparse voce circa la sua “mediocrità teologica” e la sua “incapacità a fare il vescovo“. Se però l’allora Arcivescovo di Monaco di Baviera fosse stato come molti altri vescovi tedeschi un rahneriano e un romanofobo a tutto tondo, in tal caso sarebbe stato il teologo più capace e il vescovo più splendido di tutta la Germania, la cui deriva cattolica ci è nota da altrettanti decenni, anche per l’opera dei gesuiti, ridotti oggi in quel Paese a meno di trecento elementi vestiti in giacca e cravatta, l’età media dei quali è al di sopra dei 70 anni. E quì merita per inciso ricordare che i membri dell’allora Compagnia di Gesù di Sant’Ignazio di Loyola nel 1970 erano 32.898; i membri della odiernaCompagnia delle Indie di Padre Adolfo Nicolás sono precipitati nel 2010 a 16.295, una caduta libera dinanzi alla quale possiamo solo suggerire la seguente appropriata giaculatoria da stampare e da mettere vicina ai libretti di meditazione di Enzo Bianchi che campeggiano in tutte le loro case di esercizi spirituali: «Rahner sia benedetto, benedetto il suo santo nome, benedetto Rahner vero teologo e vero gesuita …».

Ho affermato tutto questo non per sparare sui gesuiti, cosa che sarebbe crudele tanto quanto lo sarebbe sparare col mitra sulla colonna di carri funebri che sulla scia del peggio del post-concilio li sta portando al cimitero a ritmo di marcia d’una media di 400 decessi in un anno e 22 nuove ordinazioni avvenute perlopiù in India e in Africa; ho fatto questo amabile giro di valzer solo per esprimere in che misura il progressismopiù esasperato e il tradizionalismo più cupo portano entrambi allo stesso risultato: la ribellione all’Autorità di Pietro, soprattutto quando si presta a lui speciale voto di obbedienza, ed il risultato inevitabile per gli uni come per gli altri è la colonna di carri funebri in marcia verso il cimitero, sia che si benedica Karl Rahner sia che si benedica Marcel Lefebvre.

Il caro de Mattei che pone in dubbio un atto di indiscutibile autorità del Romano Pontefice è animato dal medesimo spirito, muta la forma ma la sostanza di fondo è la stessa. E per meglio instillare il dubbio su un atto di somma autorità del Romano Pontefice riporta la “sacra” opinione di un ateo devoto, Giuliano Ferrara, tanto interessato alle pruriginose faccende social-politiche della Chiesa Cattolica per quanto nulla interessato ad accogliere la fede nel verbo di Dio incarnato, morto e risorto, che naturalmente è suo diritto rifiutare. Questo il motivo per il quale, de Mattei ed il suo circolo, confermano il loro spirito borderline del quale già in passato ha scritto sulle colonne dell’Isola di Patmosla nostra Ipazia gatta romana e filosofa insigne: da una parte contestano l’autorità del Romano Pontefice dall’altra portano come modello un ateo impenitente [vedere QUI].E questo è spiritoborderline, c’è poco da aggiungere …

Spose carmelitani
li boni Frati Carmelitani, per meglio pubblicizzare la loro redditiziafabbrichetta di matrimoni presso San Giovanni al Velabro, nel sito ufficiale della storica chiesa hanno inserito questa foto, tanto per invogliare le spose a entrare seminude [vedereQUI]

Non si capisce da dove proverrebbe la mortal «ferita al matrimonio cristiano», a ben considerare che il motu proprio del Santo Padre Francesco parte dalla premessa della indissolubilità del matrimonio. Recita infatti il testo:

«Nel volgere dei secoli la Chiesa in materia matrimoniale, acquisendo coscienza più chiara delle parole di Cristo, ha inteso ed esposto più approfonditamente la dottrina dell’indissolubilità del sacro vincolo del coniugio, ha elaborato il sistema delle nullità del consenso matrimoniale e ha disciplinato più adeguatamente il processo giudiziale in materia, di modo che la disciplina ecclesiastica fosse sempre più coerente con la verità di fede professata».

I problemi di comprensione del de Mattei, pure di fronte a testi di ineccepibile chiarezza, nascono da un dramma comunque risolvibile per lui come per i “suoi”: da un atto di conversione. Vale a dire: di apertura alla grazia di Dio, salvo rimanere dei ciechi in bilico tra la Chiesa Cattolica, i circoli lefebvriani e tanti occhi strizzati ai sedevacantisti, prigionieri di una propria idea di Chiesa che non è però la Chiesa di Cristo ma appunto un’idea vuoi romantica vuoi cupa della Chiesa di Cristo.

Sposa chiesa San Andrea e Gregorio al Celio
Roma, Chiesa dei Santi Andrea e Gregorio al Celio. Una volta queste erano sottovesti da mettere sotto i vestiti, non abiti da indossare in chiesa. Con rinnovati complimenti ai membri della Fraternità Sacerdotale di San Carlo Borromeo ai quali è affidata questa chiesa ed a quelli del Vicariato di Roma

Con questo motu proprio il Santo Padre cerca di porre rimedio a delle incontrollate e purtroppo incontrollabili derive legate alla disciplina dei Sacramenti. Egli non può essere presente in ogni diocesi del mondo a controllare ciò che di nefasto seguitano a fare molti preti sotto gli occhi indifferenti di numerosi vescovi, che con una leggerezza che spazia tra l’accidia e lo spirito dei mercanti del tempio concedono matrimoni a chiunque come se il Sacramento fosse un “diritto” dinanzi al quale non si possa dire no. Perché questo è il vero problema pastorale che cercheremo adesso di analizzare.

I problemi pastorali non si risolvono tentando l’impossibile impresa del raddrizzamento di un albero cresciuto storto; si cerca di agire all’origine impedendo che l’albero piantato sulla riva del fiume possa crescere storto. Se quindi viene diagnosticato un tumore, non si può lasciare che si sviluppi, tentando poi interventi inutili dinanzi alle metastasi diffuse, perché a quel punto si può intervenire solo con cure palliative per cercare di alleviare il dolore al malato, ma non certo per salvargli la vita. Oppure si può intervenire ponendo il malato che rifiuta la malattia e la morte di fronte alla realtà e alla sua gravosa responsabilità: la salvezza della propria anima.

Sposi chiesa di San Pietro in Montorio al GIanicolo
Roma, Chiesa di San Pietro in Montorio al Gianicolo. Spalle e schiena scoperta e … rinnovati complimenti ai Frati Minori Francescai ai quali è affidata questa chiesa ed a quelli del Vicariato di Roma

Durante le mie prediche nel deserto da annivado dicendo che l’origine del problema è data dal fatto che il matrimonio sacramentale è concesso dai vescovi e dai loro preti con una leggerezza che grida vendetta al cospetto di Dio. Nel corso dei miei anni di ministero sacerdotale, a quante coppie più o meno giovani ho rivolto la preghiera: Non sposatevi in chiesa, perché mancate dei minimi requisiti richiesti per ricevere il Sacramento. Non sposatevi in Chiesa, perché non siete interessati alla vita cristiana, perché non accettate i principali fondamenti della nostra professione di fede … Ma le risposte sono sempre state le seguenti: «Si, è vero, non sono un credente, ma lo faccio per lei … si, è vero, noi siamo a favore dell’aborto, del divorzio, della libera convivenza, sosteniamo la cultura del gender … però dobbiamo sposarci in Chiesa per fare contenti i genitori, perché loro ci tengono a certe tradizioni … ».

Un trentenne al quale fu concesso di entrare in trionfo dentro una antica Chiesa cattedrale vestito in frac assieme a una sposa che pareva Lady Diana tra cascate di fiori, suoni d’organo e di violini, durante un colloquio privato avvenuto poche settimane prima alla presenza di undici persone nel corso di una cena in una casa privata, mi disse di non credere alla divinità di Cristo e tanto meno alla sua risurrezione fisica, che reputava cosa “infantile” credere che il pane e il vino potessero diventare realmente corpo e sangue di Cristo, che giudicava il Vangelo un bel libro di racconti leggendari e che fosse stato in suo potere avrebbe rinchiuso in galera il Presidente della Conferenza Episcopale Italiana ― che all’epoca era il Cardinale Camillo Ruini ―, perché a suo dire cacciava il naso in faccende politiche che non riguardavano né lui né i vescovi italiani. Ovviamente informai di tutto questo il vescovo di quella diocesi, riferendogli anche che nel corso di questa cena la futura moglie era entrata nel tema dell’aborto per sostenere la piena legittimità della donna ad abortire, definendo l’aborto un «grande diritto acquisito» ed una «conquista sociale», ed a tal fine aveva portato la sua stessa esperienza, avendo ella stessa abortito a 19 anni, età nella quale ― disse ― «Non ero né pronta né tanto meno avevo voglia di avere un figlio in quel momento», ed affermò: «Tornassi indietro farei altrettanto». Informato del tutto il vescovo di quella diocesi mi mandò, tramite un suo presbitero anziano, l’invito a essere «meno rigorista» perché «applicando le tue logiche avremmo forse dieci matrimoni all’anno in tutta la diocesi».

sposi chiesa sant Alessio Aventino
Roma, Chiesa di Sant’Alessio all’Aventino. Ecco … questa sposa ha avuto il buon gusto di scoprirsi decolté spalle e schiena ma di coprirsi le mani con i guanti trasparenti. Con rinnovati complimenti ai Frati Domenicani ai quali è affidata questa basilica ed a quelli del Vicariato di Roma

Oggi questo Vescovo, alla luce del motu proprio Mitis iudex Dominus Jesus dovrà assumersi tutte le proprie responsabilità anche dinanzi a casi del genere, perché quando poi molti di questi matrimoni invalidi a monte naufragheranno, il buon pastore ed i suoi preti saranno posti dinanzi all’innegabile evidenza dei loro fallimenti, ed a loro spetterà metterci rimedio, a pena della salvezza o della dannazione eterna delle loro anime.

All’ateismo delle numerose coppie che si sposano in queste o in condizioni analoghe va aggiunto il ben peggiore ateismo di certi preti, soprattutto di quei preti preposti come parroci o rettori di chiese di prestigio storico e artistico che tirano molto per questi “matrimoni sceneggiata”. Nella Diocesi di Roma i peggiori mercatini sono gestiti da sacerdoti appartenenti alle varie famiglie religiose. Molti di questi sacerdoti si comportano di fatto come mercanti che previa riscossione anticipata della “parcella” non si fanno scrupolo ad essere i primi a far scempio del Sacramento: spose ammesse in chiesa mezze nude con spalle scoperte e seni mezzi di fuori, fotografi e cameraman che la fanno da padroni sul presbiterio, assemblee composte da amici e parenti totalmente disinteressati al sacro rito, non essendo per loro quello spazio un luogo sacro e ciò che all’interno si celebra un Sacramento, bensì un teatro suggestivo nel quale si recita una sceneggiata che serve solo per le foto ricordo o per il filmato … e davanti a tutto questo molti pii religiosi tacciono e incassano quanti più soldi possono per le loro provincie religiose, conservando spesso male le chiese storiche, dotate non di rado di sacrestie all’interno delle quali sono stipati paramenti sintetici, camici ingialliti e male odoranti, tovaglie per altare logore, suppellettili e vasi sacri ingiovabili e corrosi all’interno, perché la prassi tende a essere quella del “prendere” e al tempo stesso non investire un soldo in “manutenzione“. E tutto questo posso dirlo per esperienza, perché sono stato consacrato sacerdote in un’antica chiesa storica di Roma affidata alla custodia di religiosi, anch’essa nota e redditizia fabbrichetta di matrimoni. Ebbene, per il pontificale del vescovo fummo costretti a portare non solo i paramenti per i numerosi concelebranti, ma anche la tovaglia per l’altare, le suppellettili ed i vasi sacri, fino alle ampolle per l’acqua e il vino; il tutto messo a disposizione dal vicino Convento dei Frati Domenicani e dal Monastero delle Monache Cistercensi. Il giorno prima dell’ordinazione mandai anche un’impresa di pulizie a pulire la chiesa, beccandomi per tutta risposta la battuta del pio frate rettore che mi disse: «Se vuoi spendere soldi fai pure, ma secondo me puoi farne a meno, te lo dico per l’esperienza che ho con i matrimoni; tanto nelle foto la polvere non si vede!».
Risposi: «A me non interessa che si veda o no la polvere nelle foto, che non costituiscono per me alcuna preoccupazione, m’interessa che il vescovo che celebrerà il Sacrificio Eucaristico ed io che sarò consacrato sacerdote, non ci si debba muovere assieme ad altre decine di concelebranti in mezzo al lerciume dovuto a certi religiosi che pigliano soldi con tutte e due le mani ma che non ne versano neppure uno col pollice e l’indice per pagare una persona che usi ogni tanto la ramazza dentro la chiesa». Però, chi come me esige l’ovvio, cioè il rispetto dei Sacramenti, finisce col fare la figura del prete “rigorista” davanti all’immancabile vescovo accondiscendente che risponde con “lodevole” cinismo: «Applicando le tue logiche avremmo forse dieci matrimoni all’anno in tutta la diocesi».

san Anselmo aventino
Roma, Badia Primaziale di Sant’Anselmo. In questo caso ogni commento su spalle, braccia e scollature è superfluo, perché dai benedettini di Sant’Anselmo tutto è permesso fuorché ciò che è cattolico. Con rinnovati complimenti all’Abate Primate della Confederazione Benedettina ed a quelli del Vicariato di Roma

Questi sono i problemi da risolvere a monte partendo dal principio che i Sacramenti sono azioni della grazia soprannaturale, non un diritto, non un mercato, non uno scempio profano e sacrilego. Pertanto dentro le Chiese per unirsi in matrimonio devono essere ammessi solo i credenti, consapevoli che durante la celebrazione del Sacrificio Eucaristico i due sposi si scambieranno il consenso dinanzi al sacerdote e all’assemblea del Popolo di Dio; e quel consenso è un sacramento eterno e indelebile, a meno che domani non sia riconosciuto che a causa di un grave vizio il Sacramento, anche se formalmente celebrato, mancava di uno o più requisiti tali da renderlo effettivamente valido.

Questi gravi problemi a monte, ai quali va aggiunta la mancata preparazione degli sposi, i corsi di preparazione al matrimonio ridotti a due o tre incontri fatti da certi parroci con persone che non entravano in chiesa dal giorno che avevano ricevuto la Cresima, non si risolvono solo proclamando lo snellimento della procedura giudiziale canonica, ma facendo veramente pastorale e soprattutto catechesi, riservando i Sacramenti di grazia ai credenti e non ai miscredenti che usano le nostre chiese storiche come teatri di posa per le loro sceneggiate. Certi problemi si risolvono dicendo: no, tu non puoi sposarti in Chiesa, perché non hai i requisiti richiesti per farlo, ed i requisiti richiesti sono l’integrale e incondizionata accettazione di quanto contenuto nella Professione di Fede Cattolica e la concreta dimostrazione di avere una volontà tesa perlomeno a provare a vivere una vita cristiana.

Nel corso del tempo mi è capitato di assistere nelle Chiese più blasonate di Roma ― tanto per prendere la Diocesi del Romano Pontefice ― a matrimoni durante i quali il prete all’altare parlava a si rispondeva da solo; con gli sposi che non sapevano replicare neppure “amen ”, che non conoscevano le risposte da dare durante il rito di offertorio, che non conoscevano neppure ilPadre Nostro … Tutti questi problemi si risolvono con decisa e seria fermezza pastorale dicendo: no, tu in chiesa non ti sposi, perché per quanto battezzato, pur avendo ricevuto i Sacramenti della iniziazione cristiana, nei concreti fatti non sei cristiano, perché non cristiano è il tuo pensare e il tuo vivere; e come tale noi vescovi, noi preti, noi Chiesa ti rispettiamo pure, ma non venire però nella Casa di Dio a prendere in giro Cristo ed i suoi santi perché, tutto tirato a lucido, con accanto a te la tua donna totalmente scollacciata e più simile nell’abbigliamento ad una sgualdrina agghindata a festa che a una sposa cristiana, dovete farvi un album fotografico od un filmato ricordo dentro una suggestiva chiesa del XVI secolo.

sposa santa costanza 2
Roma, Basilica di Santa Costanza. Che genere di “rito sciamano” sta facendo il sacerdote in questa chiesa affidata ai Canonici Regolari Lateranesi con una sposa all’altare abbigliata in tal modo da sembrare essersi appena staccata dal palo della lap-dance di un night club? Va da sé: rinnovati complimenti a quelli del Vicariato di Roma ed in particolare ai responsabili dell’Ufficio Liturgico.

Per risolvere questi problemi difficilmente gestibili il Santo Padre ha scelto la via giusta: riconoscere ai Vescovi l’esercizio di una loro potestà, affinché dinanzi a certi danni prodotti provvedano poi loro a porci rimedio; e ad ogni rimedio che dovranno mettere in atto, sarà in qualche modo a loro chiaro il fallimento della loro pastorale, perchè loro dovranno appunto risolvere il problema senza più la possibiltà di scaricarlo addosso ad altri.

Il de Mattei non poteva poi mancare di riportare nel suo articolo il sacro verbo del Cardinale Raymond Leonard Burke. Perché ormai, per certi circoli, se una cosa è affermata da questo Porporato neppure Dio Padre può farci nulla, salvo cadere assieme al Figlio e allo Spirito Santo in “apostasia dalla vera fede cattolica”, in caso di loro divino dissenso dal sacro verbo burkiano. L’insigne storico ricorda quindi che il Cardinale Burke ha affermato:

«ha ricordato come esiste in proposito una catastrofica esperienza. Negli Stati Uniti, dal luglio 1971 al novembre 1983, entrarono in vigore le cosiddette Provisional Norms che eliminarono di fatto l’obbligatorietà della doppia sentenza conforme. Il risultato fu che la Conferenza Episcopale non negò una sola richiesta di dispensa tra le centinaia di migliaia ricevute e nella percezione comune il processo iniziò ad essere chiamato “il divorzio cattolico” [Permanere nella Verità di Cristo. Matrimonio e comunione nella Chiesa cattolica, Cantagalli, Siena 2014, pp. 222-223]».

sposa santa costanza
Roma, Basilica Santa Costanza … rinnovati complimenti a quelli del Vicariato di Roma

Anzitutto il Cardinale Burke non dice il vero e come ex Presidente del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica dovrebbe essere informato del fatto che in quegli anni giunsero numerose istanze dagli Stati Uniti d’America alla Rota Romana da parte di persone che si erano viste negare la sentenza di nullità matrimoniale dai tribunali diocesani americani; basta fare una accurata e seria ricerca negli archivi. A parte questo, dinanzi a simile problema vero o parzialmente vero, rimane più che mai in piedi quanto in precedenza ho già affermato: mettere i Vescovi nella condizione di assumersi tutte le loro responsabilità senza più la possibilità di fare danni e scaricare i problemi e le soluzioni spesso anche difficili addosso ad altri.

Vista infatti la oggettiva impossibilità di impedire a vescovi e preti di ridurre il matrimonio ad un redditizio mercatino de-sacralizzante e spesso veramente sacrilego, che allora si proceda a metterli nella condizione di assumersi tutta la responsabilità per i danni da loro stessi prodotti senza consentirgli di proseguire nella loro fallimentare pastorale matrimoniale. Perché quando i vescovi diocesani dovranno risolvere giudizialmente certi problemi, a quel punto verrà fuori tutta la leggerezza dei loro preti: la catechesi in preparazione al matrimonio ridotta spesso a due o tre incontri-farsa nel corso dei quali molti parroci si limitano solo a dire quanti soldi versare alla chiesa e presso quale fiorista e fotografo devono rivolgersi, affinché certi parroci lucrino ulteriore gabella in percentuale; la incapacità dovuta a ignoranza o peggio non di rado a vero e proprio dolo attraverso la quale, i preti, dimostrano di non saper distinguere neppure i credenti dai non credenti. E il problema principale, che è quello dei non credenti che rivendicano il “diritto” al Sacramento, spesso è risolto con svariate centinaia di euro lasciate in offerta al prete per la celebrazione del matrimonio. Quando però domani i Vescovi di questi preti dovranno risolvere spiacevoli problemi di inaudita leggerezza accogliendo le istanze di coppie che anche a pochi mesi dalle nozze domandano il riconoscimento della nullità del loro matrimonio, saranno costretti a raccogliere con le loro stesse mani ciò che di nefasto hanno permesso che fosse seminato nel campo del Signore.

Il motu proprio del Sommo Pontefice Francesco è un atto che mira a responsabilizzare i vescovi di una Chiesa contemporanea nella quale tutti vogliono diventare cardinali, ma nessuno pare però disposto ad assumersi neppure una minima responsabilità.

Dio Benedica il Santo Padre Francesco!

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Caterina63
00martedì 15 settembre 2015 17:52
   per correttezza mettiamo qui la critica corretta di Giulio Giampietro all'articolo sopra di Don Ariel....

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Un apologeta fuor di misura

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Di Giulio Giampietro

Don Ariel Levi di Gualdo (www.isoladipatmos.com ) , prete cattolico ( non è così scontato), brillante polemista con buoni studi teologici, per difendere il recente motu proprio pontificio di modificazione del processo canonico sulla nullità di matrimonii (in realtà gli atti pontifici sono due, ma qui si omette di considerare quello destinato alle Chiese orientali), sceglie la tattica collaudata dell’attacco come miglior difesa. Non si limita quindi ad esprimere la sua filiale adesione (e fa benissimo) a un atto pontificio, ma fa grandinare le accuse contro quanti hanno sollevato perplessità, o esplicite critiche, riguardo a punti specifici o all’insieme di esso.

Ma sintetizzando le molte parole del Gualdo, le accuse sono due:

  1. I critici del motu proprio non lo hanno capito
  2. I critici del motu proprio sono eretici.

Eccepisco su entrambe.

Comprensione. Intanto vorrei rassicurare lo scrittore. Il gran clamore che egli solleva sulla distinzione concettuale tra l’annullamento e la dichiarazione di nullità, è superfluo, perché tale distinzione chiunque abbia un minimo di cultura la conosce bene. Il punto cruciale è che nel motu proprio abbondano le parole nel senso ortodosso della dichiarazione di nullità, ma si stabiliscono prassi che a moltissimi sono sembrate andare nella direzione eterodossa dell’annullamento, e per dirla tutta è venuta fuori prepotentemente la parola Divorzio.

“Non avete capito niente !”, tuona il Gualdo, ma si chieda onestamente quanti e quali siano cotali (a suo giudizio) inscienti. Ebbene, essi sono la totalità dei cattolici “tradizionali” (con mille virgolette) che criticano il motu proprio; la grande massa dei cattolici “allineati” (con duemila virgolette) che pregustano l ’applicazione del motu proprio su larga scala e senza più impacci né procedurali né dottrinali; e la totalità dei laicisti e degli anticattolici (senza virgolette) che hanno salutato il motu proprio come l’ingresso a vele spiegate del Papa e della Chiesa nella modernità laica. Può stare dunque che ci sia “Don Gualdo sol contro Toscana tutta” a difendere il vero senso dell’atto ? È vero che la verità non si decide a maggioranza, ma una tale unanimità interpretativa può non destare nell’apologeta più convinto il serio dubbio che l’atto contenga perlomeno ampi margini di ambiguità ?

Scelte pastorali. Di codesta formula magica sono piene le bocche e i documenti fin dal Concilio Vaticano II. Tutti pretendono di essere buoni pastori. Ma il Buon Pastore è uno, Gesù Cristo, il quale tiene 99 pecorelle al sicuro, e va a cercare quella sola che si è smarrita. Chi è mercenario e chi non è pastore, invece, se ne infischia delle 99 pecorelle, le lascia allo sbando dove che sia, arrendevole o connivente con i lupi, e poi se ne va a zonzo a recitare il mantra “pecorella smarrita, pecorella smarrita” davanti alle greggi degli altri; e se per puro caso qualcuna di tali pecorelle gli dice: “Riportami al tuo ovile”, lui risponde : “Ah, non lo so qual è il mio ovile, stattene qui con i tuoi pastori (con Scalfari magari) , che ci stai tanto bene”.

Il Gualdo esalta la scelta pastorale di responsabilizzare i vescovi e il clero nell’applicazione del motu proprio. Proprio lui, che ha scritto volumi interi di critiche sociologicamente feroci e teologicamente caritatevoli contro gli attuali vescovi (ignoranti, superficiali, conformisti, sbracati e ignavi), e contro gli attuali preti (avidi, pavidi, meschini, burini), e contro i seminari ribattezzati sarcasticamente pretifici. Giudizi suoi, non miei. Leggete direttamente lui, molto più efficace e mordace della mia sintesi.

E a clero siffatto, si dà il potere delle Chiavi ? Legare e sciogliere ? Il Sacramento del Matrimonio ?   Ma ha letto il Gualdo che cosa stanno facendo e faranno cardinali e vescovi e teologi, al sacramento del Matrimonio, nell’occasione e nella sede del Sinodo ?

Suvvia (dice l’ottimista), ci saranno pure, nel motu proprio, paletti rigorosi entro i quali siano contenuti e impediti gli arbitrii. Magari. Basti qui dire (prescindendo da analisi più complete) che nell’elenco delle cause di nullità del matrimonio c’è … eccetera ! In un testo giuridico la parola Eccetera ? Può esistere enormità peggiore ? È già pronta la schiera gaudente degli “ecceteristi” , che si inventeranno le situazioni più variegate e strampalate, per ottenere una dichiarazione di nullità; tanto sono coperti da “eccetera”.

Non oso fare esempi, perché già so che la realtà supera la fantasia.

Tattica radicale. Per giustificare l’opportunità e la necessità del motu proprio , il Gualdo adotta la collaudata tattica dei radicali. Elenca con enfasi casi estremi, casi pietosi, casi raccapriccianti, per spingere il lettore a un assenso quasi obbligato. Ma, dicono a Verona, “peso el tacòn del buso”, peggio la pezza che lo strappo. Elenca, il Gualdo, casi evidentissimi di sposi che ignorano o disprezzano ogni più elementare nozione o adesione sul Sacramento matrimoniale, sui comandamenti cristiani, sui dogmi fondamentali della Fede, sulla soprannaturalità della Chiesa. Ergo, conclude trionfante il Gualdo, che Sacramento hanno mai potuto celebrare costoro ? È evidentemente nullo.

Sì, certo, sono d’accordo. Ma al Gualdo vorrei porre qualche domanda. Per cominciare, se tali persone sono totalmente estranee alla fede, che gliene importa della dichiarazione della Chiesa ? Atto insignificante di un ente insignificante. Facciano il divorzio civile, dato che per loro è una grande conquista di civiltà.

Forse vogliono la dichiarazione della Chiesa, per potersi di nuovo sposare in una chiesa-museo, con annessi scenografici ? E che interesse ha la Chiesa, già gabbata una volta, a farsi di nuovo reiteratamente prendere in giro ? Facciano il matrimonio civile (per quello che può valere oggi fare o non fare un matrimonio). E per il servizio fotografico e cinematografico, oggi si possono creare dal nulla le scenografie più fastose e esotiche, che bisogno c’è di entrare fisicamente in una chiesa polverosa ?

O non sarà quel bel comodo di avere una dichiarazione (come dice il motu proprio) gratis ? Ma allora sarebbe vero che i preti fanno dumping e concorrenza sleale al divorzio laico. E pensare che Gratis vuol dire Per Grazia, ma qui non si vede traccia della Grazia di Dio. Abbiamo (veh che progresso) il divorzio che costa meno del matrimonio. Proprio come l’aborto è gratuito e costa meno della gravidanza e parto. Parallelo per niente inappropriato e non casuale.

Altre domande un po’ più serie: come sono arrivate le nostre popolazioni un tempo cristiane, ai conclamati livelli di ignoranza religiosa ? E come sono arrivati, tali esemplari, a celebrare matrimoni in chiesa ? Perfino Don Abbondio sapeva bene in latinorum e in volgare quali e quanti adempimenti e accertamenti incombano al parroco prima di celebrare un matrimonio. Siamo davvero ridotti al punto di doverci augurare preti all’altezza (si fa per dire) di Don Abbondio ?

Evidentemente nella pastorale ecclesiastica espressa in tanti bei documenti e piani (la documentite la chiama Messori), ci sono quantomeno grosse lacune. E a pastori cotali, incapaci o disinteressati a formare il popolo cristiano (e in particolare il proprio stesso clero), consentiremo di disfare a piacimento le famiglie cellule vitali del popolo ?

Il Gualdo, con codesta sua tattica dei casi limite, si è messo per una brutta china; quella che ha condotto il mondo (con la sapiente strategia definita Finestra di Overton) ad accettare gradualmente il divorzio, e l’aborto, e l’omosessualità e le aberrazioni estreme, e la dissoluzione di ogni vincolo, la guerra permanente, la soppressione di ogni protezione per il cittadino, per lo straniero, per l’essere umano.

Eresia. Se mai il Gualdo fosse arrivato a leggere fino qui (ne dubito) mi avrà bello e classificato, come è suo costume, tra gli eretici. Mi duole di dover restituire la definizione al mittente. Distribuire patenti di eretico a destra e a destra (ripetizione voluta) non tocca a lui. La sua formula sbrigativa, insistita e enfatizzata “I Lefebvriani sono eretici” non ha senso.

Intanto bisognerebbe definire il soggetto. Lefebvriani chi ? Il Gualdo certamente vi comprende stricto sensu i membri della Fraternità sacerdotale San Pio X. Ma poi ci attacca anche tutti i fedeli che sistematicamente o saltuariamente frequentano le opere della fraternità. E poi non lo dice, ma fa capire che ci mette dentro volentieri tutti i cattolici “tradizionali” (sempre con mille virgolette), eccettuato Antonio Socci perché è amico suo.

Nei tempi bui dell’Inquisizione (un faro di civiltà giuridica, rispetto a oggi) i presunti eretici venivano esaminati e giudicati singolarmente, ciascuno per le proprie convinzioni, e non già all’ammasso. Avere una più o meno esplicita, oppure nessuna in particolare, simpatia per monsignor Lefebvre, non qualifica minimamente l’ortodossia o l’eresia di un cattolico. Soprattutto se si considera che né mons. Lefebvre, né coloro che si richiamano al suo insegnamento, hanno mai negato o discusso nemmeno una virgola di un dogma della fede cattolica, compreso e anche bene in evidenza il dogma dell’infallibilità del Papa, così come definito dal Concilio Ecumenico Vaticano I. Come dunque può essere eretico un maestro perfettamente ortodosso ? Come, i suoi fedeli discepoli ? E come possono essere eretici quelli che nemmeno sono suoi discepoli, quelli che non lo hanno per superiore e fondatore, ma che egualmente accettano e aderisconoin toto al dogma cattolico ? Che se poi qualcuno individualmente non corrisponde a tale profilo di ortodossia, sia giudicato e sanzionato dall’autorità canonica, dalla Congregazione per la Dottrina della Fede. Così dice la disciplina ecclesiastica. A parte il fatto che non si ha notizia di alcuna sanzione dell’ autorità canonica per i Mancuso, e per i Bianchi , e …e…e… sarebbe lunga !

Ma non si può negare che mons. Lefebvre, benché buon maestro in dottrina, abbia tuttavia violato alcuni ordini e alcune proibizioni ricevute. Lo chiameremo dunque non già eretico, ma scismatico ?

Nemmeno questo si può dire. Scismatico è colui che coscientemente ed esplicitamente si fa una chiesa tutta sua, separata dalla Chiesa Cattolica. Quando mai monsignor Lefebvre si è sognato di separarsi dalla Chiesa Cattolica ? Quando mai ha fatto come certi autorevoli cardinali tedeschi, che chiacchierando come al bar dichiarano : “Non siamo una succursale di Roma; faremo come ci pare indipendentemente dal Sinodo.” ?

Lo stesso Gualdo rivendica per sé il diritto di criticare certe scelte “pastorali” del Papa. Non è mica il solo, ad avere e ad esercitare tale diritto. E lui certamente non vorrebbe essere chiamato né eretico né disobbediente. Lasci dunque alla coscienza rettamente formata di cristiani sinceri, che non prendono lezioni né da Scalfari né da Enzo Bianchi, di decidere se vogliono essere pecorelle di Gesù Cristo o pecorelle di George Orwell.

   





FOCUS
di Lorenzo Bertocchi
Papa Francesco
 

A domanda precisa, risposta precisa. Quando la giornalista portoghese ha chiesto al Papa se il recente Motu proprio è stato fatto anche pensando al Sinodo e al Giubileo sulla Misericordia, Francesco ha risposto così: «É tutto collegato». In questi ultimi giorni papa Francesco è stato “ospite” di due trasmissioni radiofoniche, la prima è andata in onda in Portogallo, all'emittente portoghese Renascenza, la seconda in Argentina.


A domanda precisa, risposta precisa. Quando la giornalista portoghese ha chiesto al Papa se il recente Motu proprio è stato fatto anche pensando al Sinodo e al Giubileo sulla Misericordia, Francesco ha risposto così: «É tutto collegato». In questi ultimi giorni papa Francesco è stato “ospite” di due trasmissioni radiofoniche, la prima è andata in onda in Portogallo, la seconda in Argentina. Così il Pontefice conferma di apprezzare questo modo di parlare direttamente alla gente, utilizzando i mezzi di comunicazione senza troppe attenzioni all'etichetta e al protocollo. La lunga intervista concessa all'emittente portoghese Renascenza è stata pubblicata sul sito della radio nella sua versione integrale. Alcuni passaggi sono utili per comprendere questioni di stretta attualità ecclesiale.

A proposito del recente Motu proprio che modifica il diritto canonico nel riconoscimento di nullità dei matrimoni, il Pontefice ha detto che questo è legato indirettamente ai contenuti della lettera scritta a monsignor Fisichella a proposito del Giubileo della Misericordia. E il legame è rappresentato, appunto, dallo stesso Giubileo. «Semplificare», ha detto il Pontefice, «facilitare la fede al popolo. E la chiesa è madre...»
Perché dall'anno dedicato alla misericordia papa Francesco si aspetta «che vengano tutti! Che vengano e sentano l'amore e il perdono di Dio!».  

In senso più stretto il Motu proprio, dice il Pontefice, ha la funzione di «semplificare i processi nelle mani del vescovo. Un giudice, un difensore del vincolo, solo una sentenza, perché fino ad ora ci sono state due sentenze. No, ora una sola. Se non c'è appello questo è tutto. Se c'è appello si va alla Chiesa metropolita, più velocemente. E poi la gratuità dei processi». E poi il passaggio che abbiamo riportato in apertura, ossia il fatto che la semplificazione dei processi per il riconoscimento di nullità dei matrimoni «è collegato» al prossimo Sinodo e nell'orizzonte del Giubileo.

«Vi chiedo di pregare molto per il Sinodo», ha detto Francesco. Il punto di partenza della discussione in aula, come ovvio, sarà l'Instrumentum laboris. «Speriamo molte cose, perché, evidentemente, la famiglia è in crisi. I giovani non si sposano. Oppure, con questa cultura del provvisorio, dicono “o convivo, o mi sposo, ma solo finché dura l'amore, poi ciao...».

E cosa dire, ha domandato la giornalista, a quelli che vivono una morale contraria alle indicazioni della Chiesa e che hanno questa ansietà di essere perdonati? «Il Sinodo parlerà di tutte le possibilità per aiutare queste famiglie. Una cosa è chiara – e che Papa Benedetto XVI ha detto chiaramente: le persone che vivono una seconda unione non sono scomunicati, e devono essere integrate nella vita della Chiesa. Questo è diventato chiarissimo. E io, l'altro giorno, nella catechesi l’ho spiegato chiaramente: avvicinarsi alla Messa, alla catechesi, nell'educazione dei figli, nelle opere di carità,... ci sono mille cose, giusto?». 

Da queste parole del Santo Padre possiamo semplicemente annotare la chiave di lettura del “collegamento” che c'è tra il Motu proprio recentemente pubblicato, il Sinodo e l'anno giubilare della Misericordia.
Una zelante esigenza di somministrare il perdono a chiunque lo richieda con cuore sincero, per ritrovare la comunione con il Salvatore. Il dibattito al Sinodo però sarà acceso, perché il rapporto tra verità e misericordia è delicato e non può essere ridotto a una pacca sulla spalla. Ne va del perdono e, quindi, della “salvezza delle anime” che, come ha scritto lo stesso Papa Francesco nel recente Motu proprio, è «guida» per la Chiesa. 







Caterina63
00lunedì 21 settembre 2015 09:38

MATRIMONIO
 

La riforma dei processi di nullità dei matrimoni non tocca la dottrina (non può) ma cerca di ovviare a problemi oggettivi introducendo - soprattutto con il processo breve - procedure che nei fatti renderanno impossibile per molti matrimoni stabilire veramente la loro validità.

di Edward Peters*
Matrimonio


Le argomentazioni di Ross Douthat (noto blogger ed editorialista del New York Times, ndr) sulla "fine del gioco" di Papa Francesco sono interessanti (come sempre) e ampiamente condivisibili. Ma su un importante aspetto sono in disaccordo. Scrive infatti Douthat: «I processi di nullità accelerati indeboliscono la credibilità della dottrina cattolica sia nelle implicazioni che negli effetti. Ma non ribaltano formalmente l'insegnamento della Chiesa sulla natura del matrimonio e della comunione». Due, forse tre volte Douthat sottintende che la strategia di papa Francesco (primariamente quella dimostrata attraverso la riscrittura delle procedure di nullità in Mitis Iudex) è una vittoria (anche se piccola) dell'insegnamento della Chiesa sul matrimonio, il divorzio, il nuovo matrimonio e la ricezione della Comunione. 

Io dico di no. La strategia di Francesco non è una vittoria dell'insegnamento della Chiesa su questi temi per la semplice ragione che l'insegnamento della Chiesa su questi temi non è mai stato a rischio.

Forse è vero che con l'incoraggiamento espresso del Papa o semplicemente sulla scia dello stile di governo di Francesco, alcuni ecclesiastici di peso abbiano sostenuto cambiamenti nell'insegnamento formale della Chiesa sulla permanenza del matrimonio. E che a loro volta alcuni osservatori delle cose della Chiesa siano stati portati a speculare attorno a uno scisma qualora tali cambiamenti dovessero essere approvati. Ma tutti questi sforzi per cambiare la dottrina non hanno senso e ogni speculazione su uno scisma è assurda.

I Papi non possono (non dico: non potrebbero, non dovrebbero, non è probabile che...; ma proprio non possono) cambiare l'insegnamento fondamentale della Chiesa su queste materie; e (anche ammettendo una premessa impossibile) nemmeno una volta ho sentito un difensore cattolico del matrimonio ipotizzare di procedere in uno scisma se accade l'impossibile.

Questo non significa dire che le preferenze dei cardinali Kasper e Marx, per dirne due, non abbiano fatto un danno serio alla chiarezza dell'insegnamento della Chiesa su questi temi. Hanno provocato danni, anche oltre la dottrina del matrimonio: in particolare Kasper alla teologia sacramentale e Marx all'ecclesiologia. Ma le probabilità di un ribaltamento formale della dottrina della Chiesa sul matrimonio (o su qualsiasi cosa che la Chiesa ha ricevuto da Cristo) sono e saranno per sempre zero. Pertanto dal momento che qui non c'è stato alcun rischio reale di cambiamenti impossibili alla dottrina, le nuove norme sulla nullità promulgate dal Papa non possono essere annoverate come una "vittoria" della dottrina. Chiunque pensi altrimenti temeva un danno che non poteva passare.

Ma mentre qualcuno tira un sospiro di sollievo perché la Chiesa ha schivato una pallottola (che però non poteva mai giungere a colpire la meta), mi pare che la disciplina della Chiesa (quel piccolo spazio vitale dove le ruote dottrinali mordono l'asfalto pastorale) sia seriamente minacciata da parte di Mitis Iudex e che i vescovi debbano chiedere con urgenza un grande passo indietro dall'attuazione delle sue norme più radicali (specialmente l'opzione del percorso breve di nullità). Potrei aggiungere che data la struttura gerarchica della Chiesa, divinamente imposta, se qui i vescovi non agiscono, c'è ben poco che qualcun altro possa fare.

Per essere chiari, l'attuale processo di nullità, come ogni processo deliberativo proveniente dagli esseri umani, non è perfetto. In esso alcune cose (ad esempio la revisione obbligatoria dei tribunali d'appello) potrebbero essere riformate e, se eliminate (come ordina Mitis Iudex), accelererebbe le cose. Ma la maggior parte di quanto resta del processo di nullità, puramente come questione di legge naturale, è necessario per il perseguimento ragionevolmente affidabile della giustizia. Ciò che la critica del ricorso al tribunale non sa vedere o rifiuta di ammettere, critica dopo critica e dopo critica, è che quello di nullità è un processo legale: non teologico, non pastorale, ma un processo legale, disegnato per rispondere ad un'importante questione legale e cioè se due persone capaci hanno dato correttamente il loro consenso al matrimonio. È una questione di sì o no, rispetto alla quale ogni cosa, ed intendo dire ogni cosa, al di fuori di ciò che le nullità sono e significano nella Chiesa, passa in secondo piano. Dai la risposta sbagliata a questa domanda e tutto ciò che ne consegue sarà sbagliato.

Ora la Mitis Iudex non cambia di uno iota o un apice l'insegnamento della Chiesa sul matrimonio. Ripete la natura immodificabile dell'insegnamento della Chiesa sul matrimonio e l'importanza di avere una procedura ecclesiastica per indagare il carattere dei matrimoni contratti dai fedeli. Ma l'opzione di percorso breve di nullità offerto in Mitis Iudex oglie un significativo numero di matrimoni (inevitabilmente tendente ad allargarsi) dalla protezione reale offerta non dalle commoventi recitazioni dell'insegnamento della Chiesa, ma dalla disciplina pratica esercitata nei casi di nullità in tribunali formali.

Veramente Mitis Iudex priva una così larga fascia di matrimoni da questa sorta di protezione procedurale: sorda, esigente, ma efficace (beh, almeno tanto efficace quanto uomini che non sono angeli possono renderla), tanto che Francesco stesso ammette i rischi inerenti alle nullità brevi e semplicemente si appella ai vescovi diocesani per assicurarsi che ciò che è quasi inevitabile non si verifichi (vescovi a cui, per quanto si sappia, non è stato chiesto se volessero o figuriamoci se fossero in grado di compiere tale incarico).  Ma nel giro di tre mesi, a meno che Mitis Iudex non sia significativamente modificata, o rimandata, a tutti i vescovi diocesani sarà chiesto di esaminare personalmente numerosi casi di processi di nullità. 

Le implicazioni di questo cambiamento superano la mia povera immaginazione. In sintesi:
- Coloro (sembra siano un discreto numero) che vogliono cambiare l'insegnamento della Chiesa sul matrimonio (e/o sul divorzio e la possibilità di risposarsi, la necessità di pentimento del peccato per la riconciliazione, l'astenersi dalla Santa Comunione per chi si ostina nel peccato oggettivo grave, ecc...) non sono soddisfatti di Mitis perché Mitis non cambia niente di queste cose. 

- Coloro (pochi, sospetto) che pensano che non ci sia bisogno di alcuna riforma del processo di nullità non sono soddisfatti di Mitis perché Mitis offre qualche autentica riforma.

- Coloro (sono sicuro siano molti) che vogliono qualche riforma del processo di nullità, ma non vogliono riforme che forniscano una via ovvia per aggirare il processo deliberativo, non sono soddisfatti di Mitis perchéMitis riforma il processo in tribunale mentre simultaneamente offre un modo per molti di aggirarlo.

In breve, non so chi sia o chi potrebbe essere soddisfatto di Mitis Iudex così com'è.

*Docente di di Diritto Canonico
Cattedra Cardinale Edmund Szoka, Seminario Maggiore del Sacro Cuore, Detroit
Consulente Supremo Tribunale della Signatura Apostolica, Roma

 

L'articolo è stato pubblicato sul blog dell'autore il 13 settembre 2015.





Caterina63
00venerdì 11 dicembre 2015 17:52

RESCRITTO DEL SANTO PADRE FRANCESCO 
SUL COMPIMENTO E L'OSSERVANZA DELLA NUOVA LEGGE 
DEL PROCESSO MATRIMONIALE

 

 

L’entrata in vigore – in felice coincidenza con l’apertura del Giubileo della Misericordia – delle Lettere apostoliche in forma di Motu proprio «Mitis Iudex Dominus Iesus» e «Mitis et Misericors Iesus» del 15 agosto 2015, date per attuare la giustizia e la misericordia sulla verità del vincolo di quanti hanno sperimentato il fallimento matrimoniale, pone, fra l’altro, l’esigenza di armonizzare la rinnovata procedura nei processi matrimoniali con le Norme proprie della Rota Romana, in attesa della loro riforma.

Il Sinodo dei Vescovi recentemente concluso ha espresso una forte esortazione alla Chiesa affinché si chini verso «i suoi figli più fragili, segnati dall’amore ferito e smarrito» (Relatio finalis, n. 55), ai quali occorre ridonare fiducia e speranza.

Le leggi che ora entrano in vigore vogliono proprio manifestare la prossimità della Chiesa alle famiglie ferite, desiderando che la moltitudine di coloro che vivono il dramma del fallimento coniugale sia raggiunta dall’opera risanatrice di Cristo, attraverso le strutture ecclesiastiche, nell’auspicio che essi si scoprano nuovi missionari della misericordia di Dio verso altri fratelli, a beneficio dell’istituto familiare.

Riconoscendo alla Rota Romana, oltre al munus ad essa proprio di Appello ordinario della Sede Apostolica, anche quello di tutela dell’unità della giurisprudenza (art. 126 § 1 Pastor Bonus) e di sussidio alla formazione permanente degli operatori pastorali nei Tribunali delle Chiese locali, stabilisco quanto segue:

I.

Le leggi di riforma del processo matrimoniale succitate abrogano o derogano ogni legge o norma contraria finora vigente, generale, particolare o speciale, eventualmente anche approvata in forma specifica (come ad es. il Motu Proprio Qua cura, dato dal mio Antecessore Pio XI in tempi ben diversi dai presenti).

II.

1. Nelle cause di nullità di matrimonio davanti alla Rota Romana il dubbio sia fissato secondo l’antica formula: An constet de matrimonii nullitate, in casu.

2. Non si dà appello contro le decisioni rotali in materia di nullità di sentenze o di decreti.

3. Dinanzi alla Rota Romana non è ammesso il ricorso per la nova causae propositio, dopo che una delle parti ha contratto un nuovo matrimonio canonico, a meno che consti manifestamente dell’ingiustizia della decisione.

4. Il Decano della Rota Romana ha la potestà di dispensare per grave causa dalle Norme Rotali in materia processuale.

5. Come sollecitato dei Patriarchi delle Chiese Orientali, è rimessa ai tribunali territoriali la competenza sulle cause iurium connesse con le cause matrimoniali sottoposte al giudizio della Rota Romana in grado d’appello.

6. La Rota Romana giudichi le cause secondo la gratuità evangelica, cioè con patrocinio ex officio, salvo l’obbligo morale per i fedeli abbienti di versare un’oblazione di giustizia a favore delle cause dei poveri.

Possano i fedeli, soprattutto i feriti e infelici, guardare alla nuova Gerusalemme che è la Chiesa come «Pace della giustizia e gloria della pietà» (Baruc 5, 4) e sia loro concesso, ritrovando le braccia aperte del Corpo di Cristo, di intonare il Salmo degli esuli (126, 1-2): «Quando il Signore ricondusse i prigionieri di Sion, ci sembrava di sognare. Allora la nostra bocca si aprì al sorriso, la nostra lingua si sciolse in canti di gioia».

Vaticano, 7 dicembre 2015

FRANCISCUS

 





Caterina63
00venerdì 22 gennaio 2016 15:27



 Il no del Papa alle unioni gay: ​scomunicata la crociata del Pd

Le parole del Bergoglio sono un macigno sul ddl Cirinnà: "Non confondere unioni civili e matrimonio". 



DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
IN OCCASIONE DELL'INAUGURAZIONE DELL'ANNO GIUDIZIARIO 
DEL TRIBUNALE DELLA ROTA ROMANA

Sala Clementina
Venerdì, 22 gennaio 2016

[Multimedia]



 

Cari fratelli,

vi do il mio cordiale benvenuto, e ringrazio il Decano per le parole con cui ha introdotto il nostro incontro.

Il ministero del Tribunale Apostolico della Rota Romana è da sempre ausilio al Successore di Pietro,affinché la Chiesa, inscindibilmente connessa con la famiglia, continui a proclamare il disegno di Dio Creatore e Redentore sulla sacralità e bellezza dell’istituto familiare. Una missione sempre attuale, ma che acquista particolare rilevanza nel nostro tempo.

Accanto alla definizione della Rota Romana quale Tribunale della famiglia[1], vorrei porre in risalto l’altra prerogativa, che cioè essa è il Tribunale della verità del vincolo sacro.E questi due aspetti sono complementari.

La Chiesa, infatti, può mostrare l’indefettibile amore misericordioso di Dio verso le famiglie, in particolare quelle ferite dal peccato e dalle prove della vita, e insieme proclamare l’irrinunciabile verità del matrimonio secondo il disegno di Dio. Questo servizio è affidato primariamente al Papa e ai Vescovi.

Nel percorso sinodale sul tema della famiglia, che il Signore ci ha concesso di realizzare nei due anni scorsi, abbiamo potuto compiere, in spirito e stile di effettiva collegialità, un approfondito discernimento sapienziale, grazie al quale la Chiesa ha – tra l’altro – indicato al mondo che non può esserci confusione tra la famiglia voluta da Dio e ogni altro tipo di unione.

Con questo stesso atteggiamento spirituale e pastorale, la vostra attività, sia nel giudicare sia nel contribuire alla formazione permanente, assiste e promuove l’opus veritatis. Quando la Chiesa, tramite il vostro servizio, si propone di dichiarare la verità sul matrimonio nel caso concreto, per il bene dei fedeli, al tempo stesso tiene sempre presente che quanti, per libera scelta o per infelici circostanze della vita,[2] vivono in uno stato oggettivo di errore, continuano ad essere oggetto dell’amore misericordioso di Cristo e perciò della Chiesa stessa.

La famiglia, fondata sul matrimonio indissolubile, unitivo e procreativo, appartiene al “sogno” di Dio e della sua Chiesa per la salvezza dell’umanità.[3]

Come affermò il beato Paolo VI, la Chiesa ha sempre rivolto «uno sguardo particolare, pieno di sollecitudine e di amore, alla famiglia ed ai suoi problemi. Per mezzo del matrimonio e della famiglia Iddio ha sapientemente unite due tra le maggiori realtà umane: la missione di trasmettere la vita e l’amore vicendevole e legittimo dell’uomo e della donna, per il quale essi sono chiamati a completarsi vicendevolmente in una donazione reciproca non soltanto fisica, ma soprattutto spirituale. O per meglio dire: Dio ha voluto rendere partecipi gli sposi del suo amore: dell’amore personale che Egli ha per ciascuno di essi e per il quale li chiama ad aiutarsi e a donarsi vicendevolmente per raggiungere la pienezza della loro vita personale; e dell’amore che Egli porta all’umanità e a tutti i suoi figli, e per il quale desidera moltiplicare i figli degli uomini per renderli partecipi della sua vita e della sua felicità eterna».[4]

La famiglia e la Chiesa, su piani diversi, concorrono ad accompagnare l’essere umano verso il fine della sua esistenza. E lo fanno certamente con gli insegnamenti che trasmettono, ma anche con la loro stessa natura di comunità di amore e di vita. Infatti, se la famiglia si può ben dire “chiesa domestica”, alla Chiesa si applica giustamente il titolo di famiglia di Dio. Pertanto «lo “spirito famigliare” è una carta costituzionale per la Chiesa: così il cristianesimo deve apparire, e così deve essere. È scritto a chiare lettere: “Voi che un tempo eravate lontani – dice san Paolo – […] non siete più stranieri né ospiti, ma concittadini dei santi e familiari di Dio” (Ef 2,19). La Chiesa è e deve essere la famiglia di Dio».[5]

E proprio perché è madre e maestra, la Chiesa sa che, tra i cristiani, alcuni hanno una fede forte, formata dalla carità, rafforzata dalla buona catechesi e nutrita dalla preghiera e dalla vita sacramentale, mentre altri hanno una fede debole, trascurata, non formata, poco educata, o dimenticata.

È bene ribadire con chiarezza che la qualità della fede non è condizione essenziale del consenso matrimoniale, che, secondo la dottrina di sempre, può essere minato solo a livello naturale (cfr CIC, can. 1055 § 1 e 2). Infatti, l’habitus fidei è infuso nel momento del Battesimo e continua ad avere influsso misterioso nell’anima, anche quando la fede non è stata sviluppata e psicologicamente sembra essere assente. 

Non è raro che i nubendi, spinti al vero matrimonio dall’instinctus naturae, nel momento della celebrazione abbiano una coscienza limitata della pienezza del progetto di Dio, e solamente dopo, nella vita di famiglia, scoprano tutto ciò che Dio Creatore e Redentore ha stabilito per loro. Le mancanze della formazione nella fede e anche l’errore circa l’unità, l’indissolubilità e la dignità sacramentale del matrimonio viziano il consenso matrimoniale soltanto se determinano la volontà (cfr CIC, can. 1099). Proprio per questo gli errori che riguardano la sacramentalità del matrimonio devono essere valutati molto attentamente
 

La Chiesa, dunque, con rinnovato senso di responsabilità continua a proporre il matrimonio, nei suoi elementi essenziali – prole, bene dei coniugi, unità, indissolubilità, sacramentalità [6] –, non come un ideale per pochi, nonostante i moderni modelli centrati sull’effimero e sul transitorio, ma come una realtà che, nella grazia di Cristo, può essere vissuta da tutti i fedeli battezzati. E perciò, a maggior ragione, l’urgenza pastorale, che coinvolge tutte le strutture della Chiesa, spinge a convergere verso un comune intento ordinato alla preparazione adeguata al matrimonio, in una sorta di nuovo catecumenato - sottolineo questo: in una sorta di nuovo catecumenato - tanto auspicato da alcuni Padri Sinodali.[7]     

Cari fratelli, il tempo che viviamo è molto impegnativo sia per le famiglie, sia per noi pastori che siamo chiamati ad accompagnarle. Con questa consapevolezza vi auguro buon lavoro per il nuovo anno che il Signore ci dona. Vi assicuro la mia preghiera e conto anch’io sulla vostra. La Madonna e san Giuseppe ottengano alla Chiesa di crescere nello spirito di famiglia e alle famiglie di sentirsi sempre più parte viva e attiva del popolo di Dio. Grazie.

  
 
[1] Pio XII, Allocuzione alla Rota Romana del 1° ottobre 1940: L’Osservatore Romano, 2 ottobre 1940, p. 1.

[2] «Forse tutto questo flagello ha un nome estremamente generico, ma in questo caso tragicamente vero, ed è egoismo. Se l’egoismo governa il regno dell’amore umano, ch’è appunto la famiglia, lo avvilisce, lo intristisce, lo dissolve. L’arte di amare non è così facile come comunemente si crede. A insegnarla l’istinto non basta. La passione ancor meno. Il piacere neppure» (G.B. Montini, Lettera pastorale all’arcidiocesi ambrosiana all’inizio della Quaresima del 1960).

[3] Cfr Pio XI, Litt. enc. Casti connubii, 31 dicembre 1930:  AAS 22 (1930), 541.

[4] Paolo VI, Discorso alle partecipanti al XIII Congresso Nazionale del Centro Italiano Femminile, 12 febbraio 1966: AAS 58 (1966), 219. San Giovanni Paolo II nella Lettera alle famiglie affermava che la famiglia è via della Chiesa: «la prima e la più importante» (Gratissimam sane, 2 febbraio 1994, 2: AAS 86 [1994], 868).

[5] Catechesi nell’Udienza generale del 7 ottobre 2015.

[6] Cfr Augustinus, De bono coniugali, 24, 32; De Genesi ad litteram, 9, 7, 12.

[7] «Questa preparazione al matrimonio, noi pensiamo, sarà agevolata, se la formazione d’una famiglia sarà presentata alla gioventù, e se sarà compresa da chi intende fondare un proprio focolare come una vocazione, come una missione, come un grande dovere, che dà alla vita un altissimo scopo, e la riempie dei suoi doni e delle sue virtù. Né questa presentazione deforma o esagera la realtà» (G. B. Montini, Lettera pastorale all’arcidiocesi ambrosiana, cit.).

 
 


DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO 
AI PARTECIPANTI 
AL CORSO PROMOSSO DAL 
TRIBUNALE DELLA ROTA ROMANA

Aula Paolo VI
Sabato, 12 marzo 2016

[Multimedia]



 

Cari fratelli e sorelle, buongiorno.

Saluto tutti voi che avete partecipato al corso di formazione, promosso dalla Rota Romana, sul nuovo processo matrimoniale e sulla procedura super rato. Sono riconoscente a Mons. Pinto per il suo impegno in favore di questi corsi formativi e lo ringrazio per le sue parole.

Durante il recente percorso sinodale sulla famiglia, erano emerse forti aspettative per rendere più agili ed efficaci le procedure per la dichiarazione di nullità matrimoniale. Tanti fedeli, infatti, soffrono per la fine del proprio matrimonio e spesso sono oppressi dal dubbio se esso fosse valido o meno. Si domandano cioè se già ci fosse qualcosa nelle intenzioni o nei fatti ad impedire l’effettivo realizzarsi del sacramento. Ma questi fedeli in molti casi trovavano difficoltà ad accedere alle strutture giuridiche ecclesiali ed avvertivano l’esigenza che le procedure fossero semplificate.

La carità e la misericordia, oltre che la riflessione sull’esperienza, hanno spinto la Chiesa a rendersi ancora più vicina a questi suoi figli, venendo incontro ad un loro legittimo desiderio di giustizia. Il 15 agosto scorso sono stati promulgati i documenti Mitis Iudex Dominus Iesus e Mitis et Misericors Iesus, che hanno raccolto i frutti del lavoro della commissione speciale istituita il 27 agosto 2014: quasi un anno di lavoro. Tali provvedimenti hanno un obiettivo eminentemente pastorale: mostrare la sollecitudine della Chiesa verso quei fedeli che attendono una rapida verifica sulla loro situazione matrimoniale. In particolare, è stata abolita la doppia sentenza conforme e si è dato vita al cosiddetto processo breve, rimettendo al centro la figura e il ruolo del Vescovo diocesano, o dell’Eparca nel caso delle Chiese orientali, come giudice delle cause. Si è così ulteriormente valorizzato il ruolo del Vescovo o dell’Eparca nella materia matrimoniale; infatti, oltre all’accertamento per via amministrativa – rato e non consumato –, a lui è ora rimessa la responsabilità della via giudiziaria in ordine all’accertamento della validità del vincolo.

È importante che la nuova normativa sia recepita e approfondita, nel merito e nello spirito, specialmente dagli operatori dei Tribunali ecclesiastici, per rendere un servizio di giustizia e di carità alle famiglie. Per tanta gente, che ha vissuto un’esperienza matrimoniale infelice, la verifica della validità o meno del matrimonio rappresenta un’importante possibilità; e queste persone vanno aiutate a percorrere il più agevolmente possibile questa strada. Da qui anche il valore del corso che avete frequentato. Vi incoraggio a fare tesoro di quanto avete appreso in questi giorni e ad operare tenendo sempre fisso lo sguardo sulla salus animarum, che è la legge suprema della Chiesa.

La Chiesa è madre e vuole mostrare a tutti il volto di Dio fedele al suo amore, misericordioso e sempre capace di ridonare forza e speranza. Ciò che più ci sta a cuore riguardo ai separati che vivono una nuova unione è la loro partecipazione alla comunità ecclesiale. Ma, mentre ci prendiamo cura delle ferite di quanti richiedono l’accertamento della verità sul loro matrimonio fallito, guardiamo con ammirazione a coloro che, anche in condizioni difficili, rimangono fedeli al vincolo sacramentale. Questi testimoni della fedeltà matrimoniale vanno incoraggiati e additati come esempi da imitare. Tante donne e uomini sopportano cose pesanti, grosse per non distruggere la famiglia, per essere fedeli nella salute e nella malattia, nelle difficoltà e nella vita tranquilla: è la fedeltà. E sono bravi!

Vi ringrazio per il vostro impegno in favore della giustizia e vi esorto a viverlo non come un mestiere o peggio come un potere, ma come un servizio alle anime, specialmente quelle più ferite. Il Signore vi benedica e la Madonna vi protegga. Per favore, ricordatevi di pregare per me.





Caterina63
00lunedì 21 novembre 2016 11:07

 


Papa alla Rota: rispondere al grido di aiuto di chi cerca la verità


Papa Rota Romana - AFP


18/11/2016 




La legge della Chiesa non può prescindere dal fondamentale principio della salvezza delle anime, un principio che sovrasta il Codice di diritto canonico come legge suprema e come valore che supera il diritto stesso, indicando così l’orizzonte della misericordia: così il Papa nel suo discorso ai vescovi che hanno partecipato al Corso di formazione (17-19 novembre) sul nuovo processo matrimoniale, organizzato dal Tribunale Apostolico della Rota Romana, nel Palazzo della Cancelleria. Non siano mai considerati estranei al Corpo di Cristo quanti vivono il fallimento coniugale: questa l’esortazione di Francesco. 






“Fedeltà all’annuncio evangelico”, ma anche capacità di “attualizzare il messaggio di Gesù”, per rispondere in modo concreto e non decorativo ai bisogni e alle domande dell’uomo di oggi. Così il Papa, incontrando i vescovi alla Rota Romana, ricorda il fine ultimo della legge della Chiesa e, citando la Prima Lettera di Pietro, rinnova loro l’impegno a tener fede, con spirito di servizio, alla grande responsabilità a cui sono stati chiamati: pascere il gregge non perché costretti, ma volentieri, non per vergognoso interesse, ma con animo generoso, non, infine, come padroni delle persone, ma come modelli da seguire: “In tale prospettiva, occorre eliminare con decisione ogni impedimento di carattere mondano, che rende difficile a un largo numero di fedeli l’accesso ai Tribunali ecclesiastici. Questioni di tipo economico e organizzativo non possono costituire un ostacolo per la verifica canonica circa la validità di un matrimonio”.

La salvezza delle anime, fine ultimo della Legge della Chiesa
“Nell’ottica di un sano rapporto tra giustizia e carità” – afferma Francesco – anche i Tribunali ecclesiastici non possono prescindere da quella che è "la legge suprema della Chiesa", il bene più grande: “la salvezza delle anime”. E questo deve essere anche l’obiettivo del Codice di Diritto Canonico, “la parola finale che supera il diritto stesso”, “indicando l’orizzonte della misericordia”.

Nessuno sia considerato estraneo alla Chiesa
La Chiesa è madre che accoglie e ama tutti. Che si incarna nelle vicende dolorose della gente, si china sui poveri, sui lontani e su quanti si considerano esclusi dalla comunità ecclesiale a causa del loro fallimento coniugale. Pertanto - sostiene il Pontefice – nessuno di questi fratelli feriti deve essere “considerato estraneo al Corpo di Cristo, che è la Chiesa”: “Siamo chiamati a non escluderli dalla nostra ansia pastorale, ma a dedicarci a loro e alla loro situazione irregolare e sofferta con ogni sollecitudine e carità”.

Ascoltare il grido di chi cerca verità nel matrimonio
Ai vescovi presenti, provenienti da diversi Paesi e contesti culturali e alle prese con sfide innumerevoli, il Papa chiede di far tesoro di quanto appreso in questi giorni, per poter “svolgere con più efficacia” il proprio ministero, soprattutto per quanto riguarda “il nuovo processo matrimoniale”, con la ricerca di soluzioni e “provvedimenti non sempre facili”. “Confidate nell’assistenza indefettibile dello Spirito Santo, che conduce invisibilmente ma realmente la Chiesa. Preghiamolo perché aiuti voi e aiuti anche il Successore di Pietro a rispondere, con disponibilità e umiltà, al grido di aiuto di tanti nostri fratelli e sorelle che hanno bisogno di fare verità sul loro matrimonio e sul cammino della loro vita”.





DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
AI PARTECIPANTI AL CORSO DI FORMAZIONE PER I VESCOVI 
SUL NUOVO PROCESSO MATRIMONIALE 
[17-19 NOVEMBRE 2016]

Tribunale Apostolico della Rota Romana
Venerdì, 18 novembre 2016

 


 

Cari Fratelli,

la vostra presenza a questo corso di formazione, promosso dal Tribunale Apostolico della Rota Romana, sottolinea quanto i Vescovi, pur costituiti in forza dell’Ordinazione come maestri della fede (cfr Lumen gentium, 25), abbiano la necessità di apprendere continuamente. Si tratta di comprendere i bisogni e le domande dell’uomo di oggi e cercare le risposte nella Parola di Dio e nelle verità della fede, studiate e conosciute sempre meglio. L’esercizio del munus docendi è intimamente congiunto con quelli sanctificandi e regendi. Mediante queste tre funzioni si esprime il ministero pastorale del Vescovo, fondato nel volere di Cristo, nell’assistenza dello Spirito Santo e finalizzato ad attualizzare il messaggio di Gesù. L’inculturazione del Vangelo si fonda proprio su questo principio che vede unite la fedeltà all’annuncio evangelico e la sua comprensione e traduzione nel tempo.

Il Beato Paolo VI, nella Evangelii nuntiandi, esortava ad evangelizzare non in modo superficiale, ma calandosi nella concretezza delle situazioni e delle persone. Queste le sue parole: «Occorre evangelizzare non in maniera decorativa, a somiglianza di vernice superficiale, ma in modo vitale, in profondità e fino alle radici, […] partendo sempre dalla persona e tornando sempre ai rapporti delle persone tra loro e con Dio» (n. 20). Proprio l’attenzione alle persone è il motivo teologico ed ecclesiologico sotteso a questo corso di formazione. La salute spirituale, la salus animarum delle persone a noi affidate costituisce il fine di ogni azione pastorale.

Nella Prima Lettera di Pietro troviamo un punto di riferimento fondamentale dell’ufficio episcopale: «Pascete il gregge di Dio che vi è affidato, sorvegliandolo non perché costretti, ma volentieri, come piace a Dio, non per vergognoso interesse, ma con animo generoso, non come padroni delle persone a voi affidate, ma facendovi modelli del gregge» (5,2-3). Questa esortazione illumina l’intera missione del Vescovo, presentandone la potestà spirituale come un servizio per la salvezza degli uomini. In tale prospettiva, occorre eliminare con decisione ogni impedimento di carattere mondano che rende difficile a un largo numero di fedeli l’accesso ai Tribunali ecclesiastici. Questioni di tipo economico e organizzativo non possono costituire un ostacolo per la verifica canonica circa la validità di un matrimonio.

Nell’ottica di un sano rapporto tra giustizia e carità, la legge della Chiesa non può prescindere dal fondamentale principio della salus animarum. Pertanto, i tribunali ecclesiastici sono chiamati ad essere espressione tangibile di un servizio diaconale del diritto nei riguardi di questo fine primario. Esso è opportunamente posto come parola finale del Codice di diritto canonico, perché lo sovrasta come legge suprema e come valore che supera il diritto stesso, indicando così l’orizzonte della misericordia.

In questa prospettiva la Chiesa cammina da sempre, come madre che accoglie e ama, sull’esempio di Gesù Buon Samaritano. Chiesa del Verbo Incarnato, si “incarna” nelle vicende tristi e sofferte della gente, si china sui poveri e su quanti sono lontani dalla comunità ecclesiale o si considerano fuori da essa a causa del loro fallimento coniugale. Tuttavia, essi sono e restano incorporati a Cristo in virtù del Battesimo. Pertanto, a noi spetta la grave responsabilità di esercitare il munus, ricevuto da Gesù divino Pastore medico e giudice delle anime, di non considerarli mai estranei al Corpo di Cristo, che è la Chiesa. Siamo chiamati a non escluderli dalla nostra ansia pastorale, ma dedicarci a loro e alla loro situazione irregolare e sofferta con ogni sollecitudine e carità.

Cari fratelli Vescovi, voi provenite da diversi Paesi e avete portato in questo incontro le sollecitazioni e le domande che emergono nell’ambito della pastorale matrimoniale delle rispettive Diocesi. Tali istanze richiedono risposte e provvedimenti non sempre facili. Sono certo che queste giornate di studio vi aiuteranno a individuare l’approccio più opportuno alle diverse problematiche. Ringrazio quindi il Decano Mons. Pinto per aver promosso questo Corso formativo, come pure i relatori per il loro competente apporto giuridico, teologico e pastorale.

Tornerete nelle vostre Diocesi arricchiti di nozioni e di suggerimenti utili per svolgere con più efficacia il vostro ministero, specialmente in ordine al nuovo processo matrimoniale. Esso rappresenta un aiuto importante per far crescere nel gregge a voi affidato la misura della statura di Cristo Buon Pastore, dal quale dobbiamo ogni giorno apprendere la sapiente ricerca dell’unum necessarium: la salus animarum. Essa è il bene supremo e si identifica con Dio stesso, come ha insegnato san Gregorio Nazianzeno. Confidate nell’assistenza indefettibile dello Spirito Santo, che conduce invisibilmente ma realmente la Chiesa.

Preghiamolo perché aiuti voi e aiuti anche il Successore di Pietro a rispondere, con disponibilità e umiltà, al grido di aiuto di tanti nostri fratelli e sorelle che hanno bisogno di fare verità sul loro matrimonio e sul cammino della loro vita.


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