"Francesco! Và e ripara la mia Chiesa" Le croci di un Papa

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Caterina63
00mercoledì 27 marzo 2013 11:46
[SM=g1740758]  Dopo aver affrontato i tanti problemi, molti irrisolti, nel precedente Pontificato che troverete qui, vogliamo accompagnare il lavoro di Papa Francesco anzi tutto con la Preghiera..... per poi gestire anche in questo spazio una corretta informazione dei gravi problemi che affliggono la Chiesa come abbiamo ampiamente dimostrato anche qui.
Quanto segue, perciò, non sono "cose nuove", ma vecchi problemi incarogniti che Papa Francesco dovrà affrontare.

Che la Chiesa in Germania voglia allontanarsi dalla Sede Petrina, non è un fatto nuovo, basta risfogliare la storia di Lutero per comprendere come il Protestantesimo ebbe origine dalle medesime pretese....

Perciò Preghiamo.... e sosteniamo il Pontefice!


Francesco



Germania, Chiesa separata in casa

di Michele Poropat
da LanuovaBussolaQuotidiana del 27-03-2013

In questi giorni circola con insistenza sul web un breve video tratto dalla telecronaca diretta dell’emittente polacca TV TRWAM della visita di Papa Benedetto XVI in Germania risalente al settembre 2011, e che mostrerebbe - così affermano coloro che fanno circolare questo video - una presunta umiliazione subita dal Papa da parte dei vescovi tedeschi, la maggioranza dei quali non gli stringerebbe la mano.

In realtà le cose stanno diversamente. ( anche noi ne avevamo parlato, clicca qui )
A un’attenta analisi delle immagini si vede bene come il Papa alzi la mano non per stringere la mano ai vescovi, bensì per presentare i membri della delegazione vaticana e i vescovi tedeschi all'allora Presidente Christian Wulff – tra l’altro, al primo posto tra i dignitari ecclesiastici in fila, si vede il Cardinal Bertone. Trae in inganno il fatto che alcuni vescovi stringano comunque la mano al Papa, gesto che non faceva parte del protocollo. Il Papa viene 'disturbato' nella presentazione proprio dalle strette di mano impreviste, e il Presidente, di confessione cattolica e che quindi conosceva molto bene i vescovi che gli venivano presentati, va avanti per conto suo, quasi senza aspettare il Papa. Da qui l'immagine del Papa un poco spaesato e in ritardo rispetto alle strette di mano di Wulff.

Ma un motivo per cui è stato facile equivocare quelle immagini è nel fatto inconfutabile che Papa Benedetto XVI non sia stato particolarmente amato nel suo Paese. Primo Papa tedesco da un millennio a questa parte (Adriano VI, eletto nel 1522, era infatti originario di Utrecht, e quindi olandese), ha subito trovato l’ostilità dei suoi connazionali. Le voci piuttosto contrariate dei commentatori della rete televisiva tedesca ZDF al momento dell’annuncio della sua elezione, il viso teso e sconsolato dei cardinali Lehmann e Kasper intervistati la sera stessa dalla medesima ZDF, il saluto assai poco deferente rivoltogli nel 2005 nel Duomo di Colonia quale «vescovo di Roma alla sua prima visita pastorale al di fuori dei confini della sua diocesi», il fatto che tra i suoi connazionali, fedeli laici ma anche sacerdoti, il Papa sia stato comunemente chiamato Herr Ratzinger, fanno comprendere con quale scarso amore buona parte della Chiesa tedesca abbia accolto l’elezione al soglio di Pietro di questo grande figlio della terra bavarese.

Dalla maggioranza dei vescovi dell’area linguistica tedesca Benedetto XVI è stato fatto oggetto di una malcelata ostilità personale, poiché considerato come il continuatore delle politiche dei suoi predecessori, da Paolo VI a Giovanni Paolo II, che avrebbero affossato le riforme del Concilio Vaticano II. Il Papa è stato considerato come il massimo rappresentante di un’esecrabile visione conservatrice, per non dire reazionaria, della Chiesa e della sua azione nel mondo, e caratterizzata da una forte chiusura alla modernità e alle vere esigenze del popolo di Dio.

Questa ostilità si è tradotta, già durante il pontificato di Giovanni Paolo II, ma in modo ancora più marcato con Benedetto XVI, in un progressivo allontanamento della Chiesa locale tedesca dalla giurisdizione della Santa Sede e quindi della Chiesa universale. Con il pretesto di instaurare un ‘processo di dialogo’ tra la componente più conservatrice e fedele al Papa, in Germania decisamente minoritaria, e quella che rappresenta posizioni più liberali, i vescovi hanno di fatto istituito uno pseudo Concilio locale destinato a ridisegnare le posizioni della Chiesa tedesca su quelli che vengono considerati i temi ecclesiali più bollenti e attuali: il cosiddetto sacerdozio femminile, l’abolizione del celibato dei sacerdoti, un allentamento della morale sessuale e la liceità dell’utilizzo dei contraccettivi, l’accettazione dell’omosessualità, l’ammissione alla Comunione dei divorziati risposati e dei protestanti, quindi gli stessi temi su cui insistono i ribelli austriaci della Pfarrerinitiative guidati da Helmut Schüller.

Constatando che la soluzione di questi problemi a livello di Chiesa universale avverrebbe con eccessiva lentezza, la Chiesa tedesca ha deciso di intraprendere un cammino che rappresenta in pratica la sua trasformazione in Chiesa autocefala, con il ridimensionamento del ruolo del Papa, da quello di detentore della giurisdizione e del primato sulle realtà temporali e spirituali dell’intera Chiesa universale (e quindi anche della sua porzione operante entro i confini della Repubblica Federale Tedesca) a quello di primus inter pares, che può vantare una vaga autorità spirituale e una scarsa, se non nulla, potestà giuridica.

Non si tratta di un piano segreto, bensì di un progetto attuato passo dopo passo alla luce del sole. In un’intervista concessa lo scorso dicembre all’agenzia tedesca di informazione cattolica KNA, l’arcivescovo di Friburgo e Presidente della Conferenza Episcopale tedesca, Mons. Robert Zöllitsch, ha auspicato l’avvio di un processo di ‘regionalizzazione’ nell’applicazione di soluzioni dei problemi della Chiesa, vale a dire che con riferimento ai temi scottanti menzionati in precedenza, cominciando dall’ammissione alla Comunione dei divorziati risposati, la Chiesa tedesca sarebbe andata per conto suo senza tenere conto delle regole stabilite dal magistero ordinario del Santo Padre. Se questo non è uno scisma, poco ci manca.

In questa direzione va anche intesa anche la risposta dello stesso Mons. Zöllitsch alla lettera che Benedetto XVI ha inviato ai vescovi tedeschi chiedendo la modifica della traduzione del passo in latino del canone della Santa Messa pro multis da für alle (per tutti) a für viele (per molti). Per il vescovo di Friburgo la missiva del Papa rappresentava «un importante contributo al dibattito in corso», formulazione un poco singolare se vista dall’ottica di chi considera il Papa il pastore supremo della Chiesa universale, quindi in possesso della facoltà di stabilire un tale cambiamento, ma perfettamente lineare per chi lo vede come un’autorità le cui indicazioni non sono vincolanti.

Del resto, questa tendenza è confermata apertamente dal Card. Kasper, il quale, in una recente intervista ha affermato che serve «una nuova modalità nell’esercizio del governo della Chiesa», la cosiddetta collegialità, che andrebbe a suo dire nella direzione richiesta dal Concilio Vaticano II, e sarebbe una manifestazione «dell’unità nella diversità tra tutti i credenti nel Vangelo e di un maggiore dialogo con le altre religioni». Tale ‘collegialità’, secondo Kasper, «deve estendersi dai vescovi a forme di rappresentanza di tutte le componenti del popolo di Dio». Lo stesso Card. Lehmann, durante una Messa di suffragio di Papa Giovanni Paolo II nel 2005, ha lamentato la scarsa capacità di dialogo del defunto pontefice all’interno della Chiesa.

Abbandonando il clericalese, due tra le maggiori personalità ecclesiali tedesche reclamano appunto un ridimensionamento dell’autorità del Papa (la presunta ‘collegialità’), e sotto il pretesto del ‘dialogo’, l’annacquamento dei principi su cui si fonda la fede cattolica a motivo di un falso sentimento di unità con le altre confessioni cristiane e le altre religioni, un pericolo denunciato da Paolo VI già nel 1968 e fondato sullo stravolgimento dei principi fondanti il Concilio Vaticano II.

In Germania, e più in generale nei Paesi di lingua tedesca, sta avvenendo con metodicità l’attuazione, passo dopo passo, dei desiderata della Pfarrerinitiative. Del resto, i vescovi austriaci hanno iniziato a dare qualche buffetto – ma nessun provvedimento restrittivo serio – a Schüller e ai suoi seguaci solamente quando questi hanno lanciato il cosiddetto ‘Appello alla disobbedienza’. Non è apparsa inaccettabile la sostanza delle richieste dei ribelli, bensì il fatto che essi abbiano usato la parola tabù: disobbedienza, appunto.

Bisogna purtroppo notare come in questi Paesi l’azione pastorale dei vescovi abbia ormai assunto i tratti di un’inestricabile babele, una cacofonia di voci che distolgono i fedeli dal cammino verso la salvezza.

Abbiamo così due cardinali arcivescovi (Schönborn di Vienna e Woelki di Berlino) che pubblicamente hanno mostrato comprensione verso le unioni omosessuali, mentre altri due cardinali (Lehmann, vescovo di Magonza e l’ex curiale Kasper), col pubblico plauso di Schüller, si dichiarano favorevoli al diaconato femminile, richiesta di natura esclusivamente tattica, e che rappresenta il tentativo di aprire il terreno a una futura ‘ordinazione sacerdotale’ delle donne. A quest’ultima si sono detti pubblicamente favorevoli Iby di Eisenstadt in Austria (ora dimissionato), Büchel di San Gallo in Svizzera e Fürst di Rottenburg-Stoccarda in Germania. Il cardinale Meisner di Colonia, tra l’altro millantando un presunto via libera del Papa attraverso Mons. Georg Gänswein, ha invece aperto la strada all’autorizzazione a somministrare la ‘pillola del giorno dopo’ alle donne vittime di stupro, misura che con sorprendente rapidità è stata in seguito presa dall'intera Conferenza Episcopale tedesca.

C’è chi, come il vescovo di Salisburgo Kothgasser, nel corso di un incontro con i sacerdoti della sua diocesi ha affermato che la pedofilia nel clero rappresenta una diretta conseguenza dell’imposizione del celibato - un sacerdote presente a quell’incontro ha dichiarato: «Io, che vivo il celibato, mi sono sentito accusare di essere un pedofilo o potenziale pedofilo» -. Nella Diocesi di Linz, il vescovo Schwarz ha mantenuto per tre anni Josef Friedl nel suo incarico di parroco di Ungenach, prima che questi si ritirasse per motivi di salute, nonostante egli avesse pubblicamente ammesso di convivere con una donna - oltre a constringerlo a dimettersi da decano, l’unico rimprovero fatto dal vescovo al suo sacerdote, è stato quello di averne parlato in pubblico-. Da notare anche che proprio il parroco Friedl è stato uno dei più violenti oppositori alla nomina di mons. Gerhard Wagner a vescovo ausiliare di Linz, opposizioni che hanno costretto Wagner a rinunciare alla nomina.

 

Germania, maiale in cattedrale

Il vescovo di Hildesheim, in Germania, Mons. Robert Trelle, lo scorso anno ha avuto la brillante idea di festeggiare la fine della ristrutturazione della locale cattedrale organizzando in essa un pranzo con le maestranze che avevano svolto i lavori a base di porchetta allo spiedo e fiumi di birra. Come fosse normale, la stessa Diocesi ha posto le fotografie del pranzo sul proprio sito Internet, salvo poi ritirarle una volta scoppiate le polemiche per una tale profanazione del luogo sacro.

Nella Cattedrale di Bamberga, in Baviera, in occasione dei 1000 anni dalla sua costruzione, nel marzo dello scorso anno si è tenuta una mostra di arte moderna. Le immagini ‘moderne’, presunte rivisitazioni di passi della Sacra scrittura, poste accanto alle immagini sacre, e che definire blasfeme è davvero poco sono chiamate Hortus conclusus, ed è il modo in cui l’autore vede la Vergine Maria (richiamata dal Cantico dei Cantici appunto come orto chiuso), hanno trovato l’entusiastica lode del vescovo locale, Mons. Ludwig Schick, secondo il quale questa mostra ha rappresentato un invito a vivere di nuovo le opere d'arte del Duomo in modo più intenso, nonché a osservare e valutare l'arte contemporanea. Secondo Schick, con la mostra si dà un segno che l'«arte non è alla fine, bensì continua, continua a essere creata, anche l'arte religiosa. Ciò che è di religioso nell'uomo, lo spirituale, il meditare su ciò che Dio dà agli uomini, può essere stimolato attraverso il confronto con l'arte contemporanea» (per vedere quale ‘stimolo’ religioso sia esercitato dal confronto con l’arte contemporanea vedi qui)

Al contrario, i vescovi fedeli al Papa senza tentennamenti subiscono emarginazione e dileggio: un esempio di tale situazione è rappresentato da mons. Vitus Huonder, vescovo di Coira in Svizzera, malvisto dai media, ma anche dai suoi confratelli vescovi e dagli stessi sacerdoti della sua diocesi - pochissimi parroci lo accolgono nelle proprie parrocchie per il conferimento della Cresima.


[SM=g1740771]



Caterina63
00mercoledì 27 marzo 2013 11:57
[SM=g1740758] In alcuni quotidiani (ma l'ho sperimentato io stessa di persona) ho letto che sono in molti a "sperare" che con la simpatia e la rivoluzione (??) portata da Papa Francesco, finalmente la Chiesa potrà aprirsi ed essere più accondiscentente su ciò che fino ad oggi ha dichiarato inamovibile e inopinabile come l'aborto, il divorzio, i matrimoni omosex, l'eutanasia e via dicendo....

Queste persone avranno un duro risveglio.....  I modi di Papa Francesco, rivoluzionari quanto si voglia dire, non c'entrano nulla con la impostazione dottrinale della Chiesa....
Un Pontefice che rigettasse la Dottrina sull'etica e sulla morale, sarebbe un Papa eretico. La Dottrina della Chiesa infatti non appartiene ad un Papa, ma al Papa viene consegnata (dalla Tradizione e quindi dal Deposito della fede trasmesso dagli Apostoli come spiega San Paolo, tutti i Padri della Chiesa, Santi e Dottori) affinchè, con i mezzi e il carisma che gli sono propri, la metta in pratica, la difenda e la insegni.... [SM=g1740733]

***

Ecco la posizione del nuovo Papa che, ovviamente, non potrà smentirsi.....

«L'aborto non è mai una soluzione»

di Jorge Mario Bergoglio (Papa Francesco)

da LanuovaBussolaQuotidiana del 27-03-2013

Quando, sei mesi fa, le autorità amministrative di Buenos Aires decisero di ampliare le ipotesi di depenalizzazione dell’aborto, l’allora Cardinal Jorge Mario Bergoglio, oggi papa Francesco, emanò un coraggioso comunicato ufficiale, in cui la scelta di interrompere la gravidanza veniva comunque fermamente condannata senza se e senza ma. Il testo di quel comunicato, che porta la data del 10 settembre 2012 ed è intitolato “Sobre la resolución para abortos no punibles en la Ciudad de Buenos Aires”, merita di essere integralmente riportato:

Rispetto alla regolamentazione dei casi di aborto non punibili (ANP) da parte delle autorità amministrative cittadine di Buenos Aires, prendiamo atto una volta di più della deliberata intenzione di perseverare sulla strada della limitazione ed eliminazione del valore supremo della vita, e della volontà di ignorare il diritto dei bimbi a nascere. Nei confronti di una donna in stato di gravidanza dobbiamo sempre parlare di due vite, le quali debbono entrambe essere preservate e rispettate, poiché la vita è un valore assoluto. «La scienza biologica indica in modo evidente attraverso il DNA, la sequenza del genoma umano, che dal momento del concepimento esiste una nuova vita umana che deve essere tutelata giuridicamente. Il diritto alla vita è un diritto umano fondamentale» (CEA, Non una vita ma due, 2011).

L’aborto non è mai una soluzione. Occorre ascolto, vicinanza e comprensione da parte nostra per salvare tutte e due le vite: rispettare l’essere umano più piccolo e indifeso, adottare ogni mezzo che possa preservare la sua vita, permettere la sua nascita ed essere, inoltre, creativi nell’individuare percorsi che rendano possibile il suo pieno sviluppo. Questa decisione amministrativa che amplia le ipotesi di depenalizzazione dell’aborto, cedendo alle indebite pressioni della Corte Suprema nazionale – la quale, peraltro, ha prevaricato le proprie competenze in palese violazione del principio di divisione dei poteri e delle prerogative federali – comporta conseguenze di natura giuridica, culturale ed etica, poiché le leggi improntano la cultura di un popolo, e una legislazione che non protegge la vita favorisce una «cultura di morte» (Evangelium vitae, n.21)

Di fronte a questa deprecabile decisione lanciamo un appello a tutte le parti coinvolte, ai fedeli e ai cittadini, affinché, in un clima di massimo rispetto, vengano adottati mezzi positivi di promozione e protezione della madre e del suo bambino in tutti i casi, a favore sempre del diritto alla vita umana.


(traduzione a cura di Gianfranco Amato)

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Non dimentichiamo come l'allora cardinale Bergoglio, affrontò il problema della fame, insieme all'Episcopato argentino, certamente avanzando nel campo sociale della carità materiale, ma soprattutto presentando al Paese la vera chiave per risolvere certi problemi: IL CATECHISMO DELLA CHIESA CATTOLICA.... nel 2002 Bergoglio e Ratzinger intervennero all'unisono affinchè si insegnasse che: non di solo pane vive l'uomo.... e di come il Catechismo stia alla base di una società più giusta e che se rispettato e applicato nella vita di ognuno, spazzerebbe via gran parte delle crisi che coinvolgono sempre i più deboli...
CLICCARE QUI PER LEGGERE L'ARTICOLO DEL 2002

così interveniva il cardinale Jorge Bergoglio, arcivescovo di Buenos Aires in quel 2002:

«Per questo presentiamo il messaggio del Catechismo così com'è. Colui che lo segue si salva e salva gli altri. Siamo consapevoli della sofferenza del nostro popolo, siamo consapevoli del fatto che molti bambini non possono terminare il primo ciclo d'istruzione per mancanza delle necessarie proteine. Siamo consapevoli che negli ospedali manca l'essenziale per la salute della gente. Presentare il messaggio di Gesù Cristo significa tracciare il cammino che Egli ha tracciato. Per esser degni della Sua dignità. E diciamo: ogni persona del nostro popolo ha diritto a vedere rispettata questa dignità e non a vederla calpestata. Calpestare la dignità di una donna, di un uomo, di un bambino, di un anziano è un peccato grave che grida al Cielo».

[SM=g1740771]

Caterina63
00mercoledì 27 marzo 2013 16:30
[SM=g1740758] Intervento del cardinale Bergoglio prima del Conclave:
Una diagnosi dei problemi della Chiesa




L'arcivescovo dell'Avana, cardinale Jaime Lucas Ortega y Alamino, ha ricevuto il permesso dal Papa Francesco,  da un documento datogli da lui, di leggere questo breve testo alla sua comunità diocesana delineando il discorso che ha pronunciato durante le riunioni pre-conclave nelle Congregazioni Generali dei Cardinali.

Il cardinale Ortega ne era stato così colpito che chiese all'allora cardinale Bergoglio Jorge  una copia dell'intervento.
Il cardinale Ortega ha ricevuto il permesso dal Papa Francesco, per condividere le informazioni.


Qui è una traduzione non rivista dal Pontefice,  del testo

 evangelizzare implica zelo apostolico

1. - Evangelizzare presuppone il desiderio della Chiesa di uscire da se stessa. La Chiesa è chiamata ad uscire da se stessa e per andare alle periferie, non solo geograficamente, ma anche nelle periferie esistenziali degli uomini che sono: il mistero del peccato, di dolore, di ingiustizia, di ignoranza e l'indifferenza verso la religione, di correnti intellettuali, e di ogni miseria.

2. - Quando la Chiesa non esce da sé per evangelizzare, diventa autoreferenziale e poi si ammala. (Cfr. La donna deformata del Vangelo). I mali che, nel tempo, si verificano nelle istituzioni ecclesiali hanno la loro radice in autoreferenzialità e una sorta di narcisismo teologico. In Apocalisse, Gesù dice che egli è alla porta e bussa. Ovviamente, il testo si riferisce alla sua bussando dall'esterno per entrare, ma penso ai tempi in cui Gesù bussa dall'interno in modo che possiamo lasciarlo uscire. L'auto-referenzialità della Chiesa mantiene Gesù Cristo dentro di sé e non lo lascia uscire.

3. - Quando la Chiesa è auto-referenziale, inavvertitamente,  cessa di essere il mysterium lumen e lascia il posto a quella oscurità molto grave che conduce al male, alla mondanità spirituale. Vive per dare gloria solo per l'un l'altro, lasciando gli altri fuori.
In parole povere, ci sono due immagini della Chiesa: Chiesa che evangelizza e viene fuori di sé, le Religiose Dei Verbum audiens et proclamans fidente, e la Chiesa mondana, che vive dentro di sé, di sé , per se stessa. Questo dovrebbe far luce sui possibili cambiamenti e le riforme che devono essere soddisfatte per la salvezza delle anime.

4. - Pensando al prossimo Papa: Egli deve essere un uomo che, dalla contemplazione e di adorazione di Gesù Cristo, aiuta la Chiesa a uscire per le periferie esistenziali, che l'aiuta a essere la madre feconda, che si guadagna la vita dalla "dolce e confortante gioia di evangelizzare ".


(fonte Radio Vaticana)

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Caterina63
00venerdì 12 aprile 2013 00:37
FORZA E DEBOLEZZA DEL PAPATO - di P. Giovanni Cavalcoli, OP

da RiscossaCristiana






ccp

Caravaggio - Crocifissione di San Pietro

 

 

Ormai appare sempre più chiaro per chi non vive alla superficie della vita ecclesiale, ma vuole essere all’interno della Chiesa o, come diceva S.Teresa di Gesù Bambino, “nel cuore della Chiesa”, “in medio Ecclesiae”, come si diceva di S.Domenico, soprattutto in questi ultimi decenni, si è affermato un episcopato, che impone un modello di Chiesa ispirato a Rahner (anche se non solo), di marca modernistico-protestante-massonica, Chiesa dal basso, Chiesa popolo di Dio, Chiesa pneumatica senza dogmi e senza gerarchia, Chiesa confusa col mondo e quindi mondanizzata[1], Chiesa “trascendentale” ed “atematica” dei cristiani anonimi.

Si tratta di una Chiesa nella Chiesa, dove questa è quella che è governata dal Papa e dai vescovi fedeli al Papa, sulla linea della Scrittura, della Tradizione, dei Padri, dei Concili, di Agostino, di Tommaso sino alla Chiesa del Concilio Vaticano II[2], che però i rahneriani interpretano a proprio uso e consumo.

Infatti questi vescovi recenti sono stati formati da docenti rahneriani non sufficientemente corretti dai vescovi precedenti, già allora troppo indulgenti verso Rahner. Se dunque nei primi anni del postconcilio avevamo per lo più soltanto teologi rahneriani colpevolmente tollerati dai loro vescovi, adesso abbiamo vescovi rahneriani, che sono gli antichi seminaristi di un tempo formati da insegnanti rahneriani. Una situazione incancrenita e pericolosissima. Rahner è diventato un “classico” quasi fosse un Padre della Chiesa o un nuovo S.Tommaso d’Aquino.

E’ dunque avvenuto un salto di qualità: se ai tempi dei teologi rahneriani, costoro influenzavano solo gli ambienti della scuola, adesso che abbiamo vescovi, prelati e superiori rahneriani,  i rahneriani hanno acquistato un vero e proprio potere, se è vero come è vero che il potere di governo non spetta ai teologi ma ai vescovi.

Succede così in queste condizioni che l’essenziale apporto del Papato, ben lontano dal sostenere Rahner, giunge faticosamente, scarsamente, precariamente e rischiosamente nelle varie aree della Chiesa, come l’aria in una trachea asmatica o come il cuore in un sistema circolatorio affetto dal colesterolo, e quindi giunge solo in alcuni ambienti ristretti della Chiesa, dove il Papa è rispettato ed obbedito ed ha un vero influsso anche disciplinare.

Ma la maggioranza degli ambienti ecclesiali, la formazione del clero, il clima delle parrocchie, la liturgia, i mass-media, gli istituti religiosi, i movimenti laicali, sono sotto controllo dell’episcopato rahneriano, ribelle o quanto meno indifferente al Papa e quindi si è fatto guida di una Chiesa che si è costituita per conto proprio, indipendentemente dal Papa (se non proprio contro il Papa), sulla linea della teologia e dell’ecclesiologia di Rahner e dei rahneriani. Tutto ciò è frutto di malintesa interpretazione ed attuazione dell’autonomia della Chiesa locale, nonché delle conferenze episcopali nazionali e dei sinodi mondiali.

Dove questo episcopato comanda, è molto difficile e rischioso obbedire al Papa, perché questo episcopato richiede assoluta obbedienza ed avendo in mano il potere, può vessare, diffamare e perseguitare quei cattolici[3], giovani, anziani, laici, docenti, religiosi, preti, seminaristi[4], chiunque, i quali volendo essere integralmente fedeli a Roma, in un modo o nell’altro si pongono in rotta di collisione con i vescovi e i superiori modernisti.

Il potere di questi prelati, essendo immediatamente e spazialmente vicino, conta più di quello del Papa, è più temibile di questo. Disobbedire al Papa in molti ambienti non porta a nessuna conseguenza, anzi si ottiene successo e si passa per moderni ed avanzati, ma disobbedire ai prelati modernisti si paga caro e può compromettere o bloccare la stessa carriera o attività ecclesiastica o sacerdotale, per quanto si possa essere teologi o docenti stimati e di lunga esperienza.

In tal modo il Papato con i pochi collaboratori fedeli che gli restano tra i vescovi e tutti i buoni cattolici, è una specie di stato maggiore di un esercito dove però l’esercito si è costituito capi per conto suo, i quali non seguono affatto le direttive dello stato maggiore, ma vanno per conto proprio con una loro politica ecclesiastica, una loro teologia ed una loro pastorale che non riflette la vera concezione cattolica, ma quella concezione ereticale di cui sopra.

E i Papato ha le mani legate, non può far quasi nulla dal punto di vista del governo, del controllo della dottrina e delle nomine ecclesiastiche. Queste ultime sono per lo più imposte od ottenute con raggiri dai modernisti, sicchè il Papa deve, come si suol dire, “far buon viso a cattivo gioco”, si trova ad avere a che fare con “collaboratori” finti o di facciata che non sono affatto  copertamente o scopertamente  veri collaboratori, ma che gli remano contro se non in modo plateale e sfacciato, certo comunque in modo reale e come un tarlo che corrode ogni giorno il sistema del Papato.

Il Papa è così sottoposto ad uno stillicidio quotidiano, ad una vita logorante difficilmente sopportabile[5],  se non fosse che abbiamo avuto in questi decenni Papi santi che hanno saputo offrire la loro vita per la Chiesa in unione con la croce di Cristo. Con tutto ciò è chiaro che il Papa ha i suoi buoni collaboratori, presenti grazie a Dio in tutti i settori della Chiesa in tutto il mondo, ma in scarsissimo numero, e tutto quello che possono fare, oltre a soffrire insieme col Vicario di Cristo, è la proclamazione della sana dottrina, peraltro sistematicamente ed immediatamente criticata, fraintesa, derisa e contestata dai potenti mezzi propagandistici dei modernisti. E’ possibile dunque sapere, in linea di principio, che cosa pensa il Magistero, ma è assai difficile metterlo in pratica a causa degli ostacoli, delle minacce, delle seduzioni e delle persecuzioni provenienti dal potere modernista.

Questa situazione di debolezza e di impotenza sorge col papato di Paolo VI e si protrae sino ai nostri giorni. Essa certamente è all’origine delle dimissioni di Benedetto XVI[6]. Il Papato con Paolo VI non è più Cristo che guida le folle[7], che compie prodigi, che corregge i discepoli, che caccia i demòni, che minaccia farisei, sommi sacerdoti e dottori della legge, ma è Cristo sofferente, “crocifisso e abbandonato”, inascoltato, disobbedito, contestato, beffato, emarginato, angosciato.

La forza del Papato postconciliare è la forza di Cristo crocifisso, è il potere della croce. Il Papa deve stare continuamente in croce, fino all’ultimo. Alcuni hanno accusato Benedetto XVI di aver abbandonato la croce. Ma chi ci dice che non ne abbia adesso una più pesante, umiliato com’è per essere ingiustamente messo a confronto col nuovo Pontefice, quasi che questi vada bene e non il precedente? Sciocchezze incredibili.

I modernisti le studiano tutte  per conquistarsi il nuovo Papa, ma non riusciranno. Avrà certo come tutti i suoi difetti umani, ma non s’illudano che egli perda il carisma dell’infallibilità, se messo alla prova e all’occasione propizia. Essi forse si sentono vicini all’aver messo un rahneriano sul trono di Pietro. Ma saranno scornati. L’eresia può giungere molto in alto, può arrivare tra i Cardinali - e lo abbiamo visto -, ma non può raggiungere il Papa.

Nessun Papa si è piegato all’eresia, per quanto sia stato circonvenuto, adulato, fatto soffrire e minacciato[8]. Nei primi secoli abbiamo Papi martiri e chi ci dice che la serie sia finita? Il Papa si piega a tutto ma non all’eresia. Forse Benedetto ha avuto forti pressioni perché cedesse ai rahneriani. Probabilmente l’enciclica sulla fede che aveva intenzione di preparare avrebbe dato fastidio a molti.

Ottimo è il ritratto di questo Papato che si riflette nelle sofferenze della Chiesa nel libro Gethsemani[9] del grande card. Siri. Egli colpisce nel bersaglio attaccando Rahner, meno felice è nella critica a De Lubac, del tutto fuori centro è col Maritain, uomo di santa vita ed esimio tomista aperto con discrezione ai valori del pensiero moderno, in perfetta linea con la figura di teologo promossa dal Concilio Vaticano II, lodato e raccomandato da Paolo VI e dal Beato Giovanni Paolo II.

Non si capisce perchè l’illustre Cardinale se la prenda con lui, quando avrebbe potuto avere l’imbarazzo della scelta nello scegliere i tormentatori della Chiesa[10]: dagli Schillebeeckx, Hulsbosch e Schoonenberg ai teologi della liberazione, Gutierrez, Girardi, Sobrino, Boff ed Assman, dai moralisti esistenzialisti come Molinaro, Rossi, Valsecchi e Mongillo, agli idealisti come Bontadini e Severino, dagli heideggeriani come Marranzini e Sartori ai neohegeliani come Küng, Kasper e Forte. In tal modo la sua polemica perde di mordente e presta il fianco alla critica modernista che lo accusò di conservatorismo, misconoscendo la tempra eccezionale di speculativo del dotto Cardinale.

La debolezza del Papato che si è manifestata ad iniziare dal periodo postconciliare dipende, a mio avviso, da un difetto nelle disposizioni pastorali del Concilio concernenti quella che dev’essere la collaborazione tra Papa e vescovi nella tutela della rettitudine della fede e nella correzione degli eretici. In modo sorprendente - e questo è stato notato dagli studiosi seri - il Concilio, contrariamente a tutta la tradizione dei Concili ecumenici, non fa parola di eresie o dottrine contrarie alla fede. Parla sì genericamente di gravi errori, come l’ateismo, il materialismo,  l’antropocentrismo, il secolarismo, lo scientismo, il liberalismo, il naturalismo, ma si tratta di condanne generiche e scontate, più riferite ad errori del passato che a precisi fenomeni eresiologici del presente.

Senza ovviamente negare la preminente responsabilità di Roma nella repressione dell’eresia, il Concilio promuove un’attività autonoma dei singoli vescovi o delle conferenze episcopali nella difesa della fede. In particolare, come sappiamo, il Concilio promuove e sviluppa la dottrina della collegialità episcopale, in se stessa di grande importanza, la quale tuttavia va intesa bene.

Alcuni la hanno intesa non come andava intesa, ossia come promozione della comunione fraterna dei vescovi tra di loro e col Papa e sotto il Papa, ma come accentuazione dell’autonomia del corpo episcopale rispetto al Papa, non certo finendo nel conciliarismo, il che sarebbe stata un’eresia, ma dando adito a questa interpretazione, certo sbagliata ma possibile. Ne hanno approfittato i modernisti per sottolineare esageratamente questa autonomia provocando gravi danni all’unità della fede nella Chiesa e solleticando l’ambizione dei vescovi.

Ancora di recente lo storico modernista Melloni, della cosiddetta “scuola di Bologna” si diceva insoddisfatto del grado di “collegialità” raggiunto ed auspicava che sia più accentuato: dunque un aggravamento del male anziché una sua mitigazione o correzione. Melloni popone una linea che è esattamente l’opposto rispetto a quella nella quale si deve procedere.


Negli anni ’80 a Roma ebbi un colloquio col card. Pietro Parente, illustre cristologo ed ex-Segretario del Sant’Uffizio, il quale mi disse con preoccupazione di essersi quasi pentito di essersi fatto promotore in Concilio della dottrina della collegialità, vista l’interpretazione conciliarista alla quale stava andando soggetta.

Con queste disposizioni poco prudenti per non dire sbagliate del Concilio è successo che il peso gravissimo della condanna dell’eresia e della correzione degli eretici ha finito per cadere quasi esclusivamente su Roma, mentre generalmente i vescovi hanno trascurato questo loro grave dovere per non dire che hanno favorito copertamente e qualche volta scopertamente gli eretici, con la scusa del dialogo, della misericordia, della libertà e cose del genere, che spesso sono diventate etichette che nascondono comportamenti errati.

Il nome scelto dal nuovo Pontefice - Francesco - è certo bello ed ha commosso tutto il mondo per il suo richiamo ai grandi temi della spiritualità francescana, con particolare riferimento alla giustizia sociale, ai poveri, ai semplici, agli umili, agli oppressi, ai perseguitati e ai sofferenti.

Tuttavia mi resta qualche perplessità o qualche timore, che penso saranno fugati dal futuro comportamento del Papa. Si tratta di questo: la spiritualità francescana evidentemente è innanzitutto propria del frate francescano e pertanto insiste sulle virtù tipiche del religioso: la povertà, la mitezza, l’umiltà, la docilità, la pazienza, la penitenza, la dolcezza, la misericordia.

Però, in questa spiritualità non appare evidente un altro essenziale aspetto della condotta cristiana, soprattutto quella che spetta ai superiori: la vigilanza contro il nemico, la forza nello scoprirlo, nel combatterlo e nel vincerlo, il far sentire ai ribelli la forza della legge, l’energia nel disciplinare e saper tenere unito il gregge di Cristo e difenderlo dai lupi, l’autorevolezza che all’occorrenza sa incutere timore nei ribelli e negli arroganti, la forza per difendere i deboli contro gli oppressori, il tutto certo nella massima carità, ma appunto la carità stessa chiede, come insegna il Vangelo e testimoniano i Santi, il saper intervenire con forza quando occorre.

Tutte queste doti si addicono in modo particolare al Papa e sono state proprie di tutti i grandi e santi Pontefici della storia. Certo il Papa dovrebbe poter disporre di questo potere, ma se non ce l’ha, che gli resta? Quello di soffrire sulla croce.

Perché tanti Papi col nome di Leone, Gregorio, Pio, Innocenzo, Giovanni, Paolo? Ma evidentemente perché ricordavano i S.Leone Magno, i S.Gregorio Magno, i S.Pio V o Pio X e via discorrendo, per non parlare dei Papi martiri. Oggi i modernisti sono riusciti a creare nell’immaginario popolare una certa antipatia per questi nomi, ma del tutto a torto. Un tempo il popolo cristiano li venerava ed accoglieva con gioia e speranza questi nomi che evocavano le passate glorie e non sono mancati i risultati positivi. Certo, abbiamo avuto Papi francescani, ma hanno fatto i Papi e hanno smesso di fare i frati. Questo sia detto con tutto rispetto dei frati - io sono un frate domenicano - ma non bisogna confondere i ruoli nella Chiesa. I frati domenicani che sono diventati Papi hanno fatto i Papi.

Questo nuovo Papa poi è Gesuita, ed anche questa sua qualità certo ci fa sperare insieme col carissimo nome di Francesco, anzi vorremmo sperare in una sintesi tra l’energia e la dottrina del Gesuita da una parte e la mitezza ed umiltà francescane dall’altra. In ogni caso il grande problema pastorale di oggi è una ritrovata collaborazione tra Papa ed episcopato. In ciò indubbiamente è utile l’applicazione delle direttive conciliari, tuttavia adeguatamente corrette nei loro difetti e non peggiorate come vorrebbero i modernisti, pensando così di far avanzare la Chiesa e invece la fanno retrocedere.

In particolare bisogna che i vescovi, senza affatto abbandonare la bella figura del pastore evangelico delineata dal Concilio, riprendano in mano il loro ufficio di maestri e custodi della fede evitando di lasciare solo il Papa in questo gravissimo compito che spetta a tutto il Magistero della Chiesa. Ovviamente il corpo episcopale in ciò è infallibile, ma lo è solo a condizione di compiere il proprio dovere in comunione col Papa, che non è un vescovo come gli altri alla pari degli altri, ma è il Successore di Pietro al quale Cristo ha detto pasce oves meas e confirma fratres tuos.

Il Papa non è vescovo di Roma alla pari del vescovo di Milano o di New York, ma è vescovo di quella diocesi che, come dice S.Ireneo, ha il compito e il carisma infallibile e indefettibile di presiedere su tutte le altre Chiese nella carità. Come ebbe a profetizzare il Vate latino: tu regere imperio populos, Romane, memento: parcere subiectis et debellare superbos.

 

 


[1] Secondo il teologo domenicano modernista Albert Nolan, in linea con Gutierrez, non esiste un altro mondo oltre a questo, ma solo questo mondo, per cui la Chiesa deve renderci felici in questo mondo.

[2] La “Chiesa del Denzinger”, “piramidale ed aristocratica”, come dicono sarcasticamente i modernisti, mentre la loro è la Chiesa “dello Spirito Santo” o la Iglesia popular dei liberazionisti dell’America Latina. Il card. Martini ebbe a dire che per salvarsi non occorre la Chiesa, ma basta lo Spirito Santo - come se lo Spirito Santo non operasse nella Chiesa e per mezzo della Chiesa.

[3] Famoso fu a suo tempo il processo intentato dall’arcivescovo di Milano al coraggioso pubblicista cattolico Vittorio Messori, per non parlare di altri casi simili..

[4] Alcuni ottimi seminaristi comunicano con me segretamente per non essere scoperti dai loro superiori.

[5] Come giudicare l’ineffabile ipocrisia dei modernisti che parlano di Papato autoritario ed impositivo?

[6] Ridicolo il commento di un modernista alle dimissioni del Papa: vede in esse il gesto di un uomo “non attaccato al potere”.

[7] Le adunate oceaniche del Beato Giovanni paolo II furono fuochi d’artificio o il grido strozzato delle masse cattoliche frastornate e scandalizzate dai loro pastori.

[8] Per citare un esempio relativamente recente: pensiamo all’eroica resistenza di Pio VI, prigioniero di Napoleone. Gli esempi addotti da Küng nel suo famoso libro Infallibile? circa supposte cadute di Papi nell’eresia, sono fasulli. E’ vero però che ciò può accadere come dottori privati o se privi del pieno possesso delle loro facoltà mentali. Teniamo inoltre presente che lo stesso Küng non crede all’immutabilità e quindi alla verità assoluta dei dogmi.

[9] Edizioni della Fraternità della SS.Vergine , Roma 1980.

[10] Bastava che Siri attingesse all’importante rassegna del Fabro L’avventura della teologia progressista, Rusconi Editore, Milano 1974 o al libro del card. Parente La crisi della verità e il Concilio Vaticano II, Istituto Padano di Arti Grafiche, Rovigo 1983.






Caterina63
00mercoledì 1 maggio 2013 13:10

[SM=g1740758] INTERVISTA AL SOSTITUTO DELLA SEGRETERIA DI STATO, S.E. MONS. ANGELO BECCIU: LA RIFORMA DI PAPA FRANCESCO

Riportiamo di seguito il testo dell’intervista del Sostituto della Segreteria di Stato, S.E. Mons. Angelo Becciu, pubblicata sull’Osservatore Romano in data mercoledì 1° maggio 2013:

La riforma di Papa Francesco

Il 13 aprile è stata resa pubblica la notizia che Papa Francesco ha costituito un gruppo di otto cardinali per consigliarlo nel governo della Chiesa universale e per studiare un progetto di revisione della costituzione apostolica Pastor bonus sulla Curia romana. La decisione ha destato molto interesse, dando luogo a non poche speculazioni. Di questo ha parlato in un’intervista al nostro giornale l’Arcivescovo Angelo Becciu, sostituto della Segreteria di Stato.

Sulla riforma della Curia si sono sentite molte voci: bilanciamento di poteri, moderatori, coordinatori, "superministeri dell’economia", rivoluzioni...

In effetti è un po’ strano: il Papa non ha ancora incontrato il gruppo di consiglieri che si è scelto e già i consigli piovono. Dopo avere parlato con il Santo Padre, posso dire che in questo momento è assolutamente prematuro avanzare qualsiasi ipotesi circa il futuro assetto della Curia. Papa Francesco sta ascoltando tutti, ma in primo luogo vorrà ascoltare chi ha scelto come consiglieri. Successivamente si imposterà un progetto di riforma della Pastor bonus, che ovviamente dovrà percorrere un suo iter.

Si è parlato molto anche dello Ior, l’Istituto per le opere di religione; qualcuno si è spinto a prevedere una sua soppressione...

Il Papa è rimasto sorpreso nel vedersi attribuite frasi che non ha mai pronunciato e che travisano il suo pensiero. L’unico cenno in merito è stato durante una breve omelia a Santa Marta, fatta a braccio, in cui ha ricordato in modo appassionato come l’essenza della Chiesa consista in una storia di amore tra Dio e gli uomini, e come le varie strutture umane, tra cui lo Ior, siano meno importanti. Il riferimento è stato un cenno di battuta, motivato dalla presenza alla messa di alcuni dipendenti dell’Istituto, nel contesto di un serio invito a non perdere mai di vista l’essenzialità della Chiesa.

Si deve prevedere che non sia imminente una ristrutturazione dell’attuale conformazione dei dicasteri?

Non so prevedere i tempi. Il Papa tuttavia ha chiesto a tutti noi, responsabili dei dicasteri, di continuare nel nostro servizio, senza però voler procedere, per il momento, ad alcuna conferma negli incarichi. Lo stesso vale per i membri delle Congregazioni e dei Pontifici Consigli: il normale ciclo di conferme o nomine, che si verificano alla scadenza dei mandati quinquennali, è per il momento sospeso, e tutti continuano nel proprio incarico «sino a nuova disposizione» (donec aliter provideatur). Ciò indica la volontà del Santo Padre di prendere il tempo necessario di riflessione — e di preghiera, non dovremmo dimenticarlo — per avere un quadro approfondito della situazione.

A proposito del gruppo di consiglieri, qualcuno è arrivato a sostenere che una tale scelta possa mettere in discussione il primato del Papa...

Si tratta di un organo consultivo, non decisionale, e davvero non vedo come la scelta di Papa Francesco possa mettere in discussione il primato. È vero invece che si tratta di un gesto di grande rilevanza, che vuole dare un segnale preciso circa le modalità con cui il Santo Padre vorrà esercitare il suo ministero. Non dobbiamo infatti dimenticare qual è il primo compito assegnato al gruppo degli otto cardinali: assistere il Pontefice nel governo della Chiesa universale. Non vorrei che la curiosità per gli assetti e le strutture della Curia romana facesse passare in secondo piano il senso profondo del gesto compiuto da Papa Francesco.

Ma l’espressione "consigliare" non è troppo indefinita?

Al contrario, il consigliare è un’azione importante, che nella Chiesa è definita teologicamente e trova espressione a molti livelli. Si pensi, per esempio, agli organismi di partecipazione nelle diocesi e nelle parrocchie, o ai consigli dei superiori, provinciali e generali, negli Istituti di vita consacrata. La funzione del consigliare va interpretata in chiave teologica: in un’ottica mondana dovremmo dire che un consiglio senza potere deliberativo è irrilevante, ma ciò significherebbe equiparare la Chiesa a un’azienda. Invece, teologicamente il consigliare ha una funzione di assoluto rilievo: aiutare il superiore nell’opera del discernimento, nel comprendere cioè quello che lo Spirito chiede alla Chiesa in un preciso momento storico. Senza questo riferimento, del resto, non si capirebbe nulla nemmeno del significato autentico dell’azione di governo nella Chiesa.

Che sentimenti prova nel collaborare con Papa Francesco?

Ho potuto collaborare da vicino con Papa Benedetto, ora sto continuando il mio servizio con Papa Francesco. Naturalmente ciascuno ha la propria personalità, il proprio stile, e mi sento davvero un privilegiato per questo stretto contatto con due uomini interamente dediti al bene di tutta la Chiesa, distaccati da se stessi, immersi in Dio e con un’unica passione: far conoscere la bellezza del Vangelo alle donne e agli uomini di oggi.

[SM=g1740733]


PAPA: MONSIGNOR BECCIU FRENA SU IOR E RIFORMA DELLA CURIA
 
Salvatore Izzo
 
(AGI) - CdV, 30 apr.
 
Per il sostituto della Segreteria di Stato, monsignor Giovanni Angelo Becciu, "e' prematuro avanzare qualsiasi ipotesi circa il futuro assetto della Curia Romana".
 Infatti, secondo quanto affermato da Becciu all'Osservatore Romano, "il Papa sta ascoltando tutti" e si riserva di decidere piu' avanti. In particolare, l'arcivescovo sardo ha tenuto a chiarire che "Papa Francesco e' sorpreso per frasi sullo Ior attribuitegli ma mai pronunciate e che travisano il suo pensiero".
  "Il Papa - ha rilevato il numero due della Segreteria di Stato - non ha ancora incontrato il gruppo di consiglieri che si e' scelto e gia' i consigli piovono.

 Dopo avere parlato con il Santo Padre, posso dire che in questo momento e' assolutamente prematuro avanzare qualsiasi ipotesi circa il futuro assetto della Curia. Papa Francesco sta ascoltando tutti, ma in primo luogo vorra' ascoltare chi ha scelto come consiglieri. Successivamente si impostera' un progetto di riforma della Pastor bonus, che ovviamente dovra' percorrere un suo iter".

 Riguardo allo Ior, ha aggiunto il prelato, "l'unico cenno in merito - fatto da Papa Francesco - e' stato durante una breve omelia a Santa Marta, fatta a braccio, in cui ha ricordato in modo appassionato come l'essenza della Chiesa consista in una storia di amore tra Dio e gli uomini, e come le varie strutture umane, tra cui lo Ior, siano meno importanti. Il riferimento e' stato un cenno di battuta, motivato dalla presenza alla messa di alcuni dipendenti dell'Istituto, nel contesto di un serio invito a non perdere mai di vista l'essenzialita' della Chiesa".
 In realta' Becciu stesso ammette di non saper nemmeno prevedere i tempi con i quali Papa Francesco varera' le annunciate riforme.
 "Il Papa - ha spiegato - ha chiesto a tutti noi, responsabili dei dicasteri, di continuare nel nostro servizio, senza pero' voler procedere, per il momento, ad alcuna conferma negli incarichi. Lo stesso vale per i membri delle Congregazioni e dei Pontifici Consigli: il normale ciclo di conferme o nomine, che si verificano alla scadenza dei mandati quinquennali, e' per il momento sospeso, e tutti continuano nel proprio incarico 'sino a nuova disposizione' (donec aliter provideatur).
 Cio' indica la volonta' del Santo Padre di prendere il tempo necessario di riflessione, e di preghiera, non dovremmo dimenticarlo, per avere un quadro approfondito della situazione".
 In ogni caso, il gruppo di lavoro degli otto cardinali anche se ha funzioni solo consultive rappresenta gia' di per se' una profonda innovazione: infatti, ha tenuto a chiarire Becciu, "la funzione del consigliare va interpretata in chiave teologica: in un'ottica mondana dovremmo dire che un consiglio senza potere deliberativo e' irrilevante, ma cio' significherebbe equiparare la Chiesa a un'azienda.

Invece, teologicamente il consigliare ha una funzione di assoluto rilievo: aiutare il superiore nell'opera del discernimento, nel comprendere cioe' quello che lo Spirito chiede alla Chiesa in un preciso momento storico. Senza questo riferimento, del resto, non si capirebbe nulla nemmeno del significato autentico dell'azione di governo nella Chiesa".

 Personalmente, ha poi concluso Becciu, "ho potuto collaborare da vicino con Papa Benedetto, ora sto continuando il mio servizio con Papa Francesco. Naturalmente ciascuno ha la propria personalita', il proprio stile, e mi sento davvero un privilegiato per questo stretto contatto con due uomini interamente dediti al bene di tutta la Chiesa, distaccati da se stessi, immersi in Dio e con un'unica passione: far conoscere la bellezza del Vangelo alle donne e agli uomini di oggi".
 
PAPA: SEMERARO, QUANDO HA CHIAMATO PER NOMINA NON AVEVAMO CAPITO CHI ERA
 
Salvatore Izzo
 

 
"Come fa di solito con le persone che conosce, il Papa ha chiamato direttamente. Ci ha spiazzati tanto che qui in Curia, all'inizio, non si era capito che si trattasse del Papa, pensavamo a qualche sacerdote di nome Francesco".
 A raccontare questo episodio riguardante la sua nomina a segretario del gruppo degli otto cardinali che dovranno consigliare il Pontefice nel governo della Chiesa Universale e nella Riforma della Curia, e' il vescovo di Albano, monsignor Marcello Semeraro, intervistato da Famiglia Cristiana.

 Il presule dunque non si aspettava affatto la nomina, e questo e' gia' un segno del criterio che sta seguendo il nuovo Papa, che sembra voler mettere in pratica le raccomandazioni del suo predecessore contro affarismo e carrierismo degli ecclesiastici. "Avevo letto, nei giorni del Conclave, che i cardinali avevano avanzato la proposta di mettere mano a una riforma della Curia romana. E anche in passato si era parlato di un cambiamento che snellisse la stessa struttura dei Sinodi. Di riprendere forme antiche di consultazione, di persone che consiglino il Papa. Pensavo - ha confidato Semeraro - che si sarebbe fatto qualcosa, ma certo non pensavo di essere chiamato a collaborare".

 Secondo il presule, "nella riforma della Curia non si parte da zero, anche se penso che non vi sia niente di stabilito. Si trattera' di un confronto vero per cercare le forme migliori, per capire come riformulare alcune figure, come includere cose nuove che emergono, come mettere in circolazione e in dialogo quelle gia' esistenti".   Il gruppo non si sostituisce alla Curia e non ne fa parte". "Vorrei sottolineare - ha poi concluso Semeraro -  che il fatto che il Papa abbia scelto cardinali di ogni continente e quasi tutti vescovi residenziali da' l'idea di quanto gli stia a cuore la situazione della Chiesa universale e il contatto stretto con la realta'. Per quanto riguarda poi la revisione della Costituzione Pastor bonus, il gruppo dei cardinali non e' chiamato a prendere decisioni, ma a dare consigli al Papa su come adattare meglio le strutture al mutare dei tempi".
 

[SM=g1740733]

Caterina63
00giovedì 2 maggio 2013 20:32
  LA LEGALIZZAZIONE DELLA “FAMIGLIA” OMOSESSUALE:
SUO VERO SIGNIFICATO E ULTIMO SCOPO
- di Guido Vignelli
da Riscossa Cristiana 27.4.2013


Dalla legalizzazione dei “diritti omosessuali”…

(postiamo anche qui, nella pagina dedicata alle croci che attendono Papa Francesco, perchè anche nella Chiesa ci sono gerarchie e fedeli, in buona fede e non, che aprono alle coppie omosessuali senza rispettare il Vangelo... e ci auguriamo che la voce del Papa arrivi presto)

 

La recente approvazione della nuova legge francese sul “matrimonio” omosessuale (con tanto di adozione dei minori) è un passo grave della rivoluzione sessuale. Ma esso ci facilita il còmpito di svelare il vero significato e la reale portata di questa manovra mondiale, sponsorizzata dalle lobby omosesualiste e favorita dall’Unione Europea con le sue reiterate esortazioni ai Governi nazionali. «Si pretende che la società civile si costruisca non sulla promozione della virtù ma sulla immunità del vizio» come denunciò a suo tempo sant’Agostino d’Ippona (Epistola n. 137, § 20). Si tratta quindi di far sì che il desiderio vizioso di pochissimi venga non solo legalmente riconosciuto come “diritto civile”, ma anche elevato al livello di norma sociale.

Di solito, la questione viene impostata come se tutto si riducesse a sancire i “diritti civili” di quelle che vengono pomposamente definite “persone omosessuali”: persone che avrebbero diritto non solo a convivere, ma anche a sposarsi, a farsi una famiglia, ad adottare bimbi. Questa parificazione della coppia omosessuale alla famiglia naturale sarebbe imposta dalla libertà sessuale, dal riconoscimento delle “differenze” affettive, dall’eguaglianza delle scelte di vita.

In realtà, la questione va ben oltre questa prospettiva minimale. Gli omosessuali realmente esistenti hanno una mentalità edonistica che rifiuta di assumersi impegni stabili e responsabilità per il futuro; rifiutando il coniugio, la famiglia e la procreazione, essi quindi non pretendono di “sposarsi” fra loro, né di formarsi una “famiglia”, né di avere figli. Lo dimostra un fatto notorio: sono state pochissime le coppie omosessuali che si sono inscritte nei “registri di convivenza” da anni istituiti in molti comuni (anche italiani), e ancor meno quelle che si sono “sposate” in comune – a parte poche note personalità del mondo della politica e dello spettacolo, che l’hanno fatto con intento propagandistico.

Tuttavia, la manovra in corso non è promossa dai concreti omosessuali, ma dalle lobby omosessualiste, il cui scopo vero e ultimo è ben diverso e più grave di quello apparente e immediato. Con lucidità e determinazione degne di maggior causa, queste lobby tentano di fare un salto di qualità alla rivoluzione sessuale, promuovendo una nuova concezione della sessualità, del matrimonio e della famiglia: una concezione “pluralistica” che includa, legittimi e parifichi tutte le possibili varietà di “tendenza sessuale”, di “legame affettivo” e di convivenza.

 

…alla dissoluzione della sessualità in sé

 

Sebbene lo scopo immediato di questa parificazione egualitaria consista certamente nel favorire una sessualità disordinata, lo scopo finale consiste però nel sopprimere l’istinto sessuale stesso. La cosa non deve meravigliare. Bisogna ricordarsi che, per dissolvere una realtà naturale, qual è la sessualità, la rivoluzione può percorrere due vie, apparentemente opposte, che però producono lo stesso risultato fnale. La prima via consiste nell’impedire l’esercizio di quella realtà; ma è cosa assai difficile e rischiosa, perché può provocare forti reazioni contrarie. La seconda via consiste nel far sì che quella realtà si sviluppi in modo “autonomo”, ossia fuori della propria natura, legge e finalità, in modo disordinato e anarchico, alla maniera delle cellule cancerogene che, proliferando in modo caotico, alla fine muoiono assieme al corpo che corrodono; questa seconda via è più graduale ma meno rischiosa.

L’ideologia e la pratica rivoluzionarie pretendono di sopprimere la sessualità reale sostituendola con una nuova, “libera e autonoma”, ossia senza natura, legge e scopo, dunque arbitraria, volubile e violenta. In questa prospettiva, la maniera migliore per dissolvere la sessualità reale consiste innanzitutto nell’isolarla, separandola non solo dalla procreazione, ma anche dal corpo; infatti l’identità sessuale corporea, maschile o femminile, essendo predeterminata dalla natura (ossia da Dio suo creatore), impedisce la libera scelta soggettiva della “tendenza sessuale” e la libera pratica della vita affettiva. Successivamente, la sessualità così isolata va “pluralizzata”, ossia bisogna sostituire la differenza sessuale (maschile-femminile) con il neutro gender perverso-polimorfo, che ovviamente include anche quella pretesa sessualità infantile che giustifica la pedofilia. In fondo, anche questo è un esempio di “pluralismo democratico” e di “laicità inclusiva” secondo la quale “nessuno deve sentirsi escluso”!

In questo modo, la reale vita sessuale viene sostituita da un’irreale attività sensuale che non ha più nulla a che fare, non solo con la procreazione, ma nemmeno con l’unione affettiva dei sessi. E così, dopo aver sostituito il matrimonio cristiano con quello civile, questo viene sostituito dalla mera convivenza sessuale, e infine anche questa viene sostituita dalla “libera affettività” asessuale. Alla fine di questo processo, non esisterà più nessuna più differenza (anche legale) tra la convivenza tra un maschio e una femmina, e quella tra un essere umano e un cane o un melone o una bambola di gomma, come pretendono recenti saggi sull’erotismo umano per il mondo animale o vegetale o minerale o sintetico.

Tutto questo fu ammesso, fin dal 1976, da Angelo Pezzana, fondatore del primo movimento omosessualista italiano (il F.U.O.R.I.). Egli infatti dichiarò esplicitamente che la rivoluzione sessuale ha per scopo il «far scomparire al più presto le differenze tra “uomo” e “donna”» per far spazio al “trasformismo sessuale”, ossia a una sessualità amorfa, precaria e volubile [cfr. E. Cevro Vukotic, Vivere a sinistra: una inchiesta, Arcana, Roma 1976, pp. 155-160]. Se dunque la prima tappa di questo processo consiste nel promuovere l’omosessualità, la seconda mira ad annullare anche l’ìdentità omosessuale nel caos neutrale del gender “perverso-polimorfo”. L’omosessualismo militante opera non tanto per proporre una “diversa” sessualità, quanto per dissolvere la sessualità in sé. Detto nei vecchi termini socialisti: “il fine è nulla, il movimento è tutto” (Eduard Bernstein).

Il che ci conferma l’ispirazione gnostica di questa manovra. Se la gnosi odia tutto ciò che è realtà creata e quindi tenta di sopprimerla disordinandola e sovvertendola, la rivoluzione sessuale tenta di sopprimere la reale sessualità umana sostituendola con una fittizia sensualità asessuata.

 

Le conseguenze della manovra francese

 

A proposito del dibattito finora avvenuto in Francia, il prof. Jean Laffitte, noto studioso cattolico della famiglia, ha notato che ormai «alcuni pensano che il dibattito sia chiuso, semplicemente perché c’è una legge»; pertanto «la legge influenzerà probabilmente i costumi» [Avvenire, 25-4-2013]. E’ appunto ciò che spera la lobby omosessualista. Il riconoscimento giuridico della “famiglia” omosessuale mira ad avviare una mutazione dapprima della mentalità e poi anche dei costumi delle prossime generazioni, in modo che queste subiscano una graduale e quindi inavvertita rivoluzione antropologica. Cambiando la concezione del matrimonio, della procreazione e della famiglia, infatti, è la concezione stessa dell’uomo che cambia nella sua radice non solo psicologica ma anche biologica; in tal modo, le abitudini perverse socialmente giustificate e favorite impongono all’uomo una “seconda natura” artificiale che tende a corrompere quella reale.

La manovra omosessualista mira anche a far sì che la legalizzazione delle varie forme di convivenza non si limiti a liberalizzarle ma giunga a vietare ogni forma di dissidenza e di opposizione alle conseguenze culturali e sociali della manovra stessa. In un primo momento, chi non accetta la “famiglia” omosessuale potrà forse avvalersi del diritto alla obiezione di coscienza; ma poi questa posizione di difesa in retroguardia verrà incalzata e sconfitta dalla spinta propulsiva pansessualistica implicita nel nuovo diritto di famiglia. Questo infatti, prima o poi, imporrà a tutti – magistrati, sindaci, parroci, insegnanti, giornalisti, genitori – di rispettare non solo le leggi approvate, ma anche l’ideologia rivoluzionaria ad esse sottintese, con divieto di criticarla e di opporvisi; del resto, il dogma “vietato vietare” esige come paradossale corollario il dogma “nessuna tolleranza per gl’intolleranti”.

E così, alla fine, la stessa concezione naturale della famiglia verrà gradualmente estinta nelle coscienze del popolo ingannato e sedotto dalla propaganda della “famiglia per tutti”. La marxistica e freudiana utopia del soddisfacimento di tutti i bisogni e desideri si sarà rovesciata nell’estinzione dell’istinto sessuale e della convivenza sessuata.

 

Impareranno gl’Italiani dalla lezione francese?

 

In conclusione, mi permetto una osservazione amara. Nei mesi passati, ho letto con piacere le dichiarazioni fatte da autorevoli esponenti dell’episcopato e della Destra francese contro la legge omosessualista discussa nel Parlamento; ho visto con sollievo le belle manifestazioni popolari francesi di protesta tese a dimostrare che “pas tout le monde a marché”, come si dice da quelle parti; ho appreso dalle ultime indagini statistiche che la maggioranza dei francesi è contraria alla “famiglia” omosessuale, almeno nella sua pretesa di adottare bimbi.

Tuttavia non posso fare a meno di pormi le seguenti domande. Pochi anni fa, quando i Governi e i Parlamenti francesi stavano per approvare i ben noti PACS, ponendo così le premesse per l’attuale legge omosessualista, dov’erano quelle personalità indignate e quelle folle contestatrici? E pochi mesi fa, quando le votazioni elettorali minacciavano di assicurare una maggioranza parlamentare, un Governo e un Presidente della Repubblica “progressisti”, permettendo così l’attuale approvazione della suddetta legge, cosa facevano quelle personalità e quelle folle? Risulta infatti che, pur essendo contrari alla rivoluzione sessuale programmata ufficialmente dalla sinistra, molti francesi si sono astenuti dal voto, permettendo così alla sinistra di vincere le elezioni e conquistare il potere; risulta anzi che perfino molti politici ed elettori benpensanti, pur di danneggiare l’odiato candidato centrista o destrorso, hanno preferito dividersi e combattersi, facendo così vincere la coalizione di sinistra. Ma allora mi domando: non sarebbe stato forse molto più facile ed efficace impedire prima la vittoria di quelle leggi o di quelle autorità omosessualiste, piuttosto che dover poi scendere in piazza per protestare contro le loro conseguenze?

Spero che quanto accaduto in Francia serva di lezione per noi Italiani. Ben presto, infatti, le lobby omosessualiste e “l’Europa che ci guarda” tenteranno di costituire nel nostro Parlamento un fronte trasversale che ripeta la riuscita manovra francese. Allora bisognerà stare ben attenti alle manovre compromissorie e smobilitatrici! Alcuni s’illudono che l’approvazione preventiva di una legge “moderata”, ossia che estenda alle convivenze (anche omosessuali) alcuni diritti civili spettanti solo alla famiglia, possa evitare la temuta approvazione di una legge “estremista”, ossia che parifichi alla famiglia la convivenza omosessuale (con diritto ad adottare). In realtà, così facendo si porrebbero le premesse della finale sconfitta della famiglia. Innanzitutto, quella eventuale norma “moderata” non sarebbe una “legge imperfetta”, come oggi pretendono perfino autorevoli teologi moralisti, ma sarebbe una legge ingiusta, moralmente illecita, contraria sia al diritto naturale che a quello cristiano. Inoltre, essa avvierebbe una nuova fase della graduale e indolore sovversione del diritto di famiglia, spingendo i politici a varare prima o poi proprio quella legge “estremista” che ci s’illudeva di evitare – appunto com’è già accaduto in Francia.

Ripeto: spero che la lezione francese serva agl’Italiani e confido nel loro atavico buon senso. Ma se considero che personalità culturali, politiche e perfino ecclesiastiche, hanno recentemente rilasciato dichiarazioni possibiliste in favore di un “moderato” riconoscimento dei “diritti civili omosessuali”, allora tendo a confidare piuttosto nella misericordia divina verso la nostra misera Patria.

Caterina63
00mercoledì 15 maggio 2013 23:53

[SM=g1740758] Papa Francesco, l’orgoglio mal riposto del cattoprogressismo

Papa Francesco (Jorge Mario Bergoglio) è dal 13 marzo 2013 il 266º successore di Pietro e Vicario di Cristo in terra.

Papa Francesco (Jorge Mario Bergoglio) è, dal 13 marzo 2013, il 266º successore di Pietro e Vicario di Cristo in terra.

Don Andrea Gallo, il prete comunista genovese – il quale si augurava che il successore di Benedetto XVI fosse omosessuale – il giorno dopo l’elezione al trono di Pietro del cardinale argentino Jorge Mario Bergoglio, disse durante un’intervista, molto compiaciuto: “Sicuramente molti sono tornati nelle loro case con le pive nel sacco”. Effettivamente i catto-progressisti hanno accolto con molta soddisfazione l’elezione di Francesco I.

Non indossare una mozzetta, usare un pettorale e un anello d’argento – durante la Santa Messa anche papa Francesco usa un anello placato in oro, perché a Dio non puoi che darGli ciò che è più prezioso – indossare scarpe nere, decidere di abitare nella residenza di Santa Marta, etc… sono tutti dettagli che riguardano lo stile personale di papa Bergoglio, ma non hanno niente a che vedere con la natura del papato. Anzi, Bergoglio, caratterialmente, è molto più autoritario di Ratzinger, ma questo è un altro discorso.

Papa Francesco non è un oratore come Giovanni Paolo II, né un teologo come Benedetto XVI, ma è sicuramente un ottimo catechista – tipo Giovanni Paolo I – e il suo magistero è perfettamente in continuità con i suoi predecessori. Analizziamo insieme le sue parole.

LA CHIESA NON È UNA ONG. LA SUA MISSIONE È CONFESSARE IL CRISTO CROCIFISSO

«Noi possiamo camminare quanto vogliamo, noi possiamo edificare tante cose, ma se non confessiamo Gesù Cristo, la cosa non va. Diventeremo una ONG assistenziale, ma non la Chiesa, Sposa del Signore. Quando non si cammina, ci si ferma. Quando non si edifica sulle pietre cosa succede? Succede quello che succede ai bambini sulla spiaggia quando fanno dei palazzi di sabbia, tutto viene giù, è senza consistenza. Quando non si confessa Gesù Cristo, mi sovviene la frase di Léon Bloy: “Chi non prega il Signore, prega il diavolo”. Quando non si confessa Gesù Cristo, si confessa la mondanità del diavolo, la mondanità del demonio. [...] Io vorrei che tutti, dopo questi giorni di grazia, abbiamo il coraggio, proprio il coraggio, di camminare in presenza del Signore, con la Croce del Signore; di edificare la Chiesa sul sangue del Signore, che è versato sulla Croce; e di confessare l’unica gloria: Cristo Crocifisso. E così la Chiesa andrà avanti.» (Santa Messa con i cardinali per la chiusura del Conclave, 14 marzo 2013)

LA GLORIA DI CRISTO RE È LA CROCE NON L’ACCLAMAZIONE DEL MONDO

«Perché Gesù entra in Gerusalemme, o forse meglio: come entra Gesù in Gerusalemme? La folla lo acclama come Re. E Lui non si oppone, non la fa tacere. Ma che tipo di Re è Gesù? Guardiamolo: cavalca un puledro, non ha una corte che lo segue, non è circondato da un esercito simbolo di forza. Chi lo accoglie è gente umile, semplice, che ha il senso di guardare in Gesù qualcosa di più; ha quel senso della fede, che dice: Questo è il Salvatore. Gesù non entra nella Città Santa per ricevere gli onori riservati ai re terreni, a chi ha potere, a chi domina; entra per essere flagellato, insultato e oltraggiato, come preannuncia Isaia nella Prima Lettura; entra per ricevere una corona di spine, un bastone, un mantello di porpora, la sua regalità sarà oggetto di derisione; entra per salire il Calvario carico di un legno. E allora ecco la seconda parola: Croce. Gesù entra a Gerusalemme per morire sulla Croce. Ed è proprio qui che splende il suo essere Re secondo Dio: il suo trono regale è il legno della Croce! Penso a quello che Benedetto XVI diceva ai Cardinali: “Voi siete principi, ma di un Re crocifisso”. Quello è il trono di Gesù. Gesù prende su di sé… Perché la Croce? Perché Gesù prende su di sé il male, la sporcizia, il peccato del mondo, anche il nostro peccato, di tutti noi, e lo lava, lo lava con il suo sangue, con la misericordia, con l’amore di Dio. Guardiamoci intorno: quante ferite il male infligge all’umanità! Guerre, violenze, conflitti economici che colpiscono chi è più debole, sete di denaro, che poi nessuno può portare con sé, deve lasciarlo. Mia nonna diceva a noi bambini: il sudario non ha tasche. Amore al denaro, potere, corruzione, divisioni, crimini contro la vita umana e contro il creato! E anche – ciascuno di noi lo sa e lo conosce – i nostri peccati personali: le mancanze di amore e di rispetto verso Dio, verso il prossimo e verso l’intera creazione. E Gesù sulla croce sente tutto il peso del male e con la forza dell’amore di Dio lo vince, lo sconfigge nella sua risurrezione. Questo è il bene che Gesù fa a tutti noi sul trono della Croce. La croce di Cristo abbracciata con amore mai porta alla tristezza, ma alla gioia, alla gioia di essere salvati e di fare un pochettino quello che ha fatto Lui quel giorno della sua morte.» (Domenica delle Palme, 24 marzo 2013)

LA CHIESA È SOTTOMESSA A DIO NON AL MONDO

«Al comando di tacere, di non insegnare più nel nome di Gesù, di non annunciare più il suo Messaggio, Pietro egli Apostoli rispondono con chiarezza: “Bisogna obbedire a Dio, invece che agli uomini”. E non li ferma nemmeno l’essere flagellati, il subire oltraggi, il venire incarcerati. Pietro e gli Apostoli annunciano con coraggio, con parrasia quello che hanno ricevuto, il Vangelo di Gesù. E noi? Siamo capaci di portare la Parola di Dio nei nostri ambienti di vita? Sappiamo parlare di Cristo, di ciò che rappresenta per noi, in famiglia, con le persone che fanno parte della nostra vita quotidiana? La fede nasce dall’ascolto, e si rafforza nell’annuncio.» (III Domenica di Pasqua, 14 aprile 2013)

IL SACERDOTE, MINISTRO DI DIO E NON FUNZIONARIO SOCIO-RELIGIOSO

«Come voi ben sapete il Signore Gesù è il solo Sommo Sacerdote del Nuovo Testamento, ma in Lui anche tutto il popolo santo di Dio è stato costituito popolo sacerdotale. Nondimeno, tra tutti i suoi discepoli, il Signore Gesù vuole sceglierne alcuni in particolare, perché esercitando pubblicamente nella Chiesa in suo nome l’officio sacerdotale a favore di tutti gli uomini, continuassero la sua personale missione di maestro, sacerdote e pastore. Come, infatti, per questo Egli era stato inviato dal Padre, così Egli inviò a sua volta nel mondo prima gli Apostoli e poi i Vescovi e i loro successori, ai quali infine furono dati come collaboratori i presbiteri, che, ad essi uniti nel ministero sacerdotale, sono chiamati al servizio del Popolo di Dio. [...] Quanto a voi, fratelli e figli direttissimi, che state per essere promossi all’ordine del presbiterato, considerate che esercitando il ministero della Sacra Dottrina sarete partecipi della missione di Cristo, unico Maestro. Dispensate a tutti quella Parola di Dio, che voi stessi avete ricevuto con gioia. Ricordate le vostre mamme, le vostre nonne, i vostri catechisti, che vi hanno dato la Parola di Dio, la fede…. il dono della fede! Vi hanno trasmesso questo dono della fede. Leggete e meditate assiduamente la Parola del Signore per credere ciò che avete letto, insegnare ciò che avete appreso nella fede, vivere ciò che avete insegnato. Ricordate anche che la Parola di Dio non è proprietà vostra: è Parola di Dio. E la Chiesa è la custode della Parola di Dio. [...] Consapevoli di essere stati scelti fra gli uomini e costituiti in loro favore per attendere alle cose di Dio, esercitate in letizia e carità sincera l’opera sacerdotale di Cristo, unicamente intenti a piacere a Dio e non a voi stessi. Siete Pastori, non funzionari. Siete mediatori, non intermediari.» (IV Domenica di Pasqua, consacrazione di 10 nuovi sacerdoti, 21 Aprile 2013)

IL CRISTIANO È COLUI CHE SI MANTIENE FEDELE A CRISTO ANCHE A COSTO DELLA VITA

«Oggi la Chiesa propone alla nostra venerazione una schiera di martiri [gli 800 martiri di Otranto], che furono chiamati insieme alla suprema testimonianza del Vangelo, nel 1480. Circa ottocento persone, sopravvissute all’assedio e all’invasione di Otranto, furono decapitate nei pressi di quella città. Si rifiutarono di rinnegare la propria fede e morirono confessando Cristo risorto. Dove trovarono la forza per rimanere fedeli? Proprio nella fede, che fa vedere oltre i limiti del nostro sguardo umano, oltre il confine della vita terrena, fa contemplare «i cieli aperti» – come dice santo Stefano – e il Cristo vivo alla destra del Padre. Cari amici, conserviamo la fede che abbiamo ricevuto e che è il nostro vero tesoro, rinnoviamo la nostra fedeltà al Signore, anche in mezzo agli ostacoli e alle incomprensioni; Dio non ci farà mai mancare forza e serenità. [...] Fedeltà a Cristo e al suo Vangelo, per annunciarlo con la parola e con la vita, testimoniando l’amore di Dio con il nostro amore, con la nostra carità verso tutti: sono luminosi esempi ed insegnamenti che ci offrono i Santi proclamati oggi, ma che suscitano anche domande alla nostra vita cristiana: Come io sono fedele a Cristo? Portiamo con noi questa domanda, per pensarla durante la giornata: come io sono fedele a Cristo? Sono capace di “far vedere” la mia fede con rispetto, ma anche con coraggio? Sono attento agli altri, mi accorgo di chi è nel bisogno, vedo in tutti fratelli e sorelle da amare? Chiediamo, per intercessione della Beata Vergine Maria e dei nuovi Santi, che il Signore riempia la nostra vita con la gioia del suo amore.» (VII Domenica di Pasqua, canonizzazione di alcuni beati, 12 maggio 2013)

L’EMBRIONE È UNO DI NOI. LA VITA SIA DIFESA SIN DAL CONCEPIMENTO

«Saluto i partecipanti alla “Marcia per la vita” che ha avuto luogo questa mattina a Roma e invito a mantenere viva l’attenzione di tutti sul tema così importante del rispetto per la vita umana sin dal momento del suo concepimento. A questo proposito, mi piace ricordare anche la raccolta di firme che oggi si tiene in molte parrocchie italiane, al fine di sostenere l’iniziativa europea “Uno di noi”, per garantire protezione giuridica all’embrione, tutelando ogni essere umano sin dal primo istante della sua esistenza. Un momento speciale per coloro che hanno a cuore la difesa della sacralità della vita umana sarà la “Giornata dell’Evangelium Vitae”, che avrà luogo qui in Vaticano, nel contesto dell’Anno della fede, il 15 e 16 giugno prossimo.» (VII Domenica di Pasqua, Regina Coeli, 12 maggio 2013)

SENZA IL CRISTO RISORTO, VANA È LA NOSTRA FEDE. TUTTI I CATTOLICI LO DEVONO PROFESSARE

«L’Apostolo afferma: “Se Cristo non è risorto, vana è la vostra fede e voi siete ancora nei vostri peccati”. Purtroppo, spesso si è cercato di oscurare la fede nella Risurrezione di Gesù, e anche fra gli stessi credenti si sono insinuati dubbi. Un po’ quella fede “all’acqua di rose”, come diciamo noi; non è la fede forte. E questo per superficialità, a volte per indifferenza, occupati da mille cose che si ritengono più importanti della fede, oppure per una visione solo orizzontale della vita. Ma è proprio la Risurrezione che ci apre alla speranza più grande, perché apre la nostra vita e la vita del mondo al futuro eterno di Dio, alla felicità piena, alla certezza che il male, il peccato, la morte possono essere vinti. E questo porta a vivere con più fiducia le realtà quotidiane, affrontarle con coraggio e con impegno. La Risurrezione di Cristo illumina con una luce nuova queste realtà quotidiane. La Risurrezione di Cristo è la nostra forza! [...] Dopo le apparizioni alle donne, ne seguono altre: Gesù si rende presente in modo nuovo: è il Crocifisso, ma il suo corpo è glorioso; non è tornato alla vita terrena, bensì in una condizione nuova. All’inizio non lo riconoscono, e solo attraverso le sue parole e i suoi gesti gli occhi si aprono: l’incontro con il Risorto trasforma, dà una nuova forza alla fede, un fondamento incrollabile. Anche per noi ci sono tanti segni in cui il Risorto si fa riconoscere: la Sacra Scrittura, l’Eucaristia, gli altri Sacramenti, la carità, quei gesti di amore che portano un raggio del Risorto. Lasciamoci illuminare dalla Risurrezione di Cristo, lasciamoci trasformare dalla sua forza, perché anche attraverso di noi nel mondo i segni di morte lascino il posto ai segni di vita.» (Catechesi del Mercoledì, 3 aprile 2013)

IL CATTOLICO NON PUÒ VIVERE SENZA SACRAMENTI. RINNEGARE NOI STESSI PER SEGUIRE CRISTO. EGLI SOLO CI LIBERA DAL PECCATO.

«L’Apostolo ci dice che con la Risurrezione di Gesù qualcosa di assolutamente nuovo avviene: siamo liberati dalla schiavitù del peccato e diventiamo figli di Dio, siamo generati cioè ad una vita nuova. Quando si realizza questo per noi? Nel Sacramento del Battesimo. In antico, esso si riceveva normalmente per immersione. Colui che doveva essere battezzato scendeva nella grande vasca del Battistero, lasciando i suoi vestiti, e il Vescovo o il Presbitero gli versava per tre volte l’acqua sul capo, battezzandolo nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. [...] Tuttavia, questa relazione filiale con Dio non è come un tesoro che conserviamo in un angolo della nostra vita, ma deve crescere, dev’essere alimentata ogni giorno con l’ascolto della Parola di Dio, la preghiera, la partecipazione ai Sacramenti, specialmente della Penitenza e dell’Eucaristia, e la carità. Noi possiamo vivere da figli! E questa è la nostra dignità – noi abbiamo la dignità di figli -. Comportarci come veri figli! Questo vuol dire che ogni giorno dobbiamo lasciare che Cristo ci trasformi e ci renda come Lui; vuol dire cercare di vivere da cristiani, cercare di seguirlo, anche se vediamo i nostri limiti e le nostre debolezze. La tentazione di lasciare Dio da parte per mettere al centro noi stessi è sempre alle porte e l’esperienza del peccato ferisce la nostra vita cristiana, il nostro essere figli di Dio. [...] Non dobbiamo dimenticare: Dio sempre è fedele; Dio sempre è fedele con noi. Essere risorti con Cristo mediante il Battesimo, con il dono della fede, per un’eredità che non si corrompe, ci porti a cercare maggiormente le cose di Dio, a pensare di più a Lui, a pregarlo di più. Essere cristiani non si riduce a seguire dei comandi, ma vuol dire essere in Cristo, pensare come Lui, agire come Lui, amare come Lui; è lasciare che Lui prenda possesso della nostra vita e la cambi, la trasformi, la liberi dalle tenebre del male e del peccato.» (Catechesi del Mercoledì, 10 aprile 2013)

LO SPIRITO SANTO, DONO DEL CRISTO RISORTO, GUIDA LA CHIESA

«Ma chi è lo Spirito Santo? Nel Credo noi professiamo con fede: “Credo nello Spirito Santo che è Signore e dà la vita”. La prima verità a cui aderiamo nel Credo è che lo Spirito Santo è Kýrios, Signore. Ciò significa che Egli è veramente Dio come lo sono il Padre e il Figlio, oggetto, da parte nostra, dello stesso atto di adorazione e di glorificazione che rivolgiamo al Padre e al Figlio. Lo Spirito Santo, infatti, è la terza Persona della Santissima Trinità; è il grande dono del Cristo Risorto che apre la nostra mente e il nostro cuore alla fede in Gesù come il Figlio inviato dal Padre e che ci guida all’amicizia, alla comunione con Dio.» (Catechesi del Mercoledì, 8 maggio 2013)

NO AL RELATIVISMO. LA PERSONA DI CRISTO GESÙ È LA VERITÀ

«Viviamo in un’epoca in cui si è piuttosto scettici nei confronti della verità. Benedetto XVI ha parlato molte volte di relativismo, della tendenza cioè a ritenere che non ci sia nulla di definitivo e a pensare che la verità venga data dal consenso o da quello che noi vogliamo. Sorge la domanda: esiste veramente “la” verità? Che cos’è “la” verità? Possiamo conoscerla? Possiamo trovarla? Qui mi viene in mente la domanda del Procuratore romano Ponzio Pilato quando Gesù gli rivela il senso profondo della sua missione: “Che cos’è la verità?” (Gv 18,37.38). Pilato non riesce a capire che “la” Verità è davanti a lui, non riesce a vedere in Gesù il volto della verità, che è il volto di Dio. Eppure, Gesù è proprio questo: la Verità, che, nella pienezza dei tempi, “si è fatta carne” (Gv 1,1.14), è venuta in mezzo a noi perché noi la conoscessimo. La verità non si afferra come una cosa, la verità si incontra. Non è un possesso, è un incontro con una Persona.» (Catechesi del Mercoledì, 15 maggio 2013)

LA FEDE NON SI NEGOZIA

Il Pontefice pone questa domanda: “Come va, la nostra fede? E’ forte? O alle volte è un po’ all’acqua di rose?”. Quando arrivano delle difficoltà “siamo coraggiosi come Pietro o un po’ tiepidi?”. Pietro – ha osservato – non ha taciuto la fede, non è sceso a compromessi, perché “la fede non si negozia”. Sempre – ha affermato il Papa – “c’è stata, nella storia del popolo di Dio, questa tentazione: tagliare un pezzo alla fede”, la tentazione di essere un po’ “come fanno tutti”, quella di “non essere tanto, tanto rigidi”. “Ma quando incominciamo a tagliare la fede, a negoziare la fede, un po’ a venderla al migliore offerente – ha sottolineato – incominciamo la strada dell’apostasia, della non-fedeltà al Signore”. (Santa Messa del 6 aprile 2013)

IL CATTOLICO OBBEDISCE A DIO E NON SEGUE IL MONDO

“Obbedire a Dio – ha affermato il Papa – è ascoltare Dio, avere il cuore aperto per andare sulla strada che Dio ci indica. L’obbedienza a Dio è ascoltare Dio. E questo ci rende liberi”. Obbedire al Signore significa ascoltare la sua voce, come ha fatto Pietro, che, rivolgendosi ai farisei e agli scribi, ha detto: “Io faccio quello che mi dice Gesù, non quello che voi volete che io faccia”. “Nella nostra vita – ha aggiunto Papa Francesco – sentiamo anche cose che non vengono da Gesù, che non vengono da Dio”. “Le nostre debolezze, a volte, ci portano su quella strada” o in un altro percorso – ha aggiunto – che prevede un duplice orientamento, una sorta di “doppia vita”, alimentata da “quello che ci dice Gesù” e da “quello che ci indica il mondo”. Ma cosa succede – ha chiesto il Pontefice – quando ascoltiamo Gesù? A volte quelli che fanno l’altra proposta, legata alle cose del mondo, “si infuriano” e la strada finisce nella persecuzione. Molti ascoltano quello che Gesù chiede loro, tanti sono perseguitati. Molti con la loro vita testimoniano la volontà di obbedire a Dio, di percorrere la strada che Gesù indica loro. È questa la meta – ha spiegato Papa Francesco – alla quale oggi la Chiesa ci esorta con questa Liturgia: “Andare per la strada di Gesù”. Si tratta di non sentire le proposte del mondo, “proposte di peccato” o di compromesso che ci allontanano dal Signore. “Questo non ci renderà felici”. Ma dobbiamo essere coraggiosi in questo, chiedere “la grazia del coraggio”, il coraggio di dire: “Signore, sono peccatore, alle volte obbedisco a cose mondane ma voglio obbedire a Te, voglio andare per la Tua strada”. (Omelia del 11 aprile 2013)

NOI CREDIAMO IN UN DIO PERSONA, NON IN UN “DIO SPRAY”

“Un ‘dio diffuso’, un ‘dio-spray’, che è un po’ dappertutto ma non si sa cosa sia. Noi crediamo in Dio che è Padre, che è Figlio, che è Spirito Santo. Noi crediamo in Persone, e quando parliamo con Dio parliamo con Persone: o parlo con il Padre, o parlo con il Figlio, o parlo con lo Spirito Santo. E questa è la fede”. Nel brano del Vangelo, Gesù afferma pure che nessuno può venire a Lui “se non lo attira il Padre”. Queste parole, afferma Papa Francesco, dimostrano che “andare da Gesù, trovare Gesù, conoscere Gesù è un dono” che Dio elargisce. Un dono, spiega, che vede protagonista il funzionario della regina d’Etiopia descritto nella lettura degli Atti, al quale Cristo invia Filippo a chiarirgli l’Antico Testamento alla luce della Risurrezione. Quel funzionario – osserva Papa Francesco – non era “un uomo comune” ma un ministro reale dell’economia e per questo, aggiunge, “possiamo pensare che sia stato un po’ attaccato ai soldi”, “un carrierista”. Eppure, constata il Papa, quando questo individuo ascolta Filippo parlargli di Gesù “sente che è una buona notizia”, “sente gioia”, al punto da farsi battezzare nel primo luogo dove trova dell’acqua: “Chi ha la fede ha la vita eterna, ha la vita. Ma la fede è un dono, è il Padre che ce la dà. Noi dobbiamo continuare questo cammino. Ma se andiamo su questa strada, sempre con le cose nostre – perché peccatori siamo tutti e noi abbiamo sempre alcune cose che non vanno, ma il Signore ci perdona se gli chiediamo perdono, e avanti sempre, senza scoraggiarci – ma su quella strada ci succederà lo stesso che a questo ministro dell’economia”. Succederà, conclude Papa Francesco, ciò che gli Atti degli Apostoli riferiscono di quel funzionario dopo aver scoperto la fede: “E pieno di gioia proseguiva la sua strada”: “E’ la gioia della fede, la gioia di aver incontrato Gesù, la gioia che soltanto ci dà Gesù, la gioia che dà pace: non quella che dà il mondo, quella che dà Gesù. Questa è la nostra fede. Chiediamo al Signore che ci faccia crescere in questa fede, questa fede che ci fa forti, ci fa gioiosi, questa fede che incomincia sempre con l’incontro con Gesù e prosegue sempre nella vita con i piccoli incontri quotidiani con Gesù”. (Omelia del 17 aprile 2013)

ALLA CHIESA NON SERVONO MORALISMI E IDEOLOGIE PERCHÉ HA IL VANGELO

Paolo e Ananìa rispondono come i grandi della storia della salvezza, come Geremia, Isaia. Anche Mosé ha avuto le sue difficoltà: ‘Ma, Signore, io non so parlare, come andrò dagli egiziani a dire questo?’. E Maria: ‘Ma, Signore, io non sono sposata!’. E’ la risposta dell’umiltà, di colui che accoglie la Parola di Dio con il cuore. Invece, i dottori rispondono soltanto con la testa. Non sanno che la Parola di Dio va al cuore, non sanno di conversione”. Il Papa spiega chi sono quelli che rispondono solo con la testa: “Sono i grandi ideologi. La Parola di Gesù va al cuore perché è Parola d’amore, è parola bella e porta l’amore, ci fa amare. Questi tagliano la strada dell’amore: gli ideologi. E anche quella della bellezza. E si misero a discutere aspramente tra loro: ‘Come può costui darci la sua carne da mangiare?’. Tutto un problema di intelletto! E quando entra l’ideologia, nella Chiesa, quando entra l’ideologia nell’intelligenza del Vangelo, non si capisce nulla”. Sono quelli che camminano solo “sulla strada del dovere”: è il moralismo di quanti pretendono realizzare del Vangelo solo quello che capiscono con la testa. Non sono “sulla strada della conversione, quella conversione a cui ci invita Gesù”: “E questi, sulla strada del dovere, caricano tutto sulle spalle dei fedeli. Gli ideologi falsificano il Vangelo. Ogni interpretazione ideologica, da qualsiasi parte venga – da una parte e dall’altra – è una falsificazione del Vangelo. E questi ideologi – l’abbiamo visto nella storia della Chiesa – finiscono per essere, diventano, intellettuali senza talento, eticisti senza bontà. E di bellezza non parliamo, perché non capiscono nulla”. “Invece, la strada dell’amore, la strada del Vangelo – ricorda il Papa – è semplice: è quella strada che hanno capito i Santi”: “I Santi sono quelli che portano la Chiesa avanti! La strada della conversione, la strada dell’umiltà, dell’amore, del cuore, la strada della bellezza … Preghiamo oggi il Signore per la Chiesa: che il Signore la liberi da qualsiasi interpretazione ideologica e apra il cuore della Chiesa, della nostra Madre Chiesa, al Vangelo semplice, a quel Vangelo puro che ci parla di amore, che porta l’amore ed è tanto bello! E anche ci fa belli, a noi, con la bellezza della santità. Preghiamo oggi per la Chiesa!”. (Omelia del 19 aprile 2013)

FALSA E VERA CHIESA

La prima comunità cristiana, dopo la persecuzione, vive un momento di pace, si consolida, cammina e cresce “nel timore del Signore e con il conforto dello Spirito Santo”: il Papa commenta la lettura degli Atti degli Apostoli.
E’ questa l’aria stessa in cui vive e respira la Chiesa, chiamata a camminare alla presenza di Dio e in modo irreprensibile: “E’ uno stile della Chiesa. Camminare nel timore del Signore è un po’ il senso dell’adorazione, la presenza di Dio, no? La Chiesa cammina così e quando siamo in presenza di Dio non facciamo cose brutte né prendiamo decisioni brutte. Siamo davanti a Dio. Anche con la gioia e la felicità: questo è il conforto dello Spirito Santo, cioè il dono che il Signore ci ha dato – questo conforto – che ci fa andare avanti”. Nel Vangelo proposto dalla liturgia del giorno molti discepoli ritengono duro il linguaggio di Gesù, mormorano, si scandalizzano e alla fine lasciano il Maestro: “Questi si sono allontanati, se ne sono andati, perché dicevano ‘quest’uomo è un po’ speciale, dice delle cose che sono dure e noi non possiamo… E’ un rischio troppo grande andare su questa strada. Abbiamo buon senso, eh? Andiamo un po’ indietro e non tanto vicino a Lui’. Questi, forse, avevano una certa ammirazione per Gesù, ma un po’ da lontano: non immischiarsi troppo con questo uomo, perché dice delle cose un po’ strane…”. Questi cristiani – afferma il Papa – “non si consolidano nella Chiesa, non camminano alla presenza di Dio, non hanno il conforto dello Spirito Santo, non fanno crescere la Chiesa”: “Sono cristiani di buon senso, soltanto: prendono le distanze. Cristiani – per così dire – ‘satelliti’, che hanno una piccola Chiesa, a propria misura: per dirlo proprio con le parole di Gesù nell’Apocalisse, ‘cristiani tiepidi’. La tiepidezza che viene nella Chiesa… Camminano soltanto alla presenza del proprio buon senso, del senso comune … quella prudenza mondana: questa è una tentazione proprio di prudenza mondana”. (Omelia del 20 aprile 2013)

LA CHIESA È MADRE E MAESTRA

Una cosa buona – osserva il Papa – ma che può spingere a fare “patti” per avere ancora “più soci in questa impresa”: “Invece, la strada che Gesù ha voluto per la sua Chiesa è un’altra: la strada delle difficoltà, la strada della Croce, la strada delle persecuzioni … E questo ci fa pensare: ma cosa è questa Chiesa? Questa nostra Chiesa, perché sembra che non sia un’impresa umana”. La Chiesa – sottolinea – è “un’altra cosa”: non sono i discepoli a fare la Chiesa, loro sono degli inviati, inviati da Gesù. E Cristo è inviato dal Padre: “E allora, si vede che la Chiesa incomincia là, nel cuore del Padre, che ha avuto questa idea … Non so se ha avuto un’idea, il Padre: il Padre ha avuto amore. E ha incominciato questa storia di amore, questa storia di amore tanto lunga nei tempi e che ancora non è finita. Noi, donne e uomini di Chiesa, siamo in mezzo ad una storia d’amore: ognuno di noi è un anello in questa catena d’amore. E se non capiamo questo, non capiamo nulla di cosa sia la Chiesa”. La tentazione è quella di far crescere la Chiesa senza percorrere la strada dell’amore: “Ma la Chiesa non cresce con la forza umana; poi, alcuni cristiani hanno sbagliato per ragioni storiche, hanno sbagliato la strada, hanno fatto eserciti, hanno fatto guerre di religione: quella è un’altra storia, che non è questa storia d’amore. Anche noi impariamo con i nostri sbagli come va la storia d’amore. Ma come cresce? Ma Gesù l’ha detto semplicemente: come il seme della senape, cresce come il lievito nella farina, senza rumore”. La Chiesa – ricorda il Papa – cresce “dal basso, lentamente”: “E quando la Chiesa vuol vantarsi della sua quantità e fa delle organizzazioni, e fa uffici e diventa un po’ burocratica, la Chiesa perde la sua principale sostanza e corre il pericolo di trasformarsi in una ong. E la Chiesa non è una ong. E’ una storia d’amore … Ma ci sono quelli dello Ior … scusatemi, eh! .. tutto è necessario, gli uffici sono necessari … eh, va bè! Ma sono necessari fino ad un certo punto: come aiuto a questa storia d’amore. Ma quando l’organizzazione prende il primo posto, l’amore viene giù e la Chiesa, poveretta, diventa una ong. E questa non è la strada”. Un capo di Stato – ha rivelato – ha chiesto quanto sia grande l’esercito del Papa. La Chiesa – ha proseguito – non cresce “con i militari”, ma con la forza dello Spirito Santo. Perché la Chiesa – ha ripetuto – non è un’organizzazione: “No: è Madre. E’ Madre. Qui ci sono tante mamme, in questa Messa. Che sentite voi, se qualcuno dice: ‘Ma … lei è un’organizzatrice della sua casa’? ‘No: io sono la mamma!’. E la Chiesa è Madre. E noi siamo in mezzo ad una storia d’amore che va avanti con la forza dello Spirito Santo e noi, tutti insieme, siamo una famiglia nella Chiesa che è la nostra Madre”. (Omelia del 24 aprile 2013)

BENEDETTA VERGOGNA DEI NOSTRI PECCATI!!! TORNIAMO AL CONFESSIONALE. SOLO CRISTO CI SALVERÀ

Il confessionale non è né una «tintoria» che smacchia i peccati, né una «seduta di tortura» dove si infliggono bastonate. La confessione infatti è l’incontro con Gesù e si tocca con mano la sua tenerezza. Ma bisogna accostarsi al sacramento senza trucchi o mezze verità, con mitezza e con allegria, fiduciosi e armati di quella «benedetta vergogna», la «virtù dell’umile» che ci fa riconoscere peccatori. Il Papa ha aperto l’omelia con una riflessione sulla prima Lettera di san Giovanni (1,5-2,2), nella quale l’apostolo «parla ai primi cristiani e lo fa con semplicità: “Dio è luce e in Lui non c’è tenebra alcuna”. Ma “se diciamo di essere in comunione con Lui”, amici del Signore, “e camminiamo nelle tenebre, siamo bugiardi e non mettiamo in pratica la verità”. E a Dio bisogna adorarlo in spirito e in verità». «Cosa significa — si è chiesto il Papa — camminare nelle tenebre? Perché tutti noi abbiamo delle oscurità nella nostra vita, anche momenti dove tutto, anche nella propria coscienza, è buio, no? Andare nelle tenebre significa essere soddisfatto di se stesso. Essere convinto di non aver necessità di salvezza. Quelle sono le tenebre!». E, ha proseguito, «quando uno va avanti su questa strada delle tenebre, non è facile tornare indietro. Perciò Giovanni continua, forse questo modo di pensare lo ha fatto riflette: “Se diciamo di essere senza peccato, inganniamo noi stessi e la verità non è in noi”. Guardate ai vostri peccati, ai nostri peccati: tutti siamo peccatori, tutti. Questo è il punto di partenza». «Ma se confessiamo i nostri peccati — ha spiegato il Pontefice — Egli è fedele, è giusto tanto da perdonarci i peccati e purificarci da ogni iniquità. E ci presenta, vero?, quel Signore tanto buono, tanto fedele, tanto giusto che ci perdona. Quando il Signore ci perdona fa giustizia. Sì, fa giustizia prima a se stesso, perché Lui è venuto per salvare e quando ci perdona fa giustizia a se stesso. “Sono salvatore di te” e ci accoglie». Lo fa nello spirito del salmo 102: «“Come è tenero un padre verso i figli, così il Signore è tenero verso quelli che lo temono”, verso quelli che vanno da Lui. La tenerezza del Signore. Ci capisce sempre, ma anche non ci lascia parlare: Lui sa tutto. “Stai tranquillo, vai in pace”, quella pace che soltanto Lui dà». È quanto «succede nel sacramento della riconciliazione. Tante volte — ha detto il Santo Padre — pensiamo che andare a confessarci è come andare in tintoria. Ma Gesù nel confessionale non è una tintoria». La confessione è «un incontro con Gesù che ci aspetta come siamo. “Ma, Signore, senti, sono così”. Ci fa vergogna dire la verità: ho fatto questo, ho pensato questo. Ma la vergogna è una vera virtù cristiana e anche umana. La capacità di vergognarsi: non so se in italiano si dice così, ma nella nostra terra a quelli che non possono vergognarsi gli dicono sinvergüenza. Questo è “uno senza vergogna”, perché non ha la capacità di vergognarsi. E vergognarsi è una virtù dell’umile». (Omelie del 29 aprile 2013)

UNA “CHIESA MONDANA” NON HA IL VANGELO

Papa Francesco ha rimarcato che “è facile pregare per chiedere una grazia al Signore”, “per ringraziare” o quando “abbiamo bisogno di qualcosa”. Ma fondamentale, ha spiegato, è pregare il Signore per tutti, per coloro che hanno “ricevuto lo stesso Battesimo” dicendo “Sono i tuoi, sono i nostri, custodiscili”: ”Affidare la Chiesa al Signore è una preghiera che fa crescere la Chiesa. E’ anche un atto di fede. Noi non possiamo nulla, noi siamo poveri servitori – tutti – della Chiesa: ma è Lui che può portarla avanti e custodirla e farla crescere, farla santa, difenderla, difenderla dal principe di questo mondo e da quello che vuole che la Chiesa diventi, ovvero più e più mondana. Questo è il pericolo più grande! Quando la Chiesa diventa mondana, quando ha dentro di sé lo spirito del mondo, quando ha quella pace che non è quella del Signore – quella pace di quando Gesù dice ‘Vi lascio la pace, vi do la mia pace’, non come la dà il mondo – quando ha quella pace mondana, la Chiesa è una Chiesa debole, una Chiesa che sarà vinta e incapace di portare proprio il Vangelo, il messaggio della Croce, lo scandalo della Croce… Non può portarlo avanti se è mondana”. (Omelia del 30 aprile del 2013)

LA CHIESA DEL “SI” A DIO È LA CHIESA DEI “NO” AL MONDO

A Gerusalemme dunque, tra i primi discepoli, “c’erano tante opinioni” sull’accoglienza dei pagani nella Chiesa. C’è chi diceva “no” ad un accordo, e chi invece era aperto: “C’era una Chiesa del ‘No, non si può; no, no, si deve, si deve, si deve’, e una Chiesa del ‘Sì: ma … pensiamo alla cosa, apriamoci, c’è lo Spirito che ci apre la porta’. Lo Spirito Santo doveva fare il suo secondo lavoro: fare l’armonia di queste posizioni, l’armonia della Chiesa, fra loro a Gerusalemme e fra loro e i pagani. E’ un bel lavoro che fa sempre, lo Spirito Santo, nella storia. E quando noi non lo lasciamo lavorare, incominciano le divisioni nella Chiesa, le sètte, tutte queste cose … perché siamo chiusi alla verità dello Spirito”. Ma qual è dunque la parola chiave in questa disputa alle origini della Chiesa? Papa Francesco ha ricordato le parole ispirate di Giacomo, del vescovo di Gerusalemme, che sottolinea come non si debba imporre sul collo dei discepoli un giogo che gli stessi padri non sono stati in grado di portare: “Quando il servizio del Signore diventa un giogo così pesante, le porte delle comunità cristiane sono chiuse: nessuno vuole venire dal Signore. Noi invece crediamo che per la grazia del Signore Gesù siamo salvati. Prima questa gioia del carisma di annunciare la grazia, poi vediamo cosa facciamo. Questa parola, giogo, mi viene al cuore, mi viene in mente”. Il Papa si è soffermato su cosa significhi oggi nella Chiesa portare un giogo. Gesù, ricorda, chiede a tutti noi di rimanere nel suo amore. Ecco allora che proprio da questo amore nasce l’osservanza dei suoi comandamenti. Questa, ha ribadito, è “la comunità cristiana del sì” che rimane nell’amore di Cristo e dice dei ‘no’ “perché c’è quel sì”. E’ questo amore, ha affermato ancora il Papa, che “ci porta alla fedeltà al Signore”… “perché io amo il Signore non faccio questo” o quest’altro: “E’ una comunità del ‘sì’ e i ‘no’ sono conseguenza di questo ‘sì’. Chiediamo al Signore che lo Spirito Santo ci assista sempre per diventare comunità di amore, di amore a Gesù che ci ha amato tanto. Comunità di questo ‘sì’. E da questo ‘sì’ compiere i comandamenti. Comunità di porte aperte. E ci difenda dalla tentazione di diventare forse puritani, nel senso etimologico della parola, di cercare una purezza para-evangelica, una comunità del ‘no’. Perché Gesù ci chiede prima l’amore, l’amore per Lui, e di rimanere nel Suo amore”. (Omelia del 2 maggio 2013)

NESSUN DIALOGO O COMPROMESSO COL DIAVOLO, PRINCIPE DI QUESTO MONDO

Il Signore, ha ricordato, ci dice di non spaventarci perché il mondo ci odierà come ha odiato Lui: “La strada dei cristiani è la strada di Gesù. Se noi vogliamo essere seguaci di Gesù, non c’è un’altra strada: quella che Lui ha segnato. E una delle conseguenze di questo è l’odio, è l’odio del mondo, e anche del principe di questo mondo. Il mondo amerebbe ciò che è suo. ‘Vi ho scelti io, dal mondo’: è stato Lui proprio che ci ha riscattato dal mondo, ci ha scelti: pura grazia! Con la sua morte, con la sua resurrezione, ci ha riscattati dal potere del mondo, dal potere del diavolo, dal potere del principe di questo mondo. E l’origine dell’odio è questa: siamo salvati. E quel principe che non vuole, che non vuole che noi siamo stati salvati, odia”. Ecco allora che l’odio e la persecuzione dai primi tempi della Chiesa arrivano fino ad oggi. Ci sono “tante comunità cristiane perseguitate nel mondo – ha constatato con amarezza il Papa – in questo tempo più che nei primi tempi: oggi, adesso, in questo giorno e in questa ora”. Perché questo, si chiede ancora il Papa? Perché “lo spirito del mondo odia”. E da questo deriva un ammonimento sempre attuale: “Con il principe di questo mondo non si può dialogare: e questo sia chiaro! Oggi il dialogo è necessario fra noi, è necessario per la pace. Il dialogo è un’abitudine, è proprio un atteggiamento che noi dobbiamo avere tra noi per sentirci, capirci … ma quello deve mantenere sempre. Il dialogo nasce dalla carità, dall’amore. Ma con quel principe non si può dialogare: soltanto rispondere con la Parola di Dio che ci difende, perché il mondo ci odia. E come ha fatto con Gesù, farà con noi. ‘Ma, guarda, fai questo, una piccola truffa … non c’è niente, è piccola …’, e incomincia a portarci su una strada un po’ non giusta. Questa è una pia bugia: ‘Fallo, fallo, fallo: non c’è problema’, e incomincia da poco, sempre, no? E: ‘Ma … tu sei bravo, tu sei bravo: puoi farlo’. E’ lusinghiero, e con le lusinghe ci ammorbidisce. Fa così. E poi, noi cadiamo nella trappola”. (Omelia del 4 maggio 2013)

LE PIEGHE DI CRISTO SONO ANCORA PRESENTI SULLA TERRA

Riferendosi alle piaghe di Gesù, il Pontefice ha notato che Cristo «nella sua risurrezione, ha avuto un corpo bellissimo: le piaghe della flagellazione, delle spine, sono sparite, tutte. I lividi dei colpi, sono spariti». Ma egli, ha aggiunto, «ha voluto avere sempre le piaghe, e le piaghe sono precisamente la sua preghiera di intercessione al Padre». Questa è «la novità che Gesù ci dice», invitandoci ad «avere fiducia nella sua passione, avere fiducia nella sua vittoria sulla morte, avere fiducia nelle sue piaghe». È lui, infatti, il «sacerdote e questo è il sacrificio: le sue piaghe». Tutto ciò ci «dà fiducia, ci dà il coraggio di pregare», perché, come scriveva l’apostolo Pietro, «dalle sue piaghe siete stati guariti». (Omelia del 11 maggio 2013)

POVERTÀ SI, PAUPERISMO NO. SATANA CI FREGA SEMPRE.

Gesù, ha affermato, ci dice oggi una parola forte: “Nessuno ha un amore più forte di questo: dare la sua vita”. Ma la liturgia odierna, ha osservato, ci mostra anche un’altra persona: Giuda, “che aveva proprio l’atteggiamento contrario”. E questo, ha spiegato, perché Giuda “mai ha capito cosa sia un dono”: “Pensiamo a quel momento della Maddalena, quando lava i piedi di Gesù con il nardo, tanto costoso: è un momento religioso, un momento di gratitudine, un momento di amore. E lui, si distacca e fa la critica amara: ‘Ma questo potrebbe essere usato per i poveri!’. Questo è il primo riferimento che ho trovato io, nel Vangelo, della povertà come ideologia. L’ideologo non sa cosa sia l’amore, perché non sa darsi”. Giuda, ha osservato Papa Francesco, era “staccato, nella sua solitudine” e questo atteggiamento dell’egoismo è cresciuto “fino al tradimento di Gesù”. Chi ama, ha aggiunto, “dà la vita come dono”; l’egoista invece “cura la sua vita, cresce in questo egoismo e diventa un traditore, ma sempre solo”. Chi, invece, “dà la vita per amore, mai è solo: sempre è in comunità, è in famiglia”. Del resto, ha avvertito il Papa, colui che “isola la sua coscienza nell’egoismo” alla fine “la perde”. E così è finito Giuda che, ha detto, “era un idolatra, attaccato ai soldi”: “E questa idolatria lo ha portato a isolarsi dalla comunità degli altri. Questo è il dramma della coscienza isolata: quando un cristiano incomincia ad isolarsi, anche isola la sua coscienza dal senso comunitario, dal senso della Chiesa, da quell’amore che Gesù ci dà. Invece, quel cristiano che dona la sua vita, che la ‘perde’, come dice Gesù, la trova, la ritrova, in pienezza. E quello, come Giuda, che vuole conservarla per se stesso, la perde alla fine. Giovanni ci dice che ‘in quel momento Satana entrò nel cuore di Giuda’. E, dobbiamo dirlo: Satana è un cattivo pagatore. Sempre ci truffa: sempre!”. (Omelia del 14 maggio 2013)

Anziché pensare alle scarpe che indossa, ascoltiamo le parole del Papa. Due mesi dopo quel 13 marzo, la Strega ha l’impressione che “don Pollo” & Co. molto presto torneranno nelle loro case con le pive nel sacco.



[SM=g1740733]
Caterina63
00giovedì 16 maggio 2013 10:10
"Occorre rifuggire da richiami pseudopastorali che situano le questioni su un piano meramente orizzontale, in cui ciò che conta è soddisfare le richieste soggettive...." (Benedetto XVI 29.1.2010)


             

IL CONTRASTO TRA IL MAGISTERO E LA PASTORALE -
di P. Giovanni Cavalcoli, OP
15.5.2013 da RiscossaCristiana

Esiste un contrasto fra il Magistero della Chiesa e la pastorale della Chiesa? La risposta è purtroppo sì, e ciò in modo acuto soprattutto in questi ultimi decenni. Quali sono i termini di questo contrasto? Che il Magistero della Chiesa, Papa insieme con il collegio dei vescovi, è infallibilmente assistito dallo Spirito Santo nel proporre la dottrina della fede; ma la pastorale della Chiesa non ha ricevuto da Cristo questa assistenza infallibile.
 
E ciò lo si avverte oggi più che mai, allorché capita che vengano nominati a posti di responsabilità in campo dottrinale: ufficiali della Curia Romana, cardinali, vescovi, superiori di ordini religiosi, docenti nella facoltà pontificie, che non sempre sono all’altezza del loro compito e invece di collaborare col Magistero, gli creano intralci, favorendo a loro volta forze e personaggi ribelli e disobbedienti e maltrattando, abbandonando o ignorando quei pochi che si affaticano a costo di sofferenze ed incomprensioni nella diffusione e difesa della sana dottrina. Si mette la museruola al bue che trebbia e si lascia che il lupo invada l’ovile.
 
La Chiesa docente, ossia la classe dirigenziale della Chiesa, costituita dal corpo episcopale sotto la guida del Papa, dà l’impressione di un’azienda alimentare che ha una produzione di alta qualità, ma che poi abbia più che dei collaboratori, dei sabotatori che distruggono o adulterano quello che produce.
 
Che direbbero i consumatori di una ditta che si comportasse in questo modo? Certo le sarebbero grati per la produzione di buoni cibi e cercherebbero di accaparrarseli il più possibile, ma resterebbero sconcertati e quasi increduli allo spettacolo di collaboratori della dirigenza aziendale che invece di sostenere e divulgare i prodotti nella loro genuinità, si dessero da fare a bloccare le vendite, a distruggere o a sofisticare i cibi, mentre la direzione arrancasse come può per mandare avanti l’azienda. In tal modo gran parte del lavoro deve andare più che per l’espansione  dell’azienda, per far fronte agli ostacoli interni.
 
La prima osservazione, di buon senso, che farebbero i consumatori sarebbe la seguente: questa azienda ha dei buoni prodotti, ma è difficile procurarseli, perché certi organizzatori e distributori, invece di farli giungere ai clienti, li distruggono o li avvelenano o ci fanno su loschi affari.
 
Ma la dirigenza aziendale non se ne accorge? E perché assume un personale di tal fatta? Da quali oscuri poteri è condizionata? Come mai usa strumenti pubblicitari e di distribuzione che contrastano con i suoi fini e i suoi prodotti? Possibile che essa non riesca a far qualcosa per eliminare questi gravi inconvenienti?
 
Domande di questo genere, conservate le differenze e le proporzioni, se le fanno molti buoni fedeli, sia tra il popolo che tra i pastori, teologi, studiosi, pubblicisti ed intellettuali cattolici. Certamente il cattolico che vuol sapere qual è il sentiero della verità, lo può trovare: la Scrittura, la Tradizione, il Magistero, la presenza dello Spirito Santo, le risorse della sua coscienza, il Catechismo, l’esempio dei santi.
 
Ma che fatica! Dove sono i buoni teologi? I buoni moralisti? I buoni vescovi? E Roma cosa fa? Perché gli eretici e i tracotanti hanno campo libero e i poveri, pochi ortodossi sono trascurati e bastonati? Perché tanti personaggi indegni in posti di comando?
 
Tuttavia, facciamo ben attenzione. Chi vede errori dottrinali nel Magistero, perde la bussola, sia egli un lefevriano che vuol giudicare il Magistero in nome della Tradizione, sia un modernista filoprotestante che vuol giudicare il Magistero in nome della Bibbia o di Rahner. Chi sceglie questa strada, non conclude nulla, le sue contestazioni non sono più credibili e si espone alle giuste ritorsioni.
 
E’ il Magistero e solo il Magistero che offre il criteri per giudicare i cattivi cardinali, i cattivi vescovi, i cattivi superiori, i cattivi teologi, i cattivi parroci e via discorrendo. Altrimenti si passa dalla parte del torto e si mette a serio rischio la propria anima, non si è più nella Chiesa come non lo sono più coloro che ci vivono col corpo ma non con l’anima.
 
Il fedele non deve scoraggiarsi se si ritrova con pochi altri in mezzo a una massa di dormienti, opportunisti, ambiziosi, ipocriti e conformisti. Deve bastargli la purezza della sua coscienza e l’intima soddisfazione di essere con Cristo e di soffrire con Cristo. Deve gioire se scopre di vivere le beatitudini evangeliche e se viene emarginato, criticato o punito per amore di Cristo.
 
Deve ricordare che i santi e i martiri hanno passato e stanno passando quello che sta passando lui. Le persecuzioni contro i cristiani non stanno avvenendo solo nei paesi musulmani o comunisti, ma anche da parte di fratelli di fede, con i quali magari vivi fianco a fianco tutti i giorni. Si ripete quello che ha passato Cristo: “Venne tra i suoi e i suoi non lo hanno accolto”.
 
Il cattolico fedele al Magistero ha l’impressione di vivere nella sua patria occupata dallo straniero, un po’ come capitò durante la seconda guerra mondiale con l’occupazione tedesca. Sente di trovarsi nella sua casa, la Chiesa, ma avverte anche che ci sono forze estranee alla Chiesa che pure pretendono di guidarla dove vogliono loro e vogliono una Chiesa che non è quella vera. Queste forze lo vorrebbero cacciare, ma egli a buon diritto si domanda: ma perché non se ne vanno loro? Che ci stanno a fare tanti “cattolici” che in realtà sono modernisti, cattocomunisti, filomassoni, protestanti, epicurei e via discorrendo?
 
Il fedele deve trovare luce, consolazione e conforto nel Magistero. Ma povero Magistero! Il Magistero a sua volta ha bisogno di essere consolato. Invece un vescovo o un cardinale o un famoso teologo non fanno il Magistero, né possono giudicarlo, anche se vendono i loro libri a milioni di copie in tutto il mondo. La disgrazia è quando si diventa fanatici di quel cardinale, di quel vescovo, di quel teologo contro il Papa e il Magistero.
 
Occorre che il Papato riprenda in mano la guida della Chiesa: pasce oves meas, confirma fratres tuos. Questo è il compito imprescindibile del Papa, per il quale gode dell’assistenza infallibile dello Spirito Santo.
 
D’altra parte, l’esser riusciti a creare due Papi è stato il gesto più diabolicamente astuto dei modernisti, mai accaduto nella storia. Una beffa terribile, spaventosa, un’umiliazione tremenda per il Papato, della quale essi ridono sotto i baffi, benchè non vogliano troppo farlo vedere per non stravincere.
 
Quanto al gesto di Benedetto XVI di lasciare il suo ufficio, esso può essere stato un gesto di umiltà, ma non so quanta testimonianza abbia dato del fatto che Pietro è la roccia sulla quale Cristo edifica la sua Chiesa.
 
Non so pertanto quanto la coesistenza di due Papi, cosa mai successa nella storia, dia testimonianza dell’unità della guida della Chiesa. Certo Papa Francesco è il Papa legittimo e nessuno lo mette in discussione. Ma Papa Ratzinger non ha più niente da dire? Un teologo delle sue dimensioni, che è stato prefetto della CDF per vent’anni ed appunto è stato Papa? Non gli è rimasta la lucidità mentale? Per dimostrare la sua sottomissione al Papa attuale è proprio necessario che taccia completamente, mentre strillano gli araldi del modernismo dicendo al Papa che cosa deve fare?
 
Che ne è dell’Anno della Fede? Dell’enciclica che Papa Ratzinger intendeva scrivere? Certo la linea di Papa Francesco è molto dialogante, molto simpatica, attira le folle dei giovani con gesti insoliti, ma i gravi problemi che Ratzinger ha tentato invano di risolvere restano. Egli è in un certo senso crollato davanti ad essi.
 
Potrà Papa Francesco ignorarli? Non è ignorandoli che si risolvono. Papa Francesco prima o poi dovrà affrontare il confronto o la sfida che gli viene dalla parte ribelle della Chiesa. Dio gli ha concesso la forza di vincere. Deve farcela. Preghiamo.


*****************************************

  ricordiamo anche la denuncia di mons. Crepaldi, Arcivescovo di Trieste che così denunciò in una Lettera aperta nel marzo 2010:


A questi attacchi fanno tristemente eco quanti non ascoltano il Papa, anche tra ecclesiastici, professori di teologia nei seminari, sacerdoti e laici. Quanti non accusano apertamente il Pontefice, ma mettono la sordina ai suoi insegnamenti, non leggono i documenti del suo magistero, scrivono e parlano sostenendo esattamente il contrario di quanto egli dice, danno vita ad iniziative pastorali e culturali, per esempio sul terreno delle bioetica oppure del dialogo ecumenico, in aperta divergenza con quanto egli insegna.
 
Il fenomeno è molto grave in quanto anche molto diffuso.
 
Benedetto XVI ha dato degli insegnamenti sul Vaticano II che moltissimi cattolici apertamente contrastano, promuovendo forme di controformazione e di sistematico magistero parallelo guidati da molti “antipapi”; ha dato degli insegnamenti sui “valori non negoziabili” che moltissimi cattolici minimizzano o reinterpretano e questo avviene anche da parte di teologi e commentatori di fama ospitati sulla stampa cattolica oltre che in quella laica; ha dato degli insegnamenti sul primato della fede apostolica nella lettura sapienziale degli avvenimenti e moltissimi continuano a parlare di primato della situazione, o della prassi o dei dati delle scienze umane; ha dato degli insegnamenti sulla coscienza o sulla dittatura del relativismo ma moltissimi antepongono la democrazia o la Costituzione al Vangelo.
 
Per molti la Dominus Jesus, la Nota sui cattolici in politica del 2002, il discorso di Regensburg del 2006, la Caritas in veritate è come se non fossero mai state scritte.
 
La situazione è grave, perché questa divaricazione tra i fedeli che ascoltano il papa e quelli che non lo ascoltano si diffonde ovunque, fino ai settimanali diocesani e agli Istituti di scienze religiose e anima due pastorali molto diverse tra loro, che non si comprendono ormai quasi più, come se fossero espressione di due Chiese diverse e procurando incertezza e smarrimento in molti fedeli.



Caterina63
00martedì 4 giugno 2013 15:37

Card. Bergoglio: Che il celibato abbia come conseguenza la pedofilia è escluso...Ammiro il coraggio e la rettitudine di Benedetto XVI contro la pedofilia nella Chiesa

Grazie alla nostra Gemma leggiamo questo brano tratto da un testo dell'allora cardinale Bergoglio a colloquio con il rettore del seminario rabbinico Skorka.

Da Jorge Mario Bergoglio, Abraham Skorka, "Il Cielo e La Terra", Mondadori 2013


Sui discepoli


....


Bergoglio:


Se uno viene da me e mi dice che ha messo incinta una donna, lo ascolto, cerco di tranquillizzarlo e a poco a poco gli faccio capire che il diritto naturale viene prima del suo diritto in quanto prete.
Di conseguenza deve lasciare il ministero e farsi carico del figlio, anche nel caso decida di non sposare la donna.
Perché come quel bambino ha diritto ad avere una madre, ha anche il diritto di avere un padre con un volto. Io mi impegno a regolarizzare tutti i suoi documenti a Roma, ma lui deve lasciare tutto. Ora, se un prete mi dice che si è lasciato trascinare dalla passione, che ha commesso un errore, lo aiuto a correggersi. Ci sono preti che si correggono e altri no. Alcuni purtroppo non vengono nemmeno a dirlo al vescovo.

Skorka:


Che cosa significa correggersi?

Bergoglio:


Fare penitenza, rispettare il celibato. La doppia vita non ci fa bene, non mi piace, significa dare sostanza alla falsità.
A volte dico loro: «Se non sei in grado di sopportarlo, prendi una decisione».

Skorka:


Vorrei puntualizzare che una cosa è il prete che si è innamorato di una ragazza e si confessa, e un’altra molto diversa sono i casi di pedofilia. Questa piaga va estirpata alla radice, è molto grave. Se due persone adulte hanno una relazione, se si amano, è un’altra cosa.

Bergoglio:


Sì, ma devono correggersi.
Che il celibato abbia come conseguenza la pedofilia è escluso. Oltre il settanta per cento dei casi di pedofilia si verificano in contesti familiari o di vicinato: nonni, zii, patrigni, vicini di casa.
Il problema non è legato al celibato. Se un prete è pedofilo, lo è prima di farsi prete. Ebbene, quando accade, non bisogna mai far finta di non vedere.
Non si può stare in una posizione di potere e distruggere la vita a un’altra persona. Non è mai accaduto nella mia diocesi, ma una volta mi telefonò un vescovo per chiedermi che cosa doveva fare in una situazione del genere, e gli dissi di togliere le licenze al soggetto in questione, di non permettergli più di esercitare il sacerdozio, e di intentare un processo canonico nel tribunale di pertinenza della sua diocesi.
È questo per me l’atteggiamento da assumere; non credo nelle posizioni che sostengono un certo spirito corporativo per evitare di danneggiare l’immagine dell’istituzione. Mi pare che questa soluzione venne proposta in qualche caso negli Stati Uniti: sostituire i preti della parrocchia.
Ma questa è un’idiozia, perché così il prete si porta via il problema con sé. La reazione corporativa conduce a queste conseguenze, perciò non mi trovo d’accordo con simili soluzioni. Di recente sono venuti alla luce in Irlanda casi che andavano avanti da quasi vent’anni, e il Papa disse chiaramente: «Tolleranza zero verso questo crimine».
Ammiro il coraggio e la rettitudine di Benedetto XVI a questo proposito.

...


Da Jorge Mario Bergoglio, Abraham Skorka, "Il Cielo e La Terra", Mondadori 2013








Caterina63
00giovedì 13 giugno 2013 12:45

[SM=g1740758]  Bergoglio, il "papa nero" vestito di bianco

Governa la Chiesa come un generale dei gesuiti. Ascolta, ma decide da solo. Anche un uomo della McKinsey chiamato a studiare la riforma della curia. Che Francesco vuole ripulire dalla corruzione e dalla "lobby gay"

di Sandro Magister




ROMA, 13 giugno 2013 – Ci mancava un guru della McKinsey per disegnare quella riforma della curia che tutti si aspettano da papa Francesco. Ed eccolo che è arrivato.

Si chiama Thomas von Mitschke-Collande, è tedesco ed è stato direttore della filiale di Monaco di Baviera della società di consulenza manageriale più famosa e misteriosa del mondo.

In cose di Chiesa, sa il fatto suo. L'anno scorso ha pubblicato un libro col titolo poco tranquillizzante: "Vuole la Chiesa eliminare se stessa? Fatti e analisi di un consulente aziendale". La diocesi di Berlino si è rivolta a lui per rimettere in sesto i suoi bilanci e la conferenza episcopale di Germania gli ha chiesto un piano per risparmiare in costi e personale.

L'idea di metterlo all'opera anche per la riforma della curia romana è venuta a Reinhard Marx, arcivescovo di Monaco, uno degli otto cardinali chiamati da papa Jorge Mario Bergoglio a fargli da consigliere.

Latore della proposta all'interessato, che l'ha accolta con entusiasmo, è stato padre Hans Langerdörfer, il potente segretario della conferenza episcopale tedesca, gesuita.

Anche Bergoglio è gesuita e da come agisce si è ormai capito che intende applicare al papato i metodi di governo tipici della Compagnia di Gesù, dove al preposito generale, il cosiddetto "papa nero", competono poteri praticamente assoluti.

La sua reticenza nell'attribuirsi il nome di papa e la sua preferenza per qualificarsi come vescovo di Roma hanno fatto esultare i paladini della democratizzazione della Chiesa.

Ma il loro è un abbaglio. Quando Francesco, il 13 aprile, ha nominato otto cardinali "per consigliarlo nel governo della Chiesa universale e per studiare un progetto di revisione della curia romana", li ha scelti di testa sua.

Se avesse seguito i suggerimenti del preconclave, il "consiglio della corona" l'avrebbe trovato già bell'e pronto. Gli sarebbe bastato chiamare attorno a sé i dodici cardinali, tre per continente, eletti al termine di ogni sinodo e quindi anche dell'ultimo, nell'ottobre del 2012. Eletti con voto segreto e rappresentativi dell'élite dell'episcopato mondiale, con dentro quasi tutti i nomi di peso dell'ultimo conclave: i cardinali Timothy Dolan di New York, Odilo Scherer di San Paolo del Brasile, Christoph Schönborn di Vienna, Peter Erdö di Budapest, Luis Antonio Gokim Tagle di Manila.

E invece no. I suoi otto consiglieri papa Francesco li ha voluti scelti da lui soltanto, non scelti da altri. Chiamati a rispondere solo a lui, non anche a un consesso elettivo.

Ne ha voluti uno per ogni area geografica: Reinhard Marx per l'Europa, Sean Patrick O’Malley per l'America settentrionale, Oscar Andrés Rodríguez Maradiaga per l'America centrale, Francisco Javier Errázuriz Ossa per l'America meridionale, Laurent Monsengwo Pasinya per l'Africa, Oswald Gracias per l'Asia, George Pell per l'Oceania, più uno di Roma, non della curia strettamente intesa ma dello Stato della Città del Vaticano, il suo governatore, il cardinale Giuseppe Bertello.

Quasi tutti i prescelti ricoprono o hanno ricoperto cariche direttive in organismi ecclesiastici continentali.

Ma questo è proprio ciò che accade nella Compagnia di Gesù. Bergoglio ne è stato superiore provinciale e ne ha assimilato lo stile. Al vertice della Compagnia gli assistenti che attorniano il generale, da lui nominati, rappresentano le rispettive zone geografiche. Le decisioni non vengono prese collegialmente. Solo il generale decide, con poteri diretti e immediati. Gli assistenti non devono accordarsi tra loro e con lui, consigliano il generale ad uno ad uno, nella massima libertà.

Un effetto di questo sistema sulla riforma della curia romana annunciata da papa Francesco è che non è stata insediata nessuna commissione di esperti con il compito di elaborare un progetto unitario e compiuto.

Gli otto cardinali stanno separatamente chiedendo l'apporto di persone di loro fiducia, dai profili più disparati. Oltre all'uomo McKinsey reclutato dal cardinale Marx ne sono stati interpellati almeno una dozzina, di vari paesi.

Altri si sono fatti avanti di loro iniziativa, come ad esempio il cardinale Francesco Coccopalmerio, presidente del pontificio consiglio per i testi legislativi, ideatore di un progetto di riforma con al centro un "moderator curiae" che si occupi del funzionamento della macchina.

Ai primi di ottobre gli otto si ritroveranno attorno al papa. Gli consegneranno un fascio di proposte. A decidere sarà lui. Da solo.

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Questa nota è uscita su "L'Espresso" n. 24 del 2013, in edicola dal 14 giugno, nella pagina d'opinione dal titolo "Settimo cielo" affidata a Sandro Magister.

Ecco l'indice di tutte le precedenti note:

> "L'Espresso" al settimo cielo

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Il 6 giugno papa Francesco ha ricevuto sei rappresentanti della Confederazione Latinoamericana e Caraibica dei Religiosi e delle Religiose, CLAR, con i quali, seduti in circolo, ha colloquiato per un'ora (vedi foto).

Il sito web cileno Reflexión y Liberación ha diffuso un ampio resoconto della conversazione:

> Papa Francisco diáloga como un hermano más con la CLAR

In essa papa Bergoglio si sarebbe così espresso, a proposito della curia romana e del gruppo di cardinali ai quali ha dato l'incarico di riformarla:

"Eh sì, è difficile. Nella curia c’è gente santa, veramente, c’è gente santa. Ma esiste anche un flusso di corruzione, esiste, è vero... Si parla di 'lobby gay', ed è vero, c'è. Vediamo cosa possiamo fare.

"La riforma della curia romana è una cosa che praticamente tutti noi cardinali abbiamo chiesto, nelle congregazioni precedenti il conclave. Anch’io l’ho chiesta. La riforma non la posso fare io, con tutti questi problemi di gestione... Io sono molto disorganizzato, non sono mai stato bravo in questo. Ma i cardinali della commissione la porteranno avanti. Lì c’è Rodríguez Maradiaga, che è latinoamericano, che ne è il capo. C’è anche Errázuriz, entrambi molto determinati. Quello di Monaco è anche lui molto determinato. Loro la porteranno avanti".

In bocca a papa Francesco, queste parole hanno fatto molta sensazione. La "lobby gay" vaticana di cui "si parla" è in sostanza una rete di amicizie e di sostegno reciproco tra prelati di curia omosessuali finalizzata all'occupazione e al mantenimento di cariche di rilievo. E si ritiene che sia tra gli oggetti del rapporto segreto consegnato a Benedetto XVI – e da questi al successore – dai cardinali Julián Herranz, Jozef Tomko e Salvatore De Giorgi.

Padre Federico Lombardi, direttore della sala stampa della Santa Sede, interpellato a proposito della pubblicazione del resoconto dell'udienza con la CLAR, ha detto: "Era un incontro di carattere privato. Non ho quindi alcuna dichiarazione da fare sui contenuti della conversazione".

Da parte sua, la presidenza del CLAR ha lamentato la pubblicazione non autorizzata di appunti che "erano destinati alla memoria personale dei partecipanti":

> Declaración de la Presidencia de la CLAR

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A proposito della McKinsey, è cresciuto in essa professionalmente, tra il 1980 e il 1984 nelle sedi di Milano e Londra, anche Ettore Gotti Tedeschi, penultimo presidente dell'Istituto per le Opere di Religione, IOR, la "banca" vaticana.

E dalla McKinsey, tra il 1987 e il 1989, è passato anche il banchiere Alessandro Profumo, attuale presidente del Monte dei Paschi di Siena e già amministratore delegato di Unicredit, amico di Gotti Tedeschi e autore della prefazione al libro "Spiriti animali. La concorrenza giusta", scritto dallo stesso Gotti Tedeschi con Alberto Mingardi, edito dall'Università Bocconi nel 2007.

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L'idea di un "moderator curiae" lanciata dal cardinale Francesco Coccopalmerio:

> Un "direttore generale" per la curia

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Gli ultimi tre precedenti servizi di www.chiesa:

10.6.2013
> Diario Vaticano / Sei voti in più per le unioni "gay"
Tre cardinali e due arcivescovi, più il portavoce della Santa Sede: aumentano i consensi alla legalizzazione delle unioni tra omosessuali. Quando solo dieci anni fa il magistero ufficiale della Chiesa era per il no assoluto. L'enigma Bergoglio

6.6.2013
> Diario Vaticano / La piaga del divorzio tra vescovo e diocesi
Papa Francesco martella contro le ambizioni di carriera. Tra cui il voler passare da una cattedra episcopale a un'altra e poi a un'altra ancora. Ma il proposito di legare indissolubilmente un vescovo alla sua diocesi è finora caduto nel vuoto. I curriculum dei cardinali ne sono la prova

3.6.2013
> "Così ricostruirò la reputazione dello IOR"
Il presidente della "banca" della Santa Sede apre con questa intervista alla Radio Vaticana la sua campagna per ridare credibilità al discusso istituto. Con più pulizia, più trasparenza, più comunicazione

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Per altre notizie e commenti vedi il blog che Sandro Magister cura per i lettori di lingua italiana:

> SETTIMO CIELO

Ultimi tre titoli:

Con un cattolico "adulto" al Campidoglio, il papa che farà?

Santa Marta. Le due campane

Segreto pontificio. Le omelie del papa a Santa Marta

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13.6.2013

[SM=g1740733]

sempre dall'abile tastiera ed intelligenza di Sandro Magister:

Sì, no, ni. La messa a punto di Schönborn sulle unioni “gay”

Schönborn

L’uscita su www.chiesa del 10 giugno di un servizio che ha evidenziato i “sei voti in più per le unioni gay” espressi negli ultimi tempi da tre cardinali, da due arcivescovi e dal portavoce della Santa Sede, ha suscitato reazioni di segno opposto.

Da alcuni si è fatto notare che ai sei si sarebbero dovuti aggiungere altri esponenti della gerarchia, anch’essi additati come “colpevoli”. Tra questi, il nome più ricorrente era quello dell’arcivescovo di Berlino, cardinale Rainer Maria Woelki.

Mentre da altri si sono prese le difese dell’uno o dell’altro dei sei, spiegando che era stato male interpretato.

È questo il caso, in particolare, del cardinale Christoph Schönborn, arcivescovo di Vienna.

A far includere Schönborn tra i favorevoli alla legalizzazione delle unioni tra omosessuali è stata una sua “lectio” alla National Gallery di Londra, dello scorso 8 aprile, riferita dal settimanale cattolico inglese “The Tablet” col titolo: “Schönborn guida il ripensamento sulle unioni dello stesso sesso”.

Ma negli uffici della congregazione per la dottrina della fede – è stato fatto notare – si ritiene soddisfacente la messa a punto fatta per conto di Schönborn dal portavoce dell’arcidiocesi di Vienna, Michael Prüller, in una lettera a “The Tablet” del 19 aprile:

> No consent to gay marriage

Nella lettera si ribadisce che un matrimonio tra omosessuali “è una contraddizione in sé e di conseguenza la Chiesa non può opporsi a qualcosa che non esiste, non importa ciò che si reclami o legiferi in senso opposto”.

E si aggiunge che “per meglio chiarire questo il cardinale ha detto in una nota a margine del suo discorso che, come lo Stato può decidere di rispettare talune scelte fatte dai suoi cittadini, può anche di conseguenza legiferare su queste, ma non deve mai equiparare il matrimonio con un non-matrimonio. Questo [ragionamento] non può essere visto come un sostegno alle unioni civili tra omosessuali, né in senso legale, né in senso morale”. [SM=g1740722]

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NOTA BENE !

Il blog “Settimo cielo” fa da corredo al sito “www.chiesa”, curato anch’esso da Sandro Magister, che offre a un pubblico internazionale notizie, analisi e documenti sulla Chiesa cattolica, in italiano, inglese, francese e spagnolo.

Gli ultimi tre servizi di “www.chiesa”:

13.6.2013
> Bergoglio, il “papa nero” vestito di bianco
Governa la Chiesa come un generale dei gesuiti. Ascolta, ma decide da solo. Anche un uomo della McKinsey chiamato a studiare la riforma della curia. Che Francesco vuole ripulire dalla corruzione e dalla “lobby gay”

10.6.2013
> Diario Vaticano / Sei voti in più per le unioni “gay”
Tre cardinali e due arcivescovi, più il portavoce della Santa Sede: aumentano i consensi alla legalizzazione delle unioni tra omosessuali. Quando solo dieci anni fa il magistero ufficiale della Chiesa era per il no assoluto. L’enigma Bergoglio

6.6.2013
> Diario Vaticano / La piaga del divorzio tra vescovo e diocesi
Papa Francesco martella contro le ambizioni di carriera. Tra cui il voler passare da una cattedra episcopale a un’altra e poi a un’altra ancora. Ma il proposito di legare indissolubilmente un vescovo alla sua diocesi è finora caduto nel vuoto. I curriculum dei cardinali ne sono la prova


[SM=g1740733]




Caterina63
00venerdì 21 giugno 2013 18:24

[SM=g1740758]  Un sostegno più concreto e diretto ai cristiani del Vicino Oriente. E maggior dignità e consapevolezza di sé da parte della Chiesa

 
Riprendo la notizia da Radio Vaticana oggi. Non si parla mai abbastanza di quel che soffrono i cristiani nei paesi che sono stati culla della nostra fede. Essi oggi sono in  piena diaspora, ma soprattutto soffrono di persecuzioni continue, a fronte di chi si ostina ad un dialogo unidirezionale che, oltre a rappresentare una contraddizione, si risolve in un monologo, che genera disprezzo da parte dell'interlocutore e non arriva da nessuna parte. Rispetto, dignità e reciprocità dovrebbero essere le parole chiave di ogni dialogo.

Il problema ha già suscitato diversi spunti di riflessione sul blog. Metto alcuni link per chi volesse ricavarne possibili approfondimenti: quiqui - quiqui - qui - qui - qui - qui - qui - qui

Il blog francese Le Forum Catholique così commenta, riportando una significativa dichiarazione del Patriarca che non troviamo sul testo di Radio Vaticana pubblicato di seguito:
Mons. Louis Raphaël I Sako, patriarca di Babilonia dei Caldei torna sulla situazione dei cristiani in Iraq, sul ruolo « storico » e più rilevante, cui essi sono chiamati in favore della riconciliazione e della pace. Egli richiama la Santa Sede ad un sostegno più concreto e diretto dei cristiani in Medio Oriente, denuncia la posizione occidentale in Siria ed in Iraq, e rigetta definitivamente il dialogo islamo-cristiano così come è stato portato avanti per decenni:

« Io credo anche che il dialogo con i musulmani ora debba cambiare. Ho una lunga esperienza. Talvolta si utilizzava il Corano, i dati dell’Islam per condurre un dialogo islamo-cristiano. Oggi, essi, si aspettano da noi che presentiamo la nostra fede com'è, senza compromessi, e senza cercare di renderla, diciamo, un po' più compatibile con i loro concetti. Dunque, dire, per me, come cristiano, come credo che Cristo è il Figlio di Dio ! E non utilizzare versetti coranici o parole della tradizione musulmana ». [SM=g1740721]

Sono iniziati ieri mattina in Vaticano, i lavori della 86.ma Assemblea plenaria della Roaco, la Riunione Opere Aiuto Chiese Orientali. L’evento si concluderà domani, giorno in cui i partecipanti alla plenaria saranno ricevuti in udienza da Papa Francesco. 
 
L’inizio dei lavori è stato preceduto dalla Messa presso la chiesa romana di Santa Maria in Transpontina, presieduta dal cardinale Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali e presidente della Roaco. All’assemblea prende parte anche il Patriarca caldeo, Raphael I Sako, che al microfono di Manuella Affejee si sofferma sulla situazione dei cristiani in Iraq:
 
R. – La situazione è molto complicata. Adesso, c’è un miglioramento in Iran. In Siria e in altri Paesi, però, si ripercuote la situazione irachena. Purtroppo, l’esodo dei cristiani continua e noi ci sentiamo un po’ isolati: nessuno ci appoggia. L’unico appoggio spirituale, morale e anche politico che possiamo ricevere è da parte della Santa Sede. La riconciliazione: bisogna aiutare questi cristiani a giocare un ruolo cruciale nella vita sociale e politica. Questo è, dunque, molto importante. Non serve solo una presenza diplomatica. Ci sono delle sfide da affrontare. Se dovesse continuare l’esodo, in questi Paesi non ci sarebbero più cristiani. È veramente una grande perdita. E perché l’Unione Europea invece di far arrivare i cristiani nei suoi Paesi – cosa molto costosa – non li aiuta a rimanere lì e non fa qualche progetto? Strade, alloggi per le famiglie povere, un dispensario...
 
D. – Lei lavora molto a favore della riconciliazione, quale può essere il ruolo dei laici cristiani in Iraq?
R. – Nel Medio Oriente, c’è la mentalità del sospetto e questo gioca molto. Si sentono, dunque, cose talvolta ingiuste e c’è un muro fra le persone. Quando si parla faccia a faccia, però, tutto viene risolto. Bisogna preparare la gente. Anche il primo ministro mi ha detto: “Voi cristiani potete fare tanto e siete preparati come cristiani”. Penso che per noi sia una grande prestazione: noi siamo lì per costruire ponti, ma abbiamo anche bisogno di essere aiutati e supportati. Esiste un dialogo con le autorità musulmane, soprattutto nella vita, ma c’è pure un dialogo teologico. Forse, c’è bisogno di tutto un lavoro nei media, per spiegare la fede cristiana, la tradizione cristiana, il ruolo dei cristiani e la cultura cristiana.
 
D. – Proprio un rinnovamento del dialogo tra musulmani e cristiani, un approccio più diretto...
R. – Io penso che i cristiani in Medio Oriente siano più preparati ad un dialogo “serio” e non, dunque, ad un dialogo accademico, che questi occidentali che hanno studiato nelle università. Quella è una cosa teorica. Per noi, invece, c’è la teoria, ma c’è anche la prassi.




[SM=g1740720] [SM=g1740750] [SM=g1740752]


Caterina63
00martedì 2 luglio 2013 14:35





I silenzi di Bergoglio e l'esempio di Ratzinger

martedì 2 luglio 2013 da ilsussidiario.net
Federico Pichetto


"Questo mondo moderno - dice Charles Peguy nella sua Veronique -  non è solamente un mondo di cattivo cristianesimo, questo non sarebbe nulla, ma un mondo incristiano, scristianizzato. [...] C'era la cattiveria dei tempi anche sotto i Romani. Ma Gesù venne. Ed Egli non perse i suoi anni a gemere ed interpellare la cattiveria dei tempi. Egli tagliò corto. In un modo molto semplice. Facendo il cristianesimo. Egli non si mise a incriminare, ad accusare qualcuno. Egli salvò. Non incriminò il mondo. Egli salvò il mondo". Non c'è occasione in cui Papa Francesco parli che non mi tornino alla mente queste parole. Inutile girarci attorno: questo Papa, a chi aveva già il caschetto pronto per la guerra con la modernità, fatica ad andare giù. Poco più di cento giorni di pontificato e non una condanna in materia di temi etici o sensibili. Non una parola sulle grandi battaglie democratiche dell'Occidente, né sulle nuove persecuzioni dei cristiani nella vicinissima e laicissima Francia. Niente. Eppure ieri, all'Angelus, il Papa ha manifestato con forza il fatto che le sue non sono dimenticanze o strategie mediatiche: egli ci sta facendo capire, con questi suoi voluti silenzi, che cosa sia il cristianesimo. È accaduto, infatti, che l'uomo vestito di bianco abbia dedicato la propria riflessione domenicale di ieri al tema della coscienza. Nessun argomento come questo è dichiaratamente così moderno: nel nome della coscienza l'illuminismo kantiano ha sancito la netta autonomia del singolo da ogni forma di religiosità e di dogma, rivendicando - per ciascuno - la possibilità di autodeterminarsi attraverso le proprie decisioni.
La coscienza è diventata così la "sentinella" dell'io, lo spazio interiore attraverso cui la ragione del singolo si guadagna il diritto di essere differente, diversa, unica e se stessa. In forza di ciò la nostra società sostiene che noi possiamo amare chi vogliamo e come vogliamo, che possiamo porre un confine alla vita ogni volta che ci si presenta come troppo inaspettata o dolorosa e che, non ultimo, nessuna nostra decisione ci fissa in un punto definitivo e irrevocabile, ma che ogni decisione può essere aggiustata, riformulata o rinegoziata. Ebbene, di questa stessa coscienza, Papa Francesco ha detto - invece - che "è lo spazio interiore dell’ascolto della verità, del bene, dell’ascolto di Dio; è il luogo interiore della mia relazione con Lui, che parla al mio cuore e mi aiuta a discernere, a comprendere la strada che devo percorrere, e una volta presa la decisione, ad andare avanti, a rimanere fedele".


Altro che silenzio! Con poche parole il Papa ha messo in crisi l'intero pensiero occidentale degli ultimi duecento anni. Ma non si è fermato qui e, stupendo la folla, ha distrutto ogni dietrologia possibile affermando che "noi abbiamo avuto un esempio meraviglioso di come è questo rapporto con Dio nella propria coscienza, un recente esempio meraviglioso. Il Papa Benedetto XVI ci ha dato questo grande esempio quando il Signore gli ha fatto capire, nella preghiera, quale era il passo che doveva compiere. Ha seguito, con grande senso di discernimento e coraggio, la sua coscienza, cioè la volontà di Dio che parlava al suo cuore. E questo esempio del nostro Padre fa tanto  bene a tutti noi, come un esempio da seguire". In due battute Francesco non solo si è inserito sulla scia del pensiero dei suoi predecessori, ma ha anche indicato in chi lo ha preceduto non persone "senza coraggio" o "incapaci di una riforma profonda della Chiesa", bensì "uomini grandi, esempi da seguire". Non c'è marketing in quest'uomo, non c'è strategia politica o culturale, ma solo e semplicemente Vangelo.

Ieri Bergoglio non ha inveito contro il mondo, lo ha semplicemente guardato, indicando a tutti quale fosse il punto da non perdere per crescere e per capire. Stupisce che questo stesso gesto sia avvenuto nel giorno in cui il Cardinal Scola, dalle colonne del Corriere della Sera, invitava a passare da un cristianesimo fatto di convenzioni ad un cristianesimo radicato in convinzioni personali tali da generare scelte nuove e radicali nelle materie che più contano nella vita: gli affetti, il denaro, il lavoro. Il mondo oggi non è affamato di pensieri, o di valori, ma - come ha ribadito il Cardinale - di persone che "vivano e incarnino questi valori e queste scelte". Proprio come ha fatto Benedetto XVI, esempio da seguire, in quanto uomo che ha radicato tutto il suo agire nel misterioso dialogo con Dio che avviene per ognuno di noi in quel personale sacrario che è la coscienza umana. "Gesù non impone mai, - ha chiosato Francesco - Gesù è umile, Gesù invita. Se tu vuoi, vieni. L’umiltà di Gesù è così: Lui invita sempre, non impone".

Sta in queste parole tutta la sostanza della proposta di Francesco e di Gesù. Non una guerra santa all'insegna dei Cristeros messicani e del loro "Viva Cristo Re!", stadio radicale e autentico di una fede grande ma molto adolescenziale, ma una vita nuova, senza facili entusiasmi o proibitivi doverismi, bensì ricca di un sentimento della vita profondamente segnato dalla Presenza viva di Cristo e quindi capace, là dove essa urge di più, di scelte forti o dirompenti, come rinunciare a un pontificato o non andare al gran concerto per l'anno della fede, come rimanere fedeli al proprio uomo, o alla propria donna tutta la vita, oppure - molto semplicemente - non venire mai meno alla propria storia e ai volti con i quali Dio si è volutamente legato, terminali ultimi di un Abbraccio più grande, sfida indicibile al nostro borghese capriccio che, nel migliore delle ipotesi, confondiamo dietro la membrana di una tranquilla, e poco esigente, sequela meccanica.




Caterina63
00mercoledì 3 luglio 2013 16:12
[SM=g1740758] dateci retta.... lasciate perdere Dan Brown e leggete questo articolo fatto di realtà e drammatica verità.....

‘Conducta escandalosa’. Il primo scandalo sotto papa Francesco. Da mons. Ricca a Piero Marini

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E fu così che colui che il papa aveva designato a prelato dello IOR, mons. Ricca, poco prima albergatore di Bergoglio, dipinto dai giornali come “l’incorruttibile”, il “moralizzatore”, “al di sopra di ogni sospetto” e “l’uomo di fiducia del papa”, è andato a inciampare in due paroline che i nunzi latinoamericani hanno svelato a Francesco: “CONDUCTA ESCANDALOSA” quando era nunzio a due passi dalla Buenos Aires del cardinale Bergoglio. Il papa si è detto desolato e “all’oscuro”. Cosa piuttosto strana. Ora facciamo attenzione a eventuali nuove nomine “strumentalizzabili” come per esempio quella di

Piero Marinial Culto Divino

della quale si chiacchiera. E stavolta il papa si informi prima, non dopo, sugli “uomini di fiducia”.

 

di Antonio Margheriti Mastino dal sito papalepapale.com

Ma sì, ho riso, beato e divertito. Dall’ironia non so di chi, se di Dio o del diavolo o del caso o dell’eterogenesi dei fini o della Provvidenza o del destino cinico e baro. Dell’ironia iconoclasta che sempre è insita nei fatti che si volevano edificanti. Della sorte che spetta ai moralisti e agli epuratori: i primi finiscono nella vergogna, i secondi epurati da qualcuno più puro di loro. E se in una persona si trovano sintetizzati moralismo+purismo=demagogia, presto o tardi finisce, come direbbe la madre del marchese del Grillo, con le “pezze al culo”. Il “popolo” è una femmina volubile e ciclotimica, che bisogna sempre assecondare, e chi se la prende per amante presto si ritroverà in testa parecchi bernoccoli e più corta di un cesto di lumache. Per questo papa Giovanni invitava sempre a “diffidare delle folle plaudenti”, ma soprattutto dai giornalisti “plaudenti”: il giornalista che ti applaude oggi, è il tuo aguzzino di domani. Ma adesso la stiamo prendendo troppo alla larga.

“L’UOMO DI MASSIMA FIDUCIA” DI PAPA FRANCESCO. L’ALBERGATORE

Mons. Battista Ricca, l’albergatore del papa, finito ai vertici dello Ior

Che il Vaticano sia ridotto per davvero con le “pezze al culo” me ne ero reso conto proprio dalla nomina di mons. Battista Ricca come vigilantes e persino “moralizzatore” dello IOR. E presentato al pubblico come “l’uomo di papa Francesco”, peggio: “l’uomo di massima fiducia”, quasi a significa che l’uno e l’altro erano un’anima sola e un corpo solo.  Vale a dire, l’unica persona che il papa conoscesse a Roma. Datosi che era il suo albergatore, avendo sicuramente gradito il servizio di prima colazione un po’ da Plata e avendo apprezzato il trattamento alla clientela da parte dell’Albergo Santa Marta, ha chiamato il reverendo albergatore allo IOR per inaugurarne l’età dell’argento, dopo quella dell’oro prima e dello sterco poi.

Eppure c’era da chiedersi come mai uno avviato da anni alla carriera diplomatica, con tutti i privilegi e le provvigioni che comporta, fosse poi finito lì a fare conti e preparare menù in un albergo per preti (che ultimamente, stante il filtraggio della clientela, essendoci un imprevisto ospite di riguardo, è prossimo al fallimento… a proposito di… “conti”). Fatto sta che questo monsignore in pullover è passato dalle nunziature agli alberghi e da qui alle banche. Un triangolo strano.

Nonostante ciò, è stato subito celebrato dai soliti laudatores mediatici del papato franceschista (almeno della parte che gli fa comodo) nientemeno come “l’Incorruttibile”, “il moralizzatore”, “l’uomo al di sopra di ogni sospetto”, l’uomo della Provvidenza, in pratica… un altro! Se non era un nuovo duce, di certo è sembrato Robespierre. Eppure avrebbero potuto riflettere sulla fine che nella storia fanno sempre gli “incorruttibili”: Robespierre, per esempio, che dopo aver ghigliottinato tutta Parigi a suo giudizio invasa da troppi “corrotti”, finì esso stesso decapitato: evidentemente a qualcuno più moralista di lui iniziava a puzzare un po’ di corruttela pure “l’Incorruttibile” per antonomasia.

Ero rimasto alquanto sorpreso da queste pubbliche declamazioni encomiastiche sul povero Ricca, che avevano tanto il sapore di un’ondata oceanica di moralismo peloso in un bicchier d’acqua. Ero sorpreso per la sproporzione delle reazioni rispetto alla piccola pedina che si muoveva; alla simulazione di attese messianiche per qualche aggiustamento nel personale di quella banchetta per morti di fame che è lo IOR.

Mi fa pena osservare ogni mattina quei ragionieri dello Ior che son andati a sentir messa a Santa Marta con la coda tra le gambe, unici pubblicani viventi che si devono sorbire le rimostranze di ogni fariseo in qualsiasi tempio di questa terra; e come non bastasse, appena svegli, anche i predicozzi del papa “sullo Ior”, a uso e consumo dei media, che Francesco è pronto a scialare una settimana sì e l’altra pure; quei poveracci lì con stipendi da fame, rispetto ai bancari laici o ai preti tedeschi, che si fanno trovare ogni mattina sotto il pulpito, ammucchiati e stretti l’uno all’altro pronti a farsi mazziare per la gioia dell’Ansa e la popolarità del papa: dei veri eroi borghesi, altro che Ambrosoli!

Ma soprattutto ero sorpreso da tutto questo entusiasmo scriteriato e basato su nulla – se non appunto le prurigini demagogiche da una parte e quelle scandalistiche dall’altra – verso mons. Battista Ricca, prelato bresciano con un lungo curriculum nelle nunziature di mezzo mondo, in Sudamerica specialmente, come vi dicevo, e del quale già a suo tempo, parlando con alcuni sacerdoti di quelle terre mi era giunta all’orecchio qualche notizia piuttosto imbarazzante, alla quale non diedi peso sembrandomi irrilevante il personaggio.

MORALISTI UN TANTO AL CHILO CHE INCIAMPANO IN UN PAIO DI MUTANDE

Ricca e il papa

E allora, “questo sarebbe il moralizzatore”? L’uomo nuovo apparso sui colli fatali del Vaticano? Questo burocrate del tiriamo a campare, e se possibile godiamocela un po’ e chi vuol esser lieto lieto sia che del doman non v’è certezza? Questo è l’asso nella manica del papa, davvero lui? Sì, tutti d’accordo, anche perché è notorio che l’unico che “sbagliava nomine” era Ratzinger, è bene ripeterlo.

E allora capisci perché me la rido, me la rido per la totale mancanza di senso della realtà dei moralisti, perché per conoscenza della storia so sempre a priori cosa si cela dietro il moralismo un tanto al chilo e la fine che i moralisti fanno sempre: inciampano prima o poi in qualche paio di mutande, in un assegno a vuoto, in qualche buco fiscale. E infatti vedi come è andata a finire a pochissimi giorni dalla fatale nomina dell’“incorruttibile” albergatore.

E infatti vedi che appena nominato il prelato che avrebbe dovuto moralizzare (non c’è bisogno: quella banchetta è fra le meno amorali al mondo e i soldi non si gestiscono solo “colli paternostri” e il moralismo peloso dei demagoghi) lo IOR, già è successo un casino e “il papa potrebbe revocargli la nomina”. Sic transit gloria mundi!

“CONDUCTA ESCANDALOSA”

Sandro Magister

Senza sporcarci noi a parlare di queste miserie, lasciamo la parola a Magister [qui articolo completo]:

«Quanto allo scandalo che minaccia di esplodere, riguardante il nuovo “prelato” dello IOR, va subito detto che il primo a sentirsene ferito – già fin d’ora – è proprio papa Francesco. Bergoglio ha nominato lo scorso 15 giugno monsignor Battista Ricca, 57 anni, “prelato” dello IOR proprio per collocare all’interno dell’Istituto una persona fidatissima in un ruolo chiave. Col potere statutario di accedere agli atti e ai documenti e di partecipare alle riunioni sia della commissione cardinalizia di vigilanza, sia del consiglio di sovrintendenza, cioè del board della “banca” vaticana.
Ricca presta servizio diplomatico presso la segreteria di Stato. Ma si è conquistata la fiducia del papa soprattutto per la familiarità dei rapporti intrecciati con lui in quanto direttore della Domus Sanctae Marthae – dove Francesco ha scelto di abitare – e di altre due residenze per sacerdoti e vescovi di passaggio a Roma, tra cui quella di via della Scrofa in cui Bergoglio usava soggiornare da cardinale.
Nel dare notizia della sua nomina a “prelato” dello IOR, i media di tutto il mondo sono stati concordi nel ricondurla personalmente al papa e nell’attribuire al personaggio una fama di “incorruttibile”, di uomo adatto a “far pulizia”.
Ma nel corso della sua carriera diplomatica, quando era in servizio all’estero, Ricca ha lasciato dietro di sé precedenti di segno diverso. […] Il buco nero, nella storia personale di Ricca, è quell’anno da lui trascorso in Uruguay, a Montevideo, sulla sponda nord del Rio de la Plata, di fronte a Buenos Aires. Ciò che provocò la rottura col nunzio Bolonek e il suo brusco trasferimento è riassumibile in due espressioni utilizzate da chi in Uruguay ha indagato riservatamente sul suo caso: “pink power” e “conducta escandalosa”.
Papa Francesco era del tutto all’oscuro di questo precedente, quando ha nominato Ricca prelato dello IOR. Ma nella seconda metà di giugno, con tutti i nunzi convenuti a Roma e incontrati di persona – anche durante il concerto in suo onore da lui disertato il 22 del mese –, è arrivato a convincersi, grazie non a una ma a più fonti inoppugnabili, di aver riposto fiducia nella persona sbagliata. Dolore, gratitudine a chi gli ha aperto gli occhi, volontà di rimediare: sono questi i sentimenti raccolti dalla viva voce del papa, durante questi colloqui. Ricca, venuto a conoscenza di ciò che si dice di lui in Uruguay, ha chiesto e ottenuto un incontro con Francesco, per difendersi e accusare. Ma il papa sembra deciso ad agire sulla base delle informazioni avute. Forse più presto del previsto, perché in Uruguay lo scandalo pare vicino ad esplodere pubblicamente».

“Conducta escandalosa”, dunque: c’è da tradurre? C’è da aggiungere altro?

E circa il «Ricca ha chiesto e ottenuto un incontro con Francesco, per difendersi e accusare», che aggiungere se non che è l’ennesimo caso di carceriere che finisce carcerato? E quell’“accusare” che ha tutto il sapore del buon vecchio ricatto ante-litteram e dell’annunciare “sfracelli” con tanto di muoia sansone e tutti filistei?

“IL PAPA ERA ALL’OSCURO”. MA INFORMARSI PRIMA NO?

Essì, l’occhio stavolta lo ha ingannato… E può succedere ancora.

Comunque era Ratzinger che non sapeva scegliere le persone, è chiaro. Al massimo papa Francesco è “all’oscuro”. Il papa ha piazzato “l’incorruttibile”, l’uomo delle “pulizie” allo IOR. Bravissimo! Ottimo! Ma uno prima di far pulizie in casa altrui dovrebbe farle in casa propria. E infatti vedi che allo IOR gli hanno fatto trovare sulla scrivania la polverina che aveva nascosto sotto i tappeti dei salotti delle varie nunziature, compresa quella prospiciente la Buenos Aires. Dice ancora: “Ma il papa era all’oscuro”. Male, non doveva esserlo, di questi tempi è pericoloso, e prima di far strombazzarne in giro le elette virtù del Ricca, e metterlo in un posto delicatissimo, avrebbe dovuto informarsi.

Tanto più che – lo abbiamo appena visto – le nunziature proprio dell’America Latina di Francesco erano più che informate sul soggetto elevato a tanta gloria. Perché allora quella domanda ai suoi “confratelli nell’episcopato” coi quali “nella carità” e nella condivisione presiede la Chiesa, non gliel’ha fatta? Telefona a tutti, giornalisti e vaticanisti compresi, e poi ai nunzi, ai suoi “confratelli” vescovi per giunta conterranei, non fa ‘na chiamata prima di fare un passo mediaticamente tanto delicato e rischioso? E allora, visto che ormai queste “sviste” cominciano ad essere troppe per soli 100 giorni di pontificato, non sarebbe l’ora di lasciar funzionare la macchina della Santa Sede, ché a questo serve? Serve anche, in caso di errori marchiani come questo, ad assumersi tutte le responsabilità ed esentare il papa dal fango. Avesse chiesto alla segreteria di stato, avrebbe avuto le informazioni delle quali non doveva essere “all’oscuro”. La segreteria si sarebbe guardata bene dal mentire a Bergoglio: non è tipo da sfottere, soprattutto è uno che vuol sapere, decidere e non delega. Al contrario di Benedetto. Alla Segreteria di Stato non avrebbero osato.

Lui che nulla sa di Roma – molto meno di Ratzinger che almeno ci aveva vissuto un quarto di secolo in la curia, senza mai farsene invischiare, peraltro –, e ancor meno della romanità, non sarebbe il caso di guardare con meno ripulsa all’apparato ecclesiastico come fosse qualcosa di moralmente imbarazzante? Non occorrerebbe forse maggiore fiducia nei corpi intermedi? Non sarebbe forse il caso di fare un minimo sforzo di “adeguarsi”, nel senso di rassegnarsi finalmente a “romanizzarsi” e fare le cose secondo regola? Il fatto che è successo è una spia clamorosa di questo navigare a vista, a naso, in balia di idiosincrasie personali e di umori mediatici. È un’arma a doppio taglio.

Non sono affermazioni le mie, sono domande, che mi pongo ogni giorno di più. Bene le prediche del papa, bene il rapporto con i fedeli, tanto di cappello! Tutto utilissimo e piacevole. Ma poi al di là di questo c’è anche la chiesa di mattoni che ha bisogno di essere curata, guidata, con tutti gli strumenti “tecnici” del caso, rodati dall’esperienza di secoli. Non si governa la Chiesa soltanto con le prediche estemporanee, né troppo a lungo si può andare avanti solo con gli slogan.



[SM=g1740771]  continua........



Caterina63
00mercoledì 3 luglio 2013 16:14

L’OSSESSIONE DI TUTTE LE ANIME BELLE: LA RIFORMA DELLE STRUTTURE

Schoenborn, arcivescovo di Vienna, e uno dei cardinali chiamati dal papa nella Commissione per la riforma

E poi vedo la grande contraddizione, che ben conosco pure questa, velata da una certa incrostazione non solo moralistica, non solo demagogica, ma persino lievemente ideologica, un residuato delle ideologie “scientifiche” del XIX secolo: l’ossessione per la struttura.

Da un lato si biasima moralisticamente la struttura – che pure ha bisogno delle sue “golpi [volpi] per sbigottire li lioni” –  come una sorta di “male inevitabile”, un fardello pesante e compromettente del quale prima ci si libera meglio è; dall’altro però, paradossalmente, si è ossessionati e in termini davvero di una ingenuità disarmante, dalla stessa struttura. Che se un attimo prima era la “causa di tutti i mali”, l’attimo dopo diventa la potenziale “panacea di tutti i mali”, solo a saperla “riformare”.

È l’eterna illusione delle Riforme, un tormentone che ormai da anni non riguarda più solo la politica ma è una litania che è entrata nella Chiesa, sino a occupare tutto lo spazio del dibattito interno e ultimamente anche esterno, mediatico. Non si parla di Chiesa se non per dire che bisogna “riformare, riformare, riformare”: ora lo IOR, ora la Segreteria di Stato, ora tutta la Curia, ora questo ora quello. “Riforme” di strutture sempre, chiaramente, ma mai della madre di tutte le riforme dalla quale, naturaliter, ne conseguono le altre: la riforma del cuore. Della santità. La Chiesa si è riformata sempre coi santi: il Concilio di Trento sarà la vera Grande Riforma proprio perché fu pieno di grandi santi, che lo indirizzarono, e lo misero da subito in pratica: fu un successo perché erano credibili, proprio in virtù della loro testimonianza visibile ed eroica di fede. Riformarono le cose perché il loro cuore era stato riformato dalla santità: “Vi darò un cuore nuovo, toglierò dal vostro petto il cuore di pietra, metterò dentro di voi un cuore di carne”. Riformata da loro, dai santi e non dagli “intellettuali”, o, Dio non voglia!, il totem dei totem delle superstizioni riformiste odierne: l’“Esperto”! Quasi sempre sedicente…. del resto.

UN SORRISO IRONICO DINANZI AI NUOVI SANTI: I “SUPER-ESPERTI”. UN GURU TEDESCO IN VATICANO

E per riuscirci ha chiamato il guru delle finanze tedesche

Ecco perché sono rimasto scettico, e ho sorriso, amaramente ma anche divertito,  per il paradosso, l’ironia e la contraddizione marchiana insita nelle cose, quando ho sentito che il papa aveva chiamato un gruppo di cardinali e vescovi per metter su una commissione che proponesse una “riforma”, guardacaso, delle strutture curiali et similia. Ma non è per questo che ho sorriso. Neppure per i nomi dei commissari: quello del segretario, mons. Semeraro che ha alle spalle la brillante esperienza di due diocesi distrutte in soli 15 anni di episcopato per tacer del suo seminario (odierno, ad Albano, e passato, a Oria); quello di Schoenborn che in altri 15 anni di episcopato si è vista dissolvere nel nulla l’intera chiesa austriaca. No. Ho sorriso per le motivazioni che il papa ha addotto alla scelta “di quello di Monaco”, vale a dire il cardinale tedesco Marx, il quale “mi hanno detto è uno che ne capisce di economia, e ha avuto diversi successi in questa roba”. Ecco, mi sono detto, un altro che cambierà tutto per non cambiare niente e semmai peggiorerà le cose, un altro flagello divino inflitto alla Chiesa sotto il nome di “Esperto”.

Ma la cosa che mi ha veramente fatto scuotere la testa e ridere è quando – e c’era da aspettarselo – sempre il papa ha fatto sapere che finalmente avrebbe avuto pure il Vaticano il suo guru: vale a dire il sommo sacerdote degli “esperti”, il “Super-esperto”, come lo hanno battezzato i giornali. Naturalmente tedesco, perché si sa che dove arrivano i tedeschi mettono sempre le cose “a posto”, anche se quasi mai sono le cose loro ma quelle degli altri. Ha un che di fanciullesco ma anche di cecuziente la ragione addotta per la scelta del Guru del papa argentino: “E’ il super-esperto della conferenza episcopale tedesca, e ha sistemato i conti delle diocesi”.

QUELLA CHIESA TEDESCA DOVE DIO NON è TRINO MA “QUATRINO”

Pure noi, e pure tu dovresti, guardando a quel Bengodi della Chiesa tedesca

E certo! È risaputo che il problema dei vescovi tedeschi sono proprio i soldi. Nel senso che ne hanno troppi, una quantità scandalosa, una vergogna. E con questi i preti ricevono assegni mensili di quasi 5mila euro, roba che in Italia manco i ministri; le diocesi sono quasi tal quali un ministero italiano, una burocrazia elefantiaca con migliaia di impiegati ciascuna; la Chiesa tedesca affonda nei miliardi, e con questi gestisce televisioni, editori, giornali… mica per fare apostolato, no, solo per fare altri soldi e poter perpetuare la grassa vitaccia del clero indigeno… una casta di satrapi. Non sorprende allora che stampassero e vendessero anche letteratura pornografica, pattume laico, zozzate varie.

Prodotti tipici della macchina per fare soldi, detta anche “chiesa” tedesca: producono e distribuiscono anche pornografia

Non sorprende che in Germania le “strutture” della Chiesa funzionino tutte benissimo, oleatissime. Non sorprende che un prete straniero non può dir messa da loro se non lo si mette “in regolare” contrattuale altrimenti “è lavoro nero” [leggasi a proposito la testimonianza, vissuta sulla sua pelle, da don Ariel Levi di Gualdo, in  E Satana si fece trino]. Non sorprende che proprio quei vescovi dalla strutture riformatissime come vere teutoniche macchine da guerra abbiano posto ai fedeli l’aut-aut “o pagate le tasse alla chiesa oppure niente sacramenti” perché da loro pure Cristo è prezzato e tassato e già è troppa grazie se ti rivendono un Cristo cattolico e non eretico. Non è un caso che la condotta di vita di tutto il clero teutonico sia a dir poco spregevole e immorale e moltissime sono le situazioni moralmente “disordinate” e irregolari. Non sorprende che nelle università di questa nazione di vescovi affiancati da guru non venga più insegnato nulla di cattolico, e se si osa farlo, si è immediatamente scacciati a pedate fuori dalla comunità “cristiana” tedesca. Non è un caso che quando papa Benedetto annunciò la pubblicazione di un’enciclica, prima ancora che fosse stampata, prima che se ne conoscesse il contenuto, in tutti i seminari e atenei cattolici tedeschi si passò la parola d’ordine di “smentire l’enciclica”, e allora da tutte le cattedre clericali si levò il grido di condanna unanime contro un documento papale che ancora nessuno di loro aveva letto. E non sorprende, quindi, che la pratica della fede in Germania, sia inversamente proporzionale alla sontuosità sbrilluccicante delle sue formidabili burocrazie: era lo stesso cardinale di Colonia ad ammetterlo, quando disse “abbiamo una carrozzeria troppo grande per un motore troppo piccolo”.

In alcune diocesi sembrano esserci più impiegati alla curia che cattolici praticanti nelle chiese; più funzionari che preti. Non che non ci siano preti in Germania, nonostante l’impopolarità della dottrina cattolica presso il clero stesso, ci sono: ma fin troppi aspirano alla consacrazione più per garantirsi una vita facile, libera e strapagata che non per servire la Chiesa: se ne servono.

L’infida masnada dei vescovi tedeschi. Oltretutto i più ricchi del mondo

Certo sì, nella Germania cattolica dei vescovi che invece che santi sfornano “super-esperti” per tirare a campare e moltiplicare pani e pesci e oro, le strutture sono riformatissime e funzionano: ma non per quel che dovrebbero. Semmai proprio a discapito di quel che dovrebbero. Quando il papa parla di Chiesa “povera”, dovrebbe guardare a questa vergognosa chiesa tedesca dalla quale prende in prestito, ben pagati, “guru” “cardinali economisti” e “super-esperti” per “riformare così pure il Vaticano”, questa chiesa che moltiplica i fatturati e riduce i fedeli, che nuota nell’oro e nell’apostasia, che ha le banche piene e i banchi mezzi vuoti, ricchissima fuori e povera dentro, ricca di strutture e povera di fede, nelle strutture riformata ma nel cuore deformata; quant’altre mai afflitta da quella “mondanità spirituale” che proprio Francesco, persino in modo ossessivo, ha così in gran dispitto. Quella Chiesa teutonica dove Dio non è più Trino ma Quatrino, direbbero i romani de Roma. Guardare a tutto questo scempio morale, a questa bestemmia vivente verso il Nome di Gesù e Maria, e guardarsene dal volerlo imitare pure in Vaticano.

QUELLE LOBBY CHE STANNO APPITONANDOSI INTORNO AL PAPA

E lo metteranno in croce…

Che dire? Forse, lo ripetiamo, il papa dovrebbe tornare a farsi consigliare dai romani, da collaboratori meno improvvisati ed evitare certi motu proprio, se non dopo aver consultato tutto e tutti. Perché il caso di mons. Ricca appare non più come il primo di una serie, ma l’ennesimo di una serie che comincia ad essere troppo lunga. Desse semmai un po’ di credito ai dossier che il suo predecessore gli ha consegnato, facesse tesoro dell’esperienza maturata nella sofferenza da papa Benedetto e dai suoi più fedeli collaboratori.

Stesse attento soprattutto a quel covo di vipere della ormai ben nota e famigerata Lobby Gay, che basandosi sul languore e il ricatto, come una piovra imperversa in Vaticano, stando perciò attento alle persone che lo avvicinano, gli parlano, prima di dargli credito. Anche perché tremebondi come agnellini, incerti come gazzelle, sfrontati come scimmie e sinuosi come serpi vedo con i miei stessi occhi che sempre più questa masnada di “perdute genti” sta appitonandosi intorno al papa, usando tutte le più sottili armi della cortigianeria, della lusinga, del servilismo, della maldicenza anche, per stringerlo tra le loro spire e non lasciarlo mai più finché non ne avranno risucchiato l’ultima goccia di sangue.

Per esempio, quella Lobby lì dei Gay in clergy: doveva sparire dalla circolazione, in gran parte è stata a spasso sotto l’ultimo pontificato – serbando non pochi rancori e propositi di vendetta,  meditando e praticando torbidi – e adesso invece, richiamata in fitte coorti, sta man mano accomodandosi nei posti chiave invece che fuori dalle Mura Leonine. Sta succedendo: i massimi esponenti della Lobby Gay vaticana, invece che diminuire stanno aumentando, invece che mimetizzarsi adesso quasi apertamente rivendicano i loro “diritti” (forti di chissà quali e quanti ricatti), invece che disarmarla la si sta potenziando. E quel che è peggio, sembra che il papa non riesca ben a distinguere chi è sincero e chi no, chi lo sta solo blandendolo con servili salamelecchi dosando verità a menzogna per raggiungere i propri scopi e chi davvero gli è fedele perché è fedele a Cristo e alla Chiesa.

Il caso di mons. Ricca è emblematico. Quanto a salamelecchi, captaptio benevolentiae, verità ad arte dosate o taciute. E uno così, si è ritrovato dalla mattina alla sera presentato urbi et orbi come “l’uomo di fiducia del papa”, che quella fiducia aveva tradito sin dall’inizio: ma la colpa a Ricca io la do solo in parte… si sa, nessuno di noi è portato ad ammettere di se stesso cose sconvenienti; sta a chi deve vagliare i profili capire se trattasi d’uomo degno di fiducia o meno, e per maggiore sicurezza si chiede in giro, alla curia, alle nunziature, a tutte queste benemerite “strutture” di Santa Romana Chiesa. Non è che si va troppo lontano a colpi di sito vaticano e di sala stampa… Occorre informarsi, essere puri come colombe e astuti come serpenti. Occorre cioè “romanizzarsi”: a questo serve la “romanità”, e dal momento che c’è perché non usarla?




[SM=g1740771]  continua l'ultima parte...............


Caterina63
00mercoledì 3 luglio 2013 16:16

LA GUERRA DI PIERO

Nella speranza che domani non ci sia un “caso Marini”

 

PIERINO HA RIDATO DIGNITÀ ALLA LITURGIA PAPALE. POI S’È PENTITO

Piero Marini accanto un giovane seminarista

Ultimamente, da molte fonti viene la soffiata che mons. Piero Marini, dovrebbe essere promosso nientemeno che a capo del Culto Divino. E del resto l’alacre andirivieni che ha fatto dal Vaticano e da Santa Marta dacché si è dimesso l’odiato Benedetto, per andare a denigrare e screditare in alto loco tutti i “tradizionalisti” pare abbia avuto i suoi effetti: oltre a deridere il povero e santo successore suo omonimo, mons. Guido Marini del quale chiede da mesi la “defenestrazione” al papa,  il Pierino, facendo di tutt’erbe un fascio chiede anche di fare pulizia etnica in Vaticano di “lefebvriani” e “ratzingeriani”, buttandoci dentro anche chi tale non è, ma che si frappone fra lui e i suoi piani di rivalsa, fra lui e il finale (ormai ha 72 anni) colpo da maestro carrierizio, fra lui e la porpora. Che Benedetto, per le ignominiose parole con cui ne aveva salutato i primi atti del pontificato, gli ha sempre negato, nonostante le periodiche rimostranze dell’interessato.

Ottenuto meno che niente e mandato in giro a giocare con le processioni ai congressi eucaristici, sperperati così otto anni di mancata carriera, se l’è legata al dito, non solo ha giurato vendetta tremenda vendetta, ma adesso pretende che la carriera che gli è stata negata così a lungo gli venga tributata tutta in una volta. E non molla non molla e non molla. Anzi, sta rincarando la dose, e insieme anche la capacità di osare: si è dichiarato favorevole alle nozze gay. Quasi a dire: non solo mi spetta la carriera, non solo me la dovete dare tutta e subito, ma me la dovete consegnare con gli interessi, a prescindere da quello che dico e che faccio. Praticamente una sorta di richiesta di “risarcimento danni” alla Santa Sede. E siccome il personaggio è anche simpatico e alla mano, semplice nei modi e diretto… anche troppo, non è difficile immaginare che papa Francesco abbia scambiato la sua sfacciataggine per “sincerità”, la sua impudenza per “semplicità”, e abbia infine deciso di premiarlo. A proposito di “mondanità spirituale” e di “vescovi non pensate alla carriera”.

Piero Marini

E noi siamo d’accordo. Anzi, mi espongo personalmente a dire la mia: per 15 anni Piero Marini ha dato forma, essenzialità, dignità alla liturgia pontificia, ne ha di fatto ri-creato i riti, quando non n’era rimasto neppure più uno sotto la maestranza liturgica di Noè e nello squallore, sbandamento e improvvisazione del papato di Paolo VI. Poi s’è lasciato prendere la mano a partire dal Grande Giubileo del 2000, quando ha cominciato a vestire i papi da pagliacci perché hanno stante l’ingorgo che s’era creato nelle sacrestie vaticane di costosissimi “artisti” del taglio e cucito del genere omosessuale, tutti amici degli amici.

Dice: pure le messe papali erano diventate delle porcherie negli ultimi anni, delle danze di gente in mutande. Qui mi sentirei di difendere un’altra volta Piero Marini: quelle cose a lui non piacevano, non le avrebbe mai volute, ma a Giovanni Paolo II piacevano – probabilmente per un malinteso senso dell’inculturazione – e suo malgrado ha dovuto attaccare l’asino dove voleva il padrone, un padrone ben poco docile e difficilissimo da contraddire, come il Polacco era. Bene, l’ho detta: ciò non toglie che io sull’altare papale preferisca Guido Marini, almeno finché ha contato e decideva qualcosa.

SE PIERINO VA AL CULTO DIVINO, MI PREOCCUPO PER IL PAPA

La guerra di Piero

Ecco, io stimo Pierino Marini finché è giusto e do a Pierino quel che è di Pierino. Ma siccome adesso dovrebbe andare al Culto Divino e finalmente avere l’agognata porpora un po’ mi preoccupo. Per lui e per il papa. Alla luce di quel che sta succedendo con mons. Ricca.

Mi spiego meglio. Siccome io su Pierino Marini ci metto la mano sul fuoco, datosi penso si tratti addirittura di un astro della Chiesa, di un santo, di un vescovo insigne, e nonostante ciò fatto continuamente bersaglio (insieme a tanti altri gentiluomini e… gentildonne di Sua Santità, come mons. Franco Camaldo, mons. Francesco Gioia, il card. Ravasi, mons. Renato Boccardo, laici addirittura come Angelo Balducci o Marco Simeon) delle più infamanti campagne online, dove si osano insinuare vilmente dubbi sulla condotta morale del succitato. Cose vergognose, perfide, a maggior ragione perché provengono da (spesso) anonimi, e da una caterva di “si dice” passati di bocca in bocca e propalatesi inarrestabilmente; e ai si dice si aggiungono anche gli “ho visto”, “ho fatto”, “ho conosciuto”. Calunnie pensate per distruggere ecclesiasticamente, per troncare carriere, ma non sono queste le chiacchiere che hanno arrestato la scalata di Marini, e infatti vedi che è ormai a un passo dalla metà più ambita.

MARINI NON HA NIENTE DA NASCONDERE, PERCIÒ NON TEME ALCUNA INDAGINE

Fossi il papa, farei di Piero Marini il mio segretario di stato, tutt’al più il mio maggiordomo, dal momento che, mi pare, la veneranda carica di “scopatore segreto” sia stata abolita e cancellata dall’annuario pontificio, tutto questo potendo confidare sul mio intuito che difficilmente s’inganna sulle persone, e ancora meno sui prelati. Ma io so il fatto mio, sono “romano” per istinto, vocazione, residenza e fede. Bergoglio non tanto.

Ecco, proprio perché poi i soliti mormoratori, magari i media di ricalzo, non abbiano l’insana idea di servirsi delle menzogne che sul conto di Marini circolano da anni, e il papa non si veda nell’umiliante situazione, disorientato dal gossip-spazzatura, di dover spalancare un’altra volta le braccia e dire “io ero all’oscuro” e rovinare così inutilmente l’inarrestabile e legittima ascesa di questo prelato meritevole d’ogni stima e patacca, per l’onore del papa e di mons. Piero Marini, c’è da fare una sola cosa. Una cosa alla quale Monsignore certamente sarebbe ben contento di contribuire: un cristallino e disarmante atto di verità, dalla quale egli nulla (almeno a mio parere) ha da temere, così come, stante i suoi trascorsi, nulla ha da temere dalle calunnie… quando uno ha la coscienza pulita, perché dovrebbe?!.

ONDE PREVENIRE SASSI CON PIZZINI SULLA FINESTRA DEL PAPA

Gli avesse potuto stringere le mani sul collo….

Mi spiego meglio. Onde prevenire, come è capacissimo succeda in caso di ascesa al Culto Divino di Marini, sassi sulla finestra del papa con attaccati pizzini infamanti e cartocci di sterco con istruzioni per l’uso sulle mura di Santa Marta, onde evitare voci estenuanti di fantomatici “documenti”; onde evitare situazioni del genere al papa, che certo l’impressionerebbero (fresco com’è della bruciatura di mons. Ricca); onde spezzare in partenza le gambe a quegli insolenti e arroganti che hanno osato e detto “con Piero Marini e la sua corte dei miracoli, stavolta, bisogna farla finita una volta per tutte”; onde evitare tutti questi torbidi che sanno tanto di conigli mannari; onde smorzare sul nascere ogni polemica, onde togliere il pretesto a chicchessia di giocare con gli specchi dei sospetti, io chiedo al papa e a chi di dovere, che si faccia prima chiarezza su tutta la linea, fugando definitivamente ogni sospetto sulla dirittura morale di Monsignore e magari dei suoi reverendi amici e le rispettive vite private. PRIMA… e non DOPO. Fatto sta, ragazzi, che io ho un bruttissimo presentimento… forse irrazionale…

Mons. Piero Marini non ha nulla da temere. Per questo si controllino i dossier, le frequentazioni, i collaboratori; quali sono i luoghi che di solito frequenta; ci si accerti sulla residenza e dove ha eventuali dependance e chi ci è entrato e uscito negli ultimi tempi, del resto (almeno da quel che io so…), dovrebbe abitare non lontano dal Quirinale, zona “sensibilissima”. E ad ogni modo si tengano presenti, anche solo per scartarle, le eventuali calunnie che online circolano sul suo conto. Di tempi come questi, con gli avvoltoi appollaiati sul cupolone con tanto di teleobiettivi, più precauzioni si prendono, meglio è. Per il papa, per la Chiesa, per i candidati alle cariche curiali, per tutti noi. Il caso Ricca deve pur insegnarci qualcosa, qualcosa che, speriamo, il papa abbia ben memorizzato. Regolandosi di conseguenza, per le nomine a venire. Di modo da non andare più a sbattere il muso in “persone di fiducia del papa” che un po’ più in là di Santa Marta sono qualificate universalmente come di “Conducta escandalosa”.




[SM=g1740733]  papalepapale.com





Caterina63
00venerdì 12 luglio 2013 13:39


 

In una telefonata all'amico ex alunno Jorge Milia, Papa Francesco parla dell'affetto per il predecessore


Città del Vaticano

«Non ti immagini l’umiltà e la saggezza di quest’uomo... Non ci penso nemmeno a rinunciare al consiglio di una persona del genere, sarebbe sciocco da parte mia!». Sono parole di Papa Bergoglio riferite al suo predecessore, Benedetto XVI. Parole dette per telefono a Jorge Milia, giornalista, scrittore ed ex alunno di Bergoglio. Le riporta lo stesso Milia in un articolo pubblicato sul blog di Alver Metalli Terre d'America.

 

 

Lo scrittore inizia col dire che il Papa con lui si è lamentato per aver ricevuto una sua lettera di ben dodici pagine. «Ma non puoi negare che ti ho fatto ridere…» gli ha risposto Milia. «Ha riso. Per quelle ragioni che nessuno può spiegare, tanto meno io, tollera ancora la mia prosa come tanti anni fa, quando eravamo professore e alunno. Gli ho detto che avevo iniziato a leggere l’enciclica Lumen Fidei e lui ha declinato ogni merito personale.

 

Ha commentato che Benedetto XVI aveva fatto la maggior parte del lavoro, che era un pensatore sublime, non conosciuto o capito dalla maggior parte delle persone». Poi lo scrittore riferisce altre parole del Pontefice: «Oggi ero con el viejo, il vecchio … – l’ha chiamato così, all’argentina, con quel carattere affettuoso che diamo alla parola – abbiamo chiacchierato molto; per me è un piacere scambiare idee con lui» «E davvero quando parla di Ratzinger - rimarca Milia - lo fa con riconoscenza e tenerezza. A me fa un po’ l’effetto di uno che ha ritrovato un vecchio amico, un ex compagno di classe, di quelli che si fanno vedere di tanto in tanto, che a scuola frequentavano uno o due corsi dopo il nostro e che in qualche modo ammiravamo, magari con le differenze che il tempo aveva levigato, ammorbidito». Francesco per telefono ha aggiunto all'amico ex alunno: «Non ti immagini l’umiltà e la saggezza di quest’uomo».

 

Milia ha ribattuto: «Allora tienilo vicino...». «Non ci penso nemmeno - ha replicato il Papa - a rinunciare al consiglio di una persona del genere, sarebbe sciocco da parte mia!». A proposito dell'accessibilità nel rapporto con le persone, Francesco ha confidato all'amico: «Non è stato facile, Jorge, qui ci sono molti “padroni” del Papa e con molta anzianità di servizio». «Poi ha commentato - scrive Milia - che ogni cambiamento che ha introdotto gli è costato degli sforzi (e, suppongo, dei nemici …) Tra questi sforzi la cosa più difficile è stata di non accettare che gli gestissero l’agenda. Per questo non ha voluto vivere nel palazzo, perché molti Papi hanno finito con il diventare “prigionieri” dei loro segretari».

 

«Sono io che decido chi vedere - ha detto Francesco all'ex alunno - non i miei segretari… A volte non posso vedere chi vorrei, perché devo vedere chi chiede di me». «Questa frase mi ha molto colpito - osserva lo scrittore -. Io, che non sono Papa e non ho il suo potere, sento il cuore che si accelera quando aspetto un caro amico e non so proprio se darei la precedenza ad un altro al suo posto. Lui, invece, si priva dell’incontro che vorrebbe per stare con chi lo richiede. Mi ha detto che i Papi sono stati isolati per secoli e che questo non va bene, il posto del Pastore è con le sue pecore…».



[SM=g1740733]


[SM=g1740733] Visto che a molti piacciono le profezie o gli accostamenti ad esse, non sottovalutiamo Chesterton  che, parlando dei due grandi santi  - omonimi pontefici oggi -, disse: , «.... ci volevano due monaci per ridare slancio alla Chiesa. Francesco sparse quello che Benedetto aveva accumulato», davvero una strana profezia questa di Chesterton. [SM=g1740722]





[SM=g1740758] A molti fa comodo dimenticare il Discorso che Benedetto XVI per sollecitare la vera povertà....
Fu durante il suo terzo e ultimo viaggio in Germania, nel settembre del 2011. A Friburgo, papa Joseph Ratzinger volle incontrare una rappresentanza di cattolici tedeschi "impegnati nella Chiesa e nella società". E a loro, come pure ai vescovi della Germania presenti quasi al completo, serenamente rivolse parole di micidiale severità, esigentissime. Tutte centrate sul dovere di una Chiesa povera, "spoglia di ricchezza terrena", "distaccata dal mondo",  "liberata dai fardelli e dai privilegi materiali e politici", per poter così "dedicarsi meglio e in modo veramente cristiano al mondo intero".

Ebbene, quel suo discorso fu accolto con freddezza e rapidamente tacitato, da coloro per primi ai quali il papa si era rivolto. Perché proprio a loro egli aveva mirato con precisione, chiedendo un cambiamento: a quella Chiesa tedesca che egli conosceva benissimo, ricca, appagata, burocratizzata, politicizzata, ma povera di Vangelo.

Ecco alcuni passi:
"Ma, con uno sguardo non prevenuto, constaterebbero anche tanta povertà: povertà per quanto riguarda le relazioni umane e povertà nell’ambito religioso.Viviamo in un tempo caratterizzato, in gran parte, da un relativismo subliminale che penetra tutti gli ambiti della vita. A volte, questo relativismo diventa battagliero, rivolgendosi contro persone che dicono di sapere dove si trova la verità o il senso della vita. E notiamo come questo relativismo eserciti sempre di più un influsso sulle relazioni umane e sulla società. Ciò trova espressione anche nell’incostanza e nella discontinuità di tante persone e in un eccessivo individualismo. Qualcuno non sembra affatto capace di rinunciare a qualcosa o di fare un sacrificio per altri.
Anche l’impegno altruistico per il bene comune, nei campi sociali e culturali, oppure per i bisognosi, sta diminuendo. Altri non sono più in grado di legarsi in modo incondizionato ad un partner. Quasi non si trova più il coraggio di promettere di essere fedele per tutta la vita; il coraggio di decidersi e di dire: io ora appartengo totalmente a te, oppure di impegnarsi con decisione per la fedeltà e la veracità, e di cercare con sincerità le soluzioni dei problemi.

Cari amici, nel programma exposure, all’analisi segue la riflessione comune. Tale elaborazione deve guardare la persona umana nella sua totalità, e di questa fa parte – non solo in modo implicito, ma proprio in modo esplicito – la sua relazione con il Creatore.... (..)
Vediamo che nel nostro mondo ricco occidentale c’è carenza: Tante persone sono carenti dell’esperienza della bontà di Dio. Non trovano alcun punto di contatto con le Chiese istituzionali e le loro strutture tradizionali. Ma perché? Penso che questa sia una domanda sulla quale dobbiamo riflettere molto seriamente. Occuparsi di questa domanda è il compito principale del Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione. Ma essa, ovviamente, riguarda tutti noi. Permettetemi di affrontare qui un punto della situazione specifica tedesca. In Germania la Chiesa è organizzata in modo ottimo.
Ma, dietro le strutture, vi si trova anche la relativa forza spirituale, la forza della fede nel Dio vivente? Sinceramente dobbiamo però dire che c’è un’eccedenza delle strutture rispetto allo Spirito. Aggiungo: La vera crisi della Chiesa nel mondo occidentale è una crisi di fede. Se non arriveremo ad un vero rinnovamento nella fede, tutta la riforma strutturale resterà inefficace. "

[SM=g1740733]




Caterina63
00sabato 10 agosto 2013 11:58

[SM=g1740758] La "segretariola" di Francesco, il papa che vuol fare tutto da sé

Nome per nome la squadra personale di Bergoglio. Una minuscola ma attivissima curia parallela dove tutto è deciso da lui. Compresi gli infortuni delle nomine di monsignor Ricca e di Francesca Chaouqui

di Sandro Magister




ROMA, 8 agosto 2013 – Francesco non ha fretta di riformare la curia e qualche suo grande elettore comincia a spazientirsi. "Volevamo un papa con buone capacità manageriali e di comando, e finora di ciò si è visto poco", ha lamentato in un'intervista di pochi giorni fa il cardinale di New York, Timothy Dolan.

Ma di sicuro a papa Jorge Mario Bergoglio questa curia così com'è non piace. E infatti ne fa spesso e volutamente a meno. Dell'ultimo chirografo a firma "Francesco", quello che il 18 luglio ha istituito una commissione di otto esperti per riordinare le strutture economico-amministrative della Santa Sede, la segreteria di Stato vaticana ha avuto notizia solo a cose fatte.

Ciò significa che nel piccolo studio di papa Bergoglio al secondo piano della Casa di Santa Marta, dove ha scelto di abitare, si decidono e si fanno molte cose che neppure sfiorano i maestosi uffici curiali della prima e della terza loggia del Palazzo Apostolico, a pochi passi dall'appartamento pontificio ora deserto.

La segreteria di Stato continua il suo lavoro di routine, ma è molto più all'opera un'altra segreteria, minuscola ma attivissima, che a diretto servizio del papa sbriga le pratiche che lui vuole risolvere da sé, senza interferenza alcuna.

*

Un secolo fa, regnante Pio X, la chiamavano la "segretariola". Papa Giuseppe Sarto aveva maturato un pessimo giudizio sulla curia di allora, ma anche dopo che l'ebbe riorganizzata si guardò bene dal sopprimere la sua piccola segreteria personale, di cui si era circondato da subito, appena eletto nel 1903.

Con l'attuale papa, figlio di emigrati piemontesi, il veneto Pio X ha molti tratti in comune. Anche lui era nato in una famiglia povera e continuò a dedicarsi anche da papa all'aiuto dei poveri. Era amatissimo dalla gente di umili condizioni. Conduceva una vita semplice e austera. Era di tratto bonario, non privo di ironia. Era di profonda vita spirituale e fu poi proclamato santo. Aveva una formidabile capacità di lavoro, che prolungava nelle ore notturne. Faceva tantissime cose da sé, tenendone all'oscuro la curia.

Non sorprende che contro la "segretariola" di Pio X si addensasse molto presto una tenace avversione. La si sospettava di influire sul papa, orientandone le decisioni. Ed erano sospetti condivisi anche da dirigenti di curia che Pio X apprezzava, come l'allora sostituto segretario di Stato Giacomo Della Chiesa, futuro Benedetto XV, di cui il papa diceva: "È gobbo ma fila dritto". Infatti nessuno dei segretari di papa Sarto, una volta che lui volò in cielo, fu premiato dai successivi pontefici. Uno addirittura finì i suoi giorni volontariamente recluso in un eremo, sulla montagna sopra Camaldoli.

La leggenda nera pesò su di loro fino a quando, un secolo dopo, le carte di quel "sacro tavolo" furono scovate in un ripostiglio dei palazzi vaticani e due valenti studiosi, Alejandro M. Dieguez e Sergio Pagano, il secondo oggi prefetto dell'archivio vaticano, ne pubblicarono tra il 2003 e il 2006 l'inventario completo e un'antologia in due grossi volumi. Da cui si capì che quei laboriosi segretari non avevano colpa, perché tutto era voluto, deciso e perfino scritto di suo pugno dall'infaticabile papa Sarto. Come pare stia avvenendo anche oggi, con papa Bergoglio.

Il primo a far parte della "segretariola" di Pio X fu don Giovanni Bressan, suo segretario già da prima di diventar papa, quand'era vescovo a Mantova e poi patriarca a Venezia. Subito dopo papa Sarto chiamò al suo fianco altri due sacerdoti veneti che ben conosceva, Francesco Gasoni e Giuseppe Pescini. E poi ancora un sacerdote comasco, Attilio Bianchi, nipote del beato Giovanni Battista Scalabrini, fondatore dei missionari che da lui prendono nome.

A questi quattro Pio X aggiunse infine, "per la molta sua esperienza in proposito", monsignor Vincenzo Maria Ungherini, che era stato il secondo segretario di Leone XIII, il papa suo predecessore.

Anche qui le similitudini con l'oggi sono forti. Nella "segretariola" di papa Francesco compare infatti, e per gli stessi motivi di allora, quello che è stato il secondo segretario del suo predecessore Benedetto XVI, il maltese Alfred Xuereb.

Tuttavia, l'uomo a più stretto contatto col papa non è lui ma un sacerdote di Buenos Aires, Fabián Pedacchio Leaniz, arrivato a Roma in curia nel 2007 come officiale della congregazione per i vescovi, per volontà congiunta dell'allora suo arcivescovo Bergoglio e dell'allora prefetto della congregazione Giovanni Battista Re, il cardinale "carissimo" che lo stesso Bergoglio ha ringraziato con più calore, nel suo primo incontro col collegio cardinalizio dopo l'elezione a papa.

Oggi don Fabián, 49 anni, è in pianta stabile a Santa Marta, dove lavora a tempo pienissimo a servizio di papa Francesco. È esperto in diritto canonico ed è stato segretario dell'associazione dei canonisti argentini. Ama la musica operistica, i romanzi di Gabriel Garcia Marquez e i film di Pedro Almodovar. Nel calcio la sua squadra del cuore non è la stessa di Bergoglio, il San Lorenzo, ma il più blasonato River Plate.

Oltre a don Fabián, nella cerchia degli stretti collaboratori del papa c'è un altro argentino di Buenos Aires, monsignor Guillermo Javier Karcher, cerimoniere pontificio ma soprattutto addetto al protocollo, l'ufficio della segreteria di Stato dal quale passano tutte le carte della Santa Sede.

E poi c'è un italiano, monsignor Assunto "Tino" Scotti, 58 anni, bergamasco, capufficio nella sezione affari generali della segreteria di Stato e decano della camera apostolica, l'istituto che amministra i beni della Santa Sede nell'interregno tra un papa e l'altro, con il cardinale camerlengo. È monsignor Scotti che seleziona e controlla i fortunati che accedono, mattina dopo mattina, alla messa del papa, nella cappella della Casa di Santa Marta.

A ciascuno il suo compito. Ma come Pio X, anche papa Francesco non è tipo che ami concedere deleghe. A Buenos Aires lavorava da solo su una piccola scrivania ordinatissima. Nel locale a fianco aveva una segretaria, ma questa nemmeno gli gestiva gli appuntamenti: era lui stesso a fissarli sulla sua agenda. Un'agenda che mai perdeva di vista e che ha voluto avere con sé anche quando da papa s'è imbarcato sull'aereo per Rio de Janeiro, in quella borsa portata a mano la cui foto ha fatto il giro del mondo.

*

Dal "sacro tavolo" di Pio X le lettere partivano tutte firmate da uno dei suoi segretari e tutte scritte in terza persona: "Il Santo Padre desidera…", "Il Santo Padre vuole…", "Il Santo Padre mi fa obbligo di comunicarle…". Ma poi si è visto che sulle minute originali la scrittura a mano era tutta e solo del papa. Non c'era decisione, grande o piccola che fosse, che non discendesse personalmente da lui.

Anche con Bergoglio pare che avvenga così. Con i vantaggi e i rischi che corre ogni autorità monocratica. Nei suoi primi mesi da papa, il più grave infortunio in cui è incappato Francesco è stata la nomina del prelato dello IOR, la "banca" vaticana, nella persona di monsignor Battista Ricca. Una nomina fortemente voluta dal papa in persona, del tutto all'oscuro dei trascorsi scandalosi del personaggio, di cui era stata fatta sparire in curia ogni traccia documentale.

In casi del genere, quando vede che la curia gli reca danno invece che aiuto, papa Francesco si sente ancor più spronato a fare da sé.

Dopo che "L'Espresso" aveva scoperchiato lo scandalo sulla base delle testimonianze e dei documenti inoppugnabili spariti a Roma ma conservati nella nunziatura vaticana in Uruguay, il papa ha voluto accertare di persona la verità. Ha messo in azione la sua "segretariola" per farsi dire e consegnare tutte le prove del caso. Nell'intervista sull'aereo del ritorno da Rio, le sue parole più dure le ha rivolte contro le "lobby", rimarcando due volte che dello scandalo "non c'era niente" nell'investigazione "previa" su Ricca che in curia gli avevano fatto vedere.

Nella stessa intervista Francesco ha rivendicato il suo essere "gesuita" nel profondo. Pio X fu un'altra cosa, ma c'è una pragmatica astuzia che sembra accomunare entrambi questi papi.

Per preparare la riforma della curia, papa Sarto appoggiò segretamente la pubblicazione di un libro di denuncia e proposta, apparso anonimo e con un editore anch'esso di fantasia, che ebbe un notevole successo di pubblico. In realtà quel libro era stato scritto da un fidato monsignore della segreteria di Stato, Giovanni Pierantozzi, era stato stampato dalla tipografia vaticana ed era stato rivisto in bozze dal papa in persona, nel dicembre del 1903.

Centodieci anni dopo, anche papa Bergoglio è alle prese con una curia da rifare dalle fondamenta. E qualcosa di simile al suo santo predecessore ha forse voluto fare, quando lo scorso 18 luglio ha nominato tra gli otto esperti della neonata commissione per il riordino degli uffici economico-amministrativi della Santa Sede, con diritto d'accesso a tutte le carte più riservate, una addetta in pubbliche comunicazioni, la trentenne Francesca Immacolata Chaouqui.

Peccato però che nessuno aveva avvertito il papa che questa spigliata giovane italo-egiziana vanta sì le amicizie di vari cardinali di curia, ma ha anche un filo diretto con Gianluigi Nuzzi, il recettore dei documenti rubati a Benedetto XVI dal suo maggiordomo infedele, ed è informatrice assidua del sito dagospia.com, il collettore più letto in Italia di maldicenze e veleni vaticani.

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Questo articolo è uscito su "L'Espresso" n. 32 del 2013, in edicola dal 9 agosto:

> L'Espresso

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Per saperne di più sulla "segretariola" di Pio X:

A.M. Dieguez, "L'archivio particolare di Pio X. Cenni storici e inventario", Città del Vaticano, 2003.

A.M. Dieguez - S. Pagano, "Le carte del 'sacro tavolo'. Aspetti particolari del pontificato di Pio X dai documenti del suo archivio privato", 2 voll., Città del Vaticano, 2006.

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Sul caso Ricca:

> Il prelato della lobby gay (18.7.2013)

> Svelato l'inganno, Francesco "saprà come fare"
(25.7.2013)


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Gli ultimi tre precedenti servizi di www.chiesa:

5.8.2013
> Diario Vaticano / Il primo santo della Corea del Nord
Era vescovo di Pyong-yang. Da più di sessant'anni era considerato "disperso". Ma ora la Santa Sede ne ha ufficializzato la morte, a 106 anni di età. Per consentire l'apertura della sua causa di beatificazione

31.7.2013
> Da Rio de Janeiro a Roma, dalla poesia alla prosa
In Brasile, pur tra luci e ombre, papa Francesco ha dato un formidabile slancio missionario alla Chiesa. Ma in Vaticano ritrova tutti gli ostacoli di prima, dalla curia alle lobby. In vista una "soluzione Ratzinger" per la comunione ai divorziati risposati

29.7.2013
> La prima volta che Francesco contraddice Benedetto
Su un punto nevralgico: la messa in rito antico. Ratzinger ne ha consentito a tutti la celebrazione. Bergoglio l'ha proibita a un ordine religioso che la prediligeva

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Caterina63
00mercoledì 4 settembre 2013 12:58

Risposta di Rino Cammilleri a Vittorio Feltri sul Papa

di Rino Cammilleri (da Basta Bugie, www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=2906 ) L'ultimo di luglio mandai questa "risposta" a un articolo di Feltri sul «Giornale». Ma la condanna di Berlusconi ne impedì la pubblicazione per mancanza di spazio.

IL PAPA DE NOANTRI

Caro Vittorio, hai fatto bene, il 31 u.s., a elogiare lo stile semplice e alla mano del nuovo papa. In effetti, la tua simpatia è condivisa da un sacco di gente del Terzo Millennio.
Tuttavia, la tua tirata sui «papi di prima» mi ricorda quella canzone di Luigi Tenco che faceva: «Signor curato, hai detto che la chiesa è la casa dei poveri, però l'hai rivestita di tende d'oro e marmi colorati; come fa il povero a sentirsi come a casa sua?».
Nella sua demagogia marxistico-sessantottina il cantautore suicida avrebbe voluto che il povero trovasse pure in chiesa lo squallore di casa sua, così da dover tenere il muso sempre chino nel brago senza mai portarlo alzare al cielo, a quello splendore che attende nell'Altra Vita gli sfortunati di Questa e di cui lo sfarzo delle chiese era figura (segno, promessa, speranza).

Ma tu, pur non credente come ti dichiari, sei indenne dal qualunquismo materialista Anni Settanta, perciò lo sai bene che la Regina d'Inghilterra si presenta, tutt'oggi, al Parlamento con la corona (e che corona!) in testa, lo scettro, lo strascico e i paggi. E gli inglesi, che non sono certo baluba, sanno perfettamente distinguere tra l'ottantenne Elizabeth Windsor e il Capo del Commonwealth nonché della Chiesa d'Inghilterra. Tu dirai che stiamo parlando di un regno millenario che è stato anche l'impero più vasto della storia. Sarebbe facile rispondere che la Chiesa Cattolica è bi-millenaria, e che il suo Capo è anche Pontefice, cioè ha ereditato la carica suprema che fu dell'Imperatore Romano, il che ci porta indietro di un ulteriore millennio.
Ma se non ti piacciono i re e le monarchie, va a vedere nella capitale americana (una repubblica che ha solo due secoli) l'enorme affresco non a caso intitolato «Apoteosi di George Washington», opera dell'italiano Brumidi e ricoprente la volta del Capitol (i.e. Campidoglio, perché gli americani ci invidiarono fin da subito Roma e la sua storia), in cui il primo presidente statunitense (che non era neppure nobile, però vestiva come un sovrano europeo e portava una dentiera fatta coi denti di schiavi negri) è raffigurato mentre sale nell'Empireo circondato da tutte le divinità dell'Olimpo.
Tu trovi ridicole le scarpe rosse dei papi prima dell'attuale e dici che se ti presentassi in redazione con calzature del genere tutti sghignazzerebbero.

Tuttavia, io stesso ho visto in redazione seri giornalisti con gli occhiali rosso magenta, alla Mughini, e pantaloni dello stesso colore, alla Lerner. Perché dovrebbero ridere solo per un paio di scarpe? Eppure dovresti saperlo che l'abito del papa ha colori simbolici: il bianco della «veste della follia», con cui Erode rivestì Cristo, il rosso della porpora di cui Gesù fu coperto (colore del sangue ma anche regale, perché Cristo è il Re dei Re).
I preti vestono di nero per distinguersi come persone consacrate e i cardinali di rosso per indicare la disposizione al martirio. Dirai che sono cose superate, cose da Medioevo, cose dei tempi in cui l'abito faceva il monaco e costituiva una «card» di presentazione (gli aderenti a una corporazione dovevano portarne l'abito, come si vede nei ritratti di Dante, che faceva lo speziale). Tuttavia, ancora oggi i militari e i poliziotti vestono un abito speciale, e così i magistrati.
Perfino i commessi di McDonald's ne hanno uno, e nessuno ci trova nulla di strano.
I segni e i simboli sono importanti, come non si stanca di ripetere nei suoi romanzi-bestseller planetari Dan Brown, anche se la gente non li capisce più (ma basterebbe spiegarglieli).
Per questo san Pio X dietro al letto «da papa» nell'appartamento vaticano si fece approntare un pagliericcio, nel quale effettivamente dormiva.
Un altro papa santo, Pio V, sotto le vesti pontificali portava il rozzo saio domenicano, che non tolse mai (potrei moltiplicare gli esempi, ma mi manca lo spazio).
Però in giro si faceva portare sulla sedia gestatoria, quel palanchino che tu trovi ridicolo. Reggere il quale era un onore riservato solo ai gentiluomini più nobili di Roma, che non erano certo dei poveracci costretti alla faticata.
Perfino il «predecessore d'immagine» di papa Francesco, il beato Giovanni XXIII, lo usava, con tanto di flabelli piumati attorno.
Ed era il «papa buono», uno che «parla come mangia», adorato dalle folle per la sua bonomia. Tuttavia, il popolo sapeva bene che su quella sedia sopraelevata non c'era Giuseppe Roncalli, bensì il Vicario di Cristo, Cristo Re, Re dei Cieli, sì, ma anche dell'umanità pellegrina sulla terra. Così come la gente, anche la più umile, sa bene che l'immaginetta che sta baciando è solo «figura» della Madonna, dei Santi, di Gesù. Un papa «vecchio stile», come Pio XII, non esitò a sporcarsi di sangue tra le macerie dei bombardamenti di San Lorenzo, e il popolo romano non a caso si rivolse a lui, il più ieratico dei papi, quando tutti gli altri erano scappati.
Certo, un papa «d'immagine» è quel che serve ai nostri tempi, e Francesco sembra averlo capito. Tuttavia, compito primario del Vicario di Cristo è convertire la gente, non essere simpatico a tutti i costi. A te sta simpatico, bene. Ma non mi pare che ti abbia convertito. Comunque, la Grazia usa vie misteriose, e chissà che, tramite il «papa simpaticone», non si infili anche nel tuo cuore.


[SM=g1740733]



Caterina63
00sabato 7 settembre 2013 00:46

[SM=g1740758] Papa Francesco scrive a Repubblica - 11.9.2013:
"Dialogo aperto con i non credenti"

Il Pontefice risponde alle domande che gli aveva posto Scalfari su fede e laicità. "E' venuto il tempo di fare un tratto di strada insieme". "Dio perdona chi segue la propria coscienza"
di FRANCESCO

Papa Francesco scrive a Repubblica:  "Dialogo aperto con i non credenti"

PREGIATISSIMO Dottor Scalfari, è con viva cordialità che, sia pure solo a grandi linee, vorrei cercare con questa mia di rispondere alla lettera che, dalle pagine di Repubblica, mi ha voluto indirizzare il 7 luglio con una serie di sue personali riflessioni, che poi ha arricchito sulle pagine dello stesso quotidiano il 7 agosto.

La ringrazio, innanzi tutto, per l'attenzione con cui ha voluto leggere l'Enciclica Lumen fidei. Essa, infatti, nell'intenzione del mio amato Predecessore, Benedetto XVI, che l'ha concepita e in larga misura redatta, e dal quale, con gratitudine, l'ho ereditata, è diretta non solo a confermare nella fede in Gesù Cristo coloro che in essa già si riconoscono, ma anche a suscitare un dialogo sincero e rigoroso con chi, come Lei, si definisce "un non credente da molti anni interessato e affascinato dalla predicazione di Gesù di Nazareth".

Mi pare dunque sia senz'altro positivo, non solo per noi singolarmente ma anche per la società in cui viviamo, soffermarci a dialogare su di una realtà così importante come la fede, che si richiama alla predicazione e alla figura di Gesù. Penso vi siano, in particolare, due circostanze che rendono oggi doveroso e prezioso questo dialogo.

Esso, del resto, costituisce, come è noto, uno degli obiettivi principali del Concilio Vaticano II, voluto da Giovanni XXIII, e del ministero dei Papi che, ciascuno con la sua sensibilità e il suo apporto, da allora sino ad oggi hanno camminato nel solco tracciato dal Concilio. La prima circostanza - come si richiama nelle pagine iniziali dell'Enciclica - deriva dal fatto che, lungo i secoli della modernità, si è assistito a un paradosso: la fede cristiana, la cui novità e incidenza sulla vita dell'uomo sin dall'inizio sono state espresse proprio attraverso il simbolo della luce, è stata spesso bollata come il buio della superstizione che si oppone alla luce della ragione. Così tra la Chiesa e la cultura d'ispirazione cristiana, da una parte, e la cultura moderna d'impronta illuminista, dall'altra, si è giunti all'incomunicabilità. È venuto ormai il tempo, e il Vaticano II ne ha inaugurato appunto la stagione, di un dialogo aperto e senza preconcetti che riapra le porte per un serio e fecondo incontro.

La seconda circostanza, per chi cerca di essere fedele al dono di seguire Gesù nella luce della fede, deriva dal fatto che questo dialogo non è un accessorio secondario dell'esistenza del credente: ne è invece un'espressione intima e indispensabile. Mi permetta di citarLe in proposito un'affermazione a mio avviso molto importante dell'Enciclica: poiché la verità testimoniata dalla fede è quella dell'amore - vi si sottolinea - "risulta chiaro che la fede non è intransigente, ma cresce nella convivenza che rispetta l'altro. Il credente non è arrogante; al contrario, la verità lo fa umile, sapendo che, più che possederla noi, è essa che ci abbraccia e ci possiede. Lungi dall'irrigidirci, la sicurezza della fede ci mette in cammino, e rende possibile la testimonianza e il dialogo con tutti" (n. 34). È questo lo spirito che anima le parole che le scrivo.

La fede, per me, è nata dall'incontro con Gesù. Un incontro personale, che ha toccato il mio cuore e ha dato un indirizzo e un senso nuovo alla mia esistenza. Ma al tempo stesso un incontro che è stato reso possibile dalla comunità di fede in cui ho vissuto e grazie a cui ho trovato l'accesso all'intelligenza della Sacra Scrittura, alla vita nuova che come acqua zampillante scaturisce da Gesù attraverso i Sacramenti, alla fraternità con tutti e al servizio dei poveri, immagine vera del Signore. Senza la Chiesa - mi creda - non avrei potuto incontrare Gesù, pur nella consapevolezza che quell'immenso dono che è la fede è custodito nei fragili vasi d'argilla della nostra umanità.

Ora, è appunto a partire di qui, da questa personale esperienza di fede vissuta nella Chiesa, che mi trovo a mio agio nell'ascoltare le sue domande e nel cercare, insieme con Lei, le strade lungo le quali possiamo, forse, cominciare a fare un tratto di cammino insieme.
Mi perdoni se non seguo passo passo le argomentazioni da Lei proposte nell'editoriale del 7 luglio. Mi sembra più fruttuoso - o se non altro mi è più congeniale - andare in certo modo al cuore delle sue considerazioni. Non entro neppure nella modalità espositiva seguita dall'Enciclica, in cui Lei ravvisa la mancanza di una sezione dedicata specificamente all'esperienza storica di Gesù di Nazareth.

Osservo soltanto, per cominciare, che un'analisi del genere non è secondaria. Si tratta infatti, seguendo del resto la logica che guida lo snodarsi dell'Enciclica, di fermare l'attenzione sul significato di ciò che Gesù ha detto e ha fatto e così, in definitiva, su ciò che Gesù è stato ed è per noi. Le Lettere di Paolo e il Vangelo di Giovanni, a cui si fa particolare riferimento nell'Enciclica, sono costruiti, infatti, sul solido fondamento del ministero messianico di Gesù di Nazareth giunto al suo culmine risolutivo nella pasqua di morte e risurrezione.

Dunque, occorre confrontarsi con Gesù, direi, nella concretezza e ruvidezza della sua vicenda, così come ci è narrata soprattutto dal più antico dei Vangeli, quello di Marco. Si costata allora che lo "scandalo" che la parola e la prassi di Gesù provocano attorno a lui derivano dalla sua straordinaria "autorità": una parola, questa, attestata fin dal Vangelo di Marco, ma che non è facile rendere bene in italiano. La parola greca è "exousia", che alla lettera rimanda a ciò che "proviene dall'essere" che si è. Non si tratta di qualcosa di esteriore o di forzato, dunque, ma di qualcosa che emana da dentro e che si impone da sé. Gesù in effetti colpisce, spiazza, innova a partire - egli stesso lo dice - dal suo rapporto con Dio, chiamato familiarmente Abbà, il quale gli consegna questa "autorità" perché egli la spenda a favore degli uomini.

Così Gesù predica "come uno che ha autorità", guarisce, chiama i discepoli a seguirlo, perdona... cose tutte che, nell'Antico Testamento, sono di Dio e soltanto di Dio. La domanda che più volte ritorna nel Vangelo di Marco: "Chi è costui che...?", e che riguarda l'identità di Gesù, nasce dalla constatazione di una autorità diversa da quella del mondo, un'autorità che non è finalizzata ad esercitare un potere sugli altri, ma a servirli, a dare loro libertà e pienezza di vita. E questo sino al punto di mettere in gioco la propria stessa vita, sino a sperimentare l'incomprensione, il tradimento, il rifiuto, sino a essere condannato a morte, sino a piombare nello stato di abbandono sulla croce. Ma Gesù resta fedele a Dio, sino alla fine.

Ed è proprio allora - come esclama il centurione romano ai piedi della croce, nel Vangelo di Marco - che Gesù si mostra, paradossalmente, come il Figlio di Dio! Figlio di un Dio che è amore e che vuole, con tutto se stesso, che l'uomo, ogni uomo, si scopra e viva anch'egli come suo vero figlio. Questo, per la fede cristiana, è certificato dal fatto che Gesù è risorto: non per riportare il trionfo su chi l'ha rifiutato, ma per attestare che l'amore di Dio è più forte della morte, il perdono di Dio è più forte di ogni peccato, e che vale la pena spendere la propria vita, sino in fondo, per testimoniare questo immenso dono.

La fede cristiana crede questo: che Gesù è il Figlio di Dio venuto a dare la sua vita per aprire a tutti la via dell'amore. Ha perciò ragione, egregio Dott. Scalfari, quando vede nell'incarnazione del Figlio di Dio il cardine della fede cristiana. Già Tertulliano scriveva "caro cardo salutis", la carne (di Cristo) è il cardine della salvezza. Perché l'incarnazione, cioè il fatto che il Figlio di Dio sia venuto nella nostra carne e abbia condiviso gioie e dolori, vittorie e sconfitte della nostra esistenza, sino al grido della croce, vivendo ogni cosa nell'amore e nella fedeltà all'Abbà, testimonia l'incredibile amore che Dio ha per ogni uomo, il valore inestimabile che gli riconosce. Ognuno di noi, per questo, è chiamato a far suo lo sguardo e la scelta di amore di Gesù, a entrare nel suo modo di essere, di pensare e di agire. Questa è la fede, con tutte le espressioni che sono descritte puntualmente nell'Enciclica.

Sempre nell'editoriale del 7 luglio, Lei mi chiede inoltre come capire l'originalità della fede cristiana in quanto essa fa perno appunto sull'incarnazione del Figlio di Dio, rispetto ad altre fedi che gravitano invece attorno alla trascendenza assoluta di Dio.
L'originalità, direi, sta proprio nel fatto che la fede ci fa partecipare, in Gesù, al rapporto che Egli ha con Dio che è Abbà e, in questa luce, al rapporto che Egli ha con tutti gli altri uomini, compresi i nemici, nel segno dell'amore. In altri termini, la figliolanza di Gesù, come ce la presenta la fede cristiana, non è rivelata per marcare una separazione insormontabile tra Gesù e tutti gli altri: ma per dirci che, in Lui, tutti siamo chiamati a essere figli dell'unico Padre e fratelli tra di noi. La singolarità di Gesù è per la comunicazione, non per l'esclusione.

Certo, da ciò consegue anche - e non è una piccola cosa - quella distinzione tra la sfera religiosa e la sfera politica che è sancita nel "dare a Dio quel che è di Dio e a Cesare quel che è di Cesare", affermata con nettezza da Gesù e su cui, faticosamente, si è costruita la storia dell'Occidente. La Chiesa, infatti, è chiamata a seminare il lievito e il sale del Vangelo, e cioè l'amore e la misericordia di Dio che raggiungono tutti gli uomini, additando la meta ultraterrena e definitiva del nostro destino, mentre alla società civile e politica tocca il compito arduo di articolare e incarnare nella giustizia e nella solidarietà, nel diritto e nella pace, una vita sempre più umana. Per chi vive la fede cristiana, ciò non significa fuga dal mondo o ricerca di qualsivoglia egemonia, ma servizio all'uomo, a tutto l'uomo e a tutti gli uomini, a partire dalle periferie della storia e tenendo desto il senso della speranza che spinge a operare il bene nonostante tutto e guardando sempre al di là.

Lei mi chiede anche, a conclusione del suo primo articolo, che cosa dire ai fratelli ebrei circa la promessa fatta loro da Dio: è essa del tutto andata a vuoto? È questo - mi creda - un interrogativo che ci interpella radicalmente, come cristiani, perché, con l'aiuto di Dio, soprattutto a partire dal Concilio Vaticano II, abbiamo riscoperto che il popolo ebreo è tuttora, per noi, la radice santa da cui è germinato Gesù. Anch'io, nell'amicizia che ho coltivato lungo tutti questi anni con i fratelli ebrei, in Argentina, molte volte nella preghiera ho interrogato Dio, in modo particolare quando la mente andava al ricordo della terribile esperienza della Shoah. Quel che Le posso dire, con l'apostolo Paolo, è che mai è venuta meno la fedeltà di Dio all'alleanza stretta con Israele e che, attraverso le terribili prove di questi secoli, gli ebrei hanno conservato la loro fede in Dio. E di questo, a loro, non saremo mai sufficientemente grati, come Chiesa, ma anche come umanità. Essi poi, proprio perseverando nella fede nel Dio dell'alleanza, richiamano tutti, anche noi cristiani, al fatto che siamo sempre in attesa, come dei pellegrini, del ritorno del Signore e che dunque sempre dobbiamo essere aperti verso di Lui e mai arroccarci in ciò che abbiamo già raggiunto.

Vengo così alle tre domande che mi pone nell'articolo del 7 agosto. Mi pare che, nelle prime due, ciò che Le sta a cuore è capire l'atteggiamento della Chiesa verso chi non condivide la fede in Gesù. Innanzi tutto, mi chiede se il Dio dei cristiani perdona chi non crede e non cerca la fede. Premesso che - ed è la cosa fondamentale - la misericordia di Dio non ha limiti se ci si rivolge a lui con cuore sincero e contrito, la questione per chi non crede in Dio sta nell'obbedire alla propria coscienza. Il peccato, anche per chi non ha la fede, c'è quando si va contro la coscienza. Ascoltare e obbedire ad essa significa, infatti, decidersi di fronte a ciò che viene percepito come bene o come male. E su questa decisione si gioca la bontà o la malvagità del nostro agire.

In secondo luogo, mi chiede se il pensiero secondo il quale non esiste alcun assoluto e quindi neppure una verità assoluta, ma solo una serie di verità relative e soggettive, sia un errore o un peccato. Per cominciare, io non parlerei, nemmeno per chi crede, di verità "assoluta", nel senso che assoluto è ciò che è slegato, ciò che è privo di ogni relazione. Ora, la verità, secondo la fede cristiana, è l'amore di Dio per noi in Gesù Cristo. Dunque, la verità è una relazione! Tant'è vero che anche ciascuno di noi la coglie, la verità, e la esprime a partire da sé: dalla sua storia e cultura, dalla situazione in cui vive, ecc. Ciò non significa che la verità sia variabile e soggettiva, tutt'altro. Ma significa che essa si dà a noi sempre e solo come un cammino e una vita. Non ha detto forse Gesù stesso: "Io sono la via, la verità, la vita"? In altri termini, la verità essendo in definitiva tutt'uno con l'amore, richiede l'umiltà e l'apertura per essere cercata, accolta ed espressa. Dunque, bisogna intendersi bene sui termini e, forse, per uscire dalle strettoie di una contrapposizione... assoluta, reimpostare in profondità la questione. Penso che questo sia oggi assolutamente necessario per intavolare quel dialogo sereno e costruttivo che auspicavo all'inizio di questo mio dire.

Nell'ultima domanda mi chiede se, con la scomparsa dell'uomo sulla terra, scomparirà anche il pensiero capace di pensare Dio. Certo, la grandezza dell'uomo sta nel poter pensare Dio. E cioè nel poter vivere un rapporto consapevole e responsabile con Lui. Ma il rapporto è tra due realtà.
Dio - questo è il mio pensiero e questa la mia esperienza, ma quanti, ieri e oggi, li condividono! - non è un'idea, sia pure altissima, frutto del pensiero dell'uomo. Dio è realtà con la "R" maiuscola. Gesù ce lo rivela - e vive il rapporto con Lui - come un Padre di bontà e misericordia infinita. Dio non dipende, dunque, dal nostro pensiero.
Del resto, anche quando venisse a finire la vita dell'uomo sulla terra - e per la fede cristiana, in ogni caso, questo mondo così come lo conosciamo è destinato a venir meno - , l'uomo non terminerà di esistere e, in un modo che non sappiamo, anche l'universo creato con lui. La Scrittura parla di "cieli nuovi e terra nuova" e afferma che, alla fine, nel dove e nel quando che è al di là di noi, ma verso il quale, nella fede, tendiamo con desiderio e attesa, Dio sarà "tutto in tutti".

Egregio Dott. Scalfari, concludo così queste mie riflessioni, suscitate da quanto ha voluto comunicarmi e chiedermi. Le accolga come la risposta tentativa e provvisoria, ma sincera e fiduciosa, all'invito che vi ho scorto di fare un tratto di strada insieme. La Chiesa, mi creda, nonostante tutte le lentezze, le infedeltà, gli errori e i peccati che può aver commesso e può ancora commettere in coloro che la compongono, non 
ha altro senso e fine se non quello di vivere e testimoniare Gesù: Lui che è stato mandato dall'Abbà "a portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista, a rimettere in libertà gli oppressi, a proclamare l'anno di grazia del Signore" (Lc 4, 18-19).

Con fraterna vicinanza

Francesco



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Nella conferenza stampa sul volo di ritorno da Rio de Janeiro 

Le novità di Papa Francesco

di Lucetta Scaraffia

Della lunga, serena e aperta intervista che Papa Francesco ha rilasciato ai giornalisti - e la trascrizione completa fa cogliere perfettamente il clima disteso e quasi divertito che ha contrassegnato l'incontro - le grandi novità sono soprattutto due, e riguardano due questioni a cui il Santo Padre aveva finora dato poco spazio: le donne e gli omosessuali.
Le dichiarazioni del Papa sul ruolo delle donne sono chiare e rivelatrici di una forte volontà di apertura, non pronunciate in nome dell'improrogabile necessità di adeguare la Chiesa alla parità fra i sessi realizzata nelle società occidentali, e neppure rivestite del paternalismo, spesso affettuoso, che quasi sempre vena le parole degli alti prelati quando affrontano il tema.

L'apertura è sostanziale, ed è direttamente collegata al suo progetto di riforma della Chiesa: senza un riconoscimento aperto del ruolo delle donne non si può sperare in quella Chiesa vitale e accogliente che Papa Francesco desidera, quella Chiesa che può di nuovo attirare i fedeli e scaldare loro il cuore. La donna, ha detto, "aiuta a crescere la Chiesa" perché è dal rapporto paritario e collaborativo fra donne e uomini che ha origine la fecondità. E se questo rapporto langue, non è vivo ed è rinnegato, come avviene oggi, la Chiesa non cresce.

Il coraggio di dire una verità, come tutte le verità anche ovvia, ma che nessuno prima di lui aveva osato, cioè che "Maria è più importante degli apostoli", non gli impedisce di escludere il sacerdozio femminile, ma al tempo stesso di chiedere un supplemento di studi e riflessioni per capire come realizzare questa parità nella differenza. Supplemento di ricerca alla quale, ovviamente, le donne daranno contributi fondamentali. In poche parole, la novità viene espressa in modo chiaro, e senza minacciare la tradizione della Chiesa.
Si può cambiare tutto senza cambiare le regole di base, quelle su cui si è costruita la tradizione cattolica: questa è la sua posizione anche sugli omosessuali. La Chiesa non deve essere una rigida dispensatrice di giudizi, ma deve essere sempre pronta ad accogliere i peccatori, cioè tutti noi. L'esempio di Pietro, che tradisce Gesù e poi viene "fatto Papa", è di una chiarezza lampante che in un baleno toglie valore a tutte le lettere di denuncia, i sospetti, i veleni che stanno girando nel mondo ecclesiastico dopo l'accenno alla "lobby gay". E ricorda a tutti che il cristianesimo ha sempre distinto fra condanna del peccato e misericordia verso il peccatore, e che non è un rigido puritanesimo senza cuore.

Anche a questo proposito Papa Francesco non cambia nulla delle regole morali, ma cancella un moralismo rigido e pettegolo, e con poche parole allontana dalla Chiesa cattolica quell'accusa infamante di omofobia che l'ha perseguitata negli ultimi tempi. La misericordia è la caratteristica distintiva del cristiano, che significa accoglienza del peccatore e perdono. Altra cosa sarebbe cambiare le norme per cancellare il peccato.
Misericordia è quanto invoca anche per i divorziati risposati, senza per questo aprire al divorzio:
il Papa chiede anche in questo caso un supplemento di indagine teologica sulla pastorale matrimoniale, un cambiamento culturale per riuscire a spiegare questo sacramento alle donne e agli uomini di oggi. Egli individua infatti il problema: se i matrimoni religiosi diminuiscono tanto, e quelli che vengono fatti spesso sono senza valore, è perché troppe volte la Chiesa usa parole sbagliate, vecchie, rigide e sterili per spiegare l'istituzione da cui nasce la vita. Non bisogna cambiare le norme, ma gli esseri umani che le spiegano, la cultura che le giustifica. E anche a proposito del rinnovamento della pastorale matrimoniale siamo certi che Papa Francesco saprà valorizzare l'esperienza femminile, a questo riguardo decisiva.


Sono tutti problemi e situazioni che padre Bergoglio, prete e vescovo, incontrava nel suo cammino per le vie di Buenos Aires, nei suoi incontri con donne e uomini normali, che gli aprivano il cuore con speranza e sincerità. Un bagaglio di esperienze umane che oggi illuminano il suo pontificato, riscaldano ogni suo discorso e gli danno quel tono di verità che fa comprendere e amare le sue parole.



(L'Osservatore Romano 31 luglio 2013)


[SM=g1740771]

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 [SM=g1740733]  P.S. Mi è stato scritto in privato chiedendomi cosa ne penso di questa Lettera, questa è la mia risposta:
è bene per noi tenere a mente i DECRETI del Concilio di Trento sulla Giustificazione ricordando che Benedetto XVI ha detto chiaramente, nella Lettera ai Vescovi del febbraio 2009 quanto segue: "coloro che si segnalano come grandi difensori del Concilio deve essere pure richiamato alla memoria che il Vaticano II porta in sé l’intera storia dottrinale della Chiesa. Chi vuole essere obbediente al Concilio, deve accettare la fede professata nel corso dei secoli e non può tagliare le radici di cui l’albero vive...." 
ecco cosa dice Trento sulla Giustificazione

1. Se qualcuno afferma che l’uomo può essere giustificato davanti a Dio dalle sue opere, compiute con le sole forze umane, o con il solo insegnamento della legge, senza la grazia divina meritata da Gesú Cristo: sia anatema.

2. Se qualcuno afferma che la grazia divina meritata da Gesú Cristo viene data solo perché l’uomo possa piú facilmente vivere giustamente e meritare la vita eterna, come se col libero arbitrio, senza la grazia egli possa realizzare l’una e l’altra cosa, benché faticosamente e con difficoltà: sia anatema.

3. Se qualcuno afferma che l’uomo, senza previa ispirazione ed aiuto dello Spirito santo, può credere, sperare ed amare o pentirsi come si conviene, perché gli venga conferita la grazia della giustificazione: sia anatema.

4. Se qualcuno dice che il libero arbitrio dell’uomo, mosso ed eccitato da Dio, non coopera in nessun modo esprimendo il proprio assenso a Dio, che lo muove e lo prepara ad ottenere la grazia della giustificazione; e che egli non può dissentire, se lo vuole, ma come cosa senz’anima non opera in nessun modo e si comporta del tutto passivamente: sia anatema.

5. Se qualcuno afferma che il libero arbitrio dell’uomo dopo il peccato di Adamo è perduto ed estinto; o che esso è cosa di sola apparenza anzi nome senza contenuto e finalmente inganno introdotto nella Chiesa da Satana: sia anatema.

6. Se qualcuno afferma che non è in potere dell’uomo rendere cattive le sue vie, ma che è Dio che opera il male come il bene, non solo permettendoli, ma anche volendoli in sé e per sé, di modo che possano considerarsi opera sua propria il tradimento di Giuda non meno che la chiamata di Paolo: sia anatema.

7. Se qualcuno dice che tutte le opere fatte prima della giustificazione, in qualunque modo siano compiute, sono veramente peccati che meritano l’odio di Dio, e che quanto piú uno si sforza di disporsi alla grazia tanto piú gravemente pecca: sia anatema.

8. Se qualcuno afferma che il timore dell’inferno, per il quale, dolendoci dei peccati, ci rifugiamo nella misericordia di Dio o ci asteniamo dal male, è peccato e rende peggiori i peccatori: sia anatema.

9. Se qualcuno afferma che l’empio è giustificato dalla sola fede, cosí da intendere che non si richieda nient’altro con cui cooperare al conseguimento della grazia della giustificazione e che in nessun modo è necessario che egli si prepari e si disponga con un atto della sua volontà: sia anatema.

10. Se qualcuno dice che gli uomini sono giustificati senza la giustizia del Cristo mediante la quale egli ha meritato per noi, o che essi sono formalmente giusti proprio per essa: sia anatema.

11. Se qualcuno afferma che gli uomini sono giustificati o per la sola imputazione della giustizia del Cristo, o con la sola remissione dei peccati, senza la grazia e la carità che è diffusa nei loro cuori mediante lo Spirito santo (159) e inerisce ad essi; o anche che la grazia, con cui siamo giustificati, è solo favore di Dio: sia anatema.

12. Se qualcuno afferma che la fede giustificante non è altro che la fiducia nella divina misericordia, che rimette i peccati a motivo del Cristo, o che questa fiducia sola giustifica: sia anatema.

Concilio di Trento - SESSIONE VI (13 gennaio 1547)

Nessun Papa può modificare questi Decreti..... [SM=g1740733] 

Benedetto XVI lo sapeva talmente bene da fare quel richiamo nella Lettera ai Vescovi, certo che Papa Francesco non dice apertamente il contrario, sia ben chiaro..... ma, essendoci chi lo pensa o lo deduce,  questa è la nostra cartina tornasole perché la Lettera ai Vescovi di BXVI ha più valore di quella scritta al quotidiano di Scalfari, la prima è un atto magisteriale del Pontefice, la seconda è un gesto di cortesia, una "chiacchierata fra amici" che non reca alcuna Nota di riferimento al Magistero ecclesiale e dottrinale, ma è solo un dialogo abbastanza soggettivo..... qualsiasi cosa abbia scritto Papa Francesco deve essere interpretato alla luce della Dottrina della Chiesa che non è mutata con l'ultimo Concilio.....

[SM=g1740733] 



Caterina63
00mercoledì 11 settembre 2013 13:22

[SM=g1740733]  Il Papa usa le sue divisioni

Papa Francesco, amato e odiato a "sinistra" e a "destra". L'importante è che non manchi l'obbedienza né a "sinistra", né a "destra".

Papa Francesco, amato e odiato a “sinistra” e a “destra”. L’importante è che non manchi l’obbedienza né a “sinistra”, né a “destra”.

(Scrive Ester dal suo blog) Riporto quest’articolo, benché non mi piaccia affatto, come ha consigliato di fare il Mastino, verso il quale ho una grandissima stima. 

di Maurizio Blondet (7 Settembre 2013)

«Quante divisioni ha il Papa?», chiese derisorio Stalin. Il dubbio, e la derisione, percorrono da allora tutta la contemporaneità, anzi si sono aggravati dopo il Concilio e la diserzione generale che ne è seguita. I cattolici sono minoranza nel mondo, sono divisi da ideologie d’accatto e dispersi nelle lingue, insofferenti di autorità… il contrario di un esercito. Dunque, impotenti.

Arriva Papa Francesco e dal balcone ordina a questi cristiani la giornata di digiuno e preghiera per scongiurare l’intervento americano in Siria. So che a molti «tradizionalisti» questo Papa continua a non piacere; li invito solo a considerare che Bergoglio non dubita che esistano le masse cattoliche, le divisioni cristiane, e non ha alcun ritegno a dar loro ordini, né il minimo timore che disobbediscano ai suoi comandi. Il suo colto e timido predecessore, non si è mai rivolto ai cattolici così: con un atto di imperio, sicuro dell’obbedienza. È il secondo atto d’imperio che fa Francesco. Il primo fu la sua prima apparizione sul balcone, quando chiese alle persone riunite in piazza San Pietro di impetrare su di lui la benedizione di Dio, e si inchinò per ricevere la benedizione sul capo.

I soliti giornalisti (coi tradizionalisti formalisti) dissero che s’inchinava al popolo: sciocchezza. È stato – per citare un osservatore più acuto – il gesto «di un capo carismatico che, con l’appoggio delle masse, intende rovesciare le vecchie élites ramificate, in favore di una struttura di potere più piramidale». Il rapporto diretto col popolo senza mediazioni, di un comandante. Difatti, fu lui fin dal primo momento, a guidare la preghiera di benedizione su di sé, e tutti noi intensamente, la ripetemmo di tutto cuore. E prima, la piazza aveva fatto silenzio, nell’ improvviso e mistico concentrare della volontà collettiva sulla testa dell’Uomo del balcone.

Da un secolo, queste mistiche fusioni tra il capo e le sue masse non hanno buona stampa, ed è politicamente corretto evitarle come la peste. Lui non ha avuto scrupolo di adottarle, ed il Papa è l’unico che può farlo a buon diritto. Qui, io ho riconosciuto (finalmente) con tutti i difetti e le eventuali idiosincrasie caratteriali, un uomo di comando. Non a caso ha scelto di essere della Compagnia di Gesù, ordine militare fondato da un guerriero spagnolo, dal comandante di un tercio col corpo coperto di cicatrici e stortato dal mestiere delle armi

Questi gesti d’imperio, quando vengono da un comandante, hanno questo effetto insolito: che «formano» la massa dove prima c’era una sparsa folla di dubitanti, di distratti, di spettatori e di insubordinati. L’ordine dato, responsabilizza. Tutti a digiunare sabato? Molti non ci riusciremo; ma tutti tenteremo, sicuri che l’ordine è stato giusto.

E miracolo, alle (scarne) divisioni cattoliche si sono subito accodati gli altri: non cattolici, atei compresi, come aveva invitato il Papa stesso. Nessuno s’è smarcato pubblicamente. Persino la ben nota «comunità ebraica» ha, come si dice, dovuto «aderire». No all’intervento occidentale in Siria, no! Al G-20, l’atea digiunatrice Bonino è andata non più isolata. Anzi, a Pietroburgo s’è palesata una forte e concreta maggioranza europea contro le mene di Obama di saldare complicità, di ordinare l’unità bellicista ai vassalli europei.

Obama ha fallito. L’isolato è lui. Persino la Polonia, sempre su posizioni neocon ai tempi di Bush Jr., ha detto no. L’Inghilterra ha fatto defezione. Accanto ad Obama resta il ridicolo patetico Hollande. Dite quel che volete, questa disobbedienza generale all’Americano (e alla nota invisibile ma onnipresente Lobby) è un fatto storico. La coincidenza e il contrasto con l’obbedienza chiesta ed ottenuta dall’Argentino salta all’occhio. Dite pure che la rivolta non è merito del Papa, che i tempi erano maturi, dopo dieci e più anni di aggressioni e destabilizzazioni giudeo-americane, per dire «basta». Ma capire il momento ed afferrarlo è appunto una delle doti del buon comandante di divisioni.

Miracolo nel miracolo: i media cominciano a render note le atrocità dei ribelli, cosa di cui hanno prima taciuto accuratamente. Il New York Times ha tirato fuori il video dove dei jihadisti trucidano dei soldati siriani presi prigionieri: un video che il NYT aveva in mano da otto mesi («La Storia siamo Noi», della Rai, l’aveva mandato in onda il dicembre 2012). E subito il Corriere – il Corriere – a ripubblicare il video: che coraggio!

Persino La Stampa, organo ufficioso di Sion con le corrispondenze di Maurizio Molinari, non tace più il fatto – guarda guarda – che se il regime di Assad cade, i cristiani (il 10% della popolazione) saranno sgozzati e costretti alla fuga – da quei ribelli che l’America arma ed appoggia, adesso, anche con l’attacco. Improvvisamente, i nostri media prendono coscienza che in Siria ci sono dei cristiani; che sono in pericolo; che il pericolo non viene da Assad ma dai suoi nemici.

Le Monde, persino, segnala siti come La Riposte Catholique (di cui mai ha parlato prima) che lanciano l’allarme: «La caduta di Bachar al-Assad avrebbe una conseguenza immediata e ineluttabile: il massacro di massa di tutti i cristiani di Siria, in attesa che tocchi a quelli del Libano». E si preoccupa di una rinascita «dell’estrema destra cattolica»: sono questi i problemi per il quotidiano massonico: i diritti negati ai gay e l’estrema destra cattolica. Comunque, rompe il silenzio.

Fin qui, ho detto del carattere politico della decisione papale. Il destino dei cristiani in Siria e Medio Oriente è occasione di sottolineare (anche se dovrebbe essere ovvio) la natura altamente religiosa, sacrale, dell’ordine che ha dato: una giornata di digiuno e preghiera è un appello diretto alla forza dell’Onnipotente, la corale richiesta massimamente pubblica di perdono e di intercessione che ricorda altri tempi – il Rosario che il Papa ordinò a tutta la Cristianità di recitare nella giornata di Lepanto – tempi che troppi Papi non hanno voluto ripetere (si ricordi solo il timoroso rifiuto di consacrare la Russia al Cuore Immacolato con un atto pubblico).

Gesù consiglia, nel Vangelo, preghiera e digiuno per scacciare i diavoli più forti e tenaci, che l’esorcismo non basta a cacciare. Ciò dice, credo, che il Papa ha chiaro la gravità spirituale di ciò che è in gioco in Siria. Sui motivi politici per cui la Casa Bianca, l’Arabia Saudita e la lobby vogliono spazzar via il regime laico di Assad dalla Siria, si sono spese – anche noi l’abbiamo fatto – ipotesi e valutazioni: appunto, solo politiche. Ma un credente sa che oltre la storia c’è la meta-storia, che una battaglia è in corso da secoli, e forse è arrivata ai tempi ultimi, «in Cielo».

I motivi politici di Obama, di Netanyahu, di Hollande e Bernard Henry Lévy possono essere molteplici e persino enigmatici. Il motivo di Satana è chiaro, unico e costante: abolire la Presenza Reale dal mondo. Rendere impossibile, vietare il Sacramento. Le antiche, ormai fossili chiese di Siria – chiese apostoliche, fondate da coloro che videro Gesù e lo udirono – ancora consacrano la Vera Eucarestia ogni giorno; ancora in quella terra il Sangue e la Carne sono «offerti per voi e per molti», ancora la Luce sorge e guarisce, non solo i cristiani ma misteriosamente, non si sa in qual misura, tutti gli uomini.

Satana persegue la sparizione della Grazia sacramentale dalla Siria, come da tutte le nazioni; è detto che quando l’Anticristo dominerà, il Sacrificio sarà interrotto per un tempo su tutto il mondo. Oggi, organizza coloro che gli appartengono, con tutte le potenze della tecnica omicida, dei falsi umanitarismi e delle ideologie false, per questo scopo: che nessun prete in Siria elevi più l’Ostia.

Da questo angolazione – la visione di Satana – diventa tutto chiaro, anche ciò che è assurdo: l’insensata ostinazione di Obama per un’aggressione che aggraverà e coprirà di altro sangue l’inferno siriano, il perché Washington abbia moltiplicato, ed armi e finanzi nei Paesi islamici ciò che la sua propaganda chiama «Al Qaeda», persino l’odio della Massoneria laicista francese (Hollande) per un regime laico stabilizzatore, e l’alleanza di protestantesimo forsennato americanista, messianismo sabbateo con il sionismo armato, razionalismo umanitario ed oscurantismo takfirista saudita. Un potente grumo di forze, una legione di posseduti e di ossessi dostojevskiani contro cui non valgono che «la preghiera ed il digiuno».

Il Papa ha con un solo atto d’imperio smascherato la falsa equazione: Occidente = Cristianesimo (e il suo corollario più falso, il «giudeo-cristianesimo» come pseudo religione noachica) a cui il precedente buon Ratzinger, laudatore del modello liberale americano e del falso Agnello israeliano, ha creduto e che ha benedetto nel decennio di Bush figlio, dei suoi delitti, stermini e dei suoi false flags, convinto in buonissima fede che l’Occidente avesse da fare la Crociata contro i nemici di Giuda. L’amico Siro ben mi ricorda il giorno in cui Benedetto XVI, «deferente, aprì lo sportello dell’auto al mentecatto omicida George W. Bush»: terribile e fatale, per il capo della Chiesa, sbagliarsi di Anticristo nel momento cruciale della sua manifestazione.

Oggi, si deve vedere invece lo scompiglio e la rabbia nel campo dei vari teocon, neocon, atei-devoti: nel Foglio, loro organo, la furibonda propaganda di aggressione anti-Assad si coniuga il dispetto per l’iniziativa di Papa Francesco, gratificato di vignette crudeli Giuliano Ferrara non riesce a nascondere la sua rabbia; il nuovo Papa non lo legge più e non lo segue. Ferrara non si trattiene: «Perché non ha indetto una giornata di digiuno per i cristiani in Nigeria, o per l’aborto?», sono i suoi argomenti. È l’argomento di Giuda: «Si poteva vendere questo profumo e darne il ricavato ai poveri». Interessante constatare che sprizza odio e zelo per le armate occidentali contro la Siria anche l’umanitario professionale, e vero assassino, Adriano Sofri. Piuttosto divertente sentire da Radio Maria il tono di Padre Livio, costernato che Il Foglio, il «suo» giornale, non è stavolta dalla parte del Papa. Ancor più divertente l’imbarazzata circolare interna con cui Alleanza Cattolica, più precisamente Massimo Introvigne, ha chiamato i suoi adepti ad obbedire al Papa, nonostante sia in contrasto con «Il Foglio» che «per vario titolo stimiamo», e che s’è schierato «per l’intervento armato in Siria»; dunque parteciperanno al digiuno, ma «mettendo in guardia contro ogni forma di pacifismo». Poi c’è la Fraternità San Pio X che non partecipa perché la veglia notturna in piazza San Pietro sarà interconfessionale, e a quanto pare senza Eucarestia…

Non ho commenti, solo sospiro. Uno sforzo per capire da dove viene questo Papa «pacchiano e un po’ tamarro» (amico Siro!) non sarebbe male. Per questo, invito alla lettura di un articolo molto istruttivo.

È qui la chiave: Jorge Maria Bergoglio è un peronista. Come tanti sudamericani e tutti gli argentini di destra o sinistra non importa, è intriso della mentalità e degli stili impressi dalla lunga, cordiale dittatura di Jean Domingo Peròn e dalla sua adorata consorte, Evita, oggetto di indiscussa iperdulìa. Peròn, cattolicissimo, vinse le sue prime elezioni con lo slogan «Dios, Patria y justicia Social»; la sua idea di economia era ispirata alla dottrina sociale della Chiesa, e «caratterizzate da una forte critica al capitalismo e alle sue strutture d’ingiustizia, sfruttamento e oppressione sociale, senza per questo cadere in derive comuniste»: stesse idee ancor oggi nutrite e praticate da Bergoglio. Da studente si fece punire per essere andato in classe con il distintivo peronista in vista; da giovane prete, divenne padre spirituale della formazione peronista Guardia de Hierro, fautrice di una terza via tra le due violenze peroniste, filocomunista-montoneros e destrista Tripla A – già, perché il peronismo in Argentina è «tutto», un mistico tutto che comprende Evita e la giustizia sociale come sogno, e mantiene e contiene il nero e il rosso… e l’anti-americanismo, l’anticapitalismo come tratto comune.

Già. Provate a vedere Bergoglio in chiave peronista, e tutto diventa più chiaro: la sua informalità e il suo autoritarismo cordiale e paternalista, la sua «modernità» apparente unita a vera fede senza rispetti umani. Peronismo è stato il suo primo gesto di richiesta di benedizione: gesto – come insuperabilmente sottolinea Andrae Virga – «di un capo carismatico che, con l’appoggio delle masse, intende rovesciare le vecchie élites ramificate, in favore di una struttura di potere più piramidale». Si capiscono e condonano anche certi suoi pressapochismi e ineleganze plebee: in ogni peronista cova una simpatia caratteriale per i descamisados.

In questo, rincresce riconoscerlo, è ovvio che uno come lui, che ha passato la vita nella specialissima esperienza argentina, non ha alcuna particolare simpatia per i fautori della Messa in latino, fra cui mi pongo. Il 16 giugno 1955 aerei della Marina Militare bombardarono la folla durante un comizio di Peròn, causando centinaia di morti – e immani disordini per vendetta. Un gesto insensato, o forse ordinato dai referenti politici a Washington di questi anti-peronisti in divisa, liberisti e difensori della borghesia compradora in politica sociale? Certo è che gli aerei che bombardavano la gente, portavano la scritta Cristo Vence. Per un sudamericano cattolico, la richiesta della Messa in latino evoca i generali liberisti e filo-amnericani, la Tripla A; evoca il «dottor Plinio» Correa De Oliveira, la sua Tradiçao Familia Propriedad che – pur con tutti i suoi meriti di banditrice della «dottrina contro-rivoluzionaria» – sul piano sociologico, economico e politico, in Latino America è strumento delle classi possidenti, latifondiste, subalterne agli interessi delle multinazionali Usa, e feroci protettrici dei propri privilegi.

In Italia non è così. Sappiamo che chi chiede la Messa in latino non è quel tipo umano, né ha a nulla di vedere con quegli interessi. Bisogna convincerne Bergoglio, questo è il punto.

Fonte: EFFEDIEFFE.com





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[SM=g1740758]
  1. quando Blondet scrive:

    “Il Papa ha con un solo atto d’imperio smascherato la falsa equazione: Occidente = Cristianesimo (e il suo corollario più falso, il «giudeo-cristianesimo» come pseudo religione noachica) a cui il precedente buon Ratzinger, laudatore del modello liberale americano e del falso Agnello israeliano, ha creduto e che ha benedetto nel decennio di Bush figlio, dei suoi delitti, stermini e dei suoi false flags, convinto in buonissima fede che l’Occidente avesse da fare la Crociata contro i nemici di Giuda. L’amico Siro ben mi ricorda il giorno in cui Benedetto XVI, «deferente, aprì lo sportello dell’auto al mentecatto omicida George W. Bush»: terribile e fatale, per il capo della Chiesa, sbagliarsi di Anticristo nel momento cruciale della sua manifestazione”.

    Qui Blondet fa una enorme confusione e dimentica la provenienza culturale e socio-politica dei due Papi….
    Innanzi tutto non era assolutamente una falsa equazione Occidente=Cristianesimo, semmai da dopo il Concilio e con la nuova rotta intrapresa sulla libertà religiosa si è aggiunto che le radici d’Europa non sono solo cristiane anche giudaiche….
    L’Occidente era eccome Cristiano, e a causa degli eventi delle stragi della seconda guerra mondiale, si è deciso di dare a queste origini anche un volto giudaico, semitico…… giacchè disse Pio XI prima e Pio XII poi “noi – cattolici – siamo semiti” e non potrebbe essere diversamente giacchè è Gesù stesso che ricorda ai farisei la nostra comune paternità nella fede del Padre Abramo.
    Quindi l’Occidente, grazie all’opera di San Benedetto, fondò la sua espansione, crescita e cultura nel cuore del Cristianesimo.
    Quanto alla critica a Papa Benedetto XVI che aprì lo sportello della macchina a Bush si dimentica che fu un gesto di cortesia essendo egli entrato ospite in Vaticano e non fu una visita politica…. Bush espresse il desiderio di visitare i Giardini Vaticani dopo che egli stesso, nel 2008, si offrì da cicerone a Papa Benedetto in visita alla Casa Bianca e dove gli offrì una torta per il suo 80esimo compleanno caduto proprio in quel giorno….
    E’ vero che a partire già da Pio XII la politica americana e il suo modello di democrazia è sempre stato corteggiato da tutti questi Pontefici, ma sempre in lotta laddove in nome della democrazia, si pretendeva usare la forza….e soprattutto si pretendeva di soggiogare gli altri.
    Mi suona strano che Blondet tace infatti sugli atteggiamenti usati da Giovanni Paolo II.
    Faccio una sintesi:
    nonostante gridasse all’angelus “mai più la guerra” Giovanni Paolo II appoggiò l’intervento, soprattutto italiano (all’epoca c’era D’Alema) nei BALCANI a favore della Croazia e siamo agli inizi degli anni Novanta.
    Mentre manifestò tutta la sua contrarietà per l’intervento armato contrno l’Iraq e contro Saddam e la sua condanna a morte….
    Siamo tutti, se veramente cattolici, contro un certo giudaismo imperante e prepotente, rinchiuso in una esclusiva politica dei confini e dell’asso pigliatutto che esclude infatti il popolo palestinese del suo diritto di esistere e di avere una propria Patria terrena, ma non si può fare di tutt’erba un fascio! Questo insegna la Chiesa da Pio XII: i casi vanno valutati uno ad uno come ha ben distinto e fatto Giovanni Paolo II.
    Definire poi un solo presidente americano come figura dell’Anticristo, fa ridere poichè la promessa è che dopo l’avvento di questo personaggio, c’è il ritorno di Cristo che ancora non s’è visto.
    Stai a vedere che adesso l’Anticristo era anche Benedetto XVI che non avrebbe saputo vedere l’Anticristo che gli stava davanti….. e trasformare così il suo Successore come il Cristo redivivo! Ma per favore!
    Senza dubbio l’azione intrapresa da Francesco con la Veglia di preghiera è stata una mossa eccellente e tutta squisitamente cattolica. Obama è stato costretto a rivedere la sua posizione e Francesco è diventato davvero quel “generale” che in questo momento ha saputo riprendere le redini dell’Europa alla maniera cristiana, e per condurci dove? al Cristo! Tante belle parole caro Blondet, ma per osannare davvero un Pontefice è necessario inserire anche lo scopo del suo operare che è e resta la conversione a Cristo.
    Senza questa conversione ogni battaglia intrapresa sarà ed è un fallimento!
    San Pio V che non partecipò ovviamente alla battaglia di Lepanto, mosse tutte le sue divisioni di fedeli con l’arma del Rosario mentre le truppe riunite da patti politici, muovevano la battaglia finale e decisiva contro i turchi.
    Mentre si combatteva tutta l’Europa, guidata spiritualmente dagli appelli fatti da Pio V, pregavano.

    Chi ben conosce la storia possiamo dire che sabato 7 settembre è riaccaduta una cosa simile. [SM=g1740733]

    In tutte le Chiese del mondo, nell’Europa, organizzavano le proprie truppe e divisioni a suon di Rosari e adorazioni eucaristiche, digiuni e penitenze.
    Questa è la vera forza della Chiesa, questa è la vera forza dell’Europa cristiana e che farebbe bene a ricordare di avere nelle sue radici la fede nel Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, l’unico vero Dio che si è manifestato in Nostro Signore Gesù Cristo!
    Un Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe senza la manifestazione del Cristo Gesù, resta un dio generico, il dio de nojaltri accomodante, guerriero, bono per tutte le missioni e bono per tutte le occasioni, bono per tutte le fedi, sul quale si può dire tutto e nulla, tutto e il contrario di tutto.



[SM=g1740771]





Caterina63
00sabato 14 dicembre 2013 10:22

  Müller si spiega in buon tedesco ai ribelli di Monaco e Colonia

Su comunione ai divorziati ed elezione dei vescovi niente da fare, dice il custode della Fede in un’intervista. Kasper non ci sta

Nessuna volontà di bloccare il dibattito, tutt’altro. Ma l’insegnamento di Cristo e della chiesa non può essere oggetto di discussione. E’ questa la risposta che il prefetto della congregazione per la Dottrina della fede, monsignor Gerhard Ludwig Müller, dà al cardinale Reinhard Marx, arcivescovo di Monaco e Frisinga, che lo aveva criticato per le affermazioni sulla pastorale matrimoniale. Qualche settimana fa, infatti, nel corso di un’assemblea dei vescovi bavaresi, Marx aveva dichiarato che nessuno, tantomeno Müller, poteva troncare il confronto su tutte quelle problematiche inedite che saranno al centro del Sinodo in programma il prossimo autunno a Roma.

Prima fra tutte, la possibilità che i divorziati risposati siano ammessi ai sacramenti. “Il credo religioso non deve essere confuso con un programma di partito, che può essere sviluppato e interpretato a seconda dei desideri dei membri o degli elettori di quella stessa formazione politica”, ha detto il secondo successore di Joseph Ratzinger all’ex Sant’Uffizio in un colloquio con il quotidiano Passauer Neue Presse riportato anche dall’agenzia cattolica in lingua tedesca kath.net. “La responsabilità pastorale – ha aggiunto Müller – deve sempre fondarsi sulla sana dottrina”.

L’insegnamento della chiesa non può essere messo da parte neppure quando si invoca la misericordia per cancellare peccati e giustificare prassi contrarie alla volontà di Dio (come Müller ha definito, in un articolo sull’Osservatore Romano dell’ottobre scorso, la possibilità che un divorziato risposato acceda alla comunione, secondo quanto concesso dalle chiese ortodosse). A dargli man forte è arrivato anche il prefetto della Segnatura apostolica, il cardinale americano Raymond Leo Burke: “Müller non ha reso nota la sua opinione personale, bensì ha ricordato l’insegnamento della chiesa, che non può essere cambiato. Diffondere l’idea che ci sarà un cambiamento radicale, e che la chiesa cesserà di rispettare l’indissolubilità del matrimonio, è sbagliato e assai dannoso”. Eppure, proprio ieri, in un’intervista apparsa sulla Zeit, il cardinale Walter Kasper si è detto sicuro che presto i divorziati risposati potranno accedere ai sacramenti: “Ciò che è possibile a Dio, vale a dire il perdono, deve valere anche per la chiesa”.

Müller ha anche chiarito che la proposta dei trenta sacerdoti e diaconi di Colonia per aprire la procedura d’elezione del nuovo vescovo anche ai laici, non s’ha da fare. Se passasse quella iniziativa, ha detto, si andrebbe incontro al rischio più volte richiamato da Bergoglio di concepire la chiesa come “un’organizzazione fatta di uomini”. La nomina di un vescovo, ha invece, non ha nulla a che vedere con “lotte per il potere, distribuzione di poteri e conquista di potere da parte di fazioni ideologicamente ristrette che distruggono l’unità della chiesa. Il vescovo è eletto da Cristo e costituito tale dallo Spirito Santo”. No, dunque, a urne e schede elettorali per scegliersi il vescovo preferito. Si seguiranno le consuete procedure, che prevedono il voto del capitolo della cattedrale. E pazienza se tra chi vede nella rinuncia del cardinale conservatore Joachim Meisner la ghiotta occasione per dare una sterzata progressista alla guida della ricca Colonia, c’è anche Hans Küng.

Il teologo svizzero che insorse contro la nomina di Müller alla congregazione per la Dottrina della fede, definendola una “Katastrophe!”, ha rivisto nelle ultime dichiarazioni del custode dell’ortodossia cattolica l’atteggiamento del prefetto Ratzinger, la sua vera ossessione. Al punto da avvertire Francesco sul rischio di avere “un Papa ombra”. Una teoria che diverte Müller: “Che godimento vedere ancora come Hans Küng, nella sua vecchiaia, sia pieno di entusiasmo per il successore di Cristo e capo visibile di tutta la chiesa, come dice il Vaticano II”.

di Matteo Matzuzzi   –   @matteomatzuzzi



 
Caterina63
00venerdì 20 dicembre 2013 11:19

Il prefetto di Francesco e segretario di B-XVI alza la voce in Germania

 

“Molti di quelli che si erano mostrati entusiasti per Francesco rimarranno con la gioia strozzata in gola”. Sono parole dure quelle che monsignor Georg Gänswein, prefetto della Casa pontificia e segretario del Papa emerito Benedetto XVI, pronuncia in un intervento che sarà pubblicato sul numero di gennaio della prestigiosa rivista di cultura tedesca Cicero. Guarda alla situazione della chiesa di Germania, una parte consistente della quale avanza a Roma richieste di rapide riforme e significativi cambi di passo. Svolta sulla pastorale familiare, sui sacramenti, tanto per cominciare. E ancora, sì a un ruolo più attivo e centrale delle donne nella chiesa. Non si tratterà delle cardinalesse – chi lo pensa “soffre un po’ di clericalismo” – ha detto domenica Francesco nell’ampia intervista concessa ad Andrea Tornielli e pubblicata sulla Stampa – ma sulle diaconesse si può aprire il dibattito. Gänswein, però, frena: “Non credo che il Papa concederà spazio a certe iniziative provenienti dalla Germania”, e il riferimento è proprio alla possibilità di concedere il diaconato alle donne, ipotesi rilanciata anche da porporati di rango come il cardinale teologo Walter Kasper: “Impossibile”, dice il segretario personale del Pontefice emerito.

Durante l’ultima sessione primaverile della Conferenza episcopale tedesca svoltasi a Treviri, l’ex presidente del Pontificio consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani spiegava come fosse possibile istituire la figura del diacono femminile capace di svolgere funzioni pastorali e particolari servizi liturgici. Non c’erano problemi di dogmi, aggiungeva Kasper: niente ordinazione, basterebbe una semplice e meno impegnativa benedizione. Gänswein si mostra perplesso e non vede all’orizzonte cambiamenti su questo fronte, neppure ora che Papa è il gesuita che tante aspettative ha generato in gran parte dell’episcopato mondiale, con il quale dice di collaborare “in fiducia e armonia”. Rimarranno deluse, quindi,  “quelle forze che hanno cercato di sfruttare il nuovo Pontefice per i propri interessi”, spiega il prefetto della Casa pontificia. Basta guardare al documento dell’ufficio per la cura delle anime della diocesi di Friburgo che autorizzava il riaccostamento dei divorziati risposati ai sacramenti, primo fra tutti la comunione, nel nome della misericordia tanto evocata da Francesco. Ma è stato lo stesso Pontefice, sempre alla Stampa, a chiarire di aver “parlato del battesimo e della comunione come cibo spirituale per andare avanti, da considerare un rimedio e non un premio. Alcuni – ha aggiunto – hanno subito pensato ai sacramenti per i divorziati risposati, ma io non sono sceso in casi particolari: volevo solo indicare un principio”.

Una risposta indiretta anche a quanti, a partire dal cardinale Reinhard Marx, arcivescovo di Monaco e Frisinga, avevano accusato il prefetto della congregazione per la Dottrina della fede, monsignor Gerhard Ludwig Müller, di voler imbrigliare e chiudere il dibattito sulla pastorale matrimoniale in vista del prossimo Sinodo straordinario di ottobre. Polemiche assurde, le ha definite qualche giorno fa in una lunga intervista all’agenzia cattolica tedesca kath.net il cardinale svizzero Kurt Koch, tra l’altro successore di Kasper al dicastero per l’unità dei cristiani e in questi giorni in visita in Russia (ha incontrato anche il Patriarca di Mosca, Kirill): “Müller non ha fatto altro che richiamare la dottrina della chiesa, ribadendo ciò che era già stato affermato sul tema specifico all’epoca in cui prefetto dell’ex Sant’Uffizio era il cardinale Joseph Ratzinger. Ogni serio esame del problema deve partire da questi insegnamenti, che corrispondono alla chiara volontà di Gesù Cristo”. Opporre ancora una volta l’insegnamento alla pastorale, ha detto Koch, “non può essere la direzione in cui si deve muovere la chiesa. Nuove modalità di espressione pastorale si possono trovare solo nella luce portata dalla verità della dottrina”.

di Matteo Matzuzzi   –   @matteomatzuzzi




   la profetica vignetta fatta prima di questo articolo.....






Caterina63
00domenica 19 gennaio 2014 20:52









Francesco, lo stupore, le resistenze

19.1.2014

Un anno (quasi) del Papa venuto da lontano. Tra entusiasmo popolare e qualche vento contrario. Parla il vaticanista del Tg2 Brunelli

ALVER METALLI
BUENOS AIRES

Sarà un febbraio caldo, come si diceva un tempo dell’autunno sindacale, e un marzo caldissimo, e non già dal punto di vista atmosferico, naturalmente, ma da quello editoriale. A Bergoglio-Francesco vicino al giro di boa del primo anno di pontificato verranno dedicati libri – almeno sei a conoscenza nostra – e fiction cinematografiche e televisive – quattro già in produzione. Quali le novità del papa venuto da lontano? E dove e come ha inciso maggiormente in questo scorcio di tempo? Lucio Brunelli, vaticanista Rai da un ventennio, da più tempo ancora alle prese con l’informazione religiosa, risponde con parole soppesate, passate al filtro di una quasi quotidiana frequentazione dell’attività del Papa. Questo, per lui, è un papa “speciale” e non lo nasconde…

Alla vigilia del Conclave eri uno dei pochi giornalisti che indicavano Bergoglio tra i papabili. Perché? Solo per affetto ad un cardinale che ben conoscevi?

«L’affetto c’era, e c’è ancora, indubbiamente… ma la convinzione che il cardinale di Buenos Aires fosse un papabile era basata su dati di fatto. Percepivo un grande desiderio di cambiamento fra i cardinali (in special modo quelli extraeuropei) dopo lo scandalo Vatileaks e la drammatica rinuncia di Benedetto XVI. La barca di Pietro sembrava incagliata, flutti oscuri sembravano avvolgerla. Si cercava un uomo di Dio, con una grande forza spirituale, non di curia, e non italiano, perché gli italiani a torto o ragione erano considerati parte in causa nelle penose vicende della Curia romana. Bergoglio rispondeva a questo identikit come nessuno altro. Gli unici dubbi riguardavano la sua supposta indisponibilità, perché s’era diffusa la leggenda che nel conclave del 2005 avesse rifiutato i voti di quanti cercavano in lui un’alternativa “pastorale” al candidato “dottrinale” Ratzinger. E poi c’era la questione dell’età, 76 anni. Tutti dubbi spazzati via durante la preparazione del conclave, nelle segretissime congregazioni generali. L’intervento di Bergoglio lasciò a bocca aperta tutti i cardinali, sia per i contenuti espressi (una Chiesa che deve uscire da se stessa, liberarsi dalla mondanità spirituale, per poter lasciar meglio riflettere la luce di Cristo fra gli uomini del nostro tempo, fino alle periferie esistenziali più lontane…) sia per lo spirito profondamente religioso, credibile, che aveva animato le sue parole.

Quando ebbi notizia certa dell’accoglienza ricevuta dal suo discorso, telefonai al mio capo redattore per proporre un servizio su Bergoglio da inserire nella nostra ristretta lista dei papabili che avevamo iniziato a trasmettere, uno per sera.

“Sicuro che non sarà al 65esimo posto della lista?”, mi chiesero dal tg.

“Sicuro, sarà molto molto più in su” risposi.

E il servizio andò in onda la sera stessa, era il 9 marzo. Ricordo anche una emblematica battuta che raccolsi alla vigilia del conclave da un influente uomo di Chiesa: “Sarà anziano, ma basterebbero quattro anni di un papato Bergoglio per riformare la Chiesa”. Insomma non avevo più dubbi che il cardinale argentino fosse un candidato forte e leggevo con ironia i titoli del Corriere della Sera e Repubblica che, fino alla fine, presentarono il conclave come una partita a due, dall’esito scontato, fra l’italiano Scola e il brasiliano Sherer. Anche se poi, quella sera del 13 marzo, mentre ero in diretta per il mio tg e ho sentito il cardinale Tauran pronunciare in latino il nome di Giorgio Mario Bergoglio come nuovo papa a momenti svenivo per l’emozione e la felicità».

Ai quattro anni di papato di Bergoglio manca molto, ma nelle vicinanze del giro di boa del primo anno in cosa credi abbia già inciso.

«Ha inciso innanzitutto nella percezione della Chiesa fra la gente. E c’è del miracoloso nella rapidità del cambiamento avvenuto. Si guarda al Papa e alla sua predicazione, in tutto il mondo, con stupore, interesse, simpatia. E le più impressionate da Francesco sembrano proprio le persone che fino a ieri sembravano più lontane o diffidenti verso la Chiesa. Poi Francesco ha gettato le basi di un rinnovamento profondo della curia romana. Per liberarla da un eccessivo centralismo burocratico e dalla malattia del carrierismo ecclesiastico. Le prime nomine cardinalizie sono state un segnale molto concreto in questa direzione. Finisce l’automatismo per cui certi uffici vaticani o certe diocesi potevano rivendicare la porpora cardinalizia quasi per diritto divino. Un altro intervento molto incisivo lo ha effettuato nella composizione della congregazione dei vescovi, uno dei dicasteri più influenti della curia, perché è lì che si decide la fisionomia che deve avere la ‘classe dirigente’ della chiesa cattolica. Francesco vuole vescovi con l’odore delle pecore, non funzionari; li vuole vicini alla gente, capaci di predicare con la vita il Vangelo di quella misericordia che è il proprium di Cristo».

Rispetto al Bergoglio che conoscevi prima quali aspetti di Papa Francesco ti colpiscono di più e perché?

«Mi colpisce molto la forza, la determinazione tranquilla, l’ostinazione gioiosa con cui compie le sue scelte. Dalla decisione di abitare a Santa Marta, al rifiuto di farsi gestire da una corte… fino agli interventi che stanno terremotando la Conferenza episcopale italiana. Lo vedo più forte e più sereno. Non si lascia stressare dalla mole dell’impresa riformatrice e dal peso delle resistenze. Si vede che riposa in Dio, sente di fare quello a cui Dio lo chiama, per questo va avanti deciso per la sua strada, sobbarcandosi una grande fatica ma senza perdere mai la serenità. E poi mi incanta quello che vedo, di riflesso, nei fedeli, quando sono a San Pietro come cronista: stupore, commozione, gratitudine. Come accadeva ai discepoli che in Palestina duemila anni fa assistevano esterrefatti e commossi alla predicazione e ai gesti di Gesù. Perché la vera riforma è tornare a quell’origine li. E non è cosa questa che puoi programmare a tavolino, come ci insegnava il grande Benedetto XVI: è la grazia che Dio concede in alcuni periodi ad alcune persone. Per rendere più facile, a tutti, di seguire il bene, il vero, il bello».

Stanno emergendo resistenze, sia vicine al Papa, nell’ambiente a lui più prossimo, che in altri ambienti ecclesiali. Ti risulta? E che “estensione” hanno?

«Ci sono resistenze, diciamo così, ideologiche e resistenze psicologiche e di potere. Una parte dell’establishment ecclesiastico rimprovera al papa di parlare troppo poco contro quei mali morali su cui le gerarchie cattoliche negli ultimi decenni hanno concentrato tante energie e battaglie politiche: aborto, eutanasia, matrimoni gay… Ovviamente Papa Francesco condivide gli stessi principi e ha definito un “orrore” il dramma dei bambini non nati, vittime dell’aborto. Però lui desidera conquistare anime, gli interessa la salvezza, ovvero la felicità delle anime, anche e soprattutto quella delle persone lontane. E capisce, perché è un uomo di Dio e un pastore con tanta esperienza sul campo, che il cristianesimo non entra nei cuori ripetendo in modo ossessivo dei no ma solo per un’attrattiva. Una “Bellezza che ci precede e ci mette in cammino” come ha detto, parlando dei Re Magi, nell’Angelus dell’Epifania. Sono straconvinto che il semplice guardare con animo puro alla tenerezza con cui Papa Francesco si rapporta agli anziani, ai disabili, ai bambini afflitti da gravi malattie o handicap, abbia un’efficacia educativa mille volte più concreta e persuasiva di tanti editoriali a muso duro contro l’eutanasia o l’aborto. Solo l’ottusità a cui ha portato certo militantismo cattolico, certo “cristianismo” ideologico senza Gesù, può non vedere e non rallegrarsi».

…e le resistenze psicologiche e di potere?

«L’ideologia a volte è solo una maschera. C’è un mondo clericale – non tutto, per fortuna, ma un parte – che si sente messo a nudo, nella sua meschinità spirituale, dalla predicazione e dalla testimonianza di Francesco. Quelli che hanno la coda di paglia, come mi diceva ieri con molta semplicità un onesto collaboratore degli ultimi tre Papi. È la stessa rabbia che covava negli scribi e nei farisei di fronte alla presenza mite e vera di Gesù, presenza che non riuscivano a imprigionare nei loro schemi. Difficile quantificare queste resistenze, anche perché non esiste un metro per misurare il cuore di una persona, ma ci sono, e il Papa ne è ben consapevole. Talvolta si saldano con interessi economici esterni al Vaticano, che temono di perdere i loro riferimenti».

Qual è il segreto della trasversalità di questo Papa che riesce a parlare a tutti? Forse nel fatto che predilige un richiamo garbato al bastone dell’anatema?

«Il garbo… mi piace questa espressione. C’è una delicatezza, anche una discrezione che fa parte del cuore stesso dell’esperienza cristiana, perché la fede è una grazia, chi la vive sa che non può essere mai pretesa, nessuno può essere forzato a credere. Come nessuno si può innamorare a comando di una donna. Accade, come la sorpresa di un incontro. Quindi un cristiano, un cristiano vero, ha un culto vero della libertà. Permesso, scusa, grazie… le tre parole che Papa Francesco indica a tutti come il segreto di una buona vita familiare, sono parole profondamente cristiane. Un credente le adopera spontaneamente nel suo rapporto con Gesù: scusa, grazie… coscienza del proprio male, e gratitudine per un perdono non scontato. Questo imparo da Francesco, sulla scia del pontificato Ratzinger: più la Chiesa torna all’essenziale, quindi al mistero della misericordia, vero cuore del Vangelo, più diventa “trasversale” cioè capace di incontrare ogni uomo e tutto l’uomo, nelle sue ferite e nel suo desiderio, desiderio che nel suo livello profondo è universale; unisce l’eschimese e l’indio, l’uomo colto europeo e le plebi del Corno d’Africa in fuga da fame e povertà».

Garbo, certo, ma Francesco ha lanciato anche severe invettive contro la corruzione della politica e l’inumanità di un’economia che uccide...

«Anche di queste prese di posizione mi impressiona prima di tutto la forza libera del Papa. Dice cose di una verità evidente e sacrosanta: che si fa grande tragedia, ad esempio, per un piccolo calo in borsa mentre si è persa la capacità di piangere per i rifugiati che muoiono in mare, e si fa spallucce se a crepare è un barbone o un tossico: scarti umani in una società dove comanda il denaro. Ma se queste fossero solo denunce politiche o un cupo stracciarsi le vesti dai toni savonaroliani, non avrebbero lo stesso effetto. La gente percepisce anche in queste severe parole di Francesco un prendersi a cuore la persona, il cui valore non dipende alla stima del potere ma dal fatto di esistere, di essere stata voluta da Dio. E allora questo passa, questo colpisce ed educa. Quanto alla predilezione per i poveri, la “carne di Cristo”, altro che populismo peronista o cripto marxismo: Francesco dice che è una questione teologica: un Dio onnipotente decide di farsi povero per amore degli uomini. La condivisione del bisogno, il chinarsi sull’umanità più ferita, è il metodo stesso di Dio»

È un Papa che crede nell’efficacia, anche “politica” della preghiera. L’ha detto di recente, nel messaggio per la Pasqua, ricordando la veglia di preghiera e digiuno indetta per la pace in Siria.

«A settembre sembrava questione di ore un intervento militare americano contro la Siria. Il Papa riteneva che avrebbe solo peggiorato le condizioni della popolazione siriana già martoriata da una feroce guerra civile. Alla veglia di preghiera e alla giornata di digiuno hanno aderito nel mondo milioni di fedeli, non solo cattolici, e persino tanti non credenti. Molto probabilmente questa semplice ma intensa mobilitazione spirituale ha contributo a fermare un attacco che sembrava inevitabile. Ma il Papa non pensa certo di aver risolto il dramma siriano. Non c’è mai stato trionfalismo nelle sue parole. Anche perché laggiù si continua a morire. Francesco continuerà a spronare la comunità internazionale perché cerchi con convinzione una soluzione politica, per porre fine alla guerra. E nello stesso tempo continuerà a pregare e a chiederci di pregare per la pace. Lui, molto più di noi, crede davvero nella efficacia della preghiera. Una volta ha detto che non bisogna temere di alzare la voce, anche di lottare con Dio, perché si giri verso di noi e finalmente presti ascolto al nostro grido».

 

Terre d’America






Sinodo e famiglia, il Papa manda a dire...

di Matteo Matzuzzi
19-01-2014





«Il Papa ha parlato spesso di sinodalità e la immagina come una forma di vita nella Chiesa», ma «non mette né può mettere in discussione la struttura della chiesa, che è gerarchica per volontà di Cristo». Parola di monsignor Marcello Semeraro, vescovo di Albano e tra i più fidati consiglieri di Papa Francesco, tanto da essere stato nominato da Bergoglio segretario della speciale consulta incaricata di riformare la Curia romana. 

Semeraro parla alla rivista Jesus e fa chiarezza su alcune delle questioni che più hanno fatto discutere in questi primi mesi di pontificato. A cominciare dalla gerarchia e del primato petrino. Fin dalla prima apparizione di Francesco dalla Loggia delle Benedizioni, lo scorso 13 marzo, molti osservatori avevano posto l'accento sulla definizione di "vescovo di Roma" che il neoeletto pontefice dava di sé. Senza dimenticare la citazione di Ignazio d'Antiochia riguardo la Chiesa di Roma che "presiede nella carità tutte le altre Chiese". Altri indizi circa una spinta verso la sinodalità si riscontravano poi nelle omelie in San Pietro, in quelle mattutine a Santa Marta e nei discorsi ufficiali. Un po' di chiarezza, però, veniva fatta il 29 giugno, durante l'omelia pronunciata in occasione della celebrazione dei Santi Pietro e Paolo. In tale occasione, Bergoglio parlò sì di sinodalità, ma rimarcò la necessità che questa fosse «in armonia con il primato petrino». Cioè il suo. 

Ed è su questo punto che mons. Semeraro insiste: «Taluni fanno l'analogia con una struttura monarchica piramidale. Ed effettivamente la Chiesa è gerarchica. Il Papa, da buon gesuita, ripete spesso l'espressione di Sant'Ignazio 'la nostra santa madre Chiesa gerarchica'». Tutto questo, aggiunge il vescovo di Albano, non è oggetto di revisione. Semmai, spiega, «sono piuttosto le forme di comportamento, gli stili, a essere messi in discussione». E comunque, Francesco «non mette affatto in contrapposizione gerarchia e carisma. Il carisma sta dentro la chiesa. Il problema siamo noi, quando non ci lasciamo guidare e riscaldare dallo Spirito». Insomma, non è qui che si concretizzerà la tanto invocata rivoluzione.

Un aspetto connesso e allo stesso modo ampiamente discusso è quello della decentralizzazione. NellaEvangelii Gaudium, l'esortazione apostolica presentata lo scorso novembre a conclusione dell'Anno della fede, il Pontefice affida al discernimento degli episcopati locali tutte le problematiche che si prospettano nelle Chiese particolari. Una scelta che può creare qualche problema, nota Jesus, a cominciare dalla traduzione dei testi liturgici. Semeraro ammette che «il Papa usa effettivamente il termine decentralizzazione, ponendolo tra virgolette. Vuol dire che occorre osservarlo con attenzione. Il Papa lo impiega immediatamente per affermare che dal magistero papale non si deve sempre attendere una parola definitiva e completa su qualsivoglia problema e che, d'altra parte, il discernimento sulle problematiche di un determinato territorio spetta in primo luogo agli episcopati locali». 

Decentrare, secondo le intenzioni di Bergoglio, spiega il segretario del "C-8" cardinalizio, «non significa perdere il centro; piuttosto alleggerirlo dal peso di tutto ciò che non gli compete direttamente». Tuttavia, ed è interessante notare l'ammissione di mons. Semeraro, «allarmismi su questa parola possono essere motivati, ma non giustificati». Sugli sviluppi futuri del rapporto tra sinodali e decentramento, il vescovo di Albano ricorda che a tal proposito «il Papa ha citato anzitutto il Consiglio degli otto cardinali e la riforma della segreteria del Sinodo dei vescovi. Inoltre, ha accennato, quanto alla metodologia, alla Commissione post-sinodale, con il carattere permanente di consulta. Ha aggiunto i concistori cardinalizi, i processi per le beatificazioni e canonizzazioni». 

In riferimento al Sinodo dei vescovi, «il Papa evidentemente fa tesoro dell'esperienza maturata nel Celam (la conferenza dell'episcopato latinoamericano, ndr), inserendo un dinamismo e stile nuovi. Si pensi anche al questionario diffuso a largo raggio per il prossimo Sinodo sulla famiglia». E proprio su questo, mons. Semeraro allontana l'idea che si potesse trattare di un sondaggio generico capace di avere grande influenza sull'assise sinodale, fino a condizionarne l'andamento e i risultati. Niente di tutto questo: «Da parte di alcuni c'è il timore che il questionario abbia il sapore di un sondaggio sicché poi si debbano convalidare delle maggioranze». Sbagliato: «Il carisma del Papa o dei vescovi non è quello di fare i notai di una maggioranza». Il fatto è che in questo momento «le Chiese si sentono incoraggiate a porre delle domande. E la Chiesa non ha soltanto risposte da dare, ha pure bisogno di domande poste nella maniera giusta».

Una delle prospettive di cui si è più parlato, nei mesi scorsi – anche alla luce della convocazione di un Sinodo straordinario sulla famiglia –, è quella della resa permanente dell'istituto oggi guidato da monsignor Lorenzo Baldisseri, prossimo cardinale nel concistoro di febbraio. «Il Sinodo – dice a Jesus il vescovo di Albano – è una struttura canonica che non appartiene alla tradizione della Chiesa cattolica latina. E' vero, però, che a Roma attorno al Papa è canonicamente tradizionale il collegio dei cardinali con il Concistoro. Se si va oltre i nomi e pure non si idealizza eccessivamente la struttura sinodale della Chiesa orientale, credo che nella Chiesa latina l'approfondimento circa la natura delle conferenze episcopali e lo sviluppo di prassi specifiche possano essere eventi che promuovono la sinodalità».



I Papi hanno sempre avuto dei nemici sia dall’interno della Chiesa che dal di fuori. Abbiamo avuto i Papi martiri dei primi secoli, vittime degli imperatori romani. Abbiamo avuto i Papi contestati dagli scismatici orientali a partire dal sec. XI. Abbiamo avuto l’opposizione subìta dagli imperatori tedeschi in occasionedella lotta per le investiture nei secc. XII-XIII. I catari del sec. XIII respingevano il papato. Abbiamo avuto lo scisma d’Occidente nel sec. XIV. Abbiamo avuto le teorie conciliariste contro il primato del Papa nel sec. XV. Abbiamo avuto nel sec. XVI la dura polemica di Lutero ed altri eretici contro l’istituzione stessa del papato. Nel sec. XVII il gallicanesimo e i giansenisti francesi restringevano indebitamente l’ambito di autorità del Sommo Pontefice. Con Napoleone il papato ha subìto gravi umiliazioni. Il papato dell’Ottocento è stato duramente attaccato da varie forze anticristiane: massoni, anarchici, marxisti, positivisti, protestanti, teosofi e comunque ribelli, come un certo patriottismo liberale e mazziniano italiano.

I modernisti dei tempi di S.Pio X non erano in linea di principio contrari al papato, ma lo intendevano in modo errato, non come magistero infallibile di una verità salvifica immutabile per mandato di Cristo, ma come interpretazione, istituzionalizzazione ed espressione umana e quindi fallibile e mutevole, del libero movimento religioso spirituale popolare suscitato da Cristo simboleggiato dal Vangelo. 

Con l’avvento del Concilio Vaticano II il papato ha assunto un nuovo ruolo. L’accento non è più venuto sul compito del Pontefice di vigilare sulla purezza ed integrità della dottrina cattolica combattendo errori ed eresie, ma di annunciare il Vangelo all’umanità di oggi, rivolgendosi non solo e non tanto ai cattolici, ma a tutti gli uomini di buona volontà, quali che siano le loro convinzioni religiose, morali o dottrinali, certo respingendo gli errori più gravi, come per esempio l’ateismo, lo scientismo, il laicismo, il totalitarismo, la dittature, la superbia antropocentrica, il lassismo morale, le grandi ingiustizie sociali, il ricorso alla violenza, il gusto della guerra.

Con questo nuovo stile il papato si è procurato nuovi nemici, diversi da quelli del passato. Fino a Pio XII erano praticamente rimasti i citati nemici ottocenteschi, con l’aggiunta di un non del tutto estinto modernismo che tentò di risorgere con la téologie nouvelle, che fu confutata nella famosa enciclica Humani Generis del 1950.

Adesso, mentre da una parte il papato, soprattutto col Beato Giovanni XXIII, iniziava un certo dialogo con i dissidenti orientali, col mondo protestante ed ebraico e con gli stessi non-credenti – famosa è rimasta la visita a Papa Giovanni di Agiubei, il genero di Krusciòv -, per cui si mitigava l’ostilità del mondo laicista, massonico, liberale e comunista; il mondo islamico per un certo tempo si è tenuto in disparte. 

Cominciava a sorgere un’ostilità dall’interno stesso della Chiesa, soprattutto sotto la guida di Mons. Marcel Lefèbvre, per il fatto che le nuove dottrine del Concilio, in particolare il concetto della Messa, di Rivelazione, dello stesso papato (la collegialità episcopale), di Chiesa, di ecumenismo, di libertà religiosa e di dialogo interreligioso e con i non-credenti, apparivano a questa corrente false, moderniste e in contrasto con la Sacra Tradizione.

Per converso, i modernisti, che non erano mai del tutto scomparsi, ma si erano mascherati sotto una finta ortodossia, come per esempio i rahneriani o gli scillebexiani, e con astutissima manovra aggirando la buona fede di Giovanni XXIII, erano riusciti a mettere qualcuno dei loro tra i periti del Concilio. Oltre a ciò, valendosi di un’abile propaganda e con un forsennato attivismo degno di miglior causa, riuscirono a convincere larghi strati dell’opinione pubblica - non esclusi certi ambienti dell’episcopato - di essere stati loro i protagonisti del Concilio e quindi presentandosi sfacciatamente come indiscutibili ed indiscussi interpreti del Concilio, nonostante tutte le rettificazioni che vennero nei decenni seguenti da parte dei Pontefici, in modo speciale per mezzo delle condanne, confutazioni e chiarificazioni operate dalla Congregazione per la Dottrina della Fede, soprattutto sotto la guida del card. Ratzinger, poi Papa Benedetto XVI. I lefevriani quindi non fecero che convincersi maggiormente della loro interpretazione del Concilio mantenendo la loro opposizione basata sull’equivoco.

A partire da Paolo VI cominciò come una tempesta l’opposizione dei modernisti, furbescamente celati sotto l’eufemismo di “progressisti”, onde godere di un innocuo lascia-passare: il Concilio non aveva promosso il progresso o il rinnovamento o la modernizzazione della vita cristiana? Scoppiò così la famosa “contestazione” del 1968. In quell’anno stesso Paolo VI dovette subire un’opposizione generalizzata, persino tra i vescovi, alla sua enciclica Humanae vitae.

Cominciarono a girare impunemente le eresie tra i teologi, sotto colore di libertà e progresso, vescovi latitanti, indisciplina nella liturgia, defezioni di preti e religiosi a migliaia, chiusura di case religiose e conventi, seminari e chiese vuoti, calo delle vocazioni e della frequenza ai sacramenti, diffusione del comunismo, della superstizione e delle sètte nel mondo, crisi della famiglia, caos nelle scuole, diffusione della corruzione nei costumi sessuali e nella condotta politica, aumento della sperequazione tra ricchi e poveri.

I Papi da Paolo VI fino a Benedetto XVI hanno dovuto subire un’opposizione aperta e crescente da parte dei modernisti: Paolo VI era giunto a parlare di “autodemolizione della Chiesa da parte di se stessa”, e di un “magistero parallelo”, Giovanni Paolo II in più occasioni parlò dei mali della Chiesa, Papa Benedetto parlò senza mezzi termini di una crisi generalizzata della fede. Incessante è stata la polemica proveniente dai lefevriani incorreggibilmente ostinati nel ritenere che i Papi del postconcilio, in quanto eredi del Concilio, insegnassero dottrine false e contrarie alla Tradizione.

Mentre i modernisti fingono di essere in comunione col Papa e si considerano le punte avanzate della Chiesa ma in realtà, in forza del loro soggettivismo ne relativizzano gli insegnamenti, i lefevriani, coscienti dell’immutabilità della dottrina della fede e sensibili al carisma dell’infallibilità pontificia, per avere buon gioco nel rimproverare il Papa di falsità dottrinale e rottura con la tradizione, restringono indebitamente le condizioni dell’infallibilità a quelle elencate dal Concilio Vaticano I, valide solo per le definizioni dogmatiche solenni (“ex cathedra”), che in realtà sono pochissime in tutta la storia del Magistero pontificio. Dimenticano o trascurano quindi che il Papa è infallibile, ossia dice il vero definitivo ed immutabile anche quando insegna come maestro della fede o annunciatore del Vangelo in qualunque circostanza, semplice o solenne, ordinaria o straordinaria, anche se non dichiara di voler definire come avviene nei casi previsti dal Vaticano I.

Quanto all’attuale Pontefice, sembra che i modernisti e molti tradizionali nemici della Chiesa, non credenti o credenti di altre religioni, evitino di attaccarlo e che anzi lo gradiscano e che riscuota successo tra di loro, per certe sue posizioni che essi interpretano a loro favorevoli. Non c’è dubbio che se il Papa ha una forte comunicativa e una ricca umanità, essi però tentano slealmente di strumentalizzarlo, cosa che non sono riusciti a fare con i Papi precedenti, i quali o avevano un tono più polemico contro i non-credenti o usavano un linguaggio che meno si prestava all’equivoco. Questo Papa invece sembra più esposto a questa terribile insidia, anche se il buon cattolico non ha nulla da temere, perché il Vicario di Cristo resta comunque infallibile alle condizioni dette, anche se a volte  il Papa usa qualche espressione che ha bisogno di essere interpretata.

Ma non c’è bisogno di forzare il senso delle sue parole, perché non è da pensare che il Papa ci inganni o si inganni in materia di fede o di morale. Coloro che i lefevriani chiamano con disprezzo i “normalisti” non sono i modernisti o i mezzi modernisti, ma semplicemente i buoni cattolici i quali vedono che il Papa procede normalmente secondo la norma della fede.

Sono convinto che Papa Bergoglio vuole avviare un dialogo anche con i modernisti, cosa che ai Papi precedenti non è riuscita o non è venuta in mente. Qui sta la vera “rivoluzione” di Papa Francesco, rivoluzione che, se gli riuscirà, i modernisti torneranno o giungeranno alla retta fede e la loro istanza di modernità troverà quella giusta soddisfazione che è promossa dalla retta interpretazione del Concilio.

A differenza di Papa Benedetto sembra invece che Papa Bergoglio abbia perso i contatti con i lefevriani. Forse si è sbilanciato troppo verso i modernisti. Qui occorrerà che ritrovi il dialogo con i lefevriani. Certo la dolorosa vicenda dei Francescani dell’Immacolata non favorisce questo obbiettivo ineludibile, per cui ritengo che il Papa quanto prima debba moderare le scandalose intemperanze di padre Volpi (commissario dei Francescani dell'Immacolata, ndr), che evidentemente gli ha preso la mano, probabilmente sobillato dai rahneriani, certamente furiosi per la forte critica a Rahner che venne dal convegno teologico internazionale organizzato contro Rahner dai Francescani a Firenze nel 2007, convegno dove io stesso presentai una relazione. Gli atti furono poi pubblicati da Cantagalli di Siena.

I Francescani debbono correggersi in alcune cose, in particolare bisogna che essi accettino serenamente tutte le dottrine del Concilio Vaticano II, ma la condotta dittatoriale e crudele di padre Volpi, soprattutto nei confronti del Fondatore, il degnissimo Padre Manelli, offende gravemente la carità e la giustizia e deve assolutamente quanto prima cessare.

L’impresa di Papa Bergoglio di recuperare il buono che c’è nei modernisti è indubbiamente rischiosa e riflette la spericolatezza propria della tradizione ignaziana, ricorda l’atteggiamento di Cristo verso i pubblicani e i peccatori, un atteggiamento che suscita sorpresa e disapprovazione presso i farisei, oggi forse rappresentati dai lefevriani. Ma non mi nascondo che a volte mi viene il dubbio che il Papa sia poco prudente, in questa operazione nei confronti dei modernisti, perché non appare sempre chiaro se egli riesce ad avvicinarli alla Chiesa o sono loro che credono di avere il Papa dalla loro, per cui si sentono autorizzati a continuare nei loro errori e nei loro vizi.

Il Papa sta redarguendo sia i cattolici preconciliari che i modernisti, senza misconoscere lati buoni negli uni e negli altri, per condurli alla sua linea che intende insistere sulla evangelizzazione in sintonia col Concilio. La recente Esortazione Apostolica Evangelii Gaudium è una summa di tutto il suo programma di pontificato. Non dobbiamo tanto cercarvi della dottrina – è una semplice “esortazione”! - ma una miniera di spunti e di stimoli per la nuova evangelizzazione. In ciò sta il suo pregio ma anche il suo limite, per cui alcuni aspetti, puramente pastorali, potranno anche essere criticabili, appunto non toccando la dottrina evangelica, dove il Papa non può sbagliare.

Si è troppo facili in certi ambienti nel giudicare male il Papa. Se per esempio egli afferma che non si sente di giudicare della buona o cattiva fede di un gay, ecco la stampa laicista esultare credendo che il Papa abbia cambiato la legge morale giudicando lecita l’omosessualità. Se il Papa afferma che occorre sempre seguire la propria coscienza e il proprio punto di vista, ecco i liberali di turno esultare perché finalmente la Chiesa riconoscerebbe che non esiste una verità morale oggettiva ed universale, non esiste un bene morale unico per tutti, ma ciascuno è libero di essere legge a se stesso. 

Se il Papa disapprova la rigidezza dottrinale e il fondamentalismo, ecco i lefevriani insorgere nell’accusarlo di essere contro la tradizione e di negare l’oggettività e l’immutabilità della verità e così via. Se egli dice che il proselitismo è una sciocchezza, ecco le accuse roventi di disprezzare la volontà di condurre a Cristo i non-credenti.

Esiste un campo del pensiero e della condotta umana nel quale anche un Papa può sbagliare o non agire bene. E’ bene conoscere questo campo, perché non ci è proibito in linea di principio criticarlo o disapprovare, col dovuto rispetto e per fondati motivi, quanto fa o pensa. Si tratta delle sue opinioni politiche, filosofiche, teologiche o esegetiche, delle sue preferenze o dei suoi gusti personali, della sua condotta morale, degli atti del suo governo, delle scelte della sua pastorale, delle sue decisioni, leggi, disposizioni giuridiche o liturgiche, dell’assunzione o del congedo di personale della Curia Romana o delle rappresentanze pontificie nel mondo, e cose del genere.

Invece per quanto riguarda la sua missione di Successore di Pietro e Maestro della fede, senza giungere a parlare delle definizioni dogmatiche, il Pontefice è sempre infallibile e va sempre obbedito e non ci è lecito accusarlo di errore o di eresia, come fa chi oggi lo accusa di modernismo, indifferentismo o soggettivismo o relativismo. Qui si tratta solo di capire fedelmente il suo insegnamento o eventualmente di interpretare, se occorre, in un senso benevolo, se si vuole essere sul sentiero della verità, del bene e della salvezza.






Caterina63
00martedì 21 gennaio 2014 15:40


     Chiesa sotto processo. La parola alla difesa

Le si imputa di essere intollerante e violenta, in nome di Dio. Ma un documento della commissione teologica internazionale ribalta l'accusa. È la dittatura del relativismo a voler bandire la fede dal consorzio civile 

di Sandro Magister




ROMA, 21 gennaio 2014 – "Eresia" e "dogma". Le due parole che nella Chiesa quasi non si osa più pronunciare – tanto più in questa stagione della "misericordia" – sono tornate improvvisamente alla ribalta il 16 gennaio, nel loro senso pieno e nella forma più ufficiale, sulla prima pagina de "L'Osservatore Romano".

"Per quanto riguarda la fede cristiana, la violenza in nome di Dio è un’eresia pura e semplice": così l'editoriale del giornale del papa sintetizza la "tesi inequivocabile" del documento della commissione teologica internazionale reso pubblico quello stesso giorno.

E viceversa: "Il rispetto scrupoloso della libertà religiosa deriva da quanto vi è di più dogmatico nell’idea che la fede cristiana offre di Dio".

La commissione teologica internazionale, istituita dopo il Concilio Vaticano II, è emanazione della congregazione per la dottrina della fede, è presieduta dal suo prefetto ed è composta da trenta teologi e teologhe di varie nazioni, nominati dal papa "ad quinquennium".

Il documento reso pubblico il 16 gennaio è stato voluto da Benedetto XVI nel 2008, nel quadro del suo dialogo con la cultura attuale, per riaprire in essa un percorso verso Dio, il Dio vero. Vi hanno lavorato per cinque anni dieci membri della commissione, tra i quali il salesiano cinese Savio Hon Tai-Fai, oggi segretario di "Propaganda fide", il domenicano svizzero Charles Morerod, oggi vescovo di Losanna, Ginevra e Friburgo, e l'italiano Pierangelo Sequeri, esponente di punta della scuola teologica di Milano.

Il testo integrale del documento è per ora disponibile nella sola versione italiana – elegante e incisiva come raramente accade in un testo teologico, grazie alla penna e alla mente di Sequeri, anche se qua e là di non agevole lettura – mentre in altre otto lingue è pronto un riassunto introduttivo, in attesa della traduzione completa:

> Dio Trinità, unità degli uomini. Il monoteismo cristiano contro la violenza

Il titolo fa intuire qual è il movente del documento: contrastare l'idea diffusa che il monoteismo, la fede nell'unico Dio, sia sinonimo di oscurantismo e di intolleranza, sia seme invincibile di violenza. E quindi sia da bandire dal consorzio civile.

Ebrei, musulmani, cristiani sono il bersaglio di questo teorema tipicamente relativista, che mostra di voler sostituire al monoteismo un moderno "politeismo" illusoriamente presentato come pacifico e tollerante.

Agli ebrei si imputa la fede in un Dio vendicativo "dell'ira e della guerra", quello dell'Antico Testamento, e glielo si imputa con una ostilità preconcetta che il documento dice presente "persino nella cultura alta" (un esempio recente di questo antiebraismo teologico è dato in Italia da Eugenio Scalfari, il laicissimo "intervistatore" di papa Francesco). 

Contro i musulmani si ritorce – con il conforto dei fatti – "la direttiva di Maometto di diffondere la fede per mezzo della spada", come già aveva denunciato l'imperatore Manuele II Paleologo nel dialogo con il saggio persiano reso universalmente noto da Benedetto XVI nella lezione di Ratisbona del 12 settembre 2006. Ed è curioso che, lo stesso giorno dell'uscita del documento dei trenta teologi, sia comparso su Huffington.post un testo di 36 pagine di Khalid Sheikh Mohammed, la mente dell'abbattimento delle Torri Gemelle, detenuto a Guantanamo, il quale cita Benedetto XVI, ma per confutare che il Corano legittimi l'uso della forza come mezzo per la conversione religiosa, e giustifica l'attentato dell'11 settembre 2001 come una rivolta esclusivamente politica degli oppressi contro l'oppressore:

> Khalid Sheikh Mohammed's Statement to the Crusaders...

Sono però i cristiani il principale nemico da abbattere, nell'odierna polemica antireligiosa. Ed è qui che il documento mette in gioco i concetti di eresia e dogma.

Il solo pensare – afferma – che la visione cristiana associ la fede alla violenza è eresia somma. Mentre è dogma irrevocabile che "il Figlio, nel suo amore per il Padre, attira la violenza su di sé risparmiando amici e nemici, ossia tutti gli uomini", e quindi, con la sua morte ignominiosa affrontata e vinta, "annienta in un solo atto il potere del peccato e la giustificazione della violenza".

Il documento è efficace e ricco d'argomenti sia nella sua "pars destruens", dove svela l'inconsistenza della moderna condanna dei monoteismi, sia nella "pars construens", dove mette in rilievo la natura trinitaria del cristianesimo, che lo distingue dagli altri monoteismi e fonda "la serietà irrevocabile dell'interdetto evangelico nei confronti di ogni contaminazione tra religione e violenza".

Il documento non tace sui cedimenti dei cristiani nella storia alla violenza religiosa. Ma sollecita a riconoscere nell'ora presente il "kairòs", il momento decisivo, di un "irreversibile congedo" del cristianesimo da tale violenza.

Un congedo che deve valere come segno per tutti gli uomini di qualsiasi credo. Perché "deve essere riconosciuto chiaramente, da tutte le comunità religiose, e da tutti i responsabili della loro custodia, che il ricorso alla violenza e al terrore è certamente, e con ogni evidenza, una corruzione dell’esperienza religiosa".

E lo stesso deve valere per chi "persegue la mortificazione della testimonianza religiosa, in base ad interessi economici e politici pretestuosamente ammantati, a beneficio delle masse, di più alte finalità umanistiche".

Il documento termina con un richiamo toccante ai perseguitati a motivo della fede:

"Il tempo della persecuzione deve essere sostenuto, nell’attesa della conversione sperata per tutti. Di questa pazienza, di questa sopportazione, di questa tenacia dei 'santi' nel portare la tribolazione dell’attesa, noi siamo in debito di riconoscenza verso molti fratelli e sorelle perseguitati per la loro appartenenza cristiana. Noi onoriamo la loro testimonianza come la risposta decisiva alla domanda sul senso della missione cristiana in favore di tutti. L’epoca di una nuova evidenza a riguardo del rapporto fra religione e violenza fra gli uomini è aperta dal loro coraggio. Dovremo sapercelo meritare".

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L'editoriale de "L'Osservatore Romano" nel quale il segretario della commissione teologica internazionale, Serge Thomas Bonino, presenta il documento:

> La violenza in nome di Dio. Un'eresia vera e propria

La presentazione che ne ha fatto su "Avvenire" uno degli estensori del documento, il teologo Pierangelo Sequeri:

> Nel monoteismo cristiano c'è l'antidoto alla violenza


E sempre su "Avvenire" il commento di Sequeri alle accuse di Scalfari contro il Dio "cattivo" dell'Antico Testamento:

> Sequeri: la friabile teologia di Eugenio Scalfari

L'articolo di Scalfari oggetto della polemica, su "La Repubblica" del 29 dicembre 2013:

> La rivoluzione di Francesco. Ha abolito il peccato

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Cardinali contro, quanti equivoci sulla famiglia

di Riccardo Cascioli
23-01-2014


Non è bastata la concessione della porpora, segno di una fiducia che Papa Francesco nutre nei suoi confronti: il prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, Gehrard Müller, continua a essere bersaglio di attacchi da parte dei suoi confratelli per aver ricordato che non c’è problema pastorale da risolvere che possa mettere in discussione l’indissolubilità del matrimonio. 

L’ultimo a prendersela con Müller è stato il cardinale Oscar Rodriguez Maradiaga, arcivescovo di Tegucigalpa (Honduras) e coordinatore del gruppo di 8 cardinali (C8) voluto dal Papa per un aiuto nel progetto di riforma della Curia. In una lunga intervista al giornale tedesco  Koelner Stadt-Anzeiger si rivolge al neo-cardinale Müller anche in tono un po’ sarcastico: «Penso di capirlo – dice Maradiaga -. È un tedesco, si deve dirlo, è anzitutto un professore di teologia tedesco, nella sua mentalità c'è solo il vero e il falso. Però io dico: fratello mio, il mondo non è così, tu dovresti essere un po' flessibile, quando ascolti altre voci. E quindi non solo ascoltare e dire no». 

Il tema, come sempre da un po’ di tempo a questa parte, è quello della comunione ai divorziati risposati ma anche di tutte le situazioni familiari irregolari che oggi pongono alla Chiesa una sfida, come dice ancora Maradiaga. Ma è bene ricordare che Müller non ha mai negato la necessità di rispondere alle sfide pastorali, ha semplicemente chiarito che – essendo di Dio la Chiesa – non possono essere gli uomini a cambiare ciò che è stato rivelato. E lo ha fatto per la necessità di contrastare la fuga in avanti dei vescovi tedeschi, decisi a cambiare la dottrina in materia prevedendo la possibilità di comunione ai divorziati risposati.

Stando all’intervista, Maradiaga si colloca a metà tra Müller e l’episcopato tedesco (cardinale Reinhard Marx in testa, un altro dei C8). Dice infatti Maradiaga parlando della comunione ai divorziati risposati: «La Chiesa è tenuta ai comandamenti di Dio» e a ciò che Gesù «dice sul matrimonio: ciò che Dio ha unito, l'uomo non deve separarlo. Però ci sono diversi approcci per chiarire questo. Dopo il fallimento di un matrimonio ci possiamo per esempio chiedere: gli sposi erano veramente uniti in Dio? Lì c'è ancora molto spazio per un esame più approfondito. Però non si va nella direzione per cui domani è bianco ciò che oggi è nero».

E ancora, riferendosi alle tante situazioni “irregolari” (separazioni, famiglie allargate, matrimoni senza figli, uteri in affitto), afferma: «Tutto questo richiede risposte per il mondo di oggi e non basta dire: per questo abbiamo la dottrina tradizionale. Ovviamente la dottrina tradizionale verrà mantenuta», ma ci sono «sfide pastorali» adatte ai tempi alle quali non si può rispondere «con l'autoritarismo e il moralismo» perché questa «non è nuova evangelizzazione».

Le affermazioni del cardinale Maradiaga offrono però spunto per alcune riflessioni su questo tema visto che è di estrema attualità.

Anzitutto la riproposizione di frasi  e concetti che suonano bene ma che alla fine non si sa esattamente cosa vogliano dire. Ad esempio: da una parte Maradiaga afferma chiaramente che la dottrina non si cambia ma allo stesso tempo invita Müller – che aveva detto appunto la stessa cosa – a essere più flessibile. Cosa vuol dire? Visto che si parla di comunione ai divorziati risposati ci sono solo due possibilità: o si dà o non si dà. “Si dà a certe condizioni” – come dicono i vescovi tedeschi - non è una terza opzione, è ancora la prima. Il coordinatore del C8 da che parte vuole andare?

Altro esempio: dice Maradiaga che dopo il fallimento di un matrimonio dobbiamo chiederci se gli sposi erano veramente uniti in Dio. Giusto, ma non è esattamente ciò che fa già la Rota Romana? Allora forse è il caso di spiegarsi meglio su dove si vuole arrivare.

Ed è qui che il problema va affrontato alla radice: di matrimoni celebrati con scarsa o nulla consapevolezza del valore del sacramento, infatti, ce ne sono tanti, troppi. Era questa consapevolezza che aveva spinto già Benedetto XVI a chiedere un approfondimento della questione. In altre parole, il caso dei divorziati risposati non si affronta partendo dalla “comunione sì, comunione no”, ma dalla verifica delle condizioni che rendono valido un matrimonio. Si tratta ovviamente di una questione tutta da approfondire, anche per evitare che diventi una facile scappatoia che si trasformi in un “divorzio mascherato”.

Però quello che più è curioso è che anche coloro che si pongono il problema della validità di tanti matrimoni celebrati in chiesa, non pensino neanche a domandarsi come mai tante coppie sono così incoscienti del sacramento che celebrano. Quei vescovi e cardinali che tanto ironizzano sulla presunta rigidità della Congregazione per la Dottrina della Fede, dovrebbero chiedersi cosa fanno nelle loro diocesi per evitare che ci siano tanti matrimoni potenzialmente nulli. Pensiamo all’Italia: per sposare in chiesa è obbligatorio frequentare un corso di preparazione per fidanzati. Se sono così tanti coloro che, pur frequentando questi corsi, arrivano incoscienti all’altare non sarà che c’è qualcosa che non va in chi è chiamato a spiegare e testimoniare il fascino di un matrimonio cristianamente vissuto? Ci sono corsi per fidanzati dove venga almeno fatto intuire che il sacramento è una cosa seria e che non si riduce a un generico “volersi bene e sopportare con pazienza”? In questo senso, lottare per dare la comunione ai divorziati risposati, diventa un modo non già di offrire misericordia ma di scaricare le proprie responsabilità spostando l’oggetto della discussione.  

C’è poi un altro aspetto fastidioso di questo dibattito: in vista del Sinodo sulla famiglia in realtà si discute solo di comunione ai divorziati risposati, come se la crisi della famiglia e gli attacchi a cui è sottoposta si riducessero a questo aspetto. In questo modo peraltro si amplifica a dismisura un fenomeno e un problema che – tenendo conto di chi frequenta le chiese – è tutto sommato marginale dal punto di vista quantitativo (quanti sono effettivamente i divorziati risposati che chiedono la comunione?). E soprattutto riguarda le Chiese dei paesi occidentali e di lunga tradizione. Ben altri problemi si trovano le Chiese africane e asiatiche e più in generale le Chiese giovani riguardo alla famiglia: il ruolo della donna, le usanze tribali, i matrimoni combinati, la promiscuità sessuale, tanto per fare qualche esempio. Di fronte a un mondo pagano, come era del resto al tempo degli apostoli, la Chiesa ha sempre seguito la legge di Dio convertendo pian piano il mondo attorno a sé. Se passasse il criterio che bisogna “accomodarsi” con il mondo, e si spacciasse questo per misericordia, le conseguenze sarebbero devastanti, anche nei confronti delle Chiese giovani: perché allora, per fare uno solo dei mille esempi possibili, non avere “misericordia” di chi pratica l’iniziazione sessuale delle fanciulle, visto che in certi posti quella è la regola generale?

Un’ultima questione il cardinale Maradiaga fa emergere: sempre riferendosi alle tante situazioni familiari irregolari, afferma che ci vuole «più pastorale che dottrina», riproponendo così un dualismo incomprensibile. In realtà questo è diventato il ritornello da quando è stato eletto papa Francesco: «Adesso basta dottrina, pensiamo alla pastorale», dando per scontato che i papi precedenti se ne siano infischiati della pastorale e non abbiano fatto altro che picchiare a colpi di dottrina. Il che è assolutamente falso, e soprattutto è falsa questa contrapposizione. 

A parte il fatto che anche la Misericordia fa parte della dottrina, non può esistere una pastorale che non abbia dei contenuti dottrinali, qualsiasi essi siano. Per tornare ad un esempio precedente, se in parrocchia si organizza un corso per fidanzati bisogna anche aver chiaro il percorso che si vuole fare. Certo, le persone vanno colte nella situazione in cui sono, c’è un cammino da fare e bisogna rispettare i tempi e il cammino di ognuno; ma l’obiettivo verso cui camminare deve essere chiaro per chi guida, e non può non essere la Verità tutta intera, altrimenti succede ciò che è sotto i nostri occhi e che è all’origine di tanti problemi: coppie che si sposano in chiesa senza avere la minima idea di cosa significhi. Ma più in generale la conseguenza è quel triste spettacolo che mosse a compassione anche Gesù, «perché erano come pecore senza pastore».










Caterina63
00martedì 4 febbraio 2014 15:50

 Quando si vuole presentare una fede alla moda

di Tommaso Scandroglio
04-02-2014

Rodriguez Maradiaga, Andreas Moehrle, Vincenzo Paglia, Domenico Mogavero. Nomi di alti prelati che su comunione ai divorziati risposati – i primi due – e coppie di fatto – i secondi - qualche nota fuori dal coro del cattolicamente corretto l’hanno cantata. Da ultimo in una nuova intervista, ma questa volta al Frankfurter Allgemeine Zeitung, il cardinale honduregno Maradiaga, responsabile di quell’equipe di otto cardinali voluti dal Papa per riformare la curia, è tornato sul tema della famiglia e ha detto che occorre “attribuire patenti” anche ad altre relazioni interpersonali (leggi coppie di fatto). Il cardinal Müller, prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, in occasione della plenaria del suo dicastero, ha tagliato corto: «Alla crescente mancanza di comprensione circa la santità del matrimonio la Chiesa non può rispondere con un adeguamento pragmatico a ciò che appare inevitabile, ma solo con la fiducia piena nello spirito di Dio».

Che dire di Maradiaga &Co.? Nulla di nuovo in realtà sotto la cupola di San Pietro: in casa cattolica si sono sempre aggirati dei falsari. Artisti del dogma che con perizia spacciano per autentiche opere d’arte della fede dipinti e sculture che invece sono delle croste. E non serve mica la competenza dell’esperto per capire di tenere tra le mani un falso: basta un’occhiata superficiale e ci si accorge subito di essere di fronte ad una copia d’autore. Quest’ultima espressione è corretta perché chi riproduce la sana dottrina corrompendola non è in genere uno qualunque – il catechista dell’oratorio o il sagrista – bensì spesso si veste delle insegne episcopali, è direttore o presidente di qualche consesso prestigioso che si fregia della qualifica di “cattolico”, siede (all’occorrenza) da “credente” in Parlamento, regge un ateneo di ispirazione “cattolica”, insegna da teologo in qualche rinomata università pontificia, scrive su giornali e riviste di carattere religioso che stampano decine di migliaia di copie.

Il falso d’autore viene praticato poi non per burla, come avvenne con le famose teste di Modigliani trovate in un fosso di Livorno, ma con la convinzione che i propri manufatti siano espressioni autentiche del depositum fidei oppure in alcuni casi, siano più veri del Vero, quasi il suo naturale superamento, la sua inevitabile evoluzione. Insomma il falsario delle fede crede nel suo lavoro d’artista.

Ci credono poco invece quei cattolici che hanno il vezzo dell’ortodossia e che esaminando affermazioni, scritti e iniziative dei falsari scoprono una serie infinita di adulterazioni ed hanno facile gioco nello sconfessare la paternità dell’opera. Questo processo di sofisticazione del portato culturale cattolico negli ultimi anni si è infittito e riguarda democraticamente un po’ tutto lo scibile dottrinale sia nel campo della morale che in quello della fede: dall’omosessualità all’aborto, dalla fecondazione artificiale all’eutanasia, dal divorzio alle coppie di fatto, dalla figura storica di Gesù alle veridicità dei Vangeli, dal primato petrino all’ecumenismo, dalla liturgia ai sacramenti.

Il falso è facilmente individuabile perché la mano dell’artista ha provveduto a sostituire alcuni elementi pittorici dell’originale, i più salienti e caratteristici, con altri di propria fattura, spesso grossolana. Un esempio è dato dalla sostituzione delle virtù cardinali e teologali con le virtù laiche. Passiamole dunque in rassegna.

La prudenza da virtù che indirizza la ragione a declinare il vero e il giusto nella situazione concreta e a rinvenire gli strumenti atti allo scopo, è diventata pusillanimità. Da habitus che ci aiuta a decidere con risolutezza e sicurezza cosa fare è scolorata nel suo opposto, incarnandosi in un atteggiamento attendista, incline a rimandare sempre a tempi migliori la decisione perché “la situazione è complessa e bisogna agire tenendo in conto tutte le sensibilità presenti”. Temporeggiare affinchè sia la storia a decidere a posto nostro.

Poi c’è la giustizia che da virtù che sprona la volontà a dare a ciascuno il suo ora è stata degradata a giurisprudenza. Su questioni morali rilevantissime come aborto e “nozze” gay – così il falsario si esprime - attendiamo ossequiosi la sentenza dei giudici. Perché quella di Dio sarà sicuramente conforme alla prima e comunque nell’Aldià – statene certi - sarà ridotta ad amnistia generale. Si è sostituita così la giustizia con il legalismo di impronta positivista rintracciando in norme e sentenze ingiuste qualche barbaglio di verità che dovrebbe guidare il cattolico nella sua esistenza terrena. Nelle mani del falsario la giustizia non è più la virtù che insieme alle altre ci avrebbe potuto meritare il Paradiso: ora al massimo ci può far evitare sanzioni pecuniarie dall’Agenzia delle Entrate perché abbiamo pagato le tasse, unico e vero peccato contro lo Spirito Santo.

Arriviamo alla fortezza scalzata dalla codardia apostolica: mai esporsi, mai denunciare, mai battagliare, mai resistere fino alla morte sui principi non negoziabili, mai avere il coraggio di metterci la faccia prendendo decisioni impopolari, ma semmai delegare le stesse ad organi consultivi, comitati e conferenze di esperti, così la colpa del fallimento eventualmente non verrà divisa per uno ma per cento. Invece sempre sfumare, sempre mediare, sempre ammorbidire, sempre minimizzare, sempre dire e non dire e quando si opta per il dire farlo tra le righe. La fortezza impallidisce nel volto del politico o dell’uomo di cultura “cattolico” in atteggiamento remissivo ed imbelle, evapora nell’arrendevolezza di chi si abbassa le braghe ad ogni refolo di vento contrario. Il falsario, che porta con sé sempre una immacolata bandiera bianca pronta all’uso, concilia tutto con tutti, fuorché con la sana dottrina verso cui mai è accondiscendente perché i suoi padroni, da servire con docilità, sono il consenso e la vita senza troppi scossoni.

Una volta Sant’Agostino così ebbe a scrivere dei cattivi e codardi pastori d’anime: “Chi è il mercenario? Colui che fugge, se vede il lupo; colui che cerca la sua gloria, non la gloria di Cristo; colui che non ha il coraggio di riprendere con libertà di spirito i peccatori. Il lupo azzanna una pecora e la trascina per il collo; il diavolo induce un fedele a commettere adulterio. E tu taci, non riprendi. Tu sei mercenario; hai visto venire il lupo e sei fuggito. Forse egli dirà: no, sono qui, non sono fuggito. No, rispondo, sei fuggito perché hai taciuto; e hai taciuto perché hai avuto paura” (In Ioannis Evangelium tractatus, 46, 8).

La temperanza poi da virtù che rende capace la volontà di porre un dominio su se stessi è stata intesa - forse per una certa assonanza tra le due parole - come tolleranza del male sempre e comunque. Dall’accoglienza del peccatore all’accoglienza del peccato. Si vuole alleggerire il carico e la quantità dei peccati elencati nel Catechismo sperando così di imbarcare più passeggeri per la vita eterna. Si tenta invano di stemperare il male intingendolo nel catino di una falsa misericordia che non guarda in faccia a nessuno, nemmeno a Dio stesso.

Il meglio di sé comunque il falsario lo dà nelle virtù teologali. La fede nella Santissima Trinità oggi è stata sostituita nella triplice fede in Enzo Bianchi, Vito Mancuso e Gianteresio Vattimo. Ne consegue che tutto l’armamentario cattolico è cambiato: al posto dei Dieci Comandamenti si preferisce la Costituzione, all’autorità del Pontefice un governo di larghe intese, al Paradiso-Purgatorio-Inferno un wellness spirituale secolarizzato, alla salvezza eterna un posto di lavoro a tempo indeterminato, ai sacramenti dei corsi di autostima, alla dottrina infallibile del Magistero l’arbitrio della propria coscienza creduta sempre infallibile.

La speranza poi non guarda più al Cielo nella fiduciosa attesa di essere salvati, posto che ne abbiamo lucrato i meriti, ma si è prostituita nell’aspettativa tutta mondana che la scienza possa allungare la vita dell’uomo quasi all’infinito, che la tecnica possa rendere sempre più leggero il carico di sofferenze della nostra esistenza, che l’uomo rinsavisca del tutto e non ci siano più guerre e fame nel mondo, che il genere umano viva d’aria e non si cibi più di animali e vegetali perché il creato, quello no, proprio non si tocca. La speranza si è miniaturizzata in una frustrante illusione utopica.

Infine la carità. Questa non ci sprona più ad amare Dio e gli altri in virtù dell’amore per Dio, bensì - adulterata dai copisti - è scemata in filantropia, non proprio sempre accessibile a tutti. E sì perché una volta uno poteva eccellere nella carità anche chiuso per tutta la sua vita in una cella di un monastero e da lì raggiungere con gli strali del suo amore ogni persona sulla faccia della terra. Ma oggi non è più così: devi avere un cellulare per essere in grado di aiutare con due euro gli sfollati del Regno delle Banane distrutto da un ciclone (cosa giustissima si badi bene), devi aver il dono della bi-tri-multilocazione per fare in contemporanea il volontario nella Caritas, nella mensa per i poveri e nel Gruppo di ausilio dei senzatetto (cose sempre giustissime). Per accendere e accedere alla carità una volta bastava avere un cuore pensante e pulsante. Ora invece la carità l’hanno delocalizzata, come si fa con le aziende in crisi, e si trova quasi esclusivamente in Pakistan sotto le tende di Emergency, in Amazzonia nelle missioni e a Scampia il quartiere napoletano ad alta infiltrazione mafiosa. Per i più fortunati la carità si trova anche nel negozietto sotto casa che vende prodotti del commercio equosolidale.


 


Caterina63
00martedì 18 febbraio 2014 13:35



Con Papa Francesco prosegue la lotta alla pedofilia ecclesiale. A dispetto di quanto affermato, soltanto una settimana fa, dal Comitato Onu sui diritti dell’infanzia che ha accusato il Vaticano di aver permesso decine di migliaia di abusi su minori, la Santa Sede ha ridotto allo stato laicale un sacerdote accusato di pedofilia senza attendere la sentenza definitiva dello Stato italiano.

Si tratta di don Marco Mangiacasale, sacerdote della diocesi di Como già condannato nei primi due gradi del processo penale a tre anni, cinque mesi e venti giorni di carcere per abusi sessuali su quattro ragazze minorenni. L’ex parroco e poi economo della parrocchia di San Giuliano, con una sentenza firmata dal prefetto per la Congregazione della dottrina della fede e prossimo cardinale, Gerhard Ludwig Müller, lo scorso 13 dicembre è stato, infatti, ridotto allo stato laicale. Un provvedimento che si ricollega al lavoro svolto da Benedetto XVI che, tra il 2011 e il 2012, ha “spretato” quattrocento sacerdoti accusati di pedofilia.

Don Marco Mangiacasale è il primo sacerdote italiano a essere ridotto allo stato laicale dopo l’elezione di Papa Francesco, undici mesi fa. Müller ha dato facoltà al vescovo della diocesi di Como, Diego Coletti, di divulgare la notizia. Il 30 gennaio, monsignor Coletti ha convocato nel suo ufficio le famiglie delle vittime degli abusi di don Marco e ha dato lettura del provvedimento dell’exSant’Uffizio. “Don Marco Mangiacasale – si legge nel documento vaticano – è stato ridotto allostato laicale, non potrà fare l’educatore nelle scuole cattoliche né partecipare in ogni modo a gruppi o organizzazioni dove siano presenti dei giovani”. Ma il vescovo di Como si è opposto alla richiesta dei familiari di divulgare la notizia all’intera comunità parrocchiale dove ha svolto il suo ministero don Marco prime delle condanne penali in primo e secondo grado.

Intanto il sacerdote, in attesa della sentenza definitiva della Cassazione, ha già scontato due mesi di isolamento nel carcere del Bassone, a Como, e ora si trova nella casa della sorella, dopo aver risarcito le famiglie come disposto dalla giustizia civile italiana. La vicenda di don Marco Mangiacasale arriva alla vigilia della pubblicazione delle Linee guida per i casi di abuso sessuale nei confronti di minori da parte di chierici approvate dalla sessione invernale del Consiglio episcopale permanente della Cei. Il documento rischia però ora una seconda bocciatura del Vaticano dopo che nella sua prima versione, redatta due anni fa, era stato già respinto dal prefetto dell’ex Sant’Uffizio Müller perché affermava che “nell’ordinamento italiano il vescovo, non rivestendo la qualifica di pubblico ufficiale né di incaricato di pubblico servizio, non ha l’obbligo giuridico di denunciare all’autorità giudiziaria statuale le notizie che abbia ricevuto in merito ai fatti illecitioggetto delle presenti linee guida”.

Un’affermazione che, stando alle indiscrezioni che emergono dai vertici della Cei e anche da quanto affermato pubblicamente dal segretario generale della Chiesa italiana, monsignor Nunzio Galantino, dovrebbe essere contenuta anche nella seconda versione sottoposta ora al vaglio della Congregazione per la dottrina della fede. Sulla questione l’ex Sant’Uffizio, sotto il pontificato di Benedetto XVI, era stato chiarissimo: “Va sempre dato seguito alle disposizioni della legge civileper quanto riguarda il deferimento di crimini alle autorità preposte, senza pregiudicare il foro interno sacramentale, deve essere intesa in linea con quanto previsto dal diritto italiano”. Sempre nel documento vaticano, infatti, si legge: “L’abuso sessuale di minori non è solo un delitto canonico, ma anche un crimine perseguito dall’autorità civile”. La riduzione allo stato laicale di don Marco Mangiacasale è la prova che anche con Papa Francesco la politica vaticana della lotta alla pedofilia non cambia.

Twitter: @FrancescoGrana





Caterina63
00venerdì 21 febbraio 2014 23:26

Il doppio gioco del diavolo, pro e contro papa Francesco


Un rapporto dell'ONU umilia la Chiesa esaltando l'attuale pontefice. Che non reagisce e tace anche dopo che il Belgio ha legalizzato l'eutanasia dei bambini. I rischi della strategia del silenzio adottata da Bergoglio 

di Sandro Magister




ROMA, 21 febbraio 2014 – A quasi un anno dall'elezione a papa, la popolarità di Francesco continua la sua marcia trionfale. Ma lui stesso è il primo a non volersi fidare degli applausi che gli arrivano dalle tribune anche più inaspettate e lontane. 

Ad esempio la copertina che gli ha dedicato la rivista "Rolling Stone", un'incoronazione in piena regola dal tempio della cultura pop.

Oppure l'encomio che il rapporto del comitato dell'ONU per i diritti dei fanciulli ha tributato al famoso "Chi sono io per giudicare?" detto da papa Francesco, unico risparmiato in una Chiesa cattolica contro cui nello stesso rapporto si dice il peggio del peggio.

Nelle sue prime omelie mattutine da papa, Jorge Mario Bergoglio nominava spesso il diavolo. E anche questo suo dire piaceva, faceva tenerezza.

Ma una mattina, era il 18 novembre, invece che col diavolo egli se la prese col "pensiero unico frutto della mondanità", che tutto vuole sottomettere a "uniformità egemonica". Un pensiero unico, proseguì, che già domina il mondo e legalizza anche "le condanne a morte", anche "i sacrifici umani" con tanto di "leggi che li proteggono". E citò uno dei suoi romanzi preferiti, l'apocalittico "Il padrone del mondo" di Robert H. Benson.

Quando ai primi di questo mese di febbraio ha sfogliato le sedici pagine del rapporto dell'ONU, che perentoriamente ingiungono alla Chiesa cattolica di "correggere" la sua dottrina sull'aborto, sulla famiglia, sul sesso, Francesco dev'essersi ancor più convinto che i fatti gli stavano dando ragione, che il principe di questo mondo era davvero all'opera e voleva associare persino lui, il papa, adulando le sue decantate "aperture", all'impresa di uniformare la Chiesa al pensiero egemone, per annientarla.

Non è facile entrare nella mente di papa Bergoglio.

Le sue parole sono come tessere di un mosaico di cui però non appare immediatamente il disegno. Dice cose anche forti, anche aspre, ma mai nel momento in cui potrebbero generare conflitto.


Avesse pronunciato quella sua tremenda omelia contro il pensiero unico che vuole egemonizzare il mondo il giorno dopo la pubblicazione del rapporto dell'ONU e in esplicita risposta ad esso, l'evento sarebbe entrato tra le "breaking news" dell'informazione mondiale. Ma così non è stato. Detta in una data qualunque, quella stessa omelia non provocò il minimo sconquasso. Fu ignorata.

Eppure è proprio lì che va letto il pensiero recondito del papa gesuita, il suo giudizio sull'epoca presente del mondo.

"Il parere della Chiesa lo si conosce, e io sono figlio della Chiesa", dice e ridice Francesco. Il suo pensiero è lo stesso che è scritto nel catechismo. E qualche volta lo ricorda polemicamente a chi si aspetta da lui un cambio di dottrina, come nel passaggio meno citato della sua "Evangelii gaudium", dove ha parole durissime contro il "diritto" d'aborto.

Ma mai che proclami a voce alta la dottrina della Chiesa sui punti e nei momenti in cui lo scontro si fa incandescente.

Ha taciuto ora che in Belgio è stata consentita per legge l'eutanasia dei bambini. Si tiene appartato dai milioni di cittadini di ogni fede che in Francia e in altri paesi si oppongono alla dissoluzione dell'idea di famiglia fatta di padre, madre e figli. È restato in silenzio dopo l'inaudito affronto del rapporto dell'ONU.

Con ciò egli si prefigge di spuntare le armi al nemico. Di sconfiggerlo con la popolarità immensa della sua figura di pastore della misericordia di Dio.

C'è un attacco alla Chiesa di tipo giacobino, in Francia e altrove, che semplicemente la vuole estromettere dal consorzio civile.

Ma c'è anche un attacco più sottile, che si ammanta di consenso a una Chiesa rifatta nuova, aggiornata, al passo con i tempi. C'è anche questo nella popolarità di Francesco, un papa "come mai prima ce n'erano stati", finalmente "uno di noi", modellato col copia e incolla di sue frasi aperte, polivalenti.

Contro il suo predecessore Benedetto XVI questa astuzia mondana non poteva essere esercitata. Lui, il mite, preferiva il conflitto in campo aperto, col coraggio del sì sì no no, "opportune et importune", come a Ratisbona, quando tolse il velo alle radici teologiche del legame tra fede e violenza nell'islam, e poi ancora sulle questioni "non negoziabili". Per questo il mondo fu così feroce con lui.

Con Francesco è diverso. Altra partita. Ma nemmeno lui sa come il gioco proseguirà, ora che si fa più duro.

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Questa nota è uscita su "L'Espresso" n. 8 del 2014, nella pagina d'opinione dal titolo "Settimo cielo" affidata a Sandro Magister.

Ecco l'indice di tutte le precedenti note:

> "L'Espresso" al settimo cielo


La nota è uscita in edicola il 21 febbraio, ma è andata in stampa il 19.

Giovedì 20 febbraio, papa Francesco ha aperto il concistoro rivolgendo ai cardinali brevi parole definite da padre Federico Lombardi "lungamente pensate", sul tema della famiglia. Dicendo:

"In questi giorni rifletteremo in particolare sulla famiglia, che è la cellula fondamentale della società umana. Fin dal principio il Creatore ha posto la sua benedizione sull’uomo e sulla donna affinché fossero fecondi e si moltiplicassero sulla terra; e così la famiglia rappresenta nel mondo come il riflesso di Dio, uno e trino.

"La nostra riflessione avrà sempre presente la bellezza della famiglia e del matrimonio, la grandezza di questa realtà umana così semplice e insieme così ricca, fatta di gioie e speranze, di fatiche e sofferenze, come tutta la vita. Cercheremo di approfondire la teologia della famiglia e la pastorale che dobbiamo attuare nelle condizioni attuali. Facciamolo con profondità e senza cadere nella ‘casistica’, perché farebbe inevitabilmente abbassare il livello del nostro lavoro. La famiglia oggi è disprezzata, maltrattata, e quello che ci è chiesto è di riconoscere quanto è bello, vero e buono formare una famiglia, essere famiglia oggi; quanto è indispensabile questo per la vita del mondo, per il futuro dell’umanità. Ci viene chiesto di mettere in evidenza il luminoso piano di Dio sulla famiglia e aiutare i coniugi a viverlo con gioia nella loro esistenza, accompagnandoli in tante difficoltà".

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L'omelia del 18 novembre 2013 di papa Francesco a Santa Marta, nel resoconto de "L'Osservatore Romano":

> La fedeltà a Dio non si negozia

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Il rapporto di fine gennaio 2014 del comitato delle Nazioni Unite di verifica della convenzione sui diritti del bambino, che dopo aver apprezzato "le progressiste parole pronunciate nel luglio 2913 da papa Francesco" ingiunge alla Chiesa cattolica di "correggere" la sua dottrina sull'aborto, sulla famiglia, sul sesso:

> Concluding Observations on the Second Periodic Report of the Holy See

Presiede questo comitato la norvegese Kirsten Sandberg. I suoi quattro vicepresidenti provengono da Arabia Saudita, Bahrein, Etiopia e Sri Lanka, paesi che non brillano per il rispetto dei diritti umani.

Nell'emettere giudizi sugli abusi sessuali commessi su bambine e bambini, l'ONU è istituzione tra le più screditate, vista l'innumerevole sequela di stupri impuniti compiuti dai Caschi Blu all'opera in vari paesi del mondo.

Altri particolari del rapporto:

> Anteprima del Sinodo. Il contributo dell'ONU sulla famiglia

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L'analisi di James D. Conley, vescovo di Lincoln, Nebraska, sul perché la cultura pop fa di papa Francesco il proprio eroe:

> Our Pop Culture Moment

L'analisi di Conley è apparsa il 3 febbraio 2014 su "First Things", rivista di cattolici "conservatori aperti al mondo", qualifica che vale anche per il gruppo trainante dell'episcopato degli Stati Uniti.

Il vescovo Conley – già ausiliare a Denver dell'attuale arcivescovo di Philadelphia, Charles Chaput – è parte attiva di questo gruppo.

Scrive tra l'altro:

"I libertari sessuali e sociali non hanno interesse a screditare il cristianesimo. Sono molto più interessati a rimodellarlo, arruolando Cristo e il suo vicario fra i loro sostenitori. L'agenda sociale secolarista è più attraente per i giovani se include – invece di competere con – il cristianesimo residuale delle loro famiglie. Il nemico non ha nessun interesse a sradicare il cristianesimo se può sublimarlo per i propri scopi. La più grande astuzia del diavolo non è convincere il mondo che lui non esiste, ma convincere il mondo che Gesù Cristo è un campione della sua causa".

E ancora:

"Mi si è chiesto più volte se papa Francesco sia consapevole di essere soggetto al fraintendimento dei media. Penso che egli sia ben cosciente delle scelte che compie, e dei rischi che esse comportano".

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Caterina63
00giovedì 6 marzo 2014 11:33


COMUNIONE AI DIVORZIATI RISPOSATI? QUANDO GIOVANNI PAOLO II SPIEGÒ IL «NO» IRREMOVIBILE DELLA CHIESA




Dall'Esortazione Apostolica «Familiaris Consortio» (22 novembre 1981) 

L'esperienza quotidiana mostra, purtroppo, che chi ha fatto ricorso al divorzio ha per lo più in vista il passaggio ad una nuova unione, ovviamente non col rito religioso cattolico. Poiché si tratta di una piaga che va, al pari delle altre, intaccando sempre più largamente anche gli ambienti cattolici, il problema dev'essere affrontato con premura indilazionabile. I Padri Sinodali l'hanno espressamente studiato. La Chiesa, infatti, istituita per condurre a salvezza tutti gli uomini e soprattutto i battezzati, non può abbandonare a se stessi coloro che - già congiunti col vincolo matrimoniale sacramentale - hanno cercato di passare a nuove nozze. Perciò si sforzerà, senza stancarsi, di mettere a loro disposizione i suoi mezzi di salvezza.

Sappiano i pastori che, per amore della verità, sono obbligati a ben discernere le situazioni. C'è infatti differenza tra quanti sinceramente si sono sforzati di salvare il primo matrimonio e sono stati abbandonati del tutto ingiustamente, e quanti per loro grave colpa hanno distrutto un matrimonio canonicamente valido. Ci sono infine coloro che hanno contratto una seconda unione in vista dell'educazione dei figli, e talvolta sono soggettivamente certi in coscienza che il precedente matrimonio, irreparabilmente distrutto, non era mai stato valido.

Insieme col Sinodo, esorto caldamente i pastori e l'intera comunità dei fedeli affinché aiutino i divorziati procurando con sollecita carità che non si considerino separati dalla Chiesa, potendo e anzi dovendo, in quanto battezzati, partecipare alla sua vita. Siano esortati ad ascoltare la Parola di Dio, a frequentare il sacrificio della Messa, a perseverare nella preghiera, a dare incremento alle opere di carità e alle iniziative della comunità in favore della giustizia, a educare i figli nella fede cristiana, a coltivare lo spirito e le opere di penitenza per implorare così, di giorno in giorno, la grazia di Dio. La Chiesa preghi per loro, li incoraggi, si dimostri madre misericordiosa e così li sostenga nella fede e nella speranza.

La Chiesa, tuttavia, ribadisce la sua prassi, fondata sulla Sacra Scrittura, di non ammettere alla comunione eucaristica i divorziati risposati. Sono essi a non poter esservi ammessi, dal momento che il loro stato e la loro condizione di vita contraddicono oggettivamente a quell'unione di amore tra Cristo e la Chiesa, significata e attuata dall'Eucaristia. C'è inoltre un altro peculiare motivo pastorale: se si ammettessero queste persone all'Eucaristia, i fedeli rimarrebbero indotti in errore e confusione circa la dottrina della Chiesa sull'indissolubilità del matrimonio.

La riconciliazione nel sacramento della penitenza - che aprirebbe la strada al sacramento eucaristico - può essere accordata solo a quelli che, pentiti di aver violato il segno dell'Alleanza e della fedeltà a Cristo, sono sinceramente disposti ad una forma di vita non più in contraddizione con l'indissolubilità del matrimonio. Ciò comporta, in concreto, che quando l'uomo e la donna, per seri motivi - quali, ad esempio, l'educazione dei figli - non possono soddisfare l'obbligo della separazione, «assumono l'impegno di vivere in piena continenza, cioè di astenersi dagli atti propri dei coniugi».

Dal discorso alla Rota Romana (28 gennaio 2002) 

Il matrimonio «è» indissolubile: questa proprietà esprime una dimensione del suo stesso essere oggettivo, non è un mero fatto soggettivo. Di conseguenza, il bene dell'indissolubilità è il bene dello stesso matrimonio; e l'incomprensione dell'indole indissolubile costituisce l'incomprensione del matrimonio nella sua essenza. Ne consegue che il «peso» dell'indissolubilità ed i limiti che essa comporta per la libertà umana non sono altro che il rovescio, per così dire, della medaglia nei confronti del bene e delle potenzialità insite nell'istituto matrimoniale come tale. In questa prospettiva, non ha senso parlare di «imposizione» da parte della legge umana, poiché questa deve riflettere e tutelare la legge naturale e divina, che è sempre verità liberatrice (cfr Gv 8, 32).

Questa verità sull'indissolubilità del matrimonio, come tutto il messaggio cristiano, è destinata agli uomini e alle donne di ogni tempo e luogo. Affinché ciò si realizzi, è necessario che tale verità sia testimoniata dalla Chiesa e, in particolare, dalle singole famiglie come "chiese domestiche", nelle quali marito e moglie si riconoscono mutuamente vincolati per sempre, con un legame che esige un amore sempre rinnovato, generoso e pronto al sacrificio.

Non ci si può arrendere alla mentalità divorzistica: lo impedisce la fiducia nei doni naturali e soprannaturali di Dio all'uomo. L'attività pastorale deve sostenere e promuovere l'indissolubilità. Gli aspetti dottrinali vanno trasmessi, chiariti e difesi, ma ancor più importanti sono le azioni coerenti.


 


A quanto pare, i nostri vescovi sono i primi a fregarsene di ciò che insegna la Chiesa. Come il blog Cantuale Antonianum fa notare, già il primo sinodo di Benedetto XVI sull'Eucarestia si espresse sulla Comunione ai divorziati-risposati: no, fu la risposta. 
D'accordo fare un altro sinodo sulla famiglia, perché oggi abbiamo le nozze e le adozioni gay, ma è assurdo discutere su una questione già risolta. 
Così si dà solo l'impressione, molto fondata, che si voglia, per prima cosa, cancellare il pontificato e il magistero benedettino, e in secondo luogo che i primi a non credere all'immutabile dottrina evangelica siano proprio i successori degli apostoli, visto che sono i primi a rimettere sempre tutto in discussione. 
Come i farisei, per mezzo delle loro tradizioni, trasgredivano ai comandamenti divini, così oggi i vescovi, per mezzo della "pastorale misericordiosa" caso per caso, eclissano il deposito della fede. Non ci fa una bella figura neppure Bergoglio... ma vabbè...


http://www.cantualeantonianum.com/2014/03/una-pratica-pastorale-fondata-su.html?spref=fb


 e a fare queste riflessioni, badiamo bene, non è un "tradizionalista" o uno contro Papa Francesco eh!... trattasi dell'ottimo frate francescale del sito Cantuale Antonianum.... una persona equilibrata e sempre molto ponderata.... ma leggiamo l'articolo integralmente:


Dopo aver letto la relazione "segreta" del Card. Kasper al recente Concistoro, preludio di future assise sinodali che molti preannunciano "infuocate", e dopo aver ascoltato le più disparate interpretazioni, vien quasi da chiedersi: "Ma il Card. Kasper dov'era quando fecero il Sinodo sull'Eucaristia del 2005? E con lui tanti vescovi, magari già all'epoca elevati alla porpora?"... Kasper al Sinodo dei Vescovi del 2005 c'era. Faceva pure parte del Consiglio post-Sinodale, quello che aiuta il Papa a preparare la successiva Esortazione apostolica, documento che raccoglie e rilancia alla Chiesa intera quando elaborato dai Padri nel Sinodo.
Possiamo supporre che il cardinale tedesco abbia già fatto presenti le stesse opinioni, espresse pochi giorni fa a Papa e cardinali, anche ai confratelli nell'episcopato riuniti nel 2005. Con tutta l'evidenza dei risultati di quel Sinodo, i vescovi non avevano né accettato né approvato le opinioni di Kasper. E lui stesso, con onestà, dice che si tratta di "novità", di "tradizioni più recenti" (cioè né bibliche, né apostoliche) che possono - a suo parere - esser messe accanto alle soluzioni tradizionali, senza scalzarle. Ma è davvero così semplice?

La trattazione del Presidente Emerito del Pontificio Consiglio per l'Unità dei Cristiani inizia e prosegue in maniera dotta e biblica per i primi 4 capitoletti. Finché si arriva al quinto punto. Qui assistiamo ad una sfilza di domande retoriche che sembrano essere messe lì al solo fine di affermare: "non sono io che dico certe cose, siete voi a dirle!".
Viene anche ricordato fugacemente il numero 29 di Sacramentum Caritatis, il documento post-sinodale del 2007, ma Kasper non si sofferma a citarlo per esteso e a trarne le conseguenze. Quel numero, tra l'altro, afferma con estrema chiarezza che il Sinodo dei Vescovi ha già dato una sua autorevole risposta al problema della comunione a chi, dopo un divorzio, passa a nuove nozze civili:
Il Sinodo dei Vescovi ha confermato la prassi della Chiesa, fondata sulla Sacra Scrittura (cfr Mc 10,2-12), di non ammettere ai Sacramenti i divorziati risposati, perché il loro stato e la loro condizione di vita oggettivamente contraddicono quell'unione di amore tra Cristo e la Chiesa che è significata ed attuata nell'Eucaristia.
Ricapitoliamo: un Sinodo dei Vescovi ha già risposto, ed evidentemente ha già discusso, su questo preciso e spinoso punto "di prassi", di pratica pastorale (per usare la terminologia di Kasper). E ha discusso non nel medioevo o nel XIX secolo, ma nemmeno 10 anni fa. Qualcuno potrebbe essere però tentato di mettere in dubbio che quanto i vescovi del Sinodo avevano deciso nel 2005 e proposto al Papa sia stato solamente ratificato da Benedetto XVI nel 2007. Papa Ratzinger, forse, ha piegato secondo le sue personali visioni teologiche le proposte dei Vescovi o li ha convinti con la sua autorità.... In realtà Ratzinger ci aveva sorpresi in precedenza, perché nel 1998 già aveva esposto i suoi personali crucci teologici sulla questione dell'ammissione alla comunione dei battezzati che dopo un divorzio si risposano. E i suoi dubbi di teologo mostravano punti di contatto con quanto continua a sostenere il cardinal Kasper (vedi qui). Inoltre, Ratzinger, da Papa, per non nascondere nulla aveva voluto pure la pubblicazione integrale delle proposte dei Padri sinodali, in tempi assolutamente non sospetti: due anni prima del suo documento! Tutto alla luce del sole, come si suol dire.
Che cosa avevano proposto, dunque, i Vescovi riuniti nel Sinodo a questo proposito? Leggiamo:
Proposizione 40 I divorziati risposati e l’Eucaristia
In continuità con i numerosi pronunciamenti del Magistero della Chiesa e condividendo la sofferta preoccupazione espressa da molti Padri, il Sinodo dei Vescovi ribadisce l’importanza di un atteggiamento e di un’azione pastorale di attenzione e di accoglienza verso i fedeli divorziati e risposati.
Secondo la Tradizione della Chiesa cattolica, essi non possono esser ammessi alla Santa Comunione, trovandosi in condizione di oggettivo contrasto con la Parola del Signore che ha riportato il matrimonio al valore originario dell’indissolubilità (cf. CCC 1640), testimoniato dal suo dono sponsale sulla croce e partecipato ai battezzati attraverso la grazia del sacramento. I divorziati risposati tuttavia appartengono alla Chiesa, che li accoglie e li segue con speciale attenzione perché coltivino uno stile cristiano di vita attraverso la partecipazione alla Santa Messa, pur senza ricevere la Santa Comunione, l’ascolto della Parola di Dio, l’Adorazione Eucaristica, la preghiera, la partecipazione alla vita comunitaria, il dialogo confidente con un sacerdote o un maestro di vita spirituale, la dedizione alla carità vissuta, le opere di penitenza, l’impegno educativo verso i figli. Se poi non viene riconosciuta la nullità del vincolo matrimoniale e si danno condizioni oggettive che di fatto rendono la convivenza irreversibile, la Chiesa li incoraggia a impegnarsi a vivere la loro relazione secondo le esigenze della legge di Dio, trasformandola in un’amicizia leale e solidale; così potranno riaccostarsi alla mensa eucaristica, con le attenzioni previste dalla provata prassi ecclesiale, ma si eviti di benedire queste relazioni perché tra i fedeli non sorgano confusioni circa il valore del matrimonio.
Nello stesso tempo il Sinodo auspica che sia fatto ogni possibile sforzo sia per assicurare il carattere pastorale, la presenza e la corretta e sollecita attività dei tribunali ecclesiastici per le cause di nullità matrimoniale (cf. Dignitas connubii), sia per approfondire ulteriormente gli elementi essenziali per la validità del matrimonio, anche tenendo conto dei problemi emergenti dal contesto di profonda trasformazione antropologica del nostro tempo, dal quale gli stessi fedeli rischiano di esser condizionati specialmente in mancanza di una solida formazione cristiana.
Il Sinodo ritiene che, in ogni caso, grande attenzione debba esse assicurata alla formazione dei nubendi e alla previa verifica della loro effettiva condivisione delle convinzioni e degli impegni irrinunciabili per la validità del sacramento del matrimonio, e chiede ai Vescovi e ai parroci il coraggio di un serio discernimento per evitare che impulsi emotivi o ragioni superficiali conducano i nubendi all’assunzione di una grande responsabilità per se stessi, per la Chiesa e per la società, che non sapranno poi onorare.
Ma allora perché non vengono più citati questi testi recenti e si insiste che solo un'ennesima riunione del Sinodo, a pochi anni dall'XI assemblea, darà "finalmente" il permesso di cambiare la "prassi" anche senza toccare la "dottrina"? Possibile che lo Spirito Santo - che tutti tirano continuamente in ballo - non abbia agito e suggerito queste cose nel 2005-2007? E il cardinal Scola, che era stato tanto preciso e chiaro a quel tempo (vedi qui), come mai oggi non fa sentire la sua voce?

Ancora: se quella attuale è una "prassi fondata sulla Scrittura e sulla Tradizione" è davvero possibile che sia "senza misericordia" o sbagliata o anche solo "fuori del tempo"? Oppure dev'essere intesa come una prassi medicinale, necessaria per chi ne ha bisogno per la guarigione e la conversione, che comprende scelte forti e coraggiose (non solo un cammino interiore) e insieme per tutelare e difendere il bene dell'indissolubilità del matrimonio, tanto bersagliato e attaccato?
Io mi chiedo e vi chiedo: se appena 7 anni dopo quanto scriveva Benedetto XVI, sulla scorta del consiglio dei vescovi della Chiesa Cattolica, non è più nemmeno ricordato, sottolineato, e tenuto in conto, come è possibile credere che ciò che un Papa oggi dice domani varrà ancora?

Leggete e giudicate voi se la prassi pastorale odierna, descritta dal documento pontificio, sia così cattiva e senza cuore o anacronistica come viene dipinta da chi rischia forte nel contrapporre (e non conciliare) la verità e la carità, oppure sia un coraggioso richiamo a chi si è "sposato nel Signore" a non calpestare il sacramento che rende il marito e la moglie "una sola carne".
Sacramentum Caritatis 29: Eucaristia e indissolubilità del matrimonio 
Se l'Eucaristia esprime l'irreversibilità dell'amore di Dio in Cristo per la sua Chiesa, si comprende perché essa implichi, in relazione al sacramento del Matrimonio, quella indissolubilità alla quale ogni vero amore non può che anelare.(91) Più che giustificata quindi l'attenzione pastorale che il Sinodo ha riservato alle situazioni dolorose in cui si trovano non pochi fedeli che, dopo aver celebrato il sacramento del Matrimonio, hanno divorziato e contratto nuove nozze. Si tratta di un problema pastorale spinoso e complesso, una vera piaga dell'odierno contesto sociale che intacca in misura crescente gli stessi ambienti cattolici. I Pastori, per amore della verità, sono obbligati a discernere bene le diverse situazioni, per aiutare spiritualmente nei modi adeguati i fedeli coinvolti.(92) Il Sinodo dei Vescovi ha confermato la prassi della Chiesa, fondata sulla Sacra Scrittura (cfr Mc 10,2-12), di non ammettere ai Sacramenti i divorziati risposati, perché il loro stato e la loro condizione di vita oggettivamente contraddicono quell'unione di amore tra Cristo e la Chiesa che è significata ed attuata nell'Eucaristia. I divorziati risposati, tuttavia, nonostante la loro situazione, continuano ad appartenere alla Chiesa, che li segue con speciale attenzione, nel desiderio che coltivino, per quanto possibile, uno stile cristiano di vita attraverso la partecipazione alla santa Messa, pur senza ricevere la Comunione, l'ascolto della Parola di Dio, l'Adorazione eucaristica, la preghiera, la partecipazione alla vita comunitaria, il dialogo confidente con un sacerdote o un maestro di vita spirituale, la dedizione alla carità vissuta, le opere di penitenza, l'impegno educativo verso i figli.
Là dove sorgono legittimamente dei dubbi sulla validità del Matrimonio sacramentale contratto, si deve intraprendere quanto è necessario per verificarne la fondatezza. Bisogna poi assicurare, nel pieno rispetto del diritto canonico,(93) la presenza sul territorio dei tribunali ecclesiastici, il loro carattere pastorale, la loro corretta e pronta attività.(94) Occorre che in ogni Diocesi ci sia un numero sufficiente di persone preparate per il sollecito funzionamento dei tribunali ecclesiastici. Ricordo che «è un obbligo grave quello di rendere l'operato istituzionale della Chiesa nei tribunali sempre più vicino ai fedeli».(95) È necessario, tuttavia, evitare di intendere la preoccupazione pastorale come se fosse in contrapposizione col diritto. Si deve piuttosto partire dal presupposto che fondamentale punto d'incontro tra diritto e pastorale è l'amore per la verità: questa infatti non è mai astratta, ma «si integra nell'itinerario umano e cristiano di ogni fedele».(96) Infine, là dove non viene riconosciuta la nullità del vincolo matrimoniale e si danno condizioni oggettive che di fatto rendono la convivenza irreversibile, la Chiesa incoraggia questi fedeli a impegnarsi a vivere la loro relazione secondo le esigenze della legge di Dio, come amici, come fratello e sorella; così potranno riaccostarsi alla mensa eucaristica, con le attenzioni previste dalla provata prassi ecclesiale. Tale cammino, perché sia possibile e porti frutti, deve essere sostenuto dall'aiuto dei pastori e da adeguate iniziative ecclesiali, evitando, in ogni caso, di benedire queste relazioni, perché tra i fedeli non sorgano confusioni circa il valore del Matrimonio.(97)
Data la complessità del contesto culturale in cui vive la Chiesa in molti Paesi, il Sinodo ha, poi, raccomandato di avere la massima cura pastorale nella formazione dei nubendi e nella previa verifica delle loro convinzioni circa gli impegni irrinunciabili per la validità del sacramento del Matrimonio. Un serio discernimento a questo riguardo potrà evitare che impulsi emotivi o ragioni superficiali inducano i due giovani ad assumere responsabilità che non sapranno poi onorare.(98) Troppo grande è il bene che la Chiesa e l'intera società s'attendono dal matrimonio e dalla famiglia su di esso fondata per non impegnarsi a fondo in questo specifico ambito pastorale. Matrimonio e famiglia sono istituzioni che devono essere promosse e difese da ogni possibile equivoco sulla loro verità, perché ogni danno arrecato ad esse è di fatto una ferita che si arreca alla convivenza umana come tale.
(91) Cfr Catechismo della Chiesa Cattolica, 1640.
(92) Cfr Giovanni Paolo II, Esort. ap. postsinodale Familiaris consortio (22 novembre 1981), 84:AAS 74 (1982), 184-186; Congregazione per la Dottrina della Fede, Lettera ai Vescovi della Chiesa Cattolica circa la recezione della comunione eucaristica da parte di fedeli divorziati risposati Annus Internationalis Familiae (14 settembre 1994): AAS 86 (1994), 974-979.
(93) Cfr Pontificio Consiglio per i Testi legislativi, Istruzione sulle norme da osservarsi nei tribunali ecclesiastici nelle cause matrimoniali Dignitas connubii (25 gennaio 2005), Città del Vaticano, 2005.
(94) Cfr Propositio 40.
(95) Benedetto XVI, Discorso al Tribunale della Rota Romana in occasione dell'inaugurazione dell'anno giudiziario (28 gennaio 2006): AAS 98 (2006), 138.
(96) Cfr Propositio 40.
(97) Cfr ibidem.
(98) Cfr ibidem.


Testo preso da: Una pratica pastorale fondata su Scrittura e Tradizione. L'oblio di decisioni Sinodali scomode ma evangeliche http://www.cantualeantonianum.com/2014/03/una-pratica-pastorale-fondata-su.html#ixzz2vB4oFtsu 
http://www.cantualeantonianum.com 

 

Caterina63
00lunedì 5 maggio 2014 17:39

  C'è un processo straordinario che sta avvenendo sotto i nostri occhi e dentro le nostre menti di cui non cogliamo la portata e che è ben più importante e radicale della crisi economica: il cristianesimo sta lasciando l'Europa.

 

E il cristianesimo lasciò l'Europa
Tre le cause: una radicale mutazione sociale, una Ue anti-religiosa, l'immigrazione. E poi c'è Bergoglio...

Marcello Veneziani - Lun, 05/05/2014 - 14:02


Tre fattori stanno spingendo in quella direzione.
Il primo è l'ormai secolare scristianizzazione dell'Europa che sta accelerando a passi da gigante. Un processo che non riguarda solo il sentimento religioso, la partecipazione ai riti e alle messe, il crollo delle vocazioni, ma che investe il senso di appartenenza alla civiltà cristiana e va dalla cultura al sentire popolare, dagli orientamenti di fondo alla vita quotidiana. Quel che appariva come naturale e civile, consolidato nei millenni, nei costumi e nei cuori, sta cadendo a una velocità sorprendente e investe in primo luogo la persona in rapporto alla vita e al sesso, alla nascita e alla morte; subito dopo travolge la famiglia in ogni aspetto. E la morale, i costumi, i linguaggi. Sconcertano e indignano convinzioni comuni da secoli, in vigore fino a vent'anni fa. I mutamenti che sta imponendo la crisi economica alla vita quotidiana europea sono ben poca cosa rispetto alle mutazioni antropologiche di portata radicale che stiamo vivendo. Profetica visione di questo crepuscolo espresse Sergio Quinzio in un testo del 1967 ora ripubblicato da Adelphi, Cristianesimo dall'inizio alla fine.

Al primo fattore sociale e culturale si è unito un secondo fattore istituzionale: la Ue non esprime una comune visione storica e strategica, culturale e spirituale ma è forte, evidente e prevalente la spinta a emanciparsi da ogni legame con la civiltà cristiana. Il peccato originale dell'UE si rivelò già nel rifiuto di riconoscere, come chiesero invano San Giovanni Paolo II e Ratzinger, le radici cristiane dell'Europa, insieme alla civiltà greco-romana.
Quelle origini erano peraltro l'unica base comune su cui poter fondare l'Europa, che per il resto è divisa e si è lacerata nei secoli. Ma tutte le norme che sono seguite, gran parte delle decisioni assunte dai consessi e delle sentenze delle corti europee, sono state improntate a un'evidente scristianizzazione dell'Europa. Ciò è avvenuto nonostante la presenza di un partito popolare europeo d'ispirazione cristiana per anni maggioritario in seno all'Europa. E nonostante la leadership europea di Angela Merkel, alla guida di quel partito e della nazione-egemone nell'Unione. Il filo comune che ha tessuto l'Europa è stato affidato alla moneta e alle linee economico-finanziarie, sradicando ogni possibile richiamo all'unità di natura meta-economica, salvo un vago illuminismo imperniato sui diritti umani.

Il terzo fattore è la massiccia pressione degli immigrati, in prevalenza di religione islamica che si ammassa sulle sponde del Mediterraneo. Gli 800mila migranti pronti a partire, di recente paventati, costituiscono solo una parte. Perché, come ha notato l'ex presidente della commissione europea Romano Prodi, la migrazione nordafricana sarà ben poca cosa rispetto all'esodo delle popolazioni subsahariane che ci attende. A parte gli evidenti traumi e disagi sociali e civili, in tema di accoglienza e ordine pubblico, quell'invasione produrrà un'ulteriore alienazione della cristianità in Europa. Certo, avverrà pure l'inverso, la conversione di molti di loro al cristianesimo; ma più difficile sarà nei confronti di chi ha già una forte impronta islamica. 

A questi tre fattori imponenti se n'è aggiunto da un anno un quarto, che da un verso risponde ai primi tre, dall'altro induce la Chiesa a non subire ma favorire questo «decentramento» del cristianesimo: l'elezione di un Papa venuto dalla fine del mondo e i primi passi del suo pontificato. Finora i Papi, in stragrande maggioranza, erano italiani, se non romani (Santa Romanesca Chiesa, diceva il Cardinal Ottaviani); ora, per la prima volta, proviene da fuori d'Europa. Del resto i cattolici devoti sono più numerosi in Sud America che qui in Europa.
Bergoglio non ha vissuto la crisi spirituale europea se non di riflesso, non ha dovuto confrontarsi col nichilismo pratico di un continente sazio di storia e declinante né con la relativa scristianizzazione delle società vecchie avanzate. Viene dalla periferia giovane e parla un linguaggio che sembra postconciliare ma che è anche premoderno, quando la cristianità permeava la vita quotidiana e non era un fenomeno minoritario. Un catechismo elementare, Dio, il Diavolo, i santi, tutto a portata di mano. E i suoi messaggi, dal Brasile a Lampedusa, hanno spostato la visione della Chiesa e il suo baricentro dall'Europa al sud del mondo.
L'elezione di Papa Francesco avviene dopo la sconfitta culturale e pastorale dei due papi precedenti, soprattutto Benedetto XVI, che erano ripartiti da dove si perse Cristo, dall'Europa, tentando di affrontare la crisi religiosa. Con la loro sconfitta va declinando il cattolicesimo romano. Ora si tenta di riavviare il cristianesimo partendo dalle periferie, dai più umili, dai devoti più ingenui.

Insomma il cristianesimo sta ritirandosi dall'Europa e sta cercando di risalire dai bordi, visto che il portone principale è inagibile. Dal punto di vista religioso, evangelico e pastorale, è arduo esprimere un giudizio, soprattutto se si crede ai disegni della Provvidenza. La Chiesa muta registro, e non si tratta di sinistra, di terzomondismo o pauperismo. È un fenomeno più grande, che peraltro reagisce a un evidente processo di espulsione del cristianesimo dalla vita europea. È più saggio sospendere il giudizio sulla Chiesa di Bergoglio, pur non mancando di criticare le singole scelte. È vano arroccarsi in una posizione di pura difesa del cattolicesimo romano. Non si può pensare che la Chiesa possa ridursi a una setta di ortodossi, decisamente minoritaria ed estranea rispetto al mondo che la circonda. La purezza si addice agli gnostici, agli iniziati, mentre il cristianesimo è una religione coram populo, perché lì avverte la voce di Dio.

Il problema da affrontare non riguarda il versante religioso ma quello civile ed esistenziale, di un'Europa privata delle sue tradizioni e in fuga dalla sua civiltà, devota solo a Economia e Tecnica. L'Europa non sta sostituendo la visione cristiana della vita con un'altra visione, ma con la perdita di ogni visione e il primato del puro vivere. Assoluto non è l'Essere ma ciò che mi sento di essere. Io, ora. E chiama libertà il suo disperato perdersi nel nulla.



  ricorda che..........










Caterina63
00lunedì 12 maggio 2014 12:39
  per una maggiore e migliore leggibilità dei testi, chiudiamo qui questo thread per aprirne uno che proseguirà su questi approfondimenti:

"Francesco! Và e ripara la mia Chiesa" Le croci di un Papa (2)


 grazie






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