17.1.2010 Benedetto XVI in visita alla Sinagoga di Roma

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Caterina63
00mercoledì 13 gennaio 2010 19:16

Secondo quanto reso noto dalla Sala Stampa della Santa Sede, il Papa arriverà al Ghetto domenica pomeriggio in automobile. Lo accoglieranno i presidenti della Comunità ebraica di Roma, Riccardo Pacifici, e delle Comunità ebraiche italiane, Renzo Gattegna:  e subito ci sarà un omaggio alle vittime della Shoah, con la deposizione di una corona floreale davanti alla lapide che ricorda la deportazione del 16 ottobre 1943.

Quindi il Pontefice e le altre personalità si incammineranno per via Catalana, verso il Tempio Maggiore. Lungo il tragitto è prevista una breve sosta davanti alla targa posta a memoria dell'attentato del 9 ottobre 1982, in cui perse la vita il piccolo Stefano Tachè, di appena due anni, e rimasero feriti 37 ebrei.

Ai piedi della scalinata centrale della sinagoga il Pontefice sarà accolto dal rabbino Di Segni, mentre una corale intonerà il salmo 126. Seguiranno i discorsi e lo scambio dei doni, mentre il coro intonerà l'inno Anì Maamin.

Al termine il vescovo di Roma e il rabbino capo raggiungeranno una sala attigua al Tempio per un colloquio privato. Quindi, insieme, usciranno nel giardino della sinagoga, passando davanti all'ulivo piantato a ricordo della visita.

Successivamente il Papa scenderà al Museo ebraico di Roma per l'inaugurazione della Mostra "Et ecce gaudium", che espone quattordici disegni preparati nel Settecento dalla Comunità ebraica in occasione dell'incoronazione di Pontefici dell'epoca. Infine, nella Sinagoga spagnola, Benedetto XVI incontrerà alcuni rappresentanti della Comunità ebraica, prima di rientrare in Vaticano.

La visita di Papa Ratzinger avviene ventiquattro anni dopo quella di Giovanni Paolo II, che il 13 aprile 1986 fu il primo successore di Pietro a incontrare gli ebrei a casa loro, proprio a Roma, dall'altra parte del Tevere. Per Benedetto XVI comunque sarà la terza visita a una sinagoga:  la prima fu il 19 agosto 2005, a Colonia in Germania, la seconda il 18 aprile 2008, alla Park East Synagogue di New York, durante il viaggio negli Stati Uniti.

A far da corona alla visita del Papa, l'inizio dei lavori, sempre il 17 gennaio - per concludersi il 20 - della riunione annuale della Commissione mista tra Chiesa cattolica e esponenti del Gran Rabbinato di Israele; e, a livello italiano, la Giornata per l'approfondimento e lo sviluppo del dialogo tra cattolici ed ebrei, che riprende in questo 2010, dopo l'interruzione dello scorso anno.


(©L'Osservatore Romano - 14 gennaio 2010)


Ricordiamo che il 17 gennaio è anche l'Anniversario della Memoria Venerabile di 
Madre Antonia Lalìa , Fondatrice delle Suore Domenicane Missionarie di san Sisto - Roma -

a Lei affidiamo la buona riuscita di questa Missione Petrina....



Caterina63
00giovedì 14 gennaio 2010 19:40
Il sionismo, la Shoah e lo Stato d'Israele

Tra Auschwitz e Gerusalemme



di Anna Foa


"Senza la Shoah, lo Stato d'Israele non sarebbe mai nato".

Questo stretto nesso causale fra lo sterminio degli ebrei d'Europa e la fondazione dello Stato d'Israele è divenuto un assioma accettato da studiosi e gente comune, ebrei e non ebrei, religiosi e laici, politici di diverse parti. I palestinesi lo hanno adottato per dimostrare di essere stati sacrificati al senso di colpa dell'Europa, la leadership israeliana per fare della fondazione dello Stato il momento del riscatto politico del popolo ebraico, gli storici post-sionisti per mettere sotto accusa l'utilizzazione della Shoah e della sua memoria fatta da Ben Gurion e dall'élite laburista.

Questo libro di Georges Bensoussan (Israele, un nome eterno. Lo Stato d'Israele, il sionismo e lo sterminio degli Ebrei d'Europa, Torino, Utet 2009, pagine 203, euro 22) - uno dei più noti studiosi di sionismo dei nostri giorni, autore fra l'altro di una voluminosa storia politica e intellettuale del sionismo, recentemente tradotta da Einaudi - si propone di mettere in discussione e di demolire criticamente questo assunto, proponendo un'interpretazione nuova e originale, secondo cui il processo che ha reso la Shoah il maggior pilastro dell'identità israeliana non si è realizzato senza comportare una modifica radicale dei presupposti stessi su cui si basava lo Stato alla sua nascita.

Lo Stato, argomenta Bensoussan, non nasce dalla Shoah. Gli anni cruciali per la sua fondazione furono quelli, sotto il mandato britannico, della creazione dell'esercito, dei sindacati, delle università, della generale adozione della lingua ebraica. Gli anni dell'Yishuv, insediamento ebraico, quelli cioè in cui si crearono le strutture che nel 1948 diventarono senza soluzione di continuità le strutture dello Stato d'Israele.

All'origine dello Stato è la proposta sionista, la sua lunga realizzazione. Lungi dal facilitare la creazione dello Stato, la Shoah ha rappresentato per il progetto sionista una catastrofe, tanto dal punto di vista demografico, distruggendo il serbatoio di popolazione su cui il sionismo contava, tanto dal punto di vista morale. Infatti, non soltanto l'Yishuv non è stato in grado di salvare l'ebraismo europeo, ma ne ha anche accolto con diffidenza e tiepidezza i superstiti.

Una realtà questa già ampiamente sottolineata dalla storiografia, ma che Bensoussan analizza nelle sue motivazioni ideologiche:  da una parte, infatti, la scelta di trasformare l'Yishuv in un rifugio per i perseguitati rappresentò la rinuncia a quell'immigrazione selettiva, di ebrei cioè motivati a costruire un mondo nuovo, che era stata una delle caratteristiche del movimento sionista. Dall'altra, essa corrispose al periodo in cui i sionisti presero maggiormente le distanze dalla diaspora e dagli stessi sopravvissuti:  il momento cioè dell'esaltazione dell'uomo nuovo sionista, contrapposto all'ebreo della diaspora e alla sua passività e, all'interno della diaspora, della contrapposizione dell'eroismo dei combattenti del ghetto alla debolezza degli ebrei europei, "pecore inviate al macello senza reagire".

Nel percorrere la storia narrata da Bensoussan, del modo in cui il nuovo Stato ha percepito la Shoah, ne ha integrato i superstiti, ne ha elaborato la memoria, la costruzione memoriale israeliana ci appare qui molto diversa da quella che caratterizzò tanto l'Europa che la sua diaspora.

Il quindicennio che in Europa fu il periodo del silenzio e della grande rimozione fu infatti anche per Israele un periodo di silenzio; ma si trattò di un "silenzio abitato" da memorie represse, da nuove paure identificate con le antiche paure realizzatesi nella Shoah, da sensi di colpa e volontà di rivincita. Un silenzio molto diverso da quello delle nazioni europee, intente a ricostruire l'Europa e a occultare le proprie colpe.

È allora, in quel silenzio, che cominciò a prender corpo l'idea che la costruzione dello Stato fosse la redenzione - per alcuni politica, per altri religiosa - dalla distruzione degli ebrei realizzata da Hitler. A partire dal processo Eichmann, e ancor più dopo la guerra del Kippur e via via sempre più nel corso dei decenni successivi, la memoria della Shoah diviene uno dei pilastri dello Stato, determinando un processo di trasformazione degli israeliani, che sempre più si identificano con le vittime, che "sono tornati ebrei" e che, come gli ebrei della diaspora, "sono contemporaneamente cittadini dello Stato di Israele ed ebrei".

Lo Stato non è più volto a fondare un uomo nuovo, ma a difendere gli ebrei da nuovi stermini. La legittimità dello Stato di Israele, che si fondava sul sionismo, si fonda ormai sulla Shoah, segnando in profondità "un'identità dolente, che oscilla sempre tra Auschwitz e Gerusalemme". Con il rischio che questo ripiegamento dell'identità sulla catastrofe, invece che sulla speranza del futuro, porti a nuove catastrofi e non faciliti il processo verso la pace. Dramma passato o tragedia futura? - si interroga l'ultimo capitolo del libro.

Il trauma dello sterminio, unito al pervicace rifiuto arabo, fa sì "che la Casa di Giacobbe si accampi di nuovo, sola, sulle sponde della propria memoria".


(©L'Osservatore Romano - 15 gennaio 2010)


Bollettino Sala Stampa Vaticano 17.1.2010

Nel pomeriggio di oggi, 17 gennaio 2010 - 2 shevat 5770, il Pontefice Benedetto XVI si reca in Visita alla Comunità Ebraica di Roma.

Alle ore 16.25 il Pontefice arriva a Largo XVI ottobre al Portico di Ottavia ed è accolto da Riccardo Pacifici, Presidente della Comunità ebraica di Roma e da Renzo Gattegna, Presidente delle Comunità ebraiche italiane.

Davanti la lapide che ricorda la deportazione del 16 ottobre 1943 viene deposta una corona floreale in omaggio alle vittime della Shoah. Percorrendo Via Catalana verso la Sinagoga, il Vescovo di Roma compie una breve sosta davanti alla lapide che ricorda l’attentato del 9 ottobre 1982, in cui perse la vita un bambino ebreo di due anni e rimasero ferite decine di persone che uscivano da Tempio dopo la preghiera.

Accolto ai piedi della scalinata centrale della Sinagoga dal Rabbino Capo di Roma, Riccardo Di Segni, alle ore 16.45 il Pontefice fa il suo ingresso nel Tempio. Nel corso della visita, dopo i saluti del Presidente della Comunità ebraica di Roma, Riccardo Pacifici, del Presidente delle Comunità ebraiche italiane, Renzo Gattegna e del Rabbino Capo, Riccardo Di Segni, il Vescovo di Roma pronuncia un discorso, al termine del quale avviene lo scambio dei doni. L’incontro ufficiale nella Sinagoga si conclude con il canto dell’Inno "Anì Maamin".

Il Pontefice e il Rabbino Capo raggiungono quindi la Sala attigua alla Sinagoga per un breve colloquio privato. Insieme poi, il Pontefice e il Rabbino Capo escono nel giardino del Tempio, passano davanti all’ulivo che è piantato a ricordo della visita e scendono nel Museo ebraico di Roma per l’inaugurazione della Mostra "Et ecce gaudium" che espone 14 disegni preparati nel 700 dalla Comunità ebraica per l’incoronazione dei Sommi Pontefici.

Infine, nella Sinagoga Spagnola posta nei sotterranei del Tempio maggiore, il Pontefice incontra alcuni Rappresentanti della Comunità ebraica.

Alle ore 18.15 il Pontefice lascia la Sinagoga per far rientro in Vaticano.


Caterina63
00domenica 17 gennaio 2010 21:05
Pubblichiamo di seguito il discorso che Benedetto XVI ha pronunciato nella Sinagoga di Roma nel corso della visita alla Comunità ebraica:

DISCORSO DEL SANTO PADRE

“Il Signore ha fatto grandi cose per loro”
Grandi cose ha fatto il Signore per noi:
eravamo pieni di gioia” (Sal 126)
“Ecco, com’è bello e com’è dolce
che i fratelli vivano insieme!” (Sal 133)

Signor Rabbino Capo della Comunità Ebraica di Roma,
Signor Presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane,
Signor Presidente della Comunità Ebraica di Roma
Signori Rabbini,
Distinte Autorità,
Cari amici e fratelli
,

1. All’inizio dell’incontro nel Tempio Maggiore degli Ebrei di Roma, i Salmi che abbiamo ascoltato ci suggeriscono l’atteggiamento spirituale più autentico per vivere questo particolare e lieto momento di grazia: la lode al Signore, che ha fatto grandi cose per noi, ci ha qui raccolti con il suo Hèsed, l’amore misericordioso, e il ringraziamento per averci fatto il dono di ritrovarci assieme a rendere più saldi i legami che ci uniscono e continuare a percorrere la strada della riconciliazione e della fraternità. Desidero esprimere innanzitutto viva gratitudine a Lei, Rabbino Capo, Dottor Riccardo Di Segni, per l’invito rivoltomi e per le significative parole che mi ha indirizzato. Ringrazio poi i Presidenti dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, Avvocato Renzo Gattegna, e della Comunità Ebraica di Roma, Signor Riccardo Pacifici, per le espressioni cortesi che hanno voluto rivolgermi. Il mio pensiero va alle Autorità e a tutti i presenti e si estende, in modo particolare, alla Comunità ebraica romana e a quanti hanno collaborato per rendere possibile il momento di incontro e di amicizia, che stiamo vivendo.

Venendo tra voi per la prima volta da cristiano e da Papa, il mio venerato Predecessore Giovanni Paolo II, quasi ventiquattro anni fa, intese offrire un deciso contributo al consolidamento dei buoni rapporti tra le nostre comunità, per superare ogni incomprensione e pregiudizio. Questa mia visita si inserisce nel cammino tracciato, per confermarlo e rafforzarlo. Con sentimenti di viva cordialità mi trovo in mezzo a voi per manifestarvi la stima e l’affetto che il Vescovo e la Chiesa di Roma, come pure l’intera Chiesa Cattolica, nutrono verso questa Comunità e le Comunità ebraiche sparse nel mondo.

                          Pope Benedict XVI waves as he arrives at Rome's main synagogue January 17, 2010.

2. La dottrina del Concilio Vaticano II ha rappresentato per i Cattolici un punto fermo a cui riferirsi costantemente nell’atteggiamento e nei rapporti con il popolo ebraico, segnando una nuova e significativa tappa. L’evento conciliare ha dato un decisivo impulso all’impegno di percorrere un cammino irrevocabile di dialogo, di fraternità e di amicizia, cammino che si è approfondito e sviluppato in questi quarant’anni con passi e gesti importanti e significativi, tra i quali desidero menzionare nuovamente la storica visita in questo luogo del mio Venerabile Predecessore, il 13 aprile 1986, i numerosi incontri che egli ha avuto con Esponenti ebrei, anche durante i Viaggi Apostolici internazionali, il pellegrinaggio giubilare in Terra Santa nell’anno 2000, i documenti della Santa Sede che, dopo la Dichiarazione Nostra Aetate, hanno offerto preziosi orientamenti per un positivo sviluppo nei rapporti tra Cattolici ed Ebrei. Anche io, in questi anni di Pontificato, ho voluto mostrare la mia vicinanza e il mio affetto verso il popolo dell’Alleanza. Conservo ben vivo nel mio cuore tutti i momenti del pellegrinaggio che ho avuto la gioia di realizzare in Terra Santa, nel maggio dello scorso anno, come pure i tanti incontri con Comunità e Organizzazioni ebraiche, in particolare quelli nelle Sinagoghe a Colonia e a New York.

Inoltre, la Chiesa non ha mancato di deplorare le mancanze di suoi figli e sue figlie, chiedendo perdono per tutto ciò che ha potuto favorire in qualche modo le piaghe dell’antisemitismo e dell’antigiudaismo (cfr Commissione per i Rapporti Religiosi con l’Ebraismo, Noi Ricordiamo: una riflessione sulla Shoah, 16 marzo 1998). Possano queste piaghe essere sanate per sempre! Torna alla mente l’accorata preghiera al Muro del Tempio in Gerusalemme del Papa Giovanni Paolo II, il 26 marzo 2000, che risuona vera e sincera nel profondo del nostro cuore: “Dio dei nostri padri, tu hai scelto Abramo e la sua discendenza perché il tuo Nome sia portato ai popoli: noi siamo profondamente addolorati per il comportamento di quanti, nel corso della storia, li hanno fatti soffrire, essi che sono tuoi figli, e domandandotene perdono, vogliamo impegnarci a vivere una fraternità autentica con il popolo dell’Alleanza”.


                         Pope Benedict XVI speaks during his visit at Rome's main synagogue January 17, 2010.

3. Il passare del tempo ci permette di riconoscere nel ventesimo secolo un’epoca davvero tragica per l’umanità: guerre sanguinose che hanno seminato distruzione, morte e dolore come mai era avvenuto prima; ideologie terribili che hanno avuto alla loro radice l’idolatria dell’uomo, della razza, dello stato e che hanno portato ancora una volta il fratello ad uccidere il fratello. Il dramma singolare e sconvolgente della Shoah rappresenta, in qualche modo, il vertice di un cammino di odio che nasce quando l’uomo dimentica il suo Creatore e mette se stesso al centro dell’universo. Come dissi nella visita del 28 maggio 2006 al campo di concentramento di Auschwitz, ancora profondamente impressa nella mia memoria, “i potentati del Terzo Reich volevano schiacciare il popolo ebraico nella sua totalità” e, in fondo, “con l’annientamento di questo popolo, intendevano uccidere quel Dio che chiamò Abramo, che parlando sul Sinai stabilì i criteri orientativi dell’umanità che restano validi in eterno” (Discorso al campo di Auschwitz-Birkenau: Insegnamenti di Benedetto XVI, II, 1[2006], p. 727).

In questo luogo, come non ricordare gli Ebrei romani che vennero strappati da queste case, davanti a questi muri, e con orrendo strazio vennero uccisi ad Auschwitz? Come è possibile dimenticare i loro volti, i loro nomi, le lacrime, la disperazione di uomini, donne e bambini? Lo sterminio del popolo dell’Alleanza di Mosè, prima annunciato, poi sistematicamente programmato e realizzato nell’Europa sotto il dominio nazista, raggiunse in quel giorno tragicamente anche Roma. Purtroppo, molti rimasero indifferenti, ma molti, anche fra i Cattolici italiani, sostenuti dalla fede e dall’insegnamento cristiano, reagirono con coraggio, aprendo le braccia per soccorrere gli Ebrei braccati e fuggiaschi, a rischio spesso della propria vita, e meritando una gratitudine perenne. Anche la Sede Apostolica svolse un’azione di soccorso, spesso nascosta e discreta. La memoria di questi avvenimenti deve spingerci a rafforzare i legami che ci uniscono perché crescano sempre di più la comprensione, il rispetto e l’accoglienza.

4. La nostra vicinanza e fraternità spirituali trovano nella Sacra Bibbia – in ebraico Sifre Qodesh o “Libri di Santità” – il fondamento più solido e perenne, in base al quale veniamo costantemente posti davanti alle nostre radici comuni, alla storia e al ricco patrimonio spirituale che condividiamo. E’ scrutando il suo stesso mistero che la Chiesa, Popolo di Dio della Nuova Alleanza, scopre il proprio profondo legame con gli Ebrei, scelti dal Signore primi fra tutti ad accogliere la sua parola (cfr Catechismo della Chiesa Cattolica, 839). “A differenza delle altre religioni non cristiane, la fede ebraica è già risposta alla rivelazione di Dio nella Antica Alleanza. E’ al popolo ebraico che appartengono ‘l’adozione a figli, la gloria, le alleanze, la legislazione, il culto, le promesse, i patriarchi; da essi proviene Cristo secondo la carne’ (Rm 9,4-5) perché ‘i doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili!’ (Rm 11,29)” (Ibid.).

5. Numerose possono essere le implicazioni che derivano dalla comune eredità tratta dalla Legge e dai Profeti. Vorrei ricordarne alcune: innanzitutto, la solidarietà che lega la Chiesa e il popolo ebraico “a livello della loro stessa identità” spirituale e che offre ai Cristiani l’opportunità di promuovere “un rinnovato rispetto per l’interpretazione ebraica dell’Antico Testamento” (cfr Pontificia Commissione Biblica, Il popolo ebraico e le sue Sacre Scritture nella Bibbia cristiana, 2001, pp. 12 e 55); la centralità del Decalogo come comune messaggio etico di valore perenne per Israele, la Chiesa, i non credenti e l’intera umanità; l’impegno per preparare o realizzare il Regno dell’Altissimo nella “cura del creato” affidato da Dio all’uomo perché lo coltivi e lo custodisca responsabilmente (cfr Gen 2,15).

6. In particolare il Decalogo – le “Dieci Parole” o Dieci Comandamenti (cfr Es 20,1-17; Dt 5,1-21) – che proviene dalla Torah di Mosè, costituisce la fiaccola dell’etica, della speranza e del dialogo, stella polare della fede e della morale del popolo di Dio, e illumina e guida anche il cammino dei Cristiani. Esso costituisce un faro e una norma di vita nella giustizia e nell’amore, un “grande codice” etico per tutta l’umanità. Le “Dieci Parole” gettano luce sul bene e il male, sul vero e il falso, sul giusto e l’ingiusto, anche secondo i criteri della coscienza retta di ogni persona umana. Gesù stesso lo ha ripetuto più volte, sottolineando che è necessario un impegno operoso sulla via dei Comandamenti: “Se vuoi entrare nella vita, osserva i Comandamenti” (Mt 19,17). In questa prospettiva, sono vari i campi di collaborazione e di testimonianza. Vorrei ricordarne tre particolarmente importanti per il nostro tempo.

Le “Dieci Parole” chiedono di riconoscere l’unico Signore, contro la tentazione di costruirsi altri idoli, di farsi vitelli d’oro. Nel nostro mondo molti non conoscono Dio o lo ritengono superfluo, senza rilevanza per la vita; sono stati fabbricati così altri e nuovi dei a cui l’uomo si inchina. Risvegliare nella nostra società l’apertura alla dimensione trascendente, testimoniare l’unico Dio è un servizio prezioso che Ebrei e Cristiani possono offrire assieme.

Le “Dieci Parole” chiedono il rispetto, la protezione della vita, contro ogni ingiustizia e sopruso, riconoscendo il valore di ogni persona umana, creata a immagine e somiglianza di Dio. Quante volte, in ogni parte della terra, vicina e lontana, vengono ancora calpestati la dignità, la libertà, i diritti dell’essere umano! Testimoniare insieme il valore supremo della vita contro ogni egoismo, è offrire un importante apporto per un mondo in cui regni la giustizia e la pace, lo “shalom” auspicato dai legislatori, dai profeti e dai sapienti di Israele.

Le “Dieci Parole” chiedono di conservare e promuovere la santità della famiglia, in cui il “sì” personale e reciproco, fedele e definitivo dell’uomo e della donna, dischiude lo spazio per il futuro, per l’autentica umanità di ciascuno, e si apre, al tempo stesso, al dono di una nuova vita. Testimoniare che la famiglia continua ad essere la cellula essenziale della società e il contesto di base in cui si imparano e si esercitano le virtù umane è un prezioso servizio da offrire per la costruzione di un mondo dal volto più umano.

7. Come insegna Mosè nello Shemà (cfr. Dt 6,5; Lv 19,34) – e Gesù riafferma nel Vangelo (cfr. Mc 12,19-31), tutti i comandamenti si riassumono nell’amore di Dio e nella misericordia verso il prossimo. Tale Regola impegna Ebrei e Cristiani ad esercitare, nel nostro tempo, una generosità speciale verso i poveri, le donne, i bambini, gli stranieri, i malati, i deboli, i bisognosi. Nella tradizione ebraica c’è un mirabile detto dei Padri d’Israele: “Simone il Giusto era solito dire: Il mondo si fonda su tre cose: la Torah, il culto e gli atti di misericordia” (Aboth 1,2). Con l’esercizio della giustizia e della misericordia, Ebrei e Cristiani sono chiamati ad annunciare e a dare testimonianza al Regno dell’Altissimo che viene, e per il quale preghiamo e operiamo ogni giorno nella speranza.

8. In questa direzione possiamo compiere passi insieme, consapevoli delle differenze che vi sono tra noi, ma anche del fatto che se riusciremo ad unire i nostri cuori e le nostre mani per rispondere alla chiamata del Signore, la sua luce si farà più vicina per illuminare tutti i popoli della terra. I passi compiuti in questi quarant’anni dal Comitato Internazionale congiunto cattolico-ebraico e, in anni più recenti, dalla Commissione Mista della Santa Sede e del Gran Rabbinato d’Israele, sono un segno della comune volontà di continuare un dialogo aperto e sincero. Proprio domani la Commissione Mista terrà qui a Roma il suo IX incontro su “L’insegnamento cattolico ed ebraico sul creato e l’ambiente”; auguriamo loro un proficuo dialogo su un tema tanto importante e attuale.

9. Cristiani ed Ebrei hanno una grande parte di patrimonio spirituale in comune, pregano lo stesso Signore, hanno le stesse radici, ma rimangono spesso sconosciuti l’uno all’altro. Spetta a noi, in risposta alla chiamata di Dio, lavorare affinché rimanga sempre aperto lo spazio del dialogo, del reciproco rispetto, della crescita nell’amicizia, della comune testimonianza di fronte alle sfide del nostro tempo, che ci invitano a collaborare per il bene dell’umanità in questo mondo creato da Dio, l’Onnipotente e il Misericordioso.

10. Infine un pensiero particolare per questa nostra Città di Roma, dove, da circa due millenni, convivono, come disse il Papa Giovanni Paolo II, la Comunità cattolica con il suo Vescovo e la Comunità ebraica con il suo Rabbino Capo; questo vivere assieme possa essere animato da un crescente amore fraterno, che si esprima anche in una cooperazione sempre più stretta per offrire un valido contributo nella soluzione dei problemi e delle difficoltà da affrontare.

Invoco dal Signore il dono prezioso della pace in tutto il mondo, soprattutto in Terra Santa. Nel mio pellegrinaggio del maggio scorso, a Gerusalemme, presso il Muro del Tempio, ho chiesto a Colui che può tutto: “manda la tua pace in Terra Santa, nel Medio Oriente, in tutta la famiglia umana; muovi i cuori di quanti invocano il tuo nome, perché percorrano umilmente il cammino della giustizia e della compassione” (Preghiera al Muro Occidentale di Gerusalemme, 12 maggio 2009).
Nuovamente elevo a Lui il ringraziamento e la lode per questo nostro incontro, chiedendo che Egli rafforzi la nostra fraternità e renda più salda la nostra intesa.

[“Genti tutte, lodate il Signore,
popoli tutti, cantate la sua lode,
perché forte è il suo amore per noi
e la fedeltà del Signore dura per sempre”.
Alleluia” (Sal 117)]

da Radio Vaticana


                                   
ROME - JANUARY 17:  Pope Benedict XVI (C) delivers his speech during his visit at the Synagogue of Rome on January 17, 2010 in Rome, Italy. In the Pope's comments he claimed that the Vatican had made attempts to save Jews during the Second World War, and also apologized for Christian responsibility for anti-Semitism and urged Jews and Christians 'to come together to strengthen the bonds which unite us and to continue to travel together along the path of reconciliation and fraternity'.

Pope Benedict XVI (R) shakes hands with former chief rabbi Elio Toaff at Rome's main synagogue January 17, 2010.

ROME - JANUARY 17:  Pope Benedict XVI (2L) visits the Synagogue of Rome on January 17, 2010 in Rome, Italy. In the Pope's comments he claimed that the Vatican had made attempts to save Jews during the Second World War, and also apologized for Christian responsibility for anti-Semitism and urged Jews and Christians 'to come together to strengthen the bonds which unite us and to continue to travel together along the path of reconciliation and fraternity'.

Pope Benedict XVI looks on during his visit at Rome's main synagogue January 17, 2010.



Caterina63
00lunedì 18 gennaio 2010 23:28
RIFLESSIONE

La visita del Santo Padre alla Sinagoga deve essere per noi un chiaro riferimento ad un atto di buona volontà nel perseguire ogni strada che possa condurci AL RISPETTO E AL DIALOGO....premesso questo che resta indiscutibile, abbiamo anche il dovere di sottolineare quelle MANCANZE non solo in casa nostra (con continui -Mea Culpa- fino all'esasperazione o ai sensi di colpa!), ma anche da parte di chi, ospitandoci, pretenderebbe la condanna di un Pontefice (Pio XII) o che il suo Successore ABBANDONASSE IL CROCEFISSO DURANTE QUESTE VISITE....

La Visita alla Sinagoga, come ben sappiamo, è stata accompagnata anche da aspre critiche da parte di qualcuno che di fatto si è rifiutato di andare all'incontro e che per questo HANNO RICEVUTO LA SOLIDARIETA' PUBBLICA durante il discorso di benevenuto al Pontefice....davvero incoerente salutare l'ospite e al tempo stesso essere solidale con chi questo ospite NON lo voleva....

Seguendo la diretta ho trovato incoerente la commozione di Pacifici che nel ringraziare l'Istituto di Suore che ha permesso di salvare suo padre ed altre centinaia di Ebrei dai rastrellamenti, si dimentica (o finge?) di non sapere che fu grazie proprio a Pio XII che centinaia di Istituti e Conventi poterono salvare gli Ebrei perchè fu UN ORDINE IMPARTIRO DAL PONTEFICE...fino ad allora infatti, NESSUNO poteva entrare nei conventi, Pio XII fece aprire invece tutte le porte con l'ordine di salvare quante più persone si poteva... Non solo non fa accenno a questo permesso, ma davanti al suo Successore, gli sbatte in faccia l'ennesima UMILIAZIONE accusando il "silenzio di Pio XII"  ben sapendo che il Papa in questo frangente NON avrebbe detto nulla, proprio COME GESU' DAVANTI AI SUOI ACCUSATORI....

Seguendo la diretta ho trovato davvero UMILIANTE la posizione del Sommo Pontefice, VICARIO DI CRISTO.... ma grazie a Dio non una umiliazione fine a se stessa, bensì quella umiliazione che perseguì il Cristo dalla Sinagoga fino al Calvario.... ancora una volta quell'immagine di un Vicario di Cristo perseguitato nelle richieste, mi ha fatto rivedere il VERO VOLTO DI CRISTO CHE AMA DAVVERO TUTTI, ANCHE CHIUNQUE LO PERSEGUITA NEL SUO VICARIO....

Una visita, alla fine, che probabilmente avrà risvolti a Dio piacendo.... ma che in una vignetta su "pagine ebraiche" non è stata priva di provocazioni....

Intanto posto l'immagine del Pretorio per una rinfrescatina alla memoria CATTOLICA....





 Occhiolino



ed ecco che abbiamo la ciliegina sulla torta.....ecco come la presenta Paolo Rodari:


    

Così “pagine ebraiche”, il mensile dell’ebraismo italiano diretto da Guido Vitale, riassume con una vignetta firmata da Enea Riboldi la visita del Papa in sinagoga di ieri.
A volte una vignetta dice più di tante parole. Da parte ebraica c’è rispetto ma anche criticità: un bambino ebreo (impersona la minoranza ebraica italiana) porta il Papa a casa mentre la comunità romana lo saluta ricordandogli alcune cose che non vanno.


 Occhi al cielo

la mia risposta:

Ritengo irrispettoso quel cartello “No al Crocefisso in Sinagoga”, forse si dimenticano ora che Gesù era Ebreo e che frequentava il Tempio pagando anche la tassa e che al Tempio continuavano ad andarci anche gli Apostoli almeno per il primo secolo? Di che cosa hanno paura visto che tanto non ci credono?

Comunque abbiamo davvero un Papa mite e saggio, ottima la catechesi sul Decaologo che spero non si disperda fra le tante parole sui verdetti della storia umana…

C’è necessità di una conversione urgente e non certo ad un dio etico e morale o ambientalista, ma a quel Dio DELLA CROCE perchè senza di Lui NESSUNO può giungere al Padre, parola del Signore….




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