1929-2009: ottant'anni dei Musei Vaticani

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Caterina63
00giovedì 3 dicembre 2009 22:06
1929-2009: ottant'anni di Gallerie pontificie

Hermine salvata dai Musei Vaticani
E tante altre storie



Giovedì 3 dicembre è stato presentato al Braccio nuovo dei Musei Vaticani dal cardinale Giovanni Lajolo, presidente del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano, e dallo stesso direttore delle Gallerie pontificie il volume I Musei Vaticani nell'ottantesimo anniversario della firma dei Patti Lateranensi, 1929-2009 (Città del Vaticano, Giunti-Edizioni Musei Vaticani-Sillabe, 2009, pagine 520, euro 60). Pubblichiamo ampi stralci del saggio introduttivo.



di Antonio Paolucci

La grande storia del Novecento (la dittatura e la democrazia, la guerra guerreggiata, la pace difficile, la divisione del mondo in blocchi contrapposti, il concilio ecumenico) ha attraversato lo Stato della Città del Vaticano e ha toccato indirettamente anche i Musei del Papa. I quali sono cresciuti, negli ottanta anni che stanno alle nostre spalle, in dialettica osmosi con i progressi e con le mutazioni che avvenivano, in Italia e nel mondo, nei settori della scienza della conservazione, del restauro, della museografia, della didattica dei beni culturali, delle scienze archeologiche e storico-artistiche.

Tutto questo e molto altro ancora (per esempio l'attività editoriale, il governo dei flussi turistici, la gestione economica di una realtà che oggi "lavora" quattro milioni e mezzo di visitatori all'anno) è argomento del libro che le mie righe introducono.
Gli autori dei singoli capitoli sono le donne e gli uomini dei Musei. Sono gli studiosi curatori delle collezioni, i titolari dei laboratori di restauro, i tecnici responsabili dei diversi uffici e servizi. Chi legge avrà l'impressione di essere dentro un lavoro in progress, in una realtà che analizza la sua storia più o meno recente ma al tempo stesso pragmaticamente si muove verso un futuro operativo e progettuale che si definisce nel suo stesso farsi, nella urgenza del lavoro quotidiano.

È esattamente quello che volevo. Volevo che la restituzione degli ultimi ottanta anni nella storia dei Musei Vaticani si accompagnasse alla consapevolezza delle trasformazioni in atto e delle sfide che ci vedono protagonisti nella vita dell'istituzione di cui siamo al servizio.

C'è un'altra ragione che sta alla base dell'iniziativa editoriale che qui si presenta. Tutto quello che è avvenuto negli ultimi ottanta anni nei musei del Papa (trasformazioni edilizie, addizioni di nuovi settori collezionistici, acquisti, mostre, restauri, scoperte scientifiche, attività editoriali e didattiche, e così via) si affida a una bibliografia imponente che però è in gran parte dispersa nelle sedi e per le occasioni più diverse. Per questo motivo è sembrato giusto e soprattutto utile raccogliere in un unico volume gli ultimi ottanta anni nella storia di un museo - anzi di un sistema di musei - che non ha confronti nel mondo e che è oggetto costante delle attenzioni della comunità scientifica internazionale. Sono convinto che gli studiosi italiani e stranieri, scorrendo il sommario con i numerosi e diversi contributi specialistici, consultando i folti, preziosi indici e il corredo bibliografico ricco di titoli rari e spesso incogniti, non potranno che esserci grati.

Ma cosa è accaduto nei Musei Vaticani dopo il 1929?

È accaduto - potremmo dire in estrema sintesi - il rapido passaggio dall'Antico Regime alla Modernità. Passaggio reso possibile dalla pragmatica determinazione di Pio XI Ratti, il "gran lombardo". Grazie a lui prende forma un nuovo e più efficace ordinamento istituzionale. Con la nascita dello Stato, i Musei entrarono a far parte delle strutture del Governatorato. Fino a quel momento responsabile delle collezioni era la commissione cardinalizia per l'amministrazione dei beni della Santa Sede. Dal maggio del 1929 autorità politica di riferimento e superiore gerarchico diventava, per il Direttore dei Musei, il Governatore, poi sostituito dal Cardinale Presidente.
Di fatto la felice conclusione della questione romana apriva i dicasteri vaticani a Roma e all'Italia.

Per i Musei della Santa Sede gli effetti di un nuovo e più cordiale confronto con il mondo esterno sono stati benefici sotto il profilo della circolazione culturale e delle applicazioni scientifiche, organizzative e operative. Non dimentichiamo che fra il 1909 (Legge Rava-Rosadi) e il 1939 (Legge Bottai n. 1089), l'Italia si dà un sistema tutelare all'avanguardia in quegli anni in Europa e che il dibattito appassionato e fecondo sulla salvaguardia del patrimonio, sul catalogo, sul restauro, coinvolge personalità del livello di Corrado Ricci, di Benedetto Croce, di Roberto Longhi, di Cesare Brandi, di Giulio Carlo Argan.

La conseguenza fu l'instaurarsi di un clima di fruttuoso amichevole confronto e di condivisione di metodi e di progetti (soprattutto nel settore dei restauri) fra gli studiosi e i tecnici dei Musei Vaticani e i loro colleghi di Roma e d'Italia.

Gli effetti positivi più importanti li vedremo negli anni della guerra quando lo Stato nato nel 1929 giocò un ruolo decisivo per la salvezza del patrimonio artistico italiano e i musei del Papa furono gli interlocutori necessari e privilegiati di funzionari ministeriali e di soprintendenti coraggiosi quali Giulio Carlo Argan e Pasquale Rotondi.

Il direttore che guidò con sensibilità e intelligenza il passaggio dall'antico al nuovo regime fu Bartolomeo Nogara. E per intenderne il ruolo fondamentale nel processo di evoluzione e modernizzazione dei Musei si legga l'importante saggio, con pubblicazione di documenti inediti, di Maria Antonietta De Angelis. Durante il lungo servizio di Nogara (dal 1920 al 1954) prende forma uno staff tecnico-scientifico dirigenziale modernamente inteso con l'ingresso nei ruoli dello storico dell'arte Deoclecio Redig de Campos (1 febbraio 1933) e dell'archeologo Filippo Magi. Nascono il Laboratorio Restauro Pitture, fondato e anzi rifondato sul lascito prezioso di una antica e sapiente tradizione artigiana da Biagio Biagetti nel 1923 e, nel 1926, il Laboratorio Arazzi.

Il momento apicale nel direttorio di Nogara fu il 1944 quando, nella Roma città aperta occupata dalle truppe tedesche, organizzò e gestì in maniera impeccabile il ricovero prima e la successiva restituzione poi, delle opere d'arte italiane che durante l'emergenza bellica erano state ammassate nei depositi ormai non più sicuri di Sassocorvaro e di Carpegna. Anche le preziose attrezzature dell'Istituto Centrale del Restauro fondato nel 1941 e diretto da Cesare Brandi, vennero ricoverate in Vaticano per metterle al sicuro da devastazioni e da possibili requisizioni.

Alla fine fin dagli anni Trenta i Musei Vaticani sono già organizzati e strutturati sul modello delle grandi realtà consimili d'Europa: gli Uffizi, il Louvre, le Collezioni Statali di Berlino.
Ai Laboratori di Restauro Pitture e Arazzi, pienamente operativi nella loro specificità tecnico-scientifica moderna rispettivamente dal 1923 e dal 1926, si aggiunge nel 1932 il Laboratorio Restauro Metalli e Terrecotte. Fra il 1932 e il 1935 vengono realizzati i nuovi moderni depositi; il Magazzino Quadri tuttora esistente e funzionante. Mentre occorrerà aspettare i primi anni Quaranta perché l'immenso comparto delle sculture abbia un suo deposito attrezzato e visitabile.

Negli anni che seguono i Patti Lateranensi si consolidano e prendono consistenza il Laboratorio e l'Archivio Fotografico per merito di Hermine Speier, archeologa tedesca che per le sue origini ebraiche si salvò dalle persecuzioni naziste trovando lavoro e accoglienza in Vaticano.

Bisogna riconoscere che, per la visibile immagine dei Musei Vaticani, il pontificato di papa Ratti è paragonabile soltanto a quelli dei grandi sovrani che governarono la Chiesa fra XVII e XIX secolo: Clemente XIV Ganganelli, Pio VI Braschi, Pio VII Chiaramonti. E infatti nei primi anni Trenta l'attività progettuale ed edilizia di Pio XI è febbrile. Il 28 ottobre 1932 si inaugurava la Pinacoteca realizzata in garbate forme tardo liberty da Luca Beltrami. Meno di tre mesi dopo, il 7 gennaio 1933, apre al pubblico il nuovo monumentale ingresso sul viale Vaticano.

Fino a quel momento si entrava nei Musei dal Cortile di San Damaso con ciò causando interferenze e complicazioni con le normali attività dello Stato. Ora il comparto Musei è separato dai restanti uffici e servizi del Vaticano. Ad accogliere il visitatore c'è la grande scala elicoidale progettata da Giuseppe Momo e percorsa da una serie ininterrotta di rilievi in bronzo opera dello scultore Antonio Marini. In equilibrio fra razionalismo e funzionalismo novecenteschi, immaginario espressionista e nostalgie barocche, la scala Momo - che oggi funziona come uscita - è un ossimoro geniale che rimane indelebile nella memoria per chiunque visiti i Musei Vaticani.

Quando, nel 1973, regnando Paolo VI Montini, si inaugurava la sezione di Arte Religiosa Moderna realizzata da monsignor Pasquale Macchi (il primo nucleo di opere d'arte contemporanea aveva varcato i confini dello Stato Pontificio negli anni di Pio xii per iniziativa di monsignor Ennio Francia) possiamo dire che i Musei Vaticani hanno raggiunto il loro aspetto definitivo dimostrando al mondo intero l'universalità della loro missione spirituale e culturale.
Se la missione dei Musei Vaticani resta quella che a metà Settecento papa Benedetto XIV Lambertini affidò alla iscrizione memoriale collocata all'ingresso del Museo Cristiano: ad augendum Urbis splendorem et asserendam religionis veritatem, la mission nel suo esplicito significato manageriale-aziendalistico è obiettivo tipico dei nostri giorni; un obiettivo che va studiato, monitorato e realizzato con ogni cura.

Un museo che è passato dal milione e duecentomila visitatori del 1950 ai due milioni del 1990, ai quasi quattro milioni e mezzo del 2008 e che è servito da 600 addetti, deve poter disporre di adeguate strutture di accoglienza e di ristoro, di competenze professionali di alta qualità.

Sono gli anni dominati dall'attivismo intelligente di un grande manager Walter Persegati e dalla nascita nel 1982 dei "Patrons of the Arts" formidabili collettori, americani ma non solo, di risorse finanziarie importanti che hanno permesso restauri di straordinario rilievo e di grande costo. Dagli affreschi dell'Appartamento Borgia, a quelli della Cappella Sistina in Santa Maria Maggiore, dal cantiere della Cappella Paolina a quello dell'area archeologica di Santa Rosa.
Un museo caratterizzato da una così straordinaria concentrazione di "cose" archeologiche e artistiche è sottoposto alla pressione costante dell'industria espositiva cresciuta tumultuosamente negli ultimi decenni.

I dati prodotti da Andrea Carignani, responsabile dell'Ufficio Mostre, dimostrano che le dimensioni del fenomeno sono pressoché triplicate negli ultimi quindici anni. E infatti se i Musei Vaticani sono stati coinvolti nel 1993 in 25 mostre per 160 prestiti, quei numeri diventavano rispettivamente 64 e 432 nel 2008.
Un grande sistema museale è governo dei flussi, è disciplina del personale, è gestione attenta delle risorse economiche, è corretta accoglienza dei visitatori, è customer's satisfaction come si usa dire nell'orrendo linguaggio aziendalistico. Oltre che studio, ricerca, pubblicazioni scientifiche. E conservazione, manutenzione, quando necessario restauro del patrimonio.



(©L'Osservatore Romano - 4 dicembre 2009)

Caterina63
00sabato 8 gennaio 2011 18:15
Il grande fascino di luoghi di ricerca come il Deposito delle corazze nei Musei Vaticani

Musei invisibili


di Antonio Paolucci


Quante volte abbiamo letto e ascoltato l'insopportabile mantra sui depositi dei musei polverosi, negletti, maltenuti, affollati di opere d'arte che nessuno vede, che non servono a nulla. E allora - è il seguito prevedibile e inevitabile di quel tipo di ragionamento - perché non vendere le tante opere ripetitive e di scarsa importanza o, almeno, perché non affidarle ai privati che, loro sì, saprebbero custodirle e valorizzarle come si deve?

Chi, come me, ha lavorato nei musei e nelle soprintendenze d'Italia sa che si tratta di un tormentone ricorrente, caro a giornalisti ingenui e a politici sprovveduti.

No - abbiamo sempre risposto noi - questo non si può fare e non si farà mai. I depositi (all'estero li chiamano "riserve" e il termine è assai più pertinente) sono la parte in ombra del museo, essenziale però alla vita delle collezioni quanto la parte esposta. Il deposito è il luogo della ricerca scientifica. Quante scoperte si sono fatte e si continuano a fare frequentando e studiando la parte in ombra del museo! Il deposito è il luogo del riposo per le opere d'arte stressate dai viaggi o da una esposizione eccessiva. È la riserva che permette di far emergere dipinti, sculture, arredi inediti o poco conosciuti.

I depositi degli Uffizi gremiti di quadri di varia qualità e di diverso autore offrono ogni anno materiali per una mostra che si chiama "I mai visti". Mai visti perché in effetti, non essendo in esposizione, il pubblico non ha mai avuto la possibilità di ammirarli. L'ultima mostra di questo titolo ha percorso varie città della Cina raccogliendo, complessivamente, poco meno di un milione di visitatori. Questo per dire che anche le opere custodite in deposito possono essere valorizzate e, nei modi opportuni, fatte conoscere. Non è affatto vero che giacciono neglette e polverose in cantine inaccessibili.

Il deposito testimonia l'antichità e il prestigio del museo, ne documenta le stratificate complesse vicende storiche. Quando uno di noi visita per la prima volta in Italia o in altri Paesi un museo, quello che immancabilmente chiede al collega direttore è di avere accesso alle riserve. Perché non si capisce veramente una collezione storica se non se ne conosce il deposito.

Per questo la corretta conservazione e gestione del museo che non si vede è straordinariamente importante. La buona salute di una pubblica collezione d'arte si giudica dalla buona salute del suo deposito. Potremmo dire che le opere in esposizione stanno al museo invisibile come la nostra faccia, i nostri occhi, la nostra pelle stanno ai nostri organi interni.

Ho detto questo perché voglio parlare di un deposito meraviglioso. È il più bello, il più affascinante fra quanti ne ho visti nella mia lunga carriera. È il Deposito detto "delle Corazze" nei Musei Vaticani.
Immaginate un edificio di forma circolare, qualcosa che fa pensare a una cripta di chiesa o a un ben munito bunker. Nel silenzio e nella luce grigio argento delle segrete vaticane, vi sembrerà di entrare in un film di Polanski o di Dario Argento.

Il luogo si chiama "delle Corazze" perché in questa parte dei Palazzi Apostolici stazionavano i corazzieri durante il conclave. All'interno, disposti su mensole, ordinati secondo misura, forniti ognuno di numero di inventario così che lo studioso può agevolmente risalire alla fotografia, alla scheda scientifica, al riferimento bibliografico di ciascun pezzo, vediamo allineati e perfettamente visibili circa duemila reperti statuari di età classica. Sono busti di imperatori, di militari, di notabili; sono immagini di donne, di bambini, di adolescenti; sono divinità dell'Olimpo, frammenti di sarcofagi, sono rilievi che raccontano la pace e la guerra, la città e il mare, la vita sociale, il gioco, il rito, la morte.

Una grande lapide in latino, datata al 1957 regnando Pio xii Pacelli, ci spiega come le antiquitatis reliquiae diversis loci sepositae, ora in unum congregari et communi utilitati exhiberi possint. È un latino così facile che non ha bisogno di traduzione.

Pio xii, quel grande e coltissimo Papa, aveva capito tutto. La sua idea di deposito potrebbe essere sottoscritta da qualsiasi direttore di museo nel mondo. Le antiquitatis reliquiae anche quando apparentemente meno importanti, frammentarie, residuali, devono essere custodite con ogni cura in un ambiente unico (in unum congregari) affinché possano essere agevolmente custodite, prima di tutto, e quindi mostrate e messe a disposizione del bene comune (comuni utilitati). Dove il "bene comune" è quello della internazionale repubblica degli studiosi e dei conoscitori. È evidente infatti che il deposito del museo non può e non deve essere aperto a tutti, ma solo a chi ha titoli scientifici o ragioni professionali per frequentarlo.
 
Oggi il Deposito delle Corazze, affidato alle cure scientifiche di Alessandra Uncini, responsabile dell'Ufficio Inventario dei Musei Vaticani, è il paradiso di archeologi, di conoscitori, di eruditi. È il luogo perfetto per incontrare il frammento che integra la tua ricostruzione di un antico bassorilievo, di una epigrafe, di un sarcofago. Se la fortuna ti assiste, può essere l'occasione della vita, quella che ti fa conoscere l'anello mancante alla tua ricerca. Per noi gente di museo è la riserva che permette al conservatore di trovare la scultura che servirà a integrare il vuoto temporaneo prodotto, nella serie delle opere esposte, da un ricovero per restauro o da un trasferimento per mostra.
A questo serve la parte in ombra delle grandi collezioni. Per questo va custodita, conservata, catalogata, resa disponibile alla ricerca scientifica come aveva perfettamente inteso, più di mezzo secolo fa, Pio XII.

Il Deposito delle Corazze è un esempio perfetto di quella civiltà della tutela che ha avuto nei Palazzi Apostolici la sua storica origine.


(©L'Osservatore Romano - 9 gennaio 2011)
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