2012 il film apocalittico e l'interessante commento dall'Osservatore Romano

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Caterina63
00sabato 14 novembre 2009 00:09
Esce in Italia «2012» ultimo di una serie di film apocalittici

Finisce il mondo e rispunta l'arca



di Luca Pellegrini

Il sole inquieto, qualche anno prima del 2012, comincia a sfornare neutrini che surriscaldano e smuovono il centro molle della Terra. Sarà la causa della nostra estinzione.

Piace in questi anni l'apocalisse al cinema, anche se abbiamo già sorpassato indenni il fatidico millennio. Nel recente Knowing di Alex Proyas la terra brucia completamente e spetterà a due bambini, in un tripudio di fiori e messaggi new-age, ricominciare la successione delle generazioni dopo essere stati trasportati in un pianeta nuovo di zecca scelto da creature aliene buone e intelligenti. C'è poi 9, prodotto da Tim Burton, già uscito in gran parte del mondo ma non in Italia, che sembra essere il primo cartone animato apocalittico in cui sulla Terra del tutto abbandonata dall'umanità rimangono soltanto nove creature viventi e senza nome impegnate a combattere le macchine assassine che hanno preso il sopravvento.

Venature spirituali si troveranno, forse, ne Il libro di Eli, in sala dal prossimo gennaio: qui un eroe solitario - il suo nome è ricavato da tre lettere del verbo inglese to believe ("credere") - protegge a tutti i costi, in un mondo devastato e violento, un libro che ha una croce impressa sulla copertina e sembra essere decisivo per il futuro dell'umanità.

Ora, molto semplicemente, archeologia e storia si alleano per suscitare nuove paure e manipolarne di antiche. Il pretesto iniziale è fornito dal calendario dell'antica ed evoluta civiltà Maya: lì il computo del tempo, con il termine dell'ultimo ciclo, arriva al 20 dicembre del 2012 (20-12-2012), poi si interrompe. Fine del mondo e dell'umanità? Cieli nuovi e Terra nuova? Rigenerazione o annientamento totale? Dopo aver messo in catalogo la nostra distruzione (e risicata salvezza) prima con formidabile attacco alieno (Independence Day), poi con spaventosa glaciazione (L'alba del giorno dopo), il regista tedesco Roland Emmerich, di stanza ormai a Hollywood e specializzato in film di enormi proporzioni, chiude la sua "trilogia della catastrofe" con la più terribile e spettacolare di tutte: in 2012, che esce venerdì 13 in Italia, città intere scompaiono, terremoti sfaldano la crosta terrestre, vulcani enormi eruttano vere e proprie bombe incendiarie, onde di oltre 1.500 metri devastano continenti e l'Himalaya, la Casa Bianca viene schiacciata da una portaerei, crolla il Cristo di Rio de Janeiro, si sbriciolano la Sistina e San Pietro travolgendo cardinali e fedeli in preghiera nella piazza.

Povero pianeta e povera umanità.
Uno spettacolo senza freni e senza misure, costato la cifra enorme di 260 milioni di dollari, con uno schema semplicissimo e accattivante: pochi sanno della fine imminente, il segreto non deve trapelare per tutelare così l'ordine sociale - accadeva, però, anche in Deep impact, mentre si attendeva il meteorite definitivo - pochissimi potranno salvarsi pagando un contributo ingentissimo che serve alla costruzione di mastodontiche "arche".

Un eroe sfiduciato e depresso (l'attore John Cusack) s'intromette nel piano dei malvagi egoisti, salva la famiglia divisa e la sua anima buona disturba i progetti senza scrupoli dei potenti che almeno cercano, prima della fine, di redimersi dalle loro ipocrisie. È questa la coscienza dell'umanità di fronte al disastro imminente? Emmerich, oltre che bravo nel gestire distruzioni ed effetti speciali, combina furbescamente aspetti di natura mitologica, tormenti millenaristici, attualità politica, disagio sociale, senso dell'avventura e prodezze della tecnologia, seminando la più terribile delle inquietudini: davanti alla fine dell'umanità, spogliata completamente del trascendente e del soprannaturale, non è vero che tutti siamo uguali, perché riesce a sopravvivere soltanto chi la salvezza non se l'è guadagnata con la fede e le buone opere, ma letteralmente comprata a carissimo prezzo disponendo di mezzi economici ingenti. Dunque, milionari americani, oligarchi russi e principi arabi in prima fila.

Come spesso è accaduto nel cinema americano di fantascienza e fantasy, anche questa volta fanno sommessamente capolino le teorie di Joseph Campbell, filosofo e storico americano di miti e religioni comparate, morto nel 1987, regolarmente saccheggiato da sceneggiatori e registi che a lui hanno confessato di ispirarsi più o meno apertamente. Tra questi, emblematico fu il caso di George Lucas per le sue Guerre stellari.

La Bibbia - che per Campbell non ha nulla di sacro e di divinamente ispirato, ma è una mera antologia di racconti mitologici che dimostrano quello che lui chiama sanctified chauvinism ("sciovinismo santificato") - è il testo che offre lo schema archetipico più suggestivo e facilmente declinabile dal cinema: quello dell'eroe salvifico dalla paternità complicata. Caso spudorato fu la trilogia cinematografica di Matrix nella quale Neo era completamente assimilato alla figura di Cristo, ma in un contesto risibile. Le variazioni, poi, sul sacrificio non sono mancate: dal Re leone a Braveheart, da Batman al Signore degli anelli.

Con Emmerich inizia una nuova era per Hollywood: si va più indietro, dal Nuovo al Vecchio Testamento e addirittura a Noè, il diluvio, l'arca e l'Ararat, che nel film si è trasferito, causa movimenti tellurici sproporzionati, addirittura in Africa, dove approderà quel briciolo di umanità, ancora con tutti i suoi peccati, costretta a ricominciare.


Un'esistenza ridotta a brandelli



Tra i film apocalittici The Road è uno dei pochi di cui si è posticipata continuamente l'uscita sugli schermi, prevista negli Stati Uniti nel novembre dello scorso anno e ora programmata per la fine del mese. Motivazione: eccessiva durezza, eccessiva mancanza di speranza. C'è una parte di verità.

Il fortunato romanzo breve di Cormac McCarty, cui si ispira, inizia con parole che lasciano presagire il peggio: "Come viandanti di una favola inghiottiti e persi nelle viscere di una bestia di granito". Un padre e un figlio, entrambi senza nome, vagano terrorizzati attraversando un paesaggio grigio, umido e sporco, un pianeta irriconoscibile abbrutito da una apocalisse anch'essa senza nome, di cui non si conoscono l'origine e la causa. Solo le conseguenze: "I minuti della Terra, scanditi nel silenzio, le sue ore, i giorni, gli anni senza sosta".

Anni senza speranza, anni senza futuro. Con assoluta fedeltà, il regista australiano John Hillcoat riproduce questa tragica desolazione, il senso di precarietà, l'assurdità della vita ridotta a brandelli senza logica, senza ragione. The Road, in concorso all'ultima Mostra del cinema di Venezia, è la rappresentazione tragica del male sociale di cui l'uomo è causa e vittima contemporaneamente. Viggo Mortensen interpreta il padre che cerca disperatamente di condurre il figlio fino al bordo del mare come se quella massa grigia potesse $\gridare: sì, la vita c'è, il domani anche. Ma le strade che i due percorrono dicono il contrario: quella poca umanità sopravvissuta è affamata e la fame genera mostri, genera cannibali. Spietato il libro, spietato il film: crudo, secco, assoluto nella sua tragicità.

L'umanità ha perso la traccia di se stessa e la traccia di Dio, che non si nomina, non si sente, non si prega: le mani congiunte, un gesto dal vago ricordo, servono soltanto per ringraziare chi ha lasciato disgraziatamente ad altri un poco di cibo e un giorno in più di vita. Vita che non è più tale. Riflessione amarissima, che solo si apre nel sorriso, tenue, disperato e forse inutile, del finale. (luca pellegrini)




(©L'Osservatore Romano - 14 novembre 2009)


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