Suggestivo, ricco di significati, emozionante, il viaggio ai "luoghi della memoria" viene da lontano quando individua come mete privilegiate le sedi ritenute sante per la presenza di una divinità e del santuario che segnala una sede terapeutica, dove si consumano guarigioni, dove si elargiscono protezione e immunità, dove si dona la fertilità, così come avveniva nell'antichità a Cuma, a Delfi a Epidauro e a Pergamo o, nella civiltà ebraica, a Hebron, al Monte Nebo, a Gerusalemme, al monte Sinai, per rivivere i grandi eventi della storia della Salvezza.
Il pellegrinaggio cristiano tarda a decollare e, nei primi tre secoli, il fenomeno appare sporadico, riservato specialmente a fedeli orientali, spinti da una "santa" curiosità, come dimostra lo spirito che animò il vescovo cappadoce Alessandro che - secondo Eusebio di Cesarea (Historia ecclesiastica, 6, 11, 2) - poco dopo il 200, si recò a Gerusalemme "per pregare e visitare i luoghi".
E, appena un secolo più tardi, secondo la stessa fonte (Eusebio, Demonstratio evangelica, 6, 18, 23) "tutti coloro che credono in Cristo convergono qui (a Gerusalemme) da ogni parte del mondo non, come per il passato, per ammirare lo splendore della città o per pregare nell'antico tempio... ma per pregare sul monte degli Ulivi". Questo faticoso avvio del fenomeno fu provocato dalle stesse vicende storiche che, in seguito alla distruzione di Gerusalemme, del Tempio, di tutte le testimonianze cristiane, condussero alla ricostruzione della nuova Aelia Capitolina voluta da Adriano (Girolamo, Epistulae, 58, 3) che obliterò i luoghi santi, talché se ne affievolì la memoria, come indicherebbero le vaghe indicazioni topografiche dei primi tre vangeli, senza contare che, in quei primi frangenti, non sembrava urgente riconoscere i luoghi della Gerusalemme storica, a favore di una meta verso cui ogni cristiano doveva tendere, ossia la Gerusalemme Celeste (Giovanni, 4, 23-24), mentre ogni gesto della devozione verso luoghi terreni appariva priva di significato (Luca, 24, 5; Giovanni, 2, 18-22).
Solo al tempo di Costantino, con lo spostamento dell'attenzione dei cristiani verso Oriente e verso Costantinopoli, ma soprattutto da quando l'imperatore aveva recuperato, attraverso una importante operazione archeologica, i luoghi obliterati da Adriano e innalzato su questi monumentali basiliche, il pellegrinaggio trovò nuove ragioni e incremento. All'intervento dell'imperatore, d'altra parte, si aggiunse quello della madre Elena e degli imperatori successivi, che contribuirono alla costruzione di nuovi santuari, ospizi e monasteri, non solo in quelle località rese famose dagli eventi evangelici, ma anche in quelle che conservavano la memoria degli apostoli e degli episodi veterotestamentari.
Se, dunque, le numerose costruzioni a opera di Costantino a Gerusalemme e nella Terra Santa testimoniano già il vivo interesse per i luoghi santi e conferiscono ai pellegrinaggi un nuovo impulso, la madre di Costantino - ancora secondo Eusebio (Vita Constantini, 3, 42) - percorse personalmente la Terra Santa ed Eutropia, la madre di Fausta, moglie dell'imperatore, forse mossa da un sentimento di espiazione per lo spargimento di sangue avvenuto nella famiglia imperiale, si recò presso i sacri luoghi per visitarli e per pregare (Sozomeno, Historia ecclesiastica, 2, 4).
Mentre il Cristianesimo, ai tempi di Teodosio (379-395), diverrà religione di Stato, il pellegrinaggio si allargherà ai livelli meno privilegiati, mentre le autorità ecclesiastiche tenteranno di regolamentare e disciplinare il flusso, anche nella gestione del culto delle reliquie, che scaturì naturalmente da quei viaggi della fede.
Venire in possesso di un ricordo tangibile della storia biblica divenne una delle più urgenti preoccupazioni dei primi pellegrini, che attribuirà a quei ricordi un carattere taumaturgico, talché si diffuse presto il fenomeno che allargava tale valenza all'intera comunità di provenienza dei singoli pellegrini, così che parve un privilegio eccezionale consacrare una chiesa con un frammento della croce, con le reliquie di un martire o con le reliquie ex contactu, ossia i brandea posati sulle tombe sante, l'olio delle lampade accese presso i luoghi venerati, la polvere posata su di essi. Le ampolle di Monza, di Bobbio e quelle provenienti dal santuario di san Mena sono testimonianze dell'usanza diffusa presso i pellegrini di riportare un ricordo tangibile del viaggio compiuto.
Talora il fenomeno delle reliquie raggiunse il livello della superstizione, tanto da essere biasimato dai Padri della Chiesa e specialmente da Agostino (Epistulae, 52, 2), che cercò di porre termine a un commercio stigmatizzato anche da Teodosio (Codex Theodosianum, 9, 17) e che pure non impedì a Macrina, sorella di Basilio e Gregorio di Nissa, di portare un reliquiario al collo che conteneva della terra santa che un tale Esperio teneva appeso nella sua stanza da letto (Agostino, De Civitate Dei, 22, 8).
Tra divieti e infrazioni, i santuari della Terra Santa divennero ricchi per il flusso dei pellegrini, tanto che questi luoghi santi cominciarono a pullulare di guardiani dei santuari, di venditori di reliquie, di mercanti, di artigiani che organizzavano vere e proprie fiere in occasione delle festività religiose.
Non dobbiamo poi dimenticare che la munificenza imperiale provvedeva a creare ospizi e altre strutture per l'accoglienza, nonché a dotare i santuari di nuove rendite, alle quali si aggiungevano quelle dei pellegrini illustri e abbienti come san Girolamo, Paola, Melania Maggiore, Porfirio ed Egeria, che avevano abbracciato una vita di preghiera e povertà, lasciando i propri averi alla Chiesa di Gerusalemme.
La più antica descrizione di un pellegrinaggio che si sia conservata data al 333 e fu redatta da un Anonimo di Bordeaux che, muovendosi dalla sua città di origine, ricorda minuziosamente il suo lungo itinerario, che tocca la Gallia Narbonense, le Alpi, l'Italia, il Norico, la Pannonia, la Misia, la Dacia, la Tracia, la Bitinia, la Galazia, la Cappadocia, la Cilicia e la Siria, per giungere in Palestina.
Qui, il pellegrino non si ferma a visitare soltanto i luoghi che ricordano la vita di Gesù, ma anche quelli dell'Antico Testamento, facendo riferimento anche al luogo della tomba dei patriarchi in Hebron. Una descrizione dettagliata viene riservata a Gerusalemme e dintorni, dove vengono descritti, in senso orario, i luoghi più idonei alla visita: la piscina di Bethesda, il palazzo di Salomone, la collina di Sion e il Golgota, facendo riferimento alle recenti costruzioni costantiniane, la valle di Josaphat, il monte degli Ulivi, Betania, Gerico, il Giordano, Betlemme ed Hebron.
Tra il iv e il v secolo, il pellegrinaggio si associò al fenomeno che vide alcune donne romane trasferirsi in Palestina e segnatamente nel 372, Melania Senior (Palladio, Historia Lausica, 46); nel 385, Paola con sua figlia Eustochio (Girolamo, Epistulae, 108); nel 417, Melania junior con Paola, secondo quanto si apprende dalla vita di Geronzio. A queste pellegrine dobbiamo aggiungere la monaca spagnola Egeria, originaria della Galizia, che compì il suo lunghissimo viaggio tra il 381 e il 384. Il suo racconto, pervenutoci mutilo, vede la monaca spagnola al ritorno dalla Tebaide, alla volta del Sinai; da qui, la pellegrina costeggia il Mar Rosso, attraversa il deserto d'Arabia e giunge in Terra Santa, forse per la seconda volta rispetto a un primo sopralluogo narrato nella prima parte del diario.
Durante il secondo soggiorno, la pellegrina descrive le celebrazioni liturgiche annuali. Egeria è interessata a tutti i luoghi della memoria: dalle sedi della rievocazione evangelica e veterotestamentaria alle tombe dei martiri, dalle dimore degli asceti ancora viventi ai santuari degli stiliti. Dove sorgeva un santuario si pregava, veniva celebrata l'eucaristia, si elevavano canti (Peregrinatio, 3, 6; 4, 3; 14, 1), mentre a Gerusalemme le cerimonie divenivano sontuose e si cercava di portare con sé delle reliquie, come i frammenti della croce del Cristo.
Purtroppo, Egeria non fornisce particolari descrizioni dei santuari sorti presso i luoghi santi, preferendo, di gran lunga, raccontare la dinamica delle celebrazioni liturgiche. Gli unici elementi topografici che è possibile ricavare dal suo diario riguardano il complesso costantiniano del Santo Sepolcro, desumibili dal dettagliatissimo resoconto delle celebrazioni liturgiche che si svolgevano, durante l'anno, nel santuario gerosolimitano.
Dal circolo dell'Aventino, ossia delle nobildonne raccolte intorno a san Girolamo, emerge - come si è anticipato - la figura di Paola che, nel 385, in seguito alla morte della figlia Blesilla, decide di seguire il grande Padre della Chiesa, affrontando il lungo viaggio verso la Palestina, per visitare i luoghi santi e stabilirsi a Betlemme, dove fonderà un monastero (Girolamo, Epistulae, 108, 6-7). Paola si imbarca a Ostia, con la figlia Eustochio, veleggia a largo dell'isola di Ponza, dove intravede le carceri che avevano visto l'esilio di Domitilla ai tempi di Domiziano, attraversa il Mediterraneo fino a Cipro, dove soggiorna alcuni giorni presso il vescovo Epifanio, per poi raggiungere Seleucia. Da qui, si mette in cammino per la Siria e la Fenicia ed entra nella terra dei filistei per giungere a Gerusalemme.
Poi, si muove nelle località della Palestina: da Betlemme a Hebron, dal monte degli Ulivi a Betania, da Gerico al Giordano e al lago di Tiberiade, dal monte Tabor al villaggio di Naim.
Altri pellegrini eccellenti raggiunsero la Terra Santa, a cominciare da Eucherio, vescovo di Lione, che si recò a Gerusalemme e in Giudea nel 440, visitando i santuari di Gerusalemme, di Betlemme, di Gerico, della valle del Giordano, di Hebron. Anche l'arcidiacono Teodosio visitò la Terra Santa intorno al 530, fermandosi nei principali luoghi della Palestina, ma anche del Libano, dell'Egitto, della Mesopotamia, dell'Armenia, della Persia e della Siria.
Nel 570, un anonimo pellegrino di Piacenza racconta un lungo viaggio che tocca Costantinopoli, Cipro, Sidone, Tiro, Cesarea, Cana, Nazaret, il monte Tabor, Tiberiade, Cafarnao, le sorgenti del Giordano, Gerico, Betania, il monte degli Ulivi. Nella città santa, il pellegrino si reca presso i principali santuari: dal Santo Sepolcro alla piscina di Bethesda. Poi, il suo viaggio riprende per Betlemme e per Mambre, per giungere, attraverso l'Egitto, al monte Sinai e tornare, infine, a Gerusalemme, dove si trattiene a lungo.
Attraverso esperienze diverse e lungo i secoli il fenomeno del pellegrinaggio, che si puntualizzò e indirizzò verso altre città sante, prima fra tutte la Roma dei martiri e dei principi degli apostoli, assurse ad atteggiamento devozionale e penitenziale e preparò la scelta estrema del monachesimo nelle terre e nei luoghi della memoria segnati dai miracoli del Nuovo Testamento e dai prodigi del Vecchio Testamento. Tuttavia, i pellegrinaggi estremi vennero anche criticati dai Padri della Chiesa: Gregorio di Nissa esorta a tralasciare i "pellegrinaggi del corpo" e a "pellegrinare" verso il Signore con la preghiera (Epistulae, 2, 18) e Girolamo, pur avendo incitato Paola al viaggio verso la Terra Santa, ricorda che "Antonio e tutte le schiere dei monaci...non hanno visitato Gerusalemme e, ciononostante, le porte del paradiso si sono aperte dinanzi a loro" (Epistulae, 58, 3).
Ma qui ci inoltriamo verso un "pellegrinaggio definitivo", che si identifica con l'ascetico distacco dal mondo, in perfetta coerenza con l'atteggiamento di Abramo, che non esitò a uscire dalla sua terra. Il monaco non ha meta precisa, ma si distacca, senza alcuna sofferenza, dalla sua casa e dai suoi cari.
I viaggi faticosi intrapresi, nell'antichità, alla volta della Terra Santa, possono sembrare, ai nostri giorni, delle vere e proprie imprese eroiche, consumate all'insegna della devozione, della penitenza, del sacrificio e forse quegli itinerari, così complicati e resi difficoltosi dai viaggi interminabili per terra e per mare, durati anche degli anni, rivestono un ruolo terapeutico, che attribuisce al viaggio stesso un significato mistico, che rallenta il ritmo dei tragitti e allontana la meta ambita, per questo più preziosa ed emozionante.
Ma forse, anche per chi oggi giunge più facilmente presso i luoghi santi, i santuari e le sedi della memoria, rimangono intatte quella emozione e quella commozione che dovettero provare i primi pellegrini cristiani, che piansero, pregarono e riposarono le loro membra provate da quei viaggi così scomodi, ma che ripagavano ogni fatica, ogni rinuncia, ogni prova, tanto da desiderare di rimanere in quelle terre lontane per sempre.