8-15 maggio 2009 Benedetto XVI Pellegrino in Terra Santa

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Caterina63
00giovedì 26 marzo 2009 19:47
PELLEGRINAGGIO DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI IN TERRA SANTA (8 - 15 MAGGIO 2009) - PROGRAMMA

Venerdì 8 maggio 2009

Roma
09.30    Partenza in aereo dall’Aeroporto internazionale Leonardo da Vinci di Fiumicino (Roma) per l’Aeroporto Internazionale Queen Alia di Amman (Giordania).

Amman
14.30    CERIMONIA DI BENVENUTO all’Aeroporto internazionale Queen Alia di Amman. Discorso del Santo Padre.
15.30    VISITA AL CENTRO "REGINA PACIS" di Amman. Discorso del Santo Padre.
17.40    VISITA DI CORTESIA ALLE LORO MAESTÀ IL RE E LA REGINA DI GIORDANIA nel Palazzo Reale al-Husseinye di Amman.

Sabato 9 maggio 2009
07.15    Santa Messa in privato nella Cappella della Nunziatura Apostolica di Amman.

Monte Nebo
09.15    VISITA ALL’ANTICA BASILICA DEL MEMORIALE DI MOSÈ sul Monte Nebo. Discorso del Santo Padre.

Madaba
10.30    BENEDIZIONE DELLA PRIMA PIETRA DELL’UNIVERSITÀ DI MADABA DEL PATRIARCATO LATINO. Discorso del Santo Padre.

Amman
11.30    VISITA AL MUSEO ASCEMITA E ALLA MOSCHEA AL-HUSSEIN BIN-TALAL di Amman.
11.45    INCONTRO CON I CAPI RELIGIOSI MUSULMANI, CON IL CORPO DIPLOMATICO E CON I RETTORI DELLE UNIVERSITÀ GIORDANE all’esterno della Moschea al-Hussein bin-Talal di Amman. Discorso del Santo Padre.

17.30    CELEBRAZIONE DEI VESPRI CON I SACERDOTI, I RELIGIOSI E LE RELIGIOSE, I SEMINARISTI E I MOVIMENTI ECCLESIALI nella Cattedrale Greco-Melkita di S. Giorgio di Amman. Discorso del Santo Padre.

Domenica 10 maggio 2009
10.00    SANTA MESSA nell’International Stadium di Amman. Omelia del Santo Padre.
   RECITA DEL REGINA COELI nell’International Stadium di Amman. Parole del Santo Padre.
12.45    Pranzo con i Patriarchi e i Vescovi e con il Seguito Papale nel Vicariato Latino di Amman.

Bethany beyond the Jordan
17.30    VISITA A BETHANY BEYOND THE JORDAN - SITO DEL BATTESIMO.
18.00    BENEDIZIONE DELLE PRIME PIETRE DELLE CHIESE DEI LATINI E DEI GRECO-MELKITI a Bethany beyond the Jordan. Discorso del Santo Padre.

Lunedì 11 maggio 2009

Amman
07.30    Santa Messa in privato nella Cappella della Nunziatura Apostolica di Amman.
10.00    CERIMONIA DI CONGEDO all’Aeroporto Internazionale Queen Alia di Amman. Discorso del Santo Padre.
10.30    Partenza in aereo dall’Aeroporto Internazionale Queen Alia di Amman (Giordania) per l’Aeroporto Internazionale Ben Gurion di Tel Aviv (Israele).

Tel Aviv
11.00    CERIMONIA DI BENVENUTO all’Aeroporto internazionale Ben Gurion di Tel Aviv. Discorso del Santo Padre.

Gerusalemme
16.15    VISITA DI CORTESIA AL PRESIDENTE DELLO STATO DI ISRAELE nel Palazzo Presidenziale di Gerusalemme. Discorso del Santo Padre.
17.45    VISITA AL MEMORIALE DI YAD VASHEM a Gerusalemme. Discorso del Santo Padre.
18.45    INCONTRO CON ORGANIZZAZIONI PER IL DIALOGO INTERRELIGIOSO nell’Auditorium del Notre Dame of Jerusalem Center di Gerusalemme. Discorso del Santo Padre.

Martedì 12 maggio 2009
09.00    VISITA ALLA CUPOLA DELLA ROCCIA sulla Spianata delle Moschee di Gerusalemme.

   VISITA DI CORTESIA AL GRAN MUFTI sulla Spianata delle Moschee di Gerusalemme. Discorso del Santo Padre.

10.00    VISITA AL MURO OCCIDENTALE di Gerusalemme.

10.45    VISITA DI CORTESIA AI DUE GRAN RABBINI DI GERUSALEMME nel Centro Hechal Shlomo di Gerusalemme. Discorso del Santo Padre.

11.50    PREGHIERA DEL REGINA COELI CON GLI ORDINARI DI TERRA SANTA nel Cenacolo di Gerusalemme. Discorso del Santo Padre.

12.30    Breve visita alla Concattedrale dei Latini di Gerusalemme.

13.00    Pranzo con gli Ordinari di Terra Santa, con gli Abati e con il Seguito Papale nel Patriarcato dei Latini di Gerusalemme.

16.30    SANTA MESSA nella Josafat Valley di Gerusalemme. Omelia del Santo Padre.

Mercoledì 13 maggio 2009

Betlemme
09.00    CERIMONIA DI BENVENUTO nel Piazzale antistante il Palazzo Presidenziale di Betlemme. Discorso del Santo Padre.

10.00    SANTA MESSA nella Piazza della Mangiatoia di Betlemme. Omelia del Santo Padre.

12.30    Pranzo con gli Ordinari di Terra Santa, con la Comunità dei Francescani e con il Seguito Papale nel Convento di Casa Nova di Betlemme.

15.30    VISITA PRIVATA ALLA GROTTA DELLA NATIVITÀ di Betlemme.

16.10    VISITA AL CARITAS BABY HOSPITAL di Betlemme

16.45    VISITA ALL’AIDA REFUGEE CAMP di Betlemme. Discorso del Santo Padre.
18.00    VISITA DI CORTESIA AL PRESIDENTE DELL’AUTORITÀ NAZIONALE PALESTINESE nel Palazzo Presidenziale di Betlemme.

18.40    CERIMONIA DI CONGEDO nel cortile del Palazzo Presidenziale. Discorso del Santo Padre.

Giovedì 14 maggio 2009

Nazaret
10.00    SANTA MESSA sul Monte del Precipizio a Nazaret. Omelia del Santo Padre.

12.30    Pranzo con gli Ordinari locali, con la Comunità dei Francescani e con il Seguito Papale nel Convento dei Francescani di Nazaret.

15.50    INCONTRO CON IL PRIMO MINISTRO DELLO STATO DI ISRAELE nel Convento dei Francescani di Nazaret.

16.30    SALUTO AI CAPI RELIGIOSI DELLA GALILEA nell’Auditorium del Santuario dell’Annunciazione di Nazaret. Discorso del Santo Padre.

17.00    VISITA ALLA GROTTA DELL’ANNUNCIAZIONE di Nazaret.

17.30    CELEBRAZIONE DEI VESPRI CON I VESCOVI, I SACERDOTI, I RELIGIOSI E LE RELIGIOSE, I MOVIMENTI ECCLESIALI E GLI OPERATORI PASTORALI DELLA GALILEA nella Basilica superiore dell’Annunciazione di Nazaret. Discorso del Santo Padre.

Venerdì 15 maggio 2009

Gerusalemme
07.30    Santa Messa in privato nella Cappella della Delegazione Apostolica di Gerusalemme.

09.15    INCONTRO ECUMENICO nella Sala del Trono della Sede del Patriarcato Greco-Ortodosso di Gerusalemme. Discorso del Santo Padre.

10.15    VISITA AL SANTO SEPOLCRO di Gerusalemme. Discorso del Santo Padre.
11.10    VISITA ALLA CHIESA PATRIARCALE ARMENA APOSTOLICA DI S. GIACOMO di Gerusalemme. Discorso del Santo Padre.

Tel Aviv
13.30    CERIMONIA DI CONGEDO all’Aeroporto Internazionale Ben Gurion di Tel Aviv. Discorso del Santo Padre.

14.00    Partenza in aereo dall’Aeroporto Internazionale Ben Gurion di Tel Aviv (Israele) per l’Aeroporto di Ciampino (Roma).

Roma
16.50    Arrivo all’Aeroporto di Ciampino (Roma).

Fuso orario

Roma: + 2 UTC

Giordania, Israele e Territori Nazionali Palestinesi: + 3 UTC

www.vatican.va

[SM=g1740717] [SM=g1740720]
Caterina63
00giovedì 26 marzo 2009 19:55
Pubblicato il programma della visita papale in Terra Santa, studiamone i particolari[SM=g1740722]

CITTA' DEL VATICANO, giovedì, 26 marzo 2009 (ZENIT.org).

Durante il suo viaggio in Terra Santa nel maggio prossimo, Benedetto XVI visiterà il Muro del Pianto, la Spianata delle Moschee, la grotta della Natività e Nazaret, secondo quanto si apprende dal programma ufficiale del viaggio, pubblicato questo giovedì dalla Santa Sede.

Il
programma ripete nei suoi momenti chiave la storica visita di Giovanni Paolo II in Terra Santa nel marzo 2000, anche se prevede un giorno in più e un maggiore spazio per gli incontri di tipo ecumenico e interreligioso.

Come per il suo predecessore, anche per Papa Benedetto XVI la prima tappa del viaggio sarà la Giordania, con una visita al monte Nebo, il luogo in cui la tradizione afferma che Mosè vide da lontano la Terra Promessa.

E' anche prevista una Messa ad Amman (nell'International Stadium), così come una visita di cortesia ai re di Giordania.

Come novità di questo viaggio, Benedetto XVI visiterà il Museo Hashemita e la Moschea Al-Hussein e incontrerà i leader religiosi musulmani e i rettori delle università del Paese. Porrà anche la prima pietra dell'università cattolica di Madaba.

Come Giovanni Paolo II, il Papa visiterà il Giordano, anche se si recherà allo stesso luogo in cui secondo la tradizione Gesù ricevette il Battesimo dalle mani di Giovanni, dove benedirà le prime pietre di una chiesa latina e di un'altra greco-melchita.

Al suo arrivo in territorio israeliano, il Papa visiterà in primo luogo Gerusalemme, mentre Giovanni Paolo II andò prima nei territori dell'Autorità Palestinese.
A Gerusalemme, visiterà il Muro Occidentale e il Memoriale di Yad Vashem e saluterà i due Gran Rabbini nel Centro Hechal Shlomo.

Farà visita anche al Gran Mufti e si recherà alla Spianata delle Moschee, ma a differenza di Giovanni Paolo II visiterà la Cupola della Roccia, la moschea in cui si venera la Roccia sulla quale Abramo si accingeva a sacrificare suo figlio e da cui il Profeta Maometto sarebbe andato in cielo.

                

Secondo la tradizione, si tratta del terzo luogo più sacro dell'islam, dopo La Mecca e Medina, ed è anche un luogo sacro per gli ebrei, perché lì è il cuore dell'antico Tempio di Gerusalemme.
A Gerusalemme è anche previsto, come fece Giovanni Paolo II, un incontro con organizzazioni dedite al dialogo interreligioso e con le comunità cristiane, nonché una visita al Santo Sepolcro.

Come novità, è prevista un'Eucaristia nella Josafat Valley.

Il Papa si dirigerà poi a Betlemme, dove celebrerà un'Eucaristia nella Piazza della Mangiatoia e visiterà un campo di rifugiati, l'Aida Refugee Camp (Giovanni Paolo II visitò quello di Deheisha). E' anche prevista una visita al Caritas Baby Hospital e al Presidente dell'Autorità Palestinese.

Per terminare il viaggio, Benedetto XVI si recherà in Galilea, a Nazaret, dove visiterà la Grotta dell'Annunciazione e incontrerà il Primo Ministro di Israele.
 
Celebrerà anche un'Eucaristia sul Monte del Precipizio (da dove la tradizione afferma che i concittadini tentarono di gettare Gesù dopo la sua predicazione nella Sinagoga).

A differenza di quanto fece Giovanni Paolo II, la visita in questa zona sarà breve e non prevede né il Monte delle Beatitudini né Cafarnao o Tabga, dove la tradizione ricorda la Moltiplicazione dei Pani.

Prima di tornare a Roma, il Papa prevede di incontrare anche il Patriarca Greco-ortodosso di Gerusalemme e il Patriarca della Chiesa armena.

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Caterina63
00domenica 29 marzo 2009 15:17
Una serie di banner da me creati... da utilizzare per la visita del Papa in Terra Santa....[SM=g1740734]
TUTTO è dono...se vorrete utilizzarli, per fraternità, mettete la fonte....e troviamoci nella Preghiera....[SM=g1740733]

                         

                     

       

       

             

            

             

AFFIDIAMO IL PELLEGRINAGGIO DEL SANTO PADRE A MARIA, FIGLIA DI SION, MADRE DI DIO E DELLA CHIESA, IN QUESTO MESE DI MAGGIO A LEI PARTICOLARMENTE DEDICATO NEL SANTO ROSARIO....[SM=g1740734]

            

                 

                 


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Caterina63
00sabato 18 aprile 2009 15:06
Dall'8 al 15 maggio il dodicesimo viaggio internazionale di Benedetto XVI

Pellegrino in Terra Santa

in dialogo con gli ebrei


di Norbert J. Hofmann
Salesiano, segretario della Commissione
per i rapporti religiosi con l'Ebraismo



Già i Pontefici Paolo VI e Giovanni Paolo II hanno compiuto pellegrinaggi in Terra Santa, visitando i luoghi sacri e pregando. Dall'8 al 15 maggio Papa Benedetto XVI, ricalcando le orme dei suoi predecessori, visiterà la Terra Santa per "pregare in particolare per il dono prezioso dell'unità e della pace sia all'interno della regione sia per la famiglia umana di tutto il mondo" (Discorso alla delegazione del Gran Rabbinato di Israele, in Vaticano, il 12 marzo 2009).
Paolo VI compì il suo viaggio nel 1964, durante lo svolgimento del concilio Vaticano ii, che stilò un documento sul rapporto della Chiesa cattolica con le religioni del mondo. La visita di Giovanni Paolo II nel marzo 2000 si inserisce invece nella cornice dell'anno giubilare della storia bimillenaria del cristianesimo.

Studiando il programma del viaggio di Benedetto XVI, si nota subito che è simile a quello di Giovanni Paolo II. Fin dall'inizio del suo pontificato, Benedetto XVI ha voluto preservare e approfondire l'eredità di Papa Wojtyla, anche in riferimento al dialogo con l'ebraismo, che Benedetto XVI considera soprattutto nella prospettiva della riconciliazione e della collaborazione per la giustizia e per la pace. Benedetto XVI ricalcherà anche le orme di Giovanni Paolo II come pellegrino in Terra Santa, ma imprimerà a questo viaggio un proprio marchio in base alla sua personalità.

Più aspetti caratterizzeranno questo viaggio. La prima motivazione l'ha già espressa il Papa:  viaggerà come pellegrino e vorrà pregare nei luoghi santi. Incontrerà la Chiesa cattolica locale per sostenerla nella sua non facile situazione. Inoltre questo viaggio avrà anche una dimensione ecumenica perché le comunità cristiane in Terra Santa sono una minoranza che va scomparendo.

All'orizzonte c'è naturalmente anche la promozione del dialogo interreligioso con gli ebrei e i musulmani. Infine, in questa regione del mondo, con tutti i suoi problemi e la sua imponderabilità, non potrà mancare un appello alla pace e alla convivenza armoniosa di tutte le religioni e le culture.

Per quanto concerne il dialogo con l'ebraismo, nei suoi discorsi con i rappresentanti ebrei Benedetto XVI ha sottolineato il significato autentico della dichiarazione conciliare Nostra aetate (n. 4). Il 30 ottobre 2008, nel ricevere una delegazione dell'International Jewish Committee on Interreligious Consultations (Ijcic), un'organizzazione centrale ebraica internazionale per il dialogo interreligioso, il Papa ha parlato dell'appello, contenuto nella Dichiarazione, a una rinnovata comprensione teologica del rapporto fra la Chiesa e il popolo ebraico:  "Quella Dichiarazione, che ha condannato con fermezza tutte le forme di antisemitismo, è stata sia una pietra miliare significativa nella lunga storia dei rapporti fra cattolici ed ebrei sia un invito a una rinnovata comprensione teologica dei rapporti fra la Chiesa e il popolo ebraico".

Affinché la Nostra aetate (n. 4) potesse realizzarsi sempre più concretamente a livello ecclesiale, nel 1974 la Santa Sede istituì la Commissione per i rapporti religiosi con l'Ebraismo, che si occupa dell'organizzazione e della gestione del dialogo con gli ebrei.
Quarantaquattro anni dopo la promulgazione della Nostra aetate nel 1965, bisogna ricordare anche la storia intensa e interessante di questo documento. Infatti, in questi anni, a livello sia locale sia universale, i vincoli di amicizia e la fiducia reciproca fra ebrei e cattolici sono aumentati ed eventuali crisi nel dialogo potranno essere risolte insieme e in modo costruttivo. Il legame che unisce ebrei e cristiani è da sempre molto forte:  possono imparare molto gli uni dagli altri e hanno una solida base di valori comuni.

È soprattutto il caso del dialogo istituzionale fra la Commissione per i rapporti religiosi con l'Ebraismo e il Gran Rabbinato di Israele, cominciato ufficialmente a giugno 2002, ma in realtà avviato da Papa  Giovanni Paolo II durante la sua visita in Israele nel marzo 2000 e sviluppatosi molto bene negli anni scorsi. Complessivamente si sono svolti otto incontri a Gerusalemme e a Roma, nei quali si sono affrontati temi importanti quali, per esempio, la sacralità della vita umana, il significato della famiglia, la rilevanza delle Sacre Scritture per la società e l'educazione dei giovani, il rapporto fra autorità religiose e civili, l'importanza della libertà di religione. Dichiarazioni congiunte hanno evidenziato il fondamento comune delle posizioni ebraiche e cattoliche.

Il 16 gennaio 2004 Giovanni Paolo II ricevette in Vaticano i due rabbini capo d'Israele. Benedetto XVI lo ha fatto il 15 settembre 2005. Infine, il 12 marzo 2009 il Papa ha ricevuto una delegazione del Gran Rabbinato di Gerusalemme insieme a interlocutori cattolici.

Entrambi i Pontefici hanno definito questo dialogo "un segno di grande speranza". Il Gran Rabbinato è in Israele la massima autorità religiosa per l'ebraismo ortodosso, che in tale Paese costituisce una maggioranza schiacciante. Il dialogo con il Gran Rabbinato di Gerusalemme ha portato sicuramente a un miglioramento dei rapporti, a livello mondiale, con gli ebrei ortodossi i quali all'inizio erano un po' esitanti nell'entrare in dialogo.

Durante la sua visita in Israele, Benedetto XVI, incontrando entrambi i rabbini capo, farà sicuramente riferimento a questo positivo e importante dialogo e così intensificherà ulteriormente i buoni rapporti.
Il fatto che Israele e il dialogo ebraico-cattolico che vi si svolge abbiano un significato particolare per gli ebrei di tutto il mondo è naturale in quanto essi considerano questo Paese "terra dei loro antenati", in cui è cominciata la storia salvifica di Dio con il suo popolo eletto.

Tuttavia questa terra non è sacra solo per gli ebrei, ma anche per i cristiani perché l'ebreo Gesù di Nazaret vi è cresciuto in un contesto ebraico, vi ha annunciato il suo messaggio del regno eterno di Dio e vi ha affrontato la morte in croce, alla quale Dio, suo padre, l'ha strappato con la risurrezione.
Dunque, nell'Antico Testamento "la terra" e "il popolo" sono beni che erano già stati promessi ai patriarchi. Popolo e terra hanno anche connotazioni religiose ed entrambi si identificano concretamente con il popolo e con il Paese d'Israele. Di tale popolo fanno parte gli ebrei, siano essi nello Stato israeliano o nella diaspora. La terra viene spesso identificata con lo Stato di Israele. Per tutti gli ebrei è stato dunque importante il riconoscimento ufficiale dello Stato di Israele da parte della Santa Sede.

In quest'ultimo, sin dalla sua fondazione, è presente un delegato apostolico della Santa Sede, anche se il riconoscimento diplomatico formale è avvenuto solo nel dicembre 1993. Nel corso dell'anno successivo vi è stato uno scambio ufficiale di ambasciatori. Ma poiché con l'atto di riconoscimento non si erano risolte tutte le questioni pendenti, fu istituita una commissione che si sarebbe occupata dello status legale della Chiesa cattolica, della questione fiscale e di altri aspetti giuridici.

L'interesse della Santa Sede è stato sempre quello di ottenere un libero accesso ai luoghi santi e la possibilità di svolgere attività pastorali in Terra Santa senza limitazioni o impedimenti. Però le trattative della commissione preposta dalla Santa Sede e dallo Stato d'Israele non sono ancora terminate. Per questo motivo si auspica che la visita di Papa Benedetto XVI in Israele conduca a una loro conclusione positiva.

Il viaggio di Benedetto XVI in Israele promuoverà e approfondirà il dialogo con l'ebraismo. Là, numerose istituzioni si occupano della promozione del dialogo fra cristiani ed ebrei o di quello interreligioso fra le tre religioni monoteistiche, ma la loro opera dipende sempre da grandi gesti e immagini suggestive.
Il secondo Papa in raccoglimento davanti al Muro del pianto o a colloquio con le autorità religiose dell'ebraismo a Gerusalemme dimostrerà all'opinione pubblica israeliana che i rapporti fra la Chiesa cattolica e l'ebraismo sono divenuti migliori e più profondi. Forse, in questo modo si potrà suscitare un po' più di interesse per il cristianesimo nella società israeliana, in cui i cristiani sono una minoranza che va sempre più scomparendo e in cui la maggior parte della popolazione ha spesso scarse conoscenze della realtà cristiana.

Un altro compito dei cattolici in tutto il mondo consiste nel promuovere la conoscenza dell'ebraismo nell'educazione e nell'istruzione. Parimenti, l'ebraismo è invitato, soprattutto in Israele, a trasmettere nozioni sul cristianesimo in ambito pedagogico.
Il dialogo fra cristiani ed ebrei avrà dunque un futuro fecondo, se le prossime generazioni cresceranno nella conoscenza reciproca delle due tradizioni religiose e si organizzeranno incontri comuni, che contribuiranno ad abbattere i pregiudizi e a creare amicizia. In quanto esseri umani deriviamo tutti da quel Dio che ci ha creati a sua immagine e somiglianza (cfr. Genesi 1, 26-27). Egli desidera che, nonostante le nostre differenze e imperfezioni, viviamo insieme in pace e in armonia, indipendentemente dalla tradizione religiosa alla quale apparteniamo.
Ebrei e cristiani possono approfondire la loro amicizia sulla base della comune origine religiosa e, rispettandosi reciprocamente, considerare le loro differenze una fonte di arricchimento.



(©L'Osservatore Romano - 18 aprile 2009)
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Caterina63
00giovedì 23 aprile 2009 10:24
[SM=g1740733] incalzano le polemiche: il Papa perchè non va a Gaza? è giusto questo?
vi lascio con un commento stupendo di padre Giovanni Scalese.
..[SM=g1740722]

giovedì 23 aprile 2009

Il Papa e la kefiah


Al di là delle preoccupazioni e delle perplessità
sul viaggio del Santo Padre in Terra Santa, questa immagine allarga il cuore, innanzi tutto perché dimostra che anche i palestinesi vogliono bene a Benedetto XVI, e poi perché è la prova che il Papa, al di là di certe opinabili decisioni dettate dalla ragion di Stato, è davvero il padre di tutti.

Ma quanto ci scommettete che questa immagine creerà non poche noie al Papa? Quanto ci scommettete che la visita allo Yad Vashem e al Muro del Pianto non saranno sufficienti atti di riparazione per questo gesto? Già immagino i titoli dei giornali israeliani, che verranno poi ripresi da tutta la "libera" stampa internazionale: "Il Papa dalla parte dei terroristi!".

Naturalmente, qualcuno penserà che sto esagerando; ma nel frattempo si legga questo articolo di Giacomo Galeazzi su La Stampa. Come potete vedere, siamo arrivati al punto che il Papa deve avere il benestare del governo israeliano per decidere chi ricevere in udienza. Notate che Mazen Ghanaim non è un rappresentante del governo di Gaza o del movimento di Hamas in esilio; egli è il legittimo sindaco di una cittadina araba della Galilea (quindi dello Stato di Israele). Ebbene, il Papa non può riceverlo, perché "è un sostenitore del terrorismo e un fomentatore di conflitti". E meno male che è in corso a Ginevra la conferenza contro il razzismo, la discriminazione razziale, la xenofobia e l'intolleranza!

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martedì 21 aprile 2009

Blondet e il Papa

Ho sempre nutrito una grande ammirazione per Maurizio Blondet, fin dai tempi in cui scriveva per Avvenire. Poi, quando fu cacciato dal quotidiano della CEI e incominciò a scrivere sul sito Effedieffe, ne divenni un assiduo lettore. Lo trovavo un giornalista anticonformista, informatissimo, colto e, soprattutto, libero. Le sue analisi coglievano sempre nel segno (non altrettanto le sue profezie...); ci teneva informati di fatti totalmente ignorati dai grandi mezzi di comunicazione. Non mi perdevo alcun pezzo da lui pubblicato fino a quando l'Editore non decise di mettere il sito a pagamento. Una scelta legittima, che non mi sono mai permesso di contestare, ma che non ho mai compreso. Sinceramente, mi sembra molto strano che dei lettori consiglino un sito a farsi pagare.

Due sono le cose: o quei messaggi sono falsi; o quei lettori sono dei provocatori. E se questa ipotesi è vera, Effedieffe c'è cascata in pieno: non so quale sia l'attuale audience del sito, ma sono più che convinto che i lettori si sono drasticamente ridotti. Naturalmente, liberi di fare le loro scelte: hanno deciso di rinchiudersi nel loro salotto buono, dove ci si incensa a non finire ("Magistrale, Direttore!"); ma in tal modo impediscono alle loro idee di diffondersi liberamente della rete. Ciò nonostante, di tanto in tanto mi affaccio sul sito, per vedere se c'è qualcosa di nuovo (dopo la "criptazione", è stata introdotta una sezione "free", dove vengono pubblicati alcuni articoli più significativi).

È così che durante lo scorso fine-settimana ho potuto leggere un articolo dal titolo Un terribile abbaglio, nel quale Blondet riferisce innanzi tutto della scelta de L'Osservatore Romano di pubblicare in prima pagina un commento contro la legge sciita di subordinazione della moglie al marito (legge che autorizzerebbe lo "stupro domestico") e poi riporta la notizia che il Papa, nel prossimo viaggio in Terra Santa, non visiterà Gaza. Entrambe le cose, secondo Blondet, andrebbero ricondotte a precise scelte di Benedetto XVI, che pertanto viene duramente criticato. Basti qui riportare una frase: "Quello del Papa è uno spaventoso abbaglio morale e intellettuale, purtroppo, si vede, ricorrente nei tedeschi. Ahimè, io temo che questa non-visita a Gaza, questa insensibilità, sia la pietra tombale sulla Chiesa cattolica". Si possono immaginare le reazioni dei lettori, la maggioranza dei quali cattolici. Per tale motivo ieri ha dovuto dare Qualche risposta ai suoi lettori (non posso darvi il link, perché l'articolo è per i soli abbonati; io ho potuto leggerlo solo grazie a un amico).

Che dire? Primo: che la nuova linea editoriale de L'Osservatore Romano sia quanto mai politicamente corretta, penso che sia sotto gli occhi di tutti. Che sia stato lo stesso Benedetto XVI a scegliere la nuova direzione, non lo si può in alcun modo contestare; ma che sia il Papa in persona a dare il benestare per le notizie e i commenti che vengono pubblicati, ho qualche dubbio.

Secondo. Che Papa Ratzinger abbia le sue personali propensioni politiche, non credo che sia uno scandalo (chi non ne ha?). Ovviamente non dobbiamo sentirci condizionati nelle nostre scelte politiche, semplicemente perché il Papa la pensa in un certo modo. È più che evidente in Benedetto XVI una simpatia per il sistema americano. Lo disse espressamente nel famoso discorso alla Curia Romana del 22 dicembre 2005: "... la rivoluzione americana aveva offerto un modello di Stato moderno diverso da quello teorizzato dalle tendenze radicali emerse nella seconda fase della rivoluzione francese" (una tesi molto comune negli ambienti accademici, ma non per questo indiscutibile). Dal Papa non dobbiamo attenderci orientamenti di ordine politico, ma indicazioni in materia di fede e di morale.

Terzo. Prima di criticare il Papa anche in questioni opinabili, dovremmo concedergli un certo credito. Faccio un esempio: quando, poco dopo la sua elezione al pontificato, condannò senza processo Padre Maciel, ebbi da ridire, perché mi sembrava ingiusto condannare una persona senza riconoscergli neppure il diritto alla difesa. Ora capisco il perché di quel comportamento: Papa Ratzinger sapeva tante cose che noi non sapevamo; le prove degli addebiti (conosciuti e non ancora noti) erano così schiaccianti che era meglio concludere così la vicenda, senza creare ulteriori scandali. Voglio dire: non sempre sappiamo (e non siamo tenuti a sapere) tutti i motivi che determinano il comportamento di una persona, tanto più quando questa persona è il Papa. Perché il Papa non va a Gaza? Perché non vuole andare? Ma è così evidente che non glielo permettono. Se ricordate, lo avevo scritto subito dopo l'annuncio della visita. Si dirà: allora, meglio non andare in Terra Santa! Che cosa avevo detto io fin dall'inizio? Che cosa hanno sempre detto i cristiani palestinesi (leggetevi, a questo proposito, l'interessante intervista del Patriarca Twal pubblicata ieri da ZENIT)? Ieri anche Raffaella ha dovuto confessare di non essere proprio entusiasta del viaggio in Israele (vedi qui); ma poi ha aggiunto: "So che è desiderio del Santo Padre e lo rispetto". Io non sarei così sicuro che sia "desiderio del Santo Padre"; ho già scritto più volte che questo viaggio "s'ha da fare". Il Papa non è così libero come noi crediamo: in certi casi è costretto ad agire in un certo modo per "ragion di Stato".

Quarto. A parte tutte le precedenti considerazioni, rimane la possibilità che il Papa, in tutti i settori che non sono di sua stretta competenza (fede e morale), possa sbagliare. Dobbiamo accettarlo; la cosa non deve scandalizzarci più di tanto. Se ora ammettiamo che i Papi del passato hanno commesso errori (e chiediamo scusa anche quando non ci viene richiesto), perché non dovrebbero sbagliare i Papi di oggi? E se sbagliano, è legittimo criticarli (in maniera civile, ovviamente). Io stesso, come ho già detto, temo che un'eccessiva accondiscendenza alle pretese di Israele e del sionismo possa nuocere gravemente alla Chiesa (verrà il giorno in cui le sarà rinfacciata tale debolezza, così come oggi le vengono rinfacciati i silenzi durante il nazismo); ma da qui ad arrivare al catastrofismo blondettiano ("Ahimè, io temo che questa non-visita a Gaza, questa insensibilità, sia la pietra tombale sulla Chiesa cattolica"), credo che ne passi.

In ogni caso, per terminare, dirò che a prescindere dalle debolezze, dagli errori o dalle colpe dei singoli Pontefici, il Papa rimmarrà sempre per noi il "dolce Cristo in terra". Volete che i Papi ai tempi di santa Caterina fossero migliori di quelli attuali? Eppure ciò non impedì alla nostra Santa Patrona di vedere in loro il vicario di Cristo; non solo, ma il "dolce Cristo in terra". E l'allontanamento dal Papa inevitabilmente comporta, anche per chi è animato dalle migliori intenzioni, l'allontanamento da Cristo e dalla sua Chiesa.[SM=g1740722] [SM=g1740721]

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Caterina63
00lunedì 27 aprile 2009 18:15

Vademecum del viaggio del papa in Terra Santa. Ma c’è chi non lo vuole

Il programma del viaggio che Benedetto XVI farà in Terra Santa dall’8 al 15 maggio è noto. È indicato minuto per minuto nel sito ufficiale del Vaticano.

L’incognita è su come l’annunciata agenda prenderà corpo. Le premesse non sono tutte pacifiche.

L’annuncio del viaggio ha sollevato fin dall’inizio delle opposizioni molto aspre proprio da parte di coloro che il papa andrà a visitare: i vescovi, il clero e i cattolici arabi. L’ha confermato e spiegato senza mezzi termini il patriarca latino di Gerusalemme, Fouad Twal, in un’
intervista al sito ufficiale della Custodia Francescana della Terra Santa.


“È vero che la comunità cristiana locale, palestinese, ha espresso e ci ha manifestato il suo disappunto, i suoi interrogativi e i suoi timori. Ed essendo venuti a conoscenza, prima di loro, del progetto di Sua Santità, ci siamo anche noi interrogati sull’opportunità di questo viaggio. Il fatto che il Santo Padre venga in un momento difficile, in una regione difficile, a incontrare un popolo estremamente sensibile, ci ha fatto riflettere. Ci siamo consultati con gli organizzatori, con lo stesso Santo Padre, e, qui a Gerusalemme, con i nostri fratelli vescovi dell’assemblea degli ordinari cattolici di Terra Santa, i quali presentavano le stesse inquietudini della comunità cristiana locale. In seguito al nostro scambio, avendo constatato che il programma del pellegrinaggio era ben bilanciato, nei suoi momenti dedicati alla Giordania, alla Palestina e a Israele, abbiamo finito per riconoscere che questo viaggio non poteva che essere un bene, una benedizione per tutti. […] Ma è innegabile che questi tre punti critici permangano: il Santo Padre verrà in un momento difficile – soprattutto dopo la guerra di Gaza –, in una regione difficile, per render visita a una popolazione molto sensibile”.


Per seguire il viaggio del papa il sito della Custodia ha predisposto una sezione on line ad esso dedicata:
Benedetto XVI pellegrino in Terra Santa. In essa si troveranno schede storiche e foto dei luoghi santi visitati dal papa, interviste e commenti di esponenti della Chiesa locale e di personalità arabocristiane, la cronaca quotidiana del viaggio.


Sui rapporti politici tra il Vaticano e Israele, vedi in www.chiesa:
A Gaza il Vaticano alza bandiera bianca“.


[SM=g1740720] preghiamo che il viaggio vada come deve andre: BENE!

[SM=g1740722]

Caterina63
00sabato 2 maggio 2009 10:15
Il Papa in Terra Santa: editoriale di padre Lombardi

Fervono gli ultimi preparativi per l’ormai prossimo
pellegrinaggio del Papa in Terra Santa che si svolgerà dall’8 al 15 maggio. Benedetto XVI inizierà il viaggio dalla Giordania, visiterà l’antica Basilica del Memoriale di Mosè sul Monte Nebo, poi sarà a Gerusalemme, Betlemme e Nazaret. Tra le tappe principali della visita, oltre ai luoghi santi cristiani, lo Yad Vashem, la Cupola della Roccia sulla Spianata delle Moschee, il Muro Occidentale e un campo di rifugiati palestinesi.

                         

Ma ascoltiamo l’editoriale di padre Federico Lombardi per Octava Dies, il settimanale informativo del Centro Televisivo Vaticano:


Il giorno della partenza di Benedetto XVI per la Terra Santa è ormai imminente. Il viaggio più atteso e forse più impegnativo finora del suo pontificato. Viaggio di fede anzitutto, viaggio che più di ogni altro è veramente pellegrinaggio: ai luoghi più santi della storia della salvezza e soprattutto della incarnazione, passione, morte e risurrezione di Gesù Cristo, Figlio di Dio.

Desiderio spirituale di ogni cristiano, è diventato spontanea priorità per i pontefici da quando i loro viaggi internazionali sono diventati una possibilità concreta. Non per nulla proprio il pellegrinaggio in Terra Santa di Paolo VI è stato il primo in assoluto di tali viaggi. Momento veramente storico e di grazia per la Chiesa cattolica che celebrava il Concilio, per il cammino ecumenico con l’incontro con il Patriarca Atenagora, per l’invocazione della pace fra i popoli della regione e del mondo. Giovanni Paolo II dovette attendere a lungo prima di poter compiere il desiderio di questo pellegrinaggio, ma poi ebbe la gioia di compierlo serenamente, nel cuore del grande Giubileo, vero culmine del suo grande pontificato, con momenti di preghiera di intensità sublime e con gesti memorabili di amicizia e vicinanza ai popoli ebreo e palestinese e alle loro sofferenze passate e contemporanee.

Ora è la volta di Papa Benedetto. Sappiamo quanto la situazione politica nell’area sia incerta, quanto le prospettive di pacificazione siano fragili. Ma il Papa si mette in cammino ugualmente, con un coraggio ammirabile che si fonda nella fede, per parlare di riconciliazione e di pace. Tutti lo dobbiamo accompagnare non solo con una preghiera ordinaria, ma con quella mobilitazione spirituale che Giovanni Paolo II chiamava la “grande preghiera”. Perche la Chiesa si rinnovi alle sue sorgenti, l’unione fra i cristiani si avvicini, l’odio lasci finalmente il passo alla riconciliazione.
Caterina63
00domenica 3 maggio 2009 21:07
L'invito del Papa all'Angelus di oggi  Sorriso

    

C’è un’altra intenzione per la quale oggi vi invito a pregare: il viaggio in Terra Santa che compirò, a Dio piacendo, dal prossimo venerdì 8 maggio al venerdì 15. Sulle orme dei miei venerati predecessori Paolo VI e Giovanni Paolo II, mi farò pellegrino ai principali luoghi santi della nostra fede. Con la mia visita mi propongo di confermare e di incoraggiare i cristiani di Terra Santa, che devono affrontare quotidianamente non poche difficoltà.
Quale Successore dell’apostolo Pietro, farò loro sentire la vicinanza e il sostegno di tutto il corpo della Chiesa. Inoltre, mi farò pellegrino di pace, nel nome dell’unico Dio che è Padre di tutti. Testimonierò l’impegno della Chiesa Cattolica in favore di quanti si sforzano di praticare il dialogo e la riconciliazione, per giungere ad una pace stabile e duratura nella giustizia e nel rispetto reciproco. Infine, questo viaggio non potrà non avere una notevole importanza ecumenica e inter-religiosa. Gerusalemme è, da questo punto di vista, la città-simbolo per eccellenza: là Cristo è morto per riunire tutti i figli di Dio dispersi (cfr Gv 11,52).

Rivolgendoci ora alla Vergine Maria, la invochiamo quale Madre del Buon Pastore, affinché vegli sui nuovi Presbiteri della Diocesi di Roma, e perché in tutto il mondo fioriscano numerose e sante vocazioni di speciale consacrazione al Regno di Dio.

www.vatican.va

Prendiamo il Rosario e con quest'Arma potente affidiamo a Maria Ausiliatrice e Madre dei Cristiani il viaggio e la Missione del Sommo Pontefice...[SM=g1740717] [SM=g1740720] [SM=g1740734] 

 Sorriso

Caterina63
00mercoledì 6 maggio 2009 21:30

In Terra Santa per condividere
sofferenze e speranze di tutti


La catechesi all'udienza generale dedicata alla figura di san Giovanni Damasceno

"Attendo con ansia di poter essere con voi e di condividere le vostre aspirazioni e speranze, sofferenze e lotte". Lo ha detto il Papa alla vigilia della partenza per la Terra Santa, in un messaggio alle popolazioni giordane, israeliane e palestinesi, letto al termine dell'udienza generale di mercoledì 6 maggio, in piazza San Pietro. Di seguito ne diamo la traduzione italiana.

Miei cari amici,
questo venerdì lascerò Roma per la mia Visita Apostolica in Giordania, Israele e Territori Palestinesi. Stamane, attraverso questa trasmissione radiofonica e televisiva, desidero cogliere l'opportunità di salutare tutte le popolazioni di quei Paesi. Attendo con ansia di poter essere con voi e di condividere le vostre aspirazioni e speranze, sofferenze e lotte. Verrò fra voi come pellegrino di pace. La mia intenzione principale è di visitare i luoghi resi santi dalla vita di Gesù e lì di pregare per il dono della pace e dell'unità per le vostre famiglie e per tutti coloro per i quali la Terra Santa e il Medio Oriente sono la casa. Fra i numerosi incontri religiosi e civili che si svolgeranno nel corso della settimana, vi saranno quelli con rappresentanti delle comunità musulmane ed ebraiche, con le quali si sono compiuti grandi progressi nel dialogo e nello scambio culturale. Saluto con affetto particolare i cattolici della regione e chiedo loro di unirsi a me nella preghiera affinché la visita rechi molti frutti per la vita spirituale e civile di quanti vivono in Terra Santa. Lodiamo tutti Dio per la sua bontà! Che possiamo essere tutti persone di speranza! Che possiamo essere tutti determinati nel nostro desiderio e nei nostri sforzi di pace!










 



(©L'Osservatore Romano - 7 maggio 2009)

Caterina63
00giovedì 7 maggio 2009 18:54

Alle radici della fede



Il percorso in Terra Santa di Benedetto XVI è un viaggio alle radici della fede per tornare sui cammini di Dio. E non di un dio qualunque, ma di Colui che, manifestatosi in molti modi ad Abramo, ai patriarchi, a Mosè e ai profeti, si è fatto uomo in Gesù di Nazaret, il Messia morto e risorto. Il viaggio è dunque, innanzi tutto, un pellegrinaggio.

Simile a quello di milioni di persone che, spesso affrontando fatiche e difficoltà, lo hanno intrapreso nel corso dei millenni. Per salire a Gerusalemme, la città santa, recitando i salmi detti delle ascensioni, secondo l'uso - che rimonta ad almeno venticinque secoli fa - del popolo dell'alleanza, rimasto fedele nonostante dispersioni e persecuzioni.

Un itinerario ripetuto da Giuseppe, da Maria e da Gesù. Poi dagli apostoli e dai seguaci del rabbi crocifisso. Da donne appassionate - come Elena, madre dell'imperatore Costantino, e sessant'anni dopo, intorno all'anno 385, la pellegrina spagnola Egeria - e da uomini di ogni tempo. Dal vescovo Melitone di Sardi, che vi si recò verso il 170 per vedere i luoghi delle Scritture, a Girolamo, che vi ricercò la "verità ebraica" della Bibbia, fino al ritorno dei successori di Pietro.

E se Pio X nel 1904 salutava tra le lacrime i pellegrini italiani in partenza per la Terra Santa, che sapeva di non potere visitare, fu Paolo VI nel 1964, con un sorprendente ed essenziale itinerario, a iniziare i suoi viaggi sui passi di Cristo, mentre Giovanni Paolo II segnò lo straordinario giubileo bimillenario con un pellegrinaggio che è vivo nella memoria del mondo.

Ora, Benedetto XVI torna in Giordania, Israele e Territori palestinesi per celebrare la fede e per confermare l'amicizia della Chiesa di Roma nei confronti di tutti:  dai credenti musulmani - con i quali è possibile un cammino comune - al popolo ebraico, fino ai cristiani di ogni confessione. In un viaggio il cui intento politico è soltanto quello di contribuire a una pace che deve tradursi in giustizia e sicurezza per tutti i popoli di una terra davvero santa.

g. m. v.



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Verso la Terra Santa

Storie di un pellegrinaggio infinito


di Fabrizio Bisconti

Suggestivo, ricco di significati, emozionante, il viaggio ai "luoghi della memoria" viene da lontano quando individua come mete privilegiate le sedi ritenute sante per la presenza di una divinità e del santuario che segnala una sede terapeutica, dove si consumano guarigioni, dove si elargiscono protezione e immunità, dove si dona la fertilità, così come avveniva nell'antichità a Cuma, a Delfi a Epidauro e a Pergamo o, nella civiltà ebraica, a Hebron, al Monte Nebo, a Gerusalemme, al monte Sinai, per rivivere i grandi eventi della storia della Salvezza.

Il pellegrinaggio cristiano tarda a decollare e, nei primi tre secoli, il fenomeno appare sporadico, riservato specialmente a fedeli orientali, spinti da una "santa" curiosità, come dimostra lo spirito che animò il vescovo cappadoce Alessandro che - secondo Eusebio di Cesarea (Historia ecclesiastica, 6, 11, 2) - poco dopo il 200, si recò a Gerusalemme "per pregare e visitare i luoghi".

E, appena un secolo più tardi, secondo la stessa fonte (Eusebio, Demonstratio evangelica, 6, 18, 23) "tutti coloro che credono in Cristo convergono qui (a Gerusalemme) da ogni parte del mondo non, come per il passato, per ammirare lo splendore della città o per pregare nell'antico tempio... ma per pregare sul monte degli Ulivi". Questo faticoso avvio del fenomeno fu provocato dalle stesse vicende storiche che, in seguito alla distruzione di Gerusalemme, del Tempio, di tutte le testimonianze cristiane, condussero alla ricostruzione della nuova Aelia Capitolina voluta da Adriano (Girolamo, Epistulae, 58, 3) che obliterò i luoghi santi, talché se ne affievolì la memoria, come indicherebbero le vaghe indicazioni topografiche dei primi tre vangeli, senza contare che, in quei primi frangenti, non sembrava urgente riconoscere i luoghi della Gerusalemme storica, a favore di una meta verso cui ogni cristiano doveva tendere, ossia la Gerusalemme Celeste (Giovanni, 4, 23-24), mentre ogni gesto della devozione verso luoghi terreni appariva priva di significato (Luca, 24, 5; Giovanni, 2, 18-22).

Solo al tempo di Costantino, con lo spostamento dell'attenzione dei cristiani verso Oriente e verso Costantinopoli, ma soprattutto da quando l'imperatore aveva recuperato, attraverso una importante operazione archeologica, i luoghi obliterati da Adriano e innalzato su questi monumentali basiliche, il pellegrinaggio trovò nuove ragioni e incremento. All'intervento dell'imperatore, d'altra parte, si aggiunse quello della madre Elena e degli imperatori successivi, che contribuirono alla costruzione di nuovi santuari, ospizi e monasteri, non solo in quelle località rese famose dagli eventi evangelici, ma anche in quelle che conservavano la memoria degli apostoli e degli episodi veterotestamentari.

Se, dunque, le numerose costruzioni a opera di Costantino a Gerusalemme e nella Terra Santa testimoniano già il vivo interesse per i luoghi santi e conferiscono ai pellegrinaggi un nuovo impulso, la madre di Costantino - ancora secondo Eusebio (Vita Constantini, 3, 42) - percorse personalmente la Terra Santa ed Eutropia, la madre di Fausta, moglie dell'imperatore, forse mossa da un sentimento di espiazione per lo spargimento di sangue avvenuto nella famiglia imperiale, si recò presso i sacri luoghi per visitarli e per pregare (Sozomeno, Historia ecclesiastica, 2, 4).

Mentre il Cristianesimo, ai tempi di Teodosio (379-395), diverrà religione di Stato, il pellegrinaggio si allargherà ai livelli meno privilegiati, mentre le autorità ecclesiastiche tenteranno di regolamentare e disciplinare il flusso, anche nella gestione del culto delle reliquie, che scaturì naturalmente da quei viaggi della fede.

Venire in possesso di un ricordo tangibile della storia biblica divenne una delle più urgenti preoccupazioni dei primi pellegrini, che attribuirà a quei ricordi un carattere taumaturgico, talché si diffuse presto il fenomeno che allargava tale valenza all'intera comunità di provenienza dei singoli pellegrini, così che parve un privilegio eccezionale consacrare una chiesa con un frammento della croce, con le reliquie di un martire o con le reliquie ex contactu, ossia i brandea posati sulle tombe sante, l'olio delle lampade accese presso i luoghi venerati, la polvere posata su di essi. Le ampolle di Monza, di Bobbio e quelle provenienti dal santuario di san Mena sono testimonianze dell'usanza diffusa presso i pellegrini di riportare un ricordo tangibile del viaggio compiuto.

Talora il fenomeno delle reliquie raggiunse il livello della superstizione, tanto da essere biasimato dai Padri della Chiesa e specialmente da Agostino (Epistulae, 52, 2), che cercò di porre termine a un commercio stigmatizzato anche da Teodosio (Codex Theodosianum, 9, 17) e che pure non impedì a Macrina, sorella di Basilio e Gregorio di Nissa, di portare un reliquiario al collo che conteneva della terra santa che un tale Esperio teneva appeso nella sua stanza da letto (Agostino, De Civitate Dei, 22, 8).
Tra divieti e infrazioni, i santuari della Terra Santa divennero ricchi per il flusso dei pellegrini, tanto che questi luoghi santi cominciarono a pullulare di guardiani dei santuari, di venditori di reliquie, di mercanti, di artigiani che organizzavano vere e proprie fiere in occasione delle festività religiose.

Non dobbiamo poi dimenticare che la munificenza imperiale provvedeva a creare ospizi e altre strutture per l'accoglienza, nonché a dotare i santuari di nuove rendite, alle quali si aggiungevano quelle dei pellegrini illustri e abbienti come san Girolamo, Paola, Melania Maggiore, Porfirio ed Egeria, che avevano abbracciato una vita di preghiera e povertà, lasciando i propri averi alla Chiesa di Gerusalemme.

La più antica descrizione di un pellegrinaggio che si sia conservata data al 333 e fu redatta da un Anonimo di Bordeaux che, muovendosi dalla sua città di origine, ricorda minuziosamente il suo lungo itinerario, che tocca la Gallia Narbonense, le Alpi, l'Italia, il Norico, la Pannonia, la Misia, la Dacia, la Tracia, la Bitinia, la Galazia, la Cappadocia, la Cilicia e la Siria, per giungere in Palestina.

Qui, il pellegrino non si ferma a visitare soltanto i luoghi che ricordano la vita di Gesù, ma anche quelli dell'Antico Testamento, facendo riferimento anche al luogo della tomba dei patriarchi in Hebron. Una descrizione dettagliata viene riservata a Gerusalemme e dintorni, dove vengono descritti, in senso orario, i luoghi più idonei alla visita:  la piscina di Bethesda, il palazzo di Salomone, la collina di Sion e il Golgota, facendo riferimento alle recenti costruzioni costantiniane, la valle di Josaphat, il monte degli Ulivi, Betania, Gerico, il Giordano, Betlemme ed Hebron.
 
Tra il iv e il v secolo, il pellegrinaggio si associò al fenomeno che vide alcune donne romane trasferirsi in Palestina e segnatamente nel 372, Melania Senior (Palladio, Historia Lausica, 46); nel 385, Paola con sua figlia Eustochio (Girolamo, Epistulae, 108); nel 417, Melania junior con Paola, secondo quanto si apprende dalla vita di Geronzio. A queste pellegrine dobbiamo aggiungere la monaca spagnola Egeria, originaria della Galizia, che compì il suo lunghissimo viaggio tra il 381 e il 384. Il suo racconto, pervenutoci mutilo, vede la monaca spagnola al ritorno dalla Tebaide, alla volta del Sinai; da qui, la pellegrina costeggia il Mar Rosso, attraversa il deserto d'Arabia e giunge in Terra Santa, forse per la seconda volta rispetto a un primo sopralluogo narrato nella prima parte del diario.

Durante il secondo soggiorno, la pellegrina descrive le celebrazioni liturgiche annuali. Egeria è interessata a tutti i luoghi della memoria:  dalle sedi della rievocazione evangelica e veterotestamentaria alle tombe dei martiri, dalle dimore degli asceti ancora viventi ai santuari degli stiliti. Dove sorgeva un santuario si pregava, veniva celebrata l'eucaristia, si elevavano canti (Peregrinatio, 3, 6; 4, 3; 14, 1), mentre a Gerusalemme le cerimonie divenivano sontuose e si cercava di portare con sé delle reliquie, come i frammenti della croce del Cristo.

Purtroppo, Egeria non fornisce particolari descrizioni dei santuari sorti presso i luoghi santi, preferendo, di gran lunga, raccontare la dinamica delle celebrazioni liturgiche. Gli unici elementi topografici che è possibile ricavare dal suo diario riguardano il complesso costantiniano del Santo Sepolcro, desumibili dal dettagliatissimo resoconto delle celebrazioni liturgiche che si svolgevano, durante l'anno, nel santuario gerosolimitano.
 
Dal circolo dell'Aventino, ossia delle nobildonne raccolte intorno a san Girolamo, emerge - come si è anticipato - la figura di Paola che, nel 385, in seguito alla morte della figlia Blesilla, decide di seguire il grande Padre della Chiesa, affrontando il lungo viaggio verso la Palestina, per visitare i luoghi santi e stabilirsi a Betlemme, dove fonderà un monastero (Girolamo, Epistulae, 108, 6-7). Paola si imbarca a Ostia, con la figlia Eustochio, veleggia a largo dell'isola di Ponza, dove intravede le carceri che avevano visto l'esilio di Domitilla ai tempi di Domiziano, attraversa il Mediterraneo fino a Cipro, dove soggiorna alcuni giorni presso il vescovo Epifanio, per poi raggiungere Seleucia. Da qui, si mette in cammino per la Siria e la Fenicia ed entra nella terra dei filistei per giungere a Gerusalemme.

Poi, si muove nelle località della Palestina:  da Betlemme a Hebron, dal monte degli Ulivi a Betania, da Gerico al Giordano e al lago di Tiberiade, dal monte Tabor al villaggio di Naim.

Altri pellegrini eccellenti raggiunsero la Terra Santa, a cominciare da Eucherio, vescovo di Lione, che si recò a Gerusalemme e in Giudea nel 440, visitando i santuari di Gerusalemme, di Betlemme, di Gerico, della valle del Giordano, di Hebron. Anche l'arcidiacono Teodosio visitò la Terra Santa intorno al 530, fermandosi nei principali luoghi della Palestina, ma anche del Libano, dell'Egitto, della Mesopotamia, dell'Armenia, della Persia e della Siria.

Nel 570, un anonimo pellegrino di Piacenza racconta un lungo viaggio che tocca Costantinopoli, Cipro, Sidone, Tiro, Cesarea, Cana, Nazaret, il monte Tabor, Tiberiade, Cafarnao, le sorgenti del Giordano, Gerico, Betania, il monte degli Ulivi. Nella città santa, il pellegrino si reca presso i principali santuari:  dal Santo Sepolcro alla piscina di Bethesda. Poi, il suo viaggio riprende per Betlemme e per Mambre, per giungere, attraverso l'Egitto, al monte Sinai e tornare, infine, a Gerusalemme, dove si trattiene a lungo.

Attraverso esperienze diverse e lungo i secoli il fenomeno del pellegrinaggio, che si puntualizzò e indirizzò verso altre città sante, prima fra tutte la Roma dei martiri e dei principi degli apostoli, assurse ad atteggiamento devozionale e penitenziale e preparò la scelta estrema del monachesimo nelle terre e nei luoghi della memoria segnati dai miracoli del Nuovo Testamento e dai prodigi del Vecchio Testamento. Tuttavia, i pellegrinaggi estremi vennero anche criticati dai Padri della Chiesa:  Gregorio di Nissa esorta a tralasciare i "pellegrinaggi del corpo" e a "pellegrinare" verso il Signore con la preghiera (Epistulae, 2, 18) e Girolamo, pur avendo incitato Paola al viaggio verso la Terra Santa, ricorda che "Antonio e tutte le schiere dei monaci...non hanno visitato Gerusalemme e, ciononostante, le porte del paradiso si sono aperte dinanzi a loro" (Epistulae, 58, 3).

Ma qui ci inoltriamo verso un "pellegrinaggio definitivo", che si identifica con l'ascetico distacco dal mondo, in perfetta coerenza con l'atteggiamento di Abramo, che non esitò a uscire dalla sua terra. Il monaco non ha meta precisa, ma si distacca, senza alcuna sofferenza, dalla sua casa e dai suoi cari.

I viaggi faticosi intrapresi, nell'antichità, alla volta della Terra Santa, possono sembrare, ai nostri giorni, delle vere e proprie imprese eroiche, consumate all'insegna della devozione, della penitenza, del sacrificio e forse quegli itinerari, così complicati e resi difficoltosi dai viaggi interminabili per terra e per mare, durati anche degli anni, rivestono un ruolo terapeutico, che attribuisce al viaggio stesso un significato mistico, che rallenta il ritmo dei tragitti e allontana la meta ambita, per questo più preziosa ed emozionante.

Ma forse, anche per chi oggi giunge più facilmente presso i luoghi santi, i santuari e le sedi della memoria, rimangono intatte quella emozione e quella commozione che dovettero provare i primi pellegrini cristiani, che piansero, pregarono e riposarono le loro membra provate da quei viaggi così scomodi, ma che ripagavano ogni fatica, ogni rinuncia, ogni prova, tanto da desiderare di rimanere in quelle terre lontane per sempre.






(©L'Osservatore Romano - 8 maggio 2009)


[SM=g1740744]
Caterina63
00giovedì 7 maggio 2009 19:02
Il nunzio apostolico Antonio Franco parla del viaggio del Pontefice

Per la Terra Santa la speranza
di una convivenza pacifica nella giustizia



di Gianluca Biccini

Benedetto XVI ha spiegato che quello in Terra Santa sarà un pellegrinaggio di fede e di pace. Ma sin dall'annuncio i media hanno cominciato a offrire all'opinione pubblica chiavi di lettura diverse. Ne abbiamo parlato con l'arcivescovo Antonio Franco, da tre anni nunzio apostolico in Israele e in Cipro e delegato apostolico in Gerusalemme e Palestina. Una vita nella diplomazia della Chiesa, questo presule settantaduenne originario della Campania non smentisce il proprio cognome che nella lingua italiana è un aggettivo per indicare schiettezza, sincerità.

Quale risonanza ha avuto la notizia del viaggio del Papa? Ci sono stati in Terra Santa atteggiamenti poco favorevoli o segnali di strumentalizzazione?

Se ne iniziò a parlare nell'ottobre 2008 in ambienti ristretti della Chiesa. Poi pian piano, a motivo della necessità dei contatti con i Governi interessati per organizzare il viaggio, la notizia è cominciata a filtrare. Così a dicembre era già stata in qualche modo ufficializzata:  l'atteggiamento era di grande attesa e soddisfazione, anche se c'era qualche riserva. Le preoccupazioni sono aumentate dopo il 27 dicembre, quando è iniziato l'attacco a Gaza. Tanto che a fine gennaio, quando cessate le ostilità si è ricominciato a parlare del viaggio, sembrava aumentato il numero di quanti non lo ritenevano opportuno. Per altri invece, proprio perché c'erano delle situazioni difficili e di grande tensione tra le popolazioni della Terra Santa, il Papa doveva venire con il suo messaggio di pace e di speranza.
Quel che posso affermare con certezza è che se c'è stata qualche voce contraria al viaggio tra i cristiani è stato solo per la difficoltà della situazione politica e sociale e che la Chiesa locale è felice di accogliere il Papa come Padre e pastore. Sono anche sicuro che la volontà dei presidenti dello Stato di Israele  e dell'Autorità palestinese è retta.

Eppure c'è stato chi ha voluto vedere nella visita di Benedetto XVI soprattutto i possibili risvolti politici nel contesto del Vicino Oriente.

Il Papa ha parlato in modo chiaro durante il conflitto. Sin dall'Angelus del 28 dicembre, subito dopo i primi attacchi a Gaza, ha rivolto un inequivocabile appello al cessate il fuoco. Di fronte all'escalation delle operazioni militari, la Santa Sede ha chiesto a israeliani e palestinesi di uscire dal vicolo cieco dello scontro e di ricercare soluzioni negoziali. C'è stata la condanna della violenza da una parte e dall'altra, sebbene ai più la reazione militare israeliana sia apparsa fuori misura.

I media occidentali hanno dato ampio rilievo al clima positivo di attesa diffuso tra i musulmani. Come giudica questo atteggiamento?

Vi è certamente un interesse vivo alla visita del Papa da parte dell'Autorità Palestinese e del popolo che lotta per vedere riconosciuti i propri diritti. La posizione della Santa Sede, del resto, è sempre stata di sostegno a questi diritti, così come a quelli del popolo israeliano. Una posizione un po' scomoda, a ben vedere, perché ci sono diritti per entrambe le parti, per tutti e due i popoli. Non ci sono più diritti per una parte e meno per l'altra. I diritti hanno valore universale.
I palestinesi sanno che nel corso degli anni c'è stato un impegno crescente della Santa Sede:  per questo guardano al Papa come a una persona che conosce la loro realtà e ne difende i diritti. Del resto, lo stesso si potrebbe dire dal punto di vista ebraico, perché la Santa Sede proclama e sostiene chiaramente anche i diritti di Israele.
Ecco allora l'invito a conciliare e armonizzare i diritti nel rispetto reciproco degli uni e degli altri.

E le polemiche che hanno riguardato Benedetto XVI in questi ultimi tempi?

Ci sono state le prese di posizione relative al ruolo di Pio XII durante la seconda guerra mondiale e quelle legate alle dichiarazioni negazioniste del vescovo lefebvriano sulla Shoah. Ma bisogna dire che allo stato attuale tutto è stato ampiamente chiarito, soprattutto durante l'incontro del 12 marzo scorso tra Benedetto XVI e una delegazione del Gran Rabbinato d'Israele.
Per questo adesso sembra esserci un'attesa sincera e molti si rendono conto che Benedetto XVI si pone in continuità con Giovanni Paolo ii e non in contrasto, come purtroppo una certa stampa tende a descrivere sovvertendo la realtà.

È in atto una sorta di esodo dei cristiani dalla Terra Santa, e più in generale da tutto il Medio Oriente, tanto che alcuni esperti parlano di emorragia senza fine. C'è il rischio concreto che la presenza cristiana in questa parte del mondo possa essere ridotta ai minimi termini?

Purtroppo è una realtà che riguarda tutta la regione, non solo la Terra Santa. Posso fare l'esempio dell'Iran che conosco bene:  ai tempi dello Scià i cristiani erano più di trecentomila, sessantamila dei quali cattolici. Oggi le cifre sono ridotte all'osso:  quando infatti i cristiani sono una minoranza, essi subiscono maggiormente le difficoltà ambientali e risentono delle situazioni storiche contingenti.

Ma torniamo alla Terra Santa.

Abbiamo la parte dove ci sono i palestinesi, a maggioranza musulmana, e poi c'è Israele, a maggioranza ebraica. In quest'ultimo caso la Santa Sede ha fatto e sta facendo un lavoro molto intenso per dare una base giuridica alla presenza e all'azione della Chiesa, che a tutt'oggi non ha ancora un riconoscimento legislativo. Ci sono stati due accordi:  quello fondamentale del 30 dicembre 1993 - che aprì la porta alle relazioni diplomatiche - e quello del 1997, per il riconoscimento giuridico della Chiesa e delle sue istituzioni. Ma ambedue non sono stati ancora trasformati in legge dalla Knesset, il parlamento sovrano. Va anche riconosciuto che nella sostanza i Governi hanno finora rispettato tali accordi. Al presente stiamo lavorando sul cosiddetto Accordo economico, che riguarda le questioni fiscali, ma anche l'attività sociale, caritativa ed educativa delle istituzioni della Chiesa e altri aspetti della vita delle nostre comunità.

E nei Territori palestinesi?

Anche qui c'è sempre stato grande rispetto per i cattolici, soprattutto nelle aree dove c'è stata tradizionalmente la presenza della Chiesa, cioè nei Luoghi santi. Per quel che riguarda i musulmani, ad esempio, il governatore di Betlemme un giorno mi ha detto:  noi qui abbiamo sempre celebrato insieme le nostre feste e abbiamo convissuto in armonia. Però anche a Betlemme, dove i cristiani erano maggioranza, oggi sono diminuiti. Molti sono emigrati e continuano a farlo.
C'è stato anche qualche atto di intolleranza a Gaza, come reazione al proselitismo di gruppi evangelici molto aggressivi. Ma in linea di massima il fenomeno migratorio va visto come un fatto sociale e non religioso:  ci sono povertà e insicurezza, non c'è pace, perciò si fugge. Lo fanno anche i musulmani e gli stessi israeliani, ma quando a farlo è la minoranza cristiana le cifre acquistano una maggiore visibilità.
Il dato di fatto è che i cristiani stanno diminuendo. Nostro compito è aiutarli a rimanere facilitando loro la soluzione dei problemi essenziali, come la casa e il lavoro.

Dall'esperienza maturata sul campo quale lettura può dare del viaggio del Papa in una situazione in continua evoluzione?

Sono arrivato il 30 marzo 2006, e quindi da tre anni, durante i quali mi sono impegnato a sviluppare il dialogo per eliminare i pregiudizi tra mondi che comunicano con difficoltà. Il cristianesimo è visto con diffidenza in Israele per motivi storici. Bisogna sforzarsi di farsi capire, stabilire rapporti per far comprendere che siamo davvero sinceri, nella scia della spinta data dal concilio Vaticano ii. Occorrono stima, rispetto e, quando è possibile, collaborazione, per trovare punti di convergenza, per stare insieme. Con Israele abbiamo continuato i negoziati per gli accordi. Ora, con questo Governo da poco in carica si apre una nuova fase, nella quale non abbiamo ancora segnali chiari. Ecco allora che bisogna partire dagli sviluppi positivi degli ultimi anni, con la speranza di concludere almeno i capitoli più importanti degli accordi.
Per i territori palestinesi, invece, tutto è condizionato dalla mancanza di pace. C'è una sorta di ossessione per la sicurezza, in un ambiente di timori e di apprensione che, purtroppo, a volte paralizzano.

Ritiene che per i profughi e per i familiari delle vittime dei raid a Gaza la presenza del Pontefice possa significare un rilancio delle speranze di pace?

Gaza è una realtà molto complessa. La divisione in gruppi tra i palestinesi, aumenta le difficoltà della Striscia. Si è innescato, purtroppo, un circolo vizioso. Loro dicono:  noi reagiamo a Israele perché ci soffoca. Israele dice:  noi rispondiamo al lancio dei vostri missili. È questo il "vicolo cieco" di cui ha parlato il Papa all'Angelus del 28 dicembre 2008, ribadendo poi, nel discorso al Corpo diplomatico del successivo 8 gennaio, che "l'opzione militare non è una soluzione e la violenza, da qualunque parte essa provenga e qualsiasi forma assuma, va condannata fermamente". Ora c'è tregua, ma occorre lavorare intensamente alla ricerca di soluzioni a lungo termine, senza dimenticare che, per vivere in pace - come tutti vorrebbero - occorre buona volontà da entrambe le parti.

Al di là degli aspetti eminentemente pastorali, che significato assume la visita del Papa nel contesto di tutta la regione mediorientale?

Ci auguriamo che la presenza di Benedetto XVI accenda qualche scintilla di speranza. Vorrei essere ottimista, ma occorre soprattutto essere realisti. La soluzione del problema palestinese purtroppo appare lontana. Bisogna sciogliere ancora molti nodi e occorre un impegno maggiore da parte di tutti. Bisogna, prima di tutto, volere davvero la pace e impegnarsi attivamente per creare le condizioni che la favoriscano. La mia speranza è che la visita di Benedetto XVI possa dare in qualche modo una spinta decisiva verso una convivenza pacifica nella giustizia.





Benedetto XVI è il terzo Pontefice a recarsi nei Luoghi santi

Sulle orme di Montini e Wojtyla



Inizia  il  pellegrinaggio  di  Benedet-to XVI in Terra Santa:  il terzo di un Pontefice, dopo quelli di Paolo VI nel 1964 e di Giovanni Paolo II nel 2000. Fu proprio Montini, il primo Papa a far uso dell'aereo, a inaugurare nelle fasi conclusive del Vaticano ii la serie dei viaggi internazionali dei vescovi di Roma.

Joseph Ratzinger conosce bene quei luoghi, dove si è recato più volte prima dell'elezione:  nel 1964, trentasettenne, all'epoca in cui era docente all'Università di Münster; poi nel 1992 in occasione del sessantacinquesimo compleanno, quand'era cardinale prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede; quindi nel 1994, poco dopo il riconoscimento dello Stato di Israele da parte della Santa Sede. Durante quest'ultima visita pregò come un semplice pellegrino, ma tenne anche una discorso su invito dell'International Jewish-Christian conference in cui espresse personale sostegno alle relazioni tra ebrei e cattolici.

Oggi Benedetto XVI vi torna come "pellegrino di pace". Smarcandosi da qualsiasi interpretazione politica dell'avvenimento, lo ha ripetuto dal momento dell'annuncio del viaggio, fino all'udienza generale di ieri, nel messaggio rivolto alle popolazioni giordane, israeliane e palestinesi.

E di pellegrinaggio di pace aveva parlato anche Papa Montini tre mesi dopo l'elezione, quando confidò ai più stretti collaboratori il desiderio di recarsi in Terra Santa. I preparativi vennero tenuti segreti fino al 4 dicembre 1963, quando Paolo VI annunciò la decisione ai padri conciliari.
Partito da Roma esattamente un mese dopo, il 4 gennaio di quarantacinque anni fa, con destinazione Amman, rimase per tre giorni nei luoghi di Cristo, per un pellegrinaggio che egli stesso volle "rapidissimo", improntato alla "semplicità".

Un viaggio essenziale, dal timbro penitenziale ed ecumenico.
A differenza del suo predecessore Giovanni XXIII - che vi era stato da giovane segretario del vescovo di Bergamo nel 1906, in occasione di un pellegrinaggio nazionale - Montini non era mai stato in Terra Santa. Il successore di Pietro tornava dunque dopo quasi duemila anni nella terra da dove era partito il pescatore di Galilea.

Il sito del battesimo di Cristo al Giordano, Betania, Gerusalemme, le prime tappe. Qui arrivò a piedi e trovò ad accoglierlo una folla immensa. Alla Basilica del Santo Sepolcro pronunciò la famosa frase:  "Siamo venuti come i colpevoli che tornano al luogo del loro delitto... Siamo venuti per batterci il petto e domandarti perdono, per implorare la tua misericordia". La giornata si concluse nella basilica dell'Agonia al Getsemani, dove Paolo VI si inginocchiò presso la pietra bagnata dal sangue di Cristo.

Il mattino seguente si recò in Galilea:  a Nazaret - "scuola del Vangelo" - celebrò la messa nella grotta dell'Annunciazione, poi fu a Cana e a Tiberiade, sulla riva del lago della chiamata di Pietro; quindi a Tabga, per il bacio alla pietra del primato, e a Cafarnao. Seguirono le salite al monte delle Beatitudini e sul Tabor, prima di tornare a Gerusalemme, per la preghiera nel Cenacolo. In serata lo storico incontro nella sede della delegazione apostolica con il Patriarca di Costantinopoli, Atenagora, giunto appositamente dalla Turchia.

L'indomani, lunedì 6 gennaio, Paolo VI restituì la visita recandosi nella residenza patriarcale. Il Papa incontrò anche i capi di altre Chiese cristiane. La solennità dell'Epifania culminò con la messa a Betlemme nella grotta della Natività. Infine, al momento del congedo, la limpida difesa di Pio XII.

Appena tre settimane prima, nel dicembre 1963, in quegli stessi luoghi si era recato un giovanissimo vescovo polacco:  Karol Wojtyla. Vi tornò due anni dopo, divenuto arcivescovo di Cracovia. La terza volta fu da Papa, in occasione del pellegrinaggio giubilare compiuto dal 20 al 26 marzo.

Preceduta dalla Lettera apostolica del 29 giugno 1999 e dalla sosta al Monte Sinai, nel mese di febbraio, la visita di Giovanni Paolo II cominciò dal Monte Nebo. L'itinerario di Benedetto XVI ricalcherà quello del predecessore. Tra i momenti forti, allora, vi furono la messa nel Cenacolo - un fatto eccezionale dal momento che il luogo non è oggi una chiesa - e l'incontro con le ferite del popolo ebraico allo Yad Vashem, il memoriale della Shoah. Indimenticabile resta anche la visita al campo profughi palestinese di Deheisheh, nei pressi di Betlemme.

L'immagine simbolo di quel viaggio immortala Giovanni Paolo II che con un gesto tipicamente ebraico depone un biglietto tra le fessure del Muro Occidentale, con la richiesta di perdono a Dio per "il comportamento di quanti nel corso della storia hanno fatto soffrire... il popolo dell'Alleanza".

(gianluca biccini)







(©L'Osservatore Romano - 8 maggio 2009)



Buon viaggio e buon pellegrinaggio Santo Padre, ti affidiamo alla Madonna del Rosario alla quale proprio domani, 8 maggio, tutta la Chiesa innalza la Supplica alla Madonna del Rosario di Pompei...

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Caterina63
00venerdì 8 maggio 2009 15:29
Sto seguendo la diretta.....davvero significativo e commovente un gesto che ho visto ripetersi non da una persona, ma da TUTTE....tentare di sfiorare il Papa e FARSI IL SEGNO DELLA CROCE... [SM=g1740717] [SM=g1740720]

Bellissimo, mi sono venute le lacrime agli occhi...grazie ai fratelli e le sorelle Cattoliche della Regina Pacis ad Amman per questa grande lezione di vera devozione al Dolce Vicario di Cristo in terra...

Faccio anche notare che in Giordania a maggioranza musulmana, è stato dato il via alla costruzione di nuove Chiese Cattoliche, una sorgerà nei pressi del fiume sui luoghi che la Tradizione indica quale punto verso il quale Gesù venne battezzato...il Papa benedirà le prime pietre Sorriso

Fraternamente CaterinaLD






Il Papa durante il consueto incontro con i giornalisti a bordo dell'aereo per la conferenza stampa d'inizio viaggio

La Chiesa forza spirituale che parla alla ragione


Pubblichiamo la trascrizione della conferenza stampa che, come di consueto, il Papa ha tenuto venerdì 8 maggio, durante il volo verso Amman. Padre Federico Lombardi, direttore della sala stampa della Santa Sede, ha rivolto al Papa alcune domande formulate dai giornalisti al seguito.

Santità, questo viaggio avviene in un periodo molto delicato per il Medio Oriente:  vi sono forti tensioni, in occasione della crisi di Gaza, si era anche pensato che Lei forse vi rinunciasse. Allo stesso tempo, pochi giorni dopo il Suo viaggio, i principali responsabili politici di Israele e dell'Autorità palestinese, incontreranno anche il presidente Obama. Lei pensa di poter dare un contributo al processo di pace che ora sembra arenato?

Buongiorno! Vorrei anzitutto ringraziare per il lavoro che fate e ci auguriamo tutti insieme un buon viaggio, un buon pellegrinaggio, un buon ritorno. Quanto alla domanda, certamente cerco di contribuire alla pace non come individuo ma in nome della Chiesa cattolica, della Santa Sede. Noi non siamo un potere politico, ma una forza spirituale e questa forza spirituale è una realtà che può contribuire ai progressi nel processo di pace. Vedo tre livelli.
Il primo:  da credenti, siamo convinti che la preghiera sia una vera forza:  apre il mondo a Dio. Siamo convinti che Dio ascolti e che possa agire nella storia. Penso che se milioni di persone, di credenti, pregano, è realmente una forza che influisce e può contribuire ad andare avanti con la pace.
Il secondo livello:  noi cerchiamo di aiutare nella formazione delle coscienze.[SM=g1740722]  La coscienza è la capacità dell'uomo di percepire la verità, ma questa capacità è spesso ostacolata da interessi particolari. E liberare da questi interessi, aprire maggiormente alla verità, ai veri valori è un impegno grande:  è un compito della Chiesa aiutare a conoscere i veri criteri, i valori veri, e a liberarci da interessi particolari.
E così - terzo livello - parliamo anche - è proprio così! - alla ragione:  proprio perché non siamo parte politica, possiamo forse più facilmente, anche alla luce della fede, vedere i veri criteri, aiutare nel capire quanto contribuisca alla pace e parlare alla ragione, appoggiare le posizioni realmente ragionevoli. E questo lo abbiamo già fatto e vogliamo farlo anche adesso e in futuro. [SM=g1740721]


Lei, come teologo, ha riflettuto in particolare sulla radice unica che accomuna cristiani ed ebrei. Come mai, nonostante sforzi di dialogo, si presentano spesso occasioni di malintesi? Come vede il futuro del dialogo tra le due comunità?

Importante è che in realtà abbiamo la stessa radice, gli stessi Libri dell'Antico Testamento che sono - sia per gli ebrei, sia per noi - Libro della Rivelazione. Ma, naturalmente, dopo duemila anni di storie distinte, anzi, separate, non c'è da meravigliarsi che ci siano malintesi, perché si sono formate tradizioni di interpretazione, di linguaggio, di pensiero molto diverse, per così dire un "cosmo semantico" molto diverso, così che le stesse parole nelle due parti significano cose diverse; e con questo uso di parole che, nel corso della storia hanno assunto significati diversi, nascono ovviamente malintesi. Dobbiamo fare di tutto per imparare l'uno il linguaggio dell'altro, e mi sembra che facciamo grandi progressi. Oggi abbiamo la possibilità che i giovani, i futuri insegnanti di teologia, possono studiare a Gerusalemme, nell'Università ebraica, e gli ebrei hanno contatti accademici con noi:  così c'è un incontro di questi "cosmi semantici" diversi. Impariamo vicendevolmente e andiamo avanti nella strada del vero dialogo, impariamo l'uno dall'altro e sono sicuro e convinto che facciamo progressi. E questo aiuterà anche la pace, anzi, l'amore reciproco.

Questo viaggio ha due dimensioni essenziali di dialogo interreligioso, con l'islam e con l'ebraismo. Sono due direzioni completamente separate fra loro o vi sarà anche un messaggio comune che riguarda le tre religioni che si richiamano ad Abramo?

Certo esiste anche un messaggio comune e vi sarà occasione di evidenziarlo; nonostante la diversità delle origini, abbiamo radici comuni perché, come già ho detto, il cristianesimo nasce dall'Antico Testamento e la Scrittura del Nuovo Testamento senza l'Antico non esisterebbe, perché si riferisce in permanenza alla "Scrittura", cioè all'Antico Testamento, ma anche l'islam è nato in un ambiente dove erano presenti sia l'ebraismo sia i diversi rami del cristianesimo giudeo-cristianesimo, cristianesimo-antiocheno, cristianesimo-bizantino, e tutte queste circostanze si riflettono nella tradizione coranica così che abbiamo tanto in comune fin dalle origini e anche nella fede nell'unico Dio, perciò è importante da una parte avere i dialoghi bilaterali - con gli ebrei e con l'Islam - e poi anche il dialogo trilaterale. Io stesso sono stato cofondatore di una fondazione per il dialogo tra le tre religioni, dove personalità come il metropolita Damaskinos e il Gran Rabbino di Francia René Samuel Sirat, ecc. eravamo insieme e questa fondazione ha curato anche un'edizione dei libri delle tre religioni:  il Corano, il Nuovo Testamento e l'Antico Testamento. Quindi il dialogo trilaterale deve andare avanti, è importantissimo per la pace e anche - diciamo - per vivere bene ciascuno la propria religione.

Lei ha richiamato spesso il problema della diminuzione dei cristiani in Medio Oriente e in particolare anche nella Terra Santa. È un fenomeno con diverse ragioni di carattere politico, economico e sociale. Che cosa si può fare concretamente per aiutare la presenza cristiana nella regione. Quale contributo spera di dare con il suo viaggio? Ci sono speranze per questi cristiani nel futuro? Avrà un messaggio particolare anche per i cristiani di Gaza che verranno a incontrarla a Betlemme?

Certamente ci sono speranze perché è un momento adesso, come Lei ha detto, difficile, ma anche un momento di speranza di un nuovo inizio, di un nuovo slancio nella via verso la pace. Vogliamo soprattutto incoraggiare i cristiani in Terra Santa e in tutto il Medio Oriente a rimanere, a dare il loro contributo nei Paesi delle loro origini:  sono una componente importante della cultura e della vita di queste regioni. In concreto, la Chiesa, oltre a parole di incoraggiamento, alla preghiera comune, ha soprattutto scuole e ospedali. In questo senso abbiamo la presenza di realtà molto concrete. Le nostre scuole formano una generazione che avrà la possibilità di essere presente nella vita di oggi, nella vita pubblica. Stiamo creando una Università cattolica in Giordania:  mi sembra questa una grande prospettiva, dove giovani - sia musulmani sia cristiani - si incontrano, imparano insieme dove si forma un'élite cristiana che è preparata proprio per lavorare per la pace. Ma generalmente le nostre scuole sono un momento molto importante per aprire un futuro ai cristiani e gli ospedali mostrano la nostra presenza. Inoltre ci sono molte associazioni cristiane che aiutano in diversi modi i cristiani e con aiuti concreti li incoraggiano a rimanere. Così spero che realmente i cristiani possano trovare il coraggio, l'umiltà, la pazienza di stare in questi Paesi, di offrire il loro contributo per il futuro di questi Paesi.



(©L'Osservatore Romano - 10 maggio 2009)









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Caterina63
00venerdì 8 maggio 2009 17:49
Discorso del Santo Padre al centro Regina Pacis di Amman 8.5.2009


Beatitudini,

Eccellenze,

Cari Amici,



sono molto contento di essere oggi qui con voi e di salutare ciascuno di voi, come anche i membri delle vostre famiglie, dovunque essi possano essere. Ringrazio Sua Beatitudine il Patriarca Fouad Twal per le gentili parole di saluto e in modo speciale desidero prendere atto della presenza fra noi del Vescovo Selim Sayegh, i cui progetti e lavori per questo Centro, insieme con quelli di Sua Beatitudine il Patriarca emerito Michel Sabbah, sono oggi onorati dalla benedizione dei nuovi ampliamenti appena terminati. Desidero anche salutare con grande affetto i membri del Comitato Centrale, le Suore Comboniane e il personale laico impegnato, inclusi coloro che lavorano nelle varie branche ed unità comunitarie del Centro. La stima per la vostra notevole competenza professionale, la cura compassionevole e la risoluta promozione del giusto posto nella società di coloro che hanno necessità speciali è ben conosciuta qui e in tutto il regno. Ringrazio i giovani presenti per il loro commovente benvenuto. È una grande gioia per me essere qui con voi.

Come sapete, la mia visita al Centro Nostra Signora della Pace qui in Amman è la prima tappa del mio pellegrinaggio. Come per innumerevoli migliaia di pellegrini prima di me, è ora il mio turno di soddisfare quel profondo desiderio di toccare, di trarre conforto dai luoghi dove Gesù visse e che furono santificati dalla sua presenza e di venerarli. Dai tempi apostolici, Gerusalemme è stata il principale luogo di pellegrinaggio per i Cristiani, ma ancora prima, nell’antico Vicino Oriente, i popoli Semitici costruirono luoghi sacri per indicare e commemorare una presenza o un’azione divina. E la gente comune soleva recarsi in questi centri portando una parte dei frutti della loro terra e del loro bestiame per farne offerta come atto di omaggio e di gratitudine.

Cari Amici, ognuno di noi è un pellegrino. Siamo tutti proiettati in avanti, risolutamente, sulla via di Dio. Naturalmente, tendiamo poi a volgere lo sguardo indietro al percorso della vita – talvolta con rimpianti o recriminazioni, spesso con gratitudine ed apprezzamento – ma guardiamo anche avanti - a volte con trepidazione o ansia, sempre con attesa e speranza, sapendo che ci sono anche altri ad incoraggiarci lungo la strada. So che i viaggi che hanno condotto molti di voi al Centro Regina Pacis sono stati segnati da sofferenza o prove. Alcuni di voi lottano coraggiosamente con forme di invalidità, altri hanno sopportato il rifiuto, ed alcuni di voi sono stati attratti a questo luogo di pace semplicemente per cercare incoraggiamento ed appoggio. Di particolare importanza, lo so bene, è il grande successo del Centro nel promuovere il giusto posto dell'invalido nella società e nell’assicurare che un adeguato esercizio e strumentazione siano forniti per facilitare una simile integrazione. Per questa lungimiranza e determinazione tutti voi meritate grande elogio ed incoraggiamento!

A volte è difficile trovare una ragione per ciò che appare solo come un ostacolo da superare o anche come prova – fisica o emotiva – da sopportare. Ma la fede e la ragione ci aiutano a vedere un orizzonte oltre noi stessi per immaginare la vita come Dio la vuole. L'amore incondizionato di Dio, che dà la vita ad ogni individuo umano, mira ad un significato e ad uno scopo per ogni vita umana. Il suo è un amore che salva (cfr Gv 12,32). Come i cristiani professano, è attraverso la Croce, che Gesù di fatto ci introduce nella vita eterna e nel fare ciò ci indica la strada verso il futuro – la via della speranza che guida ogni passo che facciamo lungo la strada, così che noi pure diveniamo portatori di tale speranza e carità per gli altri.

Amici, diversamente dai pellegrini d’un tempo, io non vengo portando regali od offerte. Io vengo semplicemente con un'intenzione, una speranza: pregare per il regalo prezioso dell’unità e della pace, più specificamente per il Medio Oriente. La pace per gli individui, per i genitori e i figli, per le comunità, pace per Gerusalemme, per la Terra Santa, per la regione, pace per l’intera famiglia umana; la pace durevole generata dalla giustizia, dall’integrità e dalla compassione, la pace che sorge dall'umiltà, dal perdono e dal profondo desiderio di vivere in armonia come un’unica realtà.

La preghiera è speranza in azione. Ed infatti la vera ragione è contenuta nella preghiera: noi entriamo in contatto amoroso con l’unico Dio, il Creatore universale, e nel fare così giungiamo a renderci conto della futilità delle divisioni umane e dei pregiudizi e avvertiamo le meravigliose possibilità che si aprono davanti a noi quando i nostri cuori sono convertiti alla verità di Dio, al suo progetto per ognuno di noi e per il nostro mondo.

Cari giovani amici, a voi in particolare desidero dire che stando in mezzo a voi io sento la forza che proviene da Dio. La vostra esperienza del dolore, la vostra testimonianza in favore della compassione, la vostra determinazione nel superare gli ostacoli che incontrate, mi incoraggiano a credere che la sofferenza può determinare un cambiamento in meglio. Nelle nostre personali prove, e stando accanto agli altri nelle loro sofferenze, cogliamo l'essenza della nostra umanità, diventiamo, per così dire, più umani. E incominciamo ad imparare che, su un altro piano, anche i cuori induriti dal cinismo o dall’ingiustizia o dalla riluttanza a perdonare non sono mai al di là del raggio d’azione di Dio, possono essere sempre aperti ad un nuovo modo di essere, ad una visione di pace.

Vi esorto tutti a pregare ogni giorno per il nostro mondo. Ed oggi voglio chiedervi di assumervi uno specifico compito: pregate, per favore, per me ogni giorno del mio pellegrinaggio; per il mio spirituale rinnovamento nel Signore e per la conversione dei cuori al modo di perdonare e di solidarizzare che è proprio di Dio, così che la mia speranza - la nostra speranza – per l’unità e la pace nel mondo porti frutti abbondanti.

Che Dio benedica ognuno di voi e le vostre famiglie, e gli insegnanti, gli infermieri, gli amministratori e i benefattori di questo Centro. Che Nostra Signora Regina della Pace vi protegga e vi guidi lungo il pellegrinaggio del Figlio suo, il Buon Pastore.

Fonte: Radio Vaticana

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Il Santo Padre ha lasciato in dono alla Regina Pacis un Tabernacolo

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Caterina63
00venerdì 8 maggio 2009 18:59
 discorso del Papa durante la cerimonia di benvenuto
La libertà religiosa
diritto umano fondamentale

    La cerimonia di benvenuto in Giordania si è svolta, poco dopo le 14.30 locali (le 13.30 a Roma) di venerdì 8 maggio, all'aeroporto Queen Alia di Amman dove Benedetto XVI è stato accolto dal re Abdullah ii bin Hussein che gli ha rivolto l'indirizzo di saluto. Il Papa ha quindi pronunciato il discorso che pubblichiamo di seguito.



    Pubblichiamo di seguito una nostra traduzione italiana del discorso di Benedetto XVI.

    Maestà,
    Eccellenze,
    Cari Fratelli Vescovi,
    Cari Amici,
    è con gioia che saluto tutti voi qui presenti, mentre inizio la mia prima visita in Medio Oriente dalla mia elezione alla Sede Apostolica, e sono lieto di posare i piedi sul suolo del Regno Ascemita di Giordania, una terra tanto ricca di storia, patria di così numerose antiche civiltà, e profondamente intrisa di significato religioso per Ebrei, Cristiani e Musulmani.

 Ringrazio Sua Maestà il re Abdullah ii per le sue cortesi parole di benvenuto e Gli porgo le mie particolari congratulazioni in questo anno che segna il decimo anniversario della sua ascesa al trono. Nel salutare Sua Maestà, estendo di cuore i migliori auguri a tutti i membri della Famiglia Reale e del Governo, e a tutto il popolo del Regno. Saluto i Vescovi qui presenti, specialmente quelli con responsabilità pastorali in Giordania.

Mi dispongo con gioia a celebrare la liturgia nella Cattedrale di San Giorgio domani sera e nello Stadio Internazionale domenica insieme con Voi, cari Vescovi, e con così numerosi fedeli affidati alla vostra cura pastorale.

    Sono venuto in Giordania come pellegrino, per venerare i luoghi santi che hanno giocato una così importante parte in alcuni degli eventi chiave della storia Biblica. Sul Monte Nebo, Mosè condusse la sua gente per gettare lo sguardo entro la terra che sarebbe diventata la loro casa, e qui morì e fu sepolto. A Betania al di là del Giordano, Giovanni Battista predicò e rese testimonianza a Gesù, che egli stesso battezzò nelle acque del fiume che dà a questa terra il nome. Nei prossimi giorni visiterò entrambi questi luoghi santi e avrò la gioia di benedire le prime pietre delle chiese che saranno costruite sul luogo tradizionale del Battesimo del Signore.

La possibilità che la comunità cattolica di Giordania possa edificare pubblici luoghi di culto è un segno del rispetto di questo Paese per la religione e a nome dei Cattolici desidero esprimere quanto sia apprezzata questa apertura.
La libertà religiosa è certamente un diritto umano fondamentale ed è mia fervida speranza e preghiera che il rispetto per i diritti inalienabili e la dignità di ogni uomo e di ogni donna giunga ad essere sempre più affermato e difeso, non solo nel Medio Oriente, ma in ogni parte del mondo.

    La mia visita in Giordania mi offre la gradita opportunità di esprimere il mio profondo rispetto per la comunità Musulmana e di rendere omaggio al ruolo di guida svolto da Sua Maestà il Re nel promuovere una migliore comprensione delle virtù proclamate dall'Islam. Ora che sono passati alcuni anni dalla pubblicazione del Messaggio di Amman e del Messaggio Interreligioso di Amman, possiamo dire che queste nobili iniziative hanno ottenuto buoni risultati nel favorire un'alleanza di civiltà tra il mondo Occidentale e quello Musulmano, smentendo le predizioni di coloro che considerano inevitabili la violenza e il conflitto.

In effetti, il Regno di Giordania è da tempo in prima linea nelle iniziative volte a promuovere la pace nel Medio Oriente e nel mondo, incoraggiando il dialogo inter-religioso, sostenendo gli sforzi per trovare una giusta soluzione al conflitto Israeliano-Palestinese, accogliendo i rifugiati dal vicino Iraq, e cercando di tenere a freno l'estremismo. Non posso lasciare passare questa opportunità senza richiamare alla mente gli sforzi d'avanguardia a favore della pace nella regione fatti dal precedente re Hussein. Come appare opportuno che il mio incontro di domani con i leader religiosi musulmani, il corpo diplomatico e i rettori dell'Università abbia luogo nella moschea che porta il suo nome. Possa il suo impegno per la soluzione dei conflitti della regione continuare a portar frutto nello sforzo di promuovere una pace durevole e una vera giustizia per tutti coloro che vivono nel Medio Oriente.

    Cari Amici, nel Seminario tenutosi a Roma lo scorso autunno presso il Foro Cattolico-Musulmano, i partecipanti hanno esaminato il ruolo centrale svolto, nelle nostre rispettive tradizioni religiose, dal comandamento dell'amore. Spero vivamente che questa visita e in realtà tutte le iniziative programmate per promuovere buone relazioni tra Cristiani e Musulmani, possano aiutarci a crescere nell'amore verso Dio Onnipotente e Misericordioso, come anche nel fraterno amore vicendevole. Grazie per la vostra accoglienza, Grazie per la vostra cortesia. Che Dio conceda alle loro Maestà felicità e lunga vita! Che Egli benedica la Giordania con la prosperità e la pace!


Il saluto del re di Giordania

    "La sua visita è l'inizio di un viaggio attraverso la storia e i luoghi in cui è nata la fede, per i cristiani e per i musulmani. Oggi l'accogliamo nella nostra casa". Lo ha detto il re di Giordania, Abdullah ii bin Hussein, rivolgendosi a Benedetto XVI, al suo arrivo, venerdì pomeriggio 8 maggio, all'aeroporto Queen Alia di Amman.

    "Qui in Giordania - ha proseguito il re - dove la fede in Dio, l'unico Dio, affonda le sue antiche radici, qui in mezzo al popolo giordano, per il quale la fede in Dio rimane il fulcro della vita stessa, apriamo le porte per accoglierla. Santità, nove anni fa nell'Anno santo del giubileo della pace, proprio in questo luogo, incontravo il suo predecessore, Giovanni Paolo II. Insieme abbiamo affermato con forza l'importanza della coesistenza pacifica tra musulmani e cristiani".

    "Da quel giorno - ha aggiunto - gli eventi hanno avvalorato l'urgente necessità del nostro appello. Provocazioni, ideologie ambiziose che puntano a dividere, rappresentano la minaccia di sofferenze indicibili. Dobbiamo opporci a questa corrente per il futuro del mondo. Oggi, insieme, è necessario rinnovare il nostro impegno al rispetto reciproco. È da qui ed è ora che deve partire un nuovo dialogo che abbracci tutto il mondo, un dialogo di comprensione e buona volontà. Noi abbiamo posto solide basi per una futura armonia". Dopo aver ricordato l'interdipendenza tra popoli e religioni diverse, il sovrano ha sottolineato come "le radici della comprensione per noi credenti nell'unico Dio sono ancora più profonde. Risiedono nel comandamento espresso nelle sacre scritture di musulmani cristiani ed ebrei:  ama Dio e il prossimo tuo. Sono principi fondamentali e inscindibili. Il profeta Maometto, che sia benedetto e beato, disse:  "Nessuno di voi potrà dire di avere fede, finché non desidera per il proprio fratello ciò che desidera per se stesso".

Cari amici, la Giordania è orgogliosa di ospitare il Messaggio di Amman, che esprime davanti all'umanità intera l'appello dell'Islam alla compassione, alla misericordia e alla tolleranza. Afferma il ruolo importante e positivo della fede più che mai vivo ed essenziale alla dignità e al progresso umano in questa nostra epoca moderna".

    Il re ha poi evidenziato come i giordani credono che la fede vada di pari passo con la responsabilità:  "Vivere in pace, dare conforto ai poveri e ai disperati, rendere giustizia, dare speranza ai giovani. È questo l'impegno del nostro Paese ed è questa l'anima della nostra comunità. In Giordania musulmani e cristiani sono cittadini uguali di fronte alla legge, tutti contribuiscono al futuro del Paese. La fede è al centro della nostra quotidianità, e la nostra eredità religiosa ha per noi un valore sacro".

    "La mia speranza - ha sottolineato il sovrano - è che assieme possiamo diffondere il dialogo che abbiamo avviato, un dialogo che accetta le nostre singole identità religiose, un dialogo che non teme la luce della verità, un dialogo che, giustamente, celebra i nostri valori, i nostri legami comuni e profondi. Cari amici, condividere i valori può apportare un contributo importante in Terra Santa, dove, insieme, dobbiamo offrire il nostro aiuto per allontare le ombre del conflitto, attraverso presidi negoziati, che soddisfino il diritto dei palestinesi alla libertà e a una nazione, e il diritto degli israeliani alla sicurezza. Gerusalemme desta in noi particolare preoccupazione".

    Concludendo, il re ha affermato che "la Giordania e la Chiesa cattolica comprendono l'onore e la responsabilità di servire come guardiani e custodi di luoghi sacri e religiosi nella città di Gerusalemme. Questi luoghi vanno protetti, l'identità di Gerusalemme va preservata. È necessario salvaguardare la città santa come luogo di culto per tutti. Ci aiuti a stabilire una convivenza pacifica qui e altrove, dove ogni famiglia possa ricevere la benedizione della sicurezza, dove nessun bambino sia abbandonato alla violenza e alla distruzione, dove tutte le comunità conoscano il potere della riconciliazione e dove il popolo palestinese possa trovare una fine all'occupazione e alla sofferenza e condividere finalmente il diritto e la dignità della libertà".


Una ragione per tre popoli



La chiave per comprendere il viaggio di Benedetto XVI in Terra Santa è racchiusa in una parola:  pellegrinaggio. Il Papa lo ha detto e ripetuto in questi ultimi giorni, insistendo più volte sull'unica intenzione politica di questo suo importante itinerario, che è quella di contribuire alla pace. E sorvolando la Grecia, nell'incontro con i giornalisti, ha precisato con molta chiarezza che desidera contribuire alla pace non come individuo ma in nome della Chiesa cattolica. La quale non è un potere politico, bensì una forza spirituale.

Ma in che modo una forza spirituale può essere in grado di influire su una situazione di persistenti tensioni e conflitti che da oltre sessant'anni grava, intricata e drammatica, su una terra che è santa per i tre grandi monoteismi? Perché questa forza spirituale è una realtà. Così come la preghiera, la formazione delle coscienze e l'appello alla ragione - i tre aspetti di questa forza spiegati dal vescovo di Roma ai giornalisti - sono strumenti efficaci per cambiare lo stato delle cose. Confidando nella ragione, comune a ogni uomo, e che dunque è la base per il confronto e l'incontro con tutti, come da anni Benedetto XVI va ripetendo con chiarezza e pazienza.

E che non si tratti di teorie astratte è emerso con evidenza dal discorso rivolto dal Papa all'aeroporto di Amman, davanti a un sovrano e in un Paese che con i fatti stanno dimostrando come può procedere il cammino comune tra musulmani e cristiani, che in Giordania sono una piccola minoranza (come del resto in quasi tutto il Vicino e Medio Oriente). Pellegrino nei luoghi sacri alla memoria di Mosè e di Giovanni Battista, Benedetto XVI si è rallegrato che vi sia rispettata la libertà religiosa. Essa costituisce infatti un diritto irrinunciabile di ogni uomo e di ogni donna che deve essere rispettato ovunque nel mondo.

Di fronte ad Abdullah ii il Papa ha indicato la via maestra per promuovere i diritti umani:  una "alleanza di civiltà" tra mondo occidentale e mondo islamico che possa superare le nefaste dinamiche delle contrapposizioni e dello scontro. In un dialogo che non deve limitarsi a questi due interlocutori, ma estendersi all'ebraismo in un vero e proprio "dialogo trilaterale", come ha auspicato Benedetto XVI di fronte a giornalisti di tutto il mondo. Lo impone la storia comune alle tre religioni monoteiste, lo chiede la ragione. Che è data da Dio a ogni donna e a ogni uomo, senza distinzioni.

g. m. v.



(©L'Osservatore Romano - 9 maggio 2009)





King Abdullah of Jordan and Pope Benedict XVI




Caterina63
00sabato 9 maggio 2009 09:24



 







IL DISCORSO DEL SANTO PADRE DAL MONTE NEBO 9.5.2009

Padre Ministro Generale,
Padre Custode,
Cari Amici,
 
in questo luogo santo, consacrato dalla memoria di Mosè, vi saluto tutti con affetto nel Signore nostro Gesù Cristo. Ringrazio il Ministro Generale dell’Ordine dei Frati Minori, il P. José Rodríguez Carballo, per le cordiali parole di benvenuto. Colgo inoltre questa occasione per rinnovare l’espressione della mia gratitudine, e quella dell’intera Chiesa, ai Frati Minori della Custodia per la loro secolare presenza in queste terre, per la loro gioiosa fedeltà al carisma di san Francesco, come pure per la loro generosa sollecitudine per il benessere spirituale e materiale delle comunità cristiane locali e degli innumerevoli pellegrini che ogni anno visitano la Terra Santa. Qui desidero ricordare anche, con particolare gratitudine, il defunto P. Michele Piccirillo, che dedicò la sua vita allo studio delle antichità cristiane ed è sepolto in questo santuario che egli amò così intensamente.

È giusto che il mio pellegrinaggio abbia inizio su questa montagna, dove Mosè contemplò da lontano la Terra Promessa. Il magnifico scenario che ci si apre dinanzi dalla spianata di questo santuario ci invita a considerare come quella visione profetica abbracciava misteriosamente il grande piano della salvezza che Dio aveva preparato per il suo Popolo. Nella Valle del Giordano, infatti, che si snoda sotto di noi, nella pienezza dei tempi Giovanni Battista sarebbe venuto a preparare la via del Signore. Nelle acque del Giordano Gesù, dopo il battesimo ad opera di Giovanni, sarebbe stato rivelato come il Figlio diletto del Padre e, dopo essere stato unto di Spirito Santo, avrebbe inaugurato il proprio ministero pubblico. Fu ancora dal Giordano che il Vangelo si sarebbe diffuso, dapprima mediante la predicazione stessa e i miracoli di Cristo, e poi, dopo la sua risurrezione e l’effusione dello Spirito a Pentecoste, mediante l’opera dei suoi discepoli sino ai confini della terra.
 
Qui, sulle alture del Monte Nebo, la memoria di Mosè ci invita ad “innalzare gli occhi” per abbracciare con gratitudine non soltanto le opere meravigliose di Dio nel passato, ma anche a guardare con fede e speranza al futuro che egli ha in serbo per noi e per il mondo intero. Come Mosè, anche noi siamo stati chiamati per nome, invitati ad intraprendere un quotidiano esodo dal peccato e dalla schiavitù verso la vita e la libertà, e ci vien data un’incrollabile promessa per guidare il nostro cammino. Nelle acque del Battesimo siamo passati dalla schiavitù del peccato ad una nuova vita e ad una nuova speranza. Nella comunione della Chiesa, Corpo di Cristo, noi pregustiamo la visione della città celeste, la nuova Gerusalemme, nella quale Dio sarà tutto in tutti. Da questa santa montagna Mosè orienta il nostro sguardo verso l’alto, verso il compimento di tutte le promesse di Dio in Cristo.
 
Mosè contemplò la Terra Promessa da lontano, al termine del suo pellegrinaggio terreno. Il suo esempio ci ricorda che anche noi facciamo parte del pellegrinaggio senza tempo del Popolo di Dio lungo la storia. Sulle orme dei Profeti, degli Apostoli e dei Santi, siamo chiamati a portare avanti la missione del Signore, a rendere testimonianza al Vangelo dell’amore e della misericordia universali di Dio. Noi siamo chiamati ad accogliere la venuta del Regno di Cristo mediante la nostra carità, il nostro servizio ai poveri ed i nostri sforzi di essere lievito di riconciliazione, di perdono e di pace nel mondo che ci circonda. Sappiamo che, come Mosè, non vedremo il pieno compimento del piano di Dio nell’arco della nostra vita. Eppure abbiamo fiducia che, facendo la nostra piccola parte, nella fedeltà alla vocazione che ciascuno ha ricevuto, contribuiremo a rendere diritte le vie del Signore e a salutare l’alba del suo Regno. Sappiamo che Dio, il quale ha rivelato il proprio nome a Mosè come promessa che sarebbe sempre stato al nostro fianco (cfr Es 3,14), ci darà la forza di perseverare in gioiosa speranza anche tra sofferenze, prove e tribolazioni.
 
Sin dai primi tempi i cristiani sono venuti in pellegrinaggio ai luoghi associati alla storia del Popolo eletto, agli eventi della vita di Cristo e della Chiesa nascente. Questa grande tradizione, che il mio odierno pellegrinaggio intende continuare e confermare, è basata sul desiderio di vedere, toccare e assaporare in preghiera e in contemplazione, i luoghi benedetti dalla presenza fisica del nostro Salvatore, della sua Madre benedetta, degli Apostoli e dei primi discepoli che lo videro risorto dai morti. Qui, sulle orme degli innumerevoli pellegrini che ci hanno preceduto lungo i secoli, siamo spinti, quasi come in una sfida, ad apprezzare più pienamente il dono della nostra fede e a crescere in quella comunione che trascende ogni limite di lingua, di razza e di cultura.
 
L’antica tradizione del pellegrinaggio ai luoghi santi ci ricorda inoltre l’inseparabile vincolo che unisce la Chiesa al popolo ebreo. Sin dagli inizi, la Chiesa in queste terre ha commemorato nella propria liturgia le grandi figure dell’Antico Testamento, quale segno del suo profondo apprezzamento per l’unità dei due Testamenti. Possa l’odierno nostro incontro ispirare in noi un rinnovato amore per il canone della Sacra Scrittura ed il desiderio di superare ogni ostacolo che si frappone alla riconciliazione fra Cristiani ed Ebrei, nel rispetto reciproco e nella cooperazione al servizio di quella pace alla quale la Parola di Dio ci chiama!
 
Cari Amici, riuniti in questo santo luogo, eleviamo gli occhi e i cuori al Padre. Mentre ci apprestiamo a recitare la preghiera insegnataci da Gesù, invochiamolo perché affretti la venuta del suo Regno, così che possiamo vedere il compimento del suo piano di salvezza e sperimentare, insieme con san Francesco e tutti i pellegrini che ci hanno preceduto segnati con il segno della fede, il dono dell’indicibile pace – pax et bonum – che ci attende nella Gerusalemme celeste.


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Indirizzo di saluto di padre Carballo al Santo Padre

Santo Padre, voglia accogliere a nome di tutti i Frati Minori che vivono in Terra Santa e di tutto l’Ordine il saluto di san Francesco: il Signore Le dia Pace!
Qui, sul Monte Nebo, alle porte della terra promessa, Le diamo il benvenuto all’inizio del suo pellegrinaggio in Terra Santa. Qui Mosè, al termine dell’esodo, ebbe la grazia di vedere la terra che il Signore aveva promesso al suo popolo. La promessa di Dio diventava finalmente realtà. Mosè aveva guidato Israele per quarant’anni, per quarant’anni era stato la voce di Dio per il popolo e la voce del popolo presso Dio. Egli aveva ricevuto dal Signore la legge e l’aveva consegnata ad Israele perché la osservasse. Aveva aiutato il popolo a crescere nella fede, esortandolo e sostenendolo nei momenti di scoraggiamento, ma anche ammonendolo e riprendendolo, quando la tentazione delle cipolle d’Egitto si faceva più forte. Grazie a Mosè Israele aveva imparato a conoscere meglio il suo Signore: un Dio provvidente che non abbandona mai il suo popolo; che durante il cammino è luce nelle tenebre e ristoro dalla fatica; che viene incontro ai bisogni dei suoi figli con la manna dal cielo e con l’acqua dalla roccia; che scende in una tenda per stare in mezzo a loro e con loro si fa pellegrino. Mosè, così, non solo guidò il popolo dell’Alleanza verso questa terra, ma soprattutto lo condusse al suo Signore e Salvatore.

Santo Padre, Lei oggi ha voluto farsi pellegrino, ricordandoci che questa è la condizione del popolo di Dio. In questo viaggio non è solo. Vogliamo accompagnarla, anzi seguirla, come un tempo il popolo di Israele aveva seguito Mosè e da lui si era lasciato condurre. Anche noi oggi ci sentiamo come nel deserto e abbiamo bisogno di chi ci conduce al Signore, di qualcuno che ci aiuti a conoscerlo sempre più come un Padre provvidente e misericordioso, come il Signore nostro Gesù Cristo ce lo ha rivelato. Spesso, infatti, siamo presi dallo scoraggiamento e dalla paura, quando il cammino si fa aspro e duro. A volte sembra che il male prevalga. Ovunque ci volgiamo vediamo guerre e violenze; c’è ancora tanta povertà che schiaccia gran parte dell’umanità, mentre i diritti umani più elementari sono calpestati; per la sete di ricchezza e di potere gli uomini non esitano a devastare il creato, che era stato loro affidato perché ne avessero cura. La fede nella promessa della terra dove scorre latte e miele, del Regno che cresce senza far rumore, come il piccolo granello di senapa, rischia di affievolirsi nei nostri cuori e siamo tentati di lasciare l’aratro e volgerci indietro.

Qui, su questo monte, un nostro Frate, Fr. Michele Piccirillo, che da poco il Signore ha chiamato a sé, ha dedicato l’intera vita per permetterci di gustare la bellezza di questi luoghi, restituendoci capolavori perduti e sepolti dai secoli. La sua opera, oltre all’immenso valore scientifico, ci insegna che è nella natura profonda dell’uomo andare sempre alla ricerca della vera bellezza. Santità, in questo pellegrinaggio ci affidiamo a Lei. Porti le nostre suppliche al Signore e ci rivolga ancora una volta quella Parola, che è la sola a poterci donare la salvezza. Ci aiuti a riscoprire la bellezza della nostra vocazione, la bellezza di essere discepoli del Risorto. Allora, come i discepoli, avremo il coraggio di lasciare alle spalle il nostro cenacolo comodo e sicuro per metterci di nuovo sulle strade del mondo, testimoniando a tutti la gioia della Pasqua.


Fonte: Radio Vaticana
Caterina63
00sabato 9 maggio 2009 10:22



Dal Monte Nebo il Papa si è trasferito a Madaba, ad una quarantina di km da Amman, per benedire la prima pietra dell’Università del Patriarcato latino della città. “La fede in Dio – ha detto il Pontefice - non sopprime la ricerca della verità; al contrario l’incoraggia …Ovviamente la religione, come la scienza e la tecnologia, come la filosofia ed ogni espressione della nostra ricerca della verità, possono corrompersi. La religione viene sfigurata quando viene costretta a servire l’ignoranza e il pregiudizio, il disprezzo, la violenza e l’abuso. Qui non vediamo soltanto la perversione della religione, ma anche la corruzione della libertà umana, il restringersi e l’obnubilarsi della mente. Evidentemente, un simile risultato non è inevitabile”. Ecco il testo integrale del discorso del Papa nella traduzione dall’originale inglese:

UN TESTO MOLTO INTERESSANTE CHE INVITEREI A NON ESTRAPOLARE IN SINGOLE FRASI.... [SM=g1740722] 
 
Cari Fratelli Vescovi,
Cari Amici,
 
è per me una grande gioia benedire la prima pietra dell’Università di Madaba. Ringrazio Sua Beatitudine l’Arcivescovo Fouad Twal, Patriarca Latino di Gerusalemme, per le gentili parole di benvenuto. Desidero estendere uno speciale saluto di apprezzamento a Sua Beatitudine il Patriarca Emerito, Michel Sabbah, alla cui iniziativa ed ai cui sforzi, unitamente a quelli del Vescovo Salim Sayegh, questa nuova istituzione tanto deve. Saluto inoltre le Autorità civili, i Vescovi, i sacerdoti, i religiosi e i fedeli, come pure quanti ci accompagnano in questa importante cerimonia.
 
Il Regno di Giordania ha giustamente dato priorità all’obiettivo di espandere e migliorare l’educazione. So che in questa nobile missione Sua Maestà la Regina Rania è particolarmente attiva e la sua dedizione è motivo di ispirazione per molti. Mentre plaudo agli sforzi delle persone di buona volontà impegnate nell’educazione, rilevo con soddisfazione la partecipazione competente e culturalmente qualificata delle istituzioni cristiane, specialmente cattoliche e ortodosse, in questo sforzo globale. È questo retroterra che ha condotto la Chiesa Cattolica, con il sostegno delle Autorità giordane, a porre in atto i propri sforzi nel promuovere l’educazione universitaria in questo Paese ed altrove. L’iniziativa risponde, inoltre, alla richiesta di molte famiglie che, soddisfatte per la formazione ricevuta nelle scuole rette da autorità religiose, chiedono di poter avere un’analoga opzione a livello universitario.
 
Plaudo ai promotori di questa nuova istituzione per la loro coraggiosa fiducia nella buona educazione quale primo passo per lo sviluppo personale e per la pace ed il progresso nella regione. In questo quadro l’università di Madaba saprà sicuramente tenere presenti tre importanti obiettivi. Nello sviluppare i talenti e le nobili predisposizioni delle successive generazioni di studenti, li preparerà a servire la comunità più ampia ed elevarne gli standard di vita. Trasmettendo conoscenza ed istillando negli studenti l’amore per la verità, promuoverà grandemente la loro adesione ai valori e la loro libertà personale. Da ultimo, questa stessa formazione intellettuale affinerà i loro talenti critici, disperderà l’ignoranza e il pregiudizio, e li assisterà nello spezzare gli incantesimi creati da ideologie vecchie e nuove. Il risultato di tale processo è un’università che non è soltanto una tribuna per consolidare l’adesione alla verità e ai valori di una specifica cultura, ma anche un luogo di comprensione e di dialogo. Mentre assimilano la loro eredità culturale, i giovani della Giordania e gli altri studenti della regione saranno condotti ad una più profonda conoscenza delle conquiste dell’umanità, e saranno arricchiti da altri punti di vista e formati alla comprensione, alla tolleranza e alla pace.
 
Questo tipo di educazione “più ampia” è ciò che ci si aspetta dalle istituzioni dell’educazione superiore e dal loro contesto culturale, sia esso secolare o religioso. In realtà, la fede in Dio non sopprime la ricerca della verità; al contrario l’incoraggia. San Paolo esortava i primi cristiani ad aprire le proprie menti a tutto “quello che è vero, quello che è nobile, quello che è giusto, quello che è puro, quello che è amabile, quello che è onorato, ciò che è virtù e ciò che merita lode” (Fil 4,8). Ovviamente la religione, come la scienza e la tecnologia, come la filosofia ed ogni espressione della nostra ricerca della verità, possono corrompersi. La religione viene sfigurata quando viene costretta a servire l’ignoranza e il pregiudizio, il disprezzo, la violenza e l’abuso. Qui non vediamo soltanto la perversione della religione, ma anche la corruzione della libertà umana, il restringersi e l’obnubilarsi della mente. Evidentemente, un simile risultato non è inevitabile. Senza dubbio, quando promuoviamo l’educazione proclamiamo la nostra fiducia nel dono della libertà. Il cuore umano può essere indurito da un ambiente ristretto, da interessi e da passioni. Ma ogni persona è anche chiamata alla saggezza e all’integrità, alla scelta basilare e più importante di tutte del bene sul male, della verità sulla disonestà, e può essere sostenuta in tale compito.
 
La chiamata all’integrità morale viene percepita dalla persona genuinamente religiosa dato che il Dio della verità, dell’amore e della bellezza non può essere servito in alcun altro modo. La fede matura in Dio serve grandemente per guidare l’acquisizione e la giusta applicazione della conoscenza. La scienza e la tecnologia offrono benefici straordinari alla società ed hanno migliorato grandemente la qualità della vita di molti esseri umani. Senza dubbio questa è una delle speranze di quanti promuovono questa Università, il cui motto è Sapientia et Scientia. Allo stesso tempo, la scienza ha i suoi limiti. Non può dar risposta a tutte le questioni riguardanti l’uomo e la sua esistenza. In realtà, la persona umana, il suo posto e il suo scopo nell’universo non può essere contenuto all’interno dei confini della scienza. “La natura intellettuale della persona umana si completa e deve completarsi per mezzo della sapienza, che attira dolcemente la mente dell’uomo a cercare ed amare le cose vere e buone” (cfr Gaudium et spes, 15). L’uso della conoscenza scientifica abbisogna della luce orientatrice della sapienza etica. Tale sapienza ha ispirato il giuramento di Ippocrate, la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo del 1948, la Convenzione di Ginevra ed altri lodevoli codici internazionali di comportamento. Pertanto, la sapienza religiosa ed etica, rispondendo alle questioni sul senso e sul valore, giocano un ruolo centrale nella formazione professionale. Conseguentemente, quelle università dove la ricerca della verità va di pari passo con la ricerca di quanto è buono e nobile offrono un servizio indispensabile alla società.
 
Con tali pensieri in mente, incoraggio in maniera speciale gli studenti cristiani della Giordania e delle regioni vicine a dedicarsi responsabilmente ad una giusta formazione professionale e morale. Siete chiamati ad essere costruttori di una società giusta e pacifica composta di genti di varia estrazione religiosa ed etnica. Tali realtà – desidero sottolinearlo ancora una volta – devono condurre non alla divisione, ma all’arricchimento reciproco. La missione e la vocazione dell’università di Madaba è precisamente quella di aiutarvi a partecipare più pienamente a questo nobile compito.
 
Cari Amici, desidero rinnovare le mie congratulazioni al Patriarcato Latino di Gerusalemme ed il mio incoraggiamento a quanti hanno preso a cuore questo progetto, insieme a quanti sono già impegnati nell’apostolato dell’educazione in questa Nazione. Il Signore vi benedica e vi sostenga. Prego affinché i vostri sogni diventino presto realtà, affinché possiate vedere generazioni di uomini e donne qualificati, sia cristiani che musulmani o di altre religioni, capaci di occupare il loro posto nella società, dotati di perizia professionale, bene informati nel loro campo ed educati ai valori della saggezza, dell’onestà, della tolleranza e della pace. Su di voi, sui tutti i vostri futuri studenti e sul personale di questa Università e sulle loro famiglie, invoco le abbondanti benedizioni di Dio Onnipotente.

FONTE:  Radio Vaticana

Caterina63
00sabato 9 maggio 2009 14:46
Benedetto XVI ha concluso la mattinata in Giordania con la visita al Museo Hashemita e alla Moschea Al-Hussein Bin Talal di Amman. All’esterno del luogo di culto ha incontrato i capi religiosi musulmani, il corpo diplomatico e i rettori delle Università giordane. Il Pontefice ha sottolineato il contributo positivo che le religioni possono dare alla società esprimendo la preoccupazione che alcuni vogliono tacitarne la voce sostituendola alla propria. Ha parlato della manipolazione ideologica della religione, talvolta a scopi politici, ribadendo il vincolo indistruttibile fra l’amore di Dio e l’amore del prossimo e quindi la contraddizione del ricorrere alla violenza nel nome di Dio. Quindi ha esaltato il valore della ragione umana, dono di Dio, quando resiste alla presunzione di andare oltre i propri limiti. La ragione – ha detto – spinge continuamente la mente umana oltre se stessa nella ricerca dell’Assoluto. Ha poi sottolineato l’universalità dei diritti umani che “valgono ugualmente per ogni uomo e donna, senza distinzione di gruppi religiosi, sociali o etnici” e ha affermato che “il diritto di libertà religiosa va oltre la questione del culto ed include il diritto – specie per le minoranze – di equo accesso al mercato dell’impiego e alle altre sfere della vita civile”. Infine ha lanciato un nuovo appello per la pace in Iraq e il diritto dei cristiani a vivere pacificamente in questa terra.

Ma ecco il testo integrale del discorso del Papa nella traduzione dall’originale inglese:
 
Altezza Reale,
Eccellenze,
Illustri Signore e Signori,
 
è motivo per me di grande gioia incontrarvi questa mattina in questo splendido ambiente. Desidero ringraziare il Principe Ghazi Bin Muhammed Bin Talal per le sue gentili parole di benvenuto. Le numerose iniziative di Vostra Altezza Reale per promuovere il dialogo e lo scambio inter-religioso ed inter-culturale sono apprezzate dai cittadini del Regno Hashemita ed ampiamente rispettate dalla comunità internazionale. Sono al corrente che tali sforzi ricevono il sostegno attivo di altri membri della Famiglia Reale come pure del Governo della Nazione e trovano vasta risonanza nelle molte iniziative di collaborazione fra i Giordani. Per tutto questo desidero manifestare la mia sincera ammirazione.
 
Luoghi di culto, come questa stupenda moschea di Al-Hussein Bin Talal intitolata al venerato Re defunto, si innalzano come gioielli sulla superficie della terra. Dall’antico al moderno, dallo splendido all’umile, tutti rimandano al divino, all’Unico Trascendente, all’Onnipotente. Ed attraverso i secoli questi santuari hanno attirato uomini e donne all’interno del loro spazio sacro per fare una pausa, per pregare e prender atto della presenza dell’Onnipotente, come pure per riconoscere che noi tutti siamo sue creature.
Per questa ragione non possiamo non essere preoccupati per il fatto che oggi, con insistenza crescente, alcuni ritengono che la religione fallisca nella sua pretesa di essere, per sua natura, costruttrice di unità e di armonia, un’espressione di comunione fra persone e con Dio. Di fatto, alcuni asseriscono che la religione è necessariamente una causa di divisione nel nostro mondo; e per tale ragione affermano che quanto minor attenzione vien data alla religione nella sfera pubblica, tanto meglio è. Certamente, il contrasto di tensioni e divisioni fra seguaci di differenti tradizioni religiose, purtroppo, non può essere negato. Tuttavia, non si dà anche il caso che spesso sia la manipolazione ideologica della religione, talvolta a scopi politici, il catalizzatore reale delle tensioni e delle divisioni e non di rado anche delle violenze nella società? A fronte di tale situazione, in cui gli oppositori della religione cercano non semplicemente di tacitarne la voce ma di sostituirla con la loro, il bisogno che i credenti siano fedeli ai loro principi e alle loro credenze è sentito in modo quanto mai acuto. Musulmani e Cristiani, proprio a causa del peso della nostra storia comune così spesso segnata da incomprensioni, devono oggi impegnarsi per essere individuati e riconosciuti come adoratori di Dio fedeli alla preghiera, desiderosi di comportarsi e vivere secondo le disposizioni dell’Onnipotente, misericordiosi e compassionevoli, coerenti nel dare testimonianza di tutto ciò che è giusto e buono, sempre memori della comune origine e dignità di ogni persona umana, che resta al vertice del disegno creatore di Dio per il mondo e per la storia.
 
La decisione degli educatori giordani come pure dei leader religiosi e civili di far sì che il volto pubblico della religione rifletta la sua vera natura è degna di plauso. L’esempio di individui e comunità, insieme con la provvista di corsi e programmi, manifestano il contributo costruttivo della religione ai settori educativo, culturale, sociale e ad altri settori caritativi della vostra società civile. Ho avuto anch’io la possibilità di constatare personalmente qualcosa di questo spirito. Ieri ho potuto prender contatto con la rinomata opera educativa e di riabilitazione presso il Centro Nostra Signora della Pace, dove Cristiani e Musulmani stanno trasformando le vite di intere famiglie, assistendole al fine di far sì che i loro figli disabili possano avere il posto che loro spetta nella società. All’inizio dell’odierna mattinata ho benedetto la prima pietra dell’Università di Madaba, dove giovani musulmani e cristiani, gli uni accanto agli altri, riceveranno i benefici di un’educazione superiore, che li abiliterà a contribuire validamente allo sviluppo sociale ed economico della loro Nazione. Di gran merito sono pure le numerose iniziative di dialogo inter-religioso sostenute dalla Famiglia Reale e dalla comunità diplomatica, talvolta intraprese in collegamento col Pontificio Consiglio per il Dialogo Inter-religioso. Queste comprendono il continuo lavoro degli Istituti Reali per gli Studi Inter-religiosi e per il Pensiero Islamico, l’Amman Message del 2004, l’Amman Interfaith Message del 2005, e la più recente lettera Common Word, che faceva eco ad un tema simile a quello da me trattato nella mia prima Enciclica: il vincolo indistruttibile fra l’amore di Dio e l’amore del prossimo, come pure la contraddizione fondamentale del ricorrere, nel nome di Dio, alla violenza o all’esclusione (cfr Deus caritas est, 16).
 
Chiaramente queste iniziative conducono ad una maggiore conoscenza reciproca e promuovono un crescente rispetto sia per quanto abbiamo in comune sia per ciò che comprendiamo in maniera differente. Pertanto, esse dovrebbero indurre Cristiani e Musulmani a sondare ancor più profondamente l’essenziale rapporto fra Dio ed il suo mondo, così che insieme possiamo darci da fare perché la società si accordi armoniosamente con l’ordine divino. A tale riguardo, la collaborazione realizzata qui in Giordania costituisce un esempio incoraggiante e persuasivo per la regione, in realtà anzi per il mondo, del contributo positivo e creativo che la religione può e deve dare alla società civile.
 
Distinti Amici, oggi desidero far menzione di un compito che ho indicato in diverse occasioni e che credo fermamente Cristiani e Musulmani possano assumersi, in particolare attraverso il loro contributo all’insegnamento e alla ricerca scientifica, come pure al servizio alla società. Tale compito costituisce la sfida a coltivare per il bene, nel contesto della fede e della verità, il vasto potenziale della ragione umana. I Cristiani in effetti descrivono Dio, fra gli altri modi, come Ragione creatrice, che ordina e guida il mondo. E Dio ci dota della capacità a partecipare a questa Ragione e così ad agire in accordo con ciò che è bene. I Musulmani adorano Dio, Creatore del Cielo e della Terra, che ha parlato all’umanità. E quali credenti nell’unico Dio, sappiamo che la ragione umana è in se stessa dono di Dio, e si eleva al piano più alto quando viene illuminata dalla luce della verità di Dio. In realtà, quando la ragione umana umilmente consente ad essere purificata dalla fede non è per nulla indebolita; anzi, è rafforzata nel resistere alla presunzione di andare oltre ai propri limiti. In tal modo, la ragione umana viene rinvigorita nell’impegno di perseguire il suo nobile scopo di servire l’umanità, dando espressione alle nostre comuni aspirazioni più intime, ampliando, piuttosto che manipolarlo o restringerlo, il pubblico dibattito. Pertanto l’adesione genuina alla religione – lungi dal restringere le nostre menti – amplia gli orizzonti della comprensione umana. Ciò protegge la società civile dagli eccessi di un ego ingovernabile, che tende ad assolutizzare il finito e ad eclissare l’infinito; fa sì che la libertà sia esercitata in sinergia con la verità, ed arricchisce la cultura con la conoscenza di ciò che riguarda tutto ciò che è vero, buono e bello.
 
Una simile comprensione della ragione, che spinge continuamente la mente umana oltre se stessa nella ricerca dell’Assoluto, pone una sfida: contiene un senso sia di speranza sia di prudenza. Insieme, Cristiani e Musulmani sono sospinti a cercare tutto ciò che è giusto e retto. Siamo impegnati ad oltrepassare i nostri interessi particolari e ad incoraggiare gli altri, particolarmente gli amministratori e i leader sociali, a fare lo stesso al fine di assaporare la soddisfazione profonda di servire il bene comune, anche a spese personali. Ci viene ricordato che proprio perché è la nostra dignità umana che dà origine ai diritti umani universali, essi valgono ugualmente per ogni uomo e donna, senza distinzione di gruppi religiosi, sociali o etnici ai quali appartengano. Sotto tale aspetto, dobbiamo notare che il diritto di libertà religiosa va oltre la questione del culto ed include il diritto – specie per le minoranze – di equo accesso al mercato dell’impiego e alle altre sfere della vita civile.
 
Questa mattina prima di lasciarvi, vorrei in special modo sottolineare la presenza tra noi di Sua Beatitudine Emmanuel III Delly, Patriarca di Baghdad, che io saluto molto calorosamente. La sua presenza richiama alla mente i cittadini del vicino Iraq, molti dei quali hanno trovato cordiale accoglienza qui in Giordania. Gli sforzi della comunità internazionale nel promuovere la pace e la riconciliazione, insieme con quelli dei leader locali, devono continuare in vista di portare frutto nella vita degli iracheni. Esprimo il mio apprezzamento per tutti coloro che sostengono gli sforzi volti ad approfondire la fiducia e a ricostruire le istituzioni e le infrastrutture essenziali al benessere di quella società. Ancora una volta, chiedo con insistenza ai diplomatici ed alla comunità internazionale da essi rappresentata, come anche ai leader politici e religiosi locali, di compiere tutto ciò che è possibile per assicurare all’antica comunità cristiana di quella nobile terra il fondamentale diritto di pacifica coesistenza con i propri concittadini.
 
Distinti Amici, confido che i sentimenti da me espressi oggi ci lascino con una rinnovata speranza per il futuro. L’amore e il dovere davanti all’Onnipotente non si manifestano soltanto nel culto ma anche nell’amore e nella preoccupazione per i bambini e i giovani – le vostre famiglie – e per tutti i cittadini della Giordania. È per loro che faticate e sono loro che vi motivano a porre al cuore delle istituzioni, delle leggi e delle funzioni della società il bene di ogni persona umana. Possa la ragione, nobilitata e resa umile dalla grandezza della verità di Dio, continuare a plasmare le vita e le istituzioni di questa Nazione, così che le famiglie possano fiorire e tutti possano vivere in pace, contribuendo e al tempo stesso attingendo alla cultura che unifica questo grande Regno!

Fonte: Radio Vaticana


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Testo integrale del saluto dell'Islam al Pontefice:

"Un papa che ha il coraggio morale di fare e parlare secondo la propria coscienza"

di Ghazi Bin Muhammad Bin Talal



"Pax Vobis". In occasione di questa storica visita alla moschea Re Hussein Bin Talal, qui ad Amman, le porgo, Santità, papa Benedetto XVI, il benvenuto in quattro modi.

Innanzitutto come musulmano. Le porgo il benvenuto oggi, Santità, perché so che questa visita è gesto deliberato di buona volontà e di rispetto reciproco da parte del supremo capo spirituale e pontefice della più ampia denominazione della più grande religione del mondo verso la seconda più grande religione del mondo. Infatti, cristiani e musulmani sono il 55 per cento della popolazione mondiale e, dunque, è particolarmente significativo il fatto che questa sia solo la terza volta nella storia che un papa visita una moschea. La prima visita è stata compiuta nel 2001 dal suo amatissimo predecessore papa Giovanni Paolo II, presso un monumento della storia, la storica moschea Umayyade di Damasco, che contiene le reliquie di san Giovanni Battista. La seconda visita l'ha svolta lei, Santità, presso la magnifica Moschea Blu di Istanbul nel 2006.

La bella moschea Re Hussein di Amman è la moschea di Stato della Giordania ed è stata costruita e personalmente supervisionata dal grande re Hussein di Giordania. Che Dio abbia misericordia della sua anima! Quindi, è la prima volta nella storia che un papa visita questa nuova moschea. In questa visita vediamo un chiaro messaggio della necessità di armonia interreligiosa e mutuo rispetto nel mondo contemporaneo, e anche la prova visibile della sua volontà, Santità, di assumere personalmente un ruolo guida a questo proposito.

Questo gesto è ancor più degno di nota perché questa sua visita in Giordania è in primo luogo un pellegrinaggio spirituale alla Terra Santa cristiana, e in particolare al sito del battesimo di Gesù Cristo per mano di Giovanni Battista a Betania, sull'altra sponda del fiume Giordano (Giovanni 1, 28 e 3, 26).

Tuttavia, lei, Santità, ha dedicato del tempo, nel suo programma intenso e faticoso, stancante per un uomo di qualunque età, per compiere questa visita alla moschea Re Hussein e onorare così i musulmani.

Devo anche ringraziarla, Santità, per il rincrescimento che ha espresso dopo il discorso di Ratisbona del 13 settembre 2006, per il danno causato ai musulmani. Di certo, i musulmani sanno che nulla di ciò che si può dire o fare in questo mondo può danneggiare il Profeta, che è, come hanno attestato le sue ultime parole, in Paradiso con il più alto compagno, Dio stesso.

Ciononostante i musulmani si sono offesi per l'amore che provano per il profeta, che è, come Dio dice nel Sacro Corano, più vicino ai credenti di essi stessi. Quindi, i musulmani hanno anche particolarmente apprezzato il chiarimento del Vaticano secondo il quale quanto detto a Ratisbona non rifletteva la sua opinione, Santità, ma era semplicemente una citazione in una lezione accademica.

È quasi superfluo dire che, fra l'altro, il profeta Maometto – che i musulmani amano, emulano e conoscono come realtà viva e presenza spirituale – è completamente e interamente differente da come lo si descrive storicamente in Occidente, a partire da san Giovanni Damasceno. Questi ritratti distorti, fatti da chi non conosce né la lingua araba, né il Sacro Corano oppure non comprende i contesti storici e culturali della vita del Profeta e quindi fraintende e interpreta male i motivi e le intenzioni spirituali che sottendono molte sue azioni e parole, sono purtroppo responsabili di tanta tensione storica e culturale fra cristiani e musulmani.

È dunque urgente che i musulmani illustrino l'esempio del profeta, soprattutto, con opere virtuose, carità, pietà e buona volontà, ricordando che il Profeta stesso aveva una natura elevata. Infatti, nel Corano Dio afferma: "Veramente avete nel messaggero di Dio un esempio di comportamento, per chiunque spera in Dio e nell'ultimo giorno".

Infine, devo ringraziarla, Santità, per i numerosi suoi altri gesti di amicizia e di cordialità verso i musulmani, fin dalla sua elezione nel 2005, incluse le udienze concesse nel 2005 a Sua Maestà il re Abdullah II Bin Al-Hussein di Giordania e nel 2008 a Sua Maestà il re Abdullah Bin Ad-Al-Haziz dell'Arabia Saudita, il custode dei due luoghi sacri. La ringrazio anche per l'affettuosa ricezione della storica "parola comune fra noi e voi", la lettera aperta del 13 ottobre 2007 da parte di 138 esimi studiosi musulmani di tutto il mondo, il cui numero continua ad aumentare. È stato proprio come risultato di quell'iniziativa, che basandosi sul Sacro Corano e sulla Sacra Bibbia ha riconosciuto il primato dell'amore di Dio e dell'amore del prossimo sia nel cristianesimo sia nell'islam, che il Vaticano sotto la sua guida personale, Santità, ha svolto il primo seminario del forum internazionale cattolico-musulmano, dal 4 al 6 novembre 2008.

Fra poco verificheremo con il competente cardinale Tauran l'opera avviata da quell'incontro, ma per ora desidero citare e ripetere le sue parole, Santità, tratte dal suo discorso in occasione della chiusura di quel primo seminario: "Il tema che avete scelto per l'incontro – amore di Dio e amore del prossimo: la dignità della persona umana e il rispetto reciproco – è particolarmente significativo. È stato tratto dalla lettera aperta, che presenta l'amore di Dio e l'amore del prossimo come centro sia dell'Islam sia del Cristianesimo. Questo tema evidenzia in maniera ancora più chiara le fondamenta teologiche e spirituali di un insegnamento centrale delle nostre rispettive religioni. [...] Sono ben consapevole che musulmani e cristiani hanno approcci diversi nelle questioni riguardanti Dio. Tuttavia, possiamo e dobbiamo essere adoratori dell'unico Dio che ci ha creato e che si preoccupa di ogni persona in ogni parte del mondo. [...] Vi è un grande e vasto campo in cui possiamo agire insieme per difendere e promuovere i valori morali che fanno parte del nostro retaggio comune".

Ora, non posso non ricordare le parole di Dio nel Sacro Corano: "Non sono tutti uguali". Alcune persone delle Scritture formano una comunità giusta, recitano i versetti la notte, prostrandosi. Credono in Dio e nell'ultimo giorno, amano la decenza e proibiscono l'indecenza, competono gli uni con gli altri per compiere opere buone. Questi sono i giusti, e qualunque azione buona compiano, non verrà loro negata perché Dio conosce chi ha timore di Lui. E ricordo anche le seguenti parole di Dio: "E voi troverete, e voi in verità troverete, che i più vicini a quelli che credono sono quelli che dicono: veramente noi siamo cristiani. Questo poiché alcuni di loro sono preti e monaci".

Poi le porgo il benvenuto, Santità, come hashemita e discendente del profeta Maometto. Inoltre, le porgo il benvenuto in questa moschea in Giordania, ricordando che il profeta accolse i suoi vicini cristiani di Nejran a Medina e li invitò a pregare nella propria moschea, cosa che fecero in armonia, senza compromettere gli uni il credo religioso degli altri. Anche questa è una lezione di inestimabile valore che il mondo deve ricordare assolutamente.

Le porgo inoltre il benvenuto come arabo e diretto discendente di Ishmael Ali-Salaam, dal quale, secondo la Bibbia, Dio avrebbe fatto scaturire una grande nazione, rimanendogli accanto (Genesi 21, 18-20).

Una delle virtù cardinali degli arabi, che tradizionalmente sono sopravvissuti in alcuni dei climi più caldi e inospitali del mondo, è l'ospitalità. L'ospitalità scaturisce dalla generosità, riconosce le necessità degli altri, considera quanti sono lontani o vengono da lontano come amici e di fatto questa virtù è confermata da Dio nel Sacro Corano con le parole: "E adorate Dio e associate l'uomo a lui, siate buoni con il padre, la madre, con i parenti, gli orfani, i poveri, i vostri vicini imparentati e quelli estranei, gli amici di ogni giorno e i viaggiatori".

Ospitalità araba non significa soltanto amare, dare e aiutare, ma anche essere generosi di spirito e quindi saper apprezzare. Nel 2000, durante la visita del compianto papa Giovanni Paolo II in Giordania, lavoravo con le tribù giordane e alcuni membri dissero di apprezzare veramente il papa. Interrogati sul perché piacesse loro visto che lui era un cristiano mentre loro erano musulmani, risposero sorridendo: "Perché ci ha fatto visita". Di certo Giovanni Paolo II come lei stesso, Santo Padre, avreste potuto immediatamente andare in Palestina e in Israele, ma invece avete scelto di cominciare il pellegrinaggio con una visita a noi, in Giordania, cosa che noi apprezziamo.

Infine, le porgo il benvenuto come giordano. In Giordania, tutti sono uguali davanti alla legge, indipendentemente dalla religione, dalla razza, dall'origine o dal genere, e chi lavora nel governo deve fare tutto il possibile per tutelare tutti nel paese, con compassione e giustizia. È stato questo l'esempio personale e il messaggio del compianto re Hussein, che nel corso del suo regno durato 47 anni provò per tutti nel paese ciò che provava per i propri figli. È anche il messaggio di suo figlio, Sua Maestà il re Abdullah II, che ha scelto come singolare obiettivo del suo regno e della sua vita quello di rendere la vita di ogni abitante della Giordania, e di fatto di ogni persona del mondo che può raggiungere, decorosa, degna e felice, per quanto può con le scarse risorse della Giordania.

Oggi, i cristiani in Giordania hanno diritto all'8 per cento dei seggi in parlamento e a quote simili a ogni livello di governo e società, sebbene in realtà il loro numero sia inferiore a quello previsto. I cristiani, oltre ad avere leggi relative al proprio status e corti ecclesiali, godono della tutela dello Stato sui loro luoghi sacri, sulle loro scuole. Lei, Santità, ha già potuto constatare questo di persona, presso la nuova università cattolica di Madaba. A Dio piacendo presto vedrà sorgere la nuova cattedrale cattolica e la nuova chiesa melchita sul sito del battesimo.

Quindi, oggi, in Giordania, i cristiani prosperano, come del resto hanno fatto negli ultimi duecento anni, in pace e armonia, con buona volontà e relazioni autenticamente fraterne fra loro e con i musulmani. Questo avviene, in parte, perché i cristiani in precedenza erano in percentuale più numerosi rispetto a oggi. Con il calo demografico fra i cristiani e i più elevati livelli di istruzione e di prosperità che li hanno portati a essere molto richiesti in Occidente, il loro numero è diminuito. Ciò avviene anche perchè i musulmani apprezzano il fatto che i cristiani erano già qui 600 anni prima di loro. Infatti, i cristiani giordani formano forse la più antica comunità cristiana del mondo, e per la maggior parte sono sempre stati ortodossi, aderenti al patriarcato ortodosso di Gerusalemme in Terra Santa, che, come lei, Santità, sa meglio di me, è la Chiesa di san Giacomo, fondata durante la vita di Gesù.

Molti di loro discendono da antiche tribù arabe e, nel corso della storia, hanno condiviso la sorte e le lotte dei musulmani. Infatti, nel 630, durante la vita del Profeta, entrarono a far parte del suo esercito, condotto dal figlio adottivo e da suo cugino, e combatterono contro l'esercito bizantino degli ortodossi nella battaglia di Mechtar. È da questa battaglia che presero il loro nome tribale che significa "i rinforzi" e lo stesso patriarca latino Fouad Twal discende da queste tribù.

Poi, nel 1099, durante la caduta di Gerusalemme, furono massacrati dai crociati cattolici accanto ai loro commilitoni. In seguito, dal 1916 al 1918, durante la grande rivolta araba, combatterono contro i musulmani turchi, accanto ai loro amici musulmani, sotto mandato coloniale protestante, e nelle guerre arabo-israeliane del 1948, del 1967 e del 1972 combatterono con i musulmani arabi contro gli ebrei.

I giordani cristiani non solo hanno sempre difeso la Giordania, ma hanno anche contribuito instancabilmente e patriotticamente alla sua edificazione, svolgendo ruoli importanti nei campi dell'educazione, della sanità, del commercio, del turismo, dell'agricoltura, della scienza, della cultura e in molti altri settori. Tutto questo per dire che mentre Lei, Santità, li considera suoi compagni cristiani, noi li consideriamo nostri compagni giordani e fanno parte di questa terra come la terra stessa. Spero che questo spirito unitario giordano di armonia interreligiosa, benevolenza e rispetto reciproco, sarà da esempio a tutto il mondo e che Lei, Santità, lo porti in luoghi come Mindanao e alcune parti dell'Africa sub-sahariana, in cui le minoranze musulmane subiscono forti pressioni da parte di maggioranze cristiane, e anche in altri luoghi dove accade l'opposto.

Oggi, proprio come la ho accolta in quattro modi, la ricevo in quattro modi, Santità.

La ricevo come leader spirituale, supremo pontefice e successore di Pietro per l'1,1 miliardi di cattolici che vivono accanto ai musulmani ovunque, e che saluto, ricevendola.

La ricevo come papa Benedetto XVI, il cui pontificato è caratterizzato dal coraggio morale di fare e parlare secondo la propria coscienza, indipendentemente dalle mode del momento, e che è anche un maestro teologo cristiano, autore di encicliche storiche sulle belle virtù cardinali dell'amore e della speranza, che ha reintrodotto la tradizionale messa in latino per chi la sceglie, e ha contemporaneamente fatto del dialogo interreligioso e intrareligioso la priorità del suo pontificato, per diffondere buona volontà e comprensione fra tutte le popolazioni della terra.

La ricevo come capo di Stato, che è anche un leader mondiale e globale su questioni vitali di morale, etica, ambiente, pace, dignità umana, alleviamento della povertà e della sofferenza e persino crisi finanziaria globale.

La ricevo, infine, come un semplice pellegrino di pace che giunge con umiltà e gentilezza a pregare laddove Gesù Cristo, il Messia – la pace sia con lui! – è stato battezzato e ha cominciato la sua missione 2000 anni fa.

Quindi, benvenuto in Giordania, Santo Padre, papa Benedetto XVI! Dio dice nel Sacro Corano al profeta Maometto: "Sia gloria al tuo Signore, il Signore della potenza... E la pace sia con i messaggeri, e si renda lode a Dio, il Signore dei mondi".

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Caterina63
00sabato 9 maggio 2009 18:38
E' da poco terminata la diretta dei Vespri con Benedetto XVI nella Chiesa Cattolica di Rito Greco-Melchita in Giordania, alla presenza del suo Patriarca Gregorio III che ha espresso al Santo Padre non un discorso convenevole di fraternità, ma un vero proclama di FEDELTA' di affetto e di apostolicità...spero che mettano il testo in rete

Il Papa ha poi benedetto l'assemblea con i 6 ceri (3 per parte) ricevendo il bacio sulle mani come avviene da noi dopo l'aspersione ...
Il Patriarca Gregorio III ha voluto poi prestare al Papa il suo pastorale e con questo salutare la folla fino all'uscita dalla Chiesa.

Il Papa ha indossato la mozzetta bianca e la stola di Papa Leone XIII usata per l'8 dicembre 2008
I Vespri si sono svolti in Rito Greco-Melchita.

E' stata davvero una visita profondamente APOSTOLICA
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Nel pomeriggio il Papa ha presieduto la Celebrazione dei Vespri con i sacerdoti, i religiosi e le religiose, i seminaristi e i Movimenti ecclesiali nella Cattedrale Greco-Melkita di San Giorgio in Amman. Benedetto XVI ha incoraggiato questa piccola comunità cristiana a testimoniare l’amore di Dio e la speranza di Cristo risorto: “non abbiate paura – ha detto - di dare il vostro contributo saggio, misurato e rispettoso alla vita pubblica del regno. La voce autentica della fede sempre porterà integrità, giustizia, compassione e pace!”. Il Papa ha quindi ribadito la necessità “di essere consapevoli delle forze del male che sono all’opera per creare oscurità nel nostro mondo”: tra queste gli “influssi negativi così penetranti nel nostro mondo globalizzato, compresi gli elementi distruttivi dell'industria del divertimento che con tanta insensibilità sfruttano l'innocenza e la fragilità della persona vulnerabile e del giovane”. “Tuttavia – ha aggiunto - con i vostri occhi fissi su Cristo, la luce che disperde ogni male, ripristina l'innocenza perduta, ed umilia l'orgoglio terreno, porterete una magnifica visione di speranza a tutti quelli che incontrate e servite”. Di seguito il testo integrale del discorso del Papa.

Cari Fratelli e Sorelle,


è una grande gioia per me celebrare i Vespri con voi questa sera nella Cattedrale Greco-Melchita di San Giorgio. Saluto cordialmente Sua Beatitudine Gregorios III Laham, il Patriarca Greco-Melchita che ci ha raggiunti da Damasco, l’Arcivescovo Emerito Georges El-Murr e Sua Eccellenza Yaser Ayyach, Arcivescovo di Petra e Filadelfia, che ringrazio per le sue gentili parole di benvenuto a cui volentieri corrispondo con sentimenti di rispetto. Saluto anche i capi delle altre Chiese Cattoliche presenti nell’Est – Maronita, Sira, Armena, Caldea e Latina – come anche l’Arcivescovo Benediktos Tsikoras della Chiesa Greco Ortodossa. A tutti voi, come anche ai Sacerdoti, alle Religiose e ai Religiosi, ai Seminaristi e ai fedeli laici qui riuniti questa sera, esprimo il mio sincero grazie per avermi offerto questa opportunità di pregare con voi e di sperimentare qualcosa della ricchezza delle nostre tradizioni liturgiche.


La Chiesa stessa è un popolo pellegrino; come tale, attraverso i secoli, è stato segnato da eventi storici determinanti e da pervasive vicende culturali. Purtroppo alcune di queste hanno incluso periodi di disputa teologica o di repressione. Tuttavia vi sono stati momenti di riconciliazione - che hanno fortificato meravigliosamente la comunione della Chiesa - e tempi di ricca ripresa culturale ai quali i Cristiani Orientali hanno contribuito grandemente. Le Chiese particolari all'interno della Chiesa universale attestano il dinamismo del suo cammino terreno e manifestano a tutti i fedeli il tesoro di tradizioni spirituali, liturgiche, ed ecclesiastiche che indicano la bontà universale di Dio e la sua volontà, manifestata in tutta la storia, di attirare tutti entro la sua vita divina.


L’antico tesoro vivente delle tradizioni delle Chiese Orientali arricchisce la Chiesa universale e non deve mai essere inteso semplicemente come oggetto da custodire passivamente. Tutti i Cristiani sono chiamati a rispondere attivamente al mandato di Dio – come San Giorgio ha fatto in modo drammatico secondo il racconto popolare – per portare gli altri a conoscerlo e ad amarlo. In realtà le vicissitudini della storia hanno fortificato i membri delle Chiese particolari ad abbracciare questo compito con energia e ad impegnarsi decisamente in rapporto alle realtà pastorali odierne. La maggior parte di voi ha antichi legami con il Patriarcato di Antiochia, e così le vostre comunità sono ben radicate qui nel Vicino Oriente. E proprio come due mila anni or sono fu ad Antiochia che i discepoli vennero chiamati Cristiani per la prima volta, così anche oggi, come piccole minoranze in comunità disseminate in queste terre, anche voi siete riconosciuti come seguaci del Signore. La pubblica dimostrazione della vostra fede cristiana non è certamente ristretta alla sollecitudine spirituale che avete l'uno per l'altro e per la vostra gente, per quanto essenziale ciò sia. Ma le vostre numerose iniziative di universale carità si estendono a tutti i Giordani – Musulmani e di altre religioni – ed anche al vasto numero di rifugiati che questo regno accoglie così generosamente.


Cari fratelli e sorelle, il primo Salmo (103) che abbiamo pregato questa sera ci presenta gloriose immagini Dio, Creatore generoso, attivamente presente nella sua creazione, che sostenta la vita con grande bontà e sapiente ordine, sempre pronto a rinnovare la faccia della terra. Il brano dell’epistola, che abbiamo appena sentito, presenta tuttavia un quadro diverso. Ci avverte, non in modo minaccioso ma realisticamente, dell’esigenza di essere vigili, di essere consapevoli delle forze del male che sono all’opera per creare oscurità nel nostro mondo (cfr Ef 6, 10-20). Alcuni probabilmente saranno tentati di pensare che vi sia una contraddizione; ma riflettendo sulla nostra ordinaria esperienza umana riconosciamo la lotta spirituale, avvertiamo il bisogno quotidiano di entrare nella luce di Cristo, di scegliere la vita, di cercare la verità. Di fatto, questo ritmo – sottrarci al male e circondarci con la forza di Dio – è ciò che celebriamo in ogni Battesimo, l'ingresso nella vita cristiana, il primo passo lungo la strada dei discepoli del Signore. Richiamando il battesimo che Cristo ha ricevuto da Giovanni nelle acque del Giordano, la comunità prega perché colui che sta per essere battezzato sia liberato dal regno dell'oscurità e portato nello splendore del regno di luce di Dio, e così riceva il dono della vita nuova.


Questo dinamico movimento dalla morte alla novità della vita, dalle tenebre alla luce, dalla disperazione alla speranza, che sperimentiamo in modo così drammatico durante il Triduo e che viene celebrato con grande gioia nel periodo pasquale, ci assicura che la Chiesa stessa rimane giovane. Essa vive perché Cristo è vivo, è veramente risorto. Vivificata dalla presenza dello Spirito, essa avanza ogni giorno conducendo uomini e donne al Dio vivente. Cari Vescovi, sacerdoti, religiosi e religiose, cari fedeli laici, i nostri rispettivi ruoli di servizio e missione all'interno della Chiesa sono la risposta instancabile di un popolo pellegrino. Le vostre liturgie, la disciplina ecclesiastica e il patrimonio spirituale sono una vivente testimonianza della vostra tradizione che si dispiega. Voi amplificate l'eco della prima proclamazione del Vangelo, ravvivate gli antichi ricordi delle opere di Dio, fate presenti le sue grazie di salvezza e diffondete di nuovo il primo raggio della luce pasquale e il tremolio delle fiamme di Pentecoste.


In tal modo, imitando Cristo ed i patriarchi e i profeti dell’Antico Testamento, noi partiamo per condurre il popolo dal deserto verso il luogo della vita, verso il Dio che ci dà vita in abbondanza. Questo caratterizza tutti i vostri lavori apostolici, la cui varietà e qualità sono molto apprezzate. Dagli asili infantili ai luoghi di istruzione superiore, dagli orfanotrofi alle case per anziani, dal lavoro con i rifugiati all’accademia di musica, alle cliniche mediche e agli ospedali, al dialogo interreligioso e alle iniziative culturali, la vostra presenza in questa società è un meraviglioso segno della speranza che ci qualifica come cristiani.


Tale speranza giunge ben oltre i confini delle nostre comunità cristiane. Così spesso voi scoprite che le famiglie di altre religioni, per le quali voi lavorate e offrite il vostro servizio di carità universale, hanno preoccupazioni e difficoltà che oltrepassano i confini culturali e religiosi. Ciò è particolarmente avvertito per quanto riguarda le speranze e le aspirazioni dei genitori per i loro bambini. Quale genitore o persona di buona volontà non si sentirebbe turbato di fronte agli influssi negativi così penetranti nel nostro mondo globalizzato, compresi gli elementi distruttivi dell'industria del divertimento che con tanta insensibilità sfruttano l'innocenza e la fragilità della persona vulnerabile e del giovane? Tuttavia, con i vostri occhi fissi su Cristo, la luce che disperde ogni male, ripristina l'innocenza perduta, ed umilia l'orgoglio terreno, porterete una magnifica visione di speranza a tutti quelli che incontrate e servite.


Desidero concludere con una speciale parola di incoraggiamento ai presenti che sono in formazione per il sacerdozio e la vita religiosa. Guidati dalla luce del Signore Risorto, infiammati dalla sua speranza e rivestiti della sua verità e del suo amore, la vostra testimonianza porterà abbondanti benedizioni a coloro che incontrerete lungo la strada. Di fatto, la stessa cosa vale per tutti i giovani Cristiani Giordani: non abbiate paura di dare il vostro contributo saggio, misurato e rispettoso alla vita pubblica del regno. La voce autentica della fede sempre porterà integrità, giustizia, compassione e pace!


Cari Amici, con sentimenti di grande rispetto per tutti voi riuniti con me questa sera in preghiera, di nuovo vi ringrazio per le vostre preghiere per il mio ministero come Successore di Pietro e assicuro voi e quanti sono affidati alla vostra cura pastorale un ricordo nella mia preghiera quotidiana.


Fonte: Radio Vaticana


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Caterina63
00sabato 9 maggio 2009 18:52
Un pò di foto....[SM=g1740717] [SM=g1740720] [SM=g1740717]


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Visita al Monte Nebo...




 





 









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Caterina63
00domenica 10 maggio 2009 11:15
Prima Messa in pubblico di Benedetto XVI ad Amman 10.5.2009
alla quale ha assistito Sua Altezza Reale il Principe Ghazi Bin Mohammad, in rappresentanza del re di Giordania
Sorriso

Il Patriarca nel salutare il Papa ha confermato la ricchezza delle vocazioni sacerdotali a tal punto che il Seminario Maggiore diocesano di Gerusalemme quest'anno NON riesce più a contenere il numero di seminaristi e che sarà necessario costruire un altro seminario... Sorriso

“Che il coraggio di Cristo nostro pastore vi ispiri e vi sostenga quotidianamente nei vostri sforzi di dare testimonianza della fede cristiana e di mantenere la presenza della Chiesa nel cambiamento del tessuto sociale di queste antiche terre”.

E’ quanto ha detto il Papa stamani nell’omelia della Messa da lui presieduta nell’International Stadium di Amman alla presenza di almeno 30 mila persone. “La fedeltà alle vostre radici cristiane – ha proseguito il Pontefice - la fedeltà alla missione della Chiesa in Terra Santa, vi chiedono un particolare tipo di coraggio: il coraggio della convinzione nata da una fede personale, non semplicemente da una convenzione sociale o da una tradizione familiare; il coraggio di impegnarvi nel dialogo e di lavorare fianco a fianco con gli altri cristiani nel servizio del Vangelo e nella solidarietà con il povero, lo sfollato e le vittime di profonde tragedie umane; il coraggio di costruire nuovi ponti per rendere possibile un fecondo incontro di persone di diverse religioni e culture e così arricchire il tessuto della società. Ciò significa anche dare testimonianza all'amore che ci ispira a ‘sacrificare’ la nostra vita nel servizio agli altri e così a contrastare modi di pensare che giustificano il ‘stroncare’ vite innocenti”.

Ecco il testo integrale dell’omelia del Papa:
 
Cari Fratelli e Sorelle in Cristo,
sono lieto di poter celebrare questa Eucaristia insieme con voi all'inizio del mio pellegrinaggio in Terra Santa. Ieri dalle alture del Monte Nebo, restando in piedi, ho sostato e guardato a questa grande terra, la terra di Mosè, Elia e Giovanni il Battista, la terra nella quale le antiche promesse di Dio furono adempiute con l'arrivo del Messia, Gesù nostro Signore. Questa terra è testimone della sua predicazione e dei miracoli, della sua morte e risurrezione, e dell’effusione dello Spirito Santo sulla Chiesa, il sacramento di un’umanità riconciliata e rinnovata. Meditando sul mistero della fedeltà di Dio, ho pregato perché la Chiesa in queste terre possa essere confermata nella speranza e fortificata nella sua testimonianza al Cristo Risorto, il Salvatore dell'umanità. Veramente, come San Pietro ci dice oggi nella prima lettura, “non vi è, sotto il cielo, altro nome dato agli uomini, nel quale è stabilito che noi siamo salvati” (At 4,12).
 
La gioiosa celebrazione del Sacrificio eucaristico di oggi esprime la ricca diversità della Chiesa Cattolica nella Terra Santa. Saluto tutti voi, con affetto, nel Signore. Ringrazio Sua Beatitudine Fouad Twal, Patriarca Latino di Gerusalemme, per le sue gentili parole di benvenuto. Con rispetto e gratitudine allo stesso modo saluto Sua Altezza Reale il Principe Ghazi Bin Mohammad, che rappresenta il re di Giordania, e lo ringrazio per la sua presenza in mezzo a noi. Il mio saluto va anche ai molti giovani delle scuole cattoliche che oggi portano il loro entusiasmo in questa Celebrazione eucaristica.
 
Nel Vangelo, che abbiamo appena ascoltato, Gesù proclama: “Io sono il buon pastore... che dà la propria vita per le pecore" (Gv 10,11). Come Successore di san Pietro al quale il Signore ha affidato la cura del suo gregge (cfr Gv 21,15-17), ho a lungo atteso questa opportunità di stare davanti a voi come testimone del Salvatore risorto, ed incoraggiarvi a perseverare nella fede, speranza e carità, in fedeltà alle antiche tradizioni e alla singolare storia di testimonianza cristiana che vi ricollega all'età degli Apostoli. La comunità cattolica di qui è profondamente toccata dalle difficoltà e incertezze che riguardano tutti gli abitanti del Medio Oriente; non dimenticate mai la grande dignità che deriva dalla vostra eredità cristiana, e non venite mai meno al senso di amorevole solidarietà verso tutti i vostri fratelli e sorelle della Chiesa in tutto il mondo!
 
"Io sono il buon pastore", ci dice il Signore, “conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me" (Gv 10,14). Oggi in Giordania abbiamo celebrato la Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni. Meditando sul Vangelo del Buon Pastore, chiediamo al Signore di aprire i nostri cuori e le nostre menti sempre di più per ascoltare la sua chiamata. Davvero, Gesù "ci conosce", anche più profondamente di quanto noi conosciamo noi stessi, ed ha un piano per ciascuno di noi. Sappiamo pure che dovunque egli ci chiami, troveremo felicità e appagamento; di fatto troveremo noi stessi (cfr Mt 10,39). Oggi invito i molti giovani qui presenti a considerare come il Signore li stia chiamando a seguirlo e a edificare la sua Chiesa. Sia nel ministero sacerdotale o nella vita consacrata, sia nel sacramento del matrimonio, Gesù ha bisogno di voi per far ascoltare la sua voce e per lavorare per la crescita del suo Regno.
 
Nella seconda lettura di oggi, san Giovanni ci invita a "pensare al grande amore con il quale il Padre ci ha amati" facendoci suoi figli adottivi in Cristo. L'ascolto di queste parole ci deve rendere riconoscenti per l'esperienza dell'amore del Padre che abbiamo avuto nelle nostre famiglie, mediante l'amore dei nostri padri e madri, nonni, fratelli e sorelle. Durante la celebrazione del presente Anno della Famiglia, la Chiesa in tutta la Terra Santa ha pensato alla famiglia come a un mistero di amore che dona la vita, mistero racchiuso nel piano di Dio con una sua propria vocazione e missione: irradiare l'amore divino che è la sorgente e il compimento di ogni altro amore delle nostre vite. Possa ogni famiglia cristiana crescere nella fedeltà a questa sua nobile vocazione di essere una vera scuola di preghiera, dove i fanciulli imparano il sincero amore di Dio, dove maturano nell'autodisciplina e nell’attenzione ai bisogni degli altri, e dove, modellati dalla sapienza che proviene dalla fede, contribuiscono a costruire una società sempre più giusta e fraterna. Le forti famiglie cristiane di queste terre sono una grande eredità tramandata dalle precedenti generazioni. Possano le famiglie di oggi essere fedeli a questa grande eredità e non venga mai mancare il sostegno materiale e morale di cui hanno bisogno per attuare il loro insostituibile ruolo a servizio della società.
 
Un importante aspetto della nostra riflessione in questo Anno della Famiglia, è stato la particolare dignità, vocazione e missione delle donne nel piano di Dio. Quanto la Chiesa in queste terre deve alla testimonianza di fede e di amore di innumerevoli madri cristiane, Suore, maestre ed infermiere, di tutte quelle donne che in diverse maniere hanno dedicato la loro vita a costruire la pace e a promuovere 1'amore! Fin dalle prime pagine della Bibbia, vediamo come uomo e donna creati ad immagine di Dio, sono chiamati a completarsi l'un l'altro come amministratori dei doni di Dio e suoi collaboratori nel comunicare il dono della vita, sia fisica che spirituale, al nostro mondo. Sfortunatamente, questa dignità e missione donate da Dio alle donne non sono state sempre sufficientemente comprese e stimate. La Chiesa, e la società nel suo insieme, sono arrivate a rendersi conto quanto urgentemente abbiamo bisogno di ciò che il mio predecessore Papa Giovanni Paolo II chiamava "il carisma profetico" delle donne (cfr Mulieris dignitatem, 29) come portatrici di amore, maestre di misericordia e costruttrici di pace, comunicatrici di calore ed umanità ad un mondo che troppo spesso giudica il valore della persona con freddi criteri di sfruttamento e profitto. Con la sua pubblica testimonianza di rispetto per le donne e con la sua difesa dell'innata dignità di ogni persona umana, la Chiesa in Terra Santa può dare un importante contributo allo sviluppo di una cultura di vera umanità e alla costruzione della civiltà dell'amore.
 
Cari Amici, ritorniamo alle parole di Gesù nel Vangelo di oggi. Credo che esse contengano un messaggio speciale per voi, suo gregge fedele, in queste terre dove Egli una volta abitò. "Il buon pastore", Egli ci dice, "dà la propria vita per le sue pecore". All'inizio della Messa abbiamo chiesto al Padre di "darci la forza del coraggio di Cristo nostro pastore", che rimase costante nella fedeltà alla volontà del Padre (cfr Colletta, della Messa della quarta domenica di Pasqua). Che il coraggio di Cristo nostro pastore vi ispiri e vi sostenga quotidianamente nei vostri sforzi di dare testimonianza della fede cristiana e di mantenere la presenza della Chiesa nel cambiamento del tessuto sociale di queste antiche terre. La fedeltà alle vostre radici cristiane, la fedeltà alla missione della Chiesa in Terra Santa, vi chiedono un particolare tipo di coraggio: il coraggio della convinzione nata da una fede personale, non semplicemente da una convenzione sociale o da una tradizione familiare; il coraggio di impegnarvi nel dialogo e di lavorare fianco a fianco con gli altri cristiani nel servizio del Vangelo e nella solidarietà con il povero, lo sfollato e le vittime di profonde tragedie umane; il coraggio di costruire nuovi ponti per rendere possibile un fecondo incontro di persone di diverse religioni e culture e così arricchire il tessuto della società. Ciò significa anche dare testimonianza all'amore che ci ispira a "sacrificare" la nostra vita nel servizio agli altri e così a contrastare modi di pensare che giustificano il "stroncare" vite innocenti.
 
"Io sono il buon pastore; conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me" (Gv 10,14). Rallegratevi perché il Signore vi ha fatti membri del suo gregge e conosce ciascuno di voi per nome! Seguitelo con gioia e lasciatevi guidare da Lui in tutte le vostre strade! Gesù sa quante sfide vi stanno davanti, quali prove dovete sopportare e conosce il bene che voi fate in suo nome. Abbiate fiducia in Lui, nel durevole amore che Egli porta per tutti i membri del suo gregge e perseverate nella vostra testimonianza al trionfo del suo amore. Che san Giovanni Battista, patrono della Giordania, e Maria, Vergine e Madre, vi sostengano con il loro esempio e la loro preghiera e vi conducano alla pienezza della gioia negli eterni pascoli, dove sperimenteremo per sempre la presenza del Buon Pastore e conoscere per sempre le profondità del suo amore.

Amen. 

Fonte: Radio Vaticana








Il Papa ha donato un calice alla Chiesa

















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Caterina63
00domenica 10 maggio 2009 18:18
Nel pomeriggio il Papa si è trasferito nella regione di Betania al di là del Giordano, per una visita al “Sito del Battesimo” dove operava San Giovanni Battista. Qui ha presieduto il rito di Benedizione delle prime pietre delle chiese dei Latini e dei Greco-Melkiti. “La prima pietra di una chiesa – ha detto il Pontefice - è simbolo di Cristo. La Chiesa poggia su Cristo, è sostenuta da Lui e non può essere da Lui separata. Egli è l’unico fondamento di ogni comunità cristiana”. Poi si è rivolto ai fedeli con questo invito: “Promuovete il dialogo e la comprensione nella società civile, specialmente quando rivendicate i vostri legittimi diritti. In Medio Oriente, segnato da tragica sofferenza, da anni di violenza e di questioni irrisolte, i Cristiani sono chiamati a offrire il loro contributo, ispirato dall’esempio di Gesù, di riconciliazione e pace con il perdono e la generosità”.

(FUORI PROGRAMMA: I REALI DI GIORDANIA HANNO VOLUTO ACCOMPAGNARE IL PONTEFICE SIA PER LA VISITA ARCHEOLOGICA DEL SITO, SIA PER LO SCOPRIMENTO DELLE DUE TARGHE PER L'INAUGURAZIONE DELLE DUE CHIESE...)[SM=g1740722] [SM=g1740721]



Ecco il testo integrale del discorso di Benedetto XVI:

 

Cari Fratelli Vescovi,

Cari Amici,

 

è con grande gioia spirituale che vengo a benedire le prime pietre delle due Chiese Cattoliche che saranno costruite al di là del fiume Giordano, un posto segnato da molti avvenimenti memorabili nella storia biblica. Il profeta Elia, il Tisbita, proveniva da questa area non lontano dal nord di Galaad. Qui vicino, di fronte a Gerico, le acque del Giordano si aprirono davanti ad Elia che fu portato via dal Signore in un carro di fuoco (cfr 2 Re 2,9-12). Qui lo Spirito del Signore chiamò Giovanni, figlio di Zaccaria, a predicare la conversione dei cuori. Giovanni l’Evangelista pose in questa area anche l’incontro tra il Battista e Gesù, che in occasione del battesimo venne “unto” dallo Spirito di Dio disceso come colomba, e fu proclamato amato Figlio del Padre (cfr Gv 1,28; Mc 1,9-11).

 

Saluto con gioia Sua Beatitudine Gregorio III Laham, Patriarca di Antiochia per la Chiesa Greco-Melchita. Saluto con affetto anche Sua Beatitudine l’Arcivescovo Fouad Twal, Patriarca Latino di Gerusalemme. Estendo con calore i miei migliori saluti a Sua Beatitudine Michel Sabbah, ai Vescovi Ausiliari presenti, particolarmente all’Arcivescovo Joseph Jules Zerey e al Molto Reverendo Salim Sayegh, che ringrazio per le sue gentili parole di benvenuto. Sono lieto di salutare tutti i Vescovi, sacerdoti, religiosi e fedeli laici che ci accompagnano oggi. Rallegriamoci nel riconoscere che i due edifici, uno Latino, l’altro Greco-Melchita, serviranno ad edificare, ognuno secondo le tradizioni della propria comunità, l’unica famiglia di Dio.

 

La prima pietra di una chiesa è simbolo di Cristo. La Chiesa poggia su Cristo, è sostenuta da Lui e non può essere da Lui separata. Egli è l’unico fondamento di ogni comunità cristiana, la pietra viva, rigettata dai costruttori ma preziosa agli occhi di Dio e da Lui scelta come pietra angolare (cfr 1 Pt 2,4-5.7). Con Lui anche noi siamo pietre vive costruite come edificio spirituale, luogo di dimora per Dio (cfr Ef 2,20-22; 1 Pt 2,5). Sant’Agostino amava riferirsi al mistero della Chiesa come al Christus totus, il Cristo intero, il pieno e completo Corpo di Cristo, Capo e membra. Questa è la realtà della Chiesa; essa è Cristo e noi, Cristo con noi. Egli è con noi come la vite è con i suoi tralci (cfr Gv 15,1-8). La Chiesa è in Cristo una comunità di vita nuova, una dinamica realtà di grazia che promana da Lui. Attraverso la Chiesa Cristo purifica i nostri cuori, illumina le nostre menti, ci unisce con il Padre e, nell’unico Spirito, ci conduce ad un quotidiano esercizio di amore cristiano. Confessiamo questa gioiosa realtà come l’Una, Santa, Cattolica e Apostolica Chiesa.

 

Entriamo nella Chiesa mediante il Battesimo. La memoria del battesimo stesso di Cristo è vivamente presente davanti a noi in questo luogo. Gesù si mise in fila con i peccatori ed accettò il battesimo di penitenza di Giovanni come un segno profetico della sua stessa passione, morte e resurrezione per il perdono dei peccati. Nel corso dei secoli, molti pellegrini sono venuti al Giordano per cercare la purificazione, rinnovare la loro fede e stare più vicini al Signore. Così fece la pellegrina Egeria che ha lasciato uno scritto sulla sua visita alla fine del quarto secolo. Il Sacramento del Battesimo, che trae il suo potere dalla morte e resurrezione di Cristo, sarà particolarmente tenuto in considerazione dalle comunità cristiane che si raccoglieranno nelle nuove chiese. Possa il Giordano ricordarvi sempre che siete stati lavati nelle acque del Battesimo e siete divenuti membri della famiglia di Gesù. Le vostre vite, in obbedienza alla sua parola, sono trasformate nella sua immagine e somiglianza. Sforzandovi di essere fedeli al vostro impegno battesimale di conversione, testimonianza e missione, sappiate che siete fortificati dal dono dello Spirito Santo.

 

Cari Fratelli e Sorelle, possa la contemplazione di questi misteri arricchirvi di gioia spirituale e coraggio morale. Con l’Apostolo Paolo, vi esorto a crescere nella intera serie di nobili atteggiamenti che vanno sotto il nome benedetto di agape, amore Cristiano ( cfr 1 Cor 13,1-13). Promuovete il dialogo e la comprensione nella società civile, specialmente quando rivendicate i vostri legittimi diritti. In Medio Oriente, segnato da tragica sofferenza, da anni di violenza e di questioni irrisolte, i Cristiani sono chiamati a offrire il loro contributo, ispirato dall’esempio di Gesù, di riconciliazione e pace con il perdono e la generosità. Continuate ad essere grati a coloro che vi guidano e vi servono fedelmente come ministri di Cristo. Fate bene ad accettare la loro guida nella fede sapendo che nel ricevere l’insegnamento apostolico che essi trasmettono, accogliete Cristo e accogliete l’Unico che l’ha inviato ( cfr Mt 10,40).

 

Miei cari Fratelli e Sorelle, procediamo ora a benedire queste due pietre, l’inizio di due nuovi edifici sacri. Voglia il Signore sostenere, rafforzare ed incrementare le comunità che in essi eserciteranno il loro culto. E benedica tutti voi con il suo dono di pace.

Amen!

fonte Radio Vaticana





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Caterina63
00domenica 10 maggio 2009 21:56
Visita a Betania...




 







































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Caterina63
00lunedì 11 maggio 2009 11:09
Congedo dalla Giordania

Con l’invito “a costruire sulle solide fondamenta della tolleranza religiosa che rende capaci i membri delle diverse comunità di vivere insieme in pace e mutuo rispetto” il Papa ha terminato questa mattina in Giordania la prima tappa del suo pellegrinaggio in Terra Santa. La cerimonia di congedo si è svolta all’aeroporto Queen Alia di Amman. Benedetto XVI ha ringraziato per l’accoglienza ricevuta in Giordania, ha parlato del “giorno particolarmente luminoso” della visita alla Moschea al-Hussein bin-Talal e ha nuovamente incoraggiato i cristiani a “rimanere fedeli al loro impegno battesimale” offrendo uniti la “loro testimonianza a Cristo”.

Di seguito il testo integrale del discorso del Papa. 

Maestà,
Eccellenze,
Cari Amici,
 
accingendomi alla prossima tappa del mio pellegrinaggio nelle terre della Bibbia, desidero ringraziare tutti voi per la calorosa accoglienza che ho ricevuto in Giordania in questi giorni. Ringrazio Sua Maestà il Re Abdullah II per avermi invitato a visitare il Regno Ascemita, per la sua ospitalità e le sue gentili parole. Esprimo anche il mio apprezzamento per il grande lavoro fatto al fine di rendere possibile la mia visita e di assicurare lo svolgimento ordinato dei vari incontri e delle celebrazioni che hanno avuto luogo. Le pubbliche autorità, assistite da un gran numero di volontari, hanno lavorato a lungo e strenuamente per dirigere le folle e organizzare i diversi eventi. La copertura dei mass-media ha consentito a innumerevoli persone di seguire le celebrazioni, anche se non hanno potuto essere fisicamente presenti. Mentre ringrazio coloro che hanno reso possibile questo, desidero estendere un particolare ringraziamento a tutti coloro che stanno ascoltando la radio o guardando la televisione, specialmente agli ammalati e a coloro che sono costretti a restare in casa.
 
E’stata una particolare gioia per me essere presente all’avvio di numerose importanti iniziative promosse dalla comunità cattolica qui in Giordania. La nuova ala del Centro Regina Pacis aprirà concrete possibilità di recare speranza a coloro che lottano con difficoltà di vario tipo, ed alle loro famiglie. Le due chiese che saranno costruite a Betania renderanno possibile alle rispettive comunità di accogliere pellegrini e promuovere la crescita spirituale di coloro che pregheranno in quel luogo santo. L’Università di Madaba deve offrire un contributo particolarmente importante alla comunità più ampia, formando giovani di varie tradizioni nelle competenze che li abiliteranno a modellare il futuro della società civile. A tutti coloro che sono impegnati in questi progetti porgo i migliori auguri e la promessa delle mie preghiere.
 
Un giorno particolarmente luminoso tra quelli che sto vivendo è stato quello della mia visita alla Moschea al-Hussein bin-Talal, dove ho avuto il piacere di incontrare i capi religiosi Musulmani assieme ai membri dei Corpi diplomatici e ai Rettori dell’Università. Desidererei incoraggiare tutti i Giordani, sia Cristiani che Musulmani, a costruire sulle solide fondamenta della tolleranza religiosa che rende capaci i membri delle diverse comunità di vivere insieme in pace e mutuo rispetto. Sua Maestà il Re è stato molto attivo nel promuovere il dialogo inter-religioso e desidero rilevare quanto il suo impegno a questo riguardo sia apprezzato. Prendo anche atto con gratitudine della particolare considerazione che egli dimostra verso la comunità cristiana in Giordania. Questo spirito di apertura non solo aiuta i membri delle diverse comunità etniche in questo Paese a vivere insieme in pace e concordia, ma ha anche contribuito alle iniziative politiche lungimiranti della Giordania per costruire la pace in tutto il Medio Oriente.
 
Cari Amici, come sapete è soprattutto come pellegrino e pastore che sono venuto in Giordania. Di conseguenza, le esperienze di questi giorni che rimarranno più fermamente incise nella mia memoria sono le mie visite ai luoghi santi ed i momenti di preghiera che abbiamo celebrato insieme. Ancora una volta desidero esprimere l’apprezzamento di tutta la Chiesa verso coloro che custodiscono i luoghi di pellegrinaggio in questa terra e desidero anche ringraziare le molte persone che hanno contribuito alla preparazione dei Vespri di Sabato nella Cattedrale di san Giorgio e della Messa di ieri nello Stadio Internazionale. E’ stata veramente una gioia per me sperimentare queste celebrazioni Pasquali con fedeli Cattolici di diverse tradizioni, uniti nella comunione della Chiesa e nella loro testimonianza a Cristo. Li incoraggio tutti insieme a rimanere fedeli al loro impegno battesimale, ricordando che Cristo stesso ha ricevuto il battesimo da Giovanni nelle acque del fiume Giordano.
 
Nel congedarmi da voi, desidero sappiate che io porto nel mio cuore il popolo del Regno Ascemita e tutti coloro che vivono in questa regione. Prego perché abbiate la gioia della pace e della prosperità, adesso e per le generazioni future. Ancora una volta, grazie. E che Dio vi benedica tutti!


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Tappa del Pellegrinaggio del Papa in Israele 11.5.2009


“Vengo per pregare nei luoghi santi, a pregare in modo speciale per la pace – pace qui nella Terra Santa e pace in tutto il mondo”: è quanto ha affermato Benedetto XVI stamani durante la cerimonia di benvenuto all’aeroporto internazionale di Ben Gurion a Tel Aviv. Il Papa è stato accolto dal presidente israeliano Shimon Peres e dal premier Benjamin Netanyahu. “La Santa Sede e lo Stato di Israele – ha aggiunto il Pontefice - condividono molti valori, primo fra tutti l’impegno di riservare alla religione il suo legittimo posto nella vita della società. Il giusto ordine delle relazioni sociali presuppone ed esige il rispetto per la libertà e la dignità di ogni essere umano … Quando la dimensione religiosa della persona umana viene negata o posta ai margini, viene messo in pericolo il fondamento stesso di una corretta comprensione dei diritti umani inalienabili”.

Quindi ha sottolineato: “È giusto e conveniente che, durante la mia permanenza in Israele, io abbia l’opportunità di onorare la memoria dei sei milioni di Ebrei vittime della Shoah, e di pregare affinché l’umanità non abbia mai più ad essere testimone di un crimine di simile enormità. Sfortunatamente, l’antisemitismo continua a sollevare la sua ripugnante testa in molte parti del mondo. Questo è totalmente inaccettabile. Ogni sforzo deve essere fatto per combattere l’antisemitismo dovunque si trovi, e per promuovere il rispetto e la stima verso gli appartenenti ad ogni popolo, razza, lingua e nazione in tutto il mondo”.

Poi ha parlato della pace fra israeliani e palestinesi: “supplico quanti sono investiti di responsabilità ad esplorare ogni possibile via per la ricerca di una soluzione giusta alle enormi difficoltà, così che ambedue i popoli possano vivere in pace in una patria che sia la loro, all’interno di confini sicuri ed internazionalmente riconosciuti”. Infine ha invitato i cristiani, testimoni di “Colui che predicò il perdono e la riconciliazione”, a dare il loro contributo alla pace in Terra Santa. Ecco il testo integrale del discorso del Papa:

 
Signor Presidente,
Signor Primo Ministro,
Eccellenze, Signore e Signori,
 
grazie per la vostra calorosa accoglienza nello Stato di Israele, in questa terra che è considerata santa da milioni di credenti in tutto il mondo. Sono grato al Presidente, il Sig. Shimon Peres, per le sue gentili parole ed apprezzo l’opportunità offertami di compiere questo pellegrinaggio ad una terra resa santa dalle orme di patriarchi e profeti, una terra che i Cristiani tengono in particolare venerazione quale luogo degli eventi della vita, morte e risurrezione di Gesù Cristo. Prendo il mio posto in una lunga fila di pellegrini cristiani a questi luoghi, una fila che risale indietro nel tempo fino ai primi secoli della storia cristiana e che, ne sono sicuro, continuerà a prolungarsi nel futuro. Come molti altri prima di me, vengo per pregare nei luoghi santi, a pregare in modo speciale per la pace – pace qui nella Terra Santa e pace in tutto il mondo.
 
Signor Presidente, la Santa Sede e lo Stato di Israele condividono molti valori, primo fra tutti l’impegno di riservare alla religione il suo legittimo posto nella vita della società. Il giusto ordine delle relazioni sociali presuppone ed esige il rispetto per la libertà e la dignità di ogni essere umano, che Cristiani, Musulmani ed Ebrei credono ugualmente essere creato da un Dio amorevole e destinato alla vita eterna. Quando la dimensione religiosa della persona umana viene negata o posta ai margini, viene messo in pericolo il fondamento stesso di una corretta comprensione dei diritti umani inalienabili.
 
Tragicamente, il popolo ebraico ha sperimentato le terribili conseguenze di ideologie che negano la fondamentale dignità di ogni persona umana. È giusto e conveniente che, durante la mia permanenza in Israele, io abbia l’opportunità di onorare la memoria dei sei milioni di Ebrei vittime della Shoah, e di pregare affinché l’umanità non abbia mai più ad essere testimone di un crimine di simile enormità. Sfortunatamente, l’antisemitismo continua a sollevare la sua ripugnante testa in molte parti del mondo. Questo è totalmente inaccettabile. Ogni sforzo deve essere fatto per combattere l’antisemitismo dovunque si trovi, e per promuovere il rispetto e la stima verso gli appartenenti ad ogni popolo, razza, lingua e nazione in tutto il mondo.
 
Durante la mia permanenza a Gerusalemme, avrò anche il piacere di incontrare molti distinti leader religiosi di questo paese. Una cosa che le tre grandi religioni monoteistiche hanno in comune è una speciale venerazione per questa Città Santa. È mia fervida speranza che tutti i pellegrini ai luoghi santi abbiano la possibilità di accedervi liberamente e senza restrizioni, di prendere parte a cerimonie religiose e di promuovere il degno mantenimento degli edifici di culto posti nei sacri spazi. Possano adempiersi le parole della profezia di Isaia, secondo cui molte nazioni affluiranno al monte della Casa del Signore, così che Egli insegni loro le sue vie ed esse possano camminare sui suoi sentieri, sentieri di pace e di giustizia, sentieri che portano alla riconciliazione e all’armonia (cfr Is 2,2-5).
 
Anche se il nome Gerusalemme significa “città della pace”, è del tutto evidente che per decenni la pace ha tragicamente eluso gli abitanti di questa terra santa. Gli occhi del mondo sono sui popoli di questa regione, mentre essi lottano per giungere ad una soluzione giusta e duratura dei conflitti che hanno causato tante sofferenze. Le speranze di innumerevoli uomini, donne e bambini per un futuro più sicuro e più stabile dipendono dall’esito dei negoziati di pace fra Israeliani e Palestinesi. In unione con tutti gli uomini di buona volontà, supplico quanti sono investiti di responsabilità ad esplorare ogni possibile via per la ricerca di una soluzione giusta alle enormi difficoltà, così che ambedue i popoli possano vivere in pace in una patria che sia la loro, all’interno di confini sicuri ed internazionalmente riconosciuti. A tale riguardo, spero e prego che si possa presto creare un clima di maggiore fiducia, che renda capaci le parti di compiere progressi reali lungo la strada verso la pace e la stabilità.
 
Ai Vescovi e ai fedeli cattolici oggi qui presenti porgo una speciale parola di saluto. In questa terra dove Pietro ha ricevuto il compito di pascere le pecorelle del Signore, giungo come successore di Pietro per compiere in mezzo a voi il mio ministero. Sarà mia speciale gioia unirmi a voi per concludere le celebrazioni dell’Anno della Famiglia, che si svolgeranno a Nazareth, patria della Santa Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe.

Come ho detto nel mio Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace, la famiglia è “la prima ed indispensabile maestra di pace” (n. 3), e pertanto ha un ruolo vitale da svolgere nel sanare le divisioni presenti nella società umana ad ogni livello. Alle comunità cristiane della Terra Santa dico: attraverso la vostra fedele testimonianza a Colui che predicò il perdono e la riconciliazione, attraverso il vostro impegno a difendere la sacralità di ogni vita umana, potrete recare un particolare contributo perché terminino le ostilità che per tanto tempo hanno afflitto questa terra. Prego che la vostra continua presenza in Israele e nei Territori Palestinesi porti molto frutto nel promuovere la pace e il rispetto reciproco fra tutte le genti che vivono nelle terre della Bibbia.
 
Signor Presidente, Signore e Signori, ancora una volta vi ringrazio per la vostra accoglienza e vi assicuro dei miei sentimenti di buona volontà. Dio dia forza al suo popolo! Dio benedica il suo popolo con la pace!


  fonte Radio Vaticana






Il benvenuto di Shimon Peres al Papa
Il benvenuto del presidente israeliano

    Il presidente di Israele, Shimon Peres, ha accolto il Papa all'aeroporto di Tel Aviv, durante la cerimonia di benvenuto, con il saluto in inglese, con alcune frasi in ebraico e in latino, che pubblichiamo di seguito in una nostra traduzione italiana.

    Santità, Papa Benedetto XVI, in nome dello Stato di Israele le porgo il benvenuto e le offro una benedizione per il suo arrivo:  pace.
    Salve Benedetto, primo tra i fedeli che oggi visiti la Terra Santa.
    Considero la sua visita qui, in Terra Santa, un'importante ed elevatissima missione spirituale:  una missione di pace. Una missione che consiste nel piantare semi di tolleranza e nello sradicare le erbacce del fanatismo. Apprezzo le sue posizioni e le sue azioni volte ad abbassare il livello di violenza e di odio nel mondo.
    Sono certo del fatto che questa visita sarà un proseguimento del dialogo fra ebraismo e cristianesimo nello spirito dei profeti.
    Onoro i suoi sforzi per nutrire gli affamati e placare la sete umana di fiducia nell'uomo stesso e nel Creatore dell'universo. Nel nostro Paese, ebrei, cristiani, musulmani, beduini e circassiani vivono tutti insieme. Vivono sullo stesso suolo.
    Vivono sotto lo stesso cielo. Pregano Dio Onnipotente. Ognuno può pregare con il proprio linguaggio, secondo il proprio libro di preghiere, senza interferenze esterne.
    Israele tutela la libertà assoluta della pratica religiosa e il libero accesso ai luoghi santi. Siamo sempre felici di ricevere pellegrini da tutto il mondo in Terra Santa.
    Dai tempi di Abramo, nostro antenato, crediamo che l'uomo dovrebbe aspirare a essere un ospite gradito e un padrone di casa generoso.
    La tenda di Abramo era aperta in tutte le direzioni. L'aria pura e i venti del nord, del sud, dell'est e dell'ovest vi entravano facilmente.
    Nel libro di Isaia è scritto:  "La mia casa si chiamerà casa di preghiera per tutti i popoli" (Is 56,7).
    Il nostro Paese ha poche risorse, ma è ricco di fede. Il nostro Paese è per metà costituito da deserto, ma abbiamo avviato un fiorente commercio basato sulla forza del capitale umano e creato una società che persegue la giustizia per ogni bambino nato.
    Abbiamo instaurato la pace con l'Egitto e la Giordania e stiamo intrattenendo negoziati per la pace con i palestinesi e perfino per giungere a una pace regionale totale.
    La sua visita qui promuove una benedetta comprensione fra le religioni e diffonde pace, vicino e lontano. L'Israele storico e quello rinnovato insieme la accolgono al suo arrivo, che prepara la grande strada verso pace di città in città.
    Benvenuto in Terra Santa
    Benvenuto a Gerusalemme.
    Benvenuto nella nostra casa.



(©L'Osservatore Romano - 11-12 maggio 2009)
Caterina63
00lunedì 11 maggio 2009 18:42
Importante discorso del Pontefice Benedetto XVI alla residenza presidenziale....un discorso che va MEDITATO profondamente... Occhiolino

“Ogni giorno prego affinché la pace che nasce dalla giustizia ritorni in Terra Santa e nell’intera regione, portando sicurezza e rinnovata speranza per tutti”: così Benedetto XVI durante la visita di cortesia oggi pomeriggio al presidente israeliano Shimon Peres, nella sua residenza a Gerusalemme. “Cari Amici – ha detto il Pontefice - Gerusalemme, che da lungo tempo è stata un crocevia di popoli di diversa origine, è una città che permette ad Ebrei, Cristiani e Musulmani sia di assumersi il dovere che di godere del privilegio di dare insieme testimonianza della pacifica coesistenza a lungo desiderata dagli adoratori dell’unico Dio”. Poi ha aggiunto: “il vero interesse di una nazione viene sempre servito mediante il perseguimento della giustizia per tutti… una sicurezza durevole è questione di fiducia, alimentata nella giustizia e nell’integrità, suggellata dalla conversione dei cuori che ci obbliga a guardare l’altro negli occhi e a riconoscere il ‘Tu’ come un mio simile, un mio fratello, una mia sorella. In tale maniera non diventerà forse la società stessa un “giardino ricolmo di frutti” (cfr Is 32,15), segnato non da blocchi e ostruzioni, ma dalla coesione e dall’armonia?”. E infine ha concluso: “So che un numero considerevole di uomini, donne e giovani stanno lavorando per la pace e la solidarietà attraverso programmi culturali e iniziative di sostegno pratico e compassionevole; umili abbastanza per perdonare, essi hanno il coraggio di tener stretto il sogno che è loro diritto”.


Ecco il testo integrale del discorso del Papa:
 
Signor Presidente,
Eccellenze,
Signore e Signori,
 
come gentile atto di ospitalità, il Presidente Peres ci ha accolti qui nella sua residenza, offrendo a me la possibilità di salutare tutti voi e di condividere, al tempo stesso, con voi qualche breve considerazione. Signor Presidente, La ringrazio per la cortese accoglienza e per le sue calorose parole di saluto, che di cuore contraccambio. Ringrazio inoltre i musicisti che ci hanno intrattenuto con la loro elegante esecuzione.
 
Signor Presidente, nel messaggio augurale che Le inviai in occasione del Suo insediamento, avevo di buon grado ricordato la Sua illustre testimonianza nel pubblico servizio contrassegnato da un forte impegno nel perseguire la giustizia e la pace. Oggi desidero assicurare a Lei insieme al suo Governo appena formato, come pure a tutti gli abitanti dello Stato di Israele, che il mio pellegrinaggio ai Luoghi Santi è un pellegrinaggio di preghiera in favore del dono prezioso dell’unità e della pace per il Medio Oriente e per tutta l’umanità. In verità, ogni giorno prego affinché la pace che nasce dalla giustizia ritorni in Terra Santa e nell’intera regione, portando sicurezza e rinnovata speranza per tutti.
 
La pace è prima di tutto un dono divino. La pace infatti è la promessa dell’Onnipotente all’intero genere umano e custodisce l’unità. Nel libro del profeta Geremia leggiamo: “Io conosco i progetti che ho fatto a vostro riguardo – oracolo del Signore – progetti di pace e non di sventura, per concedervi un futuro pieno di speranza” (29,11). Il profeta ci ricorda la promessa dell’Onnipotente che “si lascerà trovare”, che “ascolterà”, che “ci radunerà insieme”. Ma vi è anche una condizione: dobbiamo “cercarlo”, e “cercarlo con tutto il cuore” (cfr ibid. 12-14).
 
Ai leader religiosi oggi presenti vorrei dire che il contributo particolare delle religioni nella ricerca di pace si fonda primariamente sulla ricerca appassionata e concorde di Dio. Nostro è il compito di proclamare e testimoniare che l’Onnipotente è presente e conoscibile anche quando sembra nascosto alla nostra vista, che Egli agisce nel nostro mondo per il nostro bene, e che il futuro della società è contrassegnato dalla speranza quando vibra in armonia con l’ordine divino. È la presenza dinamica di Dio che raduna insieme i cuori ed assicura l’unità. Di fatto, il fondamento ultimo dell’unità tra le persone sta nella perfetta unicità e universalità di Dio, che ha creato l’uomo e la donna a propria immagine e somiglianza per condurci entro la sua vita divina, così che tutti possano essere una cosa sola.
 
Pertanto, i leader religiosi devono essere coscienti che qualsiasi divisione o tensione, ogni tendenza all’introversione o al sospetto fra credenti o tra le nostre comunità può facilmente condurre ad una contraddizione che oscura l’unicità dell’Onnipotente, tradisce la nostra unità e contraddice l’Unico che rivela se stesso come “ricco di amore e di fedeltà” (Es 34, 6; Sal 138,2; Sal 85, 11).
Cari Amici, Gerusalemme, che da lungo tempo è stata un crocevia di popoli di diversa origine, è una città che permette ad Ebrei, Cristiani e Musulmani sia di assumersi il dovere che di godere del privilegio di dare insieme testimonianza della pacifica coesistenza a lungo desiderata dagli adoratori dell’unico Dio; di svelare il piano dell’Onnipotente, annunciato ad Abramo, per l’unità della famiglia umana; e di proclamare la vera natura dell’uomo quale cercatore di Dio. Impegniamoci dunque ad assicurare che, mediante l’ammaestramento e la guida delle nostre rispettive comunità, le sosterremo nell’essere fedeli a ciò che veramente sono come credenti, sempre consapevoli dell’infinita bontà di Dio, dell’inviolabile dignità di ogni essere umano e dell’unità dell’intera famiglia umana.

La Sacra Scrittura ci offre anche una sua comprensione della sicurezza. Secondo il linguaggio ebraico, sicurezza – batah – deriva da fiducia e non si riferisce soltanto all’assenza di minaccia ma anche al sentimento di calma e di confidenza. Nel libro del profeta Isaia leggiamo di un tempo di benedizione divina: “Infine in noi sarà infuso uno spirito dall’alto; allora il deserto diventerà un giardino e il giardino sarà considerato una selva. Nel deserto prenderà dimora il diritto e la giustizia regnerà nel giardino. Praticare la giustizia darà pace, onorare la giustizia darà tranquillità e sicurezza per sempre” (32, 15-17). Sicurezza, integrità, giustizia e pace: nel disegno di Dio per il mondo esse sono inseparabili. Lungi dall’essere semplicemente il prodotto dello sforzo umano, esse sono valori che promanano dalla relazione fondamentale di Dio con l’uomo, e risiedono come patrimonio comune nel cuore di ogni individuo.
 
Vi è una via soltanto per proteggere e promuovere tali valori: esercitarli! viverli! Nessun individuo, nessuna famiglia, nessuna comunità o nazione è esente dal dovere di vivere nella giustizia e di operare per la pace. Naturalmente, ci si aspetta che i leader civili e politici assicurino una giusta e adeguata sicurezza per il popolo a cui servizio essi sono stati eletti. Questo obiettivo forma una parte della giusta promozione dei valori comuni all’umanità e pertanto non possono contrastare con l’unità della famiglia umana. I valori e i fini autentici di una società, che sempre tutelano la dignità umana, sono indivisibili, universali e interdipendenti (cfr Discorso alle Nazioni Unite, 18 aprile 2008). Non si possono pertanto realizzare quando cadono preda di interessi particolari o di politiche frammentarie. Il vero interesse di una nazione viene sempre servito mediante il perseguimento della giustizia per tutti.
 
Gentili Signore e Signori, una sicurezza durevole è questione di fiducia, alimentata nella giustizia e nell’integrità, suggellata dalla conversione dei cuori che ci obbliga a guardare l’altro negli occhi e a riconoscere il “Tu” come un mio simile, un mio fratello, una mia sorella. In tale maniera non diventerà forse la società stessa un “giardino ricolmo di frutti” (cfr Is 32,15), segnato non da blocchi e ostruzioni, ma dalla coesione e dall’armonia? Non può forse divenire una comunità di nobili aspirazioni, dove a tutti di buon grado viene dato accesso all’educazione, alla dimora familiare, alla possibilità d’impiego, una società pronta ad edificare sulle fondamenta durevoli della speranza?
Per concludere, desidero rivolgermi alle comuni famiglie di questa città, di questa terra. Quali genitori vorrebbero mai violenza, insicurezza o divisione per il loro figlio o per la loro figlia? Quale umano obiettivo politico può mai essere servito attraverso conflitti e violenze? Odo il grido di quanti vivono in questo Paese che invocano giustizia, pace, rispetto per la loro dignità, stabile sicurezza, una vita quotidiana libera dalla paura di minacce esterne e di insensata violenza. So che un numero considerevole di uomini, donne e giovani stanno lavorando per la pace e la solidarietà attraverso programmi culturali e iniziative di sostegno pratico e compassionevole; umili abbastanza per perdonare, essi hanno il coraggio di tener stretto il sogno che è loro diritto.
 
Signor Presidente, La ringrazio per la cortesia dimostratami e La assicuro ancora una volta delle mie preghiere per il Governo e per tutti i cittadini di questo Stato. Possa un’autentica conversione dei cuori di tutti condurre ad un sempre più deciso impegno per la pace e la sicurezza attraverso la giustizia per ciascuno.
Shalom! 

Fonte Radio Vaticano







Caterina63
00lunedì 11 maggio 2009 18:44
 “Sono giunto qui per soffermarmi in silenzio davanti a questo monumento, eretto per onorare la memoria dei milioni di ebrei uccisi nell’orrenda tragedia della Shoah. Essi persero la propria vita, ma non perderanno mai i loro nomi”: è quanto ha detto il Papa nel discorso tenuto nella Sala della Rimembranza dello Yad Vashem, il Memoriale dell’Olocausto. “Possano i nomi di queste vittime non perire mai! – ha aggiunto il pontefice - Possano le loro sofferenze non essere mai negate, sminuite o dimenticate! E possa ogni persona di buona volontà vigilare per sradicare dal cuore dell’uomo qualsiasi cosa capace di portare a tragedie simili a questa!”. Quindi ha aggiunto: “Mentre siamo qui in silenzio, il loro grido echeggia ancora nei nostri cuori. È un grido che si leva contro ogni atto di ingiustizia e di violenza. È una perenne condanna contro lo spargimento di sangue innocente. È il grido di Abele che sale dalla terra verso l’Onnipotente”. Poi ha concluso con queste parole: “Cari Amici, sono profondamente grato a Dio e a voi per l’opportunità che mi è stata data di sostare qui in silenzio: un silenzio per ricordare, un silenzio per sperare”.


Ecco il testo integrale del discorso del Papa:
 
“Io concederò nella mia casa e dentro le mie mura un monumento e un nome… darò loro un nome eterno che non sarà mai cancellato” (Is 56,5).
 
Questo passo tratto dal Libro del profeta Isaia offre le due semplici parole che esprimono in modo solenne il significato profondo di questo luogo venerato: yad – “memoriale”; shem – “nome”. Sono giunto qui per soffermarmi in silenzio davanti a questo monumento, eretto per onorare la memoria dei milioni di ebrei uccisi nell’orrenda tragedia della Shoah. Essi persero la propria vita, ma non perderanno mai i loro nomi: questi sono stabilmente incisi nei cuori dei loro cari, dei loro compagni di prigionia, e di quanti sono decisi a non permettere mai più che un simile orrore possa disonorare ancora l’umanità. I loro nomi, in particolare e soprattutto, sono incisi in modo indelebile nella memoria di Dio Onnipotente.
 
Uno può derubare il vicino dei suoi possedimenti, delle occasioni favorevoli o della libertà. Si può intessere una insidiosa rete di bugie per convincere altri che certi gruppi non meritano rispetto. E tuttavia, per quanto ci si sforzi, non si può mai portar via il nome di un altro essere umano. La Sacra Scrittura ci insegna l’importanza dei nomi quando viene affidata a qualcuno una missione unica o un dono speciale. Dio ha chiamato Abram “Abraham” perché doveva diventare il “padre di molti popoli” (Gn 17,5). Giacobbe fu chiamato “Israele” perché aveva “combattuto con Dio e con gli uomini ed aveva vinto” (cfr Gn 32,29). I nomi custoditi in questo venerato monumento avranno per sempre un sacro posto fra gli innumerevoli discendenti di Abraham. Come avvenne per Abraham, anche la loro fede fu provata. Come per Giacobbe, anch’essi furono immersi nella lotta fra il bene e il male, mentre lottavano per discernere i disegni dell’Onnipotente. Possano i nomi di queste vittime non perire mai! Possano le loro sofferenze non essere mai negate, sminuite o dimenticate! E possa ogni persona di buona volontà vigilare per sradicare dal cuore dell’uomo qualsiasi cosa capace di portare a tragedie simili a questa!
 
La Chiesa Cattolica, impegnata negli insegnamenti di Gesù e protesa ad imitarne l’amore per ogni persona, prova profonda compassione per le vittime qui ricordate. Alla stessa maniera, essa si schiera accanto a quanti oggi sono soggetti a persecuzioni per causa della razza, del colore, della condizione di vita o della religione – le loro sofferenze sono le sue e sua è la loro speranza di giustizia. Come Vescovo di Roma e Successore dell’Apostolo Pietro, ribadisco – come i miei predecessori – l’impegno della Chiesa a pregare e ad operare senza stancarsi per assicurare che l’odio non regni mai più nel cuore degli uomini. Il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe è il Dio della pace (cfr Sal 85,9).
 
Le Scritture insegnano che è nostro dovere ricordare al mondo che questo Dio vive, anche se talvolta troviamo difficile comprendere le sue misteriose ed imperscrutabili vie. Egli ha rivelato se stesso e continua ad operare nella storia umana. Lui solo governa il mondo con giustizia e giudica con equità ogni popolo (cfr Sal 9,9). Fissando lo sguardo sui volti riflessi nello specchio d’acqua che si stende silenzioso all’interno di questo memoriale, non si può fare a meno di ricordare come ciascuno di loro rechi un nome. Posso soltanto immaginare la gioiosa aspettativa dei loro genitori, mentre attendevano con ansia la nascita dei loro bambini. Quale nome daremo a questo figlio? Che ne sarà di lui o di lei? Chi avrebbe potuto immaginare che sarebbero stati condannati ad un così lacrimevole destino!
 
Mentre siamo qui in silenzio, il loro grido echeggia ancora nei nostri cuori. È un grido che si leva contro ogni atto di ingiustizia e di violenza. È una perenne condanna contro lo spargimento di sangue innocente. È il grido di Abele che sale dalla terra verso l’Onnipotente. Nel professare la nostra incrollabile fiducia in Dio, diamo voce a quel grido con le parole del Libro delle Lamentazioni, così cariche di significato sia per gli ebrei che per i cristiani:
 
“Le grazie del Signore non sono finite,
non sono esaurite le sue misericordie;
Si rinnovano ogni mattina,
grande è la sua fedeltà;
«Mia parte è il Signore – io esclamo –,
per questo in lui spero».
Buono è il Signore con chi spera in lui,
con colui che lo cerca.
È bene aspettare in silenzio
la salvezza del Signore” (3,22-26).
 
Cari Amici, sono profondamente grato a Dio e a voi per l’opportunità che mi è stata data di sostare qui in silenzio: un silenzio per ricordare, un silenzio per sperare.


Fonte Radio Vaticana
                                                     


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“Mentre molti sono pronti a indicare le differenze tra le religioni facilmente rilevabili, come credenti o persone religiose noi siamo posti di fronte alla sfida di proclamare con chiarezza ciò che noi abbiamo in comune”: così benedetto XVI nell’ultimo impegno della giornata, l’Incontro con le Organizzazioni per il Dialogo Interreligioso, presso l’Auditorium del “Notre Dame of Jerusalem Centre” di Gerusalemme.

 “Noi – ha detto il Pontefice - vediamo la possibilità di una unità che non dipende dall’uniformità. Mentre le differenze che analizziamo nel dialogo inter-religioso possono a volte apparire come barriere, tuttavia esse non esigono di oscurare il senso comune di timore riverenziale e di rispetto per l'universale, per l'assoluto e per la verità che spinge le persone religiose innanzitutto a stabilire rapporti l’una con l’altra”. Poi ha aggiunto: “non dobbiamo essere scoraggiati nei nostri sforzi di rendere testimonianza al potere della verità. Insieme possiamo proclamare che Dio esiste e che può essere conosciuto, che la terra è sua creazione, che noi siamo sue creature, e che egli chiama ogni uomo e donna ad uno stile di vita che rispetti il suo disegno per il mondo…Ciascuno di noi qui presenti sa, pure, comunque che la voce di Dio viene udita oggi meno chiaramente, e la ragione stessa in così numerose situazioni è divenuta sorda al divino. E, però, quel “vuoto” non è vuoto di silenzio. Al contrario, è il chiasso di pretese egoistiche, di vuote promesse e di false speranze, che così spesso invadono lo spazio stesso nel quale Dio ci cerca”.
E ha così concluso: “Sospinti dall’Onnipotente e illuminati dalla sua verità, possiate voi continuare a camminare con coraggio, rispettando tutto ciò che ci differenzia e promuovendo tutto ciò che ci unisce come creature benedette dal desiderio di portare speranza alle nostre comunità e al mondo. Dio ci guidi su questa strada!”.





 

Ecco il testo integrale del discorso del Papa:
 
Cari Fratelli Vescovi,
Distinti Capi Religiosi,
Cari Amici,
 
è motivo di grande gioia per me incontrarvi questa sera. Desidero ringraziare Sua Beatitudine il Patriarca Fouad Twal per le sue gentili parole di benvenuto espresse a nome di tutti i presenti. Ricambio i calorosi sentimenti espressi e cordialmente saluto tutti voi e i membri dei gruppi ed organizzazioni che rappresentate.
 
“ Il Signore disse ad Abramo, ‘ Vattene dalla tua terra, dalla tua parentela e dalla casa di tuo padre, verso la terra che io ti indicherò’... Allora Abramo partì...e prese la moglie Saràh” con sé (Gn 12,1-5). L’irruzione della chiamata di Dio, che segna gli inizi della storia delle tradizioni della nostra fede, venne udita nel mezzo dell’ordinaria esistenza quotidiana dell’uomo. E la storia che ne conseguì fu plasmata, non nell’isolamento, ma attraverso l’incontro con la cultura Egiziana, Hittita, Sumera, Babilonese, Persiana e Greca.
 
La fede è sempre vissuta in una cultura. La storia della religione ci mostra che una comunità di credenti procede per gradi di fedeltà piena a Dio, prendendo dalla cultura che incontra e plasmandola. Questa stessa dinamica si riscontra in singoli credenti delle tre grandi tradizioni monoteistiche: in sintonia con la voce di Dio, come Abramo, rispondiamo alla sua chiamata e partiamo cercando il compimento delle sue promesse, sforzandoci di obbedire alla sua volontà, tracciando un percorso nella nostra particolare cultura.
 
Oggi, circa quattro mila anni dopo Abramo, l’incontro di religioni con la cultura si realizza non semplicemente su un piano geografico. Certi aspetti della globalizzazione ed in particolare il mondo dell’internet hanno creato una vasta cultura virtuale il cui valore è tanto vario quanto le sue innumerevoli manifestazioni. Indubbiamente molto è stato realizzato per creare un senso di vicinanza e di unità all'interno dell’universale famiglia umana. Tuttavia, allo stesso tempo, l'uso illimitato di portali attraverso i quali le persone hanno facile accesso a indiscriminate fonti di informazioni può divenire facilmente uno strumento di crescente frammentazione: l’unità della conoscenza viene frantumata e le complesse abilità di critica, discernimento e discriminazione apprese dalle tradizioni accademiche ed etiche sono a volte aggirate o trascurate.
 
La domanda che poi sorge naturalmente è quale contributo porti la religione alle culture del mondo che contrasti la ricaduta di una così rapida globalizzazione. Mentre molti sono pronti a indicare le differenze tra le religioni facilmente rilevabili, come credenti o persone religiose noi siamo posti di fronte alla sfida di proclamare con chiarezza ciò che noi abbiamo in comune.
 
Il primo passo di Abramo nella fede, e i nostri passi verso o dalla sinagoga, la chiesa, la moschea o il tempio, percorrono il sentiero della nostra singola storia umana, spianando la strada, potremmo dire, verso l’eterna Gerusalemme (cfr Ap 21,23). Similmente ogni cultura con la sua specifica capacità di dare e ricevere dà espressione all'unica umana natura. Tuttavia, ciò che è proprio dell’individuo non è mai espresso pienamente attraverso la cultura di lui o di lei, ma piuttosto lo trascende nella costante ricerca di qualcosa al di là. Da questa prospettiva, cari Amici, noi vediamo la possibilità di una unità che non dipende dall’uniformità. Mentre le differenze che analizziamo nel dialogo inter-religioso possono a volte apparire come barriere, tuttavia esse non esigono di oscurare il senso comune di timore riverenziale e di rispetto per l'universale, per l'assoluto e per la verità che spinge le persone religiose innanzitutto a stabilire rapporti l’una con l’altra. E’ invece la partecipata convinzione che queste realtà trascendenti hanno la loro fonte nell’Onnipotente e ne portano tracce – quell’Onnipotente che i credenti innalzano l’uno di fronte all’altro, alle nostre organizzazioni, alla nostra società e al nostro mondo. In questo modo, non solo noi possiamo arricchire la cultura ma anche plasmarla: vite di religiosa fedeltà echeggiano l’irrompente presenza di Dio e formano così una cultura non definita dai limiti del tempo o del luogo ma fondamentalmente plasmate dai principi e dalle azioni che provengono dalla fede.
 
La fede religiosa presuppone la verità. Colui che crede è colui che cerca la verità e vive in base ad essa. Benché il mezzo attraverso il quale noi comprendiamo la scoperta e la comunicazione della verità differisca in parte da religione a religione, non dobbiamo essere scoraggiati nei nostri sforzi di rendere testimonianza al potere della verità. Insieme possiamo proclamare che Dio esiste e che può essere conosciuto, che la terra è sua creazione, che noi siamo sue creature, e che egli chiama ogni uomo e donna ad uno stile di vita che rispetti il suo disegno per il mondo. Amici, se crediamo di avere un criterio di giudizio e di discernimento che è divino nella sua origine e destinato a tutta l’umanità, allora non possiamo stancarci di portare tale conoscenza ad influire sulla vita civile. La verità deve essere offerta a tutti; essa serve a tutti i membri della società. Essa getta luce sulla fondazione della moralità e dell’etica, e permea la ragione con la forza di andare oltre i suoi limiti per dare espressione alle nostre più profonde aspirazioni comuni. Lungi dal minacciare la tolleranza delle differenze o della pluralità culturale, la verità rende il consenso possibile e mantiene ragionevole, onesto e verificabile il pubblico dibattito e apre la strada alla pace. Promuovendo la volontà di essere obbedienti alla verità, di fatto, allarga il nostro concetto di ragione e il suo ambito di applicazione e rende possibile il dialogo genuino delle culture e delle religioni di cui c’è oggi particolarmente bisogno.
 
Ciascuno di noi qui presenti sa, pure, comunque che la voce di Dio viene udita oggi meno chiaramente, e la ragione stessa in così numerose situazioni è divenuta sorda al divino. E, però, quel “vuoto” non è vuoto di silenzio. Al contrario, è il chiasso di pretese egoistiche, di vuote promesse e di false speranze, che così spesso invadono lo spazio stesso nel quale Dio ci cerca. Possiamo noi allora creare spazi, oasi di pace e di riflessione profonda, in cui si possa nuovamente udire la voce di Dio, in cui la sua verità può essere scoperta all’interno dell’universalità della ragione, in cui ogni individuo, senza distinzione di luogo dove abita, o di gruppo etnico, o di tinta politica, o di credenza religiosa, può essere rispettato come persona, come un essere umano, un proprio simile? In un’epoca di accesso immediato all’informazione e di tendenze sociali che generano una specie di monocultura, la riflessione profonda che contrasti l’allontanamento della presenza di Dio rafforzerà la ragione, stimolerà il genio creativo, faciliterà la valutazione critica delle consuetudini culturali e sosterrà il valore universale della credenza religiosa.
 
Cari amici, le istituzioni e i gruppi che voi rappresentate s’impegnano nel dialogo interreligioso e nella promozione di iniziative culturali in un vasto ambito di livelli. Dalle istituzioni accademiche – e qui voglio fare speciale menzione delle eccezionali conquiste dell’Università di Betlemme – ai gruppi di genitori in difficoltà, da iniziative mediante la musica e le arti all’esempio coraggioso di madri e padri ordinari, dai gruppi di dialogo alle organizzazioni caritative, voi quotidianamente dimostrate la vostra convinzione che il nostro dovere davanti a Dio non si esprime soltanto nel culto ma anche nell’amore e nella cura per la società, per la cultura, per il nostro mondo e per tutti coloro che vivono in questa terra. Qualcuno vorrebbe che noi crediamo che le nostre differenze sono necessariamente causa di divisione e pertanto al più da tollerarsi. Alcuni addirittura sostengono che le nostre voci devono semplicemente essere ridotte al silenzio. Ma noi sappiamo che le nostre differenze non devono mai essere mal rappresentate come un’inevitabile sorgente di frizione o di tensione sia tra noi stessi sia, più in largo, nella società. Al contrario, esse offrono una splendida opportunità per persone di diverse religioni di vivere insieme in profondo rispetto, stima e apprezzamento, incoraggiandosi reciprocamente nelle vie di Dio. Sospinti dall’Onnipotente e illuminati dalla sua verità, possiate voi continuare a camminare con coraggio, rispettando tutto ciò che ci differenzia e promuovendo tutto ciò che ci unisce come creature benedette dal desiderio di portare speranza alle nostre comunità e al mondo. Dio ci guidi su questa strada!

fonte Radio Vaticana


Durante l'incontro con gli esponenti religiosi al centro Notre Dame of Jerusalem
Il saluto del Patriarca di Gerusalemme dei Latini[SM=g1740717] 

    Il Patriarca di Gerusalemme dei Latini, Fouad Twal, ha rivolto un saluto in inglese a Benedetto XVI, lunedì sera 11 maggio, durante l'incontro con le organizzazioni per il dialogo interreligioso al centro Notre Dame of Jerusalem. Pubblichiamo il discorso in una nostra traduzione italiana.

    Santità, è un onore grande e un non meno grande piacere presentarle qui, a Gerusalemme, un'eminente assemblea di numerosi amici e colleghi. Oggi, in questo auditorium, abbiamo riunito un gruppo di persone con cui noi condividiamo una visione, la visione dei profeti dell'antico Israele, la visione della prima comunità musulmana, una visione che è profondamente ancorata alle beatitudini che Nostro Signore Gesù ha insegnato nel corso della sua vita terrena:  la visione di una società fondata sui valori di giustizia e di pace, di uguaglianza e di rispetto vicendevole, di perdono e di riconciliazione e ultimamente di fraternità e d'amore.

Gli abitanti di Gerusalemme e di tutta la Terra Santa hanno per vocazione di essere una luce per i popoli del mondo. Da questo luogo, la Parola del Signore deve andare avanti - Parola di santità e di giustizia per ogni uomo e per ogni donna. Davanti a lei, Santità, si trovano i rappresentanti di più di cento organizzazioni, istituzioni, movimenti e gruppi che contribuiscono al benessere umano e spirituale degli abitanti di Gerusalemme, e di tutta la Terra Santa. Alcuni tra loro sono inseriti nella società israeliana, altri nella società palestinese, altri ancora sono membri di organizzazioni non governative internazionali attive in Terra Santa. Alcuni sono stati fondati e sono animati da israeliani, altri da palestinesi, altri ancora da espatriati; alcuni da ebrei, altri da mussulmani, altri ancora da cristiani.

    Sono qui presenti:  rappresentanti di capi religiosi provenienti dalle principali correnti dell'ebraismo, del cristianesimo e dell'islam presenti a Gerusalemme e dintorni. Desidero menzionare specialmente il consiglio delle istituzioni religiose di Terra Santa, una bella iniziativa che raggruppa i capi delle differenti comunità religiose e che ha per obiettivo quello di rinforzare la comprensione mutua, il rispetto e il dialogo. Questo consiglio è presente tra noi oggi.

    Sono ugualmente presenti:  rappresentanti di organizzazioni che promuovono il dialogo interreligioso tra ebrei, musulmani e cristiani, in Israele o nei Territori palestinesi; rappresentanti di organizzazioni che operano per la risoluzione dei conflitti, per la giustizia, per la pace e la riconciliazione, nella società israeliana, nella società palestinese e sul conflitto politico israelo-palestinese; artefici di diverse iniziative educative che promuovono i valori della democrazia, della uguaglianza e della tolleranza, nel cuore delle divisioni politiche in Terra Santa; rappresentanti di organizzazioni che lavorano nell'ambito dello sviluppo, dei diritti dell'uomo e della coesistenza, in Israele, nei Territori palestinesi o in entrambi; rappresentanti di scuole, università, ospedali e foyers per persone portatrici di handicap, che accolgono una popolazione mista e vivono nel quotidiano il dialogo interreligioso e l'incontro intercomunitario; rappresentanti di istituzioni cattoliche e cristiane impegnate nella realtà interreligiosa e intercomunitaria costitutiva della vita in questa terra, santa per tre religioni e condivisa da due popoli.

    Beatissimo Padre, questi differenti gruppi e associazioni hanno tutti una cosa in comune:  essi cercano di migliorare la società nella quale vivono, a rendere possibile il dialogo e a promuovere l'educazione alla tolleranza, alla democrazia e all'uguaglianza.

    Noi le domandiamo, beatissimo Padre, di indirizzare loro una parola di incoraggiamento:  essi lavorano in un contesto difficile in cui i valori ai quali essi aderiscono e che cercano di propagare sono troppo sovente combattuti e disprezzati. Questi uomini e queste donne riunite davanti a lei oggi sono gli artigiani della pace che Nostro Signore ha benedetto nel suo insegnamento delle beatitudini, quando ha detto:  "Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio" (Mt 5,9). Le domandiamo pure, beatissimo Padre, di benedirli.



(©L'Osservatore Romano - 13 maggio 2009)



La firma lasciata da Benedetto XVI allo Yad Vashem nel Libro degli Ospiti:

"Le misericordie del Signore non sono finite" (Lamentazioni 3,22)



Caterina63
00martedì 12 maggio 2009 11:29
Nella quinta giornata del suo Pellegrinaggio in Terra Santa il Papa si è recato sulla Spianata delle Moschee a Gerusalemme dove ha visitato la Cupola della Roccia e incontrato il Gran Muftì.

Il Papa si è quindi recato al Muro Occidentale, più noto come Muro del Pianto, dove ha letto un salmo in latino. Poi si è raccolto in preghiera silenziosa e ha posto un biglietto tra le fessure del Muro.

Ecco il testo della preghiera del Papa:


 Dio di tutti i tempi,
nella mia visita a Gerusalemme, la “Città della Pace”,
dimora spirituale per ebrei, cristiani e musulmani,
porto davanti a Te le gioie, le speranze e le aspirazioni,
le angosce, le sofferenze e le pene di tutto il Tuo popolo sparso nel mondo.
Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe,
ascolta il grido degli afflitti, degli impauriti, dei disperati,
manda la Tua pace su questa Terra Santa, sul Medio Oriente,
sull’intera famiglia umana;
risveglia il cuore di tutti coloro che chiamano il Tuo nome
affinché vogliano camminare umilmente sul cammino della giustizia e della pietà.
“Buono è il Signore con chi spera in lui,
con l`anima che lo cerca”.
(Lam 3, 25)







Dopo la visita al Muro del Pianto il Papa ha incontrato i due Gran Rabbini di Israele al Centro Hechal Shlomo. Il Pontefice ha sottolineato i progressi nel dialogo tra Santa Sede e Gran Rabbinato. “Ebrei e Cristiani – ha detto - sono ugualmente interessati ad assicurare rispetto per la sacralità della vita umana, la centralità della famiglia, una valida educazione dei giovani, la libertà di religione e di coscienza per una società sana. Questi temi di dialogo rappresentano solo la fase iniziale di ciò che noi speriamo sarà un solido, progressivo cammino verso una migliorata reciproca comprensione. Una indicazione del potenziale di questa serie di incontri – ha proseguito il Papa - si è subito vista nella nostra condivisa preoccupazione di fronte al relativismo morale e alle offese che esso genera contro la dignità della persona umana. Nell’avvicinare le più urgenti questioni etiche dei nostri giorni, le nostre due comunità si trovano di fronte alla sfida di impegnare a livello di ragione le persone di buona volontà, additando loro simultaneamente i fondamenti religiosi che meglio sostengono i perenni valori morali”. Infine il Papa ha ribadito: “Oggi ho l’opportunità di ripetere che la Chiesa Cattolica è irrevocabilmente impegnata sulla strada decisa dal Concilio Vaticano Secondo per una autentica e durevole riconciliazione fra Cristiani ed Ebrei”.

Ecco il testo integrale del discorso del Papa:
 
Distinti Rabbini,
Cari Amici,
 
vi sono riconoscente per l’invito fattomi a visitare Hechal Shlomo e ad incontrarmi con voi durante questo mio viaggio in Terra Santa come Vescovo di Roma. Ringrazio Sephardi Rabbi Shlomo Amar e Ashknazi Rabbi Yona Metzger per le loro calorose parole di benvenuto e per il desiderio da loro espresso di continuare a fortificare i vincoli di amicizia che la Chiesa Cattolica e il Gran Rabbinato si sono impegnati così diligentemente a far avanzare nell’ultimo decennio. Le vostre visite in Vaticano nel 2003 e 2005 sono un segno della buona volontà che caratterizza le nostre relazioni in crescita.
 
Distinti Rabbini, contraccambio tale atteggiamento esprimendo a mia volta i miei personali sentimenti di rispetto e di stima per voi e per le vostre comunità. Vi assicuro del mio desidero di approfondire la vicendevole comprensione e la cooperazione fra la Santa Sede, il Gran Rabbinato di Israele e il popolo Ebraico in tutto il mondo.
 
Un grande motivo di soddisfazione per me fin dall’inizio del mio pontificato è stato il frutto prodotto dal dialogo in corso tra la Delegazione della Commissione della Santa Sede per le Relazioni Religiose con gli Ebrei e il Gran Rabbinato della Delegazione di Israele per le Relazioni con la Chiesa Cattolica. Desidero ringraziare i membri di entrambe le Delegazioni per la loro dedizione e il faticoso lavoro nel perfezionare questa iniziativa, così sinceramente desiderata dal mio venerato predecessore, Papa Giovanni Paolo II, come egli volle affermare nel Grande Giubileo del 2000.
 
Il nostro odierno incontro è un’occasione molto appropriata per rendere grazie all’Onnipotente per le tante benedizioni che hanno accompagnato il dialogo condotto dalla Commissione Bilaterale, e per guardare con speranza alle sue future sessioni. La buona volontà dei delegati nel discutere apertamente e pazientemente non solo i punti di intesa, ma anche i punti di disaccordo, ha anche spianato la strada per una più efficace collaborazione nella vita pubblica. Ebrei e Cristiani sono ugualmente interessati ad assicurare rispetto per la sacralità della vita umana, la centralità della famiglia, una valida educazione dei giovani, la libertà di religione e di coscienza per una società sana. Questi temi di dialogo rappresentano solo la fase iniziale di ciò che noi speriamo sarà un solido, progressivo cammino verso una migliorata reciproca comprensione.
 
Una indicazione del potenziale di questa serie di incontri si è subito vista nella nostra condivisa preoccupazione di fronte al relativismo morale e alle offese che esso genera contro la dignità della persona umana. Nell’avvicinare le più urgenti questioni etiche dei nostri giorni, le nostre due comunità si trovano di fronte alla sfida di impegnare a livello di ragione le persone di buona volontà, additando loro simultaneamente i fondamenti religiosi che meglio sostengono i perenni valori morali. Possa il dialogo che è stato avviato continuare a generare idee su come sia possibile a Cristiani ed Ebrei lavorare insieme per accrescere l'apprezzamento della società per i contributi caratteristici delle nostre tradizioni religiose ed etiche. Qui in Israele i Cristiani, dal momento che costituiscono solamente una piccola parte della popolazione totale, apprezzano in modo particolare le opportunità di dialogo con i loro vicini ebrei.
 
La fiducia è innegabilmente un elemento essenziale per un dialogo effettivo. Oggi ho l’opportunità di ripetere che la Chiesa Cattolica è irrevocabilmente impegnata sulla strada decisa dal Concilio Vaticano Secondo per una autentica e durevole riconciliazione fra Cristiani ed Ebrei. Come la Dichiarazione Nostra Aetate ha chiarito, la Chiesa continua a valorizzare il patrimonio spirituale comune a Cristiani ed Ebrei e desidera una sempre più profonda mutua comprensione e stima tanto mediante gli studi biblici e teologici quanto mediante i dialoghi fraterni. I sette incontri della Commissione Bilaterale che già hanno avuto luogo tra la Santa Sede e il Gran Rabbinato possano costituirne una prova! Vi sono così molto grato per la vostra condivisa assicurazione che l’amicizia fra la Chiesa Cattolica e il Gran Rabbinato continuerà in futuro a svilupparsi nel rispetto e nella comprensione.
 
Amici miei, esprimo ancora una volta il mio profondo apprezzamento per il benvenuto che mi avete rivolto oggi. Confido che la nostra amicizia continui a porsi come esempio di fiducia nel dialogo per gli Ebrei e i Cristiani di tutto il mondo. Guardando ai risultati finora raggiunti, e traendo la nostra ispirazione dalle Sacre Scritture, possiamo con fiducia puntare ad una sempre più convinta cooperazione fra le nostre comunità – insieme con tutte le persone di buona volontà – nel condannare odio e persecuzione in tutto il mondo. Prego Iddio, che scruta i nostri cuori e conosce i nostri pensieri ( Sl 139,23), perché continui ad illuminarci con la sua sapienza, così che possiamo seguire i suoi comandamenti di amarlo con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze (cfr Dt 6,5) e di amare il nostro prossimo come noi stessi (Lev 19,18).
Grazie !


Fonte Radio Vaticana

E QUANTO DEVE PATIRE CRISTO E IL SUO VICARIO......MA ALLA FINE E' CRISTO IL TRIONFATORE....
visita alla Moschea...faccio osservare che il rispetto che altri esigono, dovrebbero poi usarlo quando entrano nelle nostre Chiese a partire dai CATTOLICI STESSI che davanti a Gesù Eucarestia, il Dio VIVO E VERO non si inginocchiano neppure...e poi provano entusiasmo per qualcuno, per il Papa che si toglie le scarpe in una Moschea...[SM=g1740729] 
 




 


[SM=g1740717] [SM=g1740720] [SM=g1740717]
Caterina63
00martedì 12 maggio 2009 12:17
Il Papa ha concluso la mattinata a Gerusalemme con l’incontro nel Cenacolo con gli Ordinari di Terra Santa e la visita alla Concattedrale latina.

Al Cenacolo ha parlato in particolare di ecumenismo: “Le diverse Chiese cristiane che qui si trovano rappresentano un patrimonio spirituale ricco e vario e sono un segno delle molteplici forme di interazione tra il Vangelo e le diverse culture. Esse ci ricordano anche che la missione della Chiesa è di predicare l'amore universale di Dio e di riunire da lontano e da vicino tutti quelli che sono chiamati da Lui, in modo che, con le loro tradizioni ed i loro talenti, formino l’unica famiglia di Dio. Un nuovo impulso spirituale verso la comunione nella diversità nella Chiesa Cattolica ed una nuova consapevolezza ecumenica hanno segnato il nostro tempo, specialmente a partire dal Concilio Vaticano Secondo. Lo Spirito conduce dolcemente i nostri cuori verso l'umiltà e la pace, verso l'accettazione reciproca, la comprensione e la cooperazione. Questa disposizione interiore all’unità sotto l’impulso dello Spirito Santo è decisiva perché i Cristiani possano realizzare la loro missione nel mondo”.

Poi ha sottolineato che la presenza dei cristiani in Terra Santa è di “importanza vitale per il bene della società”. E ha aggiunto: “Cari Fratelli Vescovi, contate sul mio appoggio ed incoraggiamento nel fare tutto quello che è in vostro potere per aiutare i nostri fratelli e sorelle Cristiani a rimanere e ad affermarsi qui nella terra dei loro antenati ed essere messaggeri e promotori di pace”. Per concludere: “Da parte mia, rinnovo il mio appello ai nostri fratelli e sorelle di tutto il mondo a sostenere e ricordare nelle loro preghiere le comunità cristiane della Terra Santa e del Medio Oriente”.

Ecco il testo integrale del discorso del Papa:
 
Cari Fratelli Vescovi,
Caro Padre Custode,

 
é con grande gioia che io vi saluto, Ordinari della Terra Santa, in questo Cenacolo dove, secondo la tradizione, Dio aprì il suo cuore ai discepoli da Lui scelti e celebrò il Mistero Pasquale, e dove lo Spirito Santo nel giorno di Pentecoste ispirò i primi discepoli ad uscire e a predicare la Buona Novella. Ringrazio Padre Pizzaballa per le calorose parole di benvenuto che mi ha rivolto a vostro nome. Voi rappresentate le comunità cattoliche della Terra Santa che, nella loro fede e devozione, sono come delle candele accese che illuminano i luoghi santi cristiani, onorati un tempo dalla presenza di Gesù, il nostro Dio vivente. Questo particolare privilegio dà a voi e al vostro popolo un posto speciale nell’affetto del mio cuore come Successore di Pietro.

 
"Quando Gesù seppe che la sua ora era venuta di passare da questo mondo al Padre, avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine" (Gv 13,1). Il Cenacolo ricorda l'Ultima Cena di nostro Signore con Pietro e gli altri Apostoli ed invita la Chiesa ad orante contemplazione. Con questo stato d’animo ci ritroviamo insieme, il Successore di Pietro con i Successori degli Apostoli, in questo stesso luogo dove Gesù rivelò nell'offerta del suo corpo e del suo sangue le nuove profondità dell'alleanza di amore stabilita tra Dio e il suo popolo. Nel Cenacolo il mistero di grazia e di salvezza, del quale siamo destinatari ed anche araldi e ministri, può essere espresso solamente in termini di amore. Poiché Egli ci ha amati per primo e continua ad amarci, noi possiamo rispondere con l’amore (cfr Deus caritas est, 2). La nostra vita come cristiani non è semplicemente uno sforzo umano di vivere le esigenze del Vangelo imposte a noi come doveri. Nell'Eucaristia noi siamo tirati dentro il mistero dell’amore divino. Le nostre vite diventano un'accettazione grata, docile ed attiva del potere di un amore che ci viene donato. Questo amore trasformante, che è grazia e verità (cfr Gv 1,17), ci sollecita, come individui e come comunità, a superare la tentazione di ripiegarci su noi stessi nell'egoismo o nell’indolenza, nell’isolamento, nel pregiudizio o nella paura, e a donarci generosamente al Signore ed agli altri. Ci porta come comunità cristiane ad essere fedeli alla nostra missione con franchezza e coraggio (cfr At 4,13). Nel Buon Pastore che dona la sua vita per il suo gregge, nel Maestro che lava i piedi ai suoi discepoli, voi, miei cari Fratelli, trovate il modello del vostro stesso ministero nel servizio del nostro Dio che promuove amore e comunione.

 
L’invito alla comunione di mente e di cuore, così strettamente collegato col comandamento dell’amore e col centrale ruolo unificante dell'Eucaristia nelle nostre vite, è di speciale rilevanza nella Terra Santa. Le diverse Chiese cristiane che qui si trovano rappresentano un patrimonio spirituale ricco e vario e sono un segno delle molteplici forme di interazione tra il Vangelo e le diverse culture. Esse ci ricordano anche che la missione della Chiesa è di predicare l'amore universale di Dio e di riunire da lontano e da vicino tutti quelli che sono chiamati da Lui, in modo che, con le loro tradizioni ed i loro talenti, formino l’unica famiglia di Dio. Un nuovo impulso spirituale verso la comunione nella diversità nella Chiesa Cattolica ed una nuova consapevolezza ecumenica hanno segnato il nostro tempo, specialmente a partire dal Concilio Vaticano Secondo. Lo Spirito conduce dolcemente i nostri cuori verso l'umiltà e la pace, verso l'accettazione reciproca, la comprensione e la cooperazione. Questa disposizione interiore all’unità sotto l’impulso dello Spirito Santo è decisiva perché i Cristiani possano realizzare la loro missione nel mondo (cfr Gv 17, 21).

 
Nella misura in cui il dono dell’amore è accettato e cresce nella Chiesa, la presenza cristiana nella Terra Santa e nelle regioni vicine sarà viva. Questa presenza è di importanza vitale per il bene della società nel suo insieme. Le parole chiare di Gesù sull'intimo legame tra l’amore di Dio e l’amore del prossimo, sulla misericordia e sulla compassione, sulla mitezza, la pace e il perdono sono un lievito capace di trasformare i cuori e plasmare le azioni. I Cristiani nel Medio Oriente, insieme alle altre persone di buona volontà, stanno contribuendo, come cittadini leali e responsabili, nonostante le difficoltà e le restrizioni, alla promozione ed al consolidamento di un clima di pace nella diversità. Mi piace ripetere ad essi quello che affermai nel Messaggio di Natale del 2006 ai cattolici nel Medio Oriente: “Esprimo con affetto la mia personale vicinanza in questa situazione di insicurezza umana, di sofferenza quotidiana, di paura e di speranza che state vivendo. Ripeto alle vostre comunità le parole del Redentore: “Non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto dare a voi il Regno' (Lc 12,32). " (Messaggio di Natale di Sua Santità Papa Benedetto XVI ai cattolici che vivono nella Regione del Medio Oriente, 21 dicembre 2006).

Cari Fratelli Vescovi, contate sul mio appoggio ed incoraggiamento nel fare tutto quello che è in vostro potere per aiutare i nostri fratelli e sorelle Cristiani a rimanere e ad affermarsi qui nella terra dei loro antenati ed essere messaggeri e promotori di pace. Apprezzo i vostri sforzi di offrir loro, come a cittadini maturi e responsabili, assistenza spirituale, valori e principi che li aiutino nello svolgere il loro ruolo nella società. Mediante l’istruzione, la preparazione professionale ed altre iniziative sociali ed economiche la loro condizione potrà essere sostenuta e migliorata. Da parte mia, rinnovo il mio appello ai nostri fratelli e sorelle di tutto il mondo a sostenere e ricordare nelle loro preghiere le comunità cristiane della Terra Santa e del Medio Oriente. In questo contesto desidero esprimere il mio apprezzamento per il servizio offerto ai molti pellegrini e visitatori che vengono in Terra Santa in cerca di ispirazione e rinnovamento sulle orme di Gesù. La storia del Vangelo, contemplata nel suo ambiente storico e geografico, diviene viva e ricca di colore, e si ottiene una comprensione più chiara del significato delle parole e dei gesti del Signore. Molte memorabili esperienze di pellegrini della Terra Santa sono state possibili grazie anche all’ospitalità e alla guida fraterna offerte da voi, specialmente dai Frati francescani della Custodia. Per questa servizio, vorrei assicurarvi l'apprezzamento e la gratitudine della Chiesa Universale e esprimo il desiderio che, nel futuro, pellegrini in numero ancora maggiore vengano qui in visita.

 
Cari Fratelli, nell’indirizzare insieme la nostra gioiosa preghiera a Maria, Regina del Cielo, mettiamo con fiducia nelle sue mani il benessere e il rinnovamento spirituale di tutti i Cristiani in Terra Santa, così che, sotto la guida dei loro Pastori, possano crescere nella fede, nella speranza e nella carità, e perseverare nella loro missione di promotori di comunione e di pace.




Il testo al Patriarcato latino  nella Concattedrale latina di Gerusalemme:
[SM=g1740717] 

  Beatitudine, La ringrazio per le Sue parole di benvenuto. Ringrazio anche il Patriarca Emerito ed assicuro entrambi dei miei fraterni auguri e delle mie preghiere.

Cari Fratelli e Sorelle in Cristo, sono lieto di essere qui con voi oggi in questa Concattedrale, dove la comunità cristiana di Gerusalemme continua a riunirsi come ha fatto da secoli, fin dai primi giorni della Chiesa. Qui, in questa città, Pietro per primo predicò la Buona Novella di Gesù Cristo il giorno di Pentecoste, quando circa tremila anime si unirono al numero dei discepoli. Ancora qui i primi cristiani “erano perseveranti nell’insegnamento degli apostoli e nella comunione, nello spezzare il pane e nelle preghiere” ( At 2,42). Da Gerusalemme il Vangelo si è diffuso “per tutta la terra...fino ai confini del mondo” (Salmo 19, 4), ed in ogni tempo lo sforzo dei missionari del Vangelo è stato sostenuto dalle preghiere dei fedeli, raccolti attorno all’altare del Signore, per invocare la forza dello Spirito Santo sull’opera della predicazione.
 
Soprattutto sono state le preghiere di coloro la cui vocazione, secondo le parole di Santa Teresa di Lisieux, è di essere “l’amore profondo nel cuore della Chiesa” (Lettera alla sorella Maria del Sacro Cuore), che sostiene l’opera dell’evangelizzazione. Desidero esprimere una particolare parola di apprezzamento per l’apostolato nascosto delle persone di vita contemplativa che sono qui presenti, e ringraziarvi per la vostra generosa dedizione ad una vita di preghiera e di abnegazione. Sono particolarmente grato per le preghiere che offrite per il mio ministero universale e vi chiedo di continuare a raccomandare al Signore il mio servizio al popolo di Dio in tutto il mondo. Con le parole del Salmista chiedo anch’io a voi di “pregare per la pace di Gerusalemme” ( Sal 122,6), di pregare continuamente per la fine del conflitto che ha arrecato così grandi sofferenze ai popoli di questa regione. Ed ora vi imparto la mia Benedizione.







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Caterina63
00martedì 12 maggio 2009 17:04
“Nella Terra Santa c’è posto per tutti! Mentre esorto le autorità a rispettare e sostenere la presenza cristiana qui, desidero al tempo stesso assicurarvi della solidarietà, dell’amore e del sostegno di tutta la Chiesa e della Santa Sede”. È quanto ha detto il Papa nella Santa Messa presieduta nella Josafat Valley a Gerusalemme.

Benedetto XVI è tornato a parlare dell’emigrazione dei cristiani dalla Terra Santa definita “un grande impoverimento culturale e spirituale”. “Trovandomi qui davanti a voi oggi – ha detto - desidero riconoscere le difficoltà, la frustrazione, la pena e la sofferenza che tanti tra voi hanno subito in conseguenza dei conflitti che hanno afflitto queste terre, ed anche le amare esperienze dello spostamento che molte delle vostre famiglie hanno conosciuto e – Dio non lo permetta – possono ancora conoscere. Spero che la mia presenza qui sia un segno che voi non siete dimenticati, che la vostra perseverante presenza e testimonianza sono di fatto preziose agli occhi di Dio e sono una componente del futuro di queste terre”.

Bisogna davvero rendere Gerusalemme una “città della pace” ha aggiunto: “Come un microcosmo del nostro mondo globalizzato, questa Città, se deve vivere la sua vocazione universale, deve essere un luogo che insegna l'universalità, il rispetto per gli altri, il dialogo e la vicendevole comprensione; un luogo dove il pregiudizio, l’ignoranza e la paura che li alimenta, siano superati dall’onestà, dall’integrità e dalla ricerca della pace. Non dovrebbe esservi posto tra queste mura per la chiusura, la discriminazione, la violenza e l’ingiustizia. I credenti in un Dio di misericordia – si qualifichino essi Ebrei, Cristiani o Musulmani –, devono essere i primi a promuovere questa cultura della riconciliazione e della pace, per quanto lento possa essere il processo e gravoso il peso dei ricordi passati”.

Ecco il testo integrale dell’omelia del Papa [SM=g1740717]
seguito dall’indirizzo del patriarca Twal:
 
 
Cari Fratelli e Sorelle nel Signore,
 
“Cristo è risorto, alleluia!”. Con queste parole vi saluto con grande affetto. Ringrazio il Patriarca Fouad Twal per le sue parole di benvenuto a vostro nome, e prima di tutto esprimo anche la mia gioia di essere qui a celebrare questa Eucarestia con voi, Chiesa in Gerusalemme. Ci siamo raccolti qui sotto il monte degli Ulivi, dove nostro Signore pregò e soffrì, dove pianse per amore di questa città e per il desiderio che essa potesse conoscere “la via della pace” (cfr Lc 19,42), qui donde egli tornò al Padre, dando la sua ultima benedizione terrena ai suoi discepoli e a noi. Accogliamo oggi questa benedizione. Egli la dona in modo speciale a voi, cari fratelli e sorelle, che siete collegati in una ininterrotta linea con quei primi discepoli che incontrarono il Signore Risorto nello spezzare il pane, che sperimentarono l’effusione dello Spirito Santo nella “stanza al piano superiore”, che furono convertiti dalla predicazione di San Pietro e degli altri apostoli. I miei saluti vanno anche a tutti i presenti, e in modo speciale a quei fedeli della Terra Santa che per varie ragioni non hanno potuto essere oggi con noi.
 
Come successore di san Pietro, ho ripercorso i suoi passi per proclamare il Signore Risorto in mezzo a voi, per confermarvi nella fede dei vostri padri ed invocare su di voi la consolazione che è il dono del Paraclito. Trovandomi qui davanti a voi oggi, desidero riconoscere le difficoltà, la frustrazione, la pena e la sofferenza che tanti tra voi hanno subito in conseguenza dei conflitti che hanno afflitto queste terre, ed anche le amare esperienze dello spostamento che molte delle vostre famiglie hanno conosciuto e – Dio non lo permetta – possono ancora conoscere. Spero che la mia presenza qui sia un segno che voi non siete dimenticati, che la vostra perseverante presenza e testimonianza sono di fatto preziose agli occhi di Dio e sono una componente del futuro di queste terre. Proprio a causa delle vostre profonde radici in questi luoghi, la vostra antica e forte cultura cristiana, e la vostra perdurante fiducia nelle promesse di Dio, voi Cristiani della Terra Santa, siete chiamati a servire non solo come un faro di fede per la Chiesa universale, ma anche come lievito di armonia, saggezza ed equilibrio nella vita di una società che tradizionalmente è stata, e continua ad essere, pluralistica, multietnica e multireligiosa.
 
Nella seconda lettura di oggi, l’Apostolo Paolo chiede ai Colossesi di “cercare le cose di lassù, dove è Cristo, seduto alla destra di Dio” (Col 3,1). Queste parole risuonano con particolare forza qui, sotto il Giardino del Getsemani, dove Gesù ha accettato il calice della sofferenza in completa obbedienza alla volontà del Padre e dove, secondo la tradizione, è asceso alla destra del Padre per intercedere continuamente per noi, membra del suo Corpo. San Paolo, il grande araldo della speranza cristiana, ha conosciuto il prezzo di questa speranza, il suo costo in sofferenza e persecuzione per amore del Vangelo, e mai vacillò nella sua convinzione che la risurrezione di Cristo era l’inizio della nuova creazione. Come egli dice a noi: “Quando Cristo, vostra vita, sarà manifestato, allora anche voi apparirete con lui nella gloria” (Col 3,4)!
 
L’esortazione di Paolo di “cercare le cose di lassù” deve continuamente risuonare nei nostri cuori. Le sue parole ci indicano il compimento della visione di fede in quella celeste Gerusalemme dove, in conformità con le antiche profezie, Dio asciugherà le lacrime da ogni occhio e preparerà un banchetto di salvezza per tutti i popoli (cfr Is 25,6-8; Ap 21,2-4).
 
Questa è la speranza, questa la visione che spinge tutti coloro che amano questa Gerusalemme terrestre a vederla come una profezia e una promessa di quella universale riconciliazione e pace che Dio desidera per tutta l’umana famiglia. Purtroppo, sotto le mura di questa stessa Città, noi siamo anche portati a considerare quanto lontano sia il nostro mondo dal compimento di quella profezia e promessa. In questa Santa Città dove la vita ha sconfitto la morte, dove lo Spirito è stato infuso come primo frutto della nuova creazione, la speranza continua a combattere la disperazione, la frustrazione e il cinismo, mentre la pace, che è dono e chiamata di Dio, continua ad essere minacciata dall’egoismo, dal conflitto, dalla divisione e dal peso delle passate offese. Per questa ragione, la comunità cristiana in questa Città che ha visto la risurrezione di Cristo e l’effusione dello Spirito deve fare tutto il possibile per conservare la speranza donata dal Vangelo, tenendo in gran conto il pegno della vittoria definitiva di Cristo sul peccato e sulla morte, testimoniando la forza del perdono e manifestando la natura più profonda della Chiesa quale segno e sacramento di una umanità riconciliata, rinnovata e resa una in Cristo, il nuovo Adamo.
 
Riuniti sotto le mura di questa città, sacra ai seguaci delle tre grandi religioni, come possiamo non rivolgere i nostri pensieri alla universale vocazione di Gerusalemme? Annunciata dai profeti, questa vocazione appare come un fatto indiscutibile, una realtà irrevocabile fondata nella storia complessa di questa città e del suo popolo. Ebrei, Musulmani e Cristiani qualificano insieme questa città come loro patria spirituale. Quanto bisogna ancora fare per renderla veramente una "città della pace" per tutti i popoli, dove tutti possono venire in pellegrinaggio alla ricerca di Dio, e per ascoltarne la voce, “una voce che parla di pace” ( cf. Sl 85,8)!
 
Gerusalemme in realtà è sempre stata una città nelle cui vie risuonano lingue diverse, le cui pietre sono calpestate da popoli di ogni razza e lingua, le cui mura sono un simbolo della cura provvidente di Dio per l’intera famiglia umana. Come un microcosmo del nostro mondo globalizzato, questa Città, se deve vivere la sua vocazione universale, deve essere un luogo che insegna l'universalità, il rispetto per gli altri, il dialogo e la vicendevole comprensione; un luogo dove il pregiudizio, l’ignoranza e la paura che li alimenta, siano superati dall’onestà, dall’integrità e dalla ricerca della pace. Non dovrebbe esservi posto tra queste mura per la chiusura, la discriminazione, la violenza e l’ingiustizia. I credenti in un Dio di misericordia – si qualifichino essi Ebrei, Cristiani o Musulmani –, devono essere i primi a promuovere questa cultura della riconciliazione e della pace, per quanto lento possa essere il processo e gravoso il peso dei ricordi passati.
 
Vorrei qui accennare direttamente alla tragica realtà – che non può mai cessare di essere fonte di preoccupazione per tutti coloro che amano questa Città e questa terra – della partenza di così numerosi membri della comunità cristiana negli anni recenti. Benché ragioni comprensibili portino molti, specialmente giovani, ad emigrare, questa decisione reca con sé come conseguenza un grande impoverimento culturale e spirituale della città. Desidero oggi ripetere quanto ho detto in altre occasioni: nella Terra Santa c’è posto per tutti! Mentre esorto le autorità a rispettare e sostenere la presenza cristiana qui, desidero al tempo stesso assicurarvi della solidarietà, dell’amore e del sostegno di tutta la Chiesa e della Santa Sede.
 
Cari amici, nel Vangelo che abbiamo appena ascoltato, San Pietro e San Giovanni corrono alla tomba vuota, e Giovanni, ci è stato detto, “vide e credette” (Gv 20,8), Qui in Terra Santa, con gli occhi della fede, voi insieme con i pellegrini di ogni parte del mondo che affollano le chiese e i santuari, siete felici di vedere i luoghi santificati dalla presenza di Cristo, dal suo ministero terreno, dalla sua passione, morte e risurrezione e dal dono del suo Santo Spirito. Qui, come all’apostolo san Tommaso, vi è concessa l’opportunità di “toccare” le realtà storiche che stanno alla base della nostra confessione di fede nel Figlio di Dio. La mia preghiera per voi oggi è che continuiate, giorno dopo giorno, a “vedere e credere” nei segni della provvidenza di Dio e della sua inesauribile misericordia, ad “ascoltare” con rinnovata fede e speranza le consolanti parole della predicazione apostolica e a “toccare” le sorgenti della grazia nei sacramenti ed incarnare per gli altri il loro pegno di nuovi inizi, la libertà nata dal perdono, la luce interiore e la pace che possono portare salvezza e speranza anche nelle più oscure realtà umane.
 
Nella Chiesa del Santo Sepolcro, i pellegrini di ogni secolo hanno venerato la pietra che la tradizione ci dice che stava all’ingresso della tomba la mattina della risurrezione di Cristo. Torniamo spesso a questa tomba vuota. Riaffermiamo lì la nostra fede sulla vittoria della vita, e preghiamo affinché ogni “pietra pesante” posta alla porta dei nostri cuori, a bloccare la nostra completa resa alla fede, alla speranza e all’amore per il Signore, possa essere tolta via dalla forza della luce e della vita che da quel primo mattino di Pasqua risplendono da Gerusalemme su tutto il mondo. Cristo è risorto, alleluia! Egli è davvero risorto, alleluia!

Questo l’indirizzo di saluto di mons. Fouad Twal al Papa:
 
Santissimo Padre,
 
La Chiesa di Gerusalemme L’accoglie con fervore in questa città dove Gesù Cristo fu accolto dalla folla al grido di “Osanna nell’alto dei cieli! Benedetto colui che viene nel nome del Signore!” (Mt 21,9). Benvenuto nella città dove Gesù Cristo riportò la vittoria sul peccato e sulla morte e ottenne la salvezza per coloro che hanno fede in lui.
 
Qui, con Lei, la Chiesa prega e veglia amorosamente su questi luoghi dove Nostro Signore ha compiuto l’opera meravigliosa della nostra redenzione. Questi luoghi sono i testimoni del passato e la verità della nostra vita presente.

Solamente ad alcuni metri da qui, Gesù disse ai suoi discepoli : «Restate qui e vegliate con me » (Mt 26,38). Ma loro hanno chiuso gli occhi, senza curarsi affatto di Gesù, in agonia un po’ più lontano.
 
Santissimo Padre, per molti aspetti la situazione oggi non è tanto cambiata. Assistiamo da una parte all’agonia del popolo palestinese, che sogna di vivere in uno Stato palestinese libero e indipendente, ma non ci arriva; e assistiamo dall’altra parte all’agonia di un popolo israeliano, che sogna una vita normale nella pace e nella sicurezza ma, nonostante la sua potenza mediatica e militare, non ci arriva.

Quanto alla comunità internazionale, essa gioca il ruolo dei discepoli di Gesù: se ne sta da parte, le palpebre appesantite di indifferenza, insensibile all’agonia per la quale passa la Terra Santa da sessantun anni, senza volere veramente svegliarsi per trovare una soluzione giusta. Da questa valle di Giosafat, valle di lacrime, facciamo salire la nostra preghiera perché si realizzino i sogni di questi due popoli.
 

Su questo monte degli Olivi, Gesù pianse invano su Gerusalemme. Oggi, Egli continua a piangere con i rifugiati senza speranza di ritorno, con le vedove il cui marito è stato vittima di violenza, e con le numerose famiglie di questa città che tutti i giorni vedono le loro case demolite col pretesto che esse sono state “costruite illegalmente”, allorquando tutta la situazione generale tutta intera è illegale e non riceve soluzione.
 
Al di sopra del luogo dove ora noi siamo, Nostro Signore lanciò questo grido : «Gerusalemme, Gerusalemme, tu che uccidi i profeti e lapidi coloro che ti sono stati mandati ! Quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli- tutti i tuoi figli, ebrei, cristiani e mussulmani- e voi non avete voluto” (Lc 13,34).
 
Caro Santo Padre, noi le domandiamo di comprendere quello che qui vivono i Suoi poveri figli e di fortificare la nostra fede e la nostra speranza. Con la Sua visita, Lei ci porta la sollecitudine e la solidarietà di tutta la Chiesa, e ci attira l’attenzione del mondo su questa regione, su questi popoli, la loro storia, i loro combattimenti e le loro speranze, i loro sorrisi e le loro lacrime.
 
Per chiunque soffre -un malato, un rifugiato, un prigioniero o uno che porta il peso di una ingiustizia- il più grande sconforto è di costatare di essere stato dimenticato e che nessuno veda, non sappia né si commuova per quello che lui sopporta. La Sua visita oggi è un grande conforto per i nostri cuori e l’occasione di dire a tutti che il Dio di compassione e coloro che credono in Lui non sono né ciechi, né dimentichi, né insensibili.
 
Santità, Lei è il successore di san Pietro, incaricato dal Signore per «confermare i suoi fratelli” nella fede (Lc 22,32).
Noi pure la supplichiamo e gridiamo con gli Apostoli: “Aumenta la nostra fede” (Lc 17,25).

Santissimo Padre, Lei ha davanti un piccolo gregge, e che ancora si riduce a causa dell’emigrazione, una emigrazione largamente dovuta agli effetti di una occupazione ingiusta, con l’accompagnamento di umiliazione, di violenza e di odio. Ma noi sappiamo che “questa è la vittoria che ha vinto il mondo: la nostra fede” (1 Gv 5,4) e che la fede ci rende capaci di vedere e di riconoscere Gesù Cristo in ogni persona. Con Gesù e in Gesù, noi possiamo gustare qui e ora la pace che il mondo non può né dare né togliere dai nostri cuori. Questa pace significa serenità, fede, spirito di accoglienza e gioia di vivere e di lavorare in questa terra.
 
Per questo noi approfittiamo della Sua presenza benedetta tra noi per gridarLe, come quel padre sofferente che supplicò Gesù di liberare suo figlio dai tormenti che lo opprimevano da lungo tempo : «Io credo ! Aiuta la mia incredulità” (Mc 9,24).
 
Santissimo Padre, noi L’accogliamo come il successore di san Pietro: venga in aiuto alla nostra incredulità! Preghi con noi il nostro Padre dei cieli per tutti gli abitanti della Terra Santa; invochi anche la Madre Addolorata, che ai piedi della croce del figlio suo sofferente non si è tirata indietro, per aiutarci ad avere la sua stessa fede nella buona provvidenza di Dio e ad accettare tutto, anche senza comprendere dall’inizio.
 
O Signore, fortifica la nostra fede!
 







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Caterina63
00mercoledì 13 maggio 2009 11:06
All'inizio della Messa nella Piazza della Mangiatoia di Betlemme il patriarca latino di Gerusalemme Fouad Twal ha rivolto il suo indirizzo di saluto al Papa. Ecco il testo integrale di questo saluto.
 
Santissimo Padre,
 
In nome dei miei fratelli i vescovi cattolici di Terra Santa; in nome di tutte le Chiese locali di Gesù Cristo presenti su questa terra; in nome di tutti gli abitanti e visitatori di questa terra santificata dalla nascita, dalla vita, dalla morte e dalla resurrezione di Nostro Signore Gesù Cristo, Le do il benvenuto oggi a Betlemme.
 
Noi L’accogliamo come successore di san Pietro, al quale il Cristo ha dato la missione di “confermare i suoi fratelli”: Lei è tra noi come nostre padre e nostro fratello. La sua presenza qui oggi significa che noi siamo sempre presenti nel cuore e nello spirito della Chiesa universale, che la Chiesa cattolica tutta intera è con noi e per noi. Le Sue preghiere e le preghiere della Chiesa ci sostengono e ci danno un coraggio rinnovato per servire Nostro Signore in questa terra.

Solamente ad alcuni metri di qui, Nostro Signore Gesù Cristo è nato; il Verbo di Dio s’è reso visibile. Dio ha visitato il suo popolo per essere l’Emmanuele, per “essere con noi”; ed egli continua a venire, per essere con noi tutti i giorni. In questa terra, il messaggio degli angeli di Dio è stato sentito dai più poveri e dai più piccoli: “Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace al suo popolo”. Tale è stato il messaggio celeste ricevuto dai nostri antenati, i pastori di Betlemme. Tale è il messaggio che continua ad essere proclamato tutti i giorni. Se tale è il messaggio della nostra terra e di Betlemme per il mondo, la nostra vocazione-missione in questa terra martirizzata è quella di glorificare Dio e di espandere la Sua pace sulla terra. Questo messaggio rappresenta un compito e una missione quotidiana. Esso si traduce nell’impegno della Chiesa a servire la pace e la riconciliazione, a sostenere i poveri, a fortificare i deboli, a comunicare la speranza a coloro che disperano. Per questa missione, noi abbiamo bisogno del Suo sostegno e delle Sue preghiere.
 
Santissimo Padre, questa terra dove Gesù ha scelto di vivere per salvare il mondo, ha bisogno di pace, di giustizia e di riconciliazione. Le nostre ferite hanno bisogno di essere guarite, i prigionieri d’essere rilasciati, i nostri cuori d’essere purificati dall’odio, e il nostro popolo di vivere in pace e in sicurezza. Il nostro popolo soffre e continua a soffrire l’ingiustizia, la guerra (la guerra di Gaza è ancora una ferita aperta per centinaia di migliaia di persone), l’occupazione e la mancanza di speranza in un avvenire migliore. Quando noi abbiamo accolto il Suo predecessore, il papa Giovanni Paolo II, noi avevamo la speranza di pervenire alla pace, ma questa pace non è mai venuta. Molti hanno allora abbandonato ogni speranza e hanno lasciato la Terra Santa per andare in cerca di un avvenire migliore in altri paesi. Ecco perché il numero dei Palestinesi, soprattutto cristiani, è diminuito e continua a diminuire. Finché noi non troveremo la pace e la tranquillità, ho paura che questo continui. Finché l’instabilità politica perdura, finché si estende il muro che separa Betlemme da Gerusalemme e dal resto del mondo, noi non potremo trovare la pace per la nostra terra.[SM=g1740720] 
 
Santissimo Padre, i cittadini di Betlemme e dei Territori palestinesi sono venuti ad accoglierLa e a pregare con Lei: cattolici e cristiani di tutte le Chiese, mussulmani e rappresentanti dell’Autorità palestinese, noi siamo venuti tutti per rinnovare il nostro impegno a favore di una pace giusta, una pace che dia a ciascun individuo e ad ogni popolo di vivere degnamente in questa terra; una pace che permetta ai genitori di non avere paura per i loro figli e la loro sicurezza; una pace che dia ai giovani di condurre una vita normale e di costruire il loro avvenire; una pace che permetta a questa Terra Santa di adempiere la sua vocazione: glorificare Dio e vivere in pace.

Noi siamo coscienti della vocazione di questa terra di essere aperta a tutti i credenti, a lodare Dio, a essere una terra di armonia e di coesistenza pacifica, una terra dove tutti i credenti in uno stesso Dio possono sperimentare che essi “sono nati qui” (Sm 87). Nessuno può pretendere di possedere questa terra al posto degli altri ed escludendo gli altri. Dio stesso ha scelto questa terra, e vuole che tutti i suoi figli vi vivano insieme.

Santissimo Padre, noi siamo venuti qui per pregare con Lei e per ascoltarLa. Noi tutti vediamo in Lei un messaggero di pace, un capo spirituale che difende i poveri e gli oppressi, un padre e un fratello che porta un messaggio d’amore e di solidarietà.

Per finire, noi vogliamo ridirLe il nostro impegno a vivere e ad espandere la Buona Novella di Gesù Cristo: alla Sua presenza, la Chiesa cattolica rinnova la sua fede in Nostro Signore Gesù Cristo, il suo amore per Dio e per il prossimo, e la sua speranza nei disegni misericordiosi di Dio per noi tutti.
 
Che Dio e il nostro Salvatore siano con Lei, che La sostengano e La guidino nella Sua missione e nella Sua opera costante in favore della pace e della riconciliazione.


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Il Papa a Betlemme: il luogo della nascità di Gesù invita a testimoniare il trionfo dell'amore sull'odio. Solidarietà ai pellegrini di Gaza: sia tolto l'embargo

 Ecco il testo integrale dell’omelia del Papa:
 
Cari fratelli e sorelle in Cristo,

ringrazio Dio Onnipotente per avermi concesso la grazia di venire a Betlemme, non solo per venerare il posto dove Cristo è nato, ma anche per essere al vostro fianco, fratelli e sorelle nella fede, in questi Territori Palestinesi. Sono grato al Patriarca Fouad Twal per i sentimenti che ha espresso a nome vostro, e saluto con affetto i confratelli Vescovi e tutti i sacerdoti, religiosi e fedeli laici che faticano ogni giorno per confermare questa Chiesa locale nella fede, nella speranza, nell’amore. Il mio cuore si volge in maniera speciale ai pellegrini provenienti dalla martoriata Gaza a motivo della guerra: vi chiedo di portare alle vostre famiglie e comunità il mio caloroso abbraccio, le mie condoglianze per le perdite, le avversità e le sofferenze che avete dovuto sopportare. Siate sicuri della mia solidarietà con voi nell’immensa opera di ricostruzione che ora vi sta davanti e delle mie preghiere che l’embargo sia presto tolto.[SM=g1740722] 
 
“Non temete: ecco vi annuncio una grande gioia… oggi nella città di Davide è nato per voi un Salvatore” (Lc 2,10-11). Il messaggio della venuta di Cristo, recato dal cielo mediante la voce degli angeli, continua ad echeggiare in questa città, come echeggia nelle famiglie, nelle case e nelle comunità del mondo intero. È una “grande gioia”, hanno detto gli angeli, “che sarà di tutto il popolo” (Lc 2,10). Questo messaggio di gioia proclama che il Messia, Figlio di Dio e figlio di Davide, è nato “per voi”: per te e per me, e per tutti gli uomini e donne di ogni tempo e luogo. Nel piano di Dio, Betlemme, “così piccola per essere fra i villaggi di Giudea” (Mic 5,1) è divenuta un luogo di gloria immortale: il posto dove, nella pienezza dei tempi, Dio ha scelto di divenire uomo, per concludere il lungo regno del peccato e della morte e per portare vita nuova ed abbondante ad un mondo che era divenuto vecchio, affaticato, oppresso dalla disperazione.
 
Per gli uomini e le donne di ogni luogo, Betlemme è associata al gioioso messaggio della rinascita, del rinnovamento, della luce e della libertà. E tuttavia qui, in mezzo a noi, quanto lontana sembra questa magnifica promessa dall’essere compiuta! Quanto distante appare quel Regno di ampio dominio e di pace, sicurezza, giustizia ed integrità, che il profeta Isaia aveva annunciato, secondo quanto abbiamo ascoltato nella prima lettura (cfr Is 9,7) e che proclamiamo come fondato in maniera definitiva con la venuta di Gesù Cristo, Messia e Re!
 
Dal giorno della sua nascita, Gesù è stato “segno di contraddizione” (Lc 2,34) e continua ad essere tale anche oggi. Il Signore degli eserciti, “le cui origini è dall’antichità, dai giorni più remoti” (Mic 5,2), volle inaugurare il suo Regno nascendo in questa piccola città, entrando nel nostro mondo nel silenzio e nell’umiltà in una grotta, e giacendo, come bimbo bisognoso di tutto, in una mangiatoia. Qui a Betlemme, nel mezzo di ogni genere di contraddizione, le pietre continuano a gridare questa “buona novella”, il messaggio di redenzione che questa città, al di sopra di tutte le altre, è chiamata a proclamare a tutto il mondo. Qui infatti, in un modo che sorpassa tutte le speranze e aspettative umane, Dio si è mostrato fedele alle sue promesse. Nella nascita del suo Figlio, Egli ha rivelato la venuta di un Regno d’amore: un amore divino che si china per portare guarigione e per innalzarci; un amore che si rivela nell’umiliazione e nella debolezza della croce, eppure trionfa nella gloriosa risurrezione a nuova vita. Cristo ha portato un Regno che non è di questo mondo, eppure è un Regno capace di cambiare questo mondo, poiché ha il potere di cambiare i cuori, di illuminare le menti e di rafforzare le volontà. Nell’assumere la nostra carne, con tutte le sue debolezze, e nel trasfigurarla con la potenza del suo Spirito, Gesù ci ha chiamato ad essere testimoni della sua vittoria sul peccato e sulla morte. E questo è ciò che il messaggio di Betlemme ci chiama ad essere: testimoni del trionfo dell’amore di Dio sull’odio, sull’egoismo, sulla paura e sul rancore che paralizzano i rapporti umani e creano divisione fra fratelli che dovrebbero vivere insieme in unità, distruzioni dove gli uomini dovrebbero edificare, disperazione dove la speranza dovrebbe fiorire!
 
“Nella speranza siamo stati salvati” dice l’apostolo Paolo (Rm 8,24). E tuttavia afferma con grande realismo che la creazione continua a gemere nel travaglio, anche se noi, che abbiamo ricevuto le primizie dello Spirito, attendiamo pazientemente il compimento della redenzione (cfr Rm 8,22-24). Nella seconda lettura odierna, Paolo trae dall’Incarnazione una lezione che può essere applicata in modo particolare alle sofferenze che voi, i prescelti da Dio in Betlemme, state sperimentando: “È apparsa la grazia di Dio – egli dice – che ci insegna a rinnegare l’empietà e i desideri mondani e a vivere in questo mondo con sobrietà, con giustizia e con pietà”, nell’attesa della venuta della nostra beata speranza, il Salvatore Cristo Gesù (Tt 2,11-13).
 
Non sono forse queste le virtù richieste a uomini e donne che vivono nella speranza? In primo luogo, la costante conversione a Cristo che si riflette non solo sulle nostre azioni, ma anche sul nostro modo di ragionare: il coraggio di abbandonare linee di pensiero, di azione e di reazione infruttuose e sterili. [SM=g1740721] La cultura di un modo di pensare pacifico basato sulla giustizia, sul rispetto dei diritti e dei doveri di tutti, e l’impegno a collaborare per il bene comune. E poi la perseveranza, perseveranza nel bene e nel rifiuto del male. Qui a Betlemme si chiede ai discepoli di Cristo una speciale perseveranza: perseveranza nel testimoniare fedelmente la gloria di Dio qui rivelata nella nascita del Figlio suo, la buona novella della sua pace che discese dal cielo per dimorare sulla terra.
 
“Non abbiate paura!”. Questo è il messaggio che il Successore di San Pietro desidera consegnarvi oggi, facendo eco al messaggio degli angeli e alla consegna che l’amato Papa Giovanni Paolo II vi ha lasciato nell’anno del Grande Giubileo della nascita di Cristo. Contate sulle preghiere e sulla solidarietà dei vostri fratelli e sorelle della Chiesa universale, e adoperatevi con iniziative concrete per consolidare la vostra presenza e per offrire nuove possibilità a quanti sono tentati di partire. Siate un ponte di dialogo e di collaborazione costruttiva nell’edificare una cultura di pace che superi l’attuale stallo della paura, dell’aggressione e della frustrazione. Edificate le vostre Chiese locali facendo di esse laboratori di dialogo, di tolleranza e di speranza, come pure di solidarietà e di carità pratica.
 
Al di sopra di tutto, siate testimoni della potenza della vita, della nuova vita donataci dal Cristo risorto, di quella vita che può illuminare e trasformare anche le più oscure e disperate situazioni umane. La vostra terra non ha bisogno soltanto di nuove strutture economiche e politiche, ma in modo più importante – potremmo dire – di una nuova infrastruttura “spirituale”, capace di galvanizzare le energie di tutti gli uomini e donne di buona volontà nel servizio dell’educazione, dello sviluppo e della promozione del bene comune. [SM=g1740722] Avete le risorse umane per edificare la cultura della pace e del rispetto reciproco che potranno garantire un futuro migliore per i vostri figli. Questa nobile impresa vi attende. Non abbiate paura!
 
L’antica basilica della Natività, provata dai venti della storia e dal peso dei secoli, si erge di fronte a noi quale testimone della fede che permane e trionfa sul mondo (cfr 1 Gv 5,4). Nessun visitatore di Betlemme potrebbe fare a meno di notare che nel corso dei secoli la grande porta che introduce nella casa di Dio è divenuta sempre più piccola. Preghiamo oggi affinché, con la grazia di Dio e il nostro impegno, la porta che introduce nel mistero della dimora di Dio tra gli uomini, il tempio della nostra comunione nel suo amore, e l’anticipo di un mondo di perenne pace e gioia, si apra sempre più ampiamente per accogliere ogni cuore umano e rinnovarlo e trasformarlo. In questo modo, Betlemme continuerà a farsi eco del messaggio affidato ai pastori, a noi, all’umanità: “Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini, che egli ama”!

Amen.
 





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Caterina63
00mercoledì 13 maggio 2009 17:34
IMPORTANTE VISITA DEL PAPA PRESSO IL CAMPO PROFUGHI PALESTINESE[SM=g1740717] [SM=g1740720]




Il Papa nel pomeriggio si è recato al Caritas Baby Hospital di Betlemme: un ospedale pediatrico fondato nel 1978 e sostenuto dai vescovi svizzeri e tedeschi. Assicura circa 30 mila prestazioni ambulatoriali e 4 mila degenze all’anno anche grazie all’impegno delle Suore Francescane Elisabettiane di Padova. L’incontro con i piccoli dell’ospedale è stato toccante. Era presente anche il presidente Abbas. Il Papa ha visitato i piccoli malati e si è soffermato con un bambino nato prematuro, di due chili e mezzo di nome Elias. Dopo il discorso ha regalato all'ospedale un respiratore per bambini prematuri. Benedetto XVI ha parlato di questa struttura come di “un'oasi quieta per i più vulnerabili” che “ha brillato come un faro di speranza circa la possibilità che l’amore ha di prevalere sull’odio e la pace sulla violenza”.

Ai giovani pazienti ha detto: "Il Papa è con voi!”. Ecco il testo integrale del discorso del Papa.[SM=g1740722] 
 
Cari Amici,
 
vi saluto affettuosamente nel nome di nostro Signore Gesù Cristo, "che è morto, anzi è risorto, sta alla destra di Dio ed intercede per noi" (cfr Rm 8,34). Possa la vostra fede nella sua Risurrezione e nella sua promessa di nuova vita mediante il Battesimo riempire i vostri cuori di gioia in questo tempo pasquale!
 
Sono grato per il caloroso benvenuto rivoltomi a vostro nome da Padre Michael Scheiger, Presidente dell'Associazione di Kinderhilfe, Mr. Ernesto Langensand, il quale sta completando il suo periodo di Amministratore Capo della Caritas Baby Hospital, e Madre Erika Nobs, Superiora di questa locale comunità delle Suore Elisabettine Francescane di Padova. Saluto anche cordialmente l’Arcivescovo Robert Zollisch ed il Vescovo Kurt Koch, che rappresentano rispettivamente le Conferenze Episcopali tedesca e svizzera, che hanno fatto avanzare la missione del Caritas Baby Hospital mediante la loro generosa assistenza finanziaria.
 
Dio mi ha benedetto con questa opportunità di esprimere agli amministratori, medici, infermiere e personale del Caritas Baby Hospital il mio apprezzamento per l’inestimabile servizio che hanno offerto - e continuano ad offrire - ai bambini della regione di Betlemme e di tutta la Palestina da più di cinquant’anni. Padre Ernst Schnydrig fondò questa struttura nella convinzione che i bambini innocenti meritano un posto sicuro da tutto ciò che può far loro del male in tempi e luoghi di conflitto. Grazie alla dedizione del Children’s Relief Bethlehem, questa istituzione è rimasta un'oasi quieta per i più vulnerabili, e ha brillato come un faro di speranza circa la possibilità che l’amore ha di prevalere sull’odio e la pace sulla violenza.
 
Ai giovani pazienti ed ai membri delle loro famiglie che traggono beneficio dalla vostra assistenza, desidero semplicemente dire: "Il Papa è con voi"! Oggi egli è con voi in persona, ma ogni giorno egli accompagna spiritualmente ciascuno di voi nei suoi pensieri e nelle sue preghiere, chiedendo all'Onnipotente di vegliare su di voi con la sua premurosa attenzione.
 
Padre Schnydrig descrisse questo luogo come "uno dei più piccoli ponti costruiti per la pace". Ora, essendo cresciuto da quattordici brande ad ottanta letti, e curandosi delle necessità di migliaia di bambini ogni anno, questo non è più un ponte piccolo! Esso accoglie insieme persone di origini, lingue e religioni diverse, nel nome del Regno di Dio, il Regno della Pace (cfr Rm 14,17). Di cuore vi incoraggio a perseverare nella vostra missione di manifestare amore per tutti gli ammalati, i poveri e i deboli.
 
In questa Festa di Nostra Signora di Fatima, gradirei concludere invocando l'intercessione di Maria mentre imparto la Benedizione Apostolica ai bambini e a tutti voi.

Preghiamo:
 
Maria, Salute dell'Infermo, Rifugio dei Peccatori, Madre del Redentore: noi ci uniamo alle molte generazioni che ti hanno chiamata "Benedetta". Ascolta i tuoi figli mentre invochiamo il tuo nome. Tu hai promesso ai tre bambini di Fatima: “Alla fine, il mio Cuore Immacolato trionferà". Che così avvenga! Che l’amore trionfi sull’odio, la solidarietà sulla divisione e la pace su ogni forma di violenza! Possa l’amore che hai portato a tuo Figlio insegnarci ad amare Dio con tutto il nostro cuore, con tutte le forze e con tutta l’anima. Che l’Onnipotente ci mostri la sua misericordia, ci fortifichi con il suo potere, e ci ricolmi di ogni bene (cfr Lc 1,46-56). Noi chiediamo al tuo Figlio Gesù di benedire questi bambini e tutti i bambini che soffrono in tutto il mondo. Possano ricevere la salute del corpo, la forza della mente e la pace dell’anima. Ma soprattutto, che sappiano che sono amati con un amore che non conosce confini né limiti: l'amore di Cristo che supera ogni comprensione (cfr Ef 3,19).
Amen.[SM=g1740720]



Dell'opera del Caritas Baby Hospital di Betlemme ci suor Erika Nobs, superiora di questa locale comunità delle Suore Elisabettine Francescane di Padova. L'intervista è di Roberto Piermarini:

R. – Assistiamo i bambini palestinesi che vengono da Betlemme e dalla circoscrizione di Hebron, dalla parte sud del West Bank.
 
D. – Quindi, sono tutti bambini musulmani, la maggior parte?
 
R. – La maggior parte sono bambini musulmani, la stragrande maggioranza: il 90 per cento e anche più.
 
D. – Che rapporto avete con le famiglie musulmane che portano a voi questi bambini?
 
R. – Di solito un buon rapporto: loro sono contenti e grati per il servizio che diamo. Siamo l’unico ospedale ed hanno veramente bisogno di noi. Ed anche per questo sono grati.
 
D. – Cosa curate in particolare?
 
R. – Curiamo tutte le malattie interne e anche tante malattie genetiche, malattie metaboliche, malattie del cuore, dovute al matrimonio tra consanguinei.
 
D. – Quali sono le difficoltà maggiori che incontrate nel vostro lavoro, nell’ospedale?
 
R. – Le difficoltà sono quelle del trasferimento a Gerusalemme, quando un bambino ha bisogno di un intervento chirurgico. E’ una grande difficoltà, perché senza permessi non possono partire. Si devono, poi, coordinare le ambulanze. Una nostra ambulanza deve andare al check-point e dall’altra parte deve venire l’ambulanza da Israele, e questo crea difficoltà, perché i bambini a volte sono molto ammalati, ma devono, in ogni caso, cambiare l’ambulanza.
 
D. – I bambini che voi accogliete nel vostro ospedale, la maggior parte non pagano, non hanno la possibilità di pagare. Ma come va avanti l’ospedale economicamente, avete dei donatori?
 
R. – Noi abbiamo tanti donatori e siamo grati a tutti gli amici che ci aiutano a portare avanti l’opera: amici dall’Italia, amici dalla Germania, dalla Svizzera, dall’Europa e anche altrove. Possiamo veramente fare una buona opera.
 
D. – Suor Erika, perché questa visita del Papa al Caritas Baby Hospital? Come vede lei questa visita?
 R. – Devo dire che siamo tanto contenti di questa visita, di questa sorpresa che ci fa il Santo Padre. Ma io penso che oltre a visitare i luoghi santi, cioè il luogo dove Gesù è nato, lui voglia vedere anche i bambini Gesù viventi, che abbiamo nel nostro ospedale. (Montaggio a cura di Maria Brigini)


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Il Papa al Campo profughi di Aida: tragica la costruzione del muro. Per la pace occorre andare oltre le recriminazioni e rompere il ciclo delle violenze[SM=g1740717] [SM=g1740720]


Esprimo “la mia solidarietà a tutti i Palestinesi senza casa, che bramano di poter tornare ai luoghi natii, o di vivere permanentemente in una patria propria”. Con queste parole il Papa ha salutato i profughi del Campo di Aida dove vivono circa 7 mila persone. Secondo l’Onu i profughi palestinesi sono circa 4 milioni e 600 mila. Nei territori palestinesi gli sfollati sono un milione e 300 mila. L’incontro si è svolto proprio a ridosso del muro di separazione eretto da Israele. Il Pontefice ha sottolineato la sua solidarietà per la sofferenza della popolazione palestinese. “È comprensibile – ha detto - che vi sentiate spesso frustrati. Le vostre legittime aspirazioni ad una patria permanente, ad uno Stato Palestinese indipendente, restano incompiute. E voi, al contrario, vi sentite intrappolati, come molti in questa regione e nel mondo, in una spirale di violenza, di attacchi e contrattacchi, di vendette e di distruzioni continue”.

 Ecco il testo integrale del discorso del Papa:
 
Signor Presidente,
Cari Amici,
 
la mia visita al Campo Profughi di Aida questo pomeriggio mi offre la gradita opportunità di esprimere la mia solidarietà a tutti i Palestinesi senza casa, che bramano di poter tornare ai luoghi natii, o di vivere permanentemente in una patria propria. Grazie, Signor Presidente, per il suo cortese saluto. E grazie anche a Lei, Signora Abu Zayd, e agli altri speaker. A tutti gli ufficiali della United Nations Relief and Works Agency (Agenzia per il soccorso e il sostegno delle Nazioni Unite), che si prendono cura dei profughi, manifesto l’apprezzamento che provano innumerevoli uomini e donne di tutto il mondo per l’opera fatta qui ed in altri campi nella regione.
 
Estendo un saluto particolare ai bambini e agli insegnanti della scuola. Attraverso il vostro impegno nell’educazione esprimete speranza nel futuro. A tutti i giovani qui presenti dico: rinnovate i vostri sforzi per prepararvi al tempo in cui sarete responsabili degli affari del popolo Palestinese negli anni a venire. I genitori hanno qui un ruolo molto importante. A tutte le famiglie presenti in questo campo dico: non mancate di sostenere i vostri figli nei loro studi e nel coltivare i loro doni, così che non vi sia scarsità di personale ben formato per occupare nel futuro posizioni di responsabilità nella comunità Palestinese. So che molte vostre famiglie sono divise – a causa di imprigionamento di membri della famiglia o di restrizioni alla libertà di movimento – e che molti tra voi hanno sperimentato perdite nel corso delle ostilità. Il mio cuore si unisce a quello di coloro che, per tale ragione, soffrono. Siate certi che tutti i profughi Palestinesi nel mondo, specie quelli che hanno perso casa e persone care durante il recente conflitto di Gaza, sono costantemente ricordati nelle mie preghiere.
 
Desidero dare atto del buon lavoro svolto da molte agenzie della Chiesa nel prendersi cura dei profughi qui e in altre parti dei Territori Palestinesi. La Missione Pontificia per la Palestina, fondata circa sessant’anni orsono per coordinare l’assistenza umanitaria cattolica ai rifugiati, continua la propria opera molto necessaria fianco a fianco di altre simili organizzazioni. In questo campo la presenza delle Suore Missionarie Francescane del Cuore Immacolato di Maria richiama alla mente la figura carismatica di san Francesco, grande apostolo di pace e di riconciliazione. A questo proposito, voglio esprimere il mio particolare apprezzamento per l’enorme contributo dato dai diversi membri della Famiglia francescana nel prendersi cura della gente di queste terre, facendo di se stessi “strumenti di pace”, secondo la nota espressione attribuita al Santo di Assisi.
 
Strumenti di pace. Quanto le persone di questo campo, di questi Territori e dell’intera regione anelano alla pace! In questi giorni tale desiderio assume una particolare intensità mentre ricordate gli eventi del maggio del 1948 e gli anni di un conflitto tuttora irrisolto, che seguirono a quegli eventi. Voi ora vivete in condizioni precarie e difficili, con limitate opportunità di occupazione. È comprensibile che vi sentiate spesso frustrati. Le vostre legittime aspirazioni ad una patria permanente, ad uno Stato Palestinese indipendente, restano incompiute. E voi, al contrario, vi sentite intrappolati, come molti in questa regione e nel mondo, in una spirale di violenza, di attacchi e contrattacchi, di vendette e di distruzioni continue. Tutto il mondo desidera fortemente che sia spezzata questa spirale, anela a che la pace metta fine alle perenni ostilità. Incombente su di noi, mentre siamo qui riuniti questo pomeriggio, è la dura consapevolezza del punto morto a cui sembrano essere giunti i contatti tra Israeliani e Palestinesi – il muro.
 
In un mondo in cui le frontiere vengono sempre più aperte – al commercio, ai viaggi, alla mobilità della gente, agli scambi culturali – è tragico vedere che vengono tuttora eretti dei muri. Quanto aspiriamo a vedere i frutti del ben più difficile compito di edificare la pace! Quanto ardentemente preghiamo perché finiscano le ostilità che hanno causato l’erezione di questo muro!
 
Da entrambe le parti del muro è necessario grande coraggio per superare la paura e la sfiducia, se si vuole contrastare il bisogno di vendetta per perdite o ferimenti. Occorre magnanimità per ricercare la riconciliazione dopo anni di scontri armati. E tuttavia la storia ci insegna che la pace viene soltanto quando le parti in conflitto sono disposte ad andare oltre le recriminazioni e a lavorare insieme a fini comuni, prendendo sul serio gli interessi e le preoccupazioni degli altri e cercando decisamente di costruire un’atmosfera di fiducia. Deve esserci una determinazione ad intraprendere iniziative forti e creative per la riconciliazione: se ciascuno insiste su concessioni preliminari da parte dell’altro, il risultato sarà soltanto lo stallo delle trattative.
 
L’aiuto umanitario, come quello che viene offerto in questo campo, ha un ruolo essenziale da svolgere, ma la soluzione a lungo termine ad un conflitto come questo non può essere che politica. Nessuno s’attende che i popoli Palestinese e Israeliano vi arrivino da soli. È vitale il sostegno della comunità internazionale. Rinnovo perciò il mio appello a tutte le parti coinvolte perché esercitino la propria influenza in favore di una soluzione giusta e duratura, nel rispetto delle legittime esigenze di tutte le parti e riconoscendo il loro diritto di vivere in pace e con dignità, secondo il diritto internazionale. Allo stesso tempo, tuttavia, gli sforzi diplomatici potranno avere successo soltanto se gli stessi Palestinesi e Israeliani saranno disposti a rompere con il ciclo delle aggressioni. Mi vengono alla mente le splendide parole attribuite a san Francesco: “Dove c’è odio, che io porti amore; dove c’è l’offesa il perdono…dove c’è tenebra, luce, dove c’è tristezza, gioia”.
 
A ciascuno di voi rinnovo l’invito ad un profondo impegno nel coltivare la pace e la non violenza, seguendo l’esempio di san Francesco e di altri grandi costruttori di pace. La pace deve aver inizio nel proprio ambiente, nella propria famiglia, nel proprio cuore. Continuo a pregare perché tutte le parti in conflitto in questa terra abbiano il coraggio e l’immaginazione di perseguire l’esigente ma indispensabile via della riconciliazione. Possa la pace fiorire ancora una volta in queste terre! Dio benedica il suo popolo con la pace!


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Della situazione del Campo profughi di Aida ci parla padre William Shomali rettore del seminario di Beit Jala, al microfono di Roberto Piermarini:

R. – Il Campo profughi di Aida è uno dei tre campi che si trovano a Betlemme; era un terreno che apparteneva alla popolazione cristiana di Beit Jala. Hanno costruito prima di tutto qualche tenda, all’inizio, nel ’48; dopo hanno costruito delle case che adesso sono come tutte le altre case di Betlemme, quelle più povere, con strade malmesse: le fognature sono spesso inesistenti. La popolazione non arriva a più di sei, sette mila persone, per la maggior parte musulmana eccetto qualche famiglia cristiana che aveva dei terreni là e vi ha costruito.
 
D. – Come vivono queste poche famiglie cristiane all’interno di questo campo profughi, a maggioranza musulmana?
 
R. – Dipende. C’è qualcuno che vive meglio: non sono mendicanti, direi che sono persone normali.
 
D. – Sono in armonia con la comunità musulmana?
 
R. – Direi di sì perché ogni volta che noi cristiani siamo minoritari, non c’è problema. Il problema arriva quando siamo maggioritari, come a Betlemme o in altre città dove il numero è consistente: ma quando siamo un due per cento, non siamo oggetto di minaccia per nessuno.
 
D. – Quali problematiche ci sono all’interno di questo campo di Aida?

 R. – Questa gente vuol ritornare alla sua casa di origine: hanno lasciato la propria terra, la casa, i familiari. Ogni anno la situazione diventa più difficile perché i primi profughi, quelli del ’48, sono quasi tutti morti. Ci sono i figli, ma dopo tre generazioni, la possibilità di ritornare, diventa meno probabile. Dunque, una certa disperazione di ritornare, esiste, sapendo che gli israeliani non vogliono il ritorno dei profughi. Hanno messo questa condizione per qualsiasi soluzione al problema. Forse permetteranno il ritorno dei profughi all’interno dei Territori palestinesi, ma mai all’interno di Israele.
(Montaggio a cura di Maria Brigini)

Fonte: Radio Vaticana



Il Papa ha fatto dono al campo di una somma di danaro per la costruzione di locali per l'istruzione....perchè non hanno neppure questo.... Occhi al cielo

foto dal campo Aida











con il presidente palestinese Abbas (senza uno Stato sic!)





qui dall'ospedale(cattolico) per i Bambini a Betlemme








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