A 200 anni dalla nascita del cardinale G. Massaia, frate cappuccino e missionario

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Caterina63
00sabato 13 giugno 2009 18:13
Duecento anni dalla nascita del cardinale Massaia

Un grande missionario cappuccino


Si sono aperte a Piovà Massaia, in provincia d'Asti, con una messa presieduta dal decano del collegio cardinalizio Angelo Sodano, le celebrazioni per ricordare i duecento anni dalla nascita del cardinale Guglielmo Massaia, grande missionario dell'Etiopia. "Egli non ha voluto solo annunciare la Buona novella di Cristo con la sua vita e la sua parola - ha ricordato il porporato nell'omelia - ma ha consacrato tutta la sua esistenza a portare la luce del Vangelo anche nelle lontane terre africane". I suoi viaggi apostolici lo portarono, infatti, in molte regioni dell'Africa, anche al di fuori dell'Abissinia. È ormai giunta al termine - ha ricordato poi il cardinale - l'indagine della Chiesa sulla vita e le opere di "questo grande apostolo dei tempi moderni". Sodano ha perciò auspicato che "la celebrazione del bicentenario della nascita del nostro grande cardinale ci spinga tutti a pregare perché presto sia anche riconosciuta dalla Chiesa la sua santità eroica". Una preghiera perché il Signore "attraverso anche qualche suo segno straordinario, quali sono i miracoli, voglia guidare la Chiesa a riconoscere presto la santità di questo suo figlio illustre". Numerosissime sono le iniziative in programma fino al prossimo autunno in tutta Italia per ricordare la figura di Massaia:  convegni, incontri di preghiera, mostre, libri. Pubblichiamo la prefazione del cardinale decano a un volume appena uscito (Alessandro Pronzato, Tanta strada sotto quei sandali... Cardinale Guglielmo Massaia un santo dimenticato, Milano, Gribaudi, 2009, pagine 204, euro 13,50) che ne ripercorre l'itinerario umano e spirituale.


di Angelo Sodano, cardinale 

L'8 giugno 1809, a Piovà d'Asti, nasceva il servo di Dio cardinale Guglielmo Massaia. Nel Bicentenario di tale evento, si stanno svolgendo varie iniziative per riproporre alla considerazione della gioventù d'oggi questa grande figura di missionario dei tempi moderni.
Con lo spirito di san Francesco d'Assisi, il Massaia obbedì alla voce del Papa Gregorio XVI, che gli proponeva un'attività apostolica immane in un territorio fino ad allora poco conosciuto.
Confidando nella Provvidenza Divina, egli accettò d'essere inviato in Etiopia, come vicario apostolico dei Galla. Era, per lui, un mondo nuovo, ma, sorretto dalla fede dei santi, iniziò il suo eroico apostolato che doveva durare per ben 35 anni. Si trattò di un'attività missionaria gigantesca, che ancor oggi continua a stupirci. Era quindi giusto far nuovamente conoscere agli uomini d'oggi tale grande opera apostolica.

Con molta soddisfazione, ho quindi salutato l'iniziativa del noto studioso di storia della santità moderna, qual è monsignor Alessandro Pronzato, che ha voluto regalarci una nuova pubblicazione sul cardinale Massaia. È un'opera che ho letto con profondo interesse, ammirando soprattutto lo sforzo nel sottolineare la santità di vita di questo importante apostolo dell'Africa.

In realtà, i numerosi scritti finora apparsi sulla figura di tale leggendario missionario abbondavano nel descrivere le sue caratteristiche di viaggiatore instancabile, di studioso della vita dei popoli, di buon samaritano verso tanti ammalati, di uomo dedito, secondo le circostanze, anche ai lavori più umili per aiutare quelle popolazioni.
Bene ha fatto il nostro biografo nell'insistere sull'anima del suo apostolato, su quel fuoco interiore d'amore per Cristo e per i fratelli, che sempre lo sospingeva sul suo doloroso cammino.

Scorrendo le pagine di tale libro, emerge  chiaramente  la  santità  eroica del cardinale Massaia, come ben leggiamo nella seconda parte della biografia:  "Se questo non è un santo"!

Del resto, la sua santità di vita era ben nota al Papa Leone XIII, il Papa che, nel Concistoro del 10 novembre 1884, aveva voluto esaltare tale intrepido missionario creandolo cardinale di Santa Romana Chiesa e che, poi, alla sua morte, il 6 agosto 1889, aveva esclamato, profondamente commosso:  "È morto un santo!"
Grande fu pure la fama di santità presso i suoi contemporanei. Qui basterebbe ricordare come parlava di lui il suo grande amico, san Daniele Comboni, che conosceva a fondo il Massaia e con il quale collaborò nella ricerca delle vie migliori per l'apostolato missionario in terra africana.

Basterebbe leggere una lettera che il giovane Comboni scrisse da Parigi al rettore dell'istituto Mazza di Verona, il 22 marzo 1865, nella quale vi sono le seguenti espressioni:  "Ho la consolazione di essere qui con un santo uomo, che mi ama come suo figlio e mi circonda di mille premure, e mi fa fino da infermiere. Più che studio e che pratico con questo sant'uomo, più mi comparisce ammirabile... Egli, uomo semplice come l'acqua, ma assai colto, menò la vita più santa, di cui so molti particolari".

Circa la fama di santità di cui godeva in vita il nostro missionario cappuccino, basterebbe pure leggere la testimonianza di san Giustino De Jacobis, il  noto  sacerdote  vincenziano, nominato vicario apostolico per l'Abissinia Superiore e ordinato vescovo dal medesimo cardinale Massaia.

Nei suoi scritti, il De Jacobis parla sovente del "santo prelato", definendolo "uno dei più preziosi monumenti moderni alla carità apostolica", e anche "il sant'Eusebio dei nostri giorni" - alludendo alle gravi sofferenze ed all'esilio che dovette subire il santo vescovo di Vercelli.
Felicemente, quindi, monsignor Pronzato ha voluto sottolineare la santità di vita del Massaia. È stata una grata sorpresa anche per me leggere alcune pagine del libro che hanno il sapore dei Fioretti di san Francesco.

Già conoscevo parecchie testimonianze di altri contemporanei del Massaia. Le aveva ben sintetizzate nel 2003 il cappuccino Antonino Rosso, noto studioso del cardinale Massaia, in un suo scritto dal titolo Evangelizzazione, promozione umana, fama di santità (Pinerolo, 2003).

Con la presente pubblicazione, monsignor Alessandro Pronzato ha contribuito magistralmente a presentarci la statura spirituale di questo grande uomo di Dio, quale fu il Massaia, sia come religioso cappuccino a Torino, che come vescovo missionario di Africa ed infine come cardinale di Santa Romana Chiesa.

Personalmente, poi, in quest'anno in cui commemoriamo i duecento anni dalla sua nascita, ho voluto rileggere le belle pagine delle memorie storiche redatte dal Massaia per ordine del Papa Leone XIII, e recanti il noto titolo:  I miei trentacinque anni di Missione in Alta Etiopia (Roma-Milano, 1885-1895). Ho voluto poi riflettere sugli scritti dei numerosi altri studiosi, di ieri e di oggi, e sono giunto alla stessa conclusione.
In passato, alla causa di canonizzazione del Massaia era forse nociuto che alcuni scrittori l'avessero piuttosto presentato come il viaggiatore, lo scopritore, l'etnologo, il poliglotta, il medico, il diplomatico che trattava con i responsabili dei cinque regni esistenti nel territorio affidatogli e che manteneva poi contatti con le potenze coloniali europee. Gli studi recenti hanno però contribuito a porre in giusta luce la spiritualità del Massaia.

Non rimane perciò che esprimere il voto che presto possiamo anche venerare sugli altari questa grande figura di servo di Dio dei tempi moderni.


(©L'Osservatore Romano - 14 giugno 2009)

Caterina63
00mercoledì 1 luglio 2009 19:23
Duecento anni fa nasceva Guglielmo Massaja, grande missionario in Etiopia

Un illustre conosciuto


di Egidio Picucci

Lunga e interessante la serie delle manifestazioni previste per il bicentenario della nascita del cardinale Guglielmo Massaja (1809-2009), il frate cappuccino che alla metà dell'Ottocento riaprì alla Chiesa il cammino verso l'Etiopia, dopo il fallimento delle missioni gesuitiche, francescane e cappuccine dei secoli XVI e XVII.

Si tratta di uno dei missionari più significativi della Chiesa, considerato dalla storiografia missionaria il maggior evangelizzatore del xix secolo, attuale nell'esempio e nel messaggio evangelico anche per le condizioni ambientali in cui lavorò, per le peripezie dei suoi interminabili viaggi, per la tempra del suo carattere e per quella genialità organizzativa che gli fece intuire e realizzare "una presenza di Chiesa primitiva ma proprio per questo degna dei tempi apostolici per semplicità, essenzialità, nitidezza e aderenza all'indole delle tribù evangelizzate", come ha scritto padre Antonino Rosso che ha passato la vita sui suoi scritti.

A Roma sono stati tenuti due convegni - 11 novembre 2008 e 9-10 giugno 2009 - in cui è stata approfondita la sua spiritualità, la sua produzione letteraria - grammatica della lingua oromo, catechismo bilingue (amara e galla) memorie missionarie - l'ambiente in cui ha svolto l'apostolato, i suoi rapporti con le autorità italiane nella prospettiva di un colonialismo in cui si trovò involontariamente implicato.

Tutto questo rivivrà in una mostra storico-filaletica che si terrà il 3-4 ottobre nella parrocchia Madonna di Campagna, a Torino, affidata ai Cappuccini; in due ulteriori convegni, uno ad Asti il 17 ottobre e l'altro a Torino il 21 novembre; nel film Abuna Messias, il primo documentario sul Massaja, vincitore della Mostra del cinema di Venezia nel 1939 e recentemente restaurato; nel documentario Un illustre conosciuto, realizzato dalla Nova T di Torino.

La sua profonda spiritualità lo sorresse negli otto esili a cui fu condannato; negli anni di solitudine che passò tra villaggi ignoti anche agli esploratori più attenti; nelle pesanti congiunture delle epidemie che decimavano la sua gente (che salvò da un furioso attacco del vaiolo); nelle fatiche apostoliche che gli imponevano di essere vescovo, medico, mercante, architetto, muratore, etnologo, maestro e scrittore, ricercato, onorato, perseguitato e umiliato, giacché, come scrisse lui stesso, "un missionario deve fare almeno due parti:  una di maestro, che è la minima, e l'altra di vittima, in supplemento e continuazione del sacrificio del calvario".

Alla vigilia della morte, avvenuta a San Giorgio a Cremano, in provincia di Napoli, il 6 agosto 1889, scrisse:  "Desidero che si sappia non essere io infine che un povero cappuccino, un missionario di Gesù Cristo; qualunque altra dignità e supposto merito non sono per me che maggiori debiti presso Dio e presso gli uomini. Se inoltre tanti vogliono ammirare, lodare e premiare le deboli fatiche della mia vita apostolica, protesto che non ho mai inteso servire la Chiesa e la patria col fine di piacere a chicchessia, di farmi un nome e procacciarmi onori presso la società, ma solo per adempiere il mio dovere e giovare alle anime redente da Gesù Cristo. Un nome qualunque non sarebbe per me che un bel fiore olezzante per un giorno, ma inutile per l'eternità".

Gli sarà stato utile, invece, aver coinvolto nell'attività il clero formato con seminari ambulanti o avviato a un originale monachesimo etiopico-cattolico, con regola francescana; avere ripristinato il catecumenato per avere cattolici convinti e decisi; avere professato un voto che l'obbligava a restare missionario per sempre "tra figli da rendere migliori nel cuore, accettandoli, compatendoli e pregando per loro qualora fossero cattivi"; avere costruito "prima la Chiesa delle anime che quella di pietra, che altrimenti sarebbe vuota"; avere praticato un pesante digiuno (quasi duecento giorni l'anno) dal quale dispensava gli altri, ma non se stesso; avere scelto di camminare sempre a piedi nudi tra sassi e rovi come la sua gente; avere accettato un lavoro estenuante e prigionie disumane, che tuttavia non gli impedirono di amare "i figli avuti da Dio nella misura in cui ne hanno bisogno".

Quando essi ebbero bisogno di sollievo nelle malattie, fondò ospedaletti primitivi e divenne medico, curando patologie endemiche con sorprendente successo, perché alla medicina occidentale univa le risorse di quella tradizionale, ma soprattutto "una pratica e vivente carità evangelica, perché altro è predicare la carità colla sola parola, altro è predicarla con l'esempio".

Il quotidiano contatto con i copti lo spinse a convivere per qualche tempo con i monaci del Monastero di sant'Antonio nel deserto della Tebaide, "dal quale escono patriarchi e vescovi copti, gettandovi semi di conversione", anticipando così, di oltre un secolo, il Decreto postconciliare sulle Chiese Orientali di Paolo VI, nel quale si permette "per una giusta ragione, la partecipazione a funzioni, cose e luoghi sacri tra cattolici e fratelli separati".

All'indomani dell'arrivo tra i galla, che raggiunse "con tutto il rigore francescano, mendicando di porta in porta un pezzo di pane", intuì che era indispensabile "educare e istruire l'Africa con l'Africa", iniziando l'educazione e l'istruzione della gioventù; auspicando l'apertura di centri adatti a questo "in luoghi facilmente raggiungibili (le coste)" e con mezzi idonei. Non potendo disporre di "mezzi" europei (libri, trattati, saggi) scrisse di proprio pugno manuali scolastici; organizzò corsi di formazione scientifica e compose la grammatica della lingua oromo, meritando gli elogi di alcuni membri della Spedizione geografica italiana, che lo definirono "apostolo di Cristo e scienziato, autore imparziale e sommo maestro delle cose africane".
Proprio perché "apostolo di Cristo", rifiutò categoricamente di mischiare politica e religione. "Il mio sentimento e la mia convinzione - scrisse - fu sempre contraria al sistema di confidare nel favore dei principi, come elemento troppo fragile e troppo misto di passioni per servire di base a un'operazione religiosa, la quale di sua natura deve discendere dall'alto".

Un giorno, ringraziando per le onorificenze che a un certo punto piovvero da varie parti, dichiarò:  "La Croce a cui io avevo qualche diritto, era quella del Calvario pura e netta della quale non sono stato degno".

A quella Croce, tuttavia, il grande missionario rimase sempre attaccato con un amore che alimentò la sua santità, vera e genuina, anche se non modellata sul cliché caro agli uomini (penitenze, miracoli, visioni); una santità che, dopo il Vaticano ii, cominciamo a percepire in tutta la sua grandezza e che, dopo oltre un secolo, si spera di veder proclamata e ufficialmente riconosciuta.

Due santi, invece, Daniele Comboni e Giustino De Jacobis, l'avrebbero canonizzato subito perché "uomo semplice come l'acqua, menò la vita più santa, di cui so molti particolari"; e perché "il solo veduto da me basterebbe per canonizzarlo, se fossi Papa". Leone XIII, apprendendo la notizia della sua morte, esclamò:  "È morto un santo".

Unanime il giudizio dei suoi confratelli missionari, a cui raccomandava di meritarsi "una popolarità nobile e grave":  tutti lo reputarono "pieno di carità operativa e che non trova posa perché il fratello non soffra"; "provvido padre, con tutte le qualità che possono desiderarsi in tali persone"; "un santo vecchio, incurvato più dalle fatiche, dagli stenti, dalle privazioni, dai dispiaceri che non dagli anni".

Questa fama di santità che accompagnò la sua vita "umanamente folle e soprannaturalmente feconda" (Jean-Baptiste Coulbeaux), spinse l'Ordine cappuccino a istituire immediatamente processi informativi, per un'eventuale beatificazione, ad Harar, a Frascati, a Napoli, ad Asti e a Torino. Nel 1993 il cardinale Angelo Sodano, a quel tempo segretario di Stato e astigiano come il Massaja, riavviò un iter che si era bloccato.

La causa è ripresa e tutti si augurano che si concluda presto, riconoscendo ufficialmente le virtù di un missionario che per anni è vissuto "con un pugno di ceci all'uso degli eremiti abissinesi" e che, poco prima di morire, poté scrivere che "tutto il sud dell'Etiopia ha sentito la parola di Dio con cristiani sparsi ovunque:  il resto, poi, giudicherà Dio. Per noi ci basta la sua volontà".



(©L'Osservatore Romano - 2 luglio 2009)

Caterina63
00venerdì 27 maggio 2011 12:31

L'abuna Messias


Cristina Siccardi ha da poco pubblicato per i tipi delle Paolone un saggio dedicato ad una figura luminosa di missionario ed esploratore ottocentesco: il grande cardinale Massaia, il famoso abuna Messias che è stato immortalato in un bel film di Alessandrini del 1939 (coppa Mussolini al Festival di Venezia di quell'anno, per l'implicita esaltazione dell'avventura coloniale in Africa Orientale). Ecco un brano dalla presentazione del libro:

Vocazione precoce, preghiera assidua, Santo Sacrificio come centro della sua vita, il Crocifisso come pilastro, Guglielmo Massaja, frate, missionario, Vescovo, Cardinale, ha lottano fino all’estremo per riuscire a fondare e a consolidare la missione fra la popolazione etiope degli Oromo. Si potrebbe paradossalmente definirlo “martire vivo” questo Homo Dei che non ha fatto nient’altro che eseguire alla lettera gli insegnamenti di Gesù Cristo: «Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo ad ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo, ma chi non crederà sarà condannato. E questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono: nel mio nome scacceranno i demòni, parleranno lingue nuove, prenderanno in mano i serpenti e, se berranno qualche veleno, non recherà loro danno, imporranno le mani ai malati e questi guariranno» . Diciotto volte in punto di morte, eppure la morte lo risparmiò e rimase in vita, là, in Etiopia, sotto le asprezze di un territorio insidioso, sia per la natura in sé, sia per le persecuzioni contro di lui scatenate dalle autorità religiose copte e da quelle civili.

Avrebbe desiderato perire da martire, versare il sangue per Cristo, ma si riteneva indegno di coronare la sua esistenza con la palma del martirio… Visse sempre in estrema umiltà e povertà: il suo saio, nei trentacinque anni di missione, lo confezionava con le proprie mani e non era di panno, bensì di ruvida tela. I suoi modelli erano san Paolo e san Francesco, suoi insegnanti sant’Agostino e san Tommaso e li incarnò tutti e quattro, portando in Africa, in condizioni a volte disperate, la luce del Vangelo. Sacerdote prima di tutto, ma le sue mani, oltre a trasformare il pane e il vino in Corpo e Sangue di Nostro Signore Gesù, erano in grado di diventare anche le mani di un medico, di un farmacista, di un sarto, di un calzolaio, di un falegname… Pioniere missionario, attraverso la sua solida Fede, la sua indefettibile dottrina, le virtù praticate giorno dopo giorno e la Grazia che gli era infusa, ha saputo risolvere situazioni umanamente impossibili ed è per queste ragioni che oggi il nome di Guglielmo Massaja, Servo di Dio, attende di essere inserito fra i santi della Chiesa . «Nessun viaggiatore ed esploratore, nessun missionario  in sette secoli lo ha sorpassato nell’ardimento e nelle difficoltà delle sue peregrinazioni attraverso l’Africa orientale. […] propriamente egli è l’apostolo dell’Etiopia, perché nessuna regione di quella nazione è sfuggita al suo sguardo d’aquila e al suo cuore di apostolo» .
Maestro di religione, di astronomia, di botanica, di zoologia, insegnava ai suoi figli africani l’artigianato che si era industriato ad imparare; infatti considerava l’istruzione ottima strada per guidare le anime alla Fede ed essa stessa favoriva l’istruzione in una sorta di circolo virtuoso, così come è sempre accaduto nella civiltà cristiana, che nel portare la Buona Novella ha garantito la promozione umana.

Attento alle dinamiche della storia, della quale aveva una lettura provvidenziale, guardava con estrema preoccupazione agli europei, imbevuti di positivismo, razionalismo e demagogia, al dilagare delle idee del liberalismo che si stavano impossessando degli Stati e della cultura, agli assalti dell’indifferentismo e dell’ateismo, prodotti da quella che considerava un’equazione: Protestantesimo-razionalismo-ateismo-massoneria. L’ateismo, diceva, era una realtà inconcepibile fra gli indigeni delle tribù etiopi, infatti ai «miei africani» pareva impossibile che esistesse al mondo gente che non credesse in Dio. Sosteneva che l’opera apostolica è opera di secoli, non di un giorno, né di un anno, né di un solo uomo e la pazienza, la costanza e la fedeltà, che ricordano quelle della provata figura biblica di Giobbe  (che significa «perseguitato», «sopporta le avversità»), erano sue compagne quotidiane.


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