ANNO FEDE CICLO DI CATECHESI SUL "CREDO" - da Benedetto XVI ora con Francesco I

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Caterina63
00mercoledì 23 gennaio 2013 15:02
[SM=g1740733]Cari Amici, il Papa ci invita, DOPO IL CICLO SULLA FEDE, a meditare sulla professione di fede, il Credo, quindi apriamo un nuovo thread....

CREDERE IN DIO SULLE ORME DI ABRAMO

Città del Vaticano, 23 gennaio 2013 (VIS). "Io credo in Dio", il primo articolo della professione di fede che accompagna la vita dei credenti è stato il tema della catechesi di Benedetto XVI per l'Udienza Generale del Mercoledì. Questa frase è "un’affermazione fondamentale, apparentemente semplice nella sua essenzialità, ma che apre all’infinito mondo del rapporto con il Signore e con il suo mistero. Credere in Dio implica adesione a Lui, accoglienza della sua Parola e obbedienza gioiosa alla sua rivelazione. 'La fede è un atto personale: è la libera risposta dell’uomo all’iniziativa di Dio che si rivela'. Poter dire di credere in Dio è dunque un dono - Dio si rivela, va incontro a noi - e un impegno, è grazia divina e responsabilità umana, in un’esperienza di dialogo con Dio che, per amore, 'parla agli uomini come ad amici'".

"Dove possiamo ascoltare Dio e la sua parola? Fondamentale - ha detto il Papa - è la Sacra Scrittura" che "parla di fede e ci insegna la fede narrando una storia in cui Dio porta avanti il suo progetto di redenzione e si fa vicino a noi uomini, attraverso tante luminose figure di persone che credono in Lui e a Lui si affidano". Una di esse è il patriarca Abramo, "la prima grande figura di riferimento per parlare di fede in Dio". Abramo che abbandonò la sua terra confidando solo in Dio e nella sua promessa, è considerato il "padre di tutti i credenti". La sua fu "una partenza al buio (...) Ma il buio dell'ignoto - dove Abramo deve andare - è rischiarato dalla luce di una promessa. (...) Perciò Abramo, nel progetto divino, è destinato a diventare 'padre di una moltitudine di popoli' e ad entrare in una nuova terra dove abitare".

"La fede - ha proseguito il Pontefice - conduce Abramo a percorrere un cammino paradossale. Egli sarà benedetto ma senza i segni visibili della benedizione: riceve la promessa di diventare grande popolo, ma con una vita segnata dalla sterilità della moglie Sara; viene condotto in una nuova patria ma vi dovrà vivere come straniero (...)". Tuttavia "Abramo è benedetto perché, nella fede, sa discernere la benedizione divina andando al di là delle apparenze, confidando nella presenza di Dio anche quando le sue vie gli appaiono misteriose".

"Quando affermiamo: 'Io credo in Dio', diciamo come Abramo: 'Mi fido di Te; mi affido a Te, Signore' (...). Dire 'Io credo in Dio' significa fondare su di Lui la mia vita, lasciare che la sua Parola la orienti ogni giorno, nelle scelte concrete, senza paura di perdere qualcosa di me stesso. (...) Abramo, il credente, ci insegna la fede; e, da straniero sulla terra, ci indica la vera patria. La fede ci rende pellegrini sulla terra, inseriti nel mondo e nella storia, ma in cammino verso la patria celeste. Credere in Dio ci rende dunque portatori di valori che spesso non coincidono con la moda e l’opinione del momento (...) In tante nostre società Dio è diventato il 'grande assente' e al suo posto vi sono molti idoli, diversissimi idoli e soprattutto il possesso e l’'io' autonomo. E anche i notevoli e positivi progressi della scienza e della tecnica hanno indotto nell’uomo un’illusione di onnipotenza e di autosufficienza, e un crescente egocentrismo ha creato non pochi squilibri all’interno dei rapporti interpersonali e dei comportamenti sociali".

"Eppure - ha sottolineato il Pontefice - la sete di Dio non si è estinta e il messaggio evangelico continua a risuonare attraverso le parole e le opere di tanti uomini e donne di fede. Abramo, il padre dei credenti, continua ad essere padre di molti figli che accettano di camminare sulle sue orme e si mettono in cammino, in obbedienza alla vocazione divina, confidando nella presenza benevola del Signore e accogliendo la sua benedizione per farsi benedizione per tutti. È il mondo benedetto della fede a cui tutti siamo chiamati, per camminare senza paura seguendo il Signore Gesù Cristo".

"Affermare 'Io credo in Dio' ci spinge, allora, a partire, ad uscire continuamente da noi stessi, proprio come Abramo, per portare nella realtà quotidiana in cui viviamo la certezza che ci viene dalla fede: la certezza, cioè, della presenza di Dio nella storia, anche oggi; una presenza che porta vita e salvezza".

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BENEDETTO XVI

UDIENZA GENERALE

Aula Paolo VI
Mercoledì, 23 gennaio 2013

[Video]

 

"Io credo in Dio"

Cari fratelli e sorelle,

in quest’Anno della fede, vorrei iniziare oggi a riflettere con voi sul Credo, cioè sulla solenne professione di fede che accompagna la nostra vita di credenti. Il Credo comincia così: “Io credo in Dio”. E’ un’affermazione fondamentale, apparentemente semplice nella sua essenzialità, ma che apre all’infinito mondo del rapporto con il Signore e con il suo mistero.

Credere in Dio implica adesione a Lui, accoglienza della sua Parola e obbedienza gioiosa alla sua rivelazione.
Come insegna il Catechismo della Chiesa Cattolica, «la fede è un atto personale: è la libera risposta dell’uomo all’iniziativa di Dio che si rivela» (n. 166). Poter dire di credere in Dio è dunque insieme un dono – Dio si rivela, va incontro a noi – e un impegno, è grazia divina e responsabilità umana, in un’esperienza di dialogo con Dio che, per amore, «parla agli uomini come ad amici» (Dei Verbum, 2), parla a noi affinché, nella fede e con la fede, possiamo entrare in comunione con Lui.

Dove possiamo ascoltare Dio e la sua parola? Fondamentale è la Sacra Scrittura, in cui la Parola di Dio si fa udibile per noi e alimenta la nostra vita di “amici” di Dio. Tutta la Bibbia racconta il rivelarsi di Dio all’umanità; tutta la Bibbia parla di fede e ci insegna la fede narrando una storia in cui Dio porta avanti il suo progetto di redenzione e si fa vicino a noi uomini, attraverso tante luminose figure di persone che credono in Lui e a Lui si affidano, fino alla pienezza della rivelazione nel Signore Gesù.

Molto bello, a questo riguardo, è il capitolo 11 della Lettera agli Ebrei, che abbiamo appena sentito. Qui si parla della fede e si mettono in luce le grandi figure bibliche che l’hanno vissuta, diventando modello per tutti i credenti. Dice il testo nel primo versetto: «La fede è fondamento di ciò che si spera e prova di ciò che non si vede» (11,1). Gli occhi della fede sono dunque capaci di vedere l’invisibile e il cuore del credente può sperare oltre ogni speranza, proprio come Abramo, di cui Paolo dice nella Lettera ai Romani che «credette, saldo nella speranza contro ogni speranza» (4,18).

Ed è proprio su Abramo, che vorrei soffermarmi e soffermare la  nostra attenzione, perché è lui la prima grande figura di riferimento per parlare di fede in Dio: Abramo il grande patriarca, modello esemplare, padre di tutti i credenti (cfr Rm 4,11-12). La Lettera agli Ebrei lo presenta così: «Per fede, Abramo, chiamato da Dio, obbedì partendo per un luogo che doveva ricevere in eredità, e partì senza sapere dove andava. Per fede, egli soggiornò nella terra promessa come in una regione straniera, abitando sotto le tende, come anche Isacco e Giacobbe, coeredi della medesima promessa. Egli aspettava infatti la città dalle salde fondamenta, il cui architetto e costruttore è Dio stesso» (11,8-10).

L’autore della Lettera agli Ebrei fa qui riferimento alla chiamata di Abramo, narrata nel Libro della Genesi, il primo libro della Bibbia. Che cosa chiede Dio a questo patriarca? Gli chiede di partire abbandonando la propria terra per andare verso il paese che gli mostrerà, «Vattene dalla tua terra, dalla tua parentela e dalla casa di tuo padre, verso la terra che io ti indicherò» (Gen 12,1). Come avremmo risposto noi a un invito simile? Si tratta, infatti, di una partenza al buio, senza sapere dove Dio lo condurrà; è un cammino che chiede un’obbedienza e una fiducia radicali, a cui solo la fede consente di accedere. Ma il buio dell’ignoto – dove Abramo deve andare – è rischiarato dalla luce di una promessa; Dio aggiunge al comando una parola rassicurante che apre davanti ad Abramo un futuro di vita in pienezza: «Farò di te una grande nazione e ti benedirò, renderò grande il tuo nome… e in te si diranno benedette tutte le famiglie della terra» (Gen 12,2.3).

La benedizione, nella Sacra Scrittura, è collegata primariamente al dono della vita che viene da Dio e si manifesta innanzitutto nella fecondità, in una vita che si moltiplica, passando di generazione in generazione. E alla benedizione è collegata anche l’esperienza del possesso di una terra, di un luogo stabile in cui vivere e crescere in libertà e sicurezza, temendo Dio e costruendo una società di uomini fedeli all’Alleanza, «regno di sacerdoti e nazione santa» (cfr. Es 19,6).

Perciò Abramo, nel progetto divino, è destinato a diventare «padre di una moltitudine di popoli» (Gen 17,5; cfr Rm 4,17-18) e ad entrare in una nuova terra dove abitare. Eppure Sara, sua moglie, è sterile, non può avere figli; e il paese verso cui Dio lo conduce è lontano dalla sua terra d’origine, è già abitato da altre popolazioni, e non gli apparterrà mai veramente. Il narratore biblico lo sottolinea, pur con molta discrezione: quando Abramo giunge nel luogo della promessa di Dio: «nel paese si trovavano allora i Cananei» (Gen 12,6).
La terra che Dio dona ad Abramo non gli appartiene, egli è uno straniero e tale resterà sempre, con tutto ciò che questo comporta: non avere mire di possesso, sentire sempre la propria povertà, vedere tutto come dono.

Questa è anche la condizione spirituale di chi accetta di seguire il Signore, di chi decide di partire accogliendo la sua chiamata, sotto il segno della sua invisibile ma potente benedizione. E Abramo, “padre dei credenti”, accetta questa chiamata, nella fede. Scrive san Paolo nella Lettera ai Romani: «Egli credette, saldo nella speranza contro ogni speranza, e così divenne padre di molti popoli, come gli era stato detto: Così sarà la tua discendenza. Egli non vacillò nella fede, pur vedendo già come morto il proprio corpo – aveva circa cento anni – e morto il seno di Sara. Di fronte alla promessa di Dio non esitò per incredulità, ma si rafforzò nella fede e diede gloria a Dio, pienamente convinto che quanto egli aveva promesso era anche capace di portarlo a compimento»(Rm 4,18-21).

La fede conduce Abramo a percorrere un cammino paradossale. Egli sarà benedetto ma senza i segni visibili della benedizione: riceve la promessa di diventare grande popolo, ma con una vita segnata dalla sterilità della moglie Sara; viene condotto in una nuova patria ma vi dovrà vivere come straniero; e l’unico possesso della terra che gli sarà consentito sarà quello di un pezzo di terreno per seppellirvi Sara (cfr Gen 23,1-20). Abramo è benedetto perché, nella fede, sa discernere la benedizione divina andando al di là delle apparenze, confidando nella presenza di Dio anche quando le sue vie gli appaiono misteriose.

Che cosa significa questo per noi? Quando affermiamo: “Io credo in Dio”, diciamo come Abramo: “Mi fido di Te; mi affido a Te, Signore”, ma non come a Qualcuno a cui ricorrere solo nei momenti di difficoltà o a cui dedicare qualche momento della giornata o della settimana. Dire “Io credo in Dio” significa fondare su di Lui la mia vita, lasciare che la sua Parola la orienti ogni giorno, nelle scelte concrete, senza paura di perdere qualcosa di me stesso. Quando, nel Rito del Battesimo, per tre volte viene richiesto: “Credete?” in Dio, in Gesù Cristo, nello Spirito Santo, la santa Chiesa Cattolica e le altre verità di fede, la triplice risposta è al singolare: “Credo”, perché è la mia esistenza personale che deve ricevere una svolta con il dono della fede, è la mia esistenza che deve cambiare, convertirsi.  Ogni volta che partecipiamo ad un Battesimo dovremmo chiederci come viviamo quotidianamente il grande dono della fede.

Abramo, il credente, ci insegna la fede; e, da straniero sulla terra, ci indica la vera patria. La fede ci rende pellegrini sulla terra, inseriti nel mondo e nella storia, ma in cammino verso la patria celeste. Credere in Dio ci rende dunque portatori di valori che spesso non coincidono con la moda e l’opinione del momento, ci chiede di adottare criteri e assumere comportamenti che non appartengono al comune modo di pensare.

[SM=g1740733] Il cristiano non deve avere timore di andare “controcorrente” per vivere la propria fede, resistendo alla tentazione di “uniformarsi”. In tante nostre società Dio è diventato il “grande assente” e al suo posto vi sono molti idoli, diversissimi idoli e soprattutto il possesso e l’”io” autonomo. E anche i notevoli e positivi progressi della scienza e della tecnica hanno indotto nell’uomo un’illusione di onnipotenza e di autosufficienza, e un crescente egocentrismo ha creato non pochi squilibri all’interno dei rapporti interpersonali e dei comportamenti sociali.

Eppure, la sete di Dio (cfr. Sal 63,2) non si è estinta e il messaggio evangelico continua a risuonare attraverso le parole e le opere di tanti uomini e donne di fede. Abramo, il padre dei credenti, continua ad essere padre di molti figli che accettano di camminare sulle sue orme e si mettono in cammino, in obbedienza alla vocazione divina, confidando nella presenza benevola del Signore e accogliendo la sua benedizione per farsi benedizione per tutti. È il mondo benedetto della fede a cui tutti siamo chiamati, per camminare senza paura seguendo il Signore Gesù Cristo. Ed è un cammino talvolta difficile, che conosce anche la prova e la morte, ma che apre alla vita, in una trasformazione radicale della realtà che solo gli occhi della fede sono in grado di vedere e gustare in pienezza.

Affermare “Io credo in Dio” ci spinge, allora, a partire, ad uscire continuamente da noi stessi, proprio come Abramo, per portare nella realtà quotidiana in cui viviamo la certezza che ci viene dalla fede: la certezza, cioè, della presenza di Dio nella storia, anche oggi; una presenza che porta vita e salvezza, e ci apre ad un futuro con Lui per una pienezza di vita che non conoscerà mai tramonto. 


Saluti:



APPELLO

Seguo con preoccupazione le notizie giunte dall’Indonesia, dove una grande alluvione ha devastato la capitale Giacarta, provocando vittime, migliaia di sfollati e ingenti danni. Desidero esprimere la mia vicinanza alle popolazioni colpite da questa calamità naturale, assicurando la mia preghiera e incoraggiando alla solidarietà affinché a nessuno manchi il necessario soccorso.

* * *

Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. Saluto le religiose, gli studenti e i gruppi parrocchiali. Saluto in particolare i fedeli di Frazzanò, accompagnati dal Vescovo di Patti, Mons. Ignazio Zambito, in occasione dell’Anno Giubilare per l’anniversario della morte del monaco San Lorenzo, vostro patrono. A tutti l’auspicio che la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani stimoli in ogni comunità l’impegno a chiedere con insistenza al Signore il dono dell’unità e a vivere la comunione fraterna.

Infine, un pensiero affettuoso ai giovani, ai malati e agli sposi novelli. Venerdì prossimo celebreremo la Festa della Conversione di San Paolo. Cari giovani, l’Apostolo Paolo sia per voi modello di integrità di vita e di radicalità nella fede. Cari ammalati, offrite le vostre sofferenze per la causa dell’unità della Chiesa di Cristo. E voi, cari sposi novelli, ispiratevi alla vita dell’Apostolo delle genti, riconoscendo il primato a Dio e al suo amore nella vostra vita familiare. Grazie e auguri a tutti voi.





[SM=g1740757]

Caterina63
00martedì 29 gennaio 2013 11:42
[SM=g1740733] - Annus Fidei Benedetto XVI spiega Credo la Chiesa una santa cattolica ed apostolica

Il santo Padre ha iniziato, in questo Anno della Fede, un nuovo ciclo di Catechesi sul Credo, dopo aver concluso quello sulla Fede.
Vi proponiamo le sue parole su: "Credo la Chiesa una, santa cattolica ed apostolica" unite alle schede del Compendio del Catechismo come maggior riflessione.
www.gloria.tv/?media=391960


Vi ricordiamo che abbiamo inserito una serie sul contenuto del Catechismo e che troverete in questi collegamenti:

1. www.gloria.tv/?media=342663 insegnamento
2. www.gloria.tv/?media=343572 tradizione
3. www.gloria.tv/?media=344261 la fede
4. www.gloria.tv/?media=344798 Maria Santissima
5. www.gloria.tv/?media=345708 Formule della Fede
6. www.gloria.tv/?media=346526 Inferno
7. www.gloria.tv/?media=347752 Purgatorio Paradiso
8. www.gloria.tv/?media=348890 Pater Noster
9. www.gloria.tv/?media=357546 Breve storia del Catechismo
10. www.gloria.tv/?media=362646 Marta e Maria - attivismo e ascolto la Preghiera
11. www.gloria.tv/?media=366858 Gli Angeli nel Compendio e nel Magistero


Movimento Domenicano del Rosario
www.sulrosario.org
info@sulrosario.org





[SM=g1740720]

[SM=g1740771]

Caterina63
00mercoledì 30 gennaio 2013 15:03
[SM=g1740758] BENEDETTO XVI: UDIENZA, “OGGI NON È FACILE PARLARE DI PATERNITÀ” - 30.1.2013

“Non è sempre facile oggi parlare di paternità”.
Lo ha detto il Papa, che nella catechesi dell’udienza generale di oggi si è soffermato sull’affermazione “Dio è il Padre”, contenuta nel Credo.
“Le famiglie disgregate, gli impegni di lavoro sempre più assorbenti, le preoccupazioni e spesso la fatica di far quadrare i bilanci familiari, l’invasione distraente dei mass media all’interno del vivere quotidiano”: sono questi, per Benedetto XVI, “alcuni tra i molti fattori che possono impedire un sereno e costruttivo rapporto tra padri e figli”.
Così, “la comunicazione si fa a volte difficile, la fiducia viene meno e il rapporto con la figura paterna può diventare problematico; e problematico diventa anche immaginare Dio come un padre, non avendo modelli adeguati di riferimento”.
“Per chi ha fatto esperienza di un padre troppo autoritario e inflessibile, o indifferente e poco affettuoso, o addirittura assente - ha ammesso il Papa - non è facile pensare con serenità a Dio come Padre e abbandonarsi a Lui con fiducia”.
Ma la rivelazione biblica “aiuta a superare queste difficoltà”, e “soprattutto il Vangelo” ci rivela il volto di Dio “come Padre che ama fino al dono del proprio Figlio per la salvezza dell’umanità”.

Benedetto XVI ha quindi rilevato che Dio - come rivela Gesù – “è il Padre che nutre gli uccelli del cielo senza che essi debbano seminare e mietere, e riveste di colori meravigliosi i fiori dei campi, con vesti più belle di quelle del re Salomone (cfr Mt 6,26-32; Lc 12,24-28); e noi – aggiunge Gesù - valiamo ben più dei fiori e degli uccelli del cielo! E se Egli è così buono da far «sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e … piovere sui giusti e sugli ingiusti» (Mt 5,45), potremo sempre, senza paura e con totale fiducia, affidarci al suo perdono di Padre quando sbagliamo strada. Dio è un Padre buono che accoglie e abbraccia il figlio perduto e pentito (cfr Lc 15,11ss), dona gratuitamente a coloro che chiedono (cfr Mt 18,19; Mc 11,24; Gv 16,23) e offre il pane del cielo e l’acqua viva che fa vivere in eterno (cfr Gv 6,32.51.58). Perciò l’orante del Salmo 27, circondato dai nemici, assediato da malvagi e calunniatori, mentre cerca aiuto dal Signore e lo invoca, può dare la sua testimonianza piena di fede affermando: «Mio padre e mia madre mi hanno abbandonato, ma il Signore mi ha raccolto» (v. 10). Dio è un Padre che non abbandona mai i suoi figli, un Padre amorevole che sorregge, aiuta, accoglie, perdona, salva, con una fedeltà che sorpassa immensamente quella degli uomini, per aprirsi a dimensioni di eternità. «Perché il suo amore è per sempre», come continua a ripetere in modo litanico, ad ogni versetto, il Salmo 136 ripercorrendo la storia della salvezza. L’amore di Dio Padre non viene mai meno, non si stanca di noi; è amore che dona fino all’estremo, fino al sacrificio del Figlio. La fede ci dona questa certezza, che diventa una roccia sicura nella costruzione della nostra vita: noi possiamo affrontare tutti i momenti di difficoltà e di pericolo, l’esperienza del buio della crisi e del tempo del dolore, sorretti dalla fiducia che Dio non ci lascia soli ed è sempre vicino, per salvarci e portarci alla vita eterna”.

“È nel Signore Gesù – ha aggiunto il Papa - che si mostra in pienezza il volto benevolo del Padre che è nei cieli. È conoscendo Lui che possiamo conoscere anche il Padre (cfr Gv 8,19; 14,7), è vedendo Lui che possiamo vedere il Padre, perché Egli è nel Padre e il Padre è in Lui (cfr Gv 14,9.11). Egli è «immagine del Dio invisibile» come lo definisce l’inno della Lettera ai Colossesi, «primogenito di tutta la creazione… primogenito di quelli che risorgono dai morti», «per mezzo del quale abbiamo la redenzione, il perdono dei peccati» e la riconciliazione di tutte le cose, «avendo pacificato con il sangue della sua croce sia le cose che stanno sulla terra, sia quelle che stanno nei cieli» (cfr Col 1,13-20)”.

Il Papa ha poi osservato che “la fede in Dio Padre chiede di credere nel Figlio, sotto l’azione dello Spirito, riconoscendo nella Croce che salva lo svelarsi definitivo dell’amore divino. Dio ci è Padre dando il suo Figlio per noi; Dio ci è Padre perdonando il nostro peccato e portandoci alla gioia della vita risorta; Dio ci è Padre donandoci lo Spirito che ci rende figli e ci permette di chiamarlo, in verità, «Abbà, Padre» (cfr Rm 8,15). Perciò Gesù, insegnandoci a pregare, ci invita a dire “Padre nostro” (Mt 6,9-13; cfr Lc 11,2-4). La paternità di Dio, allora, è amore infinito, tenerezza che si china su di noi, figli deboli, bisognosi di tutto. Il Salmo 103, il grande canto della misericordia divina, proclama: «Come è tenero un padre verso i figli, così il Signore è tenero verso coloro che lo temono, perché egli sa bene di che siamo plasmati, ricorda che noi siamo polvere» (vv. 13-14). E’ proprio la nostra piccolezza, la nostra debole natura umana, la nostra fragilità che diventa appello alla misericordia del Signore perché manifesti la sua grandezza e tenerezza di Padre aiutandoci, perdonandoci e salvandoci. E Dio risponde al nostro appello, inviando il suo Figlio, che muore e risorge per noi; entra nella nostra fragilità e opera ciò che da solo l’uomo non avrebbe mai potuto operare: prende su di Sé il peccato del mondo, come agnello innocente, e ci riapre la strada verso la comunione con Dio, ci rende veri figli di Dio. È lì, nel Mistero pasquale, che si rivela in tutta la sua luminosità il volto definitivo del Padre. Ed è lì, sulla Croce gloriosa, che avviene la manifestazione piena della grandezza di Dio come “Padre onnipotente”.

Il Papa pone una domanda: “come è possibile pensare a un Dio onnipotente guardando alla Croce di Cristo, a questo potere del male che arriva fino ad uccidere il Figlio di Dio? Noi vorremmo certamente un’onnipotenza divina secondo i nostri schemi mentali e i nostri desideri: un Dio “onnipotente” che risolva i problemi, che intervenga per evitarci ogni difficoltà, che vinca le potenze avverse, cambi il corso degli eventi e annulli il dolore. Così che oggi diversi teologi dicono che Dio non può essere onnipotente altrimenti non ci sarebbero tanta sofferenza, tanto male nel mondo. In realtà,davanti al male e alla sofferenza, per molti, per noi, diventa problematico, difficile, credere in un Dio Padre e crederlo onnipotente; alcuni cercano rifugio in idoli, cedendo alla tentazione di trovare risposta in una presunta onnipotenza “magica” e nelle sue illusorie promesse. Ma la fede in Dio onnipotente ci spinge a percorrere sentieri ben differenti: imparare a capire che il pensiero di Dio è diverso dal nostro, che le vie di Dio sono diverse dalle nostre (cfr Is 55,8) e anche la sua onnipotenza è diversa: non si esprime come forza automatica o arbitraria, ma è segnata da una libertà amorosa e paterna. In realtà, Dio creando creature libere, dando libertà, ha rinunciato a uan aprte del suo potere lasciando il potere della nostra libertà: così ama e rispetta la risposta libera di amore alla sua chiamata. Come Padre, Egli desidera che noi diventiamo suoi figli, col cuore, e viviamo come tali nel suo Figlio, in comunione, in piena familiarità con Lui. La sua onnipotenza non si esprime con la violenza, non si esprime nella distruzione del potere avverso come noi desidereremmo, ma si esprime nell’amore, nella misericordia, nel perdono, nell'accettare la nostra libertà e nell’instancabile appello alla conversione del cuore, in un atteggiamento solo apparentemente debole: Dio sembra debole se vediamo Gesù Cristo che prega, ci invita, che si fa uccidere, un atteggiamento apparentemente debole, fatto di pazienza, di mitezza e di amore: dimostra che questo è il vero modi di esprimere il potere ... questa è la potenza di Dio: e questo vincerà. Il saggio del Libro della Sapienza così si rivolge a Dio: «Hai compassione di tutti, perché tutto puoi - L'onnipotenza di Dio, aggiunge il Papa a braccio, ha come effetto che ha compassione di tutti! - chiudi gli occhi sui peccati degli uomini, aspettando il loro pentimento. Tu infatti ami tutte le cose che esistono… Tu sei indulgente con tutte le cose, perché sono tue, Signore, amante della vita» (11,23-24a.26)”.

“Solo chi è davvero potente – ha affermato - può sopportare il male e mostrarsi compassionevole; solo chi è davvero potente può esercitare pienamente la forza dell’amore. E Dio, a cui appartengono tutte le cose perché tutto è stato fatto da Lui, rivela la sua forza amando tutto e tutti, nella paziente attesa della conversione di noi uomini, che desidera avere come figli. Dio aspetta la nostra conversione. L’amore onnipotente di Dio non conosce limiti, tanto che «non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha consegnato per tutti noi» (Rm 8,32). L’onnipotenza dell’amore non è quella del potere del mondo, ma è quella del dono totale, e Gesù, il Figlio di Dio, rivela al mondo la vera onnipotenza del Padre dando la vita per noi peccatori. Ecco la vera, autentica e perfetta potenza divina: rispondere al male non col male ma con il bene, agli insulti con il perdono, all’odio omicida con l’amore che fa vivere. Allora il male è davvero vinto, perché lavato dall’amore di Dio; allora la morte è definitivamente sconfitta perché trasformata in dono della vita. Dio Padre risuscita il Figlio: la morte, la grande nemica (cfr 1 Cor 15,26), è inghiottita e privata del suo veleno (cfr 1 Cor 15,54-55), e noi, liberati dal peccato, possiamo accedere alla nostra realtà di figli di Dio. Quindi, quando diciamo “Io credo in Dio Padre onnipotente”, noi esprimiamo la nostra fede nella potenza d’amore di Dio che nel suo Figlio morto e risorto sconfigge l’odio, il male, il peccato e ci apre alla vita eterna, quella dei figli che desiderano essere per sempre nella “Casa del Padre”. Dire 'Credo in Dio Padre onnipotente', nella sua potenza, nel suo modo di essere padre è ... un atto di fede, di conversione, di trasformazione del nostro pensiero, del nostro affetto, di tutto il nostro modo di vivere.

Il Papa ha concluso: “Cari fratelli e sorelle, chiediamo al Signore di sostenere la nostra fede e di aiutarci a trovare veramente la fede e di darci la forza di annunciare Cristo crocifisso e risorto e di testimoniarlo nell’amore a Dio e al prossimo. E Dio ci conceda di accogliere il dono della nostra filiazione, per vivere in pienezza le realtà del Credo, nell’abbandono fiducioso all’amore del Padre e alla sua misericordiosa onnipotenza, che è la vera onnipotenza e salva”.

Al termine dell’udienza generale il Papa ha salutato i pellegrini italiani, tra cui i vescovi amici del Movimento dei Focolari. Rivolgendosi ai fedeli giunti da Potenza guidati dal loro vescovo, mons. Agostino Superbo, ha sottolineato la necessità di “dedicare ogni sforzo perché sia curata, ugualmente nelle città come nei centri minori, una solida istruzione religiosa, perché tutti siano preparati a ricevere con frutto i Sacramenti, indispensabile nutrimento della crescita nella fede”. Queste le sue parole:

"Rivolgo un cordiale pensiero ai pellegrini di lingua italiana. In particolare, saluto i Vescovi amici del Movimento dei Focolari. Cari Confratelli, insieme con voi saluto anche quanti parteciperanno agli incontri organizzati in diverse regioni del mondo. Assicurando la mia preghiera, auspico che il carisma dell’unità a voi particolarmente caro, possa sostenervi e animarvi nel vostro ministero apostolico. Saluto i fedeli dell’Arcidiocesi di Potenza-Muro Lucano-Marsiconuovo, accompagnati dal loro Pastore Mons. Agostino Superbo. Cari amici, continuate a dedicare ogni sforzo perché sia curata, ugualmente nelle città come nei centri minori, una solida istruzione religiosa, perché tutti siano preparati a ricevere con frutto i Sacramenti, indispensabile nutrimento della crescita nella fede. La presenza a questo incontro delle Autorità civili della Basilicata, alle quali rivolgo un deferente saluto, mi offre l’opportunità di esprimere la mia viva riconoscenza a quanti si sono prodigati per l’allestimento del suggestivo presepio, collocato in questa Piazza, che è stato ammirato dai numerosi pellegrini, quale espressione dell’arte lucana.

Mi rivolgo, infine, ai giovani, ai malati e agli sposi novelli. Ricorre domani la memoria liturgica di san Giovanni Bosco, sacerdote ed educatore. Guardate a lui, cari giovani, come a un autentico maestro di vita. Voi, cari ammalati, apprendete dalla sua esperienza spirituale a confidare in ogni circostanza in Cristo crocifisso. E voi, cari sposi novelli, ricorrete alla sua intercessione per vivere con impegno generoso la vostra missione di sposi".

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 CATECHESI DEL SANTO PADRE IN LINGUA ITALIANA

Cari fratelli e sorelle,

nella catechesi di mercoledì scorso ci siamo soffermati sulle parole iniziali del Credo: "Io credo in Dio". Ma la professione di fede specifica questa affermazione: Dio è il Padre onnipotente, Creatore del cielo e della terra. Vorrei dunque riflettere ora con voi sulla prima, fondamentale definizione di Dio che il Credo ci presenta: Egli è Padre.

Non è sempre facile oggi parlare di paternità. Soprattutto nel mondo occidentale, le famiglie disgregate, gli impegni di lavoro sempre più assorbenti, le preoccupazioni e spesso la fatica di far quadrare i bilanci familiari, l’invasione distraente dei mass media all’interno del vivere quotidiano sono alcuni tra i molti fattori che possono impedire un sereno e costruttivo rapporto tra padri e figli. La comunicazione si fa a volte difficile, la fiducia viene meno e il rapporto con la figura paterna può diventare problematico; e problematico diventa così anche immaginare Dio come un padre, non avendo modelli adeguati di riferimento. Per chi ha fatto esperienza di un padre troppo autoritario ed inflessibile, o indifferente e poco affettuoso, o addirittura assente, non è facile pensare con serenità a Dio come Padre e abbandonarsi a Lui con fiducia.

Ma la rivelazione biblica aiuta a superare queste difficoltà parlandoci di un Dio che ci mostra che cosa significhi veramente essere "padre"; ed è soprattutto il Vangelo che ci rivela questo volto di Dio come Padre che ama fino al dono del proprio Figlio per la salvezza dell’umanità. Il riferimento alla figura paterna aiuta dunque a comprendere qualcosa dell’amore di Dio che però rimane infinitamente più grande, più fedele, più totale di quello di qualsiasi uomo. «Chi di voi, – dice Gesù per mostrare ai discepoli il volto del Padre – al figlio che gli chiede un pane, darà una pietra? E se gli chiede un pesce, gli darà una serpe? Se voi, dunque, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro che è nei cieli darà cose buone a quelli che gliele chiedono» (Mt 7,9-11; cfr Lc 11,11-13). Dio ci è Padre perché ci ha benedetti e scelti prima della creazione del mondo (cfr Ef 1,3-6), ci ha resi realmente suoi figli in Gesù (cfr 1Gv 3,1). E, come Padre, Dio accompagna con amore la nostra esistenza, donandoci la sua Parola, il suo insegnamento, la sua grazia, il suo Spirito.

Egli - come rivela Gesù - è il Padre che nutre gli uccelli del cielo senza che essi debbano seminare e mietere, e riveste di colori meravigliosi i fiori dei campi, con vesti più belle di quelle del re Salomone (cfr Mt 6,26-32; Lc 12,24-28); e noi – aggiunge Gesù - valiamo ben più dei fiori e degli uccelli del cielo! E se Egli è così buono da far «sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e … piovere sui giusti e sugli ingiusti» (Mt 5,45), potremo sempre, senza paura e con totale fiducia, affidarci al suo perdono di Padre quando sbagliamo strada. Dio è un Padre buono che accoglie e abbraccia il figlio perduto e pentito (cfr Lc 15,11ss), dona gratuitamente a coloro che chiedono (cfr Mt 18,19; Mc 11,24; Gv 16,23) e offre il pane del cielo e l’acqua viva che fa vivere in eterno (cfr Gv 6,32.51.58).

Perciò l’orante del Salmo 27, circondato dai nemici, assediato da malvagi e calunniatori, mentre cerca aiuto dal Signore e lo invoca, può dare la sua testimonianza piena di fede affermando: «Mio padre e mia madre mi hanno abbandonato, ma il Signore mi ha raccolto» (v. 10). Dio è un Padre che non abbandona mai i suoi figli, un Padre amorevole che sorregge, aiuta, accoglie, perdona, salva, con una fedeltà che sorpassa immensamente quella degli uomini, per aprirsi a dimensioni di eternità. «Perché il suo amore è per sempre», come continua a ripetere in modo litanico, ad ogni versetto, il Salmo 136 ripercorrendo la storia della salvezza. L’amore di Dio Padre non viene mai meno, non si stanca di noi; è amore che dona fino all’estremo, fino a sacrificio del Figlio. La fede ci dona questa certezza, che diventa una roccia sicura nella costruzione della nostra vita: noi possiamo affrontare tutti i momenti di difficoltà e di pericolo, l’esperienza del buio della crisi e del tempo del dolore, sorretti dalla fiducia che Dio non ci lascia soli ed è sempre vicino, per salvarci e portarci alla vita eterna.

È nel Signore Gesù che si mostra in pienezza il volto benevolo del Padre che è nei cieli. È conoscendo Lui che possiamo conoscere anche il Padre (cfr Gv 8,19; 14,7), è vedendo Lui che possiamo vedere il Padre, perché Egli è nel Padre e il Padre è in Lui (cfr Gv 14,9.11). Egli è «immagine del Dio invisibile» come lo definisce l’inno della Lettera ai Colossesi, «primogenito di tutta la creazione… primogenito di quelli che risorgono dai morti», «per mezzo del quale abbiamo la redenzione, il perdono dei peccati» e la riconciliazione di tutte le cose, «avendo pacificato con il sangue della sua croce sia le cose che stanno sulla terra, sia quelle che stanno nei cieli» (cfr Col 1,13-20).

La fede in Dio Padre chiede di credere nel Figlio, sotto l’azione dello Spirito, riconoscendo nella Croce che salva lo svelarsi definitivo dell’amore divino. Dio ci è Padre dandoci il suo Figlio; Dio ci è Padre perdonando il nostro peccato e portandoci alla gioia della vita risorta; Dio ci è Padre donandoci lo Spirito che ci rende figli e ci permette di chiamarlo, in verità, «Abbà, Padre» (cfr Rm 8,15). Perciò Gesù, insegnandoci a pregare, ci invita a dire "Padre nostro" (Mt 6,9-13; cfr Lc 11,2-4).

La paternità di Dio, allora, è amore infinito, tenerezza che si china su di noi, figli deboli, bisognosi di tutto. Il Salmo 103, il grande canto della misericordia divina, proclama: «Come è tenero un padre verso i figli, così il Signore è tenero verso coloro che lo temono, perché egli sa bene di che siamo plasmati, ricorda che noi siamo polvere» (vv. 13-14). E’ proprio la nostra piccolezza, la nostra debole natura umana, la nostra fragilità che diventa appello alla misericordia del Signore perché manifesti la sua grandezza e tenerezza di Padre aiutandoci, perdonandoci e salvandoci.

E Dio risponde al nostro appello, inviando il suo Figlio, che muore e risorge per noi; entra nella nostra fragilità e opera ciò che da solo l’uomo non avrebbe mai potuto operare: prende su di Sé il peccato del mondo, come agnello innocente, e ci riapre la strada verso la comunione con Dio, ci rende veri figli di Dio. È lì, nel Mistero pasquale, che si rivela in tutta la sua luminosità il volto definitivo del Padre. Ed è lì, sulla Croce gloriosa, che avviene la manifestazione piena della grandezza di Dio come "Padre onnipotente".

Ma potremmo chiederci: come è possibile pensare a un Dio onnipotente guardando alla Croce di Cristo? A questo potere del male, che arriva fino al punto di uccidere il Figlio di Dio? Noi vorremmo certamente un’onnipotenza divina secondo i nostri schemi mentali e i nostri desideri: un Dio "onnipotente" che risolva i problemi, che intervenga per evitarci le difficoltà, che vinca le potenze avverse, cambi il corso degli eventi e annulli il dolore. Così, oggi diversi teologi dicono che Dio non può essere onnipotente altrimenti non potrebbe esserci così tanta sofferenza, tanto male nel mondo. In realtà, davanti al male e alla sofferenza, per molti, per noi, diventa problematico, difficile, credere in un Dio Padre e crederlo onnipotente; alcuni cercano rifugio in idoli, cedendo alla tentazione di trovare risposta in una presunta onnipotenza "magica" e nelle sue illusorie promesse.

Ma la fede in Dio onnipotente ci spinge a percorrere sentieri ben differenti: imparare a conoscere che il pensiero di Dio è diverso dal nostro, che le vie di Dio sono diverse dalle nostre (cfr Is 55,8) e anche la sua onnipotenza è diversa: non si esprime come forza automatica o arbitraria, ma è segnata da una libertà amorosa e paterna. In realtà, Dio, creando creature libere, dando libertà, ha rinunciato a una parte del suo potere, lasciando il potere della nostra libertà. Così Egli ama e rispetta la risposta libera di amore alla sua chiamata. Come Padre, Dio desidera che noi diventiamo suoi figli e viviamo come tali nel suo Figlio, in comunione, in piena familiarità con Lui. La sua onnipotenza non si esprime nella violenza, non si esprime nella distruzione di ogni potere avverso come noi desideriamo, ma si esprime nell’amore, nella misericordia, nel perdono, nell’accettare la nostra libertà e nell’instancabile appello alla conversione del cuore, in un atteggiamento solo apparentemente debole – Dio sembra debole, se pensiamo a Gesù Cristo che prega, che si fa uccidere. Un atteggiamento apparentemente debole, fatto di pazienza, di mitezza e di amore, dimostra che questo è il vero modo di essere potente! Questa è la potenza di Dio! E questa potenza vincerà! Il saggio del Libro della Sapienza così si rivolge a Dio: «Hai compassione di tutti, perché tutto puoi; chiudi gli occhi sui peccati degli uomini, aspettando il loro pentimento. Tu infatti ami tutte le cose che esistono… Tu sei indulgente con tutte le cose, perché sono tue, Signore, amante della vita» (11,23-24a.26).

Solo chi è davvero potente può sopportare il male e mostrarsi compassionevole; solo chi è davvero potente può esercitare pienamente la forza dell’amore. E Dio, a cui appartengono tutte le cose perché tutto è stato fatto da Lui, rivela la sua forza amando tutto e tutti, in una paziente attesa della conversione di noi uomini, che desidera avere come figli. Dio aspetta la nostra conversione. L’amore onnipotente di Dio non conosce limiti, tanto che «non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha consegnato per tutti noi» (Rm 8,32). L’onnipotenza dell’amore non è quella del potere del mondo, ma è quella del dono totale, e Gesù, il Figlio di Dio, rivela al mondo la vera onnipotenza del Padre dando la vita per noi peccatori. Ecco la vera, autentica e perfetta potenza divina: rispondere al male non con il male ma con il bene, agli insulti con il perdono, all’odio omicida con l’amore che fa vivere. Allora il male è davvero vinto, perché lavato dall’amore di Dio; allora la morte è definitivamente sconfitta perché trasformata in dono della vita. Dio Padre risuscita il Figlio: la morte, la grande nemica (cfr 1 Cor 15,26), è inghiottita e privata del suo veleno (cfr 1 Cor 15,54-55), e noi, liberati dal peccato, possiamo accedere alla nostra realtà di figli di Dio.

Quindi, quando diciamo "Io credo in Dio Padre onnipotente", noi esprimiamo la nostra fede nella potenza dell’amore di Dio che nel suo Figlio morto e risorto sconfigge l’odio, il male, il peccato e ci apre alla vita eterna, quella dei figli che desiderano essere per sempre nella "Casa del Padre". Dire «Io credo in Dio Padre onnipotente», nella sua potenza, nel suo modo di essere Padre, è sempre un atto di fede, di conversione, di trasformazione del nostro pensiero, di tutto il nostro affetto, di tutto il nostro modo di vivere.

Cari fratelli e sorelle, chiediamo al Signore di sostenere la nostra fede, di aiutarci a trovare veramente la fede e di darci la forza di annunciare Cristo crocifisso e risorto e di testimoniarlo nell’amore a Dio e al prossimo. E Dio ci conceda di accogliere il dono della nostra filiazione, per vivere in pienezza le realtà del Credo, nell’abbandono fiducioso all’amore del Padre e alla sua misericordiosa onnipotenza che è la vera onnipotenza e salva.



SALUTI

Rivolgo un cordiale saluto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare, saluto i Vescovi amici del Movimento dei Focolari. Cari Confratelli, insieme con voi saluto anche quanti parteciperanno agli incontri organizzati in diverse regioni del mondo. Assicurando la mia preghiera, auspico che il carisma dell’unità a voi particolarmente caro, possa sostenervi e animarvi nel vostro ministero apostolico. E saluto i fedeli dell’Arcidiocesi di Potenza-Muro Lucano-Marsiconuovo, accompagnati dal loro Pastore Mons. Agostino Superbo. Cari amici, continuate a dedicare ogni sforzo perché sia curata, ugualmente nelle città come nei centri minori, una solida istruzione religiosa, perché tutti siano preparati a ricevere con frutto i Sacramenti, indispensabile nutrimento della crescita nella fede. La presenza a questo incontro delle Autorità civili della Basilicata, alle quali rivolgo un deferente saluto, mi offre l’opportunità di esprimere la mia viva riconoscenza a quanti si sono prodigati per l’allestimento del suggestivo presepio, collocato in questa Piazza, che è stato ammirato dai numerosi pellegrini, anche da me con grande gioia, quale espressione dell’arte lucana.

Mi rivolgo, infine, ai giovani, ai malati e agli sposi novelli. Ricorre domani la memoria liturgica di san Giovanni Bosco, sacerdote ed educatore. Guardate a lui, cari giovani, come a un autentico maestro di vita. Voi, cari ammalati, apprendete dalla sua esperienza spirituale a confidare in ogni circostanza in Cristo crocifisso. E voi, cari sposi novelli, ricorrete alla sua intercessione per vivere con impegno generoso la vostra missione di sposi. Grazie.





ladymira
00mercoledì 30 gennaio 2013 15:18
Molto utile questa catechesi sul credo, sempre professare la professione del credo.
Caterina63
00mercoledì 6 febbraio 2013 13:57

Il Papa: C’è un disegno sul mondo che nasce da questa Ragione, dallo Spirito creatore. Credere che alla base di tutto ci sia questo, illumina ogni aspetto dell’esistenza e dà il coraggio di affrontare con fiducia e con speranza l’avventura della vita. Quindi, la scrittura ci dice che l'origine dell'essere, del mondo, la nostra origine non è l'irrazionale e la necessità, ma la ragione e l'amore e la libertà

 
 



L’UDIENZA GENERALE,  06.02.2013
 
L’Udienza Generale di questa mattina si è svolta alle ore 10.30 nell’Aula Paolo VI dove il Santo Padre Benedetto XVI ha incontrato gruppi di pellegrini e fedeli provenienti dall’Italia e da ogni parte del mondo.
Nel discorso in lingua italiana il Papa ha continuato il ciclo di catechesi dedicato all’Anno della fede.
Dopo aver riassunto la Sua catechesi in diverse lingue, il Santo Padre ha rivolto particolari espressioni di saluto ai gruppi di fedeli presenti.
L’Udienza Generale si è conclusa con il canto del Pater Noster e la Benedizione Apostolica.

CATECHESI DEL SANTO PADRE IN LINGUA ITALIANA 

L'Anno della fede. 
Io credo in Dio: il Creatore del cielo e della terra, il Creatore dell'essere umano



Cari fratelli e sorelle,

il Credo, che inizia qualificando Dio come “Padre Onnipotente”, come abbiamo meditato la settimana scorsa, aggiunge poi che Egli è il “Creatore del cielo e della terra”, e riprende così l’affermazione con cui inizia la Bibbia. Nel primo versetto della Sacra Scrittura, infatti, si legge: «In principio Dio creò il cielo e la terra» (Gen 1,1): è Dio l’origine di tutte le cose e nella bellezza della creazione si dispiega la sua onnipotenza di Padre che ama.

Dio si manifesta come Padre nella creazione, in quanto origine della vita, e, nel creare, mostra la sua onnipotenza. Le immagini usate dalla Sacra Scrittura al riguardo sono molto suggestive (cfr Is 40,12; 45,18; 48,13; Sal 104,2.5; 135,7; Pr 8, 27-29; Gb 38–39). Egli, come un Padre buono e potente, si prende cura di ciò che ha creato con un amore e una fedeltà che non vengono mai meno, dicono ripetutamente i salmi (cfr Sal 57,11; 108,5; 36,6). Così, la creazione diventa luogo in cui conoscere e riconoscere l’onnipotenza del Signore e la sua bontà, e diventa appello alla fede di noi credenti perché proclamiamo Dio come Creatore. «Per fede, - scrive l’autore della Lettera agli Ebrei - noi sappiamo che i mondi furono formati dalla parola di Dio, sicché dall’invisibile ha preso origine il mondo visibile» (11,3). 
La fede implica dunque di saper riconoscere l’invisibile individuandone la traccia nel mondo visibile. Il credente può leggere il grande libro della natura e intenderne il linguaggio (cfr Sal 19,2-5); ma è necessaria la Parola di rivelazione, che suscita la fede, perché l’uomo possa giungere alla piena consapevolezza della realtà di Dio come Creatore e Padre. È nel libro della Sacra Scrittura che l’intelligenza umana può trovare, alla luce della fede, la chiave di interpretazione per comprendere il mondo. In particolare, occupa un posto speciale il primo capitolo della Genesi, con la solenne presentazione dell’opera creatrice divina che si dispiega lungo sette giorni: in sei giorni Dio porta a compimento la creazione e il settimo giorno, il sabato, cessa da ogni attività e si riposa. Giorno della libertà per tutti, giorno della comunione con Dio. E così, con questa immagine, il libro della Genesi ci indica che il primo pensiero di Dio era trovare un amore che risponda al suo amore. Il secondo pensiero è poi creare un mondo materiale dove collocare questo amore, queste creature che in libertà gli rispondono. Tale struttura, quindi, fa sì che il testo sia scandito da alcune ripetizioni significative. Per sei volte, ad esempio, viene ripetuta la frase: «Dio vide che era cosa buona» (vv. 4.10.12.18.21.25), per concludere, la settima volta, dopo la creazione dell’uomo: «Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona» (v. 31). Tutto ciò che Dio crea è bello e buono, intriso di sapienza e di amore; l’azione creatrice di Dio porta ordine, immette armonia, dona bellezza. Nel racconto della Genesi poi emerge che il Signore crea con la sua parola: per dieci volte si legge nel testo l’espressione «Dio disse» (vv. 3.6.9.11.14.20.24.26.28.29). E' la parola, il Logos di Dio che è l'origine della realtà del mondo e dicendo: “Dio disse”, fu così, sottolinea la potenza efficace della Parola divina. Così canta il Salmista: «Dalla parola del Signore furono fatti i cieli, dal soffio della sua bocca ogni loro schiera…, perché egli parlò e tutto fu creato, comandò e tutto fu compiuto» (33,6.9). La vita sorge, il mondo esiste, perché tutto obbedisce alla Parola divina.
Ma la nostra domanda oggi è: nell’epoca della scienza e della tecnica, ha ancora senso parlare di creazione? Come dobbiamo comprendere le narrazioni della Genesi? La Bibbia non vuole essere un manuale di scienze naturali; vuole invece far comprendere la verità autentica e profonda delle cose. La verità fondamentale che i racconti della Genesi ci svelano è che il mondo non è un insieme di forze tra loro contrastanti, ma ha la sua origine e la sua stabilità nel Logos, nella Ragione eterna di Dio, che continua a sorreggere l’universo. 
C’è un disegno sul mondo che nasce da questa Ragione, dallo Spirito creatore. Credere che alla base di tutto ci sia questo, illumina ogni aspetto dell’esistenza e dà il coraggio di affrontare con fiducia e con speranza l’avventura della vita. Quindi, la scrittura ci dice che l'origine dell'essere, del mondo, la nostra origine non è l'irrazionale e la necessità, ma la ragione e l'amore e la libertà. Da questo l'alternativa: o priorità dell'irrazionale, della necessità, o priorità della ragione, della libertà, dell'amore. Noi crediamo in questa ultima posizione.
Ma vorrei dire una parola anche su quello che è il vertice dell’intera creazione: l’uomo e la donna, l’essere umano, l’unico “capace di conoscere e di amare il suo Creatore” (Cost. past. Gaudium et spes, 12). Il Salmista guardando i cieli si chiede: «Quando vedo i tuoi cieli, opera delle tue dita, la luna e le stelle che tu hai fissato, che cosa è mai l’uomo perché di lui ti ricordi, il figlio dell’uomo, perché te ne curi?» (8,4-5). L’essere umano, creato con amore da Dio, è ben piccola cosa davanti all’immensità dell’universo; a volte, guardando affascinati le enormi distese del firmamento, anche noi abbiamo percepito la nostra limitatezza. L’essere umano è abitato da questo paradosso: la nostra piccolezza e la nostra caducità convivono con la grandezza di ciò che l’amore eterno di Dio ha voluto per lui.
I racconti della creazione nel Libro della Genesi ci introducono anche in questo misterioso ambito, aiutandoci a conoscere il progetto di Dio sull’uomo. Anzitutto affermano che Dio formò l’uomo con la polvere della terra (cfr Gen 2,7). Questo significa che non siamo Dio, non ci siamo fatti da soli, siamo terra; ma significa anche che veniamo dalla terra buona, per opera del Creatore buono. A questo si aggiunge un’altra realtà fondamentale: tutti gli esseri umani sono polvere, al di là delle distinzioni operate dalla cultura e dalla storia, al di là di ogni differenza sociale; siamo un’unica umanità plasmata con l’unica terra di Dio. Vi è poi un secondo elemento: l’essere umano ha origine perché Dio soffia l’alito di vita nel corpo modellato dalla terra (cfr Gen 2,7). L’essere umano è fatto a immagine e somiglianza di Dio (cfr Gen 1,26-27). Tutti allora portiamo in noi l’alito vitale di Dio e ogni vita umana – ci dice la Bibbia – sta sotto la particolare protezione di Dio. Questa è la ragione più profonda dell’inviolabilità della dignità umana contro ogni tentazione di valutare la persona secondo criteri utilitaristici e di potere. L’essere ad immagine e somiglianza di Dio indica poi che l’uomo non è chiuso in se stesso, ma ha un riferimento essenziale in Dio.
Nei primi capitoli del Libro della Genesi troviamo due immagini significative: il giardino con l’albero della conoscenza del bene e del male e il serpente (cfr 2,15-17; 3,1-5). Il giardino ci dice che la realtà in cui Dio ha posto l’essere umano non è una foresta selvaggia, ma luogo che protegge, nutre e sostiene; e l’uomo deve riconoscere il mondo non come proprietà da saccheggiare e da sfruttare, ma come dono del Creatore, segno della sua volontà salvifica, dono da coltivare e custodire, da far crescere e sviluppare nel rispetto, nell’armonia, seguendone i ritmi e la logica, secondo il disegno di Dio (cfr Gen 2,8-15). Poi, il serpente è una figura che deriva dai culti orientali della fecondità, che affascinavano Israele e costituivano una costante tentazione di abbandonare la misteriosa alleanza con Dio. 
Alla luce di questo, la Sacra Scrittura presenta la tentazione che subiscono Adamo ed Eva come il nocciolo della tentazione e del peccato. Che cosa dice infatti il serpente? Non nega Dio, ma insinua una domanda subdola: «È vero che Dio ha detto “Non dovete mangiare di alcun albero del giardino?”» (Gen 3,1). In questo modo il serpente suscita il sospetto che l’alleanza con Dio sia come una catena che lega, che priva della libertà e delle cose più belle e preziose della vita. La tentazione diventa quella di costruirsi da soli il mondo in cui vivere, di non accettare i limiti dell’essere creatura, i limiti del bene e del male, della moralità; la dipendenza dall’amore creatore di Dio è vista come un peso di cui liberarsi. Questo è sempre il nocciolo della tentazione. Ma quando si falsa il rapporto con Dio, con una menzogna, mettendosi al suo posto, tutti gli altri rapporti vengono alterati. Allora l’altro diventa un rivale, una minaccia: Adamo, dopo aver ceduto alla tentazione, accusa immediatamente Eva (cfr Gen 3,12); i due si nascondono dalla vista di quel Dio con cui conversavano in amicizia (cfr 3,8-10); il mondo non è più il giardino in cui vivere con armonia, ma un luogo da sfruttare e nel quale si celano insidie (cfr 3,14-19); l’invidia e l’odio verso l’altro entrano nel cuore dell’uomo: esemplare è Caino che uccide il proprio fratello Abele (cfr 4,3-9). Andando contro il suo Creatore, in realtà l’uomo va contro se stesso, rinnega la sua origine e dunque la sua verità; e il male entra nel mondo, con la sua penosa catena di dolore e di morte. E così quanto Dio aveva creato era buono, anzi, molto buono, dopo questa libera decisione dell'uomo per la menzogna contro la verità, il male entra nel mondo.
Dei racconti della creazione, vorrei evidenziare un ultimo insegnamento: il peccato genera peccato e tutti i peccati della storia sono legati tra di loro. Questo aspetto ci spinge a parlare di quello che è chiamato il “peccato originale”. 
Qual è il significato di questa realtà, difficile da comprendere? Vorrei dare soltanto qualche elemento. Anzitutto dobbiamo considerare che nessun uomo è chiuso in se stesso, nessuno può vivere solo di sé e per sé; noi riceviamo la vita dall’altro e non solo al momento della nascita, ma ogni giorno. L’essere umano è relazione: io sono me stesso solo nel tu e attraverso il tu, nella relazione dell’amore con il Tu di Dio e il tu degli altri.  Ebbene, il peccato è turbare o distruggere la relazione con Dio, questa la sua essenza: distruggere la relazione con Dio, la relazione fondamentale, mettersi al posto di Dio. Il Catechismo della Chiesa Cattolica afferma che con il primo peccato l’uomo “ha fatto la scelta di se stesso contro Dio, contro le esigenze della propria condizione creaturale e conseguentemente contro il proprio bene” (n. 398). Turbata la relazione fondamentale, sono compromessi o distrutti anche gli altri poli della relazione, il peccato rovina le relazioni, così rovina tutto, perché noi siamo relazione. 
Ora, se la struttura relazionale dell’umanità è turbata fin dall’inizio, ogni uomo entra in un mondo segnato da questo turbamento delle relazioni, entra in un mondo turbato dal peccato, da cui viene segnato personalmente; il peccato iniziale intacca e ferisce la natura umana (cfr Catechismo della Chiesa Cattolica, 404-406). E l’uomo da solo, uno solo non può uscire da questa situazione, non può redimersi da solo; solamente il Creatore stesso può ripristinare le giuste relazioni. Solo se Colui dal quale ci siamo allontanati viene a noi e ci tende la mano con amore, le giuste relazioni possono essere riannodate. Questo avviene in Gesù Cristo, che compie esattamente il percorso inverso di quello di Adamo, come descrive l’inno nel secondo capitolo della Lettera di San Paolo ai Filippesi (2,5-11): mentre Adamo non riconosce il suo essere creatura e vuole porsi al posto di Dio, Gesù, il Figlio di Dio, è in una relazione filiale perfetta con il Padre, si abbassa, diventa il servo, percorre la via dell’amore umiliandosi fino alla morte di croce, per rimettere in ordine le relazioni con Dio. La Croce di Cristo diventa così il nuovo albero della vita.
Cari fratelli e sorelle, vivere di fede vuol dire riconoscere la grandezza di Dio e accettare la nostra piccolezza, la nostra condizione di creature lasciando che il Signore la ricolmi del suo amore e così cresca la nostra vera grandezza. Il male, con il suo carico di dolore e di sofferenza, è un mistero che viene illuminato dalla luce della fede, che ci dà la certezza di poterne essere liberati: la certezza che è bene essere un uomo.
Grazie.


* * *


Caterina63
00mercoledì 3 aprile 2013 11:37
[SM=g1740758] Il Papa Francesco I all'udienza generale riprende le catechesi sull'Anno della Fede


Il Papa all'udienza generale di stamane in Piazza San Pietro ha ripreso le catechesi sull'Anno della Fede iniziate da Benedetto XVI. Oltre 30mila i fedeli presenti, tra cui 10mila pellegrini della diocesi di Milano guidati dal cardinale Angelo Scola. Ha partecipato all’udienza anche un gruppo di cattolici cinesi della diocesi di Tianian potendo così vivere un momento di comunione con il nuovo Papa. Il Papa è partito dall'espressione del Credo «Il terzo giorno è risuscitato secondo le Scritture». "E’ proprio l’evento che stiamo celebrando - ha detto - la Risurrezione di Gesù, centro del messaggio cristiano, risuonato fin dagli inizi e trasmesso perché giunga fino a noi. San Paolo scrive ai cristiani di Corinto: «A voi… ho trasmesso, anzitutto, quello che anch’io ho ricevuto; cioè che Cristo morì per i nostri peccati, secondo le Scritture, e che fu sepolto e che è risorto il terzo giorno secondo le Scritture e che apparve a Cefa e quindi ai Dodici»". "Questa breve confessione di fede - ha proseguito - annuncia proprio il Mistero Pasquale, con le prime apparizioni del Risorto a Pietro e ai Dodici: la Morte e la Risurrezione di Gesù sono proprio il cuore della nostra speranza. Senza questa fede nell’amore della Resurrezione di Gesù, la nostra speranza sarà debole. Non sarà pure speranza. Proprio la morte e la Resurrezione di Gesù sono il cuore della nostra speranza. L’Apostolo afferma: «Se Cristo non è risorto, vana è la vostra fede e voi siete ancora nei vostri peccati»".

"Purtroppo - ha osservato - spesso si è cercato di oscurare la fede nella Risurrezione di Gesù, e anche fra gli stessi credenti si sono insinuati dubbi. Un po’ quella fede all’acqua di rose, come diciamo noi, no? Non è la fede forte. Questo per superficialità, a volte per indifferenza, occupati da mille cose che si ritengono più importanti della fede, oppure per una visione solo orizzontale della vita. Ma è proprio la Risurrezione che ci apre alla speranza più grande, perché apre la nostra vita e la vita del mondo al futuro eterno di Dio, alla felicità piena, alla certezza che il male, il peccato, la morte possono essere vinti. E questo porta a vivere con più fiducia le realtà quotidiane, affrontarle con coraggio e con impegno. La Risurrezione di Cristo illumina con una luce nuova queste realtà quotidiane. La Risurrezione di Cristo è la nostra forza!".

Il Papa poi domanda: "Ma come ci è stata trasmessa la verità di fede della Risurrezione di Cristo? Ci sono due tipi di testimonianze nel Nuovo Testamento: alcune sono nella forma di professione di fede, cioè di formule sintetiche che indicano il centro della fede; altre invece sono nella forma di racconto dell’evento della Risurrezione e dei fatti legati ad esso". La prima - ha detto - è la forma della professione di fede come affermata nel Credo oppure quella della Lettera ai Romani in cui san Paolo scrive: «Se con la tua bocca proclamerai: “Gesù è il Signore!”, e con il tuo cuore crederai che Dio lo ha risuscitato dai morti, sarai salvo». "Fin dai primi passi della Chiesa - ha affermato - è ben salda e chiara la fede nel Mistero di Morte e Risurrezione di Gesù". Il Papa si è soffermato sulle testimonianze nella forma di racconto, che si trovano nei Vangeli: "Anzitutto notiamo che le prime testimoni di questo evento furono le donne. All’alba, esse si recano al sepolcro per ungere il corpo di Gesù, e trovano il primo segno: la tomba vuota. Segue poi l’incontro con un Messaggero di Dio che annuncia: Gesù di Nazaret, il Crocifisso, non è qui, è risorto. Le donne sono spinte dall’amore e sanno accogliere questo annuncio con fede: credono, e subito lo trasmettono, non lo tengono per sé. Lo trasmettono. La gioia di sapere che Gesù è vivo, la speranza che riempie il cuore, non si possono contenere. Questo dovrebbe avvenire anche nella nostra vita. Sentiamo la gioia di essere cristiani! Noi crediamo in un Risorto che ha vinto il male e la morte! Abbiamo il coraggio di “uscire” per portare questa gioia e questa luce in tutti i luoghi della nostra vita! La Risurrezione di Cristo è la nostra più grande certezza; è il tesoro più prezioso! Come non condividere con gli altri questo tesoro, questa certezza! Non è soltanto per noi, è per trasmetterla, per darla agli altri, condividerla con gli altri. E’ proprio la nostra testimonianza".

Il Papa ha poi sottolineato un altro elemento: "Nelle professioni di fede del Nuovo Testamento, come testimoni della Risurrezione vengono ricordati solamente uomini, gli Apostoli, ma non le donne. Questo perché, secondo la Legge giudaica di quel tempo, le donne e i bambini non potevano rendere una testimonianza affidabile, credibile. Nei Vangeli, invece, le donne hanno un ruolo primario, fondamentale. Qui possiamo cogliere un elemento a favore della storicità della Risurrezione: se fosse un fatto inventato, nel contesto di quel tempo non sarebbe stato legato alla testimonianza delle donne. Gli evangelisti invece narrano semplicemente ciò che è avvenuto: sono le donne le prime testimoni. Questo dice che Dio non sceglie secondo i criteri umani: i primi testimoni della nascita di Gesù sono i pastori, gente semplice e umile; le prime testimoni della Risurrezione sono le donne. E questo è bello! - ha esclamato - Questa è un po’ la missione delle donne! Delle mamme, delle donne: dare testimonianza ai loro figli, ai loro nipotini che Gesù è vivo, è il vivente, è risorto! Mamme e donne avanti con questa testimonianza!".

"Per Dio - ha proseguito il Papa - conta il cuore, quanto siamo aperti a Lui, se siamo come i bambini che si fidano. Ma questo ci fa riflettere anche su come le donne, nella Chiesa e nel cammino di fede, abbiano avuto e abbiano anche oggi un ruolo particolare nell’aprire le porte al Signore, nel seguirlo e nel comunicare il suo Volto, perché lo sguardo di fede ha sempre bisogno dello sguardo semplice e profondo dell’amore. Gli Apostoli e i discepoli fanno più fatica a credere, le donne no". Dunque, i discepoli fanno più fatica a credere: "Pietro corre al sepolcro, ma si ferma alla tomba vuota; Tommaso deve toccare con le sue mani le ferite del corpo di Gesù. Anche nel nostro cammino di fede è importante sapere e sentire che Dio ci ama, non aver paura di amarlo: la fede si professa con la bocca e con il cuore, con la parola e con l’amore".

"Dopo le apparizioni alle donne - osserva ancora il Papa - ne seguono altre: Gesù si rende presente in modo nuovo: è il Crocifisso, ma il suo corpo è glorioso; non è tornato alla vita terrena, bensì in una condizione nuova. All’inizio non lo riconoscono, e solo attraverso le sue parole e i suoi gesti gli occhi si aprono: l’incontro con il Risorto trasforma, dà una nuova forza alla fede, un fondamento incrollabile. Anche per noi ci sono tanti segni in cui il Risorto si fa riconoscere: la Sacra Scrittura, l’Eucaristia, gli altri Sacramenti, la carità, quei gesti di amore che portano un raggio del Risorto. Lasciamoci illuminare dalla Risurrezione di Cristo, lasciamoci trasformare dalla sua forza, perché anche attraverso di noi nel mondo i segni di morte lascino il posto ai segni di vita". Quindi il Papa ha concluso parlando a braccio: "Ho visto che ci sono tanti giovani nella piazza: ragazzi e ragazze. Eccoli! A voi vi dico: portate avanti questa certezza. Il Signore è vivo e cammina al nostro fianco nella vita! Questa è la vostra missione: portate avanti questa speranza. Siete ancorati a questa speranza. Quest’ancora che è nel cielo. Tenete forte la corda. Siete ancorati e portate avanti la speranza. Voi, testimoni di Gesù, portate avanti la testimonianza che Gesù è vivo e questo darà speranza a questo mondo un po’ invecchiato per le guerre, per il male, per il peccato. Avanti giovani!".


segue il testo integrale

Cari fratelli e sorelle, buongiorno,

oggi riprendiamo le Catechesi dell’Anno della fede. Nel Credo ripetiamo questa espressione: «Il terzo giorno è risuscitato secondo le Scritture». E’ proprio l’evento che stiamo celebrando: la Risurrezione di Gesù, centro del messaggio cristiano, risuonato fin dagli inizi e trasmesso perché giunga fino a noi. San Paolo scrive ai cristiani di Corinto: «A voi… ho trasmesso, anzitutto, quello che anch’io ho ricevuto; cioè che Cristo morì per i nostri peccati, secondo le Scritture, e che fu sepolto e che è risorto il terzo giorno secondo le Scritture e che apparve a Cefa e quindi ai Dodici» (1Cor 15,3-5). Questa breve confessione di fede annuncia proprio il Mistero Pasquale, con le prime apparizioni del Risorto a Pietro e ai Dodici: la Morte e la Risurrezione di Gesù sono proprio il cuore della nostra speranza. Senza questa fede nella morte e nella risurrezione di Gesù la nostra speranza sarà debole, ma non sarà neppure speranza, e proprio la morte e la risurrezione di Gesù sono il cuore della nostra speranza. L’Apostolo afferma: «Se Cristo non è risorto, vana è la vostra fede e voi siete ancora nei vostri peccati» (v. 17).

Purtroppo, spesso si è cercato di oscurare la fede nella Risurrezione di Gesù, e anche fra gli stessi credenti si sono insinuati dubbi. Un po’ quella fede "all’acqua di rose", come diciamo noi; non è la fede forte. E questo per superficialità, a volte per indifferenza, occupati da mille cose che si ritengono più importanti della fede, oppure per una visione solo orizzontale della vita.

Ma è proprio la Risurrezione che ci apre alla speranza più grande, perché apre la nostra vita e la vita del mondo al futuro eterno di Dio, alla felicità piena, alla certezza che il male, il peccato, la morte possono essere vinti. E questo porta a vivere con più fiducia le realtà quotidiane, affrontarle con coraggio e con impegno. La Risurrezione di Cristo illumina con una luce nuova queste realtà quotidiane. La Risurrezione di Cristo è la nostra forza!

Ma come ci è stata trasmessa la verità di fede della Risurrezione di Cristo? Ci sono due tipi di testimonianze nel Nuovo Testamento: alcune sono nella forma di professione di fede, cioè di formule sintetiche che indicano il centro della fede; altre invece sono nella forma di racconto dell’evento della Risurrezione e dei fatti legati ad esso.
La prima: la forma della professione di fede, ad esempio, è quella che abbiamo appena ascoltato, oppure quella della Lettera ai Romani in cui san Paolo scrive: «Se con la tua bocca proclamerai: "Gesù è il Signore!", e con il tuo cuore crederai che Dio lo ha risuscitato dai morti, sarai salvo» (10,9). Fin dai primi passi della Chiesa è ben salda e chiara la fede nel Mistero di Morte e Risurrezione di Gesù.

Oggi, però, vorrei soffermarmi sulla seconda, sulle testimonianze nella forma di racconto, che troviamo nei Vangeli. Anzitutto notiamo che le prime testimoni di questo evento furono le donne. All’alba, esse si recano al sepolcro per ungere il corpo di Gesù, e trovano il primo segno: la tomba vuota (cfr Mc 16,1). Segue poi l’incontro con un Messaggero di Dio che annuncia: Gesù di Nazaret, il Crocifisso, non è qui, è risorto (cfr vv. 5-6). Le donne sono spinte dall’amore e sanno accogliere questo annuncio con fede: credono, e subito lo trasmettono, non lo tengono per sé, lo trasmettono. La gioia di sapere che Gesù è vivo, la speranza che riempie il cuore, non si possono contenere. Questo dovrebbe avvenire anche nella nostra vita. Sentiamo la gioia di essere cristiani! Noi crediamo in un Risorto che ha vinto il male e la morte! Abbiamo il coraggio di "uscire" per portare questa gioia e questa luce in tutti i luoghi della nostra vita! La Risurrezione di Cristo è la nostra più grande certezza; è il tesoro più prezioso! Come non condividere con gli altri questo tesoro, questa certezza? Non è soltanto per noi, è per trasmetterla, per darla agli altri, condividerla con gli altri. E' proprio la nostra testimonianza.

Un altro elemento. Nelle professioni di fede del Nuovo Testamento, come testimoni della Risurrezione vengono ricordati solamente uomini, gli Apostoli, ma non le donne. Questo perché, secondo la Legge giudaica di quel tempo, le donne e i bambini non potevano rendere una testimonianza affidabile, credibile. Nei Vangeli, invece, le donne hanno un ruolo primario, fondamentale. Qui possiamo cogliere un elemento a favore della storicità della Risurrezione: se fosse un fatto inventato, nel contesto di quel tempo non sarebbe stato legato alla testimonianza delle donne. Gli evangelisti invece narrano semplicemente ciò che è avvenuto: sono le donne le prime testimoni. Questo dice che Dio non sceglie secondo i criteri umani: i primi testimoni della nascita di Gesù sono i pastori, gente semplice e umile; le prime testimoni della Risurrezione sono le donne.
E questo è bello. E questo è un po’ la missione delle donne: delle mamme, delle donne! Dare testimonianza ai figli, ai nipotini, che Gesù è vivo, è il vivente, è risorto. Mamme e donne, avanti con questa testimonianza! Per Dio conta il cuore, quanto siamo aperti a Lui, se siamo come i bambini che si fidano. Ma questo ci fa riflettere anche su come le donne, nella Chiesa e nel cammino di fede, abbiano avuto e abbiano anche oggi un ruolo particolare nell’aprire le porte al Signore, nel seguirlo e nel comunicare il suo Volto, perché lo sguardo di fede ha sempre bisogno dello sguardo semplice e profondo dell’amore. Gli Apostoli e i discepoli fanno più fatica a credere. Le donne no. Pietro corre al sepolcro, ma si ferma alla tomba vuota; Tommaso deve toccare con le sue mani le ferite del corpo di Gesù. Anche nel nostro cammino di fede è importante sapere e sentire che Dio ci ama, non aver paura di amarlo: la fede si professa con la bocca e con il cuore, con la parola e con l’amore.

Dopo le apparizioni alle donne, ne seguono altre: Gesù si rende presente in modo nuovo: è il Crocifisso, ma il suo corpo è glorioso; non è tornato alla vita terrena, bensì in una condizione nuova. All’inizio non lo riconoscono, e solo attraverso le sue parole e i suoi gesti gli occhi si aprono: l’incontro con il Risorto trasforma, dà una nuova forza alla fede, un fondamento incrollabile. Anche per noi ci sono tanti segni in cui il Risorto si fa riconoscere: la Sacra Scrittura, l’Eucaristia, gli altri Sacramenti, la carità, quei gesti di amore che portano un raggio del Risorto. Lasciamoci illuminare dalla Risurrezione di Cristo, lasciamoci trasformare dalla sua forza, perché anche attraverso di noi nel mondo i segni di morte lascino il posto ai segni di vita.

Ho visto che ci sono tanti giovani nella piazza. Eccoli! A voi dico: portate avanti questa certezza: il Signore è vivo e cammina a fianco a noi nella vita. Questa è la vostra missione! Portate avanti questa speranza. Siate ancorati a questa speranza: questa àncora che è nel cielo; tenete forte la corda, siate ancorati e portate avanti la speranza. Voi, testimoni di Gesù, portate avanti la testimonianza che Gesù è vivo e questo ci darà speranza, darà speranza a questo mondo un po’ invecchiato per le guerre, per il male, per il peccato. Avanti giovani!




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Caterina63
00sabato 6 aprile 2013 10:42
[SM=g1740733] L'amico Gino ha creato un bel video-catechesi per il proprio gruppo del RnS da imitare.... con la prima catechesi di Benedetto XVI sul "Io Credo"

www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=APpa3ce6UJE



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Caterina63
00mercoledì 17 aprile 2013 17:05

UDIENZA GENERALE

Piazza San Pietro
Mercoledì, 10 aprile 2013

[Video]


 

Cari fratelli e sorelle, buon giorno!

Nella scorsa Catechesi ci siamo soffermati sull’evento della Risurrezione di Gesù, in cui le donne hanno avuto un ruolo particolare. Oggi vorrei riflettere sulla sua portata salvifica. Che cosa significa per la nostra vita la Risurrezione? E perché senza di essa è vana la nostra fede? La nostra fede si fonda sulla Morte e Risurrezione di Cristo, proprio come una casa poggia sulle fondamenta: se cedono queste, crolla tutta la casa. Sulla croce, Gesù ha offerto se stesso prendendo su di sé i nostri peccati e scendendo nell’abisso della morte, e nella Risurrezione li vince, li toglie e ci apre la strada per rinascere a una vita nuova. San Pietro lo esprime sinteticamente all’inizio della sua Prima Lettera, come abbiamo ascoltato: «Sia benedetto Dio e Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che nella sua grande misericordia ci ha rigenerati, mediante la risurrezione di Gesù Cristo dai morti, per una speranza viva, per un’eredità che non si corrompe, non si macchia e non marcisce» (1,3-4).

L’Apostolo ci dice che con la Risurrezione di Gesù qualcosa di assolutamente nuovo avviene: siamo liberati dalla schiavitù del peccato e diventiamo figli di Dio, siamo generati cioè ad una vita nuova. Quando si realizza questo per noi? Nel Sacramento del Battesimo. In antico, esso si riceveva normalmente per immersione. Colui che doveva essere battezzato scendeva nella grande vasca del Battistero, lasciando i suoi vestiti, e il Vescovo o il Presbitero gli versava per tre volte l’acqua sul capo, battezzandolo nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.
Poi il battezzato usciva dalla vasca e indossava la nuova veste, quella bianca: era nato cioè ad una vita nuova, immergendosi nella Morte e Risurrezione di Cristo. Era diventato figlio di Dio. San Paolo nella Lettera ai Romani scrive: voi «avete ricevuto lo Spirito che rende figli adottivi, per mezzo del quale gridiamo: “Abbà! Padre!”» (Rm 8,15).
È proprio lo Spirito che abbiamo ricevuto nel battesimo che ci insegna, ci spinge, a dire a Dio: “Padre”, o meglio, “Abbà!” che significa “papà”. Così è il nostro Dio: è un papà per noi. Lo Spirito Santo realizza in noi questa nuova condizione di figli di Dio. E questo è il più grande dono che riceviamo dal Mistero pasquale di Gesù. E Dio ci tratta da figli, ci comprende, ci perdona, ci abbraccia, ci ama anche quando sbagliamo. Già nell’Antico Testamento, il profeta Isaia affermava che se anche una madre si dimenticasse del figlio, Dio non si dimentica mai di noi, in nessun momento (cfr 49,15). E questo è bello!

Tuttavia, questa relazione filiale con Dio non è come un tesoro che conserviamo in un angolo della nostra vita, ma deve crescere, dev’essere alimentata ogni giorno con l’ascolto della Parola di Dio, la preghiera, la partecipazione ai Sacramenti, specialmente della Penitenza e dell’Eucaristia, e la carità. Noi possiamo vivere da figli! E questa è la nostra dignità - noi abbiamo la dignità di figli -. Comportarci come veri figli!
Questo vuol dire che ogni giorno dobbiamo lasciare che Cristo ci trasformi e ci renda come Lui; vuol dire cercare di vivere da cristiani, cercare di seguirlo, anche se vediamo i nostri limiti e le nostre debolezze. La tentazione di lasciare Dio da parte per mettere al centro noi stessi è sempre alle porte e l’esperienza del peccato ferisce la nostra vita cristiana, il nostro essere figli di Dio. Per questo dobbiamo avere il coraggio della fede e non lasciarci condurre dalla mentalità che ci dice: “Dio non serve, non è importante per te”, e così via. E’ proprio il contrario: solo comportandoci da figli di Dio, senza scoraggiarci per le nostre cadute, per i nostri peccati, sentendoci amati da Lui, la nostra vita sarà nuova, animata dalla serenità e dalla gioia. Dio è la nostra forza! Dio è la nostra speranza!

Cari fratelli e sorelle, dobbiamo avere noi per primi ben ferma questa speranza e dobbiamo esserne un segno visibile, chiaro, luminoso per tutti. Il Signore Risorto è la speranza che non viene mai meno, che non delude (cfr Rm 5,5). La speranza non delude. Quella del Signore! Quante volte nella nostra vita le speranze svaniscono, quante volte le attese che portiamo nel cuore non si realizzano! La speranza di noi cristiani è forte, sicura, solida in questa terra, dove Dio ci ha chiamati a camminare, ed è aperta all’eternità, perché fondata su Dio, che è sempre fedele.
Non dobbiamo dimenticare: Dio sempre è fedele; Dio sempre è fedele con noi. Essere risorti con Cristo mediante il Battesimo, con il dono della fede, per un’eredità che non si corrompe, ci porti a cercare maggiormente le cose di Dio, a pensare di più a Lui, a pregarlo di più. Essere cristiani non si riduce a seguire dei comandi, ma vuol dire essere in Cristo, pensare come Lui, agire come Lui, amare come Lui; è lasciare che Lui prenda possesso della nostra vita e la cambi, la trasformi, la liberi dalle tenebre del male e del peccato.

Cari fratelli e sorelle, a chi ci chiede ragione della speranza che è in noi (cfr 1Pt 3,15), indichiamo il Cristo Risorto. Indichiamolo con l’annuncio della Parola, ma soprattutto con la nostra vita di risorti. Mostriamo la gioia di essere figli di Dio, la libertà che ci dona il vivere in Cristo, che è la vera libertà, quella che ci salvadalla schiavitù del male, del peccato, della morte! Guardiamo alla Patria celeste, avremo una nuova luce e forza anche nel nostro impegno e nelle nostre fatiche quotidiane. E’ un servizio prezioso che dobbiamo dare a questo nostro mondo, che spesso non riesce più a sollevare lo sguardo verso l’alto, non riesce più a sollevare lo sguardo verso Dio.


Saluti:


* * *

Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare saluto i fedeli delle Diocesi di Grosseto, Livorno e Teggiano Policastro, accompagnati dai Vescovi, Mons. Borghetti, Mons. Giusti e Mons. De Luca, venuti per il pellegrinaggio alla Sede di Pietro in occasione dell’Anno della fede. Saluto il gruppo di dipendenti dell’IDI. Auspico che quanto prima si possa trovare una positiva soluzione in una situazione così difficile. Saluto i membri della Società Italiana di Radiologia Medica nel centenario della fondazione, i devoti della Madonna della Sciàrra, Santuario dell’Arcidiocesi di Catania e i fedeli del Movimento mariano di Bagherìa. La visita alle tombe degli Apostoli rafforzi in tutti la fede, la speranza e la carità.

Infine, un pensiero affettuoso ai giovani, ai malati e agli sposi novelli. Lunedì scorso abbiamo celebrato la Solennità dell’Annunciazione: la Vergine Maria ispiri la vostra mente, cari giovani, perché sappiate sempre ascoltare e mettere in pratica la volontà del Signore; riscaldi i vostri cuori, cari ammalati, nell’offrire la vostra sofferenza per il bene della Chiesa; e guidi voi, cari sposi novelli, a riconoscere la presenza di Dio e del suo amore nella vostra nuova vita familiare.


APPELLO

Ho appreso la notizia del forte terremoto che ha colpito il sud dell’Iran e che ha causato morti, numerosi feriti e gravi danni. Prego per le vittime ed esprimo la mia vicinanza alle popolazioni colpite da questa calamità. Preghiamo per tutti questi fratelli e sorelle dell'Iran.

 





UDIENZA GENERALE

Piazza San Pietro
Mercoledì, 17 aprile 2013

[Video]


 

È salito al cielo, siede alla destra del Padre

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Nel Credo, troviamo l’affermazione che Gesù «è salito al cielo, siede alla destra del Padre». La vita terrena di Gesù culmina con l’evento dell’Ascensione, quando cioè Egli passa da questo mondo al Padre ed è innalzato alla sua destra. Qual è il significato di questo avvenimento? Quali ne sono le conseguenze per la nostra vita? Che cosa significa contemplare Gesù seduto alla destra del Padre? Su questo, lasciamoci guidare dall’evangelista Luca.

Partiamo dal momento in cui Gesù decide di intraprendere il suo ultimo pellegrinaggio a Gerusalemme. San Luca annota: «Mentre stavano compiendosi i giorni in cui sarebbe stato elevato in alto, egli prese la ferma decisione di mettersi in cammino verso Gerusalemme» (Lc 9,51). Mentre “ascende” alla Città santa, dove si compirà il suo “esodo” da questa vita, Gesù vede già la meta, il Cielo, ma sa bene che la via che lo riporta alla gloria del Padre passa attraverso la Croce, attraverso l’obbedienza al disegno divino di amore per l’umanità. Il Catechismo della Chiesa Cattolica afferma che «l’elevazione sulla croce significa e annuncia l’elevazione dell’ascensione al cielo» (n. 661). Anche noi dobbiamo avere chiaro, nella nostra vita cristiana, che l’entrare nella gloria di Dio esige la fedeltà quotidiana alla sua volontà, anche quando richiede sacrificio, richiede alle volte di cambiare i nostri programmi. L’Ascensione di Gesù avvenne concretamente sul Monte degli Ulivi, vicino al luogo dove si era ritirato in preghiera prima della passione per rimanere in profonda unione con il Padre: ancora una volta vediamo che la preghiera ci dona la grazia di vivere fedeli al progetto di Dio.

Alla fine del suo Vangelo, san Luca narra l’evento dell’Ascensione in modo molto sintetico. Gesù condusse i discepoli «fuori verso Betania e, alzate le mani, li benedisse. Mentre li benediceva, si staccò da loro e veniva portato su, in cielo. Ed essi si prostrarono davanti a lui; poi tornarono a Gerusalemme con grande gioia e stavano sempre nel tempio lodando Dio» (24,50-53); così dice san Luca. Vorrei notare due elementi del racconto. Anzitutto, durante l’Ascensione Gesù compie il gesto sacerdotale della benedizione e sicuramente i discepoli esprimono la loro fede con la prostrazione, si inginocchiano chinando il capo. Questo è un primo punto importante: Gesù è l’unico ed eterno Sacerdote che con la sua passione ha attraversato la morte e il sepolcro ed è risorto e asceso al Cielo; è presso Dio Padre, dove intercede per sempre a nostro favore (cfr Eb 9,24). Come afferma san Giovanni nella sua Prima Lettera Egli è il nostro avvocato: che bello sentire questo! Quando uno è chiamato dal giudice o va in causa, la prima cosa che fa è cercare un avvocato perché lo difenda. Noi ne abbiamo uno, che ci difende sempre, ci difende dalle insidie del diavolo, ci difende da noi stessi, dai nostri peccati! Carissimi fratelli e sorelle, abbiamo questo avvocato: non abbiamo paura di andare da Lui a chiedere perdono, a chiedere benedizione, a chiedere misericordia! Lui ci perdona sempre, è il nostro avvocato: ci difende sempre! Non dimenticate questo! L’Ascensione di Gesù al Cielo ci fa conoscere allora questa realtà così consolante per il nostro cammino: in Cristo, vero Dio e vero uomo, la nostra umanità è stata portata presso Dio; Lui ci ha aperto il passaggio; Lui è come un capo cordata quando si scala una montagna, che è giunto alla cima e ci attira a sé conducendoci a Dio. Se affidiamo a Lui la nostra vita, se ci lasciamo guidare da Lui siamo certi di essere in mani sicure, in mano del nostro salvatore, del nostro avvocato.

Un secondo elemento: san Luca riferisce che gli Apostoli, dopo aver visto Gesù salire al cielo, tornarono a Gerusalemme “con grande gioia”. Questo ci sembra un po’ strano. In genere quando siamo separati dai nostri familiari, dai nostri amici, per una partenza definitiva e soprattutto a causa della morte, c’è in noi una naturale tristezza, perché non vedremo più il loro volto, non ascolteremo più la loro voce, non potremo più godere del loro affetto, della loro presenza. Invece l’evangelista sottolinea la profonda gioia degli Apostoli. Ma come mai? Proprio perché, con lo sguardo della fede, essi comprendono che, sebbene sottratto ai loro occhi, Gesù resta per sempre con loro, non li abbandona e, nella gloria del Padre, li sostiene, li guida e intercede per loro.

San Luca narra il fatto dell’Ascensione anche all’inizio degli Atti degli Apostoli, per sottolineare che questo evento è come l’anello che aggancia e collega la vita terrena di Gesù a quella della Chiesa. Qui san Luca accenna anche alla nube che sottrae Gesù dalla vista dei discepoli, i quali rimangono a contemplare il Cristo che ascende verso Dio (cfr At 1,9-10). Intervengono allora due uomini in vesti bianche che li invitano a non restare immobili a guardare il cielo, ma a nutrire la loro vita e la loro testimonianza della certezza che Gesù tornerà nello stesso modo con cui lo hanno visto salire al cielo (cfr At 1,10-11). È proprio l’invito a partire dalla contemplazione della Signoria di Cristo, per avere da Lui la forza di portare e testimoniare il Vangelo nella vita di ogni giorno: contemplare e agire, ora et labora insegna san Benedetto, sono entrambi necessari nella nostra vita di cristiani.

Cari fratelli e sorelle, l’Ascensione non indica l’assenza di Gesù, ma ci dice che Egli è vivo in mezzo a noi in modo nuovo; non è più in un preciso posto del mondo come lo era prima dell’Ascensione; ora è nella signoria di Dio, presente in ogni spazio e tempo, vicino ad ognuno di noi. Nella nostra vita non siamo mai soli: abbiamo questo avvocato che ci attende, che ci difende. Non siamo mai soli: il Signore crocifisso e risorto ci guida; con noi ci sono tanti fratelli e sorelle che nel silenzio e nel nascondimento, nella loro vita di famiglia e di lavoro, nei loro problemi e difficoltà, nelle loro gioie e speranze, vivono quotidianamente la fede e portano, insieme a noi, al mondo la signoria dell’amore di Dio, in Cristo Gesù risorto, asceso al Cielo, avvocato per noi. Grazie.


Saluti:


* * *

Saluto con affetto i fedeli di lingua italiana. In particolare, i pellegrinaggi Diocesani, guidati dai rispettivi Vescovi: penso specialmente alle comunità del Triveneto, che hanno accompagnato i loro Pastori nella Visita ad Limina Apostolorum. Saluto le numerose parrocchie, in particolare quella del Buon Pastore di Caserta e di S. Maria Assunta in Frosinone. Saluto i Padri Giuseppini del Murialdo, i Religiosi dell’Ordine della Madre di Dio, che ricordano il 75° anniversario della canonizzazione del fondatore san Giovanni Leonardi, e i sacerdoti della diocesi di Verona, tanto cari a noi latinoamericani per la loro missionarietà. A tutti auguro che questo tempo pasquale sia un profondo invito a rinnovare la propria esistenza ponendola al servizio del Vangelo.

Era prevista per oggi anche la presenza dell’Arcivescovo di Sassari, in Sardegna, e degli operai della società “E.ON”. Ma l’aereo ha avuto un ritardo di tre ore, e non sono riusciti ad arrivare. Ma li abbiamo presenti nel cuore.

Saluto, infine, i giovani, i malati e gli sposi novelli. Il Signore risorto riempia del suo amore il cuore di ciascuno di voi, cari giovani, di voi studenti oggi così numerosi, perché siate pronti a seguirlo con entusiasmo. Non si può capire un giovane senza entusiasmo! Seguire il Signore con entusiasmo, lasciarsi guardare da Lui. Sostenga voi, cari malati, perché possiate accettare con serenità il peso della sofferenza; e guidi voi, cari sposi novelli, perché la vostra famiglia cresca nella santità, seguendo il modello della Santa Famiglia.


APPELLO

Ho appreso con tristezza del violento sisma che ha colpito le popolazioni dell’Iran e del Pakistan, portando morte, sofferenza, distruzione. Innalzo una preghiera a Dio per le vittime e per tutti coloro che sono nel dolore e desidero manifestare al popolo iraniano e a quello pakistano la mia vicinanza. Grazie.

    





Caterina63
00mercoledì 24 aprile 2013 13:33

UDIENZA GENERALE

Piazza San Pietro
Mercoledì, 24 aprile 2013

[Video]


  

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

nel Credo noi professiamo che Gesù «di nuovo verrà nella gloria per giudicare i vivi e i morti». La storia umana ha inizio con la creazione dell’uomo e della donna a immagine e somiglianza di Dio e si chiude con il giudizio finale di Cristo. Spesso si dimenticano questi due poli della storia, e soprattutto la fede nel ritorno di Cristo e nel giudizio finale a volte non è così chiara e salda nel cuore dei cristiani. Gesù, durante la vita pubblica, si è soffermato spesso sulla realtà della sua ultima venuta. Oggi vorrei riflettere su tre testi evangelici che ci aiutano ad entrare in questo mistero: quello delle dieci vergini, quello dei talenti e quello del giudizio finale. Tutti e tre fanno parte del discorso di Gesù sulla fine dei tempi, nel Vangelo di san Matteo.

Anzitutto ricordiamo che, con l’Ascensione, il Figlio di Dio ha portato presso il Padre la nostra umanità da Lui assunta e vuole attirare tutti a sé, chiamare tutto il mondo ad essere accolto tra le braccia aperte di Dio, affinché, alla fine della storia, l’intera realtà sia consegnata al Padre. C’è, però, questo “tempo immediato” tra la prima venuta di Cristo e l’ultima, che è proprio il tempo che stiamo vivendo. In questo contesto del “tempo immediato” si colloca la parabola delle dieci vergini (cfr Mt 25,1-13). Si tratta di dieci ragazze che aspettano l’arrivo dello Sposo, ma questi tarda ed esse si addormentano. All’annuncio improvviso che lo Sposo sta arrivando, tutte si preparano ad accoglierlo, ma mentre cinque di esse, sagge, hanno olio per alimentare le proprie lampade, le altre, stolte, restano con le lampade spente perché non ne hanno; e mentre lo cercano giunge lo Sposo e le vergini stolte trovano chiusa la porta che introduce alla festa nuziale. Bussano con insistenza, ma ormai è troppo tardi, lo Sposo risponde: non vi conosco. Lo Sposo è il Signore, e il tempo di attesa del suo arrivo è il tempo che Egli ci dona, a tutti noi, con misericordia e pazienza, prima della sua venuta finale; è un tempo di vigilanza; tempo in cui dobbiamo tenere accese le lampade della fede, della speranza e della carità, in cui tenere aperto il cuore al bene, alla bellezza e alla verità; tempo da vivere secondo Dio, poiché non conosciamo né il giorno, né l’ora del ritorno di Cristo. Quello che ci è chiesto è di essere preparati all’incontro - preparati ad un incontro, ad un bell’incontro, l’incontro con Gesù -, che significa saper vedere i segni della sua presenza, tenere viva la nostra fede, con la preghiera, con i Sacramenti, essere vigilanti per non addormentarci, per non dimenticarci di Dio. La vita dei cristiani addormentati è una vita triste, non è una vita felice. Il cristiano dev’essere felice, la gioia di Gesù. Non addormentarci!

La seconda parabola, quella dei talenti, ci fa riflettere sul rapporto tra come impieghiamo i doni ricevuti da Dio e il suo ritorno, in cui ci chiederà come li abbiamo utilizzati (cfr Mt 25,14-30). Conosciamo bene la parabola: prima della partenza, il padrone consegna ad ogni servo alcuni talenti, affinché siano utilizzati bene durante la sua assenza. Al primo ne consegna cinque, al secondo due e al terzo uno. Nel periodo di assenza, i primi due servi moltiplicano i loro talenti – queste sono antiche monete -, mentre il terzo preferisce sotterrare il proprio e consegnarlo intatto al padrone. Al suo ritorno, il padrone giudica il loro operato: loda i primi due, mentre il terzo viene cacciato fuori nelle tenebre, perché ha tenuto nascosto per paura il talento, chiudendosi in se stesso. Un cristiano che si chiude in se stesso, che nasconde tutto quello che il Signore gli ha dato è un cristiano… non è cristiano! E’ un cristiano che non ringrazia Dio per tutto quello che gli ha donato! Questo ci dice che l’attesa del ritorno del Signore è il tempo dell’azione - noi siamo nel tempo dell’azione -, il tempo in cui mettere a frutto i doni di Dio non per noi stessi, ma per Lui, per la Chiesa, per gli altri, il tempo in cui cercare sempre di far crescere il bene nel mondo. E in particolare in questo tempo di crisi, oggi, è importante non chiudersi in se stessi, sotterrando il proprio talento, le proprie ricchezze spirituali, intellettuali, materiali, tutto quello che il Signore ci ha dato, ma aprirsi, essere solidali, essere attenti all’altro. Nella piazza, ho visto che ci sono molti giovani: è vero, questo? Ci sono molti giovani? Dove sono? A voi, che siete all’inizio del cammino della vita, chiedo: Avete pensato ai talenti che Dio vi ha dato? Avete pensato a come potete metterli a servizio degli altri? Non sotterrate i talenti! Scommettete su ideali grandi, quegli ideali che allargano il cuore, quegli ideali di servizio che renderanno fecondi i vostri talenti. La vita non ci è data perché la conserviamo gelosamente per noi stessi, ma ci è data perché la doniamo. Cari giovani, abbiate un animo grande! Non abbiate paura di sognare cose grandi!

Infine, una parola sul brano del giudizio finale, in cui viene descritta la seconda venuta del Signore, quando Egli giudicherà tutti gli esseri umani, vivi e morti (cfr Mt 25,31-46). L’immagine utilizzata dall’evangelista è quella del pastore che separa le pecore dalle capre. Alla destra sono posti coloro che hanno agito secondo la volontà di Dio, soccorrendo il prossimo affamato, assetato, straniero, nudo, malato, carcerato - ho detto “straniero”: penso a tanti stranieri che sono qui nella diocesi di Roma: cosa facciamo per loro? - mentre alla sinistra vanno coloro che non hanno soccorso il prossimo. Questo ci dice che noi saremo giudicati da Dio sulla carità, su come lo avremo amato nei nostri fratelli, specialmente i più deboli e bisognosi. Certo, dobbiamo sempre tenere ben presente che noi siamo giustificati, siamo salvati per grazia, per un atto di amore gratuito di Dio che sempre ci precede; da soli non possiamo fare nulla. La fede è anzitutto un dono che noi abbiamo ricevuto. Ma per portare frutti, la grazia di Dio richiede sempre la nostra apertura a Lui, la nostra risposta libera e concreta. Cristo viene a portarci la misericordia di Dio che salva. A noi è chiesto di affidarci a Lui, di corrispondere al dono del suo amore con una vita buona, fatta di azioni animate dalla fede e dall’amore.

Cari fratelli e sorelle, guardare al giudizio finale non ci faccia mai paura; ci spinga piuttosto a vivere meglio il presente. Dio ci offre con misericordia e pazienza questo tempo affinché impariamo ogni giorno a riconoscerlo nei poveri e nei piccoli, ci adoperiamo per il bene e siamo vigilanti nella preghiera e nell’amore. Il Signore, al termine della nostra esistenza e della storia, possa riconoscerci come servi buoni e fedeli. Grazie.


Saluti:



APPELLO

Il rapimento dei Metropoliti greco-ortodosso e siro-ortodosso di Aleppo, sul cui rilascio ci sono notizie contrastanti, è un ulteriore segno della tragica situazione che sta attraversando la cara Nazione siriana, dove la violenza e le armi continuano a seminare morte e sofferenza. Mentre ricordo nella preghiera i due Vescovi, affinché ritornino presto alle loro comunità, chiedo a Dio di illuminare i cuori e rinnovo il pressante invito che ho rivolto nel giorno di Pasqua affinché cessi lo spargimento di sangue, si presti la necessaria assistenza umanitaria alla popolazione e si trovi quanto prima una soluzione politica alla crisi.

* * *

Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare saluto i fedeli dei diversi pellegrinaggi diocesani, accompagnati dai rispettivi Vescovi, convenuti alla Sede di Pietro in occasione dell’Anno della fede. Saluto inoltre i sacerdoti, le religiose - specialmente le Figlie di Nostra Signora al Monte Calvario a 10 anni dalla canonizzazione della Fondatrice Virginia Centurione Bracelli -, i seminaristi, i gruppi parrocchiali, i fedeli dell’undicesimo Decanato di Napoli e i numerosi anziani dell’Associazione Nazionale Pensionati. La visita alle tombe degli Apostoli rafforzi in tutti la fede nel Cristo Risorto!

Un pensiero speciale rivolgo all’Arcivescovo di Sassari e agli operai della Società “E.ON” - si vede che oggi l’aereo è arrivato in orario; grazie tante! -, ed auspico che la grave congiuntura occupazionale possa trovare una rapida ed equa soluzione, nel rispetto dei diritti di tutti, specialmente delle famiglie. La situazione in Sardegna e nell’intero Paese è particolarmente difficile. È importante che ci sia un incisivo impegno per aprire vie di speranza.

Infine, un pensiero affettuoso ai giovani, ai malati e agli sposi novelli. Cristo Buon Pastore dìa sicurezza a ciascuno di voi, cari giovani, soprattutto agli studenti così numerosi, perché seguendo la sua voce non sbaglierete; sostenga voi, cari ammalati, nel portare la vostra croce quotidiana; e aiuti voi, cari sposi novelli, a costruire la vostra famiglia sull’amore di Dio. Grazie!

 



Caterina63
00giovedì 16 maggio 2013 18:50


CATECHESI DEL SANTO PADRE IN LINGUA ITALIANA

Cari fratelli e sorelle,
buongiorno

oggi, primo maggio, celebriamo san Giuseppe lavoratore e iniziamo il mese tradizionalmente dedicato alla Madonna. In questo nostro incontro, vorrei soffermarmi allora su queste due figure così importanti nella vita di Gesù, della Chiesa e nella nostra vita, con due brevi pensieri: il primo sul lavoro, il secondo sulla contemplazione di Gesù.

Nel Vangelo di san Matteo, in uno dei momenti in cui Gesù ritorna al suo paese, a Nazaret, e parla nella sinagoga, viene sottolineato lo stupore dei suoi paesani per la sua sapienza, e la domanda che si pongono: «Non è costui il figlio del falegname?» (13,55). Gesù entra nella nostra storia, viene in mezzo a noi, nascendo da Maria per opera di Dio, ma con la presenza di san Giuseppe, il padre legale che lo custodisce e gli insegna anche il suo lavoro. Gesù nasce e vive in una famiglia, nella santa Famiglia, imparando da san Giuseppe il mestiere del falegname, nella bottega di Nazaret, condividendo con lui l’impegno, la fatica, la soddisfazione e anche le difficoltà di ogni giorno.

Questo ci richiama alla dignità e all’importanza del lavoro. Il libro della Genesi narra che Dio creò l’uomo e la donna affidando loro il compito di riempire la terra e soggiogarla, che non significa sfruttarla, ma coltivarla e custodirla, averne cura con la propria opera (cfr Gen 1,28; 2,15). Il lavoro fa parte del piano di amore di Dio; noi siamo chiamati a coltivare e custodire tutti i beni della creazione e in questo modo partecipiamo all’opera della creazione! Il lavoro è un elemento fondamentale per la dignità di una persona. Il lavoro, per usare un’immagine, ci "unge" di dignità, ci riempie di dignità; ci rende simili a Dio, che ha lavorato e lavora, agisce sempre (cfr Gv 5,17); dà la capacità di mantenere se stessi, la propria famiglia, di contribuire alla crescita della propria Nazione. E qui penso alle difficoltà che, in vari Paesi, incontra oggi il mondo del lavoro e dell’impresa; penso a quanti, e non solo giovani, sono disoccupati, molte volte a causa di una concezione economicista della società, che cerca il profitto egoista, al di fuori dei parametri della giustizia sociale.

Desidero rivolgere a tutti l’invito alla solidarietà, e ai Responsabili della cosa pubblica l’incoraggiamento a fare ogni sforzo per dare nuovo slancio all’occupazione; questo significa preoccuparsi per la dignità della persona; ma soprattutto vorrei dire di non perdere la speranza; anche san Giuseppe ha avuto momenti difficili, ma non ha mai perso la fiducia e ha saputo superarli, nella certezza che Dio non ci abbandona. E poi vorrei rivolgermi in particolare a voi ragazzi e ragazze a voi giovani: impegnatevi nel vostro dovere quotidiano, nello studio, nel lavoro, nei rapporti di amicizia, nell’aiuto verso gli altri; il vostro avvenire dipende anche da come sapete vivere questi preziosi anni della vita. Non abbiate paura dell’impegno, del sacrificio e non guardate con paura al futuro; mantenete viva la speranza: c’è sempre una luce all’orizzonte.

Aggiungo una parola su un’altra particolare situazione di lavoro che mi preoccupa: mi riferisco a quello che potremmo definire come il "lavoro schiavo", il lavoro che schiavizza. Quante persone, in tutto il mondo, sono vittime di questo tipo di schiavitù, in cui è la persona che serve il lavoro, mentre deve essere il lavoro ad offrire un servizio alle persone perché abbiano dignità. Chiedo ai fratelli e sorelle nella fede e a tutti gli uomini e donne di buona volontà una decisa scelta contro la tratta delle persone, all’interno della quale figura il "lavoro schiavo".

Accenno al secondo pensiero: nel silenzio dell’agire quotidiano, san Giuseppe, insieme a Maria, hanno un solo centro comune di attenzione: Gesù. Essi accompagnano e custodiscono, con impegno e tenerezza, la crescita del Figlio di Dio fatto uomo per noi, riflettendo su tutto ciò che accadeva. Nei Vangeli, san Luca sottolinea due volte l’atteggiamento di Maria, che è anche quello di san Giuseppe: «Custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore» (2,19.51). Per ascoltare il Signore, bisogna imparare a contemplarlo, a percepire la sua presenza costante nella nostra vita; bisogna fermarsi a dialogare con Lui, dargli spazio con la preghiera.
Ognuno di noi, anche voi ragazzi, ragazze e giovani, così numerosi questa mattina, dovrebbe chiedersi: quale spazio do al Signore? Mi fermo a dialogare con Lui? Fin da quando eravamo piccoli, i nostri genitori ci hanno abituati ad iniziare e a terminare la giornata con una preghiera, per educarci a sentire che l’amicizia e l’amore di Dio ci accompagnano. Ricordiamoci di più del Signore nelle nostre giornate!

E in questo mese di maggio, vorrei richiamare all’importanza e alla bellezza della preghiera del santo Rosario. Recitando l'Ave Maria, noi siamo condotti a contemplare i misteri di Gesù, a riflettere cioè sui momenti centrali della sua vita, perché, come per Maria e per san Giuseppe, Egli sia il centro dei nostri pensieri, delle nostre attenzioni e delle nostre azioni. Sarebbe bello se, soprattutto in questo mese di maggio, si recitasse assieme in famiglia, con gli amici, in Parrocchia, il santo Rosario o qualche preghiera a Gesù e alla Vergine Maria! La preghiera fatta assieme è un momento prezioso per rendere ancora più salda la vita familiare, l’amicizia! Impariamo a pregare di più in famiglia e come famiglia!

Cari fratelli e sorelle, chiediamo a san Giuseppe e alla Vergine Maria che ci insegnino ad essere fedeli ai nostri impegni quotidiani, a vivere la nostra fede nelle azioni di ogni giorno e a dare più spazio al Signore nella nostra vita, a fermarci per contemplare il suo volto. Grazie.






Caterina63
00giovedì 16 maggio 2013 18:52

UDIENZA GENERALE

Piazza San Pietro
Mercoledì, 8 maggio 2013

[Video]  


   

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Il tempo pasquale che con gioia stiamo vivendo, guidati dalla liturgia della Chiesa, è per eccellenza il tempo dello Spirito Santo donato «senza misura» (cfr Gv 3,34) da Gesù crocifisso e risorto. Questo tempo di grazia si conclude con la festa della Pentecoste, in cui la Chiesa rivive l’effusione dello Spirito su Maria e gli Apostoli raccolti in preghiera nel Cenacolo.

Ma chi è lo Spirito Santo?

Nel Credo noi professiamo con fede: «Credo nello Spirito Santo che è Signore e dà la vita». La prima verità a cui aderiamo nel Credo è che lo Spirito Santo è Kýrios, Signore. Ciò significa che Egli è veramente Dio come lo sono il Padre e il Figlio, oggetto, da parte nostra, dello stesso atto di adorazione e di glorificazione che rivolgiamo al Padre e al Figlio. Lo Spirito Santo, infatti, è la terza Persona della Santissima Trinità; è il grande dono del Cristo Risorto che apre la nostra mente e il nostro cuore alla fede in Gesù come il Figlio inviato dal Padre e che ci guida all’amicizia, alla comunione con Dio.

Ma vorrei soffermarmi soprattutto sul fatto che lo Spirito Santo è la sorgente inesauribile della vita di Dio in noi. L’uomo di tutti i tempi e di tutti i luoghi desidera una vita piena e bella, giusta e buona, una vita che non sia minacciata dalla morte, ma che possa maturare e crescere fino alla sua pienezza. L’uomo è come un viandante che, attraversando i deserti della vita, ha sete di un’acqua viva, zampillante e fresca, capace di dissetare in profondità il suo desiderio profondo di luce, di amore, di bellezza e di pace. Tutti sentiamo questo desiderio! E Gesù ci dona quest’acqua viva: essa è lo Spirito Santo, che procede dal Padre e che Gesù riversa nei nostri cuori. «Io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza», ci dice Gesù (Gv 10,10).

Gesù promette alla Samaritana di donare un’“acqua viva”, con sovrabbondanza e per sempre, a tutti coloro che lo riconoscono come il Figlio inviato dal Padre per salvarci (cfr Gv 4, 5-26; 3,17). Gesù è venuto a donarci quest’“acqua viva” che è lo Spirito Santo, perché la nostra vita sia guidata da Dio, sia animata da Dio, sia nutrita da Dio. Quando noi diciamo che il cristiano è un uomo spirituale intendiamo proprio questo: il cristiano è una persona che pensa e agisce secondo Dio, secondo lo Spirito Santo. Ma mi faccio una domanda: e noi, pensiamo secondo Dio? Agiamo secondo Dio? O ci lasciamo guidare da tante altre cose che non sono propriamente Dio? Ciascuno di noi deve rispondere a questo nel profondo del suo cuore.

A questo punto possiamo chiederci: perché quest’acqua può dissetarci sino in fondo? Noi sappiamo che l’acqua è essenziale per la vita; senz’acqua si muore; essa disseta, lava, rende feconda la terra. Nella Lettera ai Romani troviamo questa espressione: «L’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato» (5,5). L’“acqua viva”, lo Spirito Santo, Dono del Risorto che prende dimora in noi, ci purifica, ci illumina, ci rinnova, ci trasforma perché ci rende partecipi della vita stessa di Dio che è Amore. Per questo, l’Apostolo Paolo afferma che la vita del cristiano è animata dallo Spirito e dai suoi frutti, che sono «amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé» (Gal 5,22-23).

Lo Spirito Santo ci introduce nella vita divina come “figli nel Figlio Unigenito”. In un altro passo della Lettera ai Romani, che abbiamo ricordato più volte, san Paolo lo sintetizza con queste parole: «Tutti quelli che sono guidati dallo Spirito di Dio, questi sono figli di Dio. E voi… avete ricevuto lo Spirito che rende figli adottivi, per mezzo del quale gridiamo “Abbà! Padre!”. Lo Spirito stesso, insieme al nostro spirito, attesta che siamo figli di Dio. E se siamo figli, siamo anche eredi: eredi di Dio, coeredi di Cristo, se davvero prendiamo parte alle sue sofferenze per partecipare anche alla sua gloria» (8,14-17). Questo è il dono prezioso che lo Spirito Santo porta nei nostri cuori: la vita stessa di Dio, vita di veri figli, un rapporto di confidenza, di libertà e di fiducia nell’amore e nella misericordia di Dio, che ha come effetto anche uno sguardo nuovo verso gli altri, vicini e lontani, visti sempre come fratelli e sorelle in Gesù da rispettare e da amare.
Lo Spirito Santo ci insegna a guardare con gli occhi di Cristo, a vivere la vita come l’ha vissuta Cristo, a comprendere la vita come l’ha compresa Cristo. Ecco perché l’acqua viva che è lo Spirito Santo disseta la nostra vita, perché ci dice che siamo amati da Dio come figli, che possiamo amare Dio come suoi figli e che con la sua grazia possiamo vivere da figli di Dio, come Gesù. E noi, ascoltiamo lo Spirito Santo? Cosa ci dice lo Spirito Santo? Dice: Dio ti ama. Ci dice questo. Dio ti ama, Dio ti vuole bene. Noi amiamo veramente Dio e gli altri, come Gesù?

Lasciamoci guidare dallo Spirito Santo, lasciamo che Lui ci parli al cuore e ci dica questo: che Dio è amore, che Dio ci aspetta, che Dio è il Padre, ci ama come vero Papà, ci ama veramente e questo lo dice soltanto lo Spirito Santo al cuore. Sentiamo lo Spirito Santo, ascoltiamo lo Spirito Santo e andiamo avanti per questa strada dell'amore, della misericordia e del perdono.
Grazie.


Saluti:


* * *

Rivolgo il mio benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare saluto i fedeli della Diocesi di San Benedetto del Tronto-Ripatransone-Montalto, con il Vescovo Mons. Gestori, convenuti alla Sede di Pietro in occasione dell’Anno della fede; quelli di Roiate e di Conversano, che incoronano rispettivamente la Madonna delle Grazie e la Madonna della Fonte; e i devoti del Santuario della Ravanusa, che celebrano il Giubileo Mariano. Saluto i sacerdoti, le religiose - in particolare il gruppo delle Figlie della Carità -, i seminaristi, i gruppi parrocchiali e le numerose scolaresche. La visita alle tombe degli Apostoli rafforzi in tutti la fede in Cristo, che, asceso alla destra del Padre, è sempre vivo e presente tra noi!

Oggi, 8 maggio, si eleva l’intensa preghiera della “Supplica alla Madonna del Rosario” di Pompei, composta dal Beato Bartolo Longo. Ci uniamo spiritualmente a questo popolare atto di fede e di devozione, affinché per intercessione di Maria, il Signore conceda misericordia e pace alla Chiesa e al mondo intero.

Infine, un pensiero affettuoso ai giovani, ai malati e agli sposi novelli. La Madre di Gesù educhi voi, cari giovani, al coraggio delle scelte definitive; aiuti voi, cari ammalati, specialmente quelli dell’Unitalsi di Roma e della “Emme Due” di Sessa Aurunca, ad accettare la sofferenza con amore; e sia di modello a voi, cari sposi novelli, per costruire nella fedeltà la vostra unione coniugale.

Prima di cantare il Padre Nostro, ricordatevi: dobbiamo ascoltare lo Spirito Santo che è dentro di noi, sentirlo. Cosa ci dice? Che Dio è buono, che Dio è padre, che Dio ci ama, che Dio ci perdona sempre. Ascoltiamo lo Spirito Santo.  

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''Viviamo in un'epoca in cui si e' piuttosto scettici nei confronti della verita'''. Lo ha detto papa Francesco nella catechesi durante l'udienza generale in piazza San Pietro richiamando anche le parole del papa emerito sul relativismo.
''Benedetto XVI - ha aggiunto Francesco - ha parlato molte volte di relativismo, della tendenza cioe' a ritenere che non ci sia nulla di definitivo e a pensare che la verita' venga data dal consenso o da quello che noi vogliamo. Sorge la domanda: esiste veramente la verita'? Che cos'e' la verita'? Possiamo conoscerla? Possiamo trovarla? Qui mi viene in mente la domanda del Procuratore romano Ponzio Pilato quando Gesu' gli rivela il senso profondo della sua missione: 'Che cos'e' la verita'?'. Pilato non riesce a capire che la Verita' e' davanti a lui, non riesce a vedere in Gesu' il volto della verita', che e' il volto di Dio''.
Gesu', ha spiegato il papa, e' ''proprio questo: la Verita', che, nella pienezza dei tempi, 'si e' fatta carne', e' venuta in mezzo a noi perche' noi la conoscessimo''.
''La verita' - ha proseguito il papa - non si afferra come una cosa, la verita' si incontra. Non e' un possesso, e' un incontro con una Persona''.


 UDIENZA GENERALE

Piazza San Pietro
Mercoledì, 15 maggio 2013



Cari fratelli e sorelle buongiorno!

oggi vorrei soffermarmi sull’azione che lo Spirito Santo compie nel guidare la Chiesa e ciascuno di noi alla Verità. Gesù stesso dice ai discepoli: lo Spirito Santo «vi guiderà a tutta la verità» (Gv 16,13), essendo Egli stesso «lo Spirito di Verità» (cfr Gv 14,17; 15,26; 16,13).

Viviamo in un’epoca in cui si è piuttosto scettici nei confronti della verità. Benedetto XVI ha parlato molte volte di relativismo, della tendenza cioè a ritenere che non ci sia nulla di definitivo e a pensare che la verità venga data dal consenso o da quello che noi vogliamo. Sorge la domanda: esiste veramente “la” verità? Che cos’è “la” verità? Possiamo conoscerla? Possiamo trovarla? Qui mi viene in mente la domanda del Procuratore romano Ponzio Pilato quando Gesù gli rivela il senso profondo della sua missione: «Che cos’è la verità?» (Gv 18,37.38). Pilato non riesce a capire che “la” Verità è davanti a lui, non riesce a vedere in Gesù il volto della verità, che è il volto di Dio. Eppure, Gesù è proprio questo: la Verità, che, nella pienezza dei tempi, «si è fatta carne» (Gv 1,1.14), è venuta in mezzo a noi perché noi la conoscessimo. La verità non si afferra come una cosa, la verità si incontra. Non è un possesso, è un incontro con una Persona.

Ma chi ci fa riconoscere che Gesù è “la” Parola di verità, il Figlio unigenito di Dio Padre? San Paolo insegna che «nessuno può dire: “Gesù è Signore!” se non sotto l’azione dello Spirito Santo» (1Cor 12,3). E’ proprio lo Spirito Santo, il dono di Cristo Risorto, che ci fa riconoscere la Verità. Gesù lo definisce il “Paraclito”, cioè “colui che ci viene in aiuto”, che è al nostro fianco per sostenerci in questo cammino di conoscenza; e, durante l’Ultima Cena, Gesù assicura ai discepoli che lo Spirito Santo insegnerà ogni cosa, ricordando loro le sue parole (cfr Gv 14,26).

Qual è allora l’azione dello Spirito Santo nella nostra vita e nella vita della Chiesa per guidarci alla verità? Anzitutto, ricorda e imprime nei cuori dei credenti le parole che Gesù ha detto, e, proprio attraverso tali parole, la legge di Dio – come avevano annunciato i profeti dell’Antico Testamento – viene inscritta nel nostro cuore e diventa in noi principio di valutazione nelle scelte e di guida nelle azioni quotidiane, diventa principio di vita. Si realizza la grande profezia di Ezechiele: «vi purificherò da tutte le vostre impurità e da tutti i vostri idoli, vi darò un cuore nuovo, metterò dentro di voi uno spirito nuovo… Porrò il mio spirito dentro di voi e vi farò vivere secondo le mie leggi e vi farò osservare e mettere in pratica le mie norme» (36,25-27). Infatti, è dall’intimo di noi stessi che nascono le nostre azioni: è proprio il cuore che deve convertirsi a Dio, e lo Spirito Santo lo trasforma se noi ci apriamo a Lui.

Lo Spirito Santo, poi, come promette Gesù, ci guida «a tutta la verità» (Gv 16,13); ci guida non solo all’incontro con Gesù, pienezza della Verità, ma ci guida anche “dentro” la Verità, ci fa entrare cioè in una comunione sempre più profonda con Gesù, donandoci l’intelligenza delle cose di Dio. E questa non la possiamo raggiungere con le nostre forze. Se Dio non ci illumina interiormente, il nostro essere cristiani sarà superficiale. La Tradizione della Chiesa afferma che lo Spirito di verità agisce nel nostro cuore suscitando quel “senso della fede” (sensus fidei) attraverso il quale, come afferma il Concilio Vaticano II, il Popolo di Dio, sotto la guida del Magistero, aderisce indefettibilmente alla fede trasmessa, la approfondisce con retto giudizio e la applica più pienamente nella vita (cfr Cost. dogm. Lumen gentium, 12). Proviamo a chiederci: sono aperto all’azione dello Spirito Santo, lo prego perché mi dia luce, mi renda più sensibile alle cose di Dio? Questa è una preghiera che dobbiamo fare tutti i giorni: «Spirito Santo fa’ che il mio cuore sia aperto alla Parola di Dio, che il mio cuore sia aperto al bene, che il mio cuore sia aperto alla bellezza di Dio tutti i giorni». Vorrei fare una domanda a tutti: quanti di voi  pregano ogni giorno lo Spirito Santo? Saranno pochi, ma noi dobbiamo soddisfare questo desiderio di Gesù e pregare tutti i giorni lo Spirito Santo, perché ci apra il cuore verso Gesù.

Pensiamo a Maria che «serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore» (Lc 2,19.51). L’accoglienza delle parole e delle verità della fede perché diventino vita, si realizza e cresce sotto l’azione dello Spirito Santo. In questo senso occorre imparare da Maria, rivivere il suo “sì”, la sua disponibilità totale a ricevere il Figlio di Dio nella sua vita, che da quel momento è trasformata. Attraverso lo Spirito Santo, il Padre e il Figlio prendono dimora presso di noi: noi viviamo in Dio e di Dio. Ma la nostra vita è veramente animata da Dio? Quante cose metto prima di Dio?

Cari fratelli e sorelle, abbiamo bisogno di lasciarci inondare dalla luce dello Spirito Santo, perché Egli ci introduca nella Verità di Dio, che è l’unico Signore della nostra vita. In quest’Anno della fede chiediamoci se concretamente abbiamo fatto qualche passo per conoscere di più Cristo e le verità della fede, leggendo e meditando la Sacra Scrittura, studiando il Catechismo, accostandosi con costanza ai Sacramenti. Ma chiediamoci contemporaneamente quali passi stiamo facendo perché la fede orienti tutta la nostra esistenza. Non si è cristiani “a tempo”, soltanto in alcuni momenti, in alcune circostanze, in alcune scelte. Non si può essere cristiani così, si è cristiani in ogni momento! Totalmente! La verità di Cristo, che lo Spirito Santo ci insegna e ci dona, interessa per sempre e totalmente la nostra vita quotidiana. Invochiamolo più spesso, perché ci guidi sulla strada dei discepoli di Cristo. Invochiamolo tutti i giorni. Vi faccio questa proposta: invochiamo tutti i giorni lo Spirito Santo, così lo Spirito Santo ci avvicinerà a Gesù Cristo.

Saluti:

* * *

Rivolgo un cordiale benvenuto ai numerosi pellegrini di lingua italiana. Saluto con affetto le comunità parrocchiali con i loro sacerdoti, le associazioni, i gruppi e i singoli. In particolare saluto i fedeli delle diocesi di Arezzo-Cortona-San Sepolcro, Chieti-Vasto, Pitigliano-Sovana-Orbetello, accompagnati dai rispettivi Pastori e li esorto ad essere segni eloquenti dell’amore di Dio e strumenti di pace in ogni ambiente, anche quelli più difficili. Un pensiero speciale rivolgo ai Vescovi, ai sacerdoti e ai fedeli provenienti dalla Sardegna; cari amici, vi ringrazio per la vostra presenza e di cuore affido voi e le vostre comunità alla materna intercessione della Vergine Santa che venerate con il titolo di “Madonna di Bonaria”. A questo proposito, vi vorrei annunciare che desidero visitare il Santuario a Cagliari - quasi sicuramente nel mese di settembre – perché fra la città di Buenos Aires e Cagliari c’è una fratellanza per una storia antica. Proprio nel momento della fondazione della città di Buenos Aires, il suo fondatore voleva nominarla «Città della Santissima Trinità», ma i marinai che lo avevano portato laggiù erano sardi e loro volevano che si chiamasse «Città della Madonna di Bonaria». Vi fu una disputa fra di essi e alla fine hanno trovato un compromesso, così che il nome della Città risultò lungo: «Città della Santissima Trinità e Porto di Nostra Signora di Bonaria». Ma essendo tanto lungo, sono rimaste le due ultime parole: Bonaria, Buenos Aires, in ricordo della vostra icona della Madonna di Bonaria.

Saluto con affetto tutti gli studenti, in particolare quelli di numerose scuole cattoliche. La scuola cattolica costituisce una realtà preziosa per l’intera società, soprattutto per il servizio educativo che svolge, in collaborazione con le famiglie, ed è bene che ne sia riconosciuto il ruolo in modo appropriato.

Saluto infine i giovani, gli ammalati e gli sposi novelli. Durante questo mese di maggio, cari giovani, sforzatevi di imitare la giovane di Nazaret, Maria. Lei vi aiuti ad essere semplici, puri di cuore e a portare un raggio di serenità dove c’è tristezza e solitudine. A voi, cari ammalati, auguro di vivere, con l’aiuto di Maria, la vostra situazione con fiducioso abbandono al Signore, Dio di ogni consolazione. E voi, cari sposi novelli, possiate trovare sempre gioia e sostegno nella vostra reciproca fedeltà.

 


 

Caterina63
00mercoledì 22 maggio 2013 13:26


Venerdì prossimo 24 maggio, nella memoria liturgica della Beata Vergine Maria, Aiuto dei Cristiani, venerata con grande devozione nel Santuario di Sheshan a Shanghai, si celebra la Giornata di preghiera per la Chiesa in Cina, istituita da Benedetto XVI nel 2007.

Giornata di preghiera per la Chiesa in Cina, 24 maggio 2008 - Preghiera a Nostra Signora di Sheshan (15 maggio 2008)
[Cinese semplificato, Cinese tradizionale, Francese, Inglese, Italiano, Portoghese, Spagnolo, Tedesco]

PREGHIERA A NOSTRA SIGNORA DI SHESHAN
composta da Benedetto XVI - maggio 2008


 
Vergine Santissima, Madre del Verbo incarnato e Madre nostra,
venerata col titolo di “Aiuto dei cristiani” nel Santuario di Sheshan,
verso cui guarda con devoto affetto l’intera Chiesa che è in Cina,
veniamo oggi davanti a te per implorare la tua protezione.
Volgi il tuo sguardo al Popolo di Dio e guidalo con sollecitudine materna
sulle strade della verità e dell’amore, affinché sia in ogni circostanza
fermento di armoniosa convivenza tra tutti i cittadini.

Con il docile “sì” pronunciato a Nazaret tu consentisti
all’eterno Figlio di Dio di prendere carne nel tuo seno verginale
e di avviare così nella storia l’opera della Redenzione,
alla quale cooperasti poi con solerte dedizione,
accettando che la spada del dolore trafiggesse la tua anima,
fino all’ora suprema della Croce, quando sul Calvario restasti
ritta accanto a tuo Figlio che moriva perché l’uomo vivesse.

Da allora tu divenisti, in maniera nuova, Madre
di tutti coloro che accolgono nella fede il tuo Figlio Gesù
e accettano di seguirlo prendendo la sua Croce sulle spalle.
Madre della speranza, che nel buio del Sabato santo andasti
con incrollabile fiducia incontro al mattino di Pasqua,
dona ai tuoi figli la capacità di discernere in ogni situazione,
fosse pur la più buia, i segni della presenza amorosa di Dio.

Nostra Signora di Sheshan, sostieni l’impegno di quanti in Cina,
tra le quotidiane fatiche, continuano a credere, a sperare, ad amare,
affinché mai temano di parlare di Gesù al mondo e del mondo a Gesù.
Nella statua che sovrasta il Santuario tu sorreggi in alto tuo Figlio,
presentandolo al mondo con le braccia spalancate in gesto d’amore.
Aiuta i cattolici ad essere sempre testimoni credibili di questo amore,
mantenendosi uniti alla roccia di Pietro su cui è costruita la Chiesa.
Madre della Cina e dell’Asia, prega per noi ora e sempre.  Amen!




http://www.maranatha.it/Benvenuti/mapa/shesham2.jpg

Il Papa Francesco, al termine dell’udienza generale di oggi 22 maggio, l'ha ricordata.
Queste le sue parole: 

Invito tutti i cattolici nel mondo a unirsi in preghiera con i fratelli e le sorelle che sono in Cina, per implorare da Dio la grazia di annunciare con umiltà e con gioia Cristo morto e risorto, di essere fedeli alla sua Chiesa e al Successore di Pietro e di vivere la quotidianità nel servizio al loro Paese e ai loro concittadini in modo coerente con la fede che professano.
Facendo nostre alcune parole della preghiera alla Madonna di Sheshan, vorrei insieme con voi invocare Maria così: “Nostra Signora di Sheshan, sostieni l’impegno di quanti in Cina, tra le quotidiane fatiche, continuano a credere, a sperare, ad amare, affinché mai temano di parlare di Gesù al mondo e del mondo a Gesù”.
Maria, Vergine fedele, sostenga i cattolici cinesi, renda i loro non facili impegni sempre più preziosi agli occhi del Signore, e faccia crescere l’affetto e la partecipazione della Chiesa che è in Cina al cammino della Chiesa universale".

 


UDIENZA GENERALE

Piazza San Pietro
Mercoledì, 22 maggio 2013

[Video]




Cari fratelli e sorelle, buongiorno.

Nel Credo, subito dopo aver professato la fede nello Spirito Santo, diciamo: «Credo la Chiesa una, santa, cattolica e apostolica». C’è un profondo legame tra queste due realtà di fede: è lo Spirito Santo, infatti, che dà vita alla Chiesa, guida i suoi passi. Senza la presenza e l’azione incessante dello Spirito Santo, la Chiesa non potrebbe vivere e non potrebbe realizzare il compito che Gesù risorto le ha affidato di andare e fare discepoli tutti i popoli (cfr Mt 28,18). Evangelizzare è la missione della Chiesa, non solo di alcuni, ma la mia, la tua, la nostra missione. L’Apostolo Paolo esclamava: «Guai a me se non annuncio il Vangelo!» (1Cor 9,16). Ognuno deve essere evangelizzatore, soprattutto con la vita! Paolo VI sottolineava che «evangelizzare… è la grazia e la vocazione propria della Chiesa, la sua identità più profonda. Essa esiste per evangelizzare» (Esort. ap. Evangelii nuntiandi, 14).

Chi è il vero motore dell’evangelizzazione nella nostra vita e nella Chiesa? Paolo VI scriveva con chiarezza: «È lui, lo Spirito Santo che, oggi come agli inizi della Chiesa, opera in ogni evangelizzatore che si lasci possedere e condurre da Lui, che gli suggerisce le parole che da solo non saprebbe trovare, predisponendo nello stesso tempo l’animo di chi ascolta perché sia aperto ad accogliere la Buona Novella e il Regno annunziato» (ibid., 75). Per evangelizzare, allora, è necessario ancora una volta aprirsi all'orizzonte dello Spirito di Dio, senza avere timore di che cosa ci chieda e dove ci guidi. Affidiamoci a Lui! Lui ci renderà capaci di vivere e testimoniare la nostra fede, e illuminerà il cuore di chi incontriamo. Questa è stata l’esperienza di Pentecoste: agli Apostoli, riuniti con Maria nel Cenacolo, «apparvero lingue come di fuoco, che si dividevano, e si posarono su ciascuno di loro, e tutti furono colmati di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue, nel modo in cui lo Spirito dava loro il potere di esprimersi» (At 2,3-4). Lo Spirito Santo, scendendo sugli Apostoli, li fa uscire dalla stanza in cui erano chiusi per timore, li fa uscire da se stessi, e li trasforma in annunciatori e testimoni delle «grandi opere di Dio» (v. 11). E questa trasformazione operata dallo Spirito Santo si riflette sulla folla accorsa sul luogo e proveniente «da ogni nazione che è sotto il cielo» (v. 5), perché ciascuno ascolta le parole degli Apostoli come se fossero pronunciate nella propria lingua (v. 6).

Qui c’è un primo effetto importante dell’azione dello Spirito Santo che guida e anima l’annuncio del Vangelo: l’unità, la comunione. A Babele, secondo il racconto biblico, era iniziata la dispersione dei popoli e la confusione delle lingue, frutto del gesto di superbia e di orgoglio dell’uomo che voleva costruire, con le sole proprie forze, senza Dio, «una città e una torre la cui cima tocchi il cielo» (Gen 11,4). A Pentecoste queste divisioni sono superate. Non c’è più l’orgoglio verso Dio, né la chiusura degli uni verso gli altri, ma c’è l’apertura a Dio, c’è l’uscire per annunciare la sua Parola: una lingua nuova, quella dell’amore che lo Spirito Santo riversa nei cuori (cfr Rm 5,5); una lingua che tutti possono comprendere e che, accolta, può essere espressa in ogni esistenza e in ogni cultura. La lingua dello Spirito, la lingua del Vangelo è la lingua della comunione, che invita a superare chiusure e indifferenza, divisioni e contrapposizioni. Dovremmo chiederci tutti: come mi lascio guidare dallo Spirito Santo in modo che la mia vita e la mia testimonianza di fede sia di unità e di comunione? Porto la parola di riconciliazione e di amore che è il Vangelo negli ambienti in cui vivo? A volte sembra che si ripeta oggi quello che è accaduto a Babele: divisioni, incapacità di comprendersi, rivalità, invidie, egoismo. Io che cosa faccio con la mia vita? Faccio unità attorno a me? O divido, con le chiacchiere, le critiche, le invidie? Che cosa faccio? Pensiamo a questo. Portare il Vangelo è annunciare e vivere noi per primi la riconciliazione, il perdono, la pace, l’unità e l’amore che lo Spirito Santo ci dona. Ricordiamo le parole di Gesù: «Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avrete amore gli uni per gli altri» (Gv 13,34-35).

Un secondo elemento: il giorno di Pentecoste, Pietro, colmo di Spirito Santo, si alza in piedi «con gli undici» e «a voce alta» (At 2,14) e «con franchezza» (v. 29) annuncia la buona notizia di Gesù, che ha dato la sua vita per la nostra salvezza e che Dio ha risuscitato dai morti. Ecco un altro effetto dell’azione dello Spirito Santo: il coraggio, di annunciare la novità del Vangelo di Gesù a tutti, con franchezza (parresia), a voce alta, in ogni tempo e in ogni luogo. E questo avviene anche oggi per la Chiesa e per ognuno di noi: dal fuoco della Pentecoste, dall’azione dello Spirito Santo, si sprigionano sempre nuove energie di missione, nuove vie in cui annunciare il messaggio di salvezza, nuovo coraggio per evangelizzare. Non chiudiamoci mai a questa azione! Viviamo con umiltà e coraggio il Vangelo! Testimoniamo la novità, la speranza, la gioia che il Signore porta nella vita. Sentiamo in noi «la dolce e confortante gioia di evangelizzare» (Paolo VI, Esort. ap. Evangelii nuntiandi, 80). Perché evangelizzare, annunciare Gesù, ci dà gioia; invece, l'egoismo ci dà amarezza, tristezza, ci porta giù; evangelizzare ci porta su.

Accenno solamente ad un terzo elemento, che però è particolarmente importante: una nuova evangelizzazione, una Chiesa che evangelizza deve partire sempre dalla preghiera, dal chiedere, come gli Apostoli nel Cenacolo, il fuoco dello Spirito Santo. Solo il rapporto fedele e intenso con Dio permette di uscire dalle proprie chiusure e annunciare con parresia il Vangelo. Senza la preghiera il nostro agire diventa vuoto e il nostro annunciare non ha anima, e non è animato dallo Spirito.

Cari amici, come ha affermato Benedetto XVI, oggi la Chiesa «sente soprattutto il vento dello Spirito Santo che ci aiuta, ci mostra la strada giusta; e così, con nuovo entusiasmo, siamo in cammino e ringraziamo il Signore» (Parole all’Assemblea Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, 27 ottobre 2012). Rinnoviamo ogni giorno la fiducia nell’azione dello Spirito Santo, la fiducia che Lui agisce in noi, Lui è dentro di noi, ci dà il fervore apostolico, ci dà la pace, ci dà la gioia. Lasciamoci guidare da Lui, siamo uomini e donne di preghiera, che testimoniano con coraggio il Vangelo, diventando nel nostro mondo strumenti dell’unità e della comunione con Dio. Grazie.





Caterina63
00mercoledì 13 novembre 2013 12:33
   Vi ricordiamo che il Papa sta tenendo le catechesi sul Credo e contemporaneamente sulla CHIESA che abbiamo postato qui...

«Professo un solo battesimo per il perdono dei peccati»: nell'udienza generale di oggi papa Francesco ha commentato queste parole del Credo, davanti a 50mila fedeli accorsi in piazza San Pietro. Il Pontefice era entrato a bordo della jeep scoperta, e poi ha compiuto il consueto giro della piazza baciando e benedicendo i bambini presenti per circa venti minuti.

«Si tratta dell’unico riferimento esplicito a un Sacramento all’interno del Credo», ha detto Francesco; «in effetti il Battesimo è la “porta” della fede e della vita cristiana. Gesù Risorto lasciò agli Apostoli questa consegna: “Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo ad ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvato” (Mc 16,15-16)». La missione della Chiesa, ha ricordato il Pontefice, «è evangelizzare e rimettere i peccati attraverso il sacramento battesimale. Ma ritorniamo alle parole del Credo. L’espressione può essere divisa in tre punti: “professo”; “un solo battesimo”; “per la remissione dei peccati”».

Ecco il significato del primo verbo: «E’ un termine solenne e indica la grande importanza dell’oggetto, cioè il Battesimo. In effetti, pronunciando queste parole noi affermiamo la nostra vera identità di figli di Dio. Il Battesimo è in un certo senso la carta d’identità del cristiano, il suo atto di nascita».

E poi a braccio ha aggiunto: «E’ l’atto di nascita alla Chiesa. Tutti voi conoscete il giorno nel quale siete nati. Davvero, no? Festeggiate il compleanno, tutti. Tutti noi festeggiamo il compleanno»; e poi Francesco ha posto «una domanda che ho fatto un’altra volta, ma che farò un’altra volta: chi di voi si ricorda la data del suo Battesimo? Alzi la mano. Chi di voi? Sono pochi, eh? Non tanti. E non domando ai vescovi – ha scherzato – perché non provino vergogna, eh? Sono pochi, eh?».

Il Papa allora ha assegnato un compito: «Facciamo una cosa, oggi quando tornerete a casa, domandate: “In quale giorno io sono stato battezzato?” cercate. E questo è il secondo compleanno»: il giorno in cui si nasce nella Chiesa. «Farete questo? E’ un compito, eh, da fare a casa: cercare il giorno nel quale io sono nato e ringraziare il Signore perché ci ha aperto la porta alla Sua Chiesa quel giorno nel quale io ho ricevuto il Battesimo».

Il Papa ha proseguito: «Al tempo stesso al Battesimo è legata la nostra fede nella remissione dei peccati. Il Sacramento della Penitenza o Confessione è, infatti, come un “secondo battesimo”, che rimanda sempre al primo per consolidarlo e rinnovarlo».

Di nuovo senza leggere il testo preparato, ha aggiunto: «E anche pensate questo: quando noi andiamo a confessarci delle nostre debolezze, dei nostri peccati, andiamo a chiedere il perdono di Gesù, ma andiamo pure a rinnovare il Battesimo con questo perdono, e questo è bello. E’ come festeggiare in ogni confessione il giorno del Battesimo. E così la Confessione non è una seduta in una sala di tortura, è una festa per festeggiare il giorno del Battesimo. La Confessione è per i battezzati! Per tenere pulita questa veste bianca della nostra dignità cristiana!».

La seconda parte della catechesi è stata dedicata all'espressione «un solo battesimo». «Richiama quella di san Paolo: “Un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo” (Ef 4,5). La parola “battesimo” significa letteralmente “immersione”, e infatti questo Sacramento costituisce una vera immersione spirituale, dove? Nella piscina? No, nella morte di Cristo. Il Battesimo è proprio un’immersione spirituale nella morte di Cristo, dalla quale si risorge con Lui come nuove creature (cfr Rm 6,4)».

Infine, il Papa si è soffermato su: «per la remissione dei peccati». «Nel sacramento del Battesimo – ha spiegato - sono rimessi tutti i peccati, il peccato originale e tutti i peccati personali, come pure tutte le pene del peccato. Con il Battesimo si apre la porta ad una effettiva novità di vita che non è oppressa dal peso di un passato negativo, ma risente già della bellezza e della bontà del Regno dei cieli. Si tratta di un intervento potente della misericordia di Dio nella nostra vita, per salvarci». E poi ha precisato: «Questo intervento salvifico non toglie alla nostra natura umana la sua debolezza; - tutti siamo deboli e tutti siamo peccatori, eh? - e non ci toglie la responsabilità di chiedere perdono ogni volta che sbagliamo!».

Al termine dell’udienza, Francesco ha lanciato un duplice appello per la Siria e le Filippine: «Ho appreso con grande dolore che due giorni fa, a Damasco, colpi di mortaio hanno ucciso alcuni bambini che tornavano da scuola e l’autista dell’autobus. Altri bambini sono rimasti feriti. Per favore, che queste tragedie non accadano mai! Preghiamo fortemente»; «in questi giorni stiamo pregando e unendo le forze per aiutare i nostri fratelli e sorelle delle Filippine, colpiti dal tifone. Queste sono le vere battaglie da combattere. Per la vita! Mai per la morte!».



http://d1.yimg.com/sr/img/1/ddbb98d4-b4f4-3a48-8efa-8ce18332b49a


 il testo integrale....



UDIENZA GENERALE

Piazza San Pietro
Mercoledì, 13 novembre 2013

Video

 

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Nel Credo, attraverso il quale ogni domenica facciamo la nostra professione di fede, noi affermiamo: «Professo un solo battesimo per il perdono dei peccati». Si tratta dell’unico riferimento esplicito a un Sacramento all’interno del Credo. In effetti il Battesimo è la “porta” della fede e della vita cristiana. Gesù Risorto lasciò agli Apostoli questa consegna: «Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo ad ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvato» (Mc16,15-16). La missione della Chiesa è evangelizzare e rimettere i peccati attraverso il sacramento battesimale. Ma ritorniamo alle parole del Credo. L’espressione può essere divisa in tre punti: «professo»; «un solo battesimo»; «per la remissione dei peccati».

1. «Professo». Cosa vuol dire questo? È un termine solenne che indica la grande importanza dell’oggetto, cioè del Battesimo. In effetti, pronunciando queste parole noi affermiamo la nostra vera identità di figli di Dio. Il Battesimo è in un certo senso la carta d’identità del cristiano, il suo atto di nascita, e l’atto di nascita alla Chiesa. Tutti voi conoscete il giorno nel quale siete nati e festeggiate il compleanno, vero? Tutti noi festeggiamo il compleanno. Vi faccio una domanda, che ho fatto altre volte, ma la faccio ancora: Chi di voi si ricorda la data del proprio Battesimo? Alzi la mano: sono pochi (e non domando ai Vescovi per non far loro provare vergogna…). Ma facciamo una cosa: oggi, quando tornate a casa, domandate in quale giorno siete stati battezzati, cercate, perché questo è il secondo compleanno. Il primo compleanno è quello della nascita alla vita e il secondo compleanno è quello della nascita alla Chiesa. Farete questo? È un compito da fare a casa: cercare il giorno in cui io sono nato alla Chiesa, e ringraziare il Signore perché nel giorno del Battesimo ci ha aperto la porta della sua Chiesa. Al tempo stesso, al Battesimo è legata la nostra fede nella remissione dei peccati. Il Sacramento della Penitenza o Confessione è, infatti, come un “secondo battesimo”, che rimanda sempre al primo per consolidarlo e rinnovarlo. In questo senso il giorno del nostro Battesimo è il punto di partenza di un cammino bellissimo, un cammino verso Dio che dura tutta la vita, un cammino di conversione che è continuamente sostenuto dal Sacramento della Penitenza. Pensate a questo: quando noi andiamo a confessarci delle nostre debolezze, dei nostri peccati, andiamo a chiedere il perdono di Gesù, ma andiamo pure a rinnovare il Battesimo con questo perdono. E questo è bello, è come festeggiare il giorno del Battesimo in ogni Confessione. Pertanto la Confessione non è una seduta in una sala di tortura, ma è una festa.  La Confessione è per i battezzati! Per tenere pulita la veste bianca della nostra dignità cristiana!

2. Secondo elemento: «un solo battesimo». Questa espressione richiama quella di san Paolo: «Un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo» (Ef 4,5). La parola “battesimo” significa letteralmente “immersione”, e infatti questo Sacramento costituisce una vera immersione spirituale nella morte di Cristo, dalla quale si risorge con Lui come nuove creature (cfr Rm 6,4). Si tratta di un lavacro di rigenerazione e di illuminazione. Rigenerazione perché attua quella nascita dall’acqua e dallo Spirito senza la quale nessuno può entrare nel regno dei cieli (cfr Gv 3,5). Illuminazione perché, attraverso il Battesimo, la persona umana viene ricolmata della grazia di Cristo, «luce vera che illumina ogni uomo» (Gv 1,9) e scaccia le tenebre del peccato. Per questo, nella cerimonia del Battesimo, ai genitori si dà una candela accesa, per significare questa illuminazione; il Battesimo ci illumina da dentro con la luce di Gesù. In forza di questo dono il battezzato è chiamato a diventare egli stesso “luce” – la luce della fede che ha ricevuto – per i fratelli, specialmente per quelli che sono nelle tenebre e non intravedono spiragli di chiarore all’orizzonte della loro vita.

Possiamo domandarci: il Battesimo, per me, è un fatto del passato, isolato in una data, quella che oggi voi cercherete, o una realtà viva, che riguarda il mio presente, in ogni momento? Ti senti forte, con la forza che ti dà Cristo con la sua morte e la sua risurrezione? O ti senti abbattuto, senza forza? Il Battesimo dà forza e dà luce. Ti senti illuminato, con quella luce che viene da Cristo? Sei uomo e donna di luce? O sei una persona oscura, senza la luce di Gesù? Bisogna prendere la grazia del Battesimo, che è un regalo, e diventare luce per tutti!

3. Infine, un breve accenno al terzo elemento: «per la remissione dei peccati». Nel sacramento del Battesimo sono rimessi tutti i peccati, il peccato originale e tutti i peccati personali, come pure tutte le pene del peccato. Con il Battesimo si apre la porta ad una effettiva novità di vita che non è oppressa dal peso di un passato negativo, ma risente già della bellezza e della bontà del Regno dei cieli. Si tratta di un intervento potente della misericordia di Dio nella nostra vita, per salvarci. Questo intervento salvifico non toglie alla nostra natura umana la sua debolezza - tutti siamo deboli e tutti siamo peccatori -; e non ci toglie la responsabilità di chiedere perdono ogni volta che sbagliamo! Io non mi posso battezzare più volte, ma posso confessarmi e rinnovare così la grazia del Battesimo. È come se io facessi un secondo Battesimo. Il Signore Gesù è tanto buono e mai si stanca di perdonarci. Anche quando la porta che il Battesimo ci ha aperto per entrare nella Chiesa si chiude un po’, a causa delle nostre debolezze e per i nostri peccati, la Confessione la riapre, proprio perché è come un secondo Battesimo che ci perdona tutto e ci illumina per andare avanti con la luce del Signore. Andiamo avanti così, gioiosi, perché la vita va vissuta con la gioia di Gesù Cristo; e questa è una grazia del Signore.


Saluti:

Je salue cordialement tous les francophones présents, en particulier les pèlerins venus de France et de Suisse, ainsi que les prêtres de la République démocratique du Congo. Comme acte de naissance du chrétien, le Baptême est le point de départ d’une marche de conversion. Durant toute votre vie, ne laissez personne voler votre identité chrétienne! Bon séjour à Rome!

[Saluto cordialmente tutti i pellegrini di lingua francese, in particolare i fedeli della Francia e della Svizzera, insieme ai sacerdoti della Repubblica Democratica del Congo. In quanto atto di nascita del cristiano, il Battesimo è il punto di partenza di un cammino di conversione. Nel corso di tutta la vostra vita non lasciatevi rubare la vostra identità cristiana! Buona permanenza a Roma!]

I offer an affectionate greeting to all the English-speaking pilgrims and visitors present at today’s Audience, including those from England, Scotland, Denmark, Australia, Japan, Taiwan and the United States. May Jesus Christ confirm you in faith and make you witnesses of his love and mercy to all people. God bless you all!

[Saluto cordialmente i pellegrini di lingua inglese presenti all’odierna Udienza, specialmente quelli provenienti da Inghilterra, Scozia, Danimarca, Australia, Giappone, Taiwan e Stati Uniti. Gesù Cristo vi confermi nella fede e vi faccia testimoni del suo amore e della sua misericordia per tutti. Dio vi benedica tutti!]

Sehr herzlich grüße ich die Pilger aus den Ländern deutscher Sprache. Der auferstandene Christus hat seiner Kirche die Sendung anvertraut, das Evangelium zu verkünden und die Sünden zu vergeben durch die Taufe. Danken wir dem Herrn für das große Geschenk des neuen Lebens in ihm, erneuern wir jeden Tag die Taufe, indem wir wirklich als Kinder Gottes leben, und seien wir stets bereit, im Sakrament der Beichte Gott um Vergebung und Hilfe zu bitten. Von Herzen segne ich euch und eure Lieben.

[Con affetto saluto i pellegrini di lingua tedesca. Cristo risorto ha affidato alla Chiesa la missione di evangelizzare e rimettere i peccati attraverso il Battesimo. Ringraziamo il Signore per il grande dono della nuova vita in Lui, rinnoviamo ogni giorno il Battesimo, vivendo veramente da figli di Dio e sempre pronti a chiedere il suo perdono e aiuto nella confessione sacramentale. Di cuore benedico voi e i vostri cari.]

Saludo con afecto a los peregrinos de lengua española, en particular a los grupos venidos de España, Argentina, México, Venezuela, Guatemala y otros países latinoamericanos. Que vuestra presencia junto al sepulcro de los apóstoles Pedro y Pablo os ayude a redescubrir el don que Dios nos ha dado en el bautismo, y encontrar en él el impulso para un camino de conversión y renovación espiritual. Muchas gracias.

Dirijo uma cordial saudação aos peregrinos de língua portuguesa, particularmente à Delegação de Moçambique e aos diversos grupos de fiéis brasileiros. Queridos amigos, convido-vos a tornar-vos “luz” para os irmãos, especialmente para aqueles que se encontram nas trevas e não vislumbram qualquer raio de luz no horizonte de sua vida. Que Deus vos abençoe!

[Rivolgo un cordiale saluto ai pellegrini di lingua portoghese, in particolare alla Delegazione del Mozambico e ai diversi gruppi di fedeli brasiliani. Cari amici, vi invito a diventare “luce” per i fratelli, specialmente per quelli che sono nelle tenebre e non intravedono spiragli di chiarore all’orizzonte della loro vita. Dio vi benedica!]

Pozdrawiam obecnych tu Polaków. Moi drodzy, przyjmując sakrament chrztu, zostaliśmy oczyszczeni z każdego grzechu i dostąpiliśmy udziału w sprawiedliwości wcielonego Syna Bożego. Jesteśmy zaproszeni do życia w sprawiedliwości i otrzymujemy łaskę Ducha Świętego, abyśmy mogli odpowiedzieć na to zaproszenie. Jeśli jednak z powodu naszej słabości utracilibyśmy tę łaskę, mamy inne narzędzie oczyszczenia – sakrament pojednania. Przystępujmy do tego oczyszczającego źródła na drodze nawrócenia. Niech wam towarzyszy Boże błogosławieństwo!

[Saluto tutti i polacchi qui presenti. Carissimi, ricevendo il sacramento del Battesimo, siamo stati purificati da ogni peccato e resi partecipi della giustizia del Figlio di Dio incarnato. Siamo invitati a vivere in modo giusto e otteniamo la grazia dello Spirito Santo per poter rispondere a quest’invito. Qualora però la grazia fosse smarrita per la nostra debolezza, abbiamo un altro mezzo di purificazione: il sacramento della riconciliazione. Accostiamoci a questa fonte purificante sulla via della conversione. Vi accompagni la Benedizione Divina!]

 

APPELLO

Fratelli e sorelle, ho appreso con grande dolore che due giorni fa, a Damasco, colpi di mortaio hanno ucciso alcuni bambini che tornavano da scuola e anche l’autista dell’autobus. Altri bambini sono rimasti feriti. Per favore, che  queste tragedie non accadano mai! Preghiamo fortemente! In questi giorni stiamo pregando e unendo le forze per aiutare i nostri fratelli e sorelle delle Filippine, colpiti dal tifone. Queste sono le vere battaglie da combattere. Per la vita! Mai per la morte!

 










Caterina63
00mercoledì 27 novembre 2013 12:29

Udienza generale. Il Papa: chi pratica la misericordia non teme la morte



 Il Papa  ha cominciato l'udienza affermando di voler portare a termine le catechesi sul “Credo”, svolte durante l’Anno della Fede, che si è concluso domenica scorsa. In questa catechesi e nella prossima – ha detto – “vorrei considerare il tema della risurrezione della carne, cogliendone due aspetti così come li presenta il Catechismo della Chiesa Cattolica, cioè il nostro morire e il nostro risorgere in Gesù Cristo. Oggi mi soffermo sul primo aspetto: «morire in Cristo»”.

“C’è un modo sbagliato di guardare la morte – ha detto - La morte ci riguarda tutti, ci interroga in modo profondo, specialmente quando ci tocca da vicino, o quando colpisce i piccoli, gli indifesi in una maniera che ci risulta ‘scandalosa’. A me sempre ha colpito la domanda: perché soffrono i bambini?, perché muoiono i bambini? Se viene intesa come la fine di tutto, la morte spaventa, atterrisce, si trasforma in minaccia che infrange ogni sogno, ogni prospettiva, che spezza ogni relazione e interrompe ogni cammino. Questo capita quando consideriamo la nostra vita come un tempo rinchiuso tra due poli: la nascita e la morte; quando non crediamo in un orizzonte che va oltre quello della vita presente; quando si vive come se Dio non esistesse. Questa concezione della morte è tipica del pensiero ateo, che interpreta l’esistenza come un trovarsi casualmente nel mondo e un camminare verso il nulla. Ma esiste anche un ateismo pratico, che è un vivere solo per i propri interessi, vivere solo per le cose terrene. Se ci lasciamo prendere da questa visione sbagliata della morte, non abbiamo altra scelta che quella di occultare la morte, di negarla, o di banalizzarla, perché non ci faccia paura”. 

"Ma a questa falsa soluzione - ha proseguito - si ribella il 'cuore' dell’uomo, il desiderio che tutti noi abbiamo di infinito, la nostalgia che tutti noi abbiamo dell’eterno. E allora qual è il senso cristiano della morte? Se guardiamo ai momenti più dolorosi della nostra vita, quando abbiamo perso una persona cara – i genitori, un fratello, una sorella, un coniuge, un figlio, un amico –, ci accorgiamo che, anche nel dramma della perdita, anche lacerati dal distacco, sale dal cuore la convinzione che non può essere tutto finito, che il bene dato e ricevuto non è stato inutile. C’è un istinto potente dentro di noi, che ci dice che la nostra vita non finisce con la morte. E questo è vero: la nostra vita non finisce con la morte! Questa sete di vita ha trovato la sua risposta reale e affidabile nella risurrezione di Gesù Cristo. La risurrezione di Gesù non dà soltanto la certezza della vita oltre la morte, ma illumina anche il mistero stesso della morte di ciascuno di noi. Se viviamo uniti a Gesù, fedeli a Lui, saremo capaci di affrontare con speranza e serenità anche il passaggio della morte. La Chiesa infatti prega: «Se ci rattrista la certezza di dover morire, ci consola la promessa dell’immortalità futura». Una bella preghiera della Chiesa questa! Una persona tende a morire come è vissuta. Se la mia vita è stata un cammino con il Signore, di fiducia nella sua immensa misericordia, sarò preparato ad accettare il momento ultimo della mia esistenza terrena come il definitivo abbandono confidente nelle sue mani accoglienti, in attesa di contemplare faccia a faccia il suo volto”. 

E a braccio ha aggiunto: “Questo è il più bello che può accaderci: contemplare faccia a faccia quel volto meraviglioso del Signore. Ma, vederlo come Lui è: bello, pieno di luce, pieno di amore, pieno di tenerezza. Noi andiamo fino a questo punto: trovare il Signore”.

“In questo orizzonte – ha proseguito - si comprende l’invito di Gesù ad essere sempre pronti, vigilanti, sapendo che la vita in questo mondo ci è data anche per preparare l’altra vita, quella con il Padre celeste. E per questo c’è una via sicura: prepararsi bene alla morte, stando vicino a Gesù: quella è la sicurezza. Io mi preparo alla morte stando vicino a Gesù. E come si sta vicino a Gesù? Con la preghiera, nei Sacramenti e anche nella pratica della carità. Ricordiamo che Lui è presente nei più deboli e bisognosi. Lui stesso si è identificato con loro, nella famosa parabola del giudizio finale, quando dice: «Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi. …Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Mt 25,35-36.40). Pertanto, una via sicura è recuperare il senso della carità cristiana e della condivisione fraterna, prenderci cura delle piaghe corporali e spirituali del nostro prossimo”.

“La solidarietà nel compatire il dolore e infondere speranza – ha sottolineato - è premessa e condizione per ricevere in eredità quel Regno preparato per noi. Chi pratica la misericordia non teme la morte. Pensate bene a questo! Chi pratica la misericordia non teme la morte. Siete d’accordo? Lo diciamo insieme per non dimenticarlo: ‘Chi pratica la misericordia non teme la morte!’. Un’altra volta: ‘Chi pratica la misericordia non teme la morte!’. E perché non teme la morte? Perché la guarda in faccia nelle ferite dei fratelli, e la supera con l’amore di Gesù Cristo. Se apriremo la porta della nostra vita e del nostro cuore ai fratelli più piccoli, allora anche la nostra morte diventerà una porta che ci introdurrà al cielo, alla patria beata, verso cui siamo diretti, anelando di dimorare per sempre con il nostro Padre Dio, con Gesù, con la Madonna e con i santi”.


UDIENZA GENERALE

Piazza San Pietro
Mercoledì, 27 novembre 2013

Video

 

Cari fratelli e sorelle,

buongiorno e complimenti perché siete coraggiosi con questo freddo in piazza. Tanti complimenti.

Desidero portare a termine le catechesi sul “Credo”, svolte durante l’Anno della Fede, che si è concluso domenica scorsa. In questa catechesi e nella prossima vorrei considerare il tema della risurrezione della carne, cogliendone due aspetti così come li presenta il Catechismo della Chiesa Cattolica, cioè il nostro morire e il nostro risorgere in Gesù Cristo. Oggi mi soffermo sul primo aspetto, «morire in Cristo».

1. Fra noi comunemente c’è un modo sbagliato di guardare la morte. La morte ci riguarda tutti, e ci interroga in modo profondo, specialmente quando ci tocca da vicino, o quando colpisce i piccoli, gli indifesi in una maniera che ci risulta “scandalosa”. A me sempre ha colpito la domanda: perché soffrono i bambini?, perché muoiono i bambini? Se viene intesa come la fine di tutto, la morte spaventa, atterrisce, si trasforma in minaccia che infrange ogni sogno, ogni prospettiva, che spezza ogni relazione e interrompe ogni cammino. Questo capita quando consideriamo la nostra vita come un tempo rinchiuso tra due poli: la nascita e la morte; quando non crediamo in un orizzonte che va oltre quello della vita presente; quando si vive come se Dio non esistesse. Questa concezione della morte è tipica del pensiero ateo, che interpreta l’esistenza come un trovarsi casualmente nel mondo e un camminare verso il nulla. Ma esiste anche un ateismo pratico, che è un vivere solo per i propri interessi e vivere solo per le cose terrene. Se ci lasciamo prendere da questa visione sbagliata della morte, non abbiamo altra scelta che quella di occultare la morte, di negarla, o di banalizzarla, perché non ci faccia paura.

2. Ma a questa falsa soluzione si ribella il “cuore” dell’uomo, il desiderio  che tutti noi abbiamo di infinito, la nostalgia che tutti noi abbiamo dell’eterno. E allora qual è il senso cristiano della morte? Se guardiamo ai momenti più dolorosi della nostra vita, quando abbiamo perso una persona cara – i genitori, un fratello, una sorella, un coniuge, un figlio, un amico –, ci accorgiamo che, anche nel dramma della perdita, anche lacerati dal distacco, sale dal cuore la convinzione che non può essere tutto finito, che il bene dato e ricevuto non è stato inutile. C’è un istinto potente dentro di noi, che ci dice che la nostra vita non finisce con la morte.

Questa sete di vita ha trovato la sua risposta reale e affidabile nella risurrezione di Gesù Cristo. La risurrezione di Gesù non dà soltanto la certezza della vita oltre la morte, ma illumina anche il mistero stesso della morte di ciascuno di noi. Se viviamo uniti a Gesù, fedeli a Lui, saremo capaci di affrontare con speranza e serenità anche il passaggio della morte. La Chiesa infatti prega: «Se ci rattrista la certezza di dover morire, ci consola la promessa dell’immortalità futura». Una bella preghiera della Chiesa questa! Una persona tende a morire come è vissuta. Se la mia vita è stata un cammino con il Signore, un cammino di fiducia nella sua immensa misericordia, sarò preparato ad accettare il momento ultimo della mia esistenza terrena come il definitivo abbandono confidente nelle sue mani accoglienti, in attesa di contemplare faccia a faccia il suo volto. Questa è la cosa più bella che può accaderci: contemplare faccia a faccia quel volto meraviglioso del Signore, vederlo come Lui è, bello, pieno di luce, pieno di amore, pieno di tenerezza. Noi andiamo fino a questo punto: vedere il Signore.

3. In questo orizzonte si comprende l’invito di Gesù ad essere sempre pronti, vigilanti, sapendo che la vita in questo mondo ci è data anche per preparare l’altra vita, quella con il Padre celeste.  E per questo c’è una via sicura: prepararsi bene alla morte, stando vicino a Gesù. Questa è la sicurezza: io mi preparo alla morte stando vicino a Gesù. E come si sta vicino a Gesù? Con la preghiera, nei Sacramenti e anche nella pratica della carità. Ricordiamo che Lui è presente nei più deboli e bisognosi. Lui stesso si è identificato con loro, nella famosa parabola del giudizio finale, quando dice: «Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi. …Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Mt 25,35-36.40). Pertanto, una via sicura è recuperare il senso della carità cristiana e della condivisione fraterna, prenderci cura delle piaghe corporali e spirituali del nostro prossimo. La solidarietà nel compatire il dolore e infondere speranza è premessa e condizione per ricevere in eredità quel Regno preparato per noi. Chi pratica la misericordia non teme la morte. Pensate bene a questo: chi pratica la misericordia non teme la morte! Siete d’accordo? Lo diciamo insieme per non dimenticarlo? Chi pratica la misericordia non teme la morte. E perché non teme la morte? Perché la guarda in faccia nelle ferite dei fratelli, e la supera con l’amore di Gesù Cristo.

Se apriremo la porta della nostra vita e del nostro cuore ai fratelli più piccoli, allora anche la nostra morte diventerà una porta che ci introdurrà al cielo, alla patria beata, verso cui siamo diretti, anelando di dimorare per sempre con il nostro Padre, Dio, con Gesù, con la Madonna e con  i santi. 




Commovente incontro di Papa Francesco con bambine affette dalla sindrome di Rett





Prima dell’udienza generale, si è tenuto nell’Aula Paolo VI un commovente incontro scandito dalla fede e dalla preghiera. Papa Francesco ha incontrato un gruppo di bambine affette dalla sindrome di Rett, accompagnate dai loro familiari. Si tratta di una terribile patologia progressiva dello sviluppo neurologico che colpisce quasi esclusivamente le bambine. Il servizio di Amedeo LomonacoRealAudioMP3 

E’ commovente il sorriso delle bambine con la sindrome di Rett, prigioniere di una malattia rara che provoca gravi disturbi neurologici, ma che non spegne il desiderio di aprirsi alla vita. Ad ognuna il Papa ha manifestato affetto con carezze ed abbracci. Toccante anche l’incontro con i familiari delle bambine, preceduto dalla benedizione e dalla preghiera a Maria. Ascoltiamo alcune testimonianze raccolte nell’Aula Paolo VI:

R. – Soprattutto per loro, che sono bambine speciali, questo incontro è stato veramente emozionante. Sicuramente, c’è sempre una speranza; però, noi vediamo che soffrono molto, le nostre bambine … Sicuramente la preghiera è un ottimo mezzo, anche se la sofferenza in loro si legge, e giorno dopo giorno ci danno la forza per andare avanti e vediamo che sono comunque felici, nella sofferenza … hanno sempre il sorriso stampato sul volto … A volte nemmeno noi che – tra virgolette – stiamo bene, riusciamo a sorridere tutti i giorni; invece loro, come aprono gli occhi, ci sorridono, come per dire: “Noi anche se soffriamo, però sorridiamo alla vita e siamo contente di esserci”.

R. – E’ sicuramente un rafforzamento nella fede. E’ stata una giornata molto importante per noi, per la nostra bambina e per tutte le bambine con la sindrome di Rett. Si dà un valore molto diverso alla vita, si vede tutto da un’altra prospettiva: basta il suo sorriso per renderci felici, e poi le piccolezze non contano più. Loro si esprimono con il sorriso e con gli occhi: le chiamo le bambine dagli occhi belli. Solo con lo sguardo riescono ad esprimere quello che vogliono.

R. – E’ come se questi bambini fossero prigionieri all’interno del loro corpo, però hanno un cuore e un’anima assolutamente superiori e talmente sensibili da porli sicuramente al di sopra di qualsiasi altro essere umano. Ci vuole sicuramente molto coraggio, molta fede perché per superare situazioni di questo genere bisogna avere un grande cuore. Bisogna superarle con la fede di Dio.

R. – E’ una malattia brutta perché è invalidante per la bambina, però loro danno solo gioia e amore, veramente. Era un’aspirazione per noi venire dal Papa e chiedere un aiuto anche a lui, con la preghiera; e noi pregheremo per il Papa …





 

Caterina63
00mercoledì 4 dicembre 2013 14:01

L’UDIENZA GENERALE, 04.12.2013


L’Udienza Generale di questa mattina si è svolta alle ore 10.30 in Piazza San Pietro dove il Santo Padre Francesco ha incontrato gruppi di pellegrini e di fedeli provenienti dall’Italia e da ogni parte del mondo.
Nel discorso in lingua italiana, il Papa si è soffermato ancora sul tema della resurrezione della carne.
Dopo la sintesi in diverse lingue, Papa Francesco ha indirizzato particolari espressioni di saluto ai gruppi di fedeli presenti. Quindi ha rivolto un appello per le monache del Monastero greco-ortodosso di Santa Tecla a Ma’lula, in Siria, sequestrate due giorni fa.
L’Udienza Generale si è conclusa con il canto del Pater Noster e la Benedizione Apostolica.

CATECHESI DEL SANTO PADRE IN LINGUA ITALIANA

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Oggi ritorno ancora sull’affermazione «Credo la risurrezione della carne». Si tratta di una verità non semplice e tutt’altro che ovvia, perché, vivendo immersi in questo mondo, non è facile comprendere le realtà future. Ma il Vangelo ci illumina: la nostra risurrezione è strettamente legata alla risurrezione di Gesù; il fatto che Egli è risorto è la prova che esiste la risurrezione dei morti. Vorrei allora presentare alcuni aspetti che riguardano il rapporto tra la risurrezione di Cristo e la nostra risurrezione. Lui è risorto, e perché Lui è risorto anche noi risusciteremo.

Anzitutto, la stessa Sacra Scrittura contiene un cammino verso la fede piena nella risurrezione dei morti. Questa si esprime come fede in Dio creatore di tutto l’uomo - anima e corpo -, e come fede in Dio liberatore, il Dio fedele all’alleanza con il suo popolo. Il profeta Ezechiele, in una visione, contempla i sepolcri dei deportati che vengono riaperti e le ossa aride che tornano a vivere grazie all’infusione di uno spirito vivificante. Questa visione esprime la speranza nella futura "risurrezione di Israele", cioè nella rinascita del popolo sconfitto e umiliato (cfr Ez 37,1-14).

Gesù, nel Nuovo Testamento, porta a compimento questa rivelazione, e lega la fede nella risurrezione alla sua stessa persona e dice: «Io sono la risurrezione e la vita» (Gv 11,25). Infatti, sarà Gesù Signore che risusciterà nell’ultimo giorno quanti avranno creduto in Lui. Gesù è venuto tra noi, si è fatto uomo come noi in tutto, eccetto il peccato; in questo modo ci ha presi con sé nel suo cammino di ritorno al Padre. Egli, il Verbo incarnato, morto per noi e risorto, dona ai suoi discepoli lo Spirito Santo come caparra della piena comunione nel suo Regno glorioso, che attendiamo vigilanti. Questa attesa è la fonte e la ragione della nostra speranza: una speranza che, se coltivata e custodita, – la nostra speranza, se noi la coltiviamo e la custodiamo – diventa luce per illuminare la nostra storia personale e anche la storia comunitaria. Ricordiamolo sempre: siamo discepoli di Colui che è venuto, viene ogni giorno e verrà alla fine. Se riuscissimo ad avere più presente questa realtà, saremmo meno affaticati dal quotidiano, meno prigionieri dell’effimero e più disposti a camminare con cuore misericordioso sulla via della salvezza.

Un altro aspetto: che cosa significa risuscitare? La risurrezione di tutti noi avverrà nell’ultimo giorno, alla fine del mondo, ad opera della onnipotenza di Dio, il quale restituirà la vita al nostro corpo riunendolo all’anima, in forza della risurrezione di Gesù. Questa è la spiegazione fondamentale: perché Gesù è risorto noi resusciteremo; noi abbiamo la speranza nella risurrezione perché Lui ci ha aperto la porta a questa risurrezione. E questa trasformazione, questa trasfigurazione del nostro corpo viene preparata in questa vita dal rapporto con Gesù, nei Sacramenti, specialmente l’Eucaristia. Noi che in questa vita ci siamo nutriti del suo Corpo e del suo Sangue risusciteremo come Lui, con Lui e per mezzo di Lui. Come Gesù è risorto con il suo proprio corpo, ma non è ritornato ad una vita terrena, così noi risorgeremo con i nostri corpi che saranno trasfigurati in corpi gloriosi. Ma questa non è una bugia! Questo è vero. Noi crediamo che Gesù è risorto, che Gesù è vivo in questo momento. Ma voi credete che Gesù è vivo? E se Gesù è vivo, voi pensate che ci lascerà morire e non ci risusciterà? No! Lui ci aspetta, e perché Lui è risorto, la forza della sua risurrezione risusciterà tutti noi.

Un ultimo elemento: già in questa vita abbiamo in noi una partecipazione alla Risurrezione di Cristo. Se è vero che Gesù ci risusciterà alla fine dei tempi, è anche vero che, per un certo aspetto, con Lui già siamo risuscitati. La vita eterna incomincia già in questo momento, incomincia durante tutta la vita, che è orientata verso quel momento della risurrezione finale. E già siamo risuscitati, infatti, mediante il Battesimo, siamo inseriti nella morte e risurrezione di Cristo e partecipiamo alla vita nuova, che è la sua vita. Pertanto, in attesa dell’ultimo giorno, abbiamo in noi stessi un seme di risurrezione, quale anticipo della risurrezione piena che riceveremo in eredità. Per questo anche il corpo di ciascuno di noi è risonanza di eternità, quindi va sempre rispettato; e soprattutto va rispettata e amata la vita di quanti soffrono, perché sentano la vicinanza del Regno di Dio, di quella condizione di vita eterna verso la quale camminiamo. Questo pensiero ci dà speranza: siamo in cammino verso la risurrezione. Vedere Gesù, incontrare Gesù: questa è la nostra gioia! Saremo tutti insieme – non qui in piazza, da un’altra parte – ma gioiosi con Gesù. Questo è il nostro destino!



Per i saluti:

In questi primi giorni d’Avvento rivolgiamoci alla Vergine Immacolata con la fiduciosa preghiera: Ella è il modello del nostro cammino incontro al Cristo che viene in noi.

Rivolgo un pensiero affettuoso ai giovani, ai malati e agli sposi novelli. Ieri abbiamo celebrato la memoria di San Francesco Saverio, patrono delle Missioni. Questo santo sacerdote ci ricorda l’impegno di ciascuno nell’annunciare il Vangelo. Cari giovani, siate coraggiosi testimoni della vostra fede; cari ammalati, offrite la vostra croce quotidiana per la conversione dei lontani alla luce del Vangelo; e voi, cari sposi novelli, siate annunciatori dell’amore di Cristo a partire dalla vostra famiglia.





Caterina63
00mercoledì 11 dicembre 2013 13:12

  Udienza generale. Il Papa: non avere paura del giudizio finale, ma bisogna aprire il cuore all'amore di Dio



Oggi all’udienza generale, Papa Francesco ha svolto l’ultima catechesi sulla professione di fede, trattando l’affermazione «Credo la vita eterna». In particolare si è soffermato sul giudizio finale. “Ma – ha subito detto - non avere paura! Sentiamo quello che dice la Parola di Dio. Al riguardo, leggiamo nel vangelo di Matteo: Allora Cristo «verrà nella sua gloria, con tutti i suoi angeli… E saranno riunite davanti a lui tutte le genti, ed egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dai capri, e porrà le pecore alla sua destra e i capri alla sinistra… E se ne andranno, questi al supplizio eterno, e i giusti alla vita eterna» (Mt 25,31-33.46).
Quando pensiamo al ritorno di Cristo e al suo giudizio finale, che manifesterà, fino alle sue ultime conseguenze, il bene che ognuno avrà compiuto o avrà omesso di compiere durante la sua vita terrena, percepiamo di trovarci di fronte a un mistero che ci sovrasta, che non riusciamo nemmeno a immaginare. Un mistero che quasi istintivamente suscita in noi un senso di timore, e magari anche di trepidazione. Se però riflettiamo bene su questa realtà, essa non può che allargare il cuore di un cristiano e costituire un grande motivo di consolazione e di fiducia”.








UDIENZA GENERALE

Piazza San Pietro
Mercoledì, 11 dicembre 2013

Video

 

Cari fratelli e sorelle, buongiorno.

Oggi vorrei iniziare l’ultima serie di catechesi sulla nostra professione di fede, trattando l’affermazione «Credo la vita eterna». In particolare mi soffermo sul giudizio finale. Ma non dobbiamo avere paura: sentiamo quello che dice la Parola di Dio. Al riguardo, leggiamo nel vangelo di Matteo: Allora Cristo «verrà nella sua gloria, con tutti i suoi angeli… E saranno riunite davanti a lui tutte le genti, ed egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dai capri, e porrà le pecore alla sua destra e i capri alla sinistra… E se ne andranno, questi al supplizio eterno, e i giusti alla vita eterna» (Mt 25,31-33.46).
Quando pensiamo al ritorno di Cristo e al suo giudizio finale, che manifesterà, fino alle sue ultime conseguenze, il bene che ognuno avrà compiuto o avrà omesso di compiere durante la sua vita terrena, percepiamo di trovarci di fronte a un mistero che ci sovrasta, che non riusciamo nemmeno a immaginare. Un mistero che quasi istintivamente suscita in noi un senso di timore, e magari anche di trepidazione. Se però riflettiamo bene su questa realtà, essa non può che allargare il cuore di un cristiano e costituire un grande motivo di consolazione e di fiducia.

A questo proposito, la testimonianza delle prime comunità cristiane risuona quanto mai suggestiva. Esse infatti erano solite accompagnare le celebrazioni e le preghiere con l’acclamazione Maranathà, un’espressione costituita da due parole aramaiche che, a seconda di come vengono scandite, si possono intendere come una supplica: «Vieni, Signore!», oppure come una certezza alimentata dalla fede: «Sì, il Signore viene, il Signore è vicino».
È l’esclamazione in cui culmina tutta la Rivelazione cristiana, al termine della meravigliosa contemplazione che ci viene offerta nell’Apocalisse di Giovanni (cfr Ap 22,20). In quel caso, è la Chiesa-sposa che, a nome dell’umanità intera e in quanto sua primizia, si rivolge a Cristo, suo sposo, non vedendo l’ora di essere avvolta dal suo abbraccio: l’abbraccio di Gesù, che è pienezza di vita e pienezza di amore. Così ci abbraccia Gesù. Se pensiamo al giudizio in questa prospettiva, ogni paura e titubanza viene meno e lascia spazio all’attesa e a una profonda gioia: sarà proprio il momento in cui verremo giudicati finalmente pronti per essere rivestiti della gloria di Cristo, come di una veste nuziale, ed essere condotti al banchetto, immagine della piena e definitiva comunione con Dio.

Un secondo motivo di fiducia ci viene offerto dalla constatazione che, nel momento del giudizio, non saremo lasciati soli. È Gesù stesso, nel Vangelo di Matteo, a preannunciare come, alla fine dei tempi, coloro che lo avranno seguito prenderanno posto nella sua gloria, per giudicare insieme a lui (cfr Mt 19,28). L’apostolo Paolo poi, scrivendo alla comunità di Corinto, afferma: «Non sapete che i santi giudicheranno il mondo? Quanto più le cose di questa vita!» (1 Cor 6,2-3).
Che bello sapere che in quel frangente, oltre che su Cristo, nostro Paràclito, nostro Avvocato presso il Padre (cfr 1 Gv 2,1), potremo contare sull’intercessione e sulla benevolenza di tanti nostri fratelli e sorelle più grandi che ci hanno preceduto nel cammino della fede, che hanno offerto la loro vita per noi e che continuano ad amarci in modo indicibile! I santi già vivono al cospetto di Dio, nello splendore della sua gloria pregando per noi che ancora viviamo sulla terra. Quanta consolazione suscita nel nostro cuore questa certezza!

La Chiesa è davvero una madre e, come una mamma, cerca il bene dei suoi figli, soprattutto quelli più lontani e afflitti, finché troverà la sua pienezza nel corpo glorioso di Cristo con tutte le sue membra.

Un’ulteriore suggestione ci viene offerta dal Vangelo di Giovanni, dove si afferma esplicitamente che «Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nell’unigenito Figlio di Dio» (Gv3,17-18). Questo significa allora che quel giudizio finale è già in atto, incominicia adesso nel corso della nostra esistenza.
Tale giudizio è pronunciato in ogni istante della vita, come riscontro della nostra accoglienza con fede della salvezza presente ed operante in Cristo, oppure della nostra incredulità, con la conseguente chiusura in noi stessi.
Ma se noi ci chiudiamo all’amore di Gesù, siamo noi stessi che ci condanniamo.
La salvezza è apririsi a Gesù, e Lui ci salva; se siamo peccatori – e lo siamo tutti – Gli chiediamo perdono e se andiamo a Lui con la voglia di essere buoni, il Signore ci perdona. Ma per questo dobbiamo aprirci all’amore di Gesù, che è più forte di tutte le altre cose. L’amore di Gesù è grande, l’amore di Gesù è misericordioso, l’amore di Gesù perdona; ma tu devi aprirti e aprirsi significa pentirsi, accusarsi delle cose che non sono buone e che abbiamo fatto.
Il Signore Gesù si è donato e continua a donarsi a noi, per ricolmarci di tutta la misericordia e la grazia del Padre.
Siamo noi quindi che possiamo diventare in un certo senso giudici di noi stessi, autocondannandoci all’esclusione dalla comunione con Dio e con i fratelli. Non stanchiamoci, pertanto, di vigilare sui nostri pensieri e sui nostri atteggiamenti, per pregustare fin da ora il calore e lo splendore del volto di Dio - e ciò sarà bellissimo - che nella vita eterna contempleremo in tutta la sua pienezza. Avanti, pensando a questo giudizio che comincia adesso, è già cominciato. Avanti, facendo in modo che il nostro cuore si apra a Gesù e alla sua salvezza; avanti senza paura, perché l’amore di Gesù è più grande e se noi chiediamo perdono dei nostri peccati Lui ci perdona. È così Gesù. Avanti allora con questa certezza, che ci porterà alla gloria del cielo!


Saluti:

Bienvenue à vous tous, chers pèlerins francophones, en particulier au groupe de l’Hospitalité basco-béarnaise. En ce temps de l’Avent, je vous invite à préparer votre cœur à accueillir avec joie la venue du Sauveur dans votre vie personnelle, dans vos familles, là où vous vivez. Que Dieu vous bénisse ! Bonne préparation à Noël !

[Rivolgo un cordiale benvenuto a voi tutti, cari pellegrini francesi, in particolare al gruppo dell’Ospitalità basco-bearnese. In questo tempo dell’Avvento, vi invito a preparare il vostro cuore ad accogliere con gioia la venuta del Salvatore nella vostra vita personale, nelle vostre famiglie, laddove vivete. Che Dio vi benedica! Buona preparazione al Natale!]

I greet all the English-speaking pilgrims present at today’s Audience. Upon you and your families I invoke God’s blessings of joy and peace!

[Saluto tutti i pellegrini di lingua inglese presenti a questa Udienza. Su tutti voi e sulle vostre famiglie invoco la gioia e la pace del Signore!]

Herzlich begrüße ich die Brüder und Schwestern aus den Ländern deutscher Sprache. Liebe Freunde, in dieser gnadenreichen Adventszeit wollen auch wir beten: Maranatha! – Komm, o Herr! Verwandle mein Leben durch deine Gegenwart! Gott segne euch alle.

[Con affetto saluto i fratelli e le sorelle provenienti dai paesi di lingua tedesca. Cari amici, preghiamo anche noi in questo santo periodo di Avvento: Maranathà! – Vieni, Signore! Trasforma la mia vita con la tua presenza! Dio vi benedica tutti.]

Saludo con afecto a los peregrinos de lengua española, en particular a los grupos venidos de España, como la Fundación ONCE, a los que animo a seguir desarrollando su encomiable labor, así como a los demás grupos de Argentina, México, Bolivia y otros países latinoamericanos. Que en este tiempo de Adviento crezca en nosotros el deseo de acoger en nuestra vida de cada día la gracia y la misericordia de Dios, que contemplaremos plenamente en la vida eterna. Que Dios os bendiga.

De coração saúdo todos os peregrinos de língua portuguesa. Sede bem-vindos! Não nos cansemos de vigiar sobre os nossos pensamentos e atitudes para podermos saborear desde já o calor e o esplendor do rosto de Deus, que havemos de contemplar em toda a sua beleza na vida eterna. Desça, generosa, pela intercessão de Nossa Senhora de Guadalupe, Imperatriz das Américas, a sua Bênção sobre cada um de vós e vossas famílias.

[Di cuore saluto tutti i pellegrini di lingua portoghese: benvenuti! Non stanchiamoci di vigilare sui nostri pensieri e atteggiamenti per poter pregustare fin da ora il calore e lo splendore del volto di Dio, che contempleremo in tutta la sua bellezza nella vita eterna. Scenda generosa, per l’intercessione della Madonna di Guadalupe, Imperatrice delle Americhe, la sua Benedizione su ognuno di voi e sulla vostra famiglia.]

"أُرحب بجميع الحجاج الناطقين باللغة العربية، وخاصة بالقادمين من الشرق الأوسط! لنتذكر دائمًا أن الرب يسوع قد بذل ذاته ويستمر في بذل ذاته من أجلنا ليغمرنا برحمة الآب كلها ونعمته. ليبارككم الرب!"

[Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua araba, in particolare a quelli provenienti dal Medio Oriente! Ricordiamoci sempre che il Signore Gesù si è donato e continua a donarsi a noi, per ricolmarci di tutta la misericordia e la grazia del Padre. Il Signore vi benedica!]

Drodzy polscy pielgrzymi. Zbliżając się do świąt narodzenia Bożego Syna, przygotowujemy się również do Jego ostatecznego przyjścia. Mimo perspektywy sądu napełnia nas radość płynąca z nadziei, że miłosierny Pan zaliczy nas do grona sprawiedliwych, przemieni łaską świętości i wprowadzi do swojej chwały. Niech ta nadzieja dodaje nam odwagi i umacnia w dobrym każdego dnia naszego życia. Z serca wam błogosławię!

[Cari pellegrini polacchi, avvicinandoci alla celebrazione della nascita del Figlio di Dio, ci prepariamo anche alla sua ultima venuta. Nonostante la prospettiva del giudizio, ci riempie la gioia che scaturisce dalla speranza che il Signore misericordioso ci includa tra i giusti, ci trasformi con la grazia di santità e ci introduca nella sua gloria. Questa speranza ci incoraggi e consolidi nel bene ogni giorno della nostra vita. Vi benedico di cuore!]

* * *

 Il tempo liturgico dell’Avvento ci incoraggi a preparare nel nostro cuore l’accoglienza al Signore che viene in mezzo a noi.

Porgo un pensiero affettuoso ai giovani, ai malati e agli sposi novelli. Domani celebreremo la memoria della Madonna di Guadalupe. Cari giovani, imparate da Maria a porvi in ascolto della volontà del Signore su di voi; cari ammalati, invocate la Madre del Signore nei momenti di maggiore difficoltà; e voi, cari sposi novelli, ispiratevi alla Madonna per riportare amore e serenità nella vostra famiglia.

APPELLO

Ieri la Caritas ha lanciato una campagna mondiale contro la fame e lo spreco del cibo, col motto: “Una sola famiglia umana, cibo per tutti”. “Una sola famiglia umana, cibo per tutti”: lo ricordiamo? Lo ripetiamo insieme? “Una sola famiglia umana, cibo per tutti”. Lo scandalo per i milioni di persone che soffrono la fame non deve paralizzarci, ma spingerci ad agire, tutti, singoli, famiglie, comunità, istituzioni, governi, per eliminare questa ingiustizia. Il Vangelo di Gesù ci mostra la strada: fidarsi della provvidenza del Padre e condividere il pane quotidiano senza sprecarlo. Incoraggio la Caritas a portare avanti questo impegno, e invito tutti ad unirsi a questa “onda” di solidarietà.








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