ATTENZIONE! Nuovo MP del Pontefice: Omnium in mentem sul ruolo del diacono e sui matrimoni misti

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Caterina63
00martedì 15 dicembre 2009 16:50
Motu proprio "Omnium in mentem": presentazione di Mons. Francesco Coccopalmerio

CODICE DI DIRITTO CANONICO

Vedi anche:

Motu proprio "Omnium in mentem": i diaconi servono la Chiesa, ma la funzione di guida e di governo è riservata a preti e vescovi

Motu proprio del Papa per puntualizzare il ruolo diverso di preti e diaconi

Motu proprio “Omnium in mentem” su diaconato e forma canonica del matrimonio. Intervista a Luigi Sabbarese (Sir)


                                             Pope Benedict XVI prays during the Immaculate Conception celebration prayer in Spain's Square in central Rome December 8, 2009.

MOTU PROPRIO "OMNIUM IN MENTEM" DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI CON IL QUALE VENGONO MUTATE ALCUNE NORME DEL CODICE DI DIRITTO CANONICO, 15.12.2009

TRADUZIONE NON UFFICIALE IN LINGUA ITALIANA

La Costituzione Apostolica Sacrae disciplinae leges, promulgata il 25 gennaio 1983, ha richiamato all’attenzione di tutti che la Chiesa, in quanto comunità allo stesso tempo spirituale e visibile, e ordinata gerarchicamente, ha bisogno di norme giuridiche «affinché l’esercizio delle funzioni a lei affidate da Dio, specialmente quella della sacra potestà e dell’amministrazione dei sacramenti, possa essere adeguatamente organizzato». In tali norme è necessario che risplenda sempre, da una parte, l’unità della dottrina teologica e della legislazione canonica e, dall’altra, l’utilità pastorale delle prescrizioni, mediante le quali le disposizioni ecclesiastiche sono ordinate al bene delle anime.

Al fine di garantire più efficacemente sia questa necessaria unità dottrinale, sia la finalità pastorale, talvolta la suprema autorità della Chiesa, dopo aver ponderato le ragioni, decide gli opportuni mutamenti delle norme canoniche, oppure introduce in esse qualche integrazione. Questa è la ragione che Ci induce a redigere la presente Lettera, che riguarda due questioni.

Anzitutto, nei canoni 1008 e 1009 del Codice di Diritto Canonico sul sacramento dell’Ordine, si conferma l’essenziale distinzione tra il sacerdozio comune dei fedeli ed il sacerdozio ministeriale e, nello stesso tempo, si evidenzia la differenza tra episcopato, presbiterato e diaconato. Or dunque, dopo che, sentiti i Padri della Congregazione per la Dottrina della Fede, il nostro venerato Predecessore Giovanni Paolo II stabilì che si dovesse modificare il testo del numero 1581 del Catechismo della Chiesa Cattolica, al fine di riprendere più adeguatamente la dottrina sui diaconi della Costituzione dogmatica Lumen gentium (n. 29) del Concilio Vaticano II, anche Noi riteniamo si debba perfezionare la norma canonica che riguarda questa stessa materia. Pertanto, sentito il parere del Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi, stabiliamo che le parole dei suddetti canoni siano modificate come successivamente indicato.

Inoltre, poiché i sacramenti sono gli stessi per tutta la Chiesa, è di competenza unicamente della suprema autorità approvare e definire i requisiti per la loro validità, e anche determinare ciò che riguarda il rito che bisogna osservare nella celebrazione dei medesimi (cfr. can. 841), cose tutte che certamente valgono anche per la forma che deve essere osservata nella celebrazione del matrimonio, se almeno una delle parti sia stata battezzata nella Chiesa cattolica (cfr. cann. 11 e 1108).

Il Codice di Diritto Canonico stabilisce tuttavia che i fedeli, i quali si sono separati dalla Chiesa con "atto formale", non sono tenuti alle leggi ecclesiastiche relative alla forma canonica del matrimonio (cfr. can. 1117), alla dispensa dall’impedimento di disparità di culto (cfr. can. 1086) e alla licenza richiesta per i matrimoni misti (cfr. can. 1124). La ragione e il fine di questa eccezione alla norma generale del can. 11 aveva lo scopo di evitare che i matrimoni contratti da quei fedeli fossero nulli per difetto di forma, oppure per impedimento di disparità di culto.

Tuttavia, l’esperienza di questi anni ha mostrato, al contrario, che questa nuova legge ha generato non pochi problemi pastorali. Anzitutto è apparsa difficile la determinazione e la configurazione pratica, nei casi singoli, di questo atto formale di separazione dalla Chiesa, sia quanto alla sua sostanza teologica sia quanto allo stesso aspetto canonico. Inoltre sono sorte molte difficoltà tanto nell’azione pastorale quanto nella prassi dei tribunali. Infatti si osservava che dalla nuova legge sembravano nascere, almeno indirettamente, una certa facilità o, per così dire, un incentivo all’apostasia in quei luoghi ove i fedeli cattolici sono in numero esiguo, oppure dove vigono leggi matrimoniali ingiuste, che stabiliscono discriminazioni fra i cittadini per motivi religiosi; inoltre essa rendeva difficile il ritorno di quei battezzati che desideravano vivamente di contrarre un nuovo matrimonio canonico, dopo il fallimento del precedente; infine, omettendo altro, moltissimi di questi matrimoni diventavano di fatto per la Chiesa matrimoni cosiddetti clandestini.

Tutto ciò considerato, e valutati accuratamente i pareri sia dei Padri della Congregazione per la Dottrina della Fede e del Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi, sia anche delle Conferenze Episcopali che sono state consultate circa l’utilità pastorale di conservare oppure di abrogare questa eccezione alla norma generale del can. 11, è apparso necessario abolire questa regola introdotta nel corpo delle leggi canoniche attualmente vigente.

Stabiliamo quindi di eliminare nel medesimo Codice le parole: "e non separata da essa con atto formale" del can. 1117, "e non separata da essa con atto formale" del can. 1086 § 1, come pure "e non separata dalla medesima con atto formale" del can. 1124.

Pertanto, avendo sentito in merito la Congregazione per la Dottrina della Fede ed il Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi e chiesto anche il parere ai Nostri Venerabili Fratelli Cardinali di S.R.E. preposti ai Dicasteri della Curia Romana, stabiliamo quanto segue:

Art. 1. Il testo del can. 1008 del Codice di Diritto Canonico sia modificato in modo che d’ora in poi risulti così:

"Con il sacramento dell’ordine per divina istituzione alcuni tra i fedeli, mediante il carattere indelebile con il quale vengono segnati, sono costituiti ministri sacri; coloro cioè che sono consacrati e destinati a servire, ciascuno nel suo grado, con nuovo e peculiare titolo, il popolo di Dio".

Art. 2. Il can. 1009 del Codice di Diritto Canonico d’ora in poi avrà tre paragrafi, nel primo e nel secondo dei quali si manterrà il testo del canone vigente, mentre nel terzo il nuovo testo sia redatto in modo che il can. 1009 § 3 risulti così:

"Coloro che sono costituiti nell’ordine dell’episcopato o del presbiterato ricevono la missione e la facoltà di agire nella persona di Cristo Capo, i diaconi invece vengono abilitati a servire il popolo di Dio nella diaconia della liturgia, della parola e della carità".

Art. 3. Il testo del can. 1086 § 1 del Codice di Diritto Canonico viene così modificato:

"È invalido il matrimonio tra due persone, di cui una sia battezzata nella Chiesa cattolica o in essa accolta, e l’altra non battezzata".

Art. 4. Il testo del can. 1117 del Codice di Diritto Canonico viene così modificato:

"La forma qui sopra stabilita deve essere osservata se almeno una delle parti contraenti il matrimonio è battezzata nella Chiesa cattolica o in essa accolta, salve le disposizioni del can. 1127 § 2".

Art. 5. Il testo del can. 1124 del Codice di Diritto Canonico viene così modificato:

"Il matrimonio fra due persone battezzate, delle quali una sia battezzata nella Chiesa cattolica o in essa accolta dopo il battesimo, l’altra invece sia iscritta a una Chiesa o comunità ecclesiale non in piena comunione con la Chiesa cattolica, non può essere celebrato senza espressa licenza della competente autorità".


Quanto abbiamo deliberato con questa Lettera Apostolica in forma di Motu Proprio, ordiniamo che abbia fermo e stabile vigore, nonostante qualsiasi cosa contraria anche se degna di particolare menzione, e che venga pubblicato nel commentario ufficiale Acta Apostolicae Sedis.

Dato a Roma, presso San Pietro, il giorno 26 del mese di ottobre dell’anno 2009, quinto del Nostro Pontificato.

BENEDICUS PP XVI


Caterina63
00martedì 15 dicembre 2009 17:00
PRESENTAZIONE DEL MOTU PROPRIO OMNIUM IN MENTEM

Il Motu proprio "Omnium in mentem"


Le ragioni di due modifiche

Il Motu proprio "
Omnium in mentem" che oggi viene pubblicato contiene alcune modifiche da apportare al Codice di Diritto Canonico, che da tempo erano sottoposte allo studio dei Dicasteri della Curia romana e delle Conferenze episcopali. Le variazioni riguardano due diverse questioni, e cioè: adeguare il testo dei canoni che definiscono la funzione ministeriale dei Diaconi al relativo testo del Catechismo della Chiesa Cattolica (n. 1581); e sopprimere, in tre canoni concernenti il Matrimonio, un inciso che l’esperienza ha rilevato inidoneo. Nei cinque articoli che contiene il presente Motu proprio viene indicata la nuova redazione dei canoni modificati.

La prima variazione riguarda il testo dei canoni 1008 e 1009 del Codice di Diritto Canonico che si riferiscono ai sacri ministri.

Nell’esporre "gli effetti del Sacramento dell’Ordine", la prima edizione del Catechismo della Chiesa Cattolica affermava che: "Per ordinationem recipitur capacitas agendi tamquam Christi legatus, Capitis Ecclesiae, in eius triplici munere sacerdotis, prophetae et regis" (secondo periodo del n. 1581). Successivamente, però, per evitare di estendere al grado del Diaconato la facoltà di "agere in persona Christi Capitis", che è riservata soltanto ai Vescovi ed ai Presbiteri, la Congregazione per la Dottrina della Fede ritenne necessario modificare, nell’edizione tipica, la redazione di questo n. 1581 nel modo seguente: "Ab eo (= Christo) Episcopi et presbiteri missionem et facultatem agendi in persona Christi Capitis accipiunt, diaconi vero vim populo Dei serviendi in ‘diaconia’ liturgiae, verbi et caritatis". Il 9 ottobre 1998, il Servo di Dio Giovanni Paolo II approvò questa modifica e dispose che ad essa si adeguassero anche i canoni del Codice di Diritto Canonico.

Il Motu proprio "Omnium in mentem", quindi, modifica il testo del can. 1008 CIC che, in riferimento indistinto ai tre gradi dell’Ordine, non affermerà più che il sacramento conferisce la facoltà di agire nella persona di Cristo Capo, ma si limiterà ad affermare, in maniera più generica, che chi riceve l’Ordine Sacro è destinato a servire il popolo di Dio per un nuovo e peculiare titolo.

La distinzione che a questo riguardo esiste fra i tre gradi del sacramento dell’Ordine viene adesso ripresa nel can. 1009 CIC con l’aggiunta di un terzo paragrafo nel quale viene precisato che il ministro costituito nell’Ordine dell’Episcopato o del Presbiterato riceve la missione e la facoltà di agire in persona di Cristo Capo, mentre i Diaconi ricevono l’abilitazione a servire il Popolo di Dio nella diaconia della liturgia, della Parola e della Carità.

Non è stato necessario, invece, introdurre alcuna modifica nei correlativi canoni 323 § 1; 325 e 743 del Codice dei Canoni delle Chiese Orientali perché in tali norme non è adoperata l’espressione "agere in persona Christi Capitis".

L’altra modifica che introduce il Motu proprio "Omnium in mentem" riguarda la soppressione della clausola "actus formalis defectionis ab Ecclesia Catholica" nei canoni 1086 § 1, 1117 e 1124 del Codice di Diritto Canonico, che dopo un lungo studio è stata ritenuta non necessaria e inidonea.

Si tratta di un inciso, che non appartiene alla tradizione canonica e non è riportata nemmeno nel Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, con il quale si intendeva stabilire una eccezione alla regola generale del can. 11 CIC circa l’obbligatorietà delle leggi ecclesiastiche, col proposito di facilitare l'esercizio dello "ius connubii" a quei fedeli che, a causa del loro allontanamento dalla Chiesa, difficilmente avrebbero osservato la legge canonica che esige una forma per la validità del loro matrimonio.

Le difficoltà di interpretazione e di applicazione di detta clausola, però, sono emerse in diversi ambiti. In questo senso, l’allora Pontificio Consiglio per l’Interpretazione dei Testi legislativi esaminò la convenienza di sopprimere dai tre canoni l’inciso citato. La questione fu trattata inizialmente nella Sessione Plenaria del 3 giugno 1997. I Padri della Plenaria approvarono la formula di un dubium e il relativo responsum per realizzare eventualmente una Interpretazione autentica sulla precisa portata giuridica di detta clausola, ma ritennero opportuno procedere prima a una consultazione delle Conferenze episcopali circa le esperienze, positive e negative, provenenti da queste prescrizioni, al fine di poter valutare tutte le circostanze prima di prendere una decisione.

La consultazione delle Conferenze episcopali è avvenuta nei due anni successivi e al Pontificio Consiglio sono pervenute una cinquantina di motivate risposte, rappresentative dei cinque Continenti, compresi tutti i Paesi con un episcopato rilevante come numero. In alcuni luoghi non c’erano significative esperienze in argomento; nella maggioranza, però, emergeva il bisogno di un chiarimento sulla portata precisa di questo inciso o, meglio, si desiderava la sua completa soppressione.

A questo proposito vennero segnalate motivazioni coincidenti, provenienti dall’esperienza giuridica:

- la convenienza di non avere in questi casi un trattamento diverso da quello dato alle unioni civili dei battezzati che non fanno alcun atto formale di abbandono;
- la necessità di mostrare con coerenza l’identità "matrimonio-sacramento";
- il rischio di favorire matrimoni clandestini; le ulteriori ripercussioni nei paesi dove il Matrimonio canonico possiede effetti civili, e così via.

I risultati della consultazione vennero poi sottoposti a una nuova sessione Plenaria del Pontificio Consiglio, tenutasi il 4 giugno 1999, che approvò all’unanimità di proporre la soppressione del menzionato inciso, e il Servo di Dio Giovanni Paolo II confermò tale decisione nell’Udienza del 3 luglio 1999, incaricando di preparare l’opportuno testo normativo.

Nel frattempo, la soppressione di questo inciso riguardante la disciplina canonica del Matrimonio è stata messa in collegamento con una questione del tutto diversa, che richiedeva però opportuno chiarimento, e riguardava esclusivamente alcuni Paesi centro-europei: si trattava dell’efficacia ecclesiale dell’eventuale dichiarazione fatta da un cattolico davanti al funzionario civile delle tasse di non appartenere alla Chiesa cattolica e, in conseguenza, di non essere tenuto a versare la cosiddetta tassa per il culto.

A questo concreto proposito e, quindi, in ambito diverso da quello strettamente matrimoniale al quale faceva riferimento il summenzionato inciso nei tre canoni del Codice, venne avviato uno studio da parte del Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi in collaborazione con la Congregazione per la Dottrina della Fede per precisare quali siano i requisiti essenziali della manifestazione di volontà di defezione dalla Chiesa cattolica. Tali condizioni di efficacia sono state indicate nella Lettera Circolare ai Presidenti delle Conferenze Episcopali che, con approvazione del Santo Padre Benedetto XVI, il Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi inviò il 13 marzo 2006 (cfr. Communicationes XXXVIII (2006), 170-184).

Pur avendo obiettivi diversi dal presente Motu proprio, la pubblicazione della Lettera Circolare contribuì a rafforzare il convincimento circa l’opportunità di sopprimere la suddetta clausola nei canoni sul Matrimonio. Ciò, appunto, viene fatto nel presente documento pontificio. Il testo di questo Motu proprio è stato studiato dalla Plenaria del Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi, presieduta nell’occasione dal Cardinale Segretario di Stato, in data 16 giugno 2009.

La rilevanza concreta della modifica dei canoni 1086 § 1, 1117 e 1124 del Codice riguarda, dunque, l’ambito matrimoniale. Dall’entrata in vigore del Codice di Diritto Canonico nell’anno 1983 al momento dell’entrata in vigore di questo Motu proprio, i cattolici che avessero fatto un atto formale di abbandono della Chiesa cattolica non erano tenuti alla forma canonica di celebrazione per la validità del matrimonio (can. 1117 CIC), né vigeva per loro l’impedimento di sposare non battezzati (disparità di culto, can. 1086 § 1 CIC), né li riguardava la proibizione di sposare cristiani non cattolici (can. 1124 CIC). Il menzionato inciso inserito in questi tre canoni rappresentava una eccezione di diritto ecclesiastico, ad un’altra più generale norma di diritto ecclesiastico, secondo la quale tutti i battezzati nella Chiesa cattolica o in essa accolti sono tenuti all’osservanza delle leggi ecclesiastiche (can. 11 CIC).

Dall’entrata in vigore del nuovo Motu proprio, quindi, il can. 11 del Codice di Diritto Canonico riacquista vigore pieno per quanto riguarda il contenuto dei canoni ora modificati, anche nei casi in cui sia avvenuto un abbandono formale. Di conseguenza, per regolarizzare successivamente eventuali unioni fatte nella non osservanza di queste regole si dovrà far ricorso, sempre che sia possibile, ai mezzi ordinari offerti per questi casi dal Diritto Canonico: dispensa dell'impedimento, sanazione, e così via.

In conformità con quanto stabilito dal can. 8 del Codice di Diritto Canonico, il Motu proprio "Omnium in mentem" sarà formalmente promulgato con la pubblicazione negli Acta Apostolicae Sedis ed entrerà "in vigore compiuti tre mesi dal giorno apposto al numero degli Acta".

+ Francesco Coccopalmerio
Presidente del Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi

Caterina63
00martedì 15 dicembre 2009 18:14
Il testo nella lingua ufficiale della Chiesa, il Latino:


Con il motu proprio di Benedetto XVI «Omnium in mentem»

Modifiche al Codice di diritto canonico
sul ministero dei diaconi e sul matrimonio


Con il motu proprio "Omnium in mentem" di Benedetto XVI vengono introdotte al Codice di diritto canonico alcune modifiche riguardanti la funzione ministeriale dei diaconi e il sacramento del matrimonio. Eccone il testo ufficiale.



Litterae Apostolicae
Motu Proprio Datae

Quaedam in Codice Iuris canonici
immutantur

Benedictus pp. XVI


Omnium in mentem Constitutio Apostolica Sacrae disciplinae leges, die 25 mensis Ianuarii anni 1983 promulgata, revocavit Ecclesiam, utpote quae communitas sit spiritualis simul ac visibilis atque hierarchice ordinata, iuridicis normis indigere "ut exercitium munerum ipsi divinitus concreditorum, sacrae praesertim potestatis et administrationis sacramentorum rite ordinetur". His enim in normis eluceat semper oportet, ex una parte, unitas doctrinae theologicae et canonicae legislationis, ex altera vero pastoralis praescriptorum utilitas quibus ecclesiastica instituta in animarum bonum ordinantur.

Quo efficacius autem et necessaria haec unitas doctrinalis et ordinatio in finem pastoralem in tuto ponantur, mature perpensis rationibus, suprema Ecclesiae auctoritas quandoque decernit opportunas normarum canonicarum mutationes vel additiones in easdem inducit. Haec quidem est ratio ad promulgationem Nos movens praesentium Litterarum, quae duas respiciunt quaestiones.

Imprimis, in canonibus 1008 et 1009 Codicis Iuris Canonici de sacramento Ordinis, essentialis distinctio firmatur inter sacerdotium commune fidelium et sacerdotium ministeriale simulque dissimilitudo ostenditur inter episcopatum, presbyteratum et diaconatum. Nunc vero, postquam, auditis Patribus Congregationis pro Doctrina Fidei, veneratus Decessor Noster Ioannes Paulus II immutandum esse statuit textum numeri 1581 Catechismi Ecclesiae Catholicae, eum in finem ut aptius quoad diaconos doctrina recoleretur Constitutionis dogmaticae Lumen gentium (n. 29) Concilii Vaticani II, perficiendam esse Nos quoque censemus normam canonicam hanc eandem rem respicientem. Quapropter, audita sententia Pontificii Consilii de Legum Textibus, decernimus ut verba ipsorum canonum immutentur ut infra.

Cum sacramenta praeterea eadem sint pro universa Ecclesia, unius supremae auctoritatis est probare et definire quae ad eorum validitatem sunt requisita, necnon decernere quae ad ordinem in eorum celebratione servandum spectant (cfr. can. 841), quae sane omnia pro forma quoque in matrimonii celebratione servanda valent, si saltem alterutra pars in Ecclesia catholica baptizata sit (cfr. cann. 11 et 1108).

Statuitur quidem in Codice Iuris Canonici eos fideles, qui "actu formali" ab Ecclesia defecerint, legibus ecclesiasticis non teneri circa formam canonicam matrimonii (cfr. can. 1117), circa dispensationem ab impedimento disparitatis cultus (cfr can. 1086), necnon circa licentiam pro matrimoniis mixtis requisitam (cfr. can. 1124). Ratio et finis huius exceptionis a norma generali canonis 11 eo spectabant, ut matrimoniorum ab iis fidelibus contractorum nullitas vitaretur ob defectum formae canonicae vel ob impedimentum disparitatis cultus.

Horum autem annorum experientia ostendit, e contra, novam hanc legem pastoralia problemata haud pauca genuisse. Imprimis difficilis apparuit determinatio et practica configuratio, singulis in casibus, huius actus formalis defectionis ab Ecclesia, sive quoad eius substantiam theologicam sive quoad ipsius aspectum canonicum. Multae praeterea exsurrexerunt difficultates cum in actione pastorali tum in tribunalium praxi. Etenim e nova lege oriri videbantur, saltem oblique, commoditas ac veluti adiumentum apostasiae illis in locis ubi fideles catholici exigui sunt numero, vel ubi iniquae vigent leges matrimoniales discrimina statuentes inter cives ratione religionis; difficilis praeterea fiebat reditus horum baptizatorum qui novum contrahere exoptarent matrimonium canonicum, post prioris ruinam; denique, ut alia omittamus, horum matrimoniorum permulta devenerant de facto pro Ecclesia matrimonia sic dicta clandestina.

His omnibus positis, atque accurate perpensis sententiis sive Patrum Congregationis pro Doctrina Fidei et Pontificii Consilii de Legum Textibus, sive etiam Conferentiarum Episcopalium quibus consultatio facta est circa utilitatem pastoralem servandi aut abrogandi hanc exceptionem a norma generali canonis 11, necessarium apparuit abolere hanc regulam in canonicarum legum corpus nunc vigens introductam.
Auferenda proinde decernimus in eodem Codice verba:  "neque actu formali ab ea defecerit" canonis 1117, "nec actu formali ab ea defecerit" canonis 1086 1, et "quaeque nec ab ea actu formali defecerit" canonis 1124.

Itaque hac de re auditis Congregatione pro Doctrina Fidei atque Pontificio Consilio de Legum Textibus itemque rogatis sententiam Venerabilibus Fratribus Nostris S.R.E. Cardinalibus Dicasteriis Romanae Curiae Praepositis, quae sequuntur decernimus: 
Art. 1. Textus can. 1008 Codicis Iuris Canonici ita immutatur ut posthac absolute sic sonet: 
"Sacramento ordinis ex divina institutione inter christifideles quidam, charactere indelebili quo signantur, constituuntur sacri ministri, qui nempe consecrantur et deputantur ut, pro suo quisque gradu, novo et peculiari titulo Dei populo inserviant".
Art. 2. Can. 1009 Codicis Iuris Canonici posthac tres paragraphos habebit, quarum prima et secunda constent textu vigentis canonis, tertiae vero novus textus ita sit redactus ut ipse can. 1009 3 absolute sic sonet: 
"Qui constituti sunt in ordine episcopatus aut presbyteratus missionem et facultatem agendi in persona Christi Capitis accipiunt, diaconi vero vim populo Dei serviendi in diaconia liturgiae, verbi et caritatis".
Art. 3. Textus can. 1086 1 Codicis Iuris Canonici sic immutatur: 
"Matrimonium inter duas personas, quarum altera sit baptizata in Ecclesia catholica vel in eandem recepta, et altera non baptizata, invalidum est".
Art. 4. Textus can. 1117 Codicis Iuris Canonici sic immutatur: 
"Statuta superius forma servanda est, si saltem alterutra pars matrimonium contrahentium in Ecclesia catholica baptizata vel in eandem recepta sit, salvis praescriptis can. 1127 2".
Art. 5. Textus can. 1124 Codicis Iuris Canonici sic immutatur: 
"Matrimonium inter duas personas baptizatas, quarum altera sit in Ecclesia catholica baptizata vel in eandem post baptismum recepta, altera vero Ecclesiae vel communitati ecclesiali plenam communionem cum Ecclesia catholica non habenti adscripta, sine expressa auctoritatis competentis licentia prohibitum est".

Quaecumque vero a Nobis hisce Litteris Apostolicis Motu Proprio datis decreta sunt, ea omnia firma ac rata esse iubemus, contrariis quibuslibet non obstantibus, peculiari etiam mentione dignis, eaque in Actorum Apostolicae Sedis commentario officiali promulgari statuimus.

Datum Romae, apud Sanctum Petrum, die XXVI mensis Octobris anno mmix, Pontificatus Nostri quinto.





Caterina63
00mercoledì 16 dicembre 2009 14:01
Un grazie all'amico Daniele Di sorco di Rinascimento Sacro ed Oriensforum per l'ulteriore spiegazione all'importante Documento:


Si tratta di un documento molto importante per due ragioni.

1) Circa i matrimoni misti, ristabilisce la disciplina contenuta nel codice del 1917 (l'unica reale differenza sta nel fatto che prima la dispensa poteva essere concessa solo dalla Santa Sede, ora anche da altre autorità stabilite dal diritto), in conformità alla dottrina tradizionale della Chiesa, secondo cui il matrimonio tra battezzati e non battezzati, che rende assai difficoltosa l'educazione cattolica dei figli e la concordia familiare, deve costituire un'eccezione, da valutarsi attentamente caso per caso.

2) Quanto al sacramento dell'Ordine, il documento, ribadendo la distinzione essenziale tra sacerdozio (nei suoi due gradi del presbiterato e dell'episcopato), il cui elemento essenziale è l'azione in persona Christi, e il diaconato, il cui elemento essenziale è il servizio (dei chierici superiori e dei fedeli), costituisce un riavvicinamento alla dottrina del Concilio di Trento, secondo cui la gerarchia divinamente istituita consta di vescovi, presbiteri e ministri (sess. XXIII, can. 6: Denz. 966).
 L'uso del termini "ministri" al posto di "diaconi" è assai significativo, sia per la sua etimologia, sia per la sua genericità. Quanto alla prima, delinea con chiarezza la natura di questo grado del sacramento dell'ordine, che è appunto il servizio (dal latino ministrare = servire), e così facendo lo distingue in modo essenziale dagli altri due.
Quanto alla seconda, allude alla prassi ecclesiastica, vigente fin dai primi secoli, di suddividere l'ordine del "ministero" in vari sotto-ordini: ostiariato, lettorato, esorcistato, accolitato, suddiaconato e diaconato.
Di questi, soltanto il diaconato, essendo di istituzione divino-apostolica, è un vero e proprio sacramento.
Gli altri, che tecnicamente sono semplici sacramentali, possono essere definiti una forma di partecipazione diretta al sacramento dell'ordine, poiché, al pari di questo, abilitano allo svolgimento di certe funzioni, imprimono il carattere e non possono essere reiterati.
 È evidente che tale suddivisione promana dalla natura stessa del diaconato: se esso infatti, come i due ordini superiori, fosse caratterizzato dall'azione in persona Christi, la Chiesa non avrebbe avuto il diritto di differenziarlo in ministeri inferiori. Attesa, invece, la sua funzione di servizio, l'istituzione degli ordini minori appare del tutto legittima (cfr. ibid. can. 2: "Se qualcuno dirà che, oltre al sacerdozio, non esistono nella Chiesa cattolica altri ordini, sia maggiori che minori, per mezzo dei quali si tende, come per gradi, al sacerdozio, sia anatema").

Mi auguro che questa presa di posizione circa il ruolo dei diaconi preluda ad un ripristino del suddiaconato e degli ordini minori, se non di tutti (come sarebbe meglio) almeno di quelli che ancora si conferiscono nella Chiesa greca. È evidente che gli attuali ministeri "istituiti" del lettorato e dell'accolitato, avendo perduto la loro intima connessione col sacramento dell'ordine, non possono essere in alcun modo considerati "ordini minori".

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