Alfredo Ottaviani, cardinale della Chiesa: come si patisce e si soffre per la Santa Chiesa

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Caterina63
00domenica 29 maggio 2011 09:10
Ottaviani, un difensore della Chiesa

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per la rubrica PENSIERI & PAROLE
Rai Vaticano, Marzo 21, 2011

di A. Cannarozzo


Per chi ha qualche capello grigio, il nome del cardinale Alfredo Ottaviani susciterà forse vecchi ricordi su che cosa era la Chiesa appena mezzo secolo fa e sul fatto che tra i suoi massimi rappresentanti vi fosse proprio la figura di questo eminente cardinale. L’uomo certamente più potente, dopo il Papa, nella Chiesa del suo tempo; uno strenuo difensore della religione, contro ogni forma di prevaricazione dottrinale.

Non per nulla venne soprannominato da amici e nemici il “carabiniere”, appellativo che ben si addiceva alla sua indole e al suo atteggiamento di fermezza e di fedeltà alla Chiesa, alla quale non venne mai meno, specialmente davanti alla crisi di valori che si andavano accentuando in quel cosiddetto secolo breve che fu il ‘900.

E se qualcuno pensasse di beatificarlo? La mia, lo affermo subito, è una pacifica provocazione, per non dimenticare un difensore della Chiesa o, almeno, della Chiesa che fino a quel tempo aveva servito.

Infatti difficilmente, visti i tempi, crediamo che alcuno possa avviare con successo questa pratica di beatificazione. Ciò nonostante, ritengo che figure che hanno segnato la storia della Chiesa con totale abnegazione, debbano essere ricordate senza barriere ideologiche come ci ricorda lo stesso Giovanni Paolo II nell’omelia che pronunciò proprio il giorno dei suoi funerali, nel 1979: “Sempre disponibile, sempre pronto a servire la Chiesa, La sua esistenza si è letteralmente spesa per il bene della Chiesa santa di Dio. Il nostro fratello fu in tutto e sempre “homo Dei, ad omne opus bonum instructus” (2Tm 3,16) e questo, sì, questo è un riferimento d’ordine essenziale, questo è un parametro valido per ben inquadrarne la fisionomia spirituale e morale. La sua preparazione giuridica, che già in età giovanile gli aveva garantito l’attenzione di altri sacerdoti, lo sostenne nel lavoro che svolse a difesa della Fede Cattolica “. Parole, crediamo, che si commentano da sole sull’uomo, la sua opera e la sua fede.

Era nato povero, nel caratteristico quartiere di Trastevere, il 29 ottobre del 1890, dunque “un romano de Roma” che non dimenticò mai le sue origini popolari. Nella sua vita non arricchì nessuno, tanto meno sé stesso. Alla sua morte ciò che aveva lo lasciò interamente alla Chiesa e alla varie opere di carità cui aveva dato il suo aiuto.

Sembrava un ragazzo destinato ad una vita come tante nel quartiere: un lavoro, una famiglia e chissà cos’altro. Invece un giorno la sua vita cambiò e, tra lo stupore dei suoi amici, entrò in semiario, per essere consacrato sacerdote nel 1916 a ventisei anni.

Nel corso degli anni di preparazione al sacerdozio, si fece notare per la sua serietà, intelligenza e capacità di studiare e di apprendere, ma soprattutto per una vita profondamente cristiana, per un amore totale per la Chiesa e per il Papa. Un atteggiamento quest’ultimo che non cambiò mai, nonostante le dure prove che il destino gli avrebbe inferto proprio dal quel “Soglio” tanto amato e venerato.

Le sue doti non sfuggirono ai superiori, e così, non ancora trentenne, fu nominato prima professore di filosofia scolastica presso il Pontificio Collegio Urbaniano e, pochi anni dopo, professore di Diritto Pubblico Ecclesiastico, materia di cui fu sempre considerato grande esperto, presso l’Ateneo Giuridico dell’Apollinare.

Nel 1921 entrò nella Segreteria di Stato collaborando con il cardinale Pietro Gasparri alla stesura del Concordato tra la Santa Sede e lo Stato italiano, firmato nel 1929, partecipando a tutte le commissioni preparatorie. La Segreteria di Stato, come ricorderà nei suoi diari, fu per lui un osservatorio ed una scuola di vita eccezionale, che gli permise di vedere esattamente come andava il mondo e come la Chiesa doveva destreggiarsi per non rimanere schiacciata dagli avvenimenti della storia senza perdere la sua missione.

In quel periodo ebbe alle sue dipendenze come minutante un giovane bresciano serio, diligente ed attento nel lavoro: si chiamava Giovan Battista Montini, che trent’anni dopo sarebbe diventato papa con il nome di Paolo VI. Tra i due non ci fu mai simpatia e una volta diventato papa, Montini non dissimulò mai i suoi sentimenti verso Ottaviani, simbolo di una Chiesa conservatrice.

Dopo aver lavorato per quasi quattordici anni nella diplomazia vaticana, sempre con incarichi di grande prestigio, nel 1935 entrò per la prima volta come assessore presso il Sant’Uffizio. Un luogo che rimase, fino alla morte, il suo campo di battaglia contro i nemici della Chiesa.

Quello stesso anno, però, dovette subire anche un delicato intervento agli occhi che lo condizionò per tutta la vita, portandolo negli ultimi anni alla completa cecità. Conoscendo le sue doti giuridiche, Pio XI lo volle vicino a se nella stesura dell’enciclica Divini Redemptoris missio dove si definiva il comunismo ateo “intrinsecamente perverso”. L’anticomunismo, Ottaviani lo manifestò tutta la vita, senza alcun distinguo o tentennamento.

Vedeva nell’ideologia marxista un’offesa alla legge di Dio e una tragedia per l’intera umanità. Fu, quasi vent’anni dopo, tra i propugnatori della celebre scomunica del 1949 voluta da Pio XII contro i comunisti, ma ciò nonostante fece sempre la differenza tra il peccato ed il peccatore e curiosamente mantenne un rapporto di grande stima, sempre ricambiata, con Palmiro Togliatti fino alla morte di quest’ultimo.

Sostenitore della romanità, non riteneva opportuno il dialogo con le ideologie radicalmente ostili e inconciliabili con la fede. Non era solo il comunismo, ma anche i suoi “frutti avvelenati”, come li chiamava, che si andavano espandendo anche all’interno della Chiesa stessa.

Richiamò con fermezza quelle frange di cattolici progressisti, nonché i promotori, tedeschi e francesi, della cosiddetta nouvelle théologie che manifestarono, qualche decennio dopo, tutta la loro capacità comunicativa durante le assise conciliari.

Pur rimanendo il comunismo il suo vero nemico, non fu meno tenero con le ideologie fasciste e naziste. Fu tra i prelati che consigliarono Pio XI di non ricevere Hitler in Vaticano durante la sua visita di Stato a Roma nel 1938. Tra il 1943 e il 1945, attraverso una serie di operazioni umanitarie approvate da Pio XII, riuscì a portare sollievo alle popolazioni martoriate dalla guerra, proteggendo ebrei perseguitati ed antifascisti – senza differenza di colore politico – presso chiese e conventi. Da un documento scoperto negli archivi segreti vaticani risulta che le autorità fasciste denunciarono nel 1944 alla Santa Sede la sua attività filo-ebraica e che un fascicolo su di lui era presso il comando della Gestapo a Roma, ma Alfredo Ottaviani andò dritto per la sua strada e la storia gli dette ragione.

L’Italia era uscita stremata dalla guerra: rovine, povertà, disperazione, malcontento. Erano i frutti lasciati dalla follia dell’assurdo conflitto, ma ora bisognava ricostruire non solo vita pratica degli italiani, ma anche la vita morale. Ottaviani non dimenticò mai le sue radici popolari. Fu uomo di grande sensibilità pastorale, specialmente verso i ragazzi dell’oratorio di San Pietro, spesso in condizioni disagiate, ai quali pagava le rette per lo studio, le tasse per lo sport: per tanti giovani fu come un padre sollecito ed affettuoso. Un dovere di carità che nasceva dalla sua vocazione sacerdotale, che non aveva mai dimenticato.

Nel 1947 Pio XII lo volle pro Prefetto del Sant’Uffizio dove, prima della riforma voluta da Paolo VI nel 1965, era Prefetto lo stesso Papa. Spesso si dice che il Concilio aperto da Giovanni XXIII in realtà era stato voluto dallo stesso Pio XII, che nessuno certo poteva accusare di modernismo.

In realtà le cose non stanno proprio così. È vero che papa Pacelli voleva indire un Concilio: infatti, il 4 marzo del 1948, chiamò in gran segreto il cardinale Ottaviani per costituire una Commissione preparatoria per un eventuale prossimo Concilio ecumenico. Non “per aprirsi al mondo”, come fu poi deciso da Giovanni XXIII, ma, al contrario, per ridefinire i vari punti della dottrina cristiana minacciati dalle “Nouvelle Théologie”.

Purtroppo, man mano che i lavori proseguivano, cominciarono a nascere le prime divergenze che ben presto diventarono insanabili, anche a livello personale. Erano i prodromi di ciò che sarebbe successo di lì a qualche anno, con le assise del Vaticano II.

Davanti a questo spettacolo inammissibile, lo stesso Pacelli, sotto consiglio dello stesso Ottaviani, decise di chiudere quest’esperienza preparatoria per il Concili, comprendendo il pericolo che si poteva innescare. Passeranno pochissimi anni e i timori di Ottaviani si manifestarono nel 1958, quando Giovanni XXIII volle indire il Concilio Vaticano II.

Momenti vissuti dal nostro cardinale con grande apprensione ed assai lontano dall’ ottimismo di papa Giovanni XXIII. “Il Concilio che inizia sorge nella Chiesa come un giorno fulgente di luce splendidissima. – dichiarò nel discorso d’apertura papa Roncalli - È appena l’aurora: ma come già toccano soavemente i nostri animi i primi raggi del sole sorgente! Tutto qui spira santità, suscita esultanza”.

Uomo schietto e concreto, Ottaviani definì il Concilio più che “una nuova aurora per l’umanità, una lunga notte per la Chiesa”. Nel suo diario, il cardinale scriveva, nell’estate del 1965, pochi mesi prima della chiusura dei lavori conciliari con grande amarezza: “Prego Dio di farmi morire prima della fine di questo Concilio, così almeno muoio cattolico”. Parole dure che disegnano la visione che egli aveva dell’avventura del Concilio. Oggi, a quasi cinquant’anni da quegli eventi, ognuno, dal suo punto di vista, può serenamente valutarne i frutti senza inutili barriere ideologiche.

Per descrivere gli anni di quel Concilio e l’opera di Ottaviani e dei cardinali a lui fedeli contro le fughe in avanti dei cattolici progressisti, non basterebbe un libro. Quelli, per l’ormai vecchio cardinale, furono anni durissimi anche per la sua oramai totale cecità che non gli permise di seguire tutti i lavori conciliari come voleva.

Un episodio, tra i tanti, credo possa illustrare bene l’atmosfera che si era creata. Il cardinal Ottaviani stava intervenendo il 30 ottobre del 1962 per protestare contro le modifiche che alcuni proponevano di far subire alla Messa. Affermò tra l’altro: “Stiamo cercando di suscitare il disorientamento e lo scandalo nel popolo cristiano, introducendo delle modifiche in un rito così venerabile, che è stato approvato lungo tanti secoli e che è ora divenuto così familiare? Non si può trattare la Santa Messa come se fosse un pezzo di stoffa che si rimette seguendo la moda, secondo la fantasia di ciascuna generazione”.

Ottaviani – era cieco e non poteva leggere – superò i dieci minuti concessi, cosa che l’assemblea aveva accettato per l’autorevolezza del personaggio e per la sua evidente menomazione. Il cardinal Alfrink che presiedeva l’assemblea, suonò il suo campanello di richiamo per i minuti sforati, ma Ottaviani, così preso dal discorso non lo sentì (i maligni dissero poi che lo avesse intenzionalmente ignorato). Spazientito, il cardinal Alfrink, fece un cenno ad un tecnico che staccò il microfono dell’oratore, come si fa per tacitare un seccatore.

A quel punto il cardinal Ottaviani prese atto dell’accaduto e, umiliato, si rimise a sedere. Il più potente cardinale della Curia era stato ridotto al silenzio. Ci fu un attimo di suspense, poi parte dei padri conciliari applaudirono di gioia. La “Chiesa della conservazione” era stata umiliata per sempre nella figura del suo maggiore rappresentante. Così scrissero molti giornali italiani e stranieri.

Anche se la Chiesa che aveva servito per oltre cinquant’anni non era più la stessa, Ottaviani difese sempre e comunque l’istituzione. A chi gli domandava dei suoi “nemici” rispondeva sempre “Ci sono contrasti non personali, ma di idee”. Lo stesso atteggiamento lo ebbe per Giovanni XXIII e Paolo VI che certo non gli furono amici, ma per i quali portò sempre immutato e assoluto rispetto. Ebbe parole di difesa e di amore verso tutti i successori di Pietro, nonostante le amare delusioni che vennero per lui dal quel “sacro Soglio”.

Nel 1968 si dimise dal suo incarico di Prefetto del Sant’Uffizio per motivi di salute, rimanendone membro emerito, ma ormai senza alcun potere. Grazie alla sua notorietà, finché fu in vita, non si tirò mai indietro nel denunciare una Chiesa che, a suo dire, era ormai allo sbando.

Negli anni ’70 andava a trovare spesso, salute permettendo, tra gli altri, un francescano, padre Coccia che celebrava, pur tra mille difficoltà, la Messa tridentina nella Chiesa di san Girolamo della Carità a Roma (eravamo tanti ragazzi, allora, a parteciparvi).

Ottaviani aveva parole di incoraggiamento invitandoci sempre ad avere fiducia e amore nella Chiesa e nei suoi rappresentanti. “L’obbedienza per un cristiano – diceva – deve essere sempre al primo posto. Senza di essa c’è solo disordine. Se gli altri non ubbidiscono, voi siate ubbidienti alla Chiesa anche per loro”.

Morì il 3 agosto del 1979 dopo aver visto succedersi sul soglio di Pietro ben nove papi; da Leone XIII a Giovanni Paolo II. Oggi la sua tomba si trova nella chiesa di San Salvatore in Ossibus, proprio dove esiste il confine tra lo Stato italiano e la Città del Vaticano.

Antonello Cannarozzo


Caterina63
00lunedì 15 luglio 2013 12:41

"E il povero cristiano è sbalordito nel sentire tanta acredine spumata da certi comunistelli delle sacrestie, nel sentire in ogni tono che è tutto arretrato. In particolare il solo effetto che proviene dalla loro azione nel campo sociale è scardinare, scalzare, distruggere, radere al suolo, preparare la strada...
A chi? Basta guardare a chi ha in mano le fila di questa devastazione. noi diciamo, all'Anticristo, e non temiamo smentite: L'Anticristo per noi è chiunque sta per una società contro Dio o anche semplicemente senza Dio.
E chi si allinea o tende la mano verso costoro, obbedisce e spiana la strada, senza saperlo all'Anticristo. Perfino nel sacerdote si vorrebbe una trasformazione che è un rinnegamento della sua sacra missione".
Cardinale Ottaviani, Segretario della Suprema Congregazione del Santo Uffizio, 25 gennaio 1958, articolo pubblicato su "Il Quotidiano"

Intervento Ottaviani

Fu definito Intervento Ottaviani il "Breve esame critico del Novus Ordo Missae", presentato al papa Paolo VI dai cardinali Antonio Bacci ed Alfredo Ottaviani il 25 settembre 1969.
In realtà il testo era stato probabilmente redatto da un gruppo conservatore, fra i quali vi era padre Guérard des Lauriers, dell'ambiente del Coetus Internationalis Patrum. Tema dell'analisi, suddivisa in otto capitoli, era la riforma liturgica disposta a seguito del Concilio Vaticano II Come esposto nel titolo non voleva essere un esame approfondito, ma soltanto la messa in discussione e l'evidenziazione di alcuni punti di forte critica alla riforma e alle sue basi teologiche Teologicamente, secondo gli autori dell'intervento, la riforma ridurrebbe il sacrificio eucaristico a "memoriale", cioè a semplice commemorazione del sacrificio del Calvario, e diluirebbe la presenza reale sostanziale di Gesù


“Oggi sanno leggere quasi tutti: ma ben pochi sanno pensare... “

Negli anni della violenza nazista, proprio di questo io fui accusato, per questo venni additato alla esecrazione universale: ero di "coloro che stanno intorno al Papa" - Männ er um den Papst. Quei nemici sono passati come una immane infestazione diabolica. [...] So bene che ai nemici di ieri ne sono succeduti altri, ancora più satanici. Tra i pochi che il Santo Padre onora oggi con l'alta dignità della Porpora c'è un grande assente. E questa assenza mi richiama alla mente la figura luminosa di un altro Porporato che da anni geme sotto le catene della anti cristiana ferocia rossa. E sono assenti perché sub hostili dominatione constituiti, perchè incatenati da cotesti nuovi nemici più feroci: tanto feroci che, a sentirli, preparano il finimondo e dovunque arrivano solitudinem faciunt et pacem appellant, fanno il deserto e lo chiamano "pace"! Per orrendi e formidabili che siano, non ci fanno paura. [...] I nuovi barbari passeranno anche loro, e forse l'ora è già vicina. Il Papa resterà! [...] La Chiesa non soccombe. Non temiamo la morte: temiamo il peccato.
[Brano del Cardinale Alfredo Ottaviani tratto da "Il balua rdo", edito dalle Edizioni Ares nel 1961, ma attualmente distribuito dalla Libreria Editrice Vaticana al modico prezzo di 1,29 euro]

Alcune opere di Ottaviani
Il baluardo Libreria Editrice Vaticana | 1961
Institutiones iuris publici Libreria Editrice Vaticana | 1957
Institutiones iuris publici ecclesiastici. Libreria Editrice Vaticana | 1958
Alfredo Ottaviani e Antonio Bacci: Breve analisi critica del "Novus Ordo Missae", Roma 25 settembre 1969

Pensieri del Cardinale Alfredo Ottaviani
Riporto alcuni preziosi "pensieri" tratti dal libro "Il baluardo", edito dalle Edizioni Ares nel 1961. Il
libro contiene una serie di discorsi e scritti del Cardinale Alfredo Ottaviani (1890 -1979) ultimo Segretario del Sant'Uffizio e primo Prefetto della Congregazione della Dottrina della Fede. Credo che le ultime copie siano ancora disponibili presso la Libreria Editrice Vaticana, la quale lo vende ad un prezzo modico (io nel 2003, l'ho pagato 1,29 euro, richiedendolo presso una semplice libreria). Alcuni temi trattati nel libro non sono più attuali , come l'Index librorum prohibitorum (Indice dei libri proibiti) e il divieto di essere preti-operai , tuttavia gran parte del pensiero ottavianeo rimane ancora valido ed istruttivo.

"E' di moda oggi, specialmente presso certi giovani, giudicare, criticare, sradicare tutto ciò che non sa di novità, di moderno, di sovvertimento. [...] E il povero cristiano è sbalordito nel sentire tanta acredine spumata da certi comunistelli di sacrestie, nel sentire in ogni tono che tutto è arretrato. [...]
In particolare il solo effetto che proviene dalla loro azione n el campo sociale è scardinare, scalzare, distruggere, radere al suolo, preparare insomma la strada... a chi? basta guardare a chi ha in mano le fila di questa devastazione. Noi diciamo, all'Anticristo, e non temiamo smentita: l'Anticristo per noi è chiunque sta per una società contro Dio o anche semplicemente senza Dio. E chi si allea o tende la mano verso costoro, obbedisce e spiana la strada, senza saperlo , all'Anticristo.
Quando un sacerdote si corrompe, diventa l'agente peggiore e più rapido del disfacimento sociale.
Purtroppo il mondo si è così paganizzato che un pò del suo influss o materialistico si è infiltrato anche nelle coscienze cristiane.
Siamo purtroppo in tempi in cui si deve resistere non solo agli avversari, ma anche a quelli che, nell'interno del fronte guardano con simpatia più al campo di là che a quello proprio e nell'interno fanno più danno che se fossero già transfughi.
Il nostro pensiero si vela di mestizia quando immaginiamo quante anime vengono avvelenate o inquinate dalla melma trasudata dalle pagine di tanta letteratura oscena, quante luci di fede sono offuscate dalle nebbie oscure dei libri degli atei e quanti vacillamenti sono provocati anche da tanta letteratura, che, pur non essendo oscena o blasfema, insinua il dubbio, l'incertezza, lo smarrimento, instradando le menti per vie nuove che non sono le vie del Signore.
In nessun tempo la dissolutezza e la frivolezza hanno straripato come nel nostro tempo.
La società moderna è travagliata da una febbre di rinnovamento che fa paura ed è infestata da uomini che si prevalgono di tanta nostra sofferenza per costruirvi l'impero dei loro arbitrii, la tirannide dei loro vizi, il nido delle lussurie e delle rapine
. Mai il male ha assunto caratteristiche tanto vaste e apocalittiche, mai abbiam conosciuto altrettanto pericolo.
L'atomica crea un deserto meno atroce di quello che la dottrina imperante d'una società senza Dio ha creato: c'è un Sahara dello Spirito, oltre che un Sahara materiale.

Cari figli, mi rallegro con voi della vostra arte la quale ha saputo essere arte dei nostri giorni e non mero ricalco di moduli passati, creazione e non scopiazzatura, scoperta nuova e non rispolveratura scolastica; e tuttavia ha saputo stare, con tanta comprensione e bellezza, accanto alla preghiera. Così il vostro esempio giovasse tra coloro che si danno a credere, con qualche inesplicabile e indecifrabile sgorbio, di fare arte! Eppure, con tanto poco si f anno scrupolo, di ingiuriare la Chiesa e darle dell'arretrata. Non dico nulla d'altri che presumono popolare la Chiesa di mostruosità, degnissime nel miglior caso, di semifolli, non però di Dio, del popolo e della nostra civiltà.
Ricordatevi, quando l'arte non sa stare con la preghiera, non sa pregare, è un brutto segno, è segno che , forse, non è nemmeno arte; ma puro inganno o di sé o degli altri o di sé e degli altri insieme.
Ma oggi, più che altro, il pericolo è costituito piuttosto da coloro che, non sapendo raggiungere in arte la bellezza, vogliono emergere con la mostruosità, con
la stranezza, emula della caricatura e dell'arte dei primitivi con lo scempio delle cose e delle persone sante.
Negli anni della violenza nazista, proprio di questo io fui accusato, per questo venni additato alla esecrazione universale: ero di "coloro che stanno intorno al Papa" - Männer um den Papst. Quei nemici sono passati come una immane infestazione diabolica. [...] So bene che ai nemici di ieri ne sono succeduti altri, ancora più satanici. Tra i pochi che il Santo Padre onora oggi con l'alta dignità della Porpora c'è un grande assente. E questa assenza mi richiama alla mente la figura luminosa di un altro Porporato che da anni geme sotto le catene della anti cristiana ferocia rossa. E sono assenti perché sub hostili dominatione constituiti, perchè incatenati da cotesti nuovi nemici più feroci: tanto feroci che, a sentirli, preparano il finimondo e dovunque arrivano solitudinem faciunt et pacem appellant, fanno il deserto e lo chiamano "pace"! Per orrendi e formidabili che siano, non ci fanno paura. [...] I nuovi barbari passeranno anche loro, e forse l'ora è già vicina. Il Papa resterà! [...] La Chiesa non soccombe. Non temiamo la morte: temiamo il peccato...."

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Caterina63
00sabato 30 agosto 2014 20:06

  35 anni fa moriva il Cardinale Alfredo Ottaviani, definito il "carabiniere della fede"

Post n°801 pubblicato il 03 Agosto 2014 da scriviadany
 

 

Il 3 agosto del 1979 moriva il Cardinale Alfredo Ottaviani, il quale fu, anche per le sue mai dimenticate radici popolari, un uomo di grande sensibilità pastorale e un uomo di vera carità, in particolare con i ragazzi e i giovani dell'oratorio di San Pietro, per i giovani che bighellonavano a Trastevere e nei pressi del Vaticano per i quali si prodigava quotidianamente, pagando le rette per lo studio, le tasse per lo sport, la merenda pomeridiana e per molte famiglie anche la cena: per i giovani fu come un padre sollecito ed affettuoso. Questa sua presenza tra i giovani non era un diversivo per superare la stanchezza tediosa delle carte d'ufficio e degli impegni burocratici, ma un'esigenza che scaturiva spontanea, intenzionale e generosa da un programma sacerdotale: era una "prestazione comandata" della sua vocazione. Il pomeriggio, al posto della pausa post-pranzo, preferiva uscire dal Vaticano e incontrare la moltitudine dei ragazzi che giocavano a pallone, per offrire a tutti dolci e pane, direttamente comprati nei negozi di Borgo Pio.

L'Omelia di Papa Giovanni Paolo II, nel giorno del suo funerale 6 agosto 1979:

“Ecce Sacerdos magnus, qui in diebus suis placuit Deo et inventus est iustus” (cf. Sir 44,16-17): sono queste le prime parole che mi salgono spontaneamente alle labbra nel momento in cui offriamo a Dio il sacrificio eucaristico e ci accingiamo a dare l’estremo saluto al venerato fratello, il Cardinale Alfredo Ottaviani. Davvero, egli è stato un grande Sacerdote, insigne per religiosa pietà, esemplarmente fedele nel servizio alla Santa Chiesa e alla Sede Apostolica, sollecito nel ministero e nella pratica della carità cristiana. Ed è stato insieme un Sacerdote Romano, provvisto cioè di quel tipico spirito, forse non facile da definire, che chi è nato a Roma – come egli che vi era nato dieci anni prima della fine del secolo XIX – possiede quasi per eredità e che si esprime in un particolare attaccamento a Pietro e alla fede di Pietro e, ancora, in una spiccata sensibilità per ciò che è e fa e deve fare la Chiesa di Pietro.

Per questo, ho parlato di “esemplare fedeltà”, e ora che egli è morto dopo una lunga e operosa giornata terrena, risulta più facile ravvisare questa fedeltà quale caratteristica costante dell’intera sua vita. La sua fu realmente una fedeltà a tutta prova: senza voler ripercorrere le fasi della sua attività nei diversi ministeri, a cui l’eletto suo ingegno e la fiducia dei Sommi Pontefici lo chiamarono, egli si è distinto sempre per questa qualità morale, qualità singolare, qualità che vuol dire coerenza, dedizione, obbedienza. Come Sostituto alla Segreteria di Stato, e poi Assessore, Pro-Segretario, Pro-Prefetto e Prefetto dell’allora Sacra Congregazione del Santo Offizio; come Prelato, Vescovo e Cardinale, tale qualità egli dimostrò di possedere quale divisa che lo individuava e lo identificava agli occhi di quanti – ed erano molti sia in Roma che fuori – lo conoscevano e lo stimavano.

Essendo responsabile del Dicastero, a cui è istituzionalmente demandata la tutela del sacro patrimonio della fede e della morale cattolica, egli espresse questa stessa virtù in un comportamento di perspicace attenzione, nella convinzione, oggettivamente fondata e in lui via via più matura per l’esperienza delle cose e degli uomini, che la “rectitudo fidei”, cioè l’ortodossia, è patrimonio irrinunciabile ed è condizione primaria per la “rectitudo morum”, o ortoprassi. Il suo alto senso giuridico, che già in età giovanile l’aveva reso maestro celebrato ed ascoltato di molte schiere di sacerdoti, lo sostenne nel lavoro tenace che svolse a difesa della fede.

Sempre disponibile, sempre pronto a servire la Chiesa, egli colse anche nelle riforme il segno provvidenziale dei tempi, sicché seppe e volle collaborare con i miei Predecessori Giovanni XXIII e Paolo VI, come aveva già fatto con Pio XII e ancor prima con Pio XI. La sua esistenza si è letteralmente spesa per il bene della Chiesa santa di Dio. Il nostro fratello fu in tutto e sempre “homo Dei, ad omne opus bonum instructus” (2Tm 3,16) e questo, sì, questo è un riferimento d’ordine essenziale, questo è un parametro valido per ben inquadrarne la fisionomia spirituale e morale.

Egli fu anche un uomo di grande cuore sacerdotale: sono ancora molti coloro che lo ricordano nel suo quotidiano ministero in mezzo ai ragazzi e ai giovani dell’Oratorio di San Pietro, i quali lo ebbero – accanto ad altri non dimenticati Sacerdoti e Prelati Romani – come amico e fratello, e dirò meglio: come padre sollecito ed affettuoso.Non era questa sua presenza un diversivo per superare la stanchezza tediosa delle carte d’ufficio e degli impegni burocratici, ma un’esigenza che scaturiva spontanea, intenzionale e generosa da un programma sacerdotale, era una “prestazione comandata” dalla sua vocazione.

Era nato povero nel popolare quartiere di Trastevere, ed a questa origine son da riportare il suo tenero amore e la sua sollecitudine preferenziale per i poveri, per i piccoli e per gli orfani. Ed ora sono proprio queste anime innocenti che – a fianco di tanti Sacerdoti e Laici, i quali dal Cardinale Ottaviani ricevettero la luce della sapienza, la lezione della semplicità, la medicina della misericordia – intercedono per lui dinanzi all’altare del Signore, perché gli sia affrettato il premio destinato al “servo buono e fedele” (cf. Mt 25,21).

Per una singolare coincidenza questo mesto rito si svolge nella stessa ora in cui, esattamente un anno fa, stava per lasciare questo mondo il mio amato Predecessore Paolo VI. Ed a me piace rievocare con voi la voce robusta e commossa del Cardinale che il 21 giugno 1963, annunciò pubblicamente l’avvenuta elevazione al pontificato del Cardinale Giovanni Battista Montini. Dal tono stesso delle sue parole, che pur ripetevano la consueta formula latina dell’“Habemus Papam”, traspariva la soddisfazione dell’antico Maestro che vedeva esaltato un collega ed amico, tanto degno di stima, il quale avrebbe aperto nella Chiesa e per la Chiesa un’intensa, promettente stagione. L’uno e l’altro, nelle rispettive posizioni di responsabilità, nell’ovvia distinzione delle loro singole personalità, hanno ormai concluso il ciclo dell’esistenza terrena, per entrare definitivamente – come tutti auspichiamo e preghiamo – in quel Regno, in cui la loro ardente ed intrepida fede li aveva introdotti nella speranza.

All’uno e all’altro conceda ora il Signore il riposo nella sua luce, nella sua pace. Amen!

Il Cardinale Ottaviani con i bambini poveri abitanti vicino il Vaticano

Papa Pio XII crea Cardinale l'Arcivescovo Mons. Alfredo Ottaviani

Il Cardinale Ottaviani in una foto nel Palazzo dell'ex S. Uffizio

Il Cardinale diacono Ottaviani, assistente nella Santa Messa del Papa Giovanni XXIII







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