Crocifisso di scuola donatelliana del Convento di San Bosco ai Frati (San Piero a Sieve)
di Francesco Colafemmina
Il testo dell'allora Card. Ratzinger cominciava così:
Ogni anno, nella Liturgia delle Ore del Tempo di Quaresima, torna a colpirmi un paradosso che si trova nei Vespri del lunedì della seconda settimana del Salterio. Qui, l’una accanto all’altra, ci sono due antifone, una per il tempo di Quaresima, l’altra per la Settimana Santa. Entrambe introducono il Salmo 44, ma ne anticipano una chiave interpretativa del tutto contrapposta. E’ il Salmo che descrive le nozze del Re, la sua bellezza, le sue virtù, la sua missione, e poi si trasforma in un’esaltazione della sposa. Nel Tempo di Quaresima il salmo ha per cornice la stessa antifona che viene utilizzata per tutto il restante periodo dell’anno. E’ il terzo verso del salmo che recita: "Tu sei il più bello tra i figli dell’uomo, sulle tue labbra è diffusa la grazia". E’ chiaro che la Chiesa legge questo salmo come rappresentazione poetico-profetica del rapporto sponsale di Cristo con la Chiesa. Riconosce Cristo come il più bello tra gli uomini; la grazia diffusa sulle sue labbra indica la bellezza interiore della Sua parola, la gloria del Suo annuncio. Così, non è semplicemente la bellezza esteriore dell’apparizione del Redentore ad essere glorificata: in Lui appare piuttosto la bellezza della Verità, la bellezza di Dio stesso che ci attira a sé e allo stesso tempo ci procura la ferita dell’Amore, la santa passione (eros) che ci fa andare incontro, insieme alla e nella Chiesa Sposa, all’Amore che ci chiama. Ma il mercoledì della Settimana Santa la Chiesa cambia l’antifona e ci invita a leggere il Salmo alla luce di Is. 53,2: "Non ha bellezza né apparenza; l’abbiamo veduto: un volto sfigurato dal dolore". Come si concilia ciò? Il "più bello tra gli uomini" è misero d’aspetto tanto che non lo si vuol guardare. Pilato lo presenta alla folla dicendo:- "Ecce homo" onde suscitare pietà per l’Uomo sconvolto e percosso al quale non è rimasta alcuna bellezza esteriore.
Partendo dunque dall'apparente contrapposizione estetica dei Salmi nella loro descrizione di Cristo il futuro Pontefice delinea i fondamenti di una "estetica cattolica". Questa estetica si fonda su una Beltà divina che si riflette e vive nella Verità di Cristo. Verità che tuttavia non è soltanto bella e sublime, bensì anche dolorosa e "sfigurata". Il riferimento alla bellezza che genera dolore rimanda Ratzinger al pensiero platonico in base al quale la bellezza "erotica" (che genera amore) sarebbe accompagnata dal dolore:
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Una prima consapevolezza del fatto che la bellezza abbia a che fare anche con il dolore è senz’altro presente anche nel mondo greco. Pensiamo, per esempio, al Fedro di Platone. Platone considera l’incontro con la bellezza come quella scossa emotiva salutare che fa uscire l’uomo da se stesso, lo "entusiasma" attirandolo verso altro da sé. L’uomo, così dice Platone, ha perso la per lui concepita perfezione dell’origine. Ora egli è perennemente alla ricerca della forma primigenia risanatrice. Ricordo e nostalgia lo inducono alla ricerca, e la bellezza lo strappa fuori dall’accomodamento del quotidiano. Lo fa soffrire. Noi potremmo dire, in senso platonico, che lo strale della nostalgia colpisce l’uomo, lo ferisce e proprio in tal modo gli mette le ali, lo innalza verso l’alto. Nel discorso di Aristofane del Simposio si afferma che gli amanti non sanno ciò che veramente vogliono l’uno dall’altro. E’ al contrario evidente che le anime di entrambi sono assetate di qualcos’altro che non sia il piacere amoroso. Questo "altro" però l’anima non riesce a esprimerlo, "ha solamente una vaga percezione di ciò che veramente essa vuole e ne parla a se stessa come un enigma". Nel XIV secolo, nel libro sulla vita di Cristo del teologo bizantino Nicolas Kabasilas si ritrova questa esperienza di Platone, nella quale l’oggetto ultimo della nostalgia continua a rimanere senza nome, trasformato dalla nuova esperienza cristiana. Kabasilas afferma: "Uomini che hanno in sé un desiderio così possente che supera la loro natura, ed essi bramano e desiderano più di quanto all’uomo sia consono aspirare, questi uomini sono stati colpiti dallo Sposo stesso; Egli stesso ha inviato ai loro occhi un raggio ardente della sua bellezza. L’ampiezza della ferita rivela già quale sia lo strale e l’intensità del desiderio lascia intuire Chi sia colui che ha scoccato il dardo".
Ora, va aggiunto un altro fondamentale tassello per comprendere il senso di quella bellezza che intuita da Platone come "sottofondo" dell'uomo e sua "origine" separata, il Cristianesimo ha collocato correttamente nella tensione fra creatura e Creatore, fra uomo e Cristo. Come si percepisce questa bellezza? Come la si raggiunge? E' sì un dardo, uno stimolo, qualcosa che ci ferisce, generando dolore, ma essa è percepibile attraverso la razionalità: è la ragione che unisce bellezza a verità e ridona all'uomo la possibilità di raggiungere il senso intimo della bellezza divina:
La bellezza ferisce, ma proprio così essa richiama l’uomo al suo Destino ultimo. Ciò che afferma Platone e, più di 1500 anni dopo, Kabasilas non ha nulla a che fare con l’estetismo superficiale e con l’irrazionalismo, con la fuga dalla chiarezza e dall’importanza della ragione. Bellezza è conoscenza, certamente, una forma superiore di conoscenza poiché colpisce l’uomo con tutta la grandezza della verità.
Pure, la guida della razionalità non sempre basta. La ragione, anzi il razionalismo, può essere strumento relativistico e slegato dall'autentica intuizione dell'anima, dalla sensibilità innata, quasi dall'impronta di una bellezza originaria incisa dentro di noi dalle mani Creatore. Ecco quindi che:
gli argomenti cadono così spesso nel vuoto perché nel nostro mondo troppe argomentazioni contrapposte concorrono le une con le altre, tanto che all’uomo viene spontaneo il pensiero che i teologi medievali avevano così formulato: la ragione "ha un naso di cera", ossia la si può indirizzare, se solo si è abbastanza abili, nelle più svariate direzioni. Tutto è così assennato, così convincente, di chi dobbiamo fidarci? L’incontro con la bellezza può diventare il colpo del dardo che ferisce l’anima ed in questo modo le apre gli occhi, tanto che ora l’anima, a partire dall’esperienza, ha dei criteri di giudizio ed è anche in grado di valutare correttamente gli argomenti.
Qui dunque Ratzinger introduce la vera novità rappresentata dall'Arte e da quell'arte cristiana che nella sua stessa natura estetica, fondata su Bellezza e Verità di Cristo è in grado di riunire la "ferita" originaria della bellezza alla razionalità fondante dell'umanità in una compiutezza percettiva che conduce alla contemplazione di Dio:
Nell’arte delle icone, come pure nelle grandi opere pittoriche occidentali del romanico e del gotico, l’esperienza descritta da Kabasilas, partendo dall’interiorità, si è resa visibile e partecipabile. Pavel Evdokimov ha indicato in maniera così pregnante quale percorso interiore l’icona presupponga. L’icona non è semplicemente la riproduzione di quanto è percepibile con i sensi, ma piuttosto presuppone, come egli afferma, un "digiuno della vista". La percezione interiore deve liberarsi dalla mera impressione dei sensi ed in preghiera ed ascesi acquisire una nuova, più profonda capacità di vedere, compiere il passaggio da ciò che è meramente esteriore verso la profondità della realtà, in modo che l’artista veda ciò che i sensi in quanto tali non vedono e ciò che tuttavia nel sensibile appare: lo splendore della gloria di Dio, la "gloria di Dio sul volto di Cristo" (2, Cor 4,6). Ammirare le icone, e in generale i grandi quadri dell’arte cristiana, ci conduce per una via interiore, una via del superamento di sé e quindi, in questa purificazione dello sguardo, che è una purificazione del cuore, ci rivela la bellezza, o almeno un raggio di essa. Proprio così essa ci pone in rapporto con la forza della verità. Io ho spesso già affermato essere mia convinzione che la vera apologia della fede cristiana, la dimostrazione più convincente della sua verità, contro ogni negazione, sono da un lato i Santi, dall’altro la bellezza che la fede ha generato. Affinché oggi la fede possa crescere dobbiamo condurre noi stessi e gli uomini in cui ci imbattiamo a incontrare i Santi, a entrare in contatto con il bello.
Ecco dunque spiegato perchè l'arte veramente, autenticamente cristiana è un'arte che comunica direttamente con il Bello e la Verità che sono Cristo Stesso. E lo fa ricorrendo ad una razionalità positiva, non ad un razionalismo dialettico e relativista. Non a caso Joseph Ratzinger cita proprio Bach, ovvero quel grandioso maestro della musica di tutti i tempi, le cui composizioni sono intrise di razionalità che illumina e dirige il dardo lancinante dell'amore per Cristo.
A ragione, tuttavia, il futuro Pontefice, sgombrava il campo dalle potenziali critiche e perfidie dialettiche assai diffuse in questo ambito speculativo. Egli ridisegna il senso di quel dolore, dello strazio e della passione di Cristo, di quella bellezza "sfigurata". Ci aiuta a comprendere come nella realtà di Dio, il volto sfigurato di Cristo non sia tale perchè nel "male" e nel "dolore" sfigurato si rivela l'essenza della realtà. Al contrario questa visione sartriana e nichilista è incompatibile alla radice con il senso della "bruttezza" della Passione:
Abbiamo già respinto l’affermazione secondo cui quanto finora sostenuto sarebbe una fuga nell’irrazionale, nel mero estetismo. E’ vero piuttosto l’opposto: proprio così la ragione viene liberata dal suo torpore e resa capace di azione. Maggior peso ha oggi un’altra obiezione: il messaggio della bellezza viene messo completamente in dubbio attraverso il potere della menzogna, della seduzione, della violenza, del male. Può la bellezza essere autentica, oppure, alla fine, non è che un’illusione? La realtà non è forse in fondo malvagia? La paura che, alla fine, non sia lo strale del bello a condurci alla verità, ma che la menzogna, ciò che è brutto e volgare costituiscano la vera "realtà" ha angosciato gli uomini in ogni tempo. […] Nella passione di Cristo l’estetica greca, così degna di ammirazione per il suo presentito contatto con il divino, che pure le resta indicibile, non viene rimossa, bensì superata. L’esperienza del bello ha ricevuto una nuova profondità, un nuovo realismo. Colui che è la Bellezza stessa si è lasciato colpire in volto, sputare addosso, incoronare di spine - la Sacra Sindone di Torino può farci immaginare tutto questo in maniera toccante. Ma proprio in questo Volto così sfigurato appare l’autentica, estrema bellezza: la bellezza dell’amore che arriva "sino alla fine" e che, appunto in questo, si rivela più forte della menzogna e della violenza. Chi ha percepito questa bellezza sa che proprio la verità, e non la menzogna, è l’ultima istanza del mondo. Non la menzogna è "vera", bensì proprio la verità. E’ per così dire un nuovo trucco della menzogna presentarsi come "verità" e dirci: al di là di me non c’e in fondo nulla, smettete di cercare la verità o addirittura di amarla; così facendo siete sulla strada sbagliata. L’icona di Cristo crocifisso ci libera da questo inganno oggi dilagante. Tuttavia essa pone come condizione che noi ci lasciamo ferire insieme a lui e crediamo all’Amore, che può rischiare di deporre la bellezza esteriore per annunciare, proprio in questo modo, la verità della bellezza.
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Ecco quindi chiarito il senso dell'estetica della Passione di Cristo! Non una "deformità" su Suo volto è il limite estremo della Verità, bensì l'amore che si sostanzia nella Sua sofferenza è autentica Bellezza che muove l'intero creato! Non a caso Dante concludeva così il suo Paradiso:
ma già volgeva il mio disìo e il velle,
sì come rota ch'igualmente è mossa,
l'Amor che move il sole e l'altre stelle
E' l'Amore di Cristo il vero volto della Verità e della Bellezza! Ecco perchè l'arte autenticamente cattolica è quell'arte in grado di trasmettere l'amore anche attraverso la sofferenza della passione, la Bellezza anche attraverso le ambiguità della ragione, la Verità attraverso la struttura sensibile del creato. Ecco dunque alcuni crocifissi quattrocenteschi come quello in foto, nel loro terribile realismo sono pienamente rispondenti ai criteri di Bellezza, Verità ed Amore: Cristo ha le sue forme umane (riflesso del dogma dell'Incarnazione), è rappresentato nella verità della sua Passione da cui emana l'amore glorioso del Suo commovente volto. Come non piangere dinanzi ad una simile opera d'arte? Come non andare incontro al Signore nella sua Bellezza che vorremmo medicare, curare, accarezzare, e che solo con la conversione delle nostre anime e la rinuncia al peccato sappiamo di poter amare in verità?
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Tutto il limite dello strazio, dell'incertezza, della soglia verso il nulla e "l'abisso dell'infinito" o "l'abisso dell'essere" sono invece percepibili in quest'altro crocifisso di Bacon. Un crocifisso anticristiano ed anticattolico: nega infatti l'Incarnazione raffigurando una larva deforme al posto del Glorioso redentore, chiude lo spazio in un buco nero senza fuga, non glorifica la divinità ma la irride in un grido percepibile sulle labbra della larva bianca: "Dio è morto!".
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No: Dio è vivo! Non ce lo dicono soltanto la fede ed i Vangeli ma anche le meraviglie dell'arte illuminate dal riverbero della Sua Gloriosa bellezza!