Benedetto XVI dedica TRE catechesi speciali ai Sacerdoti, i tre "munera": insegnare, santificare e governare

Versione Completa   Stampa   Cerca   Utenti   Iscriviti     Condividi : FacebookTwitter
Caterina63
00mercoledì 14 aprile 2010 13:06
Il Papa all’udienza generale: il sacerdote non è omologabile alla cultura dominante perché non annuncia se stesso ma Cristo

Il Santo Padre dedicherà tre Catechesi specifiche dal titolo:
insegnare, santificare e governare ossia= orandi, santificandi e regendi

oggi, 14.4.2010 parla dell'insegnamento, cosa devono insegnare i Sacerdoti e cosa NON devono insegnare: le proprie opinioni, le proprie idee!

                                     Pope Benedict XVI speaks during a meeting of the 61st general assembly of the Italian Episcopal Conference (CEI) at Vatican on May 27, 2010. Pope Benedict XVI on May 26 called on Catholics to 'pray for him' as he governs the Church while it battles a paedophile priest scandal.

da Radio Vaticana


“Quella del sacerdote, non di rado, potrebbe sembrare ‘voce di uno che grida nel deserto’ (Mc 1,3), ma proprio in questo consiste la sua forza profetica: nel non essere mai omologato, né omologabile, ad alcuna cultura o mentalità dominante, ma nel mostrare l’unica novità capace di operare un autentico e profondo rinnovamento dell’uomo, cioè che Cristo è il Vivente, è il Dio vicino, il Dio che opera nella vita e per la vita del mondo”. E’ quanto ha detto stamani il Papa nell’udienza generale in Piazza San Pietro dedicando la catechesi al tema del Ministero ordinato in vista della conclusione dell’Anno Sacerdotale il prossimo giugno. Il sacerdote – ha ribadito il Papa – non annuncia se stesso, proprie idee o filosofie, ma Cristo, e nella confusione, nel disorientamento dei nostri tempi, porta la luce della Parola di Dio, la Luce che è Cristo stesso in questo nostro mondo. Diamo di seguito ampi stralci della catechesi:
Cari amici,
 
in questo periodo pasquale, che ci conduce alla Pentecoste e ci avvia anche alle celebrazioni di chiusura dell’Anno Sacerdotale, in programma il 9, 10 e 11 giugno prossimo, mi è caro dedicare ancora alcune riflessioni al tema del Ministero ordinato, soffermandomi sulla realtà feconda della configurazione del sacerdote a Cristo Capo, nell’esercizio dei tria munera che riceve, cioè dei tre uffici di insegnare, santificare e governare.
 
Per capire che cosa significhi agire in persona Christi Capitis - in persona di Cristo Capo - da parte del sacerdote, e per capire anche quali conseguenze derivino dal compito di rappresentare il Signore, specialmente nell’esercizio di questi tre compiti, bisogna chiarire anzitutto che cosa si intenda per “rappresentanza”. Il sacerdote rappresenta Cristo. Cosa vuol dire? Cosa significa “rappresentare” qualcuno? Nel linguaggio comune, vuol dire – generalmente - ricevere una delega da una persona per essere presente al suo posto, parlare e agire al suo posto, perché colui che viene rappresentato è assente dall’azione concreta. Il sacerdote rappresenta il Signore nello stesso modo? La risposta è: no, perché nella Chiesa Cristo non è mai assente. Anzi, Cristo è presente in un modo totalmente libero dai limiti dello spazio e del tempo, grazie all’evento della Risurrezione, che contempliamo in modo speciale in questo tempo di Pasqua.
 
Pertanto, il sacerdote che agisce in persona Christi in rappresentanza del Signore, non agisce mai in nome di un assente, ma nella Persona stessa di Cristo Risorto, che si rende presente con la sua azione realmente efficace, realizza cose che il sacerdote non potrebbe fare: la consacrazione del vino e del pane, che siano realmente presenza del Signore, l’assoluzione dei peccati.
 
..............................
 
Questi tre compiti del sacerdote, insegnare, santificare e governare, sono una specificazione di questa rappresentanza efficace e sono, in realtà, le tre azioni di Cristo Risorto stesso che, oggi, nella Chiesa, nel mondo, insegna e così crea fede, riunisce il suo popolo, crea presenza della verità e costruisce realmente la comunione della Chiesa universale, e santifica e guida.
 
Il primo compito del quale vorrei parlare oggi è il munus docendi, cioè quello di insegnare. Oggi, in piena emergenza educativa, il munus docendi della Chiesa, esercitato concretamente attraverso il ministero di ciascun sacerdote, risulta particolarmente importante. Viviamo in una grande confusione circa le scelte fondamentali della nostra vita, su cosa è il mondo, da dove viene, dove andiamo, che cosa dobbiamo fare per operare bene, come dobbiamo vivere.
 
……………………..
 
In questa situazione, realmente si realizza di nuovo la Parola del Signore: “Ho compassione del popolo, sono come pecore senza pastore”. Il Signore aveva detto questo quando ha visto le migliaia di persone che lo seguivano nel deserto, perché nella diversità delle correnti di quel tempo non sapevano più quale fosse il vero senso della Scrittura. Il Signore, mosso da compassione, ha interpretato la Parola di Dio – Egli stesso è la Parola di Dio – e ha dato l’orientamento. E questa è la funzione “in persona Christi” del sacerdote, quella di rendere presente nella confusione, nel disorientamento dei nostri tempi, la luce della Parola di Dio, la Luce che è Cristo stesso in questo nostro mondo. Quindi, il sacerdote non insegna idee proprie. il sacerdote non parla “da sé”, non parla “per sé”, per crearsi forse ammiratori o un proprio partito. Non parla di cose proprie. Il sacerdote insegna in nome di Cristo presente, propone la Verità che è Cristo stesso, la Sua Parola, il Suo modo di vivere.
 
…………………………….
 
Sant’Agostino su questo tema ha detto: “Noi, sacerdoti, che cosa siamo? Ministri, servitori di Cristo; perché quanto distribuiamo a voi non è cosa nostra, ma lo tiriamo fuori dalla sua dispensa. E anche noi viviamo di essa, perché siamo servi come voi” (Discorso 229/E, 4).
 
L’insegnamento che il sacerdote è chiamato ad offrire, le verità della fede devono essere interiorizzate e vissute in un intenso cammino spirituale personale, così che realmente il sacerdote entri in una profonda, interiore comunione con Cristo stesso. Il sacerdote crede, accoglie e cerca di vivere, prima di tutto come proprio, quanto il Signore ha insegnato e la Chiesa ha trasmesso, in quel percorso di immedesimazione con il proprio ministero di cui San Giovanni Maria Vianney è testimone esemplare, e cito ancora Sant’Agostino: (cfr Lettera per l’indizione dell’Anno Sacerdotale). “Uniti nella medesima carità siamo tutti uditori di colui che è per noi nel cielo l’unico Maestro” (Enarr. in Ps. 131, 1, 7).
 
Quella del sacerdote, di conseguenza, non di rado, potrebbe sembrare “voce di uno che grida nel deserto” (Mc 1,3), ma proprio in questo consiste la sua forza profetica: nel non essere mai omologato, né omologabile, ad alcuna cultura o mentalità dominante, ma nel mostrare l’unica novità capace di operare un autentico e profondo rinnovamento dell’uomo, cioè che Cristo è il Vivente, è il Dio vicino, il Dio che opera nella vita e per la vita del mondo e ci dona la Verità, il modo di vivere.
 
Nella preparazione attenta della predicazione festiva, senza escludere quella feriale, nello sforzo di formazione catechetica, [soprattutto dei giovani e degli adulti,] nelle scuole e nelle istituzioni accademiche e, in modo speciale, attraverso quel libro non scritto che è la sua stessa vita, il sacerdote è sempre “docente”, insegna. Ma non con la presunzione di chi impone proprie verità, bensì con l’umile e lieta certezza di chi ha incontrato la Verità, ne è stato afferrato e trasformato, e perciò non può fare a meno di annunciarla. Il sacerdozio, infatti, nessuno lo può scegliere da sé, non è un modo per raggiungere una sicurezza nella vita, per conquistare una posizione sociale: nessuno può darselo, né cercarlo da sé. Il sacerdozio è risposta alla chiamata del Signore, alla sua volontà, per diventare annunciatori non di una verità personale, ma della sua verità.
 
Cari confratelli sacerdoti, il Popolo cristiano domanda di ascoltare dai nostri insegnamenti la genuina dottrina ecclesiale, attraverso la quale poter rinnovare l’incontro con Cristo che dona la gioia, la pace, la salvezza. La Sacra Scrittura, gli scritti dei Padri e dei Dottori della Chiesa, il Catechismo della Chiesa Cattolica costituiscono, a tale riguardo, dei punti di riferimento imprescindibili nell’esercizio del munus docendi, così essenziale per la conversione, il cammino di fede e la salvezza degli uomini. “Ordinazione sacerdotale significa: essere immersi … nella Verità” (Omelia per la Messa Crismale, 9 aprile 2009), quella Verità che non è semplicemente un concetto o un insieme di idee da trasmettere e assimilare, ma che è la Persona di Cristo, con la quale, per la quale e nella quale vivere. E così, necessariamente nasce anche l’attualità a la comprensibilità dell’annuncio. Solo questa consapevolezza di una Verità fatta Persona nell’Incarnazione del Figlio giustifica il mandato missionario: “Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo ad ogni creatura” (Mc 16,15). Solo se è la Verità è destinata ad ogni creatura, non è un’imposizione di qualcosa ma l’apertura del cuore a ciò per cui è creato.
 
Cari fratelli e sorelle, il Signore ha affidato ai Sacerdoti un grande compito: essere annunciatori della Sua Parola, della Verità che salva; essere sua voce nel mondo per portare ciò che giova al vero bene delle anime e all’autentico cammino di fede (cfr 1Cor 6,12). San Giovanni Maria Vianney sia di esempio per tutti i Sacerdoti. Egli era uomo di grande sapienza ed eroica forza nel resistere alle pressioni culturali e sociali del suo tempo per poter condurre le anime a Dio: semplicità, fedeltà ed immediatezza erano le caratteristiche essenziali della sua predicazione, trasparenza della sua fede e della sua santità. Il Popolo cristiano ne era edificato e, come accade per gli autentici maestri di ogni tempo, vi riconosceva la luce della Verità. Vi riconosceva, in definitiva, ciò che si dovrebbe sempre riconoscere in un sacerdote: la voce del Buon Pastore.

(seguirà il testo integrale)

 
Caterina63
00mercoledì 14 aprile 2010 15:27
CATECHESI DEL SANTO PADRE IN LINGUA ITALIANA 14.4.2010  testo integrale

                           Pope Benedict XVI waves from the popemobile during his weekly general audience, in St. Peter's Square at the Vatican, Wednesday, April 14, 2010. The Vatican has gone into full-fledged damage control mode in the priest sex abuse scandal ahead of Pope Benedict XVI's first foreign trip since it erupted. Officials are promising surprising new initiatives. The pope's personal secretary is speaking out. And bishops around the world are being told to report abuse cases to the police. The revved-up strategy comes as the Vatican tries to stem the damage from weeks of revelations about priests who raped and molested children, and the church officials who kept it quiet _ before the pontiff's visit to Malta this weekend. Abuse victims on that majority Roman Catholic Mediterranean island are seeking a papal audience and apology.


Munus orandi=insegnare


Cari amici,

in questo periodo pasquale, che ci conduce alla Pentecoste e ci avvia anche alle celebrazioni di chiusura dell’Anno Sacerdotale, in programma il 9, 10 e 11 giugno prossimo, mi è caro dedicare ancora alcune riflessioni al tema del Ministero ordinato, soffermandomi sulla realtà feconda della configurazione del sacerdote a Cristo Capo, nell’esercizio dei tria munera che riceve, cioè dei tre uffici di insegnare, santificare e governare.

Per capire che cosa significhi agire in persona Christi Capitis - in persona di Cristo Capo - da parte del sacerdote, e per capire anche quali conseguenze derivino dal compito di rappresentare il Signore, specialmente nell’esercizio di questi tre uffici, bisogna chiarire anzitutto che cosa si intenda per "rappresentanza". Il sacerdote rappresenta Cristo. Cosa vuol dire, cosa significa "rappresentare" qualcuno? Nel linguaggio comune, vuol dire – generalmente - ricevere una delega da una persona per essere presente al suo posto, parlare e agire al suo posto, perché colui che viene rappresentato è assente dall’azione concreta. Ci domandiamo: il sacerdote rappresenta il Signore nello stesso modo? La risposta è no, perché nella Chiesa Cristo non è mai assente, la Chiesa è il suo corpo vivo e il Capo della Chiesa è lui, presente ed operante in essa. Cristo non è mai assente, anzi è presente in un modo totalmente libero dai limiti dello spazio e del tempo, grazie all’evento della Risurrezione, che contempliamo in modo speciale in questo tempo di Pasqua.

Pertanto, il sacerdote che agisce in persona Christi Capitis e in rappresentanza del Signore, non agisce mai in nome di un assente, ma nella Persona stessa di Cristo Risorto, che si rende presente con la sua azione realmente efficace. Agisce realmente e realizza ciò che il sacerdote non potrebbe fare: la consacrazione del vino e del pane perché siano realmente presenza del Signore, l’assoluzione dei peccati. Il Signore rende presente la sua propria azione nella persona che compie tali gesti. Questi tre compiti del sacerdote - che la Tradizione ha identificato nelle diverse parole di missione del Signore: insegnare, santificare e governare - nella loro distinzione e nella loro profonda unità sono una specificazione di questa rappresentazione efficace. Essi sono in realtà le tre azioni del Cristo risorto, lo stesso che oggi nella Chiesa e nel mondo insegna e così crea fede, riunisce il suo popolo, crea presenza della verità e costruisce realmente la comunione della Chiesa universale; e santifica e guida.

Il primo compito del quale vorrei parlare oggi è il munus docendi, cioè quello di insegnare. Oggi, in piena emergenza educativa, il munus docendi della Chiesa, esercitato concretamente attraverso il ministero di ciascun sacerdote, risulta particolarmente importante. Viviamo in una grande confusione circa le scelte fondamentali della nostra vita e gli interrogativi su che cosa sia il mondo, da dove viene, dove andiamo, che cosa dobbiamo fare per compiere il bene, come dobbiamo vivere, quali sono i valori realmente pertinenti. In relazione a tutto questo esistono tante filosofie contrastanti, che nascono e scompaiono, creando una confusione circa le decisioni fondamentali, come vivere, perché non sappiamo più, comunemente, da che cosa e per che cosa siamo fatti e dove andiamo. In questa situazione si realizza la parola del Signore, che ebbe compassione della folla perché erano come pecore senza pastore. (cfr Mc 6, 34). Il Signore aveva fatto questa costatazione quando aveva visto le migliaia di persone che lo seguivano nel deserto perché, nella diversità delle correnti di quel tempo, non sapevano più quale fosse il vero senso della Scrittura, che cosa diceva Dio. Il Signore, mosso da compassione, ha interpretato la parola di Dio, egli stesso è la parola di Dio, e ha dato così un orientamento. Questa è la funzione in persona Christi del sacerdote: rendere presente, nella confusione e nel disorientamento dei nostri tempi, la luce della parola di Dio, la luce che è Cristo stesso in questo nostro mondo. Quindi il sacerdote non insegna proprie idee, una filosofia che lui stesso ha inventato, ha trovato o che gli piace; il sacerdote non parla da sé, non parla per sé, per crearsi forse ammiratori o un proprio partito; non dice cose proprie, proprie invenzioni, ma, nella confusione di tutte le filosofie, il sacerdote insegna in nome di Cristo presente, propone la verità che è Cristo stesso, la sua parola, il suo modo di vivere e di andare avanti. Per il sacerdote vale quanto Cristo ha detto di se stesso: "La mia dottrina non è mia" (Gv, 7, 16); Cristo, cioè, non propone se stesso, ma, da Figlio, è la voce, la parola del Padre. Anche il sacerdote deve sempre dire e agire così: "la mia dottrina non è mia, non propago le mie idee o quanto mi piace, ma sono bocca e cuore di Cristo e rendo presente questa unica e comune dottrina, che ha creato la Chiesa universale e che crea vita eterna".

Questo fatto, che il sacerdote cioè non inventa, non crea e non proclama proprie idee in quanto la dottrina che annuncia non è sua, ma di Cristo, non significa, d’altra parte, che egli sia neutro, quasi come un portavoce che legge un testo di cui, forse, non si appropria. Anche in questo caso vale il modello di Cristo, il quale ha detto: Io non sono da me e non vivo per me, ma vengo dal Padre e vivo per il Padre. Perciò, in questa profonda identificazione, la dottrina di Cristo è quella del Padre e lui stesso è uno col Padre. Il sacerdote che annuncia la parola di Cristo, la fede della Chiesa e non le proprie idee, deve anche dire: Io non vivo da me e per me, ma vivo con Cristo e da Cristo e perciò quanto Cristo ci ha detto diventa mia parola anche se non è mia. La vita del sacerdote deve identificarsi con Cristo e, in questo modo, la parola non propria diventa, tuttavia, una parola profondamente personale. Sant’Agostino, su questo tema, parlando dei sacerdoti, ha detto: "E noi che cosa siamo? Ministri (di Cristo), suoi servitori; perché quanto distribuiamo a voi non è cosa nostra, ma lo tiriamo fuori dalla sua dispensa. E anche noi viviamo di essa, perché siamo servi come voi" (Discorso 229/E, 4).

L’insegnamento che il sacerdote è chiamato ad offrire, le verità della fede, devono essere interiorizzate e vissute in un intenso cammino spirituale personale, così che realmente il sacerdote entri in una profonda, interiore comunione con Cristo stesso. Il sacerdote crede, accoglie e cerca di vivere, prima di tutto come proprio, quanto il Signore ha insegnato e la Chiesa ha trasmesso, in quel percorso di immedesimazione con il proprio ministero di cui san Giovanni Maria Vianney è testimone esemplare (cfr Lettera per l’indizione dell’Anno Sacerdotale). "Uniti nella medesima carità – afferma ancora sant’Agostino - siamo tutti uditori di colui che è per noi nel cielo l’unico Maestro" (Enarr. in Ps. 131, 1, 7).

Quella del sacerdote, di conseguenza, non di rado potrebbe sembrare "voce di uno che grida nel deserto" (Mc 1,3), ma proprio in questo consiste la sua forza profetica: nel non essere mai omologato, né omologabile, ad alcuna cultura o mentalità dominante, ma nel mostrare l’unica novità capace di operare un autentico e profondo rinnovamento dell’uomo, cioè che Cristo è il Vivente, è il Dio vicino, il Dio che opera nella vita e per la vita del mondo e ci dona la verità, il modo di vivere.

Nella preparazione attenta della predicazione festiva, senza escludere quella feriale, nello sforzo di formazione catechetica, nelle scuole, nelle istituzioni accademiche e, in modo speciale, attraverso quel libro non scritto che è la sua stessa vita, il sacerdote è sempre "docente", insegna. Ma non con la presunzione di chi impone proprie verità, bensì con l’umile e lieta certezza di chi ha incontrato la Verità, ne è stato afferrato e trasformato, e perciò non può fare a meno di annunciarla. Il sacerdozio, infatti, nessuno lo può scegliere da sé, non è un modo per raggiungere una sicurezza nella vita, per conquistare una posizione sociale: nessuno può darselo, né cercarlo da sé. Il sacerdozio è risposta alla chiamata del Signore, alla sua volontà, per diventare annunciatori non di una verità personale, ma della sua verità.

Cari confratelli sacerdoti, il Popolo cristiano domanda di ascoltare dai nostri insegnamenti la genuina dottrina ecclesiale, attraverso la quale poter rinnovare l’incontro con Cristo che dona la gioia, la pace, la salvezza. La Sacra Scrittura, gli scritti dei Padri e dei Dottori della Chiesa, il Catechismo della Chiesa Cattolica costituiscono, a tale riguardo, dei punti di riferimento imprescindibili nell’esercizio del munus docendi, così essenziale per la conversione, il cammino di fede e la salvezza degli uomini. "Ordinazione sacerdotale significa: essere immersi [...] nella Verità" (Omelia per la Messa Crismale, 9 aprile 2009), quella Verità che non è semplicemente un concetto o un insieme di idee da trasmettere e assimilare, ma che è la Persona di Cristo, con la quale, per la quale e nella quale vivere e così, necessariamente, nasce anche l’attualità e la comprensibilità dell’annuncio. Solo questa consapevolezza di una Verità fatta Persona nell’Incarnazione del Figlio giustifica il mandato missionario: "Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo ad ogni creatura" (Mc 16,15). Solo se è la Verità è destinato ad ogni creatura, non è una imposizione di qualcosa, ma l’apertura del cuore a ciò per cui è creato.

Cari fratelli e sorelle, il Signore ha affidato ai Sacerdoti un grande compito: essere annunciatori della Sua Parola, della Verità che salva; essere sua voce nel mondo per portare ciò che giova al vero bene delle anime e all’autentico cammino di fede (cfr 1Cor 6,12). San Giovanni Maria Vianney sia di esempio per tutti i Sacerdoti. Egli era uomo di grande sapienza ed eroica forza nel resistere alle pressioni culturali e sociali del suo tempo per poter condurre le anime a Dio: semplicità, fedeltà ed immediatezza erano le caratteristiche essenziali della sua predicazione, trasparenza della sua fede e della sua santità. Il Popolo cristiano ne era edificato e, come accade per gli autentici maestri di ogni tempo, vi riconosceva la luce della Verità. Vi riconosceva, in definitiva, ciò che si dovrebbe sempre riconoscere in un sacerdote: la voce del Buon Pastore.

[00499-01.01] [Testo originale: Italiano]


                             Pope Benedict XVI waves from the popemobile following his weekly general audience, in St. Peter's Square at the Vatican, Wednesday, April 14, 2010. The Vatican has gone into full-fledged damage control mode in the priest sex abuse scandal ahead of Pope Benedict XVI's first foreign trip since it erupted. Officials are promising surprising new initiatives. The pope's personal secretary is speaking out. And bishops around the world are being told to report abuse cases to the police. The revved-up strategy comes as the Vatican tries to stem the damage from weeks of revelations about priests who raped and molested children, and the church officials who kept it quiet _ before the pontiff's visit to Malta this weekend. Abuse victims on that majority Roman Catholic Mediterranean island are seeking a papal audience and apology.
Caterina63
00venerdì 28 maggio 2010 11:14
All'udienza generale Benedetto XVI ricorda ai sacerdoti il compito di santificare
I preti
dono alla Chiesa e al mondo

5.5.2010

                              Pope Benedict XVI (C, back) speaks during a meeting of the 61th general assembly of the CEI (Italian Episcopal Conference) at the Vatican on May 27, 2010. Pope Benedict XVI on May 26 called on Catholics to 'pray for him' as he governs the Church while it battles a paedophile priest scandal.


Munus sacrificandi

Al compito di "santificare gli uomini" affidato al sacerdote Benedetto XVI ha dedicato la catechesi all'udienza generale di mercoledì 5 maggio, in piazza San Pietro.

 Cari fratelli e sorelle,
domenica scorsa, nella mia Visita Pastorale a Torino, ho avuto la gioia di sostare in preghiera davanti alla sacra Sindone, unendomi agli oltre due milioni di pellegrini che durante la solenne Ostensione di questi giorni, hanno potuto contemplarla. Quel sacro Telo può nutrire ed alimentare la fede e rinvigorire la pietà cristiana, perché spinge ad andare al Volto di Cristo, al Corpo del Cristo crocifisso e risorto, a contemplare il Mistero Pasquale, centro del Messaggio cristiano. Del Corpo di Cristo risorto, vivo e operante nella storia (cfr. Rm 12, 5), noi, cari fratelli e sorelle, siamo membra vive, ciascuno secondo la propria funzione, con il compito cioè che il Signore ha voluto affidarci.

Oggi, in questa catechesi, vorrei ritornare ai compiti specifici dei sacerdoti, che, secondo la tradizione, sono essenzialmente tre:  insegnare, santificare e governare. In una delle catechesi precedenti ho parlato sulla prima di queste tre missioni:  l'insegnamento, l'annuncio della verità, l'annuncio del Dio rivelato in Cristo, o - con altre parole - il compito profetico di mettere l'uomo in contatto con la verità, di aiutarlo a conoscere l'essenziale della sua vita, della realtà stessa.

Oggi vorrei soffermarmi brevemente con voi sul secondo compito che ha il sacerdote, quello di santificare gli uomini, soprattutto mediante i Sacramenti e il culto della Chiesa. Qui dobbiamo innanzitutto chiederci:  Che cosa vuol dire la parola "Santo"? La risposta è:  "Santo" è la qualità specifica dell'essere di Dio, cioè assoluta verità, bontà, amore, bellezza - luce pura. Santificare una persona significa quindi metterla in contatto con Dio, con questo suo essere luce, verità, amore puro. È ovvio che tale contatto trasforma la persona. Nell'antichità c'era questa ferma convinzione:  Nessuno può vedere Dio senza morire subito. Troppo grande è la forza di verità e di luce! Se l'uomo tocca questa corrente assoluta, non sopravvive.

D'altra parte c'era anche la convinzione:  Senza un minimo contatto con Dio l'uomo non può vivere. Verità, bontà, amore sono condizioni fondamentali del suo essere. La questione è:  Come può trovare l'uomo quel contatto con Dio, che è fondamentale, senza morire sopraffatto dalla grandezza dell'essere divino? La fede della Chiesa ci dice che Dio stesso crea questo contatto, che ci trasforma man mano in vere immagini di Dio.

Così siamo di nuovo arrivati al compito del sacerdote di "santificare". Nessun uomo da sé, a partire dalla sua propria forza può mettere l'altro in contatto con Dio. Parte essenziale della grazia del sacerdozio è il dono, il compito di creare questo contatto. Questo si realizza nell'annuncio della parola di Dio, nella quale la sua luce ci viene incontro. Si realizza in un modo particolarmente denso nei Sacramenti. L'immersione nel Mistero pasquale di morte e risurrezione di Cristo avviene nel Battesimo, è rafforzata nella Confermazione e nella Riconciliazione, è alimentata dall'Eucaristia, Sacramento che edifica la Chiesa come Popolo di Dio, Corpo di Cristo, Tempio dello Spirito Santo (cfr. Giovanni Paolo ii, Esort. ap. Pastores gregis, n. 32).

È quindi Cristo stesso che rende santi, cioè ci attira nella sfera di Dio. Ma come atto della sua infinita misericordia chiama alcuni a "stare" con Lui (cfr. Mc 3, 14) e diventare, mediante il Sacramento dell'Ordine, nonostante la povertà umana, partecipi del suo stesso Sacerdozio, ministri di questa santificazione, dispensatori dei suoi misteri, "ponti" dell'incontro con Lui, della sua mediazione tra Dio e gli uomini e tra gli uomini e Dio (cfr. po, 5).

 Negli ultimi decenni, vi sono state tendenze orientate a far prevalere, nell'identità e nella missione del sacerdote, la dimensione dell'annuncio, staccandola da quella della santificazione; spesso si è affermato che sarebbe necessario superare una pastorale meramente sacramentale.

Ma è possibile esercitare autenticamente il Ministero sacerdotale "superando" la pastorale sacramentale? Che cosa significa propriamente per i sacerdoti evangelizzare, in che cosa consiste il cosiddetto primato dell'annuncio? Come riportano i Vangeli, Gesù afferma che l'annuncio del Regno di Dio è lo scopo della sua missione; questo annuncio, però, non è solo un "discorso", ma include, nel medesimo tempo, il suo stesso agire; i segni, i miracoli che Gesù compie indicano che il Regno viene come realtà presente e che coincide alla fine con la sua stessa persona, con il dono di sé, come abbiamo sentito oggi nella lettura del Vangelo.

E lo stesso vale per il ministro ordinato:  egli, il sacerdote, rappresenta Cristo, l'Inviato del Padre, ne continua la sua missione, mediante la "parola" e il "sacramento", in questa totalità di corpo e anima, di segno e parola. Sant'Agostino, in una lettera al Vescovo Onorato di Thiabe, riferendosi ai sacerdoti afferma:  "Facciano dunque i servi di Cristo, i ministri della parola e del sacramento di Lui, ciò che egli comandò o permise" (Epist. 228, 2). È necessario riflettere se, in taluni casi, l'aver sottovalutato l'esercizio fedele del munus sanctificandi, non abbia forse rappresentato un indebolimento della stessa fede nell'efficacia salvifica dei Sacramenti e, in definitiva, nell'operare attuale di Cristo e del suo Spirito, attraverso la Chiesa, nel mondo.

Chi dunque salva il mondo e l'uomo? L'unica risposta che possiamo dare è:  Gesù di Nazaret, Signore e Cristo, crocifisso e risorto. E dove si attualizza il Mistero della morte e risurrezione di Cristo, che porta la salvezza? Nell'azione di Cristo mediante la Chiesa, in particolare nel Sacramento dell'Eucaristia, che rende presente l'offerta sacrificale redentrice del Figlio di Dio, nel Sacramento della Riconciliazione, in cui dalla morte del peccato si torna alla vita nuova, e in ogni altro atto sacramentale di santificazione (cfr. po, 5).

È importante, quindi, promuovere una catechesi adeguata per aiutare i fedeli a comprendere il valore dei Sacramenti, ma è altrettanto necessario, sull'esempio del Santo Curato d'Ars, essere disponibili, generosi e attenti nel donare ai fratelli i tesori di grazia che Dio ha posto nelle nostre mani, e dei quali non siamo i "padroni", ma custodi ed amministratori. Soprattutto in questo nostro tempo, nel quale, da un lato, sembra che la fede vada indebolendosi e, dall'altro, emergono un profondo bisogno e una diffusa ricerca di spiritualità, è necessario che ogni sacerdote ricordi che nella sua missione l'annuncio missionario e il culto e i sacramenti non sono mai separati e promuova una sana pastorale sacramentale, per formare il Popolo di Dio e aiutarlo a vivere in pienezza la Liturgia, il culto della Chiesa, i Sacramenti come doni gratuiti di Dio, atti liberi ed efficaci della sua azione di salvezza.

Come ricordavo nella santa Messa Crismale di quest'anno:  "Centro del culto della Chiesa è il Sacramento. Sacramento significa che in primo luogo non siamo noi uomini a fare qualcosa, ma Dio in anticipo ci viene incontro con il suo agire, ci guarda e ci conduce verso di Sé. (...) Dio ci tocca per mezzo di realtà materiali (...) che Egli assume al suo servizio, facendone strumenti dell'incontro tra noi e Lui stesso" (S. Messa Crismale, 1 aprile 2010).
 
La verità secondo la quale nel Sacramento "non siamo noi uomini a fare qualcosa" riguarda, e deve riguardare, anche la coscienza sacerdotale:  ciascun presbitero sa bene di essere strumento necessario all'agire salvifico di Dio, ma pur sempre strumento. Tale coscienza deve rendere umili e generosi nell'amministrazione dei Sacramenti, nel rispetto delle norme canoniche, ma anche nella profonda convinzione che la propria missione è far sì che tutti gli uomini, uniti a Cristo, possano offrirsi a Dio come ostia viva e santa a Lui gradita (cfr. Rm 12, 1).
 
Esemplare, circa il primato del munus sanctificandi e della giusta interpretazione della pastorale sacramentale, è ancora san Giovanni Maria Vianney, il quale, un giorno, di fronte ad un uomo che diceva di non aver fede e desiderava discutere con lui, il parroco rispose:  "Oh! amico mio, v'indirizzate assai male, io non so ragionare... ma se avete bisogno di qualche consolazione, mettetevi là... (il suo dito indicava l'inesorabile sgabello [del confessionale]) e credetemi, che molti altri vi si sono messi prima di voi, e non ebbero a pentirsene" (cfr. Monnin A., Il Curato d'Ars. Vita di Gian-Battista-Maria Vianney, vol. i, Torino 1870, pp. 163-164).

Cari sacerdoti, vivete con gioia e con amore la Liturgia e il culto:  è azione che il Risorto compie nella potenza dello Spirito Santo in noi, con noi e per noi. Vorrei rinnovare l'invito fatto recentemente a "tornare al confessionale, come luogo nel quale celebrare il Sacramento della Riconciliazione, ma anche come luogo in cui "abitare" più spesso, perché il fedele possa trovare misericordia, consiglio e conforto, sentirsi amato e compreso da Dio e sperimentare la presenza della Misericordia Divina, accanto alla Presenza reale nell'Eucaristia" (Discorso alla Penitenzieria Apostolica, 11 marzo 2010).

E vorrei anche invitare ogni sacerdote a celebrare e vivere con intensità l'Eucaristia, che è nel cuore del compito di santificare; è Gesù che vuole stare con noi, vivere in noi, donarci se stesso, mostrarci l'infinita misericordia e tenerezza di Dio; è l'unico Sacrificio di amore di Cristo che si rende presente, si realizza tra di noi e giunge fino al trono della Grazia, alla presenza di Dio, abbraccia l'umanità e ci unisce a Lui (cfr. Discorso al Clero di Roma, 18 febbraio 2010).

E il sacerdote è chiamato ad essere ministro di questo grande Mistero, nel Sacramento e nella vita. Se "la grande tradizione ecclesiale ha giustamente svincolato l'efficacia sacramentale dalla concreta situazione esistenziale del singolo sacerdote, e così le legittime attese dei fedeli sono adeguatamente salvaguardate", ciò non toglie nulla "alla necessaria, anzi indispensabile tensione verso la perfezione morale, che deve abitare ogni cuore autenticamente sacerdotale":  c'è anche un esempio di fede e di testimonianza di santità, che il Popolo di Dio si attende giustamente dai suoi Pastori (cfr. Benedetto XVI, Discorso alla Plenaria della Congr. per il Clero, 16 marzo 2009). Ed è nella celebrazione dei Santi Misteri che il sacerdote trova la radice della sua santificazione (cfr. po, 12-13).

Cari amici, siate consapevoli del grande dono che i sacerdoti sono per la Chiesa e per il mondo; attraverso il loro ministero, il Signore continua a salvare gli uomini, a rendersi presente, a santificare. Sappiate ringraziare Dio, e soprattutto siate vicini ai vostri sacerdoti con la preghiera e con il sostegno, specialmente nelle difficoltà, affinché siano sempre più Pastori secondo il cuore di Dio. Grazie.


Caterina63
00venerdì 28 maggio 2010 11:16
All'udienza generale il Papa ricorda che il carrierismo è contrario al Vangelo
Nella Chiesa autorità e gerarchia
sono un servizio
26.5.2010


                           Italian cardinal Angelo Bagnasco (L) looks at Pope Benedict XVI as he addresses his speech to the members of CEI (Conference of Italian Bishops) during a meeting in the synod hall at the Vatican May 27, 2010.



Munus regendi


Nella Chiesa chi governa serve Cristo e il vero bene delle persone. Lo ha ricordato il Papa parlando della missione del sacerdote durante l'udienza generale di mercoledì 26 maggio, in piazza San Pietro.

 Cari fratelli e sorelle,

L'Anno Sacerdotale volge al termine; perciò avevo cominciato nelle ultime catechesi a parlare sui compiti essenziali del sacerdote, cioè:  insegnare, santificare e governare. Ho già tenuto due catechesi, una sul ministero della santificazione, i Sacramenti soprattutto, e una su quello dell'insegnamento. Quindi, mi rimane oggi di parlare sulla missione del sacerdote di governare, di guidare, con l'autorità di Cristo, non con la propria, la porzione del Popolo che Dio gli ha affidato.

Come comprendere nella cultura contemporanea una tale dimensione, che implica il concetto di autorità e ha origine dal mandato stesso del Signore di pascere il suo gregge? Che cos'è realmente, per noi cristiani, l'autorità? Le esperienze culturali, politiche e storiche del recente passato, soprattutto le dittature in Europa dell'Est e dell'Ovest nel xx secolo, hanno reso l'uomo contemporaneo sospettoso nei confronti di questo concetto. Un sospetto che, non di rado, si traduce nel sostenere come necessario l'abbandono di ogni autorità, che non venga esclusivamente dagli uomini e sia ad essi sottoposta, da essi controllata.

Ma proprio lo sguardo sui regimi che, nel secolo scorso, seminarono terrore e morte, ricorda con forza che l'autorità, in ogni ambito, quando viene esercitata senza un riferimento al Trascendente, se prescinde dall'Autorità suprema, che è Dio, finisce inevitabilmente per volgersi contro l'uomo.

È importante allora riconoscere che l'autorità umana non è mai un fine, ma sempre e solo un mezzo e che, necessariamente ed in ogni epoca, il fine è sempre la persona, creata da Dio con la propria intangibile dignità e chiamata a relazionarsi con il proprio Creatore, nel cammino terreno dell'esistenza e nella vita eterna; è un'autorità esercitata nella responsabilità davanti a Dio, al Creatore. Un'autorità così intesa, che abbia come unico scopo servire il vero bene delle persone ed essere trasparenza dell'unico Sommo Bene che è Dio, non solo non è estranea agli uomini, ma, al contrario, è un prezioso aiuto nel cammino verso la piena realizzazione in Cristo, verso la salvezza.

La Chiesa è chiamata e si impegna ad esercitare questo tipo di autorità che è servizio, e la esercita non a titolo proprio, ma nel nome di Gesù Cristo, che dal Padre ha ricevuto ogni potere in Cielo e sulla terra (cfr. Mt 28, 18). Attraverso i Pastori della Chiesa, infatti, Cristo pasce il suo gregge:  è Lui che lo guida, lo protegge, lo corregge, perché lo ama profondamente.

Ma il Signore Gesù, Pastore supremo delle nostre anime, ha voluto che il Collegio Apostolico, oggi i Vescovi, in comunione con il Successore di Pietro, e i sacerdoti, loro più preziosi collaboratori, partecipassero a questa sua missione di prendersi cura del Popolo di Dio, di essere educatori nella fede, orientando, animando e sostenendo la comunità cristiana, o, come dice il Concilio, "curando, soprattutto che i singoli fedeli siano guidati nello Spirito Santo a vivere secondo il Vangelo la loro propria vocazione, a praticare una carità sincera ed operosa e ad esercitare quella libertà con cui Cristo ci ha liberati" (Presbyterorum Ordinis, 6).
 
Ogni Pastore, quindi, è il tramite attraverso il quale Cristo stesso ama gli uomini:  è mediante il nostro ministero - cari sacerdoti - è attraverso di noi che il Signore raggiunge le anime, le istruisce, le custodisce, le guida. Sant'Agostino, nel suo Commento al Vangelo di san Giovanni, dice:  "Sia dunque impegno d'amore pascere il gregge del Signore" (123, 5); questa è la suprema norma di condotta dei ministri di Dio, un amore incondizionato, come quello del Buon Pastore, pieno di gioia, aperto a tutti, attento ai vicini e premuroso verso i lontani (cfr. S. Agostino, Discorso 340, 1; Discorso 46, 15), delicato verso i più deboli, i piccoli, i semplici, i peccatori, per manifestare l'infinita misericordia di Dio con le parole rassicuranti della speranza (cfr. Id., Lettera 95, 1).

Se tale compito pastorale è fondato sul Sacramento, tuttavia la sua efficacia non è indipendente dall'esistenza personale del presbitero. Per essere Pastore secondo il cuore di Dio (cfr. Ger 3, 15) occorre un profondo radicamento nella viva amicizia con Cristo, non solo dell'intelligenza, ma anche della libertà e della volontà, una chiara coscienza dell'identità ricevuta nell'Ordinazione Sacerdotale, una disponibilità incondizionata a condurre il gregge affidato là dove il Signore vuole e non nella direzione che, apparentemente, sembra più conveniente o più facile.

Ciò richiede, anzitutto, la continua e progressiva disponibilità a lasciare che Cristo stesso governi l'esistenza sacerdotale dei presbiteri. Infatti, nessuno è realmente capace di pascere il gregge di Cristo, se non vive una profonda e reale obbedienza a Cristo e alla Chiesa, e la stessa docilità del Popolo ai suoi sacerdoti dipende dalla docilità dei sacerdoti verso Cristo; per questo alla base del ministero pastorale c'è sempre l'incontro personale e costante con il Signore, la conoscenza profonda di Lui, il conformare la propria volontà alla volontà di Cristo.

Negli ultimi decenni, si è utilizzato spesso l'aggettivo "pastorale" quasi in opposizione al concetto di "gerarchico", così come, nella medesima contrapposizione, è stata interpretata anche l'idea di "comunione". È forse questo il punto dove può essere utile una breve osservazione sulla parola "gerarchia", che è la designazione tradizionale della struttura di autorità sacramentale nella Chiesa, ordinata secondo i tre livelli del Sacramento dell'Ordine:  episcopato, presbiterato, diaconato.

Nell'opinione pubblica prevale, per questa realtà "gerarchia", l'elemento di subordinazione e l'elemento giuridico; perciò a molti l'idea di gerarchia appare in contrasto con la flessibilità e la vitalità del senso pastorale e anche contraria all'umiltà del Vangelo. Ma questo è un male inteso senso della gerarchia, storicamente anche causato da abusi di autorità e da carrierismo, che sono appunto abusi e non derivano dall'essere stesso della realtà "gerarchia".

L'opinione comune è che "gerarchia" sia sempre qualcosa di legato al dominio e così non corrispondente al vero senso della Chiesa, dell'unità nell'amore di Cristo. Ma, come ho detto, questa è un'interpretazione sbagliata, che ha origine in abusi della storia, ma non risponde al vero significato di quello che è la gerarchia.

Cominciamo con la parola. Generalmente, si dice che il significato della parola gerarchia sarebbe "sacro dominio", ma il vero significato non è questo, è "sacra origine", cioè:  questa autorità non viene dall'uomo stesso, ma ha origine nel sacro, nel Sacramento; sottomette quindi la persona alla vocazione, al mistero di Cristo; fa del singolo un servitore di Cristo e solo in quanto servo di Cristo questi può governare, guidare per Cristo e con Cristo. Perciò chi entra nel sacro Ordine del Sacramento, la "gerarchia", non è un autocrate, ma entra in un legame nuovo di obbedienza a Cristo:  è legato a Lui in comunione con gli altri membri del sacro Ordine, del Sacerdozio.

E anche il Papa - punto di riferimento di tutti gli altri Pastori e della comunione della Chiesa - non può fare quello che vuole; al contrario, il Papa è custode dell'obbedienza a Cristo, alla sua parola riassunta nella "regula fidei", nel Credo della Chiesa, e deve precedere nell'obbedienza a Cristo e alla sua Chiesa. Gerarchia implica quindi un triplice legame:  quello, innanzitutto, con Cristo e l'ordine dato dal Signore alla sua Chiesa; poi il legame con gli altri Pastori nell'unica comunione della Chiesa; e, infine, il legame con i fedeli affidati  al  singolo,  nell'ordine  della Chiesa.

Quindi, si capisce che comunione e gerarchia non sono contrarie l'una all'altra, ma si condizionano. Sono insieme una cosa sola (comunione gerarchica). Il Pastore è quindi tale proprio guidando e custodendo il gregge, e talora impedendo che esso si disperda.

Al di fuori di una visione chiaramente ed esplicitamente soprannaturale, non è comprensibile il compito di governare proprio dei sacerdoti. Esso, invece, sostenuto dal vero amore per la salvezza di ciascun fedele, è particolarmente prezioso e necessario anche nel nostro tempo. Se il fine è portare l'annuncio di Cristo e condurre gli uomini all'incontro salvifico con Lui perché abbiano la vita, il compito di guidare si configura come un servizio vissuto in una donazione totale per l'edificazione del gregge nella verità e nella santità, spesso andando controcorrente e ricordando che chi è il più grande si deve fare come il più piccolo, e colui che governa, come colui che serve (cfr. Lumen gentium, 27).

Dove può attingere oggi un sacerdote la forza per tale esercizio del proprio ministero, nella piena fedeltà a Cristo e alla Chiesa, con una dedizione totale al gregge? La risposta è una sola:  in Cristo Signore.
Il modo di governare di Gesù non è quello del dominio, ma è l'umile ed amoroso servizio della Lavanda dei piedi, e la regalità di Cristo sull'universo non è un trionfo terreno, ma trova il suo culmine sul legno della Croce, che diventa giudizio per il mondo e punto di riferimento per l'esercizio dell'autorità che sia vera espressione della carità pastorale.

I santi, e tra essi san Giovanni Maria Vianney, hanno esercitato con amore e dedizione il compito di curare la porzione del Popolo di Dio loro affidata, mostrando anche di essere uomini forti e determinati, con l'unico obiettivo di promuovere il vero bene delle anime, capaci di pagare di persona, fino al martirio, per rimanere fedeli alla verità e alla giustizia del Vangelo.

Cari sacerdoti, "pascete il gregge di Dio che vi è affidato, sorvegliandolo non per forza ma volentieri (...), facendovi modelli del gregge" (1 Pt 5, 2). Dunque, non abbiate paura di guidare a Cristo ciascuno dei fratelli che Egli vi ha affidati, sicuri che ogni parola ed ogni atteggiamento, se discendono dall'obbedienza alla volontà di Dio, porteranno frutto; sappiate vivere apprezzando i pregi e riconoscendo i limiti della cultura in cui siamo inseriti, con la ferma certezza che l'annuncio del Vangelo è il maggiore servizio che si può fare all'uomo.

Non c'è, infatti, bene più grande, in questa vita terrena, che condurre gli uomini a Dio, risvegliare la fede, sollevare l'uomo dall'inerzia e dalla disperazione, dare la speranza che Dio è vicino e guida la storia personale e del mondo:  questo, in definitiva, è il senso profondo ed ultimo del compito di governare che il Signore ci ha affidato. Si tratta di formare Cristo nei credenti, attraverso quel processo di santificazione che è conversione dei criteri, della scala di valori, degli atteggiamenti, per lasciare che Cristo viva in ogni fedele. San Paolo così riassume la sua azione pastorale:  "figlioli miei, che io di nuovo partorisco nel dolore finché Cristo non sia formato in voi" (Gal 4, 19).

Cari fratelli e sorelle, vorrei invitarvi a pregare per me, Successore di Pietro, che ho uno specifico compito nel governare la Chiesa di Cristo, come pure per tutti i vostri Vescovi e sacerdoti. Pregate perché sappiamo prenderci cura di tutte le pecore, anche quelle smarrite, del gregge a noi affidato. A voi, cari sacerdoti, rivolgo il cordiale invito alle Celebrazioni conclusive dell'Anno Sacerdotale, il prossimo 9, 10 e 11 giugno, qui a Roma:  mediteremo sulla conversione e sulla missione, sul dono dello Spirito Santo e sul rapporto con Maria Santissima, e rinnoveremo le nostre promesse sacerdotali, sostenuti da tutto il Popolo di Dio. Grazie!



 
Caterina63
00lunedì 24 gennaio 2011 10:30

Lettera circolare della Congregazione per il Clero. L'identità missionaria del prete (Mauro Piacenza)

Lettera circolare della Congregazione per il Clero

L'identità missionaria del prete

Pubblichiamo di seguito la presentazione della lettera circolare della Congregazione per il Clero, scritta dal cardinale prefetto, intitolata «L'identità missionaria del presbitero nella Chiesa quale dimensione intrinseca dell'esercizio dei tria munera».

di Mauro Piacenza

Volentieri la Congregazione per il Clero offre la lettera circolare «
L'identità missionaria del presbitero nella Chiesa quale dimensione intrinseca dell'esercizio dei tria munera», la quale rappresenta uno dei frutti dell'ultima assemblea plenaria, svoltasi nel marzo 2009. Quale indispensabile premessa al testo, si è ritenuto opportuno riproporre la allocuzione rivolta dal Santo Padre ai partecipanti alla plenaria, il 16 marzo 2009, nella quale è possibile reperire sia le direttrici fondamentali per interpretare la lettera, derivanti dalla cornice teologica benedettiana, sia i riferimenti irrinunciabili per l'operare stesso del dicastero, soprattutto in alcune questioni attuali, di cruciale importanza per la vita della Chiesa.

I Padri della plenaria si sono trovati concordi nell'individuare, tra le priorità della Chiesa contemporanea, la necessità di un rinnovato impegno missionario. Il progressivo costante avanzare della secolarizzazione, con il conseguente disfacimento di quelle strutture culturali e sociali, che concorrevano in maniera non irrilevante alla trasmissione della fede, suggerisce un autentico «sussulto» di responsabilità, sia in ordine alla missione ad gentes, sia nei confronti del quotidiano esercizio del ministero, il quale domanda di essere vissuto in maniera autenticamente apostolica e, perciò, missionaria.

La lettera si sofferma solo brevemente sulla necessità della missione e sulla teologia e spiritualità della missionarietà, fondandole esplicitamente sulla missione stessa di Cristo, della quale i sacerdoti sono resi partecipi, in forza dell'ordinazione sacramentale.

Più diffusamente, invece, si sofferma sulla necessità universale di una rinnovata prassi missionaria (cfr. § 3 della lettera), la quale dipende, in primo luogo, dalla coscienza che ciascuno ha di essere discepolo. Non si dà, infatti, autentica efficacia pastorale e missionaria, laddove non ci si concepisca, e non si sia affettivamente ed effettivamente, «discepoli del Signore».
 
La missione, in tal senso, non è tanto un'organizzazione di eventi, la cui riuscita sarebbe legata alle capacità umane, né tantomeno una strategia di progressivo «indottrinamento universale». La missione accade ed è efficace laddove vive, prega, soffre e opera un autentico discepolo di Cristo!

L'approfondimento della discepolanza è elemento costitutivo di ogni possibile rinnovata prassi missionaria. Se le nostre Chiese particolari, le nostre comunità e le nostre stesse persone non sentono urgentemente l'esigenza di annunciare Cristo a tutti quelli che incontriamo, la prima fondamentale e urgente domanda da porsi è: «Quanto siamo discepoli di Gesù di Nazareth, Signore e Cristo?».

La missionarietà, infatti, non è un quid, che si aggiunge dall'esterno alla struttura della Chiesa, ma ne è quasi una nota, intimamente legata alla cattolicità e all'apostolicità. La lettera parla del «radicamento trinitario, cristologico ed ecclesiologico del ministero dei sacerdoti quale fondamento dell'identità missionaria» (cfr. § 2).

Dalla discepolanza, che include la dimensione della comunione ecclesiale, scaturiscono sia l'apertura all'universalità cattolica della missione ad gentes, sia la fioritura di quella sana creatività, che permette una evangelizzazione autenticamente missionaria, e che, avendo come unico reale scopo l'incontro personale, nella Chiesa, di ogni uomo con Cristo Salvatore, è capace — come direbbe l'Apostolo — «di farsi tutto a tutti» (Prima lettera ai Corinzi, 9, 22).

La lettera dà anche alcune indicazioni concrete, declinate secondo gli ambiti del munus docendi, sanctificandi e regendi, rinviando a eventuali indicazioni delle Conferenze episcopali nazionali, l'ulteriore loro precisazione. Lo spirito del testo, rispondente all'intenzione dei Padri della plenaria, è, in ogni caso, quello di rinvigorire lo zelo apostolico e missionario dei sacerdoti, partendo dall'approfondimento della loro identità ed evidenziando l'importanza della formazione ad ogni livello.
 
«È la formazione ad essere assolutamente determinante per il futuro della Chiesa! Un sacerdote dalla chiara identità specifica, con una solida formazione umana, intellettuale, spirituale e pastorale, genererà più facilmente nuove vocazioni, perché vivrà la consacrazione come missione e, lieto e certo dell'amore del Signore per la propria esistenza sacerdotale, saprà diffondere il “buon profumo di Cristo” intorno a sé, e vivere ogni istante del proprio ministero come un'occasione missionaria» (cfr. § 3.4).

L'auspicio è che la lettera circolare possa contribuire a sostenere il quotidiano impegno missionario dei sacerdoti, nella consapevolezza che esso deriva, e in certo modo dipende, fondamentalmente dall'accoglienza orante dell'opera dello Spirito nella loro vita. Possa la Beata Vergine Maria, Regina degli Apostoli, sostenere il lavoro di ciascuno e garantire ampia fecondità apostolica al nostro ministero.

(L'Osservatore Romano - 23 gennaio 2011)


segue la Lettera....


Caterina63
00lunedì 24 gennaio 2011 10:32
«L’identità missionaria del presbitero nella Chiesa,

quale dimensione intrinseca dell’esercizio dei tria munera»



Signori Cardinali, venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio,

1. Introduzione

Vorrei dare il più cordiale benvenuto a tutti i Membri della Congregazione e, particolarmente, a coloro che per la prima volta, si uniscono a noi in questa Assemblea Plenaria, quali nuovi membri. A tutti, che con non pochi sacrifici, sono convenuti nella Città Eterna, il mio sincero ringraziamento.

Desidero con Voi ringraziare il Signore che ci ha radunati in questa Aula, cum Petro et sub Petro, e sotto la protezione dell’Apostolo Paolo, proprio in questo Anno Paolino, in quello spirito di comunione, di fede e di amore, che ci unisce nel servizio alla Chiesa, per il bene dei nostri presbiteri, diaconi e dell’intero Popolo di Dio.

Negli ultimi anni, questo Dicastero ha dato un contributo non indifferente nell’ambito delle proprie competenze. Come non ricordare l’importante Direttorio per il ministero e la vita dei presbiteri, pubblicato nel 1994; poi, nel 1999, la lettera circolare “Il presbitero maestro della Parola, ministro dei sacramenti e guida della comunità in vista del terzo millennio cristiano”; nel 2002, l’istruzione “Il presbitero, pastore e guida della comunità parrocchiale” e, finalmente, nel 2004, l’Assemblea Plenaria ha rivolto la propria attenzione agli “organismi di collaborazione nella Chiesa particolare, a livello diocesano e parrocchiale,” e alla “Pastorale dei Santuari”, cercando di evidenziare, con chiarezza e completezza, lo specifico fondamento teologico sacramentale che sottostà alla normativa codiciale ed alle recenti disposizioni magisteriali sugli organismi diocesani e su quelli parrocchiali; ed indicando, così, la via per sanare e rimuovere le inadeguate costituzioni e prassi di funzionamento di “organismi di partecipazione” nella Chiesa particolare – a livello diocesano e parrocchiale –, che sono, a volte, difformi o contrarie alla legislazione universale della Chiesa.

Oggi, in sintonia con il Magistero della Chiesa, ed in modo particolare con i Documenti del Concilio Vaticano II e con i recenti interventi del Sommo Pontefice, la Congregazione propone un tema che considera di notevole rilevanza ecclesiale in questi momenti: “L’identità missionaria del presbitero nella Chiesa, quale dimensione intrinseca dell’esercizio dei tria munera”. L’obiettivo fondamentale è evidenziare la rilevanza dell’identità missionaria del presbitero, nel contesto attuale della vita della Chiesa.



2. L’urgenza missionaria nel mondo attuale

La Chiesa è per la sua natura missionaria, in quanto essa trae origine dalla missione del Figlio e dalla missione dello Spirito Santo, secondo il disegno di Dio Padre (Decreto Ad gentes, n. 2). Si tratta di una missionarietà intrinseca, fondata ultimamente nelle stesse missioni trinitarie. “Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo ad ogni creatura” (Mc 16, 15). Nella stessa vocazione dell’Apostolo delle genti: “Va’; perché io ti manderò lontano, tra i pagani” (At 22, 21).

Nelle odierne circostanze, nel panorama mondiale, si rinnova l’urgenza missionaria, non soltanto “ad gentes”, ma all’interno dello stesso gregge, già costituto come Chiesa.

Papa Benedetto XVI, fin dall’inizio del suo pontificato, ha ribadito costantemente il tema delle nuove condizioni nelle quali si trova oggi la Chiesa nella società post-moderna. Siamo di fronte ad una società la cui cultura cerca di rifiutare Dio ed è profondamente segnata dal secolarismo, dal relativismo, dallo scientismo, dall’indifferentismo religioso, dall’agnosticismo e da un laicismo, spesso militante e anti-religioso. Questa nuova cultura post-moderna avanza, anzitutto nei paesi occidentali, è dominante nei media, ma si espande, progressivamente, a tutti i popoli, attraverso la mobilità umana e tutte le forme attuali di comunicazione.

Lo stesso Pontefice, parlando ai vescovi tedeschi, durante la Giornata mondiale della Gioventù (2005), disse: “Sappiamo che il secolarismo e la scristianizzazione progrediscono, che il relativismo cresce, che l’influsso dell’etica e della morale cattoliche diminuisce sempre più. Non poche persone abbandonano la Chiesa, o se vi rimangono, accettano soltanto una parte dell’insegnamento cattolico, scegliendo solo alcuni aspetti del cristianesimo. […] Voi stessi, cari Confratelli, avete affermato [...]: ‘Noi siamo diventati terra di missione’. […] Dovremmo riflettere seriamente sul modo in cui possiamo realizzare una vera evangelizzazione. […] Non è sufficiente che noi cerchiamo di conservare il gregge esistente, anche se questo è molto importante […]. Credo che dobbiamo tutti insieme cercare di trovare nuovi modi per riportare il Vangelo nel mondo attuale, annunciare di nuovo Cristo e stabilire la fede” (Disc. nel Piussaal del Seminario di Colonia, 21.8.2005).

Nel contempo, cresce la consapevolezza che, oltre ai problemi della cultura post-moderna, si presentano, sia il problema dell’altissima percentuale di cattolici che vivono lontani della prassi religiosa, sia il problema della diminuzione drastica, per diverse cause, del numero di coloro che si dichiarano cattolici; c’è, nel contempo, il problema della crescita straordinaria delle cosiddette “sette evangeliche pentecostali” e di altre sette.

Innanzi a questa realtà, urge accogliere con generosità l’invito fatto dal Santo Padre ad una vera “missione”, rivolta a coloro che, pur essendo stati da noi battezzati, per diverse circostanze storiche, non sono stati da noi sufficientemente evangelizzati. Nel suo discorso ai Vescovi brasiliani, nel 2007, il Papa ha detto: “[…] È necessario, pertanto, avviare l’attività apostolica come una vera missione nell’ambito del gregge costituito dalla Chiesa Cattolica in Brasile, promovendo un’evangelizzazione metodica e capillare in vista di un’adesione personale e comunitaria a Cristo. […]. Si richiede, in una parola, una missione evangelizzatrice che interpelli tutte le forze vive di questo gregge immenso” (Discorso del Santo Padre ai Vescovi Brasiliani, 11 maggio 2007, n. 3).

continua...


Caterina63
00lunedì 24 gennaio 2011 10:33
3. L’identità missionaria dei Presbiteri ed i tria munera

L’esercizio del ministero presbiterale appare fondamentale, all’interno dell’intero Popolo di Dio, nel rispondere alle situazioni che sono in contrasto con il Vangelo. Al riguardo, è necessario riprendere, con tutta la loro forza, i fondamenti della vera identità missionaria dei Presbiteri, in vista di un superamento dei problemi che affliggono l’umanità e si riflettono nella vita della Chiesa.

Il Decreto Presbyterorum Ordinis, sul ministero e la vita dei presbiteri, sviluppa questa verità quando si riferisce, nei nn. 4-6, rispettivamente ai presbiteri ministri della parola di Dio, ministri della santificazione con i sacramenti e l’Eucaristia, e guide ed educatori del popolo di Dio. Sono i “tria munera” del presbitero.

L’identità missionaria del presbitero, anche se non ne è oggetto esplicito, è chiaramente presente in questi testi. Il sacerdote, “inviato”, che partecipa della missione di Cristo, inviato dal Padre, si trova coinvolto in una dinamica missionaria, senza la quale non potrebbe veramente vivere la propria identità (Giovanni Paolo II, Pastores dabo vobis, 26).

Nell’Esortazione Apostolica post-sinodale Pastores dabo vobis si afferma che, pur inserito in una Chiesa particolare, il presbitero, in virtù della sua ordinazione, ha ricevuto un dono spirituale che lo prepara ad una missione universale, fino ai confini della terra (cf. At 1,8), perché «qualsiasi ministero sacerdotale partecipa della stessa ampiezza universale della missione affidata da Cristo agli Apostoli» (PDV 32).).

Se parliamo di missione, dobbiamo tener presente, necessariamente, che l’inviato, il presbitero in questo caso, si trova in relazione sia con chi lo invia sia con coloro ai quali è inviato. Esaminando la sua relazione con Cristo, il primo inviato dal Padre, bisogna sottolineare il fatto che, stando ai testi del Nuovo Testamento, è Cristo stesso a inviare e a costituire i ministri della sua Chiesa, essi non possono essere considerati semplicemente eletti o delegati dalla comunità o dal popolo sacerdotale. “Il presbitero trova la piena verità della sua identità nell’essere una derivazione, una partecipazione specifica e una continuazione dello stesso Cristo, sommo ed eterno sacerdote della nuova Alleanza; è un’immagine viva e trasparente di Cristo sacerdote” (Giovanni Paolo II, Pastores dabo vobis, 12).



4. Il presbitero e l’esigenza di una nuova prassi missionaria

In questa relazione con Cristo, la prima verità che viene alla luce è l’importanza di una profonda identificazione e intimità con Colui che consacra il presbitero e lo invia. Infatti, l’essere missionario richiede l’essere discepolo. Il testo di San Marco afferma: “[Gesù] salì poi sul monte, chiamò a sé quelli che egli volle ed essi andarono da lui. Ne costituì Dodici che stessero con lui e anche per mandarli a predicare e perché avessero il potere di scacciare i demoni” (Mc 3, 13-15). “Chiamò a sé quelli che egli volle” e “che stessero con lui”, ecco il discepolato! Questi discepoli saranno mandati a predicare ed a scacciare i demoni. Ecco, i missionari!

Nell’itinerario del discepolato, tutto inizia con la chiamata del Signore. L’iniziativa è sempre Sua. Ciò indica che la chiamata è una grazia, che deve essere liberamente e umilmente accolta e custodita, con l’aiuto dello Spirito Santo. Dio ci ha amati per primo. È il primato della grazia. Alla chiamata segue l’incontro con Gesù per ascoltare la sua parola e fare l’esperienza del suo amore per ciascuno e per l’intera umanità. Egli ci ama e ci rivela il vero Dio, uno e trino, che è amore.

Nel Vangelo si mostra come, in questo incontro, lo Spirito di Gesù trasformi colui che ha il cuore aperto. Infatti, chi incontra Gesù sperimenta un profondo coinvolgimento con la sua persona e la sua missione nel mondo, crede in lui, sperimenta il suo amore, aderisce a lui, decide di seguirlo incondizionatamente, dovunque ciò conduca, investe in lui tutta la propria vita e, se necessario, accetta di morire per lui. Esce dall’incontro con un cuore gioioso ed entusiasta, affascinato dal mistero di Gesù, e si lancia ad annunciarlo a tutti. Così, il discepolo diventa simile al Maestro, inviato da lui e sostenuto dallo Spirito Santo.

Il Santo Padre Benedetto XVI, in un suo commento al citato brano di S. Marco, presenta l’essenza della vocazione spirituale del sacerdote, come lo “stare con Cristo”, per poi “essere mandato da Lui”: “Stare con Lui ed essere mandati da Lui – due cose inscindibili tra loro. Solo chi sta con Lui impara a conoscerlo e può annunciarlo veramente. Chi sta con Lui, non trattiene per sé ciò che ha trovato, ma deve comunicarlo”. Diversamente, si cadrebbe nel “vuoto attivistico”: La prassi lo afferma: dove i sacerdoti, a causa dei grandi compiti, permettono che lo stare col Signore si riduca sempre di più, lì perdono infine, nonostante la loro attività forse eroica, la forza interiore che li sostiene. Quello che fanno diventa un vuoto attivismo” (Ai seminaristi, ai sacerdoti, ai religiose e religiosi e ai membri dell’Opera Pontificia per le Vocazioni di speciale consacrazione, Germania, 11 settembre 2006).

Per il presbitero, lo “stare con Lui” si rinnova sempre, e in modo assolutamente speciale, nella celebrazione quotidiana dell’Eucaristia, ma anche nella lettura orante della Bibbia, nell’orazione fedele della Liturgia delle Ore, nella preghiera personale e comunitaria, nel ricevere il sacramento della Riconciliazione, nella solidarietà con i poveri e in molte altre forme.

Si tratta di “stare con Lui” per diventare veri discepoli suoi e per poi annunziarlo con vigore ed efficacia! “Stare con Lui” per poi portarlo agli uomini, ecco il compito centrale del sacerdote!

Si tratta, in ultima analisi, di vivere una vita incentrata su Dio. “Se in una vita sacerdotale si perde questa centralità di Dio, si svuota passo a passo anche lo zelo dell’agire” (Papa Benedetto XVI, Ai membri della Curia Romana, 22 dicembre 2006). Da questa profonda ed intima esperienza di Dio scaturisce la vocazione missionaria dei presbiteri.

Oggi, questa missione si sviluppa necessariamente in due ambiti, cioè: “ad gentes” e nello stesso gregge, già costituito, della Chiesa, ossia tra i battezzati. Gli orizzonti della missione “ad gentes” si allargano e richiedono rinnovato impulso missionario. La Chiesa guarda con premura, amore e speranza, per esempio, all’Asia, in speciale modo alla Cina, e all’Africa. I presbiteri sono invitati ad ascoltare il soffio dello Spirito e a condividere questa sollecitudine della Chiesa universale. D’altra parte, nello stesso gregge già costituito della Chiesa, nei paesi cosidetti cristiani, dove purtroppo più della metà dei battezzati non partecipa alla vita della Chiesa, perché poco o per niente evangelizzati, un’evangelizzazione missionaria è diventata ormai urgente e improrogabile. È su questa missione all’interno dello stesso gregge, che vogliamo anzitutto riflettere in questa Plenaria. La missione “ad gentes” è di competenza specifica della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli.



continua....

Caterina63
00lunedì 24 gennaio 2011 10:34
5. Il Presbitero, discepolo e missionario, nel esercizio dei “tria munera”

Il Concilio Vaticano II presenta il presbitero come ministro della Parola, ministro della santificazione con i sacramenti, in modo speciale, con l’Eucaristia, e come pastore, guida ed educatore del Popolo di Dio (cfr. Presbyterorum ordinis, nn. 4-6). Sono i “tria munera”, ambiti del suo essere discepolo e missionario.

5.1. Nell’ambito del munus docendi

Prima di tutto, per essere un vero missionario all’interno dello stesso gregge della Chiesa, secondo le attuali esigenze, è essenziale ed indispensabile che il presbitero si decida non soltanto ad accogliere ed evangelizzare coloro che lo cercano, sia nella parrocchia sia altrove, ma ad “alzarsi ed andare” in cerca, prima di tutto, dei battezzati che non partecipano alla vita della comunità ecclesiale, e anche di tutti coloro che poco, o per niente, conoscono Gesù Cristo. Questa nuova missione deve essere abbracciata con entusiasmo da ogni parrocchia, in forma permanente, con un slancio che cerchi di raggiungere tutti i battezzati del proprio territorio e poi anche i non battezzati.

L’annunzio specificamente missionario del Vangelo richiede che sia dato un rilievo centrale al Kerigma. Questo primo o rinnovato annunzio kerigmatico di Gesù Cristo, morto e risorto, e del suo Regno, ha, senz’altro, un vigore e una unzione speciale dello Spirito Santo. Il Kerigma è per eccellenza il contenuto della predicazione missionaria.

Nell’enciclica Redemptoris Missio (1990), Giovanni Paolo II scrisse: “Nella realtà complessa della missione il primo annunzio ha un ruolo centrale e insostituibile, perché introduce ‘nel mistero dell’amore di Dio, che chiama a stringere in Cristo una personale relazione con lui’ e apre la via alla conversione. La fede nasce dall’annunzio (…) L’annunzio ha per oggetto il Cristo crocifisso, morto e risorto; in lui si compie la piena e autentica liberazione dal male, dal peccato e dalla morte; in lui Dio dona la ‘vita nuova’, divina ed eterna. È questa la ‘buona novella’, che cambia l’uomo e la storia dell’umanità e che tutti i popoli hanno il diritto di conoscere. Tale annunzio va fatto nel contesto della vita dell’uomo e dei popoli che lo ricevono. Esso, inoltre, deve essere fatto in atteggiamento di amore e di stima verso chi ascolta, con un linguaggio concreto e adattato alle circostanze. In esso lo Spirito è all’opera e instaura una comunione tra il missionario e gli ascoltatori, possibile in quanto l’uno e gli altri entrano in comunione, per Cristo, col Padre” (n. 44).

Pertanto, bisogna riprendere, “opportune et importune” con molta costanza, convinzione e gioia evangelizzatrice, questo primo annunzio, sia nelle omelie, durante le Sante Messe o altri eventi evangelizzatori, sia nelle catechesi, sia nelle visite domiciliari, nelle piazze, nei mezzi di comunicazione sociale, negli incontri personali con i nostri battezzati che non partecipano alla vita delle comunità ecclesiali, insomma, ovunque lo Spirito ci spinga ed offra un’opportunità da non sprecare.

In questo sforzo missionario, i destinatari privilegiati saranno i poveri. Come disse lo stesso Gesù: “Lo Spirito del Signore è sopra di me […] e mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio” (Lc 4,18). Nel già citato discorso ai vescovi brasiliani, Benedetto XVI disse:

“Tra i problemi che affliggono la vostra sollecitudine pastorale c’è, senza dubbio, la questione dei cattolici che abbandonano la vita ecclesiale. Sembra chiaro che la causa principale, tra le altre, di questo problema possa essere attribuita alla mancanza di un’evangelizzazione in cui Cristo e la sua Chiesa stiano al centro di ogni delucidazione. […] Nell’Enciclica Deus caritas est, ho ricordato che «all'inizio dell'essere cristiano non c'è una decisione etica o una grande idea, bensì l'incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva» (n. 1). È necessario, pertanto, avviare l’attività apostolica come una vera missione nell’ambito del gregge costituito dalla Chiesa Cattolica (…), promovendo un’evangelizzazione metodica e capillare in vista di un’adesione personale e comunitaria a Cristo. Si tratta infatti di non risparmiare sforzi per andare alla ricerca dei cattolici che si sono allontanati e di coloro che conoscono poco o niente Gesù Cristo […] In questo sforzo evangelizzatore, la comunità ecclesiale si distingue per le iniziative pastorali, inviando soprattutto nelle case delle periferie urbane e dell’interno i suoi missionari, laici o religiosi, cercando di dialogare con tutti in spirito di comprensione e di delicata carità. Tuttavia, se le persone incontrate vivono in una situazione di povertà, bisogna aiutarle come facevano le prime comunità cristiane, praticando la solidarietà perché si sentano veramente amate. La gente povera delle periferie urbane o della campagna ha bisogno di sentire la vicinanza della Chiesa, sia nell’aiuto per le necessità più urgenti, sia nella difesa dei suoi diritti e nella promozione comune di una società fondata sulla giustizia e sulla pace. I poveri sono i destinatari privilegiati del Vangelo, ed il Vescovo, formato ad immagine del Buon Pastore, deve essere particolarmente attento a offrire il balsamo divino della fede, senza trascurare il «pane materiale». Come ho potuto mettere in risalto nell’Enciclica Deus caritas est, «la Chiesa non può trascurare il servizio della carità, così come non può tralasciare i Sacramenti e la Parola» (22) (n.3).

5.2. Nell’ambito del munus sanctificandi

Di ogni celebrazione sacramentale fa parte la proclamazione della Parola di Dio, dato che il sacramento richiede la fede di chi lo riceve. Questo fatto indica che la celebrazione dei sacramenti, in modo speciale dell’Eucaristia, possiede una dimensione missionaria intrinseca, che può essere sviluppata come annunzio del Signore Gesù e del Suo Regno, a coloro che, poco, o ancora per niente, sono stati evangelizzati.

Poi, bisogna sottolineare che l’Eucaristia è il centro della vita della Chiesa e di ogni cristiano. In questo senso si può dire che l’Eucaristia è il punto d’arrivo della missione. Il missionario va in cerca delle persone e dei popoli per portarli alla mensa del Signore, preannunzio escatologico del banchetto di vita eterna, presso Dio, nel cielo, che sarà la realizzazione piena della salvezza, secondo il disegno redentore del Padre. L’Eucaristia ha, inoltre, una dimensione d’invio missionario. Ogni Santa Messa si conclude con l’invio di tutti i partecipanti all’opera missionaria nella società.

La comunità cristiana, nel celebrare l’Eucaristia e nel ricevere il sacramento del Corpo e del Sangue di Gesù, è profondamente unita al Signore e colmata di questo Suo amore senza misura. Al contempo, riceve ogni volta, di nuovo, il comandamento di Gesù “amatevi gli uni gli altri, come io vi ho amato” e si sente spinta dallo Spirito di Cristo ad andare ed annunciare a tutte le creature la buona Novella dell’amore di Dio e della speranza sicura nella Sua misericordia salvatrice. Nel decreto Presbyterorum Ordinis, del Concilio Vaticano II, si dice: “L’Eucaristia costituisce, infatti, la fonte e il culmine di tutta l’evangelizzazione” (n.5).

La stessa celebrazione eucaristica, e degli altri Sacramenti, bella, serena, dignitosa e devota, secondo le norme liturgiche, diventa un’evangelizzazione molto speciale per i fedeli presenti.

Tutti i Sacramenti ricevono la propria forza santificante dalla morte e risurrezione di Cristo e proclamano la misericordia indefettibile di Dio. La loro essenza ed efficacia missionarie devono essere sempre sottolineate.

5.3. Nell’ambito del munus regendi

Nell’attuale urgenza missionaria è indispensabile che i sacerdoti guidino alla missione la comunità a loro affidata, profondamente animati dalla carità pastorale, consapevoli di essere ministri di Cristo. Parte integrante del munus regendi è la capacità personale del presbitero di suscitare lo spirito missionario e la corresponsabilità nei fedeli laici, contando su di loro per la nuova evangelizzazione.

Infatti, la corresponsabilità e la compartecipazione dei fedeli laici alla missione della Chiesa non comporta un annullamento dell’essere pastore del presbitero. Nel incontro del Papa con i sacerdoti delle diocesi di Belluno-Feltre e Treviso, egli disse: “Mi sembra che questo sia uno dei risultati importanti e positivi del Concilio: la corresponsabilità di tutta la parrocchia: non è più soltanto il parroco che deve vivificare tutto, ma, poiché tutti siamo parrocchia, tutti dobbiamo collaborare ed aiutare, affinché il parroco non rimanga isolato sopra come coordinatore, ma si trovi realmente come pastore affiancato in questi lavori comuni nei quali, insieme, si realizza e si vive la parrocchia” (Id.).

Nel munus regendi il parroco, riguardo alla missione nella sua parrocchia, dovrà convocare i membri della comunità parrocchiale ad assumere con lui stesso questa missione. Il laico è chiamato dal Signore, in virtù del battesimo e della cresima, ad essere evangelizzatore. Così, il parroco convochi i suoi laici, li formi e l’invii alla missione, alla quale lui stesso si volgerà.

Per il buon esito della missione parrocchiale, sarà necessaria una buona metodologia missionaria. La Chiesa ne ha bi millenaria esperienza. Nondimeno, ogni epoca storica porta con sé nuove circostanze, da rilevare nel modo di attuare la missione.

L’autentica identità missionaria esige anche che il presbitero renda evidente la sua genuina presenza di pastore. In tale contesto si comprende l’importanza pastorale dell’abito ecclesiastico, che è un segno dell’identità universale del sacerdote. Quanto più una società è pluralista e secolarizzata, tanto più abbisogna di segni di identificazione del sacro. (Cf. PAOLO VI, Catechesi nell'Udienza generale del 17 settembre 1969, Allocuzione al clero (1 marzo 1973): Insegnamenti di Paolo VI, VII (1969), 1065; XI (1973), 176; can. 284; Direttorio per il ministero e la vita dei presbiteri, n. 66; Il Presbitero: maestro della Parola..., cap. IV, n. 3). In modo simili, ma ancora più profondo, può e deve essere un segno della trascendenza del Regno di Dio, la forte testimonianza del celibato sacerdotale.

È importante aggiungere ancora che le circostanze attuali rivelano con urgenza la necessità di una profonda disponibilità dei presbiteri, che non siano solo in grado di cambiare incarico pastorale, ma anche città, regione o Paese, a seconda delle diverse necessità, e di adempiere alla missione che in ogni circostanza sia necessaria, andando oltre, per amore di Dio, ai propri gusti e progetti personali. Per la natura stessa del loro ministero, essi debbono dunque essere penetrati e animati da un profondo spirito missionario e da quello spirito veramente cattolico che li abitui a guardare oltre i confini della propria diocesi, nazione o rito, e ad andare incontro alle necessità della Chiesa intera, pronti, nel loro animo, a predicare dovunque il Vangelo. (Cfr. Decr. Optatam totius, n. 20; Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1565; Giovanni Paolo II, Esort. ap. post-sinodale Pastores dabo vobis, n. 18; Concilio Vaticano II,).

continua....

Caterina63
00lunedì 24 gennaio 2011 10:35
6. La formazione missionaria dei presbiteri e le vocazioni sacerdotali

Tutti i presbiteri devono ricevere una specifica ed accurata formazione missionaria, dato che la Chiesa vuole impegnarsi, con rinnovato ardore e con urgenza, nella missione ad gentes ed in una evangelizzazione missionaria, diretta agli stessi battezzati, in modo particolare a coloro che si sono allontanati dalla partecipazione alla vita e all’attività della comunità ecclesiale. Si tratta di una formazione che dovrebbe avere inizio già nel seminario, in modo sistematico, approfondito ed ampio.

Appare sempre più urgente, allora, creare un legame fondamentale tra il tempo della formazione seminaristica e quello dell’iniziale ministero e della formazione permanente, che devono essere saldati insieme ed assolutamente armonici, in ordine alla missione, perché in quest’opera il clero possa divenire sempre più pienamente ciò che è: una perla preziosa ed indispensabile, offerta, da Cristo, alla Chiesa ed all’umanità intera.



7. Conclusione

Se la missionarietà è un elemento costitutivo dell’identità ecclesiale, dobbiamo essere grati al Signore che rinnova, anche attraverso il recente Magistero Pontificio, tale chiara consapevolezza in tutta la sua Chiesa, ed in particolare nei presbiteri.

L’urgenza missionaria, nel mondo attuale, è davvero grande e domanda un rinnovamento della pastorale, la quale dovrebbe concepirsi in “missione permanente”, sia ad gentes, sia dove la Chiesa è già stabilita, andando alla ricerca di coloro che noi abbiamo battezzati e che hanno diritto ad essere da noi evangelizzati.

I presbiteri e tutta la comunità ecclesiale non dovrebbero risparmiare energie, opportune et importune, in una evangelizzazione missionaria urgente, intensa ed estesa, in tutti gli ambienti della società attuale, ma anzitutto tra i poveri. Una tale permanente “tensione missionaria” non potrà che giovare anche al rinnovamento della vera identità sacerdotale in ogni presbitero, il quale, proprio nell’esercizio missionario dei tria munera, troverà la principale via di santificazione personale, e quindi del pieno compimento della propria vocazione sacerdotale e umana.

La missione e il presbitero, per essere tali, secondo il Cuore del Buon Pastore, guardino incessantemente alla Beata Vergine Maria che, piena di grazia, ha portato il Signore a tutto il mondo, come “luce delle genti”, e sempre continua a visitare gli uomini di ogni tempo, ancora pellegrini sulle vie del mondo, per mostrare loro il volto di Gesù di Nazareth, il nostro unico Salvatore.



[SM=g1740717] [SM=g1740720] [SM=g1740750] [SM=g1740752]

Questa è la versione 'lo-fi' del Forum Per visualizzare la versione completa clicca qui
Tutti gli orari sono GMT+01:00. Adesso sono le 07:09.
Copyright © 2000-2024 FFZ srl - www.freeforumzone.com