CONCILIO ED ANTI-CONCILIO: le false interpretazioni

Versione Completa   Stampa   Cerca   Utenti   Iscriviti     Condividi : FacebookTwitter
Caterina63
00mercoledì 7 gennaio 2009 10:35

CONCILIO E ANTI-CONCILIO

(Prima parte)


Smettiamola di inventare e seguire false contrapposizioni. Il problema non e essere pre-conciliari o post-conciliari, una falsa contrapposizione inventata dalla mentalità e dall’ideologia modernista: il problema è essere fedeli o infedeli al vero Concilio. Il rimedio alla crisi è costituito dal ritorno al Concilio interpretato e vissuto correttamente e non stravolto da false interpretazioni. Da una parte, dunque, abbiamo il vero Concilio e la sua retta interpretazione: dall’altra parte abbiamo false e devianti interpretazioni (anti-concilio) che mirano a stravolgere il volto del Vaticano II. Il rimedio consiste nel tornare al Concilio Vaticano II autentico, e quindi ad un’autentica riforma nella Chiesa. Bisogna tornare - come dice il Card. Ratzinger - ai testi autentici del Concilio Vaticano II: una lettura attenta, approfondita e meditata di tutti i suoi documenti, in tutte le loro parti, documenti letti in "sinossi", letti cioè nell’unità e non contrapponendo falsamente un documento ad un altro documento. Inoltre il Concilio va letto all’interno della Tradizione viva della Chiesa, perché Papa Giovanni XXIII che l’ha voluto e l’ha aperto ha dichiarato esplicitamente nel discorso di apertura che la dottrina di sempre della Chiesa non era in discussione, ma solo la sua presentazione al mondo moderno. Quindi nessuna frattura dottrinale tra il Concilio e il Magistero della Chiesa precedente e successivo al Concilio.

1) IL CONCILIO AUTENTICO E LA SUA FALSIFICAZIONE: L’ANTI-CONCILIO


 
Don Guglielmo Fichera

Il Concilio Vaticano II, di fronte alla sfida dell’ateismo, ha riproposto e ravvivato, nella sua autenticità e nella sua pienezza, la bellezza della fede cattolica. Il Concilio va letto alla luce di tutta la genuina tradizione della Chiesa, di cui è espressione e realizzazione, non in contrasto con la Tradizione stessa né, tantomeno, va visto come un momento di rottura con essa. Il 21° Concilio ecumenico della Chiesa è un atto del Magistero solenne della Chiesa Cattolica, un Magistero che si presenta sempre come "sviluppo nella continuità", o come "continuità nello sviluppo". Letture distorte del Concilio, interpretazioni faziose e ideologiche del Concilio, dove si sono realizzate, hanno compromesso la possibilità che portasse frutti di maturità e di promozione della fede, mentre dove è stato vissuto fedelmente ha portato una nuova primavera dello Spirito.


Bisognerà allora distinguere bene, sempre, tra Concilio autentico e anti-Concilio, tra la sua realizzazione autentica e la sua contraffazione dovuta a letture ideologiche, ad applicazioni settarie, a manomissioni faziose. La caratteristica di fondo dell’anti-Concilio è stata quella di compromettere la fede con le ideologie e gli idoli di moda.


Alcune false interpretazioni dei documenti conciliari ne hanno relativizzato gli insegnamenti, Oppure ne hanno modificato lo spirito, in qualche caso anche i contenuti, per esaltare questa o quella opinione personale. I. Congar, proprio perché era cosciente del rischio di una non corretta interpretazione del Concilio ha scritto un’opera dal titolo significativo di: "Vera e falsa riforma". L’esperienza di questi anni dimostra che sono pochissime le persone che hanno letto personalmente e direttamente i documenti del Concilio e che li hanno letti nella loro interezza e completezza. Ancora più carente poi è la lettura del Concilio in sinossi con i corrispondenti documenti che hanno preceduto il Concilio e quelli che lo hanno seguito.


 

LA CHIESA È CATTOLICA NEL TEMPO E NELLO SPAZIO


La Chiesa, infatti, è cattolica (katà-olon = universale nel senso di secondo il tutto; secondo la totalità e l’integralità; cfr. C.C.C., n. 830) non solo nello spazio (l’una e unica Chiesa è diffusa in tutto il mondo), ma anche nel tempo (l’una e unica Chiesa, lo stesso insegnamento di Cristo, è presente in tutti i tempi). Il Concilio è stato conosciuto più attraverso gli slogan e le letture distorte che di esso hanno fatto i giornali, i mass-media e alcuni teologi, che non attraverso uno studio personale, diretto e comparato di tutti i suoi documenti: tutti sanno che si è giunti fino ad un "magistero parallelo" dei teologi. Non e difficile pensare, allora, che l’anti-Concilio ha trovato un terreno favorevole alla sua nefasta influenza.


2) GIOVANNI PAOLO II E L’ANTICONCILIO


Un esempio proprio molto chiaro di quanto stiamo affermando ci viene dal magistero del nostro Papa Giovanni Paolo II infatti, nella "Pastores Dabo Vobis" al n. 11, a proposito della crisi d’identità del sacerdote, afferma che essa è nata proprio da una errata comprensione del magistero conciliare: "Questa crisi - dicevo nel discorso al termine del Sinodo - era nata negli anni immediatamente successivi al Concilio. Si fondava su un errata comprensione, talvolta persino volutamente tendenziosa, della dottrina del magistero conciliare. Qui indubbiamente sta una delle cause del gran numero di perdite subite allora dalla chiesa, perdite che hanno gravemente colpito il servizio pastorale e le vocazioni al sacerdozio, in particolare le vocazioni missionarie. /.../ Per questo il Sinodo ha ritenuto necessario richiamare, in modo sintetico e fondamentale, la natura e la missione del sacerdozio ministeriale, così come la fede della Chiesa le ha riconosciute lungo i secoli della sua storia e come il Concilio Vaticano II le ha ri-presentate agli uomini del nostro tempo".


"Il Papa Giovanni Paolo II, nella Plenaria della Congregazione per la Dottrina della fede, tenutasi il 28 gennaio 2000, ha affermato: "In questi ultimi anni, in ambienti teologici ed ecclesiali è emersa una mentalità tendente a relativizzare la rivelazione di Cristo e la sua mediazione unica ed universale in ordine alla salvezza, nonché a ridimensionare la necessità della Chiesa di Cristo come sacramento universale della salvezza". /.../ In effetti il rilievo del Papa è dovuto al fatto che il relativismo "relativizza" la rivelazione cristiana, giudicando eccessiva la rivelazione di Gesù Cristo di essere l’unico Salvatore del mondo. "La ragione di fondo di questa asserzione — ha detto Giovanni Paolo II — pretende di fondarsi sul fatto che la verità di Dio non potrebbe essere colta e manifestata nella sua globalità e completezza da nessuna religione storica, quindi neppure dal cristianesimo e nemmeno da Gesù Cristo". /.../ "È dunque errato considerare la Chiesa come una via di salvezza accanto a quelle costituite da altre religioni, le quali sarebbero complementari alla Chiesa, pur se convergenti con questa verso il Regno di Dio escatologico — aggiunge sempre Giovanni Paolo II — perché questa equiparazione toglierebbe senso al mandato del Signore (cfr. Mt 28,19-20: "Andate e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato"), mandato del Signore che invita i suoi fedeli ad annunciare che Gesù Cristo è "la Via, la Verità e la Vita" (Gv 14,6)"  (Il Timone, bimestrale di formazione e informazione apologetica, Anno II, n.6 — Marzo/Aprile 2000, pp. 22-23).


3) ANTI-CONCILIO "DENTRO" ALCUNI ASPETTI DELLA CHIESA


"Sono convinto - dice il Cardinale J. Ratzinger - che i guasti cui siamo andati incontro in questi venti anni (1965-1985) non siano dovuti al Concilio "vero" ma allo scatenarsi, all’interno della Chiesa, di forze latenti aggressive, centrifughe, magari irresponsabili oppure semplicemente ingenue, di facile ottimismo, di un’enfasi sulla modernità che ha scambiato il progresso tecnico odierno con un progresso autentico, integrale. E all’esterno, all’impatto con l’ideologia liberal-radicale di stampo individualistico, razionalistico, edonistico". Dunque, la parola d’ordine, l’esortazione a tutti i cattolici che vogliano rimanere tali, non è certo un "tornare indietro"; bensì "tornare ai testi autentici del Vaticano II autentico" (Rapporto sulla fede, Ed. Paoline, 1985, p. 28).


Non è dunque il Vaticano II e i suoi documenti che fanno problema. Semmai, per molti, il problema è costituito da molte interpretazioni di quei documenti che avrebbero condotto a certi frutti dell’epoca post-conciliare. /.../ È incontestabile che gli ultimi vent’anni (1965-1985) sono stati decisamente sfavorevoli per la Chiesa Cattolica. I risultati che hanno seguito il Concilio sembrano crudelmente opposti alle attese di tutti, a cominciare da quelle di papa Giovanni XXIII e poi di PaoloVI. /.../ I Papi e Padri conciliari si aspettavano una nuova unità cattolica e si è invece andati incontro ad un dissenso che - per usare le parole di papa Paolo VI - è sembrato passare dall’autocritica all’autodistruzione. /.../ ad un processo progressivo di decadenza che si è venuto sviluppando in larga misura sotto il segno di un richiamo ad un presunto ‘spirito del Concilio’ e che in tal modo lo ha screditato" (Rapporto sulla Fede, ed. cit., p.27).


 

ROVESCIAMENTO DEI TESTI DEL CONCILIO


"Circolano dei facili slogans. Secondo uno di questi, ciò che oggi conta sarebbe solo l’ortoprassi, cioè il "comportarsi bene", "l’amare il prossimo". Sarebbe invece secondaria, se non alienante, la preoccupazione per l’ortodossia e cioè il "credere in modo giusto", secondo il vero senso della Scrittura letta all’interno della Tradizione viva della Chiesa.


Slogan facile perché superficiale: infatti i contenuti dell’ortoprassi, dell’amore per il prossimo, non cambiano forse radicalmente a seconda dei modi di intendere l’ortodossia? La scelta di una retta azione non presuppone, forse. un retto pensiero, non rinvia, forse, alla ricerca di una ortodossia?" (Rapporto sulla fede, ed. cit., pp. 19-20). "Io resto ogni volta meravigliato dall’abilità di teologi che riescono a sostenere l’esatto contrario di ciò che sta scritto in chiari documenti del Magistero. Eppure quel rovesciamento è presentato con abili artifici dialettici, come il significato vero del documento in questione" (Rapporto sulla fede, ed. cit., pp. 21-23).


Dal punto di vista di una dimensione religiosa "non hanno più senso quegli schemi (conservatore-progressista; destra-sinistra) che vengono dalle ideologie politiche e non sono, dunque, applicabili alla visione religiosa. /.../ "Il Concilio - dice - voleva segnare il passaggio da un atteggiamento di conservazione ad un atteggiamento missionario. Molti dimenticano che il concetto conciliare opposto a "conservatore" non è "progressista’, ma missionario (Rapporto sulla fede, ed.cit., pp. 8-9).


 

SPIRITO E ANTI-SPIRITO DEL CONCILIO VATICANO II


"Come chiarirò ampiamente, la mia diagnosi è che si tratti di un’autentica crisi che va curata e guarita. /.../ Ritornare ai documenti del Vaticano II è di particolare attualità: ci danno strumenti giusti per affrontare i problemi d’oggi. Siamo chiamati a ricostruire la Chiesa non malgrado il Concilio, ma grazie al Concilio vero". A questo Concilio "vero", stando ancora alla sua diagnosi, "già durante le sedute del Concilio e poi via sempre di più nel periodo successivo si contrappose un sedicente ‘spirito del Concilio’ che in realtà ne è un vero ‘anti-spirito’.


Secondo questo pernicioso anti-spirito tutto ciò che è 'nuovo' (o presunto tale: quante antiche eresie sono riapparse in questi anni, presentandolo come novità!) sarebbe sempre e comunque migliore di ciò che c’è stato oppure c’è. E l’anti-spirito secondo il quale la storia della Chiesa sarebbe da far cominciare dal Vaticano II, visto come una specie di anno zero" (Rapporto sulla fede, ed.cit,, pp. 32-33).


 

 QUESTO ANTI-SPIRITO È L’ANIMA DELL’ANTI-CONCILIO.


"L’intenzione del Papa che prese l’iniziativa del Vaticano II, Giovanni XXIII, e di quello che lo continuò fedelmente, Paolo VI, non era affatto di mettere in discussione il depositum fidei che, anzi, entrambi davano per indiscusso, ormai messo al sicuro. /.../ Il Vaticano II non voleva di certo cambiare’ La fede, ma ripresentarla in modo efficace (cfr. Gaudium et Spes, n. 62 b). /.../ Molti degli effetti concreti quali li vediamo ora non corrispondono alle intenzioni dei Padri conciliari /.../ il cattolico che con lucidità, e dunque con sofferenza, vede i guasti prodotti nella sua Chiesa dalle deformazioni del Vaticano II, in quello stesso Vaticano II deve trovare la possibilità della ripresa (Rapporto sulla fede, ed.cit., pp. 33-38).


 

VERA E FALSA APERTURA AL MONDO


Un’altra fonte di equivoci, per come e stata interpretata, è quella che riguarda, l’apertura al mondo. Nel Vangelo di Giovanni il termine "mondo" ha tre significati: 1) mondo, nel senso di creazione di Dio; 2) mondo, nel senso di umanità; 3) mondo, nel senso di mondo ostile a Dio, il mondo degli idoli, il mondo satanico (cfr. Paolo VI, Discorso 5/4/1967). Ci si apre alla persona del fratello, all’umanità, ma non ci si apre agli idoli, al male, al terzo significato del termine "mondo", alle ideologie, e agli stili di vita secolarizzati.


"Il dialogo con il mondo - dice il Card. Ratzinger - è possibile solo sulla base di una identità chiara /.../ L’identità ferma e condizione dell’apertura. /.../ Mentre da parte di molti cattolici c’è stato in questi anni uno spalancarsi senza filtri e freni al mondo, cioè alla mentalità moderna dominante, mettendo allo stesso tempo in discussione le basi stesse del ‘depositum fidei’ che per molti non erano più chiare. Mostrerebbe di non conoscere né la Chiesa né il mondo chi pensasse che queste due realtà possono incontrarsi senza conflitto o addirittura identificarsi". "Non sono i cristiani che si oppongono al mondo. E’ il mondo che si oppone a loro quando è proclamata la verità su Dio, su Cristo, sull’uomo. Dopo la fase delle ‘aperture’ indiscriminate, /.../ È tempo di ritrovare il coraggio dell’anticonformismo, la capacità di opporsi, di denunciare molte delle tendenze della cultura circostante, rinunciando a certa euforica solidarietà post-conciliare" (Rapporto sulla fede, ed.cit., pp. 34-35). "Va affermato a chiare lettere che una reale riforma della Chiesa, presuppone un inequivocabile abbandono delle vie sbagliate che hanno portato a conseguenze indiscutibilmente negative" (Rapporto sulla fede, Ed. Paoline, 1985, pp. 27-28)


4) ALCUNE PRECISAZIONI DOVEROSE


A) Giovanni XXIII
, nel Discorso di apertura del Concilio, aveva detto con chiarezza che Lui non ha convocato il Concilio Vaticano II per "discutere temi dottrinali" ma perché il "sacro deposito della dottrina cristiana sia custodito e insegnato in forma più efficace" (Concilio Vaticano II — Documenti, EDB, 1992, n. 45, p. 93 e n. 54, p. 95); il Concilio fu convocato perché "l’integra dottrina, senza attenuazioni o travisamenti" sia approfondita e presentata in modo che risponda alle esigenze del nostro tempo" sia presentata — questa dottrina — cioè con "una forma adatta al nostro tempo, conservando ad essa tuttavia lo stesso senso e la stessa portata" (op. cit. n. 55, p. 95). Dopo il Concilio, c’è stata una parte di buoni pastori che si è impegnata a vivere e incarnare il Concilio nella vita della Chiesa, ma c’è stata anche un’altra parte, che inquinata da false interpretazioni del Concilio, ha cercato in tutti i modi di appoggiare e sostenere personaggi o teologie equivoche o devianti che miravano proprio a modificare o travisare quella dottrina della Chiesa che Giovanni XXIII dichiarava "certa ed immutabile" (op. cit., n. 55, p. 95). E Papa Giovanni XXIII non era certamente un "tradizionalista"!!! Il Concilio, come ha espressamente dichiarato Papa Giovanni XXIII è stato un Concilio pastorale, un Concilio che si proponeva di trovare i modi per porgere il Cristo di sempre agli uomini di oggi. Solo due documenti del Concilio sono dogmatici (la Lumen gentium e la Dei Verbum) tutti gli altri non lo sono!!


B) Che c’entrano col Concilio
le opinioni largamente devianti e gli errori di Hans Kung (cfr. E.V. 6/1977-1979. nn. 1946-1951, pp. 1299-1301), di Leonardo Boff (cfr. EV. 9/1983-1985, n. 1426-1430, pp.l387-1390), di Padre Bulànyi (cfr. E.V., 10/1986-1987, nn. 871-893, pp. 646-659), di padre Jacobi Pohier (cfr. EV., 6/1977-1979, nn. 1270-1271, pp. 889-891), di Mons. Marcel Lefebre (cfr. E.V. I l/1988-l989/ n. 1196-1205, pp. 692-7055), e infine quelle di Eddward Shillebeecks sul laico che può essere ordinato prete dalla comunità locale (E.V., 9/1983-1985, un. 832-835, pp. 831-835)? Cosa c’entrano col Concilio le farneticanti opinioni: "Gesù non voleva i sacerdoti" (Adista 2/5/2001). Il Concilio ha chiaramente affermato la sacramentalità dell’episcopato del presbiterato e del diaconato (Lumen gentiurn, Cap. III; cfr. L.G. n.10-11;: P.O. n.1 b; n. 2 b-c-d; n. 3).
Perché ci si vuole mettere contro il Concilio? [SM=g1740730]


Le opinioni devianti di Franco Barbero, di Eugen Drewermann, del Vescovo Gaillot, gli "insegnamenti di teologia morale che mettono in discussione l’intero patrimonio morale della Chiesa, le posizioni teologiche dissonanti dalla fede della Chiesa, insegnate addirittura anche in Seminari e Facoltà teologiche" (Giovanni Paolo II, Veritatis splendor, n. 4); le filosofie contestate dal Papa nell’enciclica "Fides et Ratio" (cfr. nn. 87-90), tra cui il marxismo? È sconcertante e fuori luogo, contestare l’enciclica "Fides et Ratio" e definire Lutero addirittura "profeta cattolicissimo" Adìsta (30/1/1999) e anche schierarsi a favore dell’eutanasia addirittura citando motivi teologici (Adista 17/2/2201)


 

PRETI COMUNISTI[SM=g1740729]


C)
Cosa c’entrano col Concilio poi tutti i vari preti (più o meno anche variamente mascherati), compromessi col comunismo di ieri e di oggi, integro, modificato o aggiornato che sia! Cosa c’entrano col Concilio questi catto-comunisti (culturalmente più comunisti che cattolici!) o altri personaggi squalificati o alla deriva, come questi? Ricordo che, sempre il Concilio, aveva indicato: "I presbiteri non si mettano mai al servizio di una ideologia o umana fazione ma, come Araldi del Vangelo e Pastori della Chiesa, si dedichino pienamente all’incremento spirituale del Como di Cristo" (Presbiterorum ordinis, n. 6 g). Tutti ricorderanno il caso dell’abate di San Paolo fuori le Mura a Roma, Giovanni Franzoni che invitò a votare per l’aborto, il divorzio si presentò nelle liste del PCI (allora, nel 1976, marxista-leninista) e che ha lasciato il sacerdozio e la vita religiosa, è andato in Giappone dove ha sposato una sindacalista, ovviamente, della CGIL giapponese.

Il Concilio aveva chiaramente condannato non solo il comunismo (Gaudium et Spes, n. 21, nota 16 nella quale è citata tutta la Divini redemptoris di Pio XII e non solo un pezzettino) ma anche tutti i regimi totalitari (Gaudium et Spes. n. 73 e).

Giovanni XXIII nella Mater et Magistra ha ribadito che tra comunismo e cristianesimo c’è un’opposizione radicale (n. 22). Papa Paolo VI nella Octogesima adveniens ha messo in guardia da collaborazioni sbagliate sia con qualsiasi ideologia (nn. 26-37, cfr. in particolare il n. 34; cfr. nn. 48-50) sia con chi promuove una falsa antropologia, un falso umanesimo, per evitare il pericolo che essi conducano a particolarismi egoistici e a totalitarismi oppressori (n. 49). La stessa posizione di inconciliabilità l’ha riaffermata il C.C.C., al n. 2425 e al n. 676. L’incompatibilità tra cattolicesimo e comunismo è riconosciuta chiaramente persino dagli esponenti della sinistra di oggi: sono solo i catto-comunisti che hanno ancora gli "occhi chiusi". Venerdì 1 agosto 2003, Lidia Ravera, sul suo quotidiano l’Unità, scrive un articolo per contestare il Vaticano e il documento che dice "no" alle coppie gay, ed esordisce con una "professione di fede" che indica con chiarezza la distanza tra le nostre culture: "Noi laici /.../ ci piaceva marciare insieme ai cattolici /.../ anche se sono di culture lontane e apparentemente inconciliabili con la nostra" (p. 1).


D)
Il Concilio Vaticano II non ha niente a che vedere con l’aborto (Gaudium et Spes, n. 51 c), il divorzio (Gaudium et Spes, n. 47 b), l’eutanasia (Gaudium et Spes, n. 27 c), i matrimoni gay (cfr. Gaudium et Spes, un. 48-50), i laici che "celebrano" la Messa, i preti culturalmente comunisti (cfr. Presbyterorum ordinis, n. 6 g). Le indicazioni del Concilio sono chiare e semplici, la loro applicazione, invece, e stata in alcuni ambiti, spesso confusa o falsa. Visto che si fa continuamente riferimento al Concilio, cerchiamo di rispettarlo e di metterlo in pratica, invece di travisarlo o tradirlo.


E)
Il cattolico autentico vive e promuove una comunione a quell’unica Chiesa Cattolica guidata in modo mirabile, profetico e autentico da quel grandissimo profeta del nostro tempo che è il Papa Giovanni Paolo II.

Papa Giovanni Paolo II (così come i Papi che lo hanno preceduto) è la vera guida e l’interprete autentico del Concilio Vaticano II. Noi non possiamo accettare chi ci propone una specie di Chiesa sostituiva e abusiva a quella guidata da Papa Giovanni Paolo II ed esalta falsi maestri, falsi profeti oppure false posizioni, in contrasto col Concilio e col Catechismo della Chiesa Cattolica.


Tutta la Redazione del giornale ritiene e crede che il Concilio Valicano II autentico lo interpretano il Papa (tutti i Papi) con i vescovi in comunione con lui e non i singoli teologi, sacerdoti, vescovi, tantomeno faziose agenzie giornalistiche o addirittura personaggi squalificati e sospesi a divinis o scomunicati.


5) INFEDELTÀ NEI CONFRONTI DEL VERO CONCILIO[SM=g1740730]


1) Il Concilio aveva detto che i cristiani dovevano risanare, se ce n’erano, le istituzioni e le condizioni del mondo che spingono i costumi al peccato. Ricordandosi che in ogni cosa temporale devono essere guidati dalla coscienza cristiana, poiché nessuna attività umana, neanche nelle cose temporali, può essere sottratta al comando di Dio" (Costituzione dogmatica, Lumen gentium, n. 36 c-d).

Sempre il Concilio aveva detto che i laici devono ordinare le cose temporali secondo Dio, illuminandole ed ordinandole in modo che sempre siano fatte secondo Cristo (Lumen gentium, n. 31).

Dopo il Concilio invece questa pura dottrina del Concilio è stata falsamente giudicata da quanti erano compromessi col secolarismo, come se fosse una forma di integralismo. Rinnegando così la fede e il Concilio, c’è stata da parte di costoro, una corsa a prostituirsi con le ideologie di moda cedendo ad una visione schizofrenica della vita politica rispetto la fede. Comportandosi così da "mercenari" hanno fatto non solo entrare il "lupo" del secolarismo e del paganesimo, ma si sono convertiti al modernismo e al secolarismo. Invece della pura dottrina del Concilio negli anni successivi al Concilio questi cristiani infedeli, hanno contribuito a far approvare leggi che non solo "spingono i costumi al peccato", ma sono peccato in sé stesse: l’aborto è un crimine, un delitto, un assassinio, mai potrà diventare un diritto!! La legge sul divorzio è stata presentata addirittura da un democristiano (insieme ad un socialista) e il democristiano Andreotti ha firmato la legge sull’aborto, sebbene oggi riconosca che è stato un errore e che se tornasse indietro non lo farebbe più. Tanti cattolici infedeli hanno contribuito a far approvare queste due leggi inique.


2) Il Concilio aveva chiesto di prendere S. Tommaso come guida e maestro negli studi teologici, (cfr. Optatam totius, n. 16; Gravissimum educationis, n. 10) invece, dopo il Concilio, l’indicazione del Concilio è stata largamente disattesa e addirittura combattuta: c’è stata una vera e propria "caccia" al tomista e a far fuori il tomismo, una specie di nuova "caccia alle streghe". C’è voluto il grande Giovanni Paolo II, con la Fides et Ratio, a ricordare agli "smemorati" e agli "infedeli" l’insegnamento del vero Concilio sul tomismo essenziale.


3) Il Concilio aveva chiaramente detto che l’impegno in politica spetta ai laici (Apostolicam actuositatem. n. 13: n. 7 f-g; Lumen gentium. n. 31; n. 36; Gaudium et Spes, n.43; nn. 73-76) secondo la dottrina sociale della Chiesa (Apostolicam actuositatem, n. 31,2) e invece dopo il Concilio, tanti preti si sono addirittura presentati come candidati nelle liste del PCI o della sinistra extraparlamentare e, una pane di loro, è stata anche eletta!


4) Nel Decreto Perfectae caritatis il Concilio aveva detto che ogni istituto religioso doveva tornare allo spirito primitivo degli istituti stessi (n. 2 a), e di interpretare e osservare lo spirito e le finalità propria dei Fondatori, come pure le sane tradizioni (n. 2 c). È stato fatto? La crisi di questi anni come ha riguardato i preti diocesani ha toccato anche una parte dei religiosi, che nei casi denunciati o ha abbandonato il convento oppure si è compromessa con la falsa teologia della liberazione che fa capo al "religioso" Leonardo Boff. Se ne trova traccia nelle testimonianze di religiosi seri ed equilibrati. Un esempio di come il secolarismo può incidere anche nella vita della Chiesa ce lo indica Raniero Cantalamessa: "Ci sono dei pastori che sono, di fatto, ritornati al servizio delle mense. Si occupano di ogni sorta di problemi materiali, economici, amministrativi, talvolta perfino agricoli, che esistono nella loro comunità (anche quando si potrebbero benissimo lasciar fare ad altri) e trascurano il loro vero, insostituibile servizio. Il servizio della Parola esige ore di lettura, studio, preghiera". (Raniero Cantalamessa, I misteri di Cristo nella vita della Chiesa, Editrice Ancora, Milano, 1992, pp. 354-355).

Un altro aspetto della incidenza negativa del secolarismo può essere costituito dal cattivo esempio di un religioso che trascura il suo carisma (cfr. Lumen gentium, nn. 43-47) per dedicarsi solo ad attività sociali che, pur buone, sono però il campo d’azione specifico dei laici come insegna il Concilio Vaticano II (Lumen gentium, n. 31; 36 b-c-d; Gaudium et Spes, n. 43 d; n. 72; Decreto sull’Apostolato dei laici, a. 7 f-g). I Religiosi che trascurano il loro carisma profetico per dedicarsi solo ad opere di assistenza sociale mostrano di ignorare che la dimensione sociale è importante, ma non deve essere a scapito della dimensione mistica e contemplativa.


Tutto questo non ha niente a che vedere col Concilio né con la sua corretta applicazione.


Alcuni religiosi, con la loro controtestimonianza non sono tornati allo spirito dei fondatori ma allo spirito di prostituzione e di compromesso col mondo secolarizzato e con le sue ideologie di moda.


 

LITURGIA


5) Il Concilio, nella Sacrosanctum concilium aveva detto che la Messa e la ripresentazione del sacrificio di Cristo (n. 47); dopo il Concilio si è fatto a gara ad allontanarsi da questa splendida definizione e a cercare di trasformare la messa solo in un ricordo, solo in un banchetto, alla maniera protestante. C’è voluto Giovanni Paolo II, nella sua recente enciclica sull’Eucaristia, per ristabilire e ribadire l’insegnamento del vero Concilio. Il Concilio, nella stessa costituzione, aveva dichiarato che "la Chiesa riconosce il canto gregoriano come canto proprio, perciò nelle azioni liturgiche, a parità di condizioni, gli si riservi il posto principale" (n. 116). Aveva anche indicato che si "conservi e si incrementi con grande cura il patrimonio della Musica sacra. /.../ e che in ogni azione sacra celebrata in canto tutta l’assemblea dei fedeli possa dare la sua partecipazione attiva" (n. 114). E stato fatto? Si è assistito invece, proprio dopo il Concilio, ad una violenta eliminazione del gregoriano, per far posto a "messe beat" e a "complessini e musica rock" in Chiesa.


Sempre la stessa costituzione aveva indicato: "Si possa concedere, nelle Messe celebrate con partecipazione di popolo, una congrua parte alla lingua volgare, specialmente nelle letture e nella "Orazione comune", e, secondo le condizioni dei vari luoghi, anche nelle parti spettanti al popolo. Si abbia cura però che i fedeli sappiano recitare e cantare insieme, anche in lingua latina, le parti dell’Ordinario della Messa che spettano ad essi" (n. 54). "L’uso della lingua latina, salvo diritti particolari, sia conservato nei riti latini. /.../ Si possa concedere alla lingua volgare una parte più ampia, specialmente nelle lettura e nelle ammonizioni, in alcune preghiere e canti" (n.38). Proprio dopo il Concilio, invece, si è assistito ad una completa scomparsa e ad una vera persecuzione contro queste indicazioni con l’uso totale della lingua volgare. Mentre il Papa a Pasqua, a Natale e nelle solennità celebra la Messa, a S. Pietro - in parte in Latino come dice il Concilio - se uno di noi fa lo stesso viene guardato sempre con diffidenza e squalificato come fosse espressione di oscurantismo e di infedeltà. Un maggiore equilibrio e una maggiore fedeltà ai testi del Concilio avrebbe evitato unilateralità e squilibri. Sempre la Sacrosanctum concilium aveva chiesto che la pietà popolare fosse valorizzata, sebbene ordinata in modo da essere in armonia con la Sacra Liturgia (n. 13). Invece proprio dopo il Concilio si è assistito ad una vera e propria battaglia di tipo "iconoclasta" contro le devozioni e la pietà polare.


 

DOTTRINA CATTOLICA


6) Il Concilio non aveva intenzione di ...riscrivere il catechismo, ma all’interno dei fini che si era posti, ribadì punti fondamentali quali quelli sulla Creazione e sul peccato originale (L.G.,2; Gs, 13); sulla concezione verginale di Gesù da Maria (LG, 52-53; n. 57); la soddisfazione operata da Gesù al Padre (SC, 5; LG. 28 b: PO, 13;) sul sacrificio della Croce perpetuato nel sacrificio della Messa (LG, 3; SC, 47-48); la presenza reale e la conversione eucaristica (LG. 26; GS. n. 38,e); la Messa offerta per le mani dei sacerdoti (LG, 11,b; 28,a;) sulla natura sacramentale del sacerdozio ministeriale o gerarchico (LG, 10,b; 11 b; nn. l8-29; PO. nn. 1-11); sull’infallibilità della Chiesa (LG, 25; 18,b; 22; CD, n. 2); sull’escatologia (LG, nn.48-51); sul matrimonio e la morale coniugale (GS, nn. 47-52); sui sacramenti (LG, n. 11; SC, n. 59). Questi punti fondamentali, nonostante fossero chiaramente ribaditi dal Concilio, dopo il Concilio furono stranamente messi in discussione. Tutto questo non ha niente a che vedere col Concilio né con la sua corretta applicazione.


7) IMPORTANTE PRECISAZIONE


Prima di procedere a ulteriori argomentazioni ribadiamo ancora una volta che tutto quanto è documentato in queste pagine non vuole significare che in questo periodo c’è stato solo confusione o solo sbandamenti dottrinali, né vuol significare che dappertutto operano solo deviazioni: affermazioni di questo genere costituirebbero una falsa prospettiva e sarebbero assurde già nella loro formulazione, perché contrarie alla verità dei fatti e alla vita della Chiesa. Questo lavoro non vuole trascurare gli aspetti positivi di questo periodo (sono a tutti noti, ma ritiene di doversi soffermare a denunciare chiaramente i danni prodotti dall’ideologia dell’anticoncilio Dopo il Concilio c’è stata una parte sana che ha cercato con impegno e sincerità di mettere in pratica gli orientamenti del Concilio; ma c’è stata anche un’altra parte, che ha lavorato fraintendendo il Concilio, e stravolgendolo nei suoi contenuti autentici. Questa parte faziosa, là dove è ancora presente, cerca di negare la storia autentica di questo periodo, e di evitate che si faccia verità su di esso. Di qui la necessità di offrire una documentazione corretta e rispettosa della verità sui fatti di questo periodo.


8) LE DENUNCE FORTI DI GIOVANNI PAOLO II[SM=g1740730]


Se abbiamo ancora qualche dubbio leggiamo e approfondiamo.

Il Papa Giovanni Paolo II in un Discorso del 1981 è forte, chiaro e incisivo: "Bisogna ammettere realisticamente e con profonda e sofferta sensibilità che i cristiani oggi in gran parte si sentono smarriti, confusi, perplessi e perfino delusi, si sono sparse a piene mani idee contrastanti con la Verità rivelata e da sempre insegnata; si sono propalate vere e proprie eresie, in campo dogmatico e morale, creando dubbi, confusioni, ribellioni, si è manomessa anche la Liturgia; immersi nel "relativismo" intellettuale e morale e perciò nel permissivismo, i cristiani sono tentati dall’ateismo, dall’agnosticismo, dall’illuminismo vagamente moralistico, da un cristianesimo sociologico, senza dogmi definiti e senza morale oggettiva. Bisogna essere Buoni Samaritani di ogni uomo /.../ Oggi bisogna ricominciare tutto da capo, dai "preamboli della fede" fino ai "novissimi", /.../ E’ necessario formare le intelligenze, con ferme ed illuminate convinzioni, perché solo cosi si possono formare le coscienze. /.../ Per ottenere questi effetti ci vuole fermezza di dottrina, ma soprattutto bontà di cuore!" (Discorso ai Convegnisti di "Missioni al popolo per gli anni ‘80" di Venerdì 6 febbraio 1981; Insegnamenti di Giovanni Paolo II, Libreria Editrice Vaticana, volume IV, 1 /gennaio-giugno/ 1981, pp. 235-236). Tutte queste deviazioni denunciate dal Pontefice, non hanno nulla a che vedere col Concilio ne con la sua corretta applicazione.


9) SINTESI RIASSUNTIVA


Possiamo rilevare. nel periodo che stiamo analizzando, tre caratteristiche: * questi errori sono tutti diffusi in un periodo particolare (1965- 1985); * riguardano. più o meno, gli stessi temi, * e sono una ripresentazione, aggiornata, di errori prodotti dalla mentalità di fondo del modernismo. "Lo stesso J. Maritain nel suo ultimo libro importante, "Il contadino della Garonna" (1966; traduzione italiana ritardata al 1969) ha parlato, riprovandolo, di un "neo-modernismo" inaspettatamente scatenatosi nella Chiesa, a confronto del quale quello che al principio del secolo preoccupava tanto, non fu che "un modesto raffreddore da fieno" (Eugenio Corti, Il Timone, Bimestrale di formazione e informazione apologetica, Anno II, n. 6, Marzo-Aprile 2000, p. 5 ).

Nei venti anni presi in considerazione cioè il periodo 1965-1985 (e in alcuni casi il fenomeno e ancora attuale) i punti della fede contestati sono sempre gli stessi, si assiste ad un ritornello di negazioni o di errori, quasi sempre identico. Nelle prossime puntate approfondiremo altri temi interessanti, fra cui: vero e falso ecumenismo e dialogo interreligioso; secolarizzazione della figura del prete, la caduta della metafisica; chi semina Marx, raccoglie Krishna; strategie settarie e deviazioni dell’anti-concilio; sintesi riassuntiva delle infedeltà dell’anti-concilio o meta-concilio come l’ha chiamato Mais. Philippe Deihaye, nel 1980 segretario della Commissione Teologica Internazionale, in una stia bella conferenza dal titolo: "Meta Concilio: la mancanza di discernimento".

La Direzione

Da n.14 - ottobre 2003 (per maggiori informazioni cliccare QUI).
Pubblicato da "Profezie per il Terzo Millennio" su autorizzazione del direttore di redazione di "Fede e Cultura", don Guglielmo Fichera.[SM=g1740721]



Caterina63
00mercoledì 7 gennaio 2009 10:48

CONCILIO E ANTI-CONCILIO

(Seconda parte)

Il Concilio Vaticano II è stato un Concilio Pastorale. Nessun cambiamento dottrinale. Le nuove sfide potrebbero richiedere nuove risposte pastorali. Dove il vero Concilio ha preso piede, lì c’è stata una nuova e vera primavera dello Spirito. Dove ha prevalso l’anti-concilio c’è stata una crisi paurosa.

IL CRISTIANESIMO VA IN CRISI PER LE INFEDELTÀ INTERNE DEI CRISTIANI[SM=g7581]


La crisi nasce e deriva innanzitutto dai tradimenti interni, dai tanti, troppi "Giuda". Le crisi sono dovute innanzitutto ad infedeltà interne. Il cristianesimo non è attaccabile dall’esterno, I primi cristiani erano pochi, venivano perseguitati, erano uccisi, eppure... crescevano ogni giorno di più. Tertulliano giustamente diceva che "il sangue dei martiri è seme dei cristiani". La crisi non è mai dovuta solo all’influsso di fattori esterni, ma è dovuta, innanzitutto, sempre a cedimenti interni, alle infedeltà dottrinali oppure alle infedeltà nei comportamenti dei cristiani. C’è sempre un Giuda che vende Gesù per 30 denari. Ci sono sempre dei traditori.

NON TROVIAMO SCUSE. [SM=g1740730]

Il contadino sa che l’albero è aggredito dai parassiti solo quando si indebolisce! Riconosciamo con umiltà che tante volte, o qualche volta, invece di catechizzare il mondo, ci siamo fatti catechizzare dal mondo. Il compromesso col mondo si paga con una crisi paurosa. Il compromesso con gli idoli, con tutti gli idoli, si paga con la morte.

LA VERA MEDIAZIONE NON COMPROMETTE I VALORI FONDAMENTALI


La mediazione riguarda l’atteggiamento verso le persone, riguarda il modo di porgere le verità della fede, ma non riguarda i valori fondamentali, le verità fondamentali. Ecco perché il vero pericolo è la secolarizzazione dentro la Chiesa, e per questo è necessario capirne le caratteristiche. Il pericolo non è il paganesimo che è "fuori" di noi; il vero pericolo è il paganesimo che si infiltra "dentro" di noi! Il compromesso con gli idoli, con tutti gli idoli, si paga con la morte. Il Concilio Vaticano II, per affrontare la sfida del secolarismo, ha promosso un aggiornamento nel modo di proporre la fede agli uomini del nostro tempo, ma non, certamente, un cambiamento della fede. La mediazione riguarda il modo di porgere alle persone le fede di sempre: ma non c’è nessuna mediazione verso gli idoli, verso i falsi valori, verso le ideologie, verso i falsi miti di ieri e di oggi di ogni tempo, verso le false speranze, verso i falsi messianismi, verso tutte le "droghe". La risposta alla crisi è sempre la ripresa dell’autentica identità cattolica.

PAPA PAOLO VI E IL SECOLARISMO


Il Papa Paolo VI ha così sintetizzato le caratteristiche di questo secolarismo: "La novità diventa spesso criterio di verità /.../ si diventa imitatori delle mode /.../ gregari di chi osa e più si distacca dal senso comune. /.../ Si cade nel relativismo, nello storicismo, nell’esistenzialismo, che si ferma a ciò che esiste, senza cercarne la misura nella verità e nell’onestà. /.../ un fenomeno di debolezza ci investe tutti" (Udienza generale del 14 gennaio 1970).


ESPELLERE L’ANTI-CONCILIO[SM=g1740722]


Sal 51,9: "Purificami con issopo e sarò mondato, lavami e sarò più bianco della neve". L’issopo è una pianta espettorante ed essudativa, oltre che amara. Essere purificati con issopo quindi significa espellere, come col sudore, il male: significa "sputare" gli idoli.

Fino a quando l’idolo non è espulso, infatti, la parola di Dio non "entra", non si incarna.

Allontanarsi dal dono di Dio significa l’esilio nel "paese degli idoli". La caduta nell’idolatria, la perdita dell’unità e la deportazione in Babilonia (simbolo della confusione, dello smarrimento, della schiavitù) è la parabola discendente inevitabile sia per l’antico Israele che per il nuovo Israele. Una volta persa la "bussola" della Verità, è inevitabile il naufragio nel "paese degli idoli", nel supermercato delle sette. "Il pericolo maggiore /.../ non consiste anzitutto nell’attività delle sette ma piuttosto nello scetticismo verso la verità e nell’indifferentismo religioso, /.../ che vanno di pari passo con il secolarismo. Nella misura in cui questi atteggiamenti si traducono nei costumi sociali e nelle strutture politiche, cresce per la Chiesa la necessità di "una nuova evangelizzazione" (LEXICON, Dizionario Teologico Enciclopedico, Piemme, 1993, p. 950).


 

A) SECOLARIZZAZIONE DELLA FIGURA DEL PRETE


Si ha secolarizzazione della figura del prete, quando il sacerdote invece di essere "maestro della Parola, ministro dei sacramenti e guida della comunità in vista del terzo millennio cristiano" (cfr. Documento della Congregazione per il clero, 19/3/1999) è ridotto ad organizzatore del sociale ecclesiastico, a leader ed organizzatore di gruppi e di attività. C’è secolarizzazione quando il sacerdote, invece di essere il primo evangelizzatore e il primo catechista, invece di essere il padre spirituale e la guida della comunità, invece di essere profeta ed educatore è ridotto a "coordinatore del consenso della base". Il secolarismo mira a far sparire la dimensione del sacro e la dimensione mistica: il secolarismo toglie al sacerdote la sua caratteristica di persona sacra, di realtà mistica.


 

B) CONFUSIONE DEI RUOLI


Il secolarismo induce, inoltre, confusione dei ruoli anche nella Chiesa: accade così che ci siano preti che vogliono fare i laici e laici che vogliono fare i preti! La confusione dei carismi non arricchisce, ma impoverisce la Chiesa.


 

C) VIOLAZIONI DEL DIRITTO ALLA VITA


I cattolici che hanno praticato l’aborto, che hanno spinto altri a metterlo in atto e a realizzarlo, sono colpevoli. Quanti cattolici hanno votato a favore nel referendum sull’aborto?


 

D) DISINTERESSE VERSO LA POVERTÀ DI MOLTI PAESI


C’è stata complicità di cattolici con l’indifferenza e il disinteresse, non solo verso la povertà materiale, ma anche verso la povertà culturale, la povertà di diritti civili. Si pensi, ad esempio, ai paesi dove sono gravi le mancanze di rispetto dei diritti fondamentali della persona. Si pensi, senza andare neanche tanto lontano, alla povertà di rispetto della dignità della persona (prostituzione, pedofilia, pornografia, ecc.).


 

E) LA CADUTA DELLA METAFISICA[SM=g7581]


La caduta della metafisica è stato un fenomeno incontestabile, non solo fuori della Chiesa, ma anche nella Chiesa (cfr. Fides et Ratio, n. 55, n. 83-84, nn. 92-99). La svalutazione in generale della filosofia è da mettere in relazione anche alla ipervalutazione della prassi (e alla diffusione delle filosofie della prassi) e al fatto che è di moda una specie di "idolatria dell’esperienza" che svaluta il momento della riflessione e del discernimento. Come può esistere, infatti, un’idolatria della ragione, così può esistere anche un’idolatria dell’esperienza. E necessario smetterla cioè di fidarci solo di: "Io sento. Io sento. Io sento. Io sento". Bisogna rivalutare e aggiungere: "Io penso. Io medito. Io rifletto. Io faccio discernimento. Io approfondisco con ricerche personali"! Non è possibile fermarsi alla sola esperienza. Bisogna passare "dal fenomeno al fondamento. Non è possibile fermarsi alla sola esperienza" (Fides et Ratio, n. 83).


 

F) CADUTA DELL’ASCETICA[SM=g7556]


Nel periodo che stiamo analizzando, c’è stato un clima di deprezzamento, se non di disprezzo, verso l’ascetica, che invece è una dimensione sempre presente nella vita cristiana. La virtù della penitenza infatti è intrinseca al cammino costante di conversione del cristiano. Abbandonare l’ascetica significa allora "abbandonare" il sano equilibrio cattolico tra abbandono alla grazia e impegno ascetico personale, entrambi attestati nel Vangelo.


 

G) DEPREZZAMENTO DELLA PIETÀ MARIANA


Il Concilio aveva esortato "i figli della Chiesa ad avere in grande stima le pratiche e gli esercizi di pietà verso la Vergine SS., raccomandati lungo i secoli dal Magistero della Chiesa" (Lumen gentium, n. 67). Il Papa Paolo VI nell’enciclica Christi Matri aveva precisato: "Il Concilio /.../ sebbene non espressamente, ma con chiara indicazione, ha infervorato l’animo di tutti i figli della Chiesa per il Rosario" (Dizionario Enciclopedico di Spiritualità, a cura di Ermanno Ancilli, Ed. Città Nuova 1990, vol. 2, pp. 1504-1505). Invece dopo il Concilio, contro le indicazioni del Concilio, si è lavorato non solo in ambienti teologici, per deprezzare o addirittura eliminare, il S. Rosario. C’è voluto Giovanni Paolo II con la sua lettera apostolica "Rosarium virginis Mariae", per ricordare a tutti il vero insegnamento del Concilio sul Rosario.


 

H) UNA CERTA SVALUTAZIONE DELLA PREGHIERA PERSONALE


Il Concilio, nella Sacrosanctum concilium, dopo aver parlato dell’importanza della partecipazione dei fedeli alla preghiera liturgica, aveva ribadito la stima e il valore della preghiera personale. "La vita spirituale tuttavia non si esaurisce nella partecipazione alla sola Liturgia. Il cristiano, infatti, benché chiamato alla preghiera in comune, è sempre tenuto ad entrare nella sua stanza per pregare il Padre in segreto (Mt 6,6); anzi, secondo l’insegnamento dell’Apostolo, è tenuto a pregare incessantemente (1 Tess 5,17). Il medesimo Apostolo poi c’insegna a portare continuamente nel nostro corpo i patimenti di Gesù morente, affinché la vita di Gesù si manifesti nella nostra carne mortale (2 Cor 4,10-11)" (Sacrosanctum concilium, n. 12). Invece, dopo il Concilio, contro le indicazioni del Concilio, si è assistito ad una certa svalutazione della preghiera personale, come se si trattasse di una preghiera di serie B, per esaltare invece solo tutto ciò che è comunitario, unica dimensione considerata di serie A.


 

STRATEGIA SETTARIA DELL’ANTI-CONCILIO


L’anti-concilio,
all’interno della Chiesa, si è accanito specialmente contro tre realtà: Tradizione, Magistero e tomismo: essi sono i tre "nemici" principali, i tre ostacoli che esso sentiva particolarmente opposti ai suoi sforzi di affermazione. Il secolarismo ha cercato di sostituire Tradizione, Magistero e Tomismo, col "carismatismo" (carismo-mania), col biblicismo e col ricorso costante all’esperienza soggettiva ed individuale. [SM=g1740730]

Per fare questo:


1)
Ha tentato di mettere la Chiesa "istituzione" contro una "Chiesa carismatica"; ha tentato di far apparire l’obbedienza al Magistero come "mancanza di personalità", come se si trattasse di persone "senza cervello" che, data la loro nullità, non possono far altro che "eseguire comandi". Ha tentato di opporre il "profetismo" al Magistero, disconoscendo che il Magistero è la profezia costante ed ordinaria della Chiesa. Ha cercato di sostituire con i presunti "profeti" i legittimi pastori (profetocrazia).

La contestazione del Magistero, sui temi di morale, è registrato all’inizio dell’Enciclica Veritatis splendor (n. 4).


2)
Ha tentato di mettere la Bibbia contro la Tradizione, cadendo cosi nel "biblicismo", cioè un uso settario della Sacra Scrittura. La Dei Verbum dice che Bibbia, Tradizione e Magistero vanno sempre insieme e sono così interconnessi che non stanno l’uno senza l’altro (nn. 9-10). Il biblicismo consiste in un uso della Bibbia senza il ricorso alla Tradizione e al Magistero. Il Papa Giovanni Paolo II nella "Fides et Ratio" ha detto che non mancano pericolosi ripiegamenti sul fideismo. C’è la "crisi del senso" e riappaiono razionalismo (la ragione senza la fede) e fideismo (la fede senza la ragione). Un’espressione assai diffusa di tale tendenza fideistica è il "biblicismo" che tende a fare della lettura della Sacra Scrittura o della sua esegesi l’unico punto di riferimento veritativo (cfr. n. 55). Se si identifica la parola di Dio con la sola Bibbia, ci si oppone al Concilio. La Bibbia non è il solo riferimento della Chiesa (D.V., 9-10). La Parola di Dio è colta nell’unità inscindibile Tradizione-Bibbia-Magistero, (DV., 10) (n.55 e 65 ). Che la Dei Verbum non sia stata sempre recepita con equilibrio lo attesta il Nuovo Direttorio Generale per la Catechesi, della Congregazione per il Clero, uscito nel 1997, nella Esposizione introduttiva: "La catechesi deve essere apprendimento e tirocinio di tutta la vita cristiana, che non è penetrata pienamente nella coscienza dei catechisti. Per quel che riguarda l’orientamento di fondo, il concetto conciliare di "Tradizione" ha un minore influsso come elemento realmente ispiratore. Di fatto, in molte catechesi, il riferimento alla Sacra Scrittura è quasi esclusivo, senza che la riflessione e la vita bimillenaria della Chiesa l’accompagni in modo sufficiente. La natura ecclesiale della catechesi appare, in questo caso, meno chiara. L’interrelazione tra Sacra Scrittura, Tradizione e Magistero, "ciascuno secondo il proprio modo" non feconda ancora armoniosamente la trasmissione catechistica della fede" (pp. 32-33). Come si organizzano interminabili e ripetitive "settimane bibliche" perché non si organizzano, con altrettanta convinzione, settimane liturgiche, settimane di approfondimento sui Padri della Chiesa, settimane d’approfondimento sui documenti del Magistero?


3)
Per avere il terreno di base adeguato alla diffusione dei due precedenti errori, l’anti-concilio ha tentato di esaltare l’esperienza soggettiva ed individuale (e per contraccolpo il comunitarismo), così da poter giustificare qualsiasi arbitrio.


4)
Infine ha tentato di "far fuori" il tomismo e di sostituirlo con altre filosofie più "maneggevoli" che consentissero compromessi. Mentre il Concilio aveva detto di prendere S. Tommaso d’Aquino come maestro per approfondire i misteri della fede (Optatam totius, 16) e per cogliere come "fede e ragione si incontrano nell’unica verità" (Gravissimum educationis, 10) (cfr. C.I.C., cann. 251-252), dopo il Concilio si è fatto a gara a "far fuori" il tomismo, cercando inutilmente di sostituirlo addirittura con filosofie inadeguate alla fede o incompatibili con la fede (marxismo, hegelismo, ecc).

Il papa Giovanni Paolo II nella "Fides et Ratio" ha ribadito:


1)
che è legittima la denominazione e l’esistenza della filosofia cristiana (n. 76);
2) la necessità di una buona metafisica (n. 83);
3) l’incomparabile valore della filosofia di san Tommaso (n. 57); i teologi tomisti hanno dato molto al Vaticano II (n. 58); san Tommaso d’Aquino, con ragione, può essere definito "apostolo della verità" (n. 44). Egli è proposto dalla Chiesa come maestro di pensiero, come guida e modello degli studi teologici perché è un modello per chi cerca la verità (cfr. Fides et Ratio, n. 43 e n. 78).


 

INTEGRARE ED ARMONIZZARE, NON ELIMINARE IL TOMISMO


È chiaro che il riferimento al tomismo non è esclusivo ma richiede sempre una integrazione, uno sviluppo, un arricchimento. Bisognava integrare il tomismo essenziale, non eliminare il tomismo. Bisognava aggiungere e armonizzare col tomismo altre dimensioni, come quella esistenziale e quella storica, bisognava aggiornare inserendo i contributi positivi della riflessione recente, ma non bisognava disprezzare e sostituire il tomismo con filosofie e categorie mentali non solo inadeguate alla fede, ma in alcuni casi, chiaramente incompatibili con la fede stessa (hegelismo, marxismo, ecc.). L’equilibrio indicato dal Magistero, in alcune parti, è mancato; e questo si è tradotto, globalmente, in una precaria e mediocre presenza culturale che, in molti casi, si riduce solo a riciclare e scimmiottare i falsi miti e gli slogan di moda.
Questa "caduta" culturale, questa "debolezza" intellettuale inclina al "modernismo", educa alla superficialità, modifica o falsifica i criteri di giudizio, predispone all’accettazione acritica degli idoli di moda.


 

ANTI-CONCILIO E FALSO ECUMENISMO[SM=g7574]


Il falso ecumenismo, non in principio ma di fatto, tace o nasconde le differenze, trascura o svaluta il primato della verità e quindi toglie la divisione tra ortodossia ed eresia. Come se i rapporti tra la Chiesa Cattolica e le chiese protestanti fossero una questione solo di scisma e non ci fossero anche gravi implicazioni dottrinali, cioè come se non ci fossero anche errori sul piano dottrinale di cui tener conto e anche eresia avente per oggetto proprio la natura della Chiesa. Un falso ecumenismo tratta il caso protestante come se fosse identico al caso delle Chiese ortodosse. E questo nonostante il Concilio, nel decreto sull’ecumenismo. avesse chiaramente indicato "I principi cattolici dell’ecumenismo" e quindi prima il fine dell’ecumenismo (Unitatis redintegratio, nn. 1-4) e poi ha differenziato il fine, dai mezzi per l’ecumenismo (Unitatis redintegratio, nn. 5-12) e nonostante il fatto che il Concilio ha indicato le differenze tra la Chiesa ortodossa e le confessioni protestanti (Unitatis redintegratio, nn. 13-24).


 

DEVIAZIONI DELL’ANTI-CONCILIO


Vediamone alcuni esempi concreti rilevati dal Magistero stesso e pubblicati nell’Enchiridion Vaticanum, la collezione dei documenti ufficiali della Santa Sede.


 

1) A PROPOSITO DI ALCUNE "CORREZIONI" AL CATECHISMO OLANDESE


Questo clima di incertezza e di confusione dottrinale si manifesta già ad un anno dalla fine del Concilio, anche se non con la grandezza delle fasi successive, in alcuni temi del famoso Catechismo olandese (1966). Una commissione di cardinali, nominata da Papa Paolo VI, individuò delle correzioni che il Catechismo doveva ricevere e stabilì che da quel momento esso doveva essere pubblicato completo delle correzioni.

I punti del Catechismo presentati in modo alterato riguardano i seguenti temi:

* Riguardo alla creazione: esistenza di puri spiriti: angeli e demoni; la creazione immediata delle anime umane

* Il peccato originale

* La concezione di Gesù da Maria in modo verginale

* La soddisfazione operata da Gesù Cristo al Padre

* Il sacrificio della Croce perpetuato nel sacrificio della Messa

* La presenza reale e la conversione eucaristica

* L’infallibilità della Chiesa e la conoscibilità dei misteri rivelati

* Il sacerdozio ministeriale o gerarchico e la potestà di insegnare e di governare nella Chiesa

* Alcuni punti di teologia dogmatica: la nostra conoscenza del mistero della SS. Trinità, efficacia dei sacramenti, la natura del miracolo, il mistero della vita dopo la morte; il giudizio e la purificazione finale; il mistero della visione di Dio.

* Alcuni punti di teologia morale: la legge morale oggettiva ed universale, l’indissolubilità del matrimonio, peccati mortali e veniali, rapporto tra coscienza ed atti esteriori, morale coniugale (EV 3/1968-1970/, nn. 668-684, pp. 360-377).


In seguito agli accordi tra Episcopato olandese e Santa sede, al Nuovo Catechismo Olandese, viene ora aggiunto, in appendice, un Supplemento che contiene le modifiche redatte secondo le indicazioni della Commissione Cardinalizia incaricata dell’esame dell’opera. Di fatto, in tutto il periodo successivo, saranno proprio le deviazioni in questi temi e questi punti (per niente corretti) le opinioni più diffuse da una falsa teologia anti-conciliare. Cosa
c’entrano col Concilio queste deviazioni dottrinali? Il Concilio è solo pastorale.


 

2) PUNTI DI ANTI-CONCILIO


* Cosa c’entra col Concilio l’opinione di Leonardo Boff che la "Chiesa come istituzione non stava nel pensiero del Gesù storico, ma è sorta come evoluzione posteriore alla risurrezione? (cfr. Chiesa, carisma e potere. p. 129).

Cosa c’entra col Concilio il suo relativismo ecclesiologico?
(cfr. E. V. 9/1983-1985, n. 1426, p. 1387). Cosa c’entra col Concilio il suo compromettere la fede con l’ideologia marxista, "sovvertendo la realtà religiosa e conducendo alla distruzione del senso autentico dei sacramenti e della parola della fede"? (Cfr. EV. 9/1983-1985, n. 1427-1430, pp. 1388-1390).

Cosa c’entrano col Concilio queste deviazioni? Il Concilio è solo pastorale.
 

* Cosa c’entra col Concilio l’opinione di Edward Schilleheeckx sul ministro straordinario dell’Eucaristia? Secondo l’opinione di questo autore, nei casi in cui manca il sacerdote la comunità locale avrebbe il potere di chiamare alcuni laici più qualificati, di istituirli sacerdoti, non nel senso di dare loro un permesso, ma proprio di ricevere il sacramento dell’ordine. Si avrebbe cosi il conferimento del sacramento dell’ordine che viene trasmesso loro "in un modo straordinario" senza l’inserimento nella successione apostolica. La comunità, così, in modo magico, si auto-attribuisce gli stessi poteri del Vescovo. Si capisce bene che in questo modo si intacca l’intera struttura apostolica della Chiesa e si deforma la stessa economia sacramentale della salvezza (cfr. EV. 9/1983-1985/, nn. 832-835, pp. 831-835).


Cosa c’entrano queste deviazioni dottrinali col Concilio? Il Concilio è solo pastorale.


* Cosa c’entra col Concilio l’opinione di Padre Bulànyi, ungherese, secondo il quale la differenza tra il sacerdozio ministeriale (prete) e quello comune (laici) sarebbe solo una distinzione di grado e non invece, come dice il Concilio, di essenza? Chi conduce una comunità sarebbe già prete, senza far riferimento al sacramento dell’ordine. Sacerdozio per le donne (cfr. EV. 10/1986-1987/ nn. 87 1-893, pp. 646-659).


Cosa c’entrano queste deviazioni dottrinali col Concilio? Il Concilio è solo pastorale.

* Cosa c’entrano col Concilio le opinioni di Hans Kung, secondo il quale non esiste l’infallibilità della Chiesa; il Magistero non è un punto di riferimento imprescindibile, non interpreta autenticamente il deposito della fede; l’Eucaristia, in alcuni casi di necessità, può essere consacrata validamente anche da un laico privo del sacramento dell’Ordine?

Per questi ed altri motivi il prof. H.Kung è stato destituito dal suo ufficio di teologo cattolico (cfr. EV. 6/1977-1979/ nn. 1946-1951, pp. 1299-1301). Di recente con l’opera "Ebraismo", H. Kung ha postulato una religione "costruita" con gli elementi comuni delle tre religioni monoteiste, cristianesimo, ebraismo e islamismo. Una specie di "minimo comun denominatore" tra le tre religioni, che trascura le differenze dottrinali fondamentali.


Cosa c’entrano queste deviazioni dottrinali col Concilio? Il Concilio è solo pastorale.


* Cosa c’entrano col Concilio le opinioni di padre Iacobi Pohier, secondo cui non c’è risurrezione corporea di Cristo, non c’è vocazione dell’uomo alla sopravvivenza, alla risurrezione, alla vita eterna; non c’è nella Bibbia un insegnamento oggettivo; non c’è Dio trascendente; non c’è presenza reale di Cristo nell’Eucaristia; non c’è un ruolo speciale del sacerdote nell’attuazione della presenza reale di Cristo nell’Eucaristia; non c’è infallibilità nella Chiesa ? (cfr. EV. 6/1977-1979/ nn. 1270-1271. pp. 889-891).


Cosa c’entrano queste deviazioni dottrinali col Concilio? Il Concilio è solo pastorale.


* Cosa c’entrano col Concilio le opinioni e gli errori di Mons. Marcel Lefebvre, il quale in nome della Tradizione... esce dalla Tradizione della Chiesa, ordinando senza l’autorizzazione del Papa, quattro Vescovi e quindi verrà scomunicato? (cfr. EV. 11/1988-1989/ n. 1196, pp. 692-695). Cosa c’entra col Concilio il suo rifiuto di ritenere valida la Messa detta di Paolo VI? Egli pensava che ci fosse una frattura del Concilio con la Tradizione tutta della Chiesa (cfr. EV 11/1988-1989/, nn. 1197-1205, pp. 696-705).


Cosa c’entrano queste deviazioni scismatiche col Concilio? Il Concilio è solo pastorale.


* Cosa c’entrano col Concilio gli insegnamenti di teologia morale che mettono in discussione l’intero patrimonio morale della Chiesa, e alcune posizioni teologiche dissonanti dalla fede della Chiesa, insegnate addirittura anche in Seminari e Facoltà teologiche? (cfr. Veritatis splendor, n. 4).


Cosa c’entrano queste deviazioni dottrinali col Concilio? Il Concilio è solo pastorale.


* Cosa c’entra col Concilio l’opinione dello scolopio padre Ernesto Balducci che nega l’istituzione divina del sacerdozio ministeriale? Per lui infatti, la Chiesa primitiva non conosceva dei funzionari sacri per compiere atti cultuali; solo in seguito sarebbero sopraggiunti i presbiteri. La Chiesa-istituzione si sarebbe così appropriata indebitamente di poteri cultuali che spetterebbero solo ed esclusivamente a tutto il popolo dei credenti. Il carattere sacerdotale non sarebbe di origine apostolica. Secondo lui la Chiesa al Vaticano II avrebbe deciso per conto suo di mettere in crisi la figura del sacerdote (cfr. Riflessioni sulla crisi del clero, Ulisse, a. XXII, voi. X, novembre 1969, Sansoni, Firenze, p. 198).


Cosa c’entrano queste deviazioni dottrinali col Concilio? Il Concilio è solo pastorale.


* Nel periodo che stiamo analizzando, i grossi tentativi di cambiamento riguardavano il sacerdozio ministeriale e il tentativo di ridurre la Messa solo a banchetto conviviale.


A) Il sacerdozio ministeriale
. La tendenza che si manifestava spingeva a sbiadire o negare la differenza essenziale tra sacerdozio ministeriale e sacerdozio comune o battesimale. Contemporaneamente si moltiplicavano i tentativi di modificarne il ruolo ma non nella direzione indicata dal Vaticano II, ma in quella della secolarizzazione.


 

LAICISMO[SM=g1740729]


Contemporaneamente è cresciuto il laicismo. Il laicismo non ha niente a che vedere col concetto di sana laicità cattolica, delineata dal Vaticano II (cfr. Lumen gentium. nn. 30-38; Sacrosanctum concilium, n. 19; n. 28; n. 30-31; n. 48; Gaudium et Spes, nn. 47-52; Decreto sull’Apostolato dei laici, nn. 1-33) (cfr. C.C.C., nn. 897-913). Il laicismo, invece, è la deviazione opposta al clericalismo: mentre nel clericalismo c’è un’ipertrofia e un dominio assoluto del ruolo e delle funzioni del prete, nel laicismo c’è ipertrofia e dominio assoluto del ruolo e delle funzioni del laico.


 

3) CRISI D’IDENTITÀ DEI SACERDOTI E DEI RELIGIOSI


Come non leggere come segno di questo disagio e di questa confusione, di questa crisi d’identità, sicuramente non attribuibile al Concilio, il fatto che nei 10 anni successivi al Concilio, 100.000 preti hanno lasciato il sacerdozio?

Lo stesso fenomeno di "crisi" ha investito anche una parte della vita religiosa. "Il Quebec (Canada) all’inizio degli anni ‘60 - dice il Card. Ratzinger - era la regione del mondo con il più alto numero di religiose, rispetto agli abitanti. Tra il 1961 e il 1981 le religiose si sono ridotte del 44% e questa caduta sembra inarrestabile. Le nuove vocazioni, infatti, si sono ridotte, nello stesso periodo, del 98,5%. Risulta che buona parte di quell’1,5% superstite è costituito non da giovani ma da vocazioni tardive" (Rapporto sulla fede, ed. cit., pp. 101-104).


Eugenio Corti
(l’autore del celebre "Cavallo Rosso") afferma che dal compromesso della fede con alcune idee di fondo sbagliate del secolarismo, sono derivate delle gravi conseguenze: "Per cominciare, una spaccatura nella cultura cattolica che ha portato alla sua paralisi. Poi — limitandoci ai soli accadimenti maggiori — una cessazione, nell’ambito delle società più avanzate, delle conversioni al cattolicesimo, che prima si contavano ogni anno a centinaia di migliaia.


Inoltre una crescente perdita della nostra identità, con conseguente caduta delle vocazioni religiose: nel giro di appena una decina d’anni i chierici nei seminari si ridussero alla metà, e in qualche diocesi addirittura ad un quinto o ad un sesto.

Negli ordini religiosi si ebbero colossali defezioni: tra i gesuiti 10.000 padri su 36.000 abbandonarono lo stato religioso; tra i domenicani (altro ordine culturalmente avanzato) la percentuale delle defezioni fu ancora più elevata. /.../ In pari tempo, l’Azione Cattolica italiana ha visto il numero dei propri membri precipitare da tre milioni a seicentomila" (Il Timone, Bimestrale di formazione e informazione apologetica, Anno II, n. 6, Marzo/Aprile 2000, p. 5).


Negli anni del secolarismo galoppante, si scherzava pensando di aggiornare, con questa barzelletta, i voti religiosi: 1) Castità temporanea; 2) Obbedienza facoltativa; 3) Povertà limitata in alcune ore e solo in alcuni ambienti.
Questo modo scherzoso esprimeva un certo clima culturale serpeggiante.


B) La Messa: solo banchetto.
 La tendenza presente nel periodo che stiamo analizzando, tendeva a ridurre la Messa solo a banchetto conviviale, solo ad un pasto tra amici, "all’esultazione dell’assemblea in comunione", solo ad una commemorazione in cui la comunità rende presente spiritualmente Gesù, negando o trascurando la dimensione sacrificale e, forse, la transustanziazione.

La stessa tendenza spingeva per una presenza solo spirituale, determinata dalla presenza della comunità, per cui cessata l’assemblea, cesserebbe anche la presenza di Gesù. Da qui la disistima e la esclusione del culto eucaristico fuori della Messa. Ricordiamo che tra le correzioni apportate al Catechismo Olandese dalla Commissione Cardinalizia nominata da Papa Paolo VI, si trovano le correzioni a proposito del sacrificio della Messa, cioè del sacrificio della croce perpetuato nel sacrificio eucaristico, della presenza reale e della conversione eucaristica (transustanziazione), sul cambiamento eucaristico e sulla permanenza della presenza eucaristica (Il Nuovo Catechismo Olandese, ed. cit.. Appendice, pp. 8-9 e pp. 52-60). Questa problematica la si ritrova, puntualmente, anche nel Rapporto sulla fede, alle pp. 136-139, dove si parla, appunto, della riduzione della Messa solo al banchetto, al pasto. di una comunità di amici; del tentativo si staccare l’Eucaristia dal legame necessario con il sacerdozio gerarchico, banalizzando cosi il Sacramento; e infine della caduta di adorazione davanti al tabernacolo. Questi temi sono inseriti proprio tra le denunce di abusi fatte da Giovanni Paolo II nella sua ultima enciclica sull’Eucaristia!


 

SINTESI RIASSUNTIVA


Nel periodo post-conciliare preso in considerazione, i punti della fede contestati sono sempre gli stessi, si assiste ad un ritornello di negazioni o di errori, quasi sempre identico:


* il peccato originale è una realtà sbiadita, taciuta o negata: se ne parla quasi con "vergogna" (cfr. Vittorio Messori, Le cose della vita. San Paolo, 1995, pp. 19-20).


* Oscuramento o negazione della divinità di Cristo (EV 4/1971-1973/ nn. 1561-1562, p. 983) e quindi anche della sua assoluta Signoria. Si è sbiadito o taciuto che Cristo è l’unico Salvatore.


* Trascuratezza, silenzio, svalutazione o assenza di approfondimento del mistero della Trinità, in qualche caso anche errori sulla Trinità (EV 4/1971-1973/, nn. 1566-1569, pp. 985-987).


* Svalutazione o disprezzo per il Magistero della Chiesa.
 

* Posizioni relativistiche di fronte alla rivelazione, di fronte alla Sacra Scrittura, oppure caduta nel fideismo, nel biblicismo, in qualche caso nel fondamentalismo.


* Tentativi di diversa natura per negare o modificare il sacerdozio gerarchico, cioè per eliminare la dimensione sacramentale del sacerdozio ministeriale. Ad esso si è accompagnato, in qualche caso, il tentativo di modificare il ruolo guida del prete nella comunità.


* Tentativi di negare o trascurare la dimensione sacrificale dell’Eucaristia, per ridurla solo a banchetto e a riunione conviviale tra amici; in alcuni casi tentativi di negare la permanenza di Cristo nell’Eucaristia, nelle specie, dopo la fine della Messa.


* La risurrezione di Cristo intesa solo in senso spirituale, oppure intesa solo come una lettura simbolica post-pasquale fatta dalla comunità.


* Tentativi di diverso segno per negare l’escatologia intermedia (non esisterebbero Paradiso, Purgatorio e Inferno per lo spirito immortale, ma solo la risurrezione finale).


* Indifferentismo religioso: tutte le religioni sarebbero uguali. L’unica Chiesa di Cristo potrebbe pure sussistere in altre Chiese cristiane.


* Relativismo etico: l’etica sessuale cristiana è stata la più colpita, la più contestata e quella nella quale il dissenso è stato molto diffuso.


* L’espressione "dottrina di Cristo" è vista solo come intellettualismo o solo come "lezione scolastica", invece che nel suo significato biblico autentico: è la posizione tipica del modernismo che svaluta la dimensione dottrinale della fede, a favore di un vago richiamo ad un sentimento religioso (anti-intellettualismo luterano).


Il Concilio si era riunito per affrontare la sfida della secolarizzazione: come mai, in seguito, c’è stata invece anche una teologia secolarizzata? Non certo perché il Concilio non avesse indicato la strada da seguire, ma perché non è stato ascoltato. Il Concilio è stato un Concilio pastorale, ha indicato le linee pastorali utili per affrontare le sfide dell’oggi. Nessun cambiamento dottrinale
.

Come mai, invece, dopo il Concilio, in evidente contrasto col Concilio, alcune componenti devianti hanno cercato di cambiare proprio la dottrina di sempre della Chiesa che Giovanni XXIII aveva dichiarato "certa ed immutabile"?


La Direzione



Da n.14 - ottobre 2003 (per maggiori informazioni cliccare QUI).
Pubblicato da "Profezie per il Terzo Millennio" su autorizzazione del
direttore di redazione di "Fede e Cultura", don Guglielmo Fichera.

[SM=g1740722]

Caterina63
00sabato 24 gennaio 2009 19:23
A quarant'anni dalla conclusione del concilio, nel 2005 Benedetto XVI ne chiarì l'interpretazione
 

Novità nella continuità



Papa Benedetto XVI il 22 dicembre 2005 - rivolgendosi ai cardinali, agli arcivescovi, ai vescovi e ai prelati della Curia romana in occasione degli auguri natalizi - tracciò le linee guida per una giusta interpretazione del concilio Vaticano II. Pubblichiamo un estratto di quel discorso.

Qual è stato il risultato del Concilio? È stato recepito nel modo giusto? Che cosa, nella recezione del Concilio, è stato buono, che cosa insufficiente o sbagliato? Che cosa resta ancora da fare?

Nessuno può negare che, in vaste parti della Chiesa, la recezione del Concilio si è svolta in modo piuttosto difficile, anche non volendo applicare a quanto è avvenuto in questi anni la descrizione che il grande dottore della Chiesa, san Basilio, fa della situazione della Chiesa dopo il Concilio di Nicea:  egli la paragona ad una battaglia navale nel buio della tempesta, dicendo fra l'altro:  "Il grido rauco di coloro che per la discordia si ergono l'uno contro l'altro, le chiacchiere incomprensibili, il rumore confuso dei clamori ininterrotti ha riempito ormai quasi tutta la Chiesa falsando, per eccesso o per difetto, la retta dottrina della fede..." (De Spiritu Sancto, xxx, 77; PG 32, 213 A; SCh 17bis, pag. 524).

Non vogliamo applicare proprio questa descrizione drammatica alla situazione del dopo-Concilio, ma qualcosa tuttavia di quanto avvenuto vi si riflette.
Emerge la domanda:  Perché la recezione del Concilio, in grandi parti della Chiesa, finora si è svolta in modo così difficile?

Ebbene, tutto dipende dalla giusta interpretazione del Concilio o - come diremmo oggi - dalla sua giusta ermeneutica, dalla giusta chiave di lettura e di applicazione. I problemi della recezione sono nati dal fatto che due ermeneutiche contrarie si sono trovate a confronto e hanno litigato tra loro. L'una ha causato confusione, l'altra, silenziosamente ma sempre più visibilmente, ha portato e porta frutti.

Da una parte esiste un'interpretazione che vorrei chiamare "ermeneutica della discontinuità e della rottura"; essa non di rado si è potuta avvalere della simpatia dei mass-media, e anche di una parte della teologia moderna. [SM=g1740730] Dall'altra parte c'è l'"ermeneutica della riforma", del rinnovamento nella continuità dell'unico soggetto-Chiesa, che il Signore ci ha donato; è un soggetto che cresce nel tempo e si sviluppa, rimanendo però sempre lo stesso, unico soggetto del Popolo di Dio in cammino. L'ermeneutica della discontinuità rischia di finire in una rottura tra Chiesa preconciliare e Chiesa postconciliare. Essa asserisce che i testi del Concilio come tali non sarebbero ancora la vera espressione dello spirito del Concilio. Sarebbero il risultato di compromessi nei quali, per raggiungere l'unanimità, si è dovuto ancora trascinarsi dietro e riconfermare molte cose vecchie ormai inutili.

Non in questi compromessi, però, si rivelerebbe il vero spirito del Concilio, ma invece negli slanci verso il nuovo che sono sottesi ai testi:  solo essi rappresenterebbero il vero spirito del Concilio, e partendo da essi e in conformità con essi bisognerebbe andare avanti. Proprio perché i testi rispecchierebbero solo in modo imperfetto il vero spirito del Concilio e la sua novità, sarebbe necessario andare coraggiosamente al di là dei testi, facendo spazio alla novità nella quale si esprimerebbe l'intenzione più profonda, sebbene ancora indistinta, del Concilio. In una parola:  occorrerebbe seguire non i testi del Concilio, ma il suo spirito.
In tal modo, ovviamente, rimane un vasto margine per la domanda su come allora si definisca questo spirito e, di conseguenza, si concede spazio ad ogni estrosità. Con ciò, però, si fraintende in radice la natura di un Concilio come tale. In questo modo, esso viene considerato come una specie di Costituente, che elimina una costituzione vecchia e ne crea una nuova.

Ma la Costituente ha bisogno di un mandante e poi di una conferma da parte del mandante, cioè del popolo al quale la costituzione deve servire. I Padri non avevano un tale mandato e nessuno lo aveva mai dato loro; nessuno, del resto, poteva darlo, perché la costituzione essenziale della Chiesa viene dal Signore e ci è stata data affinché noi possiamo raggiungere la vita eterna e, partendo da questa prospettiva, siamo in grado di illuminare anche la vita nel tempo e il tempo stesso. I Vescovi, mediante il Sacramento che hanno ricevuto, sono fiduciari del dono del Signore. Sono "amministratori dei misteri di Dio" (1 Corinzi, 4, 1); come tali devono essere trovati "fedeli e saggi" (cfr. Luca, 12, 41-48). Ciò significa che devono amministrare il dono del Signore in modo giusto, affinché non resti occultato in qualche nascondiglio, ma porti frutto e il Signore, alla fine, possa dire all'amministratore:  "Poiché sei stato fedele nel poco, ti darò autorità su molto" (cfr. Matteo, 25, 14-30; Luca, 19, 11-27).

In queste parabole evangeliche si esprime la dinamica della fedeltà, che interessa nel servizio del Signore, e in esse si rende anche evidente, come in un Concilio dinamica e fedeltà debbano diventare una cosa sola.
All'ermeneutica della discontinuità si oppone l'ermeneutica della riforma, come l'hanno presentata dapprima Papa Giovanni XXIII nel suo discorso d'apertura del Concilio l'11 ottobre 1962 e poi Papa Paolo VI nel discorso di conclusione del 7 dicembre 1965. Vorrei qui citare soltanto le parole ben note di Giovanni XXIII, in cui questa ermeneutica viene espressa inequivocabilmente quando dice che il Concilio "vuole trasmettere pura ed integra la dottrina, senza attenuazioni o travisamenti", e continua:  "Il nostro dovere non è soltanto di custodire questo tesoro prezioso, come se ci preoccupassimo unicamente dell'antichità, ma di dedicarci con alacre volontà e senza timore a quell'opera, che la nostra età esige (...)
È necessario che questa dottrina certa ed immutabile, che deve essere fedelmente rispettata, sia approfondita e presentata in modo che corrisponda alle esigenze del nostro tempo. Una cosa è infatti il deposito della fede, cioè le verità contenute nella nostra veneranda dottrina, e altra cosa è il modo col quale esse sono enunciate, conservando ad esse tuttavia lo stesso senso e la stessa portata" (S. Oec. Conc. Vat. ii Constitutiones Decreta Declarationes, 1974, pp. 863-865).

È chiaro che questo impegno di esprimere in modo nuovo una determinata verità esige una nuova riflessione su di essa e un nuovo rapporto vitale con essa; è chiaro pure che la nuova parola può maturare soltanto se nasce da una comprensione consapevole della verità espressa e che, d'altra parte, la riflessione sulla fede esige anche che si viva questa fede. In questo senso il programma proposto da Papa Giovanni XXIII era estremamente esigente, come appunto è esigente la sintesi di fedeltà e dinamica. Ma ovunque questa interpretazione è stata l'orientamento che ha guidato la recezione del Concilio, è cresciuta una nuova vita e sono maturati frutti nuovi. Quarant'anni dopo il Concilio possiamo rilevare che il positivo è più grande e più vivo di quanto non potesse apparire nell'agitazione degli anni intorno al 1968. Oggi vediamo che il seme buono, pur sviluppandosi lentamente, tuttavia cresce, e cresce così anche la nostra profonda gratitudine per l'opera svolta dal Concilio.

Paolo VI, nel suo discorso per la conclusione del Concilio, ha poi indicato ancora una specifica motivazione per cui un'ermeneutica della discontinuità potrebbe sembrare convincente. Nella grande disputa sull'uomo, che contraddistingue il tempo moderno, il Concilio doveva dedicarsi in modo particolare al tema dell'antropologia. Doveva interrogarsi sul rapporto tra la Chiesa e la sua fede, da una parte, e l'uomo ed il mondo di oggi, dall'altra (ibidem., pp. 1066 s.). La questione diventa ancora più chiara, se in luogo del termine generico di "mondo di oggi" ne scegliamo un altro più preciso:  il Concilio doveva determinare in modo nuovo il rapporto tra Chiesa ed età moderna. Questo rapporto aveva avuto un inizio molto problematico con il processo a Galileo. Si era poi spezzato totalmente, quando Kant definì la "religione entro la pura ragione" e quando, nella fase radicale della rivoluzione francese, venne diffusa un'immagine dello Stato e dell'uomo che alla Chiesa ed alla fede praticamente non voleva più concedere alcuno spazio.

Lo scontro della fede della Chiesa con un liberalismo radicale ed anche con scienze naturali che pretendevano di abbracciare con le loro conoscenze tutta la realtà fino ai suoi confini, proponendosi caparbiamente di rendere superflua l'"ipotesi Dio", aveva provocato nell'Ottocento, sotto Pio IX, da parte della Chiesa aspre e radicali condanne di tale spirito dell'età moderna. Quindi, apparentemente non c'era più nessun ambito aperto per un'intesa positiva e fruttuosa, e drastici erano pure i rifiuti da parte di coloro che si sentivano i rappresentanti dell'età moderna.

Nel frattempo, tuttavia, anche l'età moderna aveva conosciuto degli sviluppi. Ci si rendeva conto che la rivoluzione americana aveva offerto un modello di Stato moderno diverso da quello teorizzato dalle tendenze radicali emerse nella seconda fase della rivoluzione francese. Le scienze naturali cominciavano, in modo sempre più chiaro, a riflettere sul proprio limite, imposto dallo stesso loro metodo che, pur realizzando cose grandiose, tuttavia non era in grado di comprendere la globalità della realtà. Così, tutte e due le parti cominciavano progressivamente ad aprirsi l'una all'altra.

Nel periodo tra le due guerre mondiali e ancora di più dopo la Seconda Guerra Mondiale, uomini di Stato cattolici avevano dimostrato che può esistere uno Stato moderno laico, che tuttavia non è neutro riguardo ai valori, ma vive attingendo alle grandi fonti etiche aperte dal cristianesimo. La dottrina sociale cattolica, via via sviluppatasi, era diventata un modello importante tra il liberalismo radicale e la teoria marxista dello Stato. Le scienze naturali, che senza riserva facevano professione di un proprio metodo in cui Dio non aveva accesso, si rendevano conto sempre più chiaramente che questo metodo non comprendeva la totalità della realtà e aprivano quindi nuovamente le porte a Dio, sapendo che la realtà è più grande del metodo naturalistico e di ciò che esso può abbracciare. Si potrebbe dire che si erano formati tre cerchi di domande, che ora, nell'ora del Vaticano II, attendevano una risposta. Innanzitutto occorreva definire in modo nuovo la relazione tra fede e scienze moderne; ciò riguardava, del resto, non soltanto le scienze naturali, ma anche la scienza storica perché, in una certa scuola, il metodo storico-critico reclamava per sé l'ultima parola nella interpretazione della Bibbia e, pretendendo la piena esclusività per la sua comprensione delle Sacre Scritture, si opponeva in punti importanti all'interpretazione che la fede della Chiesa aveva elaborato.

In secondo luogo, era da definire in modo nuovo il rapporto tra Chiesa e Stato moderno, che concedeva spazio a cittadini di varie religioni ed ideologie, comportandosi verso queste religioni in modo imparziale e assumendo semplicemente la responsabilità per una convivenza ordinata e tollerante tra i cittadini e per la loro libertà di esercitare la propria religione.

Con ciò, in terzo luogo, era collegato in modo più generale il problema della tolleranza religiosa - una questione che richiedeva una nuova definizione del rapporto tra fede cristiana e religioni del mondo. In particolare, di fronte ai recenti crimini del regime nazionalsocialista e, in genere, in uno sguardo retrospettivo su una lunga storia difficile, bisognava valutare e definire in modo nuovo il rapporto tra la Chiesa e la fede di Israele.

Sono tutti temi di grande portata - erano i grandi temi della seconda parte del Concilio - su cui non è possibile soffermarsi più ampiamente in questo contesto. È chiaro che in tutti questi settori, che nel loro insieme formano un unico problema, poteva emergere una qualche forma di discontinuità e che, in un certo senso, si era manifestata di fatto una discontinuità, nella quale tuttavia, fatte le diverse distinzioni tra le concrete situazioni storiche e le loro esigenze, risultava non abbandonata la continuità nei principi - fatto questo che facilmente sfugge alla prima percezione. È proprio in questo insieme di continuità e discontinuità a livelli diversi che consiste la natura della vera riforma.

In questo processo di novità nella continuità dovevamo imparare a capire più concretamente di prima che le decisioni della Chiesa riguardanti cose contingenti - per esempio, certe forme concrete di liberalismo o di interpretazione liberale della Bibbia - dovevano necessariamente essere esse stesse contingenti, appunto perché riferite a una determinata realtà in se stessa mutevole. Bisognava imparare a riconoscere che, in tali decisioni, solo i principi esprimono l'aspetto duraturo, rimanendo nel sottofondo e motivando la decisione dal di dentro. Non sono invece ugualmente permanenti le forme concrete, che dipendono dalla situazione storica e possono quindi essere sottoposte a mutamenti. Così le decisioni di fondo possono restare valide, mentre le forme della loro applicazione a contesti nuovi possono cambiare.

Così, ad esempio, se la libertà di religione viene considerata come espressione dell'incapacità dell'uomo di trovare la verità e di conseguenza diventa canonizzazione del relativismo, allora essa da necessità sociale e storica è elevata in modo improprio a livello metafisico ed è così privata del suo vero senso, con la conseguenza di non poter essere accettata da colui che crede che l'uomo è capace di conoscere la verità di Dio e, in base alla dignità interiore della verità, è legato a tale conoscenza. Una cosa completamente diversa è invece il considerare la libertà di religione come una necessità derivante dalla convivenza umana, anzi come una conseguenza intrinseca della verità che non può essere imposta dall'esterno, ma deve essere fatta propria dall'uomo solo mediante il processo del convincimento.

Il Concilio Vaticano II, riconoscendo e facendo suo con il Decreto sulla libertà religiosa un principio essenziale dello Stato moderno, ha ripreso nuovamente il patrimonio più profondo della Chiesa. Essa può essere consapevole di trovarsi con ciò in piena sintonia con l'insegnamento di Gesù stesso (cfr. Matteo, 22, 21), come anche con la Chiesa dei martiri, con i martiri di tutti i tempi. La Chiesa antica, con naturalezza, ha pregato per gli imperatori e per i responsabili politici considerando questo un suo dovere (cfr. 1 Timoteo, 2, 2); ma, mentre pregava per gli imperatori, ha invece rifiutato di adorarli, e con ciò ha respinto chiaramente la religione di Stato.

I martiri della Chiesa primitiva sono morti per la loro fede in quel Dio che si era rivelato in Gesù Cristo, e proprio così sono morti anche per la libertà di coscienza e per la libertà di professione della propria fede - una professione che da nessuno Stato può essere imposta, ma invece può essere fatta propria solo con la grazia di Dio, nella libertà della coscienza. Una Chiesa missionaria, che si sa tenuta ad annunciare il suo messaggio a tutti i popoli, deve necessariamente impegnarsi per la libertà della fede. Essa vuole trasmettere il dono della verità che esiste per tutti ed assicura al contempo i popoli e i loro governi di non voler distruggere con ciò la loro identità e le loro culture, ma invece porta loro una risposta che, nel loro intimo, aspettano - una risposta con cui la molteplicità delle culture non si perde, ma cresce invece l'unità tra gli uomini e così anche la pace tra i popoli.

Il Concilio Vaticano II, con la nuova definizione del rapporto tra la fede della Chiesa e certi elementi essenziali del pensiero moderno, ha rivisto o anche corretto alcune decisioni storiche, ma in questa apparente discontinuità ha invece mantenuto ed approfondito la sua intima natura e la sua vera identità. La Chiesa è, tanto prima quanto dopo il Concilio, la stessa Chiesa una, santa, cattolica ed apostolica in cammino attraverso i tempi; essa prosegue "il suo pellegrinaggio fra le persecuzioni del mondo e le consolazioni di Dio", annunziando la morte del Signore fino a che Egli venga (cfr. Lumen gentium, 8).

Chi si era aspettato che con questo "sì" fondamentale all'età moderna tutte le tensioni si dileguassero e l'"apertura verso il mondo" così realizzata trasformasse tutto in pura armonia, aveva sottovalutato le interiori tensioni e anche le contraddizioni della stessa età moderna; aveva sottovalutato la pericolosa fragilità della natura umana che in tutti i periodi della storia e in ogni costellazione storica è una minaccia per il cammino dell'uomo. Questi pericoli, con le nuove possibilità e con il nuovo potere dell'uomo sulla materia e su se stesso, non sono scomparsi, ma assumono invece nuove dimensioni:  uno sguardo sulla storia attuale lo dimostra chiaramente. Anche nel nostro tempo la Chiesa resta un "segno di contraddizione" (Luca, 2, 34) - non senza motivo Papa Giovanni Paolo II, ancora da Cardinale, aveva dato questo titolo agli Esercizi Spirituali predicati nel 1976 a Papa Paolo VI e alla Curia Romana.

Non poteva essere intenzione del Concilio abolire questa contraddizione del Vangelo nei confronti dei pericoli e degli errori dell'uomo. Era invece senz'altro suo intendimento accantonare contraddizioni erronee o superflue, per presentare a questo nostro mondo l'esigenza del Vangelo in tutta la sua grandezza e purezza. Il passo fatto dal Concilio verso l'età moderna, che in modo assai impreciso è stato presentato come "apertura verso il mondo", appartiene in definitiva al perenne problema del rapporto tra fede e ragione, che si ripresenta in sempre nuove forme. La situazione che il Concilio doveva affrontare è senz'altro paragonabile ad avvenimenti di epoche precedenti.

San Pietro, nella sua prima lettera, aveva esortato i cristiani ad essere sempre pronti a dar risposta (apo-logia) a chiunque avesse loro chiesto il lògos, la ragione della loro fede (cfr. 3, 15). Questo significava che la fede biblica doveva entrare in discussione e in relazione con la cultura greca ed imparare a riconoscere mediante l'interpretazione la linea di distinzione, ma anche il contatto e l'affinità tra loro nell'unica ragione donata da Dio. Quando nel XIII secolo, mediante filosofi ebrei ed arabi, il pensiero aristotelico entrò in contatto con la cristianità medievale formata nella tradizione platonica, e fede e ragione rischiarono di entrare in una contraddizione inconciliabile, fu soprattutto san Tommaso d'Aquino a mediare il nuovo incontro tra fede e filosofia aristotelica, mettendo così la fede in una relazione positiva con la forma di ragione dominante nel suo tempo.

La faticosa disputa tra la ragione moderna e la fede cristiana che, in un primo momento, col processo a Galileo, era iniziata in modo negativo, certamente conobbe molte fasi, ma col Concilio Vaticano II arrivò l'ora in cui si richiedeva un ampio ripensamento. Il suo contenuto, nei testi conciliari, è tracciato sicuramente solo a larghe linee, ma con ciò è determinata la direzione essenziale, cosicché il dialogo tra ragione e fede, oggi particolarmente importante, in base al Vaticano II ha trovato il suo orientamento.

Adesso questo dialogo è da sviluppare con grande apertura mentale, ma anche con quella chiarezza nel discernimento degli spiriti che il mondo con buona ragione aspetta da noi proprio in questo momento. Così possiamo oggi con gratitudine volgere il nostro sguardo al Concilio Vaticano II:  se lo leggiamo e recepiamo guidati da una giusta ermeneutica, esso può essere e diventare sempre di più una grande forza per il sempre necessario rinnovamento della Chiesa.



(©L'Osservatore Romano - 25 gennaio 2009)

[SM=g1740722] [SM=g1740721]
Caterina63
00sabato 24 gennaio 2009 19:26
Giovanni Paolo II e il desiderio di diffondere il clima della «nuova Pentecoste»
L'uomo liberato è la via della Chiesa

Nella solennità dell'Immacolata Concezione del 1985 Papa Giovanni Paolo II, a conclusione dell'assemblea straordinaria del Sinodo dei vescovi, pronunciò un'omelia nel corso della quale ricordò il ventesimo anniversario della conclusione del Vaticano II. Pubblichiamo alcuni stralci di quel testo.

La Chiesa guarda anche attraverso il prisma dell'Immacolata Concezione. Così hanno guardato i padri del Concilio Vaticano II l'8 dicembre 1965, e così guardiamo anche noi, vent'anni dopo quella data ormai storica. E ascoltando le letture dell'odierna liturgia raggiungiamo di nuovo il mistero della Chiesa, che il Concilio ha proclamato nel primo capitolo della costituzione Lumen gentium, primo non soltanto nell'ordine cronologico ma soprattutto nell'importanza. Infatti in questo eterno mistero è contenuta la sorgente dell'essere stesso della Chiesa.

Questa non esisterebbe senza l'eterno "amore del Padre", senza "la grazia del Signore nostro Gesù Cristo", senza "la comunione dello Spirito Santo". Senza quella comunione divina, trinitaria, non ci sarebbe qui, sulla terra, la comunione creata, umana, che è la Chiesa. Questa comunione di cui il Concilio parla in molti luoghi. Ascoltando quindi le parole dell'odierna liturgia alla conclusione dell'assemblea sinodale occorre che noi ci mettiamo in ginocchio e ripetiamo: "Benedetto sia Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo... In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo... predestinandoci a essere suoi figli adottivi per opera di Gesù Cristo, secondo il beneplacito della sua volontà. E questo a lode e gloria della sua grazia che ci ha dato nel suo Figlio diletto" (Efesini, 1, 3-6).

Così dunque il saluto: "piena di grazia" pronunziato durante l'annunciazione all'Immacolata, risuona con un'eco incessante anche nell'anima della Chiesa: la grazia del Signore nostro Gesù Cristo sia con tutti noi.

La grazia appartiene al mistero della Chiesa, poiché appartiene alla vocazione dell'uomo. In questo senso l'uomo è la via della Chiesa (cfr. Giovanni Paolo II, Redemptor hominis, 14). Tuttavia la storia della Grazia si compenetra, in modo drammatico, nella vita dell'umanità, con la storia del peccato. Molte cose su questo tema ha detto il Concilio, particolarmente nella costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo. Subito all'inizio leggiamo: "Il mondo che (il Concilio) ha presente è perciò quello degli uomini, ossia l'intera famiglia umana... il mondo che è teatro della storia del genere umano, e reca i segni dei suoi sforzi, delle sue sconfitte e delle sue vittorie; il mondo che i cristiani credono creato e conservato in esistenza dall'amore del Creatore, mondo certamente posto sotto la schiavitù del peccato, ma dal Cristo crocifisso e risorto con la sconfitta del Maligno liberato, e destinato, secondo il proposito divino, a trasformarsi e a giungere al suo compimento" (Gaudium et spes, 2).

Così dunque il Concilio radica il suo insegnamento sulla missione della Chiesa nel mondo (contemporaneo) nel mistero del Principio dell'umanità, come se leggesse il brano del libro della Genesi dell'odierna liturgia. Contemporaneamente il Concilio professa in tutta la sua pienezza e profondità il mistero della Redenzione - del mondo e dell'uomo nel mondo - compiuta dalla morte e dalla risurrezione di Cristo. Tutta la Chiesa sorge sul fondamento di questo mistero. È permeata dalle potenze della Redenzione. Vive di esse. E in esse supera la "potenza del Maligno". Quindi la Chiesa, la Chiesa vera di Cristo subisce quell'"inimicizia" di cui parla il protoevangelo e - per grazia di Dio - non ne ha paura. Appartiene alla vocazione della Chiesa partecipare a questa liberazione fondamentale compiuta da Cristo. Partecipare con umiltà e fiducia. Così come vi ha partecipato l'Immacolata: "Colei che ha creduto". (...)

Uscendo dal Sinodo desideriamo intensificare gli sforzi pastorali, perché il Concilio Vaticano II sia più ampiamente e più profondamente conosciuto; perché gli orientamenti e le direttive che esso ci ha lasciato siano assimilate nell'intimo del cuore e tradotte nella condotta di vita da tutti i membri del popolo di Dio, con coerenza e amore. Usciamo dal Sinodo con l'intenso desiderio di diffondere sempre più nell'organismo ecclesiale il clima di quella nuova Pentecoste che ci animò durante la celebrazione del Concilio e che in queste due settimane abbiamo ancora una volta felicemente sperimentato.

Uscendo dal Sinodo desideriamo offrire all'intera umanità, con rinnovata forza di persuasione, l'annuncio di fede, speranza e carità che la Chiesa trae dalla sua perenne giovinezza, nella luce del Cristo vivo, che è "via, verità e vita" per l'uomo del nostro tempo e di tutti i tempi.



(©L'Osservatore Romano - 25 gennaio 2009)
Caterina63
00mercoledì 28 gennaio 2009 09:53
Quando Joseph Ratzinger era consigliere dell'arcivescovo di Colonia Josef Frings negli anni del Vaticano II

Il cardinale e il professore


"Joseph Ratzinger, il cardinale Frings e il concilio Vaticano II" è il titolo della conferenza che si tiene nella serata di venerdì 10 ottobre presso la Haus der Begegnung Heilig Geist a Burghhausen (Passau) in Germania. Ne pubblichiamo il testo integrale.

di Norbert Trippen


Lo storico della Chiesa Hubert Jedin, perito e testimone del concilio Vaticano II, ha riferito:  "verso la fine del concilio Vaticano II il professore di Lovanio Onclin mi ha detto una volta che a suo parere il cardinale Frings era il padre più in vista del concilio Vaticano II. Beninteso il più in vista, non il più influente. Su di un superlativo di tal genere si può discutere, ma, per esperienza diretta posso testimoniare che, quando il segretario generale del concilio annunciò un discorso del cardinale di Colonia, le navate laterali della basilica di San Pietro si svuotarono, perché nessuno voleva perdere l'intervento di quell'oratore. Infatti il cardinale Frings aveva sempre qualcosa di importante da dire e anche il coraggio di dirlo".


Il cardinale Frings godeva di grande considerazione per tre importanti motivi. Innanzitutto dominava la lingua latina conciliare e per anzianità di servizio, come cardinale e membro del direttivo conciliare, aveva sempre la prima parola. Un altro motivo dell'influenza e della considerazione di Frings erano le simpatie che egli e i vescovi tedeschi riscuotevano presso innumerevoli padri conciliari del mondo in via di sviluppo e dell'America Latina attraverso Misereor e Adveniat. Inoltre, di importanza decisiva per la posizione del cardinale nel concilio fu il suo eccellente consigliere.


Proprio nella fase preparatoria, che lo vedeva all'opera nella commissione preparatoria centrale, Frings si lasciò consigliare dallo storico della Chiesa Hubert Jedin e, per le questioni di diritto canonico e le pratiche pastorali, dal suo vicario generale Joseph Teusch. A partire dalla primavera del 1962 il giovane professore di teologia fondamentale a Bonn, Joseph Ratzinger, divenne il suo consigliere per le questioni teologiche. Ratzinger non aiutò Frings soltanto per tutti i discorsi conciliari, ma entrò subito a far parte del gruppo di teologi tedesco-franco-belga, che in luogo delle bozze inadeguate delle commissioni preparatorie, riformulò i decisivi testi conciliari, in particolare le costituzioni dogmatiche sulla Divina Rivelazione e la Chiesa.


Dalla fine del primo periodo di sessione, nel 1962, il professor Ratzinger non fu più soltanto il teologo conciliare personale del cardinale di Colonia, ma anche peritus incaricato d'ufficio, ossia perito con accesso a sedute decisive della commissione e alle congregazioni generali del concilio. Dopo ognuno dei quattro periodi di sessione del concilio, dal 1962 al 1965, Ratzinger pubblicò per le edizioni Bachem di Colonia un rapporto contenente le sue impressioni sul periodo appena trascorso. Il valore di questi quattro volumi di circa ottanta pagine sta nell'aver descritto gli eventi conciliari senza eccesso di particolari e con un linguaggio accessibile ai più, caratteristiche che a tutt'oggi costituiscono un pregio del nostro nuovo Papa, e nell'aver fissato l'impressione recente di un osservatore del concilio che però vi era, al contempo, impegnato in prima persona.


Il cardinale Frings, allora già quasi cieco, in che modo si era imbattuto in quel consigliere? Nelle sue memorie narra egli stesso:  "A Genova un padre gesuita, Angelo d'Arpa, aveva fondato l'istituto "Colombianum" per lo studio di questioni relative allo sviluppo. Nel 1961, in preparazione del concilio, aveva organizzato un ciclo di conferenze per le quali aveva voluto come relatori alcuni cardinali. Mi chiese se ero pronto a parlare del concilio in relazione alla differenza temporale con il concilio Vaticano i. Il tema mi entusiasmò e accettai. Tuttavia mi accorsi che non sarei stato in grado di affrontarlo da solo. Durante un concerto dell'orchestra Gürzenich incontrai il professor Ratzinger, che poco prima era giunto a Bonn per insegnare teologia e che già godeva di una buona e grande fama. Gli chiesi se voleva aiutarmi nella preparazione dell'intervento su quel tema, del quale anche lui parve entusiasta. Subito redasse una bozza che giudicai talmente buona da ritoccarla in un solo punto.

L'intervento, tradotto in un ottimo italiano, fu poi trasmesso alla Segreteria di Stato da Bruno Wüstenberg, unico tedesco presente nella Segreteria di Stato nonché mio ex allievo presso il seminario sacerdotale. Chiesi anche a Wüstenberg di aiutarmi a Genova. Infatti, nel frattempo, la mia vista era divenuta così debole che non potevo leggere in modo fluido, per lo meno in una lingua straniera. Decidemmo che avrei letto la prima riga dell'introduzione e poi avrei chiesto, se consentito, di far leggere il testo del discorso vero e proprio a uno dei miei studenti, il prelato Wüstenberg. E così fu. La lettura durò tre quarti d'ora. Suscitò grande impressione e lo stesso cardinale Siri di Genova, che era noto per essere un conservatore, si disse soddisfatto. Inoltre, l'intervento era assolutamente lungimirante. Quando lo mostrai al cardinale Döpfner disse:  "Beh, un documento storico!". Con ciò intendeva dire:  "Sono bei sogni per il futuro, ma non si realizzerà quasi niente di tutto ciò"".


L'intervento suscitò grande impressione nel mondo cattolico e fu subito pubblicato. Al cardinale Frings interessava molto sapere come Papa Giovanni xXIIi avrebbe accolto le sue coraggiose affermazioni ed era anche un po' preoccupato. La mattina del 23 febbraio 1962, mentre era impegnato in una sessione della commissione preparatoria del concilio, fu chiamato a un'udienza personale con Papa Giovanni xXIIi. Nel 1973, il cardinale raccontò:  "Non ne sapevo il motivo. Dissi dolorosamente al mio segretario Luthe:  "Mettimi la mantellina rossa, chissà, potrebbe essere l'ultima volta". Tuttavia, quando entrai nella sala delle udienze del Papa, quest'ultimo mi venne incontro, mi abbracciò e disse:  "Stanotte ho letto il suo intervento di Genova e volevo ringraziarla per queste belle argomentazioni". Io ero un po' imbarazzato, ma, nello stesso tempo, grato che il Santo Padre avesse letto lo scritto. Credo che molto del suo contenuto fu poi realizzato nel concilio".


Il vescovo emerito Luthe ha potuto integrare questi ricordi. Il Papa avrebbe detto a Frings:  "Che bella coincidenza del pensiero!", fra lui e Frings. Quando, per onestà, il cardinale disse al Papa che il testo non l'aveva scritto lui bensì il professor Ratzinger, pare che Giovanni xXIIi abbia risposto che avrebbe dovuto elaborare anche i suoi testi perché è importante trovare il giusto consigliere e poter firmare i suoi elaborati. Evidentemente il colloquio con il Papa incoraggiò Frings a introdurre nella commissione centrale Joseph Ratzinger come consigliere per i testi di dogmatica.


Dal maggio 1962 a Ratzinger furono sottoposte tutte le bozze teologiche conciliari. In un breve manoscritto quasi illeggibile annotava osservazioni pregnanti a margine dei testi. Dopo che il segretario Luthe pregò lui e gli altri consiglieri - Jedin e Teusch - di redigere brevi testi ordinati, che poi il cardinale Frings avrebbe potuto trasformare in voti, anche il professor Ratzinger redasse brevi elaborati, che dimostrano come già in quegli anni fosse elevata la sua competenza e quale fosse il suo stile.

Sorprende che Ratzinger, il quale sarebbe divenuto prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede e Papa, nel giugno del 1962, in occasione di una sessione della Commissione preparatoria centrale su una bozza relativa al "magistero ecclesiale", fece riflettere il cardinale Frings sulla necessità di aggiungere alla sezione "De ecclesiae magisterio" una breve argomentazione sui confini morali del primato di giurisdizione. In un testo sull'autorità e l'obbedienza nella Chiesa, al paragrafo 3, era richiesto di attenersi a Matteo 18, 15-17 per la "denuncia pubblica dei mali nella Chiesa".

Il professor Ratzinger aveva scritto a margine:  "Il riferimento a Matteo 18, 15-17 rivela anche un altro fatto non meno importante. Vi viene prescritto che il rimprovero al singolo nel colloquio venga poi sottoposto ai vari gradi della Chiesa ufficiale. Non è solo una tutela della Chiesa ufficiale contro la critica non autorizzata (...) ma anche una tutela del singolo dalla denuncia anonima che finora è stata del tutto trascurata e che sarebbe il caso di fissare qui".


Ancor più interessante delle posizioni assunte da Ratzinger nelle singole bozze conciliari, è la sua collaborazione durante il concilio, ossia a partire dalla preparazione immediatamente precedente al suo inizio. In due esaustivi volumi la Segreteria di Stato aveva trasmesso ai padri conciliari a luglio e ad agosto del 1962, bozze per lo più inadeguate redatte dalle commissioni di preparazione. Il 29 agosto 1962, poco prima di partire per le vacanze estive, il cardinale Frings scrisse da Fulda al professor Ratzinger:  "Le invio in allegato il primo volume degli schemi del concilio come è stato preparato da tutti i partecipanti in questi giorni. Le sarei grato se esaminasse queste bozze secondo i seguenti criteri:  1. Che cosa è cambiato rispetto alla prima stesura? 2. Cosa è assolutamente da rifiutare? 3. Che cosa si potrebbe migliorare?".


Frings pensava anche al periodo successivo alle ferie:  "Comunque martedì 9 ottobre sarò a Roma. Verrà con me? Ho invitato tutti i Padri conciliari a un incontro presso Santa Maria dell'Anima mercoledì 10 ottobre alle 17. Posso pregarla di parlare in quell'occasione della bozza relativa alla Constitutio dogmatica "De fontibus revelationis" e, se possibile, di fare controproposte costruttive?". Si tratta della genesi della bozza, in seguito molto dibattuta, chiamata in breve "Ratzinger-Rahner" e relativa alla Costituzione sulla Rivelazione!


Il 14 settembre Ratzinger inviò prontamente il risultato del suo esame al cardinale e aggiunse una stesura in latino per la firma da inviare a Roma, che può essere considerata come una posizione teologica e spirituale dei Padri conciliari tedeschi alla vigilia del concilio Vaticano II.


Certo il tempo dei preparativi e delle proposte era finito. Il concilio era alle porte. Alla fine del 1976, alla vigilia del novantesimo compleanno del cardinale Frings, Joseph Ratzinger riferì:  "Il 9 ottobre 1962, verso le 11 e mezzo, il cardinale Frings aprì il concilio Vaticano II. Il cammino percorso fin lì lo portò poi nella sua chiesa episcopale, il duomo di Colonia. Mentre i rintocchi delle pesanti campane facevano penetrare negli animi la gravità dell'attimo, il cardinale entrò nello spazio gotico e diede avvio al concilio con una preghiera (...) ma quel giorno il suo cammino non si concluse davanti all'altare, il luogo delle sue funzioni episcopali. Il cardinale si lasciò condurre nella cripta e si fece indicare la nicchia nella quale un giorno sarebbe stato posta la sua bara. Ho ancora davanti agli occhi il modo in cui, pensoso e in raccoglimento, toccò il posto della sua futura sepoltura, che a causa della sua debole vista non poteva vedere bene. In quel momento era proiettato nel futuro per poter svolgere i prossimi compiti, proprio a partire dalla responsabilità di una tale contemplazione".


Già alla fine di agosto a Fulda, i vescovi tedeschi erano stati invitati a un incontro nella sala di Santa Maria dell'Anima, alla vigilia del concilio. Gli atti non spiegano come l'invito sia stato rivolto anche ai vescovi austriaci, svizzeri e di lingua tedesca delle missioni. Da quel momento in poi quella riunione avrebbe dovuto svolgersi ogni lunedì pomeriggio. Il cardinale Frings suggerì una direzione alternata fra lui e König. Subito i vescovi partecipanti si registrarono nelle liste di presenza affinché nell'aula conciliare il cardinale Frings potesse contare su ottanta o novanta padri conciliari di lingua tedesca a sostegno del proprio voto. Ancora nel 1973 il cardinale Frings ricordava bene quella prima riunione a Roma, il 10 ottobre del 1962:  "Nel primo incontro il professor Ratzinger tenne una conferenza sullo schema della Rivelazione, che nel corso del concilio avrebbe svolto un ruolo importante e che nell'ultimo periodo fu approvato". Già nelle prime giornate del concilio il professor Ratzinger fu portato dal cardinale Frings alle riunioni con influenti padri conciliari e teologi, durante le quali si cercava di sostituire le bozze inadatte sulla costituzione sulla Rivelazione e la Chiesa con proposte più opportune, alle quali avevano contribuito in modo eccellente Joseph Ratzinger e Karl Rahner.

A prescindere dalle importanti riunioni dell'episcopato di lingua tedesca che si svolgevano il lunedì presso Santa Maria dell'Anima, il professor Ratzinger colloquiava spesso con il cardinale Frings. Quando il cardinale voleva prendere la parola su un tema nell'aula conciliare, chiedeva a Ratzinger bozze che poi avrebbe elaborato con il suo segretario Luthe in un proprio testo. I documenti conciliari del cardinale contenevano per molti dei suoi voti la proposta del professor Ratzinger, poi il testo del discorso dettato al segretario Luthe. Fra i discorsi conciliari stampati, dal titolo Acta Synodalia, c'è il testo del discorso effettivo del cardinale. Poiché il cardinale Frings non poteva più leggere in modo fluido, doveva riferire a voce ciò che si era prefisso di dire. Talvolta è faticoso seguire il processo di un voto conciliare del cardinale Frings a partire dall'intento di prendere la parola nell'aula, passando per il suggerimento del professor Ratzinger e la dettatura del discorso da presentare fino all'intervento vero e proprio. In quest'ultimo si evidenziavano del cardinale la sua familiarità con la lingua latina, la sua capacità di acuta accentuazione e la sua ironia.

Per i diciannove discorsi conciliari del cardinale di Colonia non possiamo spiegare nel dettaglio quali siano stati i suggerimenti di Ratzinger e la trasposizione che il cardinale Frings ne fece. Comunque prendiamo ad esempio la descrizione dell'intervento molto apprezzato del cardinale di Colonia sulla riforma della Curia romana dell'8 novembre 1963. Quel giorno il cardinale Frings tenne il suo discorso sulla Curia romana, che destò grande scalpore e del quale alcune parti, soprattutto la seconda per la sua critica aperta alle pratiche del Sant'Uffizio, suscitarono molta attenzione. Fortunatamente di questo voto nell'aula esistono una bozza manoscritta di Ratzinger, la copia del testo presentato e negli Acta Synodalia il discorso pronunciato da Frings a memoria.


Si trattava di un dibattito sullo schema relativo ai vescovi. Frings si lamentava del fatto che le autorità della Curia cercavano di intervenire nel lavoro delle commissioni conciliari "come se detenessero una propria verità diversa da quella del resto dei padri sinodali". Allora su suggerimento di Ratzinger, Frings affrontò le procedure della Curia romana. Letteralmente:  "Mi sembra molto importante che queste regole, soprattutto quelle sulla netta distinzione fra ambito amministrativo e ambito giudiziario, vengano estese a tutte le congregazioni, anche alla Suprema Congregatio Sancti OfficII, la cui modalità procedurale in molte cose non si accorda ancora con il nostro tempo e per la Chiesa sarà un danno e per molti uno scandalo".


Gli Acta Synodalia riportano a questo punto il plausus in aula.


Le seguenti frasi di critica al Sant'Uffizio furono aggiunte da Frings alla bozza di Ratzinger:  "So bene quanto è arduo, complicato e pieno di difficoltà il compito di quanti per molti anni hanno lavorato nel Sant'Uffizio per tutelare la verità rivelata, ma mi sembra che debba essere espressa la richiesta che anche in questo dicastero nessuno venga giudicato e condannato (damnetur) a motivo di quanto a ragione o a torto crede, senza essere prima ascoltato, senza conoscere prima le accuse mosse contro di lui o contro qualcosa che ha scritto, senza che prima gli venga data  la  possibilità di correggere se stesso o quanto ha scritto, che pare essergli fatale".


Nel terzo punto Frings muove alla Curia un'altra critica:  "Mi sembra che un'altra proposta in vista del rinnovamento dei rapporti fra l'episcopato e la Curia romana debba essere la diminuzione del numero dei vescovi presenti in Curia. Nessuno viene consacrato per valutare la propria persona o il proprio incarico. L'ufficio episcopale è un incarico, non è un onore o uno splendore da aggiungere a un altro incarico. Chi viene ordinato vescovo deve essere vescovo e nient'altro. Resta da aggiungere che anche l'ordinazione sacerdotale non deve avere per fine la gratificazione di sé, ma la sollecitudine per il gregge del Signore. Sono convinto del fatto che nella Curia romana ci siano ancora numerose cariche ricoperte da sacerdoti, che potrebbero essere esercitate da laici non meno bene o perfino meglio (...) perciò propongo che si decida di diminuire il numero di sacerdoti e di vescovi nella Curia romana e di permettere ai laici di entrarvi".


Lo stesso Frings annota nelle sue memorie:  "Quel discorso ebbe una risonanza del tutto inattesa e quasi inquietante. Evidentemente avevo parlato con cuore e sentimento a numerose persone che si ritenevano trattate ingiustamente o indignitosamente dal Sant'Uffizio. E quando verso le 11 entrai nella caffetteria ricevetti congratulazioni da tutte le parti. Tuttavia, quello stesso giorno, Ottaviani, presidente - o meglio prefetto - del Sant'Uffizio, anch'egli previsto come relatore, rispose con un discorso fulminante contro di me e mi voleva addossare la colpa di aver recato oltraggio al Papa. Tentai allora di parlargli e di dirgli che non era mia intenzione attaccare né lui né il Papa. Il giorno seguente mi venne incontro nello stesso posto, all'ingresso della sacrestia, mi abbracciò e mi disse:  "Entrambi vogliamo solo la stessa cosa!"".


Certo il cardinale Frings era anche spaventato e reso insicuro dalle conseguenze del proprio discorso. Hubert Jedin riferisce:  "Subito dopo il cardinale Frings convocò alcuni dei teologi a lui più vicini a Santa Maria dell'Anima. Eravamo ancora soli quando mi chiese:  "Che mi dice ora?". Risposi:  "Può stare tranquillo, tutti gli eruditi cattolici del mondo intero, che meritano questo nome, sono dalla sua parte". Questa risposta lo tranquillizzò visibilmente.

Quella stessa sera il Papa gli chiese di avanzare delle proposte per una riforma delle più elevate autorità ecclesiali. Il 12 novembre, nel corso di un colloquio con il cardinale, al quale partecipammo anche Ratzinger ed io, Onclin, esperto di diritto canonico di Lovanio, consegnò la stesura di un promemoria che il cardinale sottopose a Papa Paolo VI.


Già il 18 novembre 1963 Frings poté presentare al Papa il promemoria, che quest'ultimo aveva richiesto, sotto forma di lettera in quattro pagine.


Il concilio Vaticano II divenne un processo mondiale di comunicazione all'interno della Chiesa come non era mai accaduto prima e come non si è mai più verificato in seguito. Cardinali e vescovi di tutto il mondo, missionari e religiosi si incontravano quotidianamente ed esprimevano le proprie necessità. Le sessioni si svolgevano dal lunedì al sabato e sfinivano in modo non irrilevante i più anziani come il cardinale Frings. È naturale dunque che nei fine settimana si cercassero luoghi fuori Roma che promettessero un po' di riposo. Per questo il cardinale Frings accettava di tanto di in tanto gli inviti del superiore generale dei verbiti, padre Johannes Schütte, a recarsi nella loro casa a Nemi.

Così il cardinale Frings si interessò ai problemi dei missionari ed esercitò tutta la sua influenza affinché, sotto la pressione del tempo che diveniva sempre più breve, le missioni non ricevessero soltanto singole e coincise istruzioni, ma un decreto sostanzialmente ricco di contenuti, per la cui elaborazione, all'inizio del 1965, mise in contatto il Padre generale con il professor Ratzinger.


Degno di nota è un ultimo esempio dell'attività di consulenza e di collaborazione del professor Ratzinger per il cardinale Frings. Nel periodo della terza sessione nei dibattiti sulla costituzione ecclesiale si verificarono duri scontri e ci si chiedeva se sulla Madre di Dio, Maria, si dovesse redigere un documento conciliare a sé stante oppure un capitolo 8 allegato della costituzione ecclesiale. Inoltre, a maggioranza si era deciso di evitare titoli mariani quali "Mediatrice di tutte le grazie" e "Madre della Chiesa" riguardo ai cristiani non cattolici e alla problematica dogmatica di tali concetti.

 Poi ci fu una sorpresa.

Il 18 novembre 1964, Papa Paolo VI aveva annunciato, cosa evidentemente passata del tutto inosservata, che il 21 novembre, nonostante le decisioni contrarie della maggioranza del concilio, avrebbe riconosciuto a Maria il titolo di Mater Ecclesiae. Il 19 novembre, i cardinali Frings e Döpfner, gli arcivescovi Jaeger di Paderborn e Schäufele di Friburgo così come i vescovi Volk di Magonza e Höffner di Münster, si rivolsero al Papa direttamente con un'istanza per mitigare il prevedibile malumore nell'aula. Il testo dell'istanza è teologicamente così ricercato che si presume scritto dal professor Ratzinger:  "È per noi una grande gioia che per un decreto di questo periodo conciliare la Vergine santissima venga onorata da Sua Santità come accade già nel capitolo vIIi del De EcclesiaDe Beata Maria Virgine Deipara in mysterio Christi et Ecclesiae. Apprezzeremmo molto che Maria venisse anche definita Mater fidelium come nello schema De Ecclesia. Il titolo Maria Mater Ecclesia è auspicato anche da noi. Tuttavia non è da intendere in ogni senso.

 La commissione teologica non ha potuto evidentemente decidere di soddisfare nei "modi" i desideri espressi di proporre Maria Mater ecclesiae come testo conciliare (...) inoltre di definire Maria come Mater Christi et matrem hominum, maxime fidelium (...) se Maria Mater Ecclesiae viene intesa come Mater fidelium, allora questo ha un fondamento biblico.

Infatti, come Abramo all'inizio della Vecchia Alleanza viene definito Pater omnium credentium (Romani, 4, 11), così di Maria, che crede, si dice all'inizio della Nuova Alleanza "Beata Colei che ha creduto" (Luca, 1, 44). In questo senso il titolo Maria Mater Ecclesiae è giustificato nel migliore dei modi, è un arricchimento dell'ecclesiologia e della mariologia nonché un nuovo impulso alla devozione dei credenti.

Il titolo Maria Mater Ecclesiae potrebbe però essere inteso anche riferendolo alla Chiesa come istituzione e questo è più difficile da giustificare. Nell'ordo salutis corrispondono maternitas e paternitas. Quest'ultima per natura precede la maternitas.

Maria non sarebbe nostra madre se Dio non fosse prima nostro padre; Maria non sarebbe Regina, se Cristo non fosse Rex. Ella non sarebbe Domina, se Cristo non fosse Dominus.

Ora però nessuno chiama il Padre celeste, Cristo o lo Spirito Santo Pater Ecclesiae. Per il seguente motivo ciò sarebbe anche impossibile:  i ministeri che costituiscono la Chiesa come Institutio, contengono "per se" non la gratia filiationis. Questa è sempre data con la gratia sanctificans, ma non con l'incarico in quanto tale. Perciò Maria non si deve intendere Mater Ecclesiae nel senso di istituzione. Per questo chiediamo humillime, di unire il titolo Maria Mater Ecclesiae a quello di Mater fidelium e di darne questa interpretazione".


Tuttavia l'iniziativa presa dai vescovi tedeschi non riuscì a suscitare nel Papa maggiori riserve verso la propria decisione.
Nel 1973 il cardinale Frings ricordò:  "Nel suo discorso conclusivo il Papa annunciò che avrebbe attribuito alla Madre di Dio, Maria, il titolo Mater Ecclesiae, sebbene il concilio non avesse potuto decidere in proposito. Ciò fu accolto in modi diversi. Ricordo che il mio vecchio amico, il cardinale Ruffini di Palermo, ne fu entusiasta e quando uscimmo dalla basilica di san Pietro, disse:  "Ha vinto la Madonna, ha vinto la Madonna". Mi rallegrai con lui di tutto cuore per quella gioia, la realizzazione di un suo desiderio".


Dopo la fine del concilio e il ritiro del cardinale Frings dalla presidenza della Conferenza episcopale tedesca e dall'incarico di arcivescovo di Colonia, i contatti fra quel padre conciliare e il suo consigliere e collaboratore preferito si fecero più rari. Entrambi sono stati uniti dal timore che il concilio non fosse inteso come impulso riformistico, ma fosse frainteso come scintilla rivoluzionaria. Nessuno dei due era disposto a percorrere quel cammino, cosa che fa muovere al nostro attuale Papa la critica di essere un teologo conservatore.



(©L'Osservatore Romano - 11 ottobre 2008)
Caterina63
00mercoledì 28 gennaio 2009 10:03
Amici.... senza fare una sorta di processo, vorrei analizzare con voi i fatti senza partire da vari spettegulezz.... al contrario, partire da una fonte seria che pone una domanda precisa....
è Joseph Ratinger che parla nella sua autobiografia "LA MIA VITA"....  Occhiolino

leggiamo:

"Sempre più cresceva l’ impressione  che nella Chiesa non ci fosse nulla di stabile, che tutto può essere oggetto di revisione. Sempre più il Concilio pareva assomigliare a un grosso parlamento ecclesiastico, che poteva cambiare tutto e rivoluzionare ogni cosa a modo proprio.
Evidentissima era la crescita del risentimento nei confronti di Roma e della Curia, che apparivano come il vero nemico di ogni novità e progresso.
Le discussioni conciliari venivano sempre più presentate secondo lo schema partitico tipico del parlamentarismo moderno [...].
Per i credenti si trattava di un fenomeno strano: a Roma i loro vescovi parevano mostrare un volto diverso da quello di casa loro. Dei pastori che fino a quel momento erano ritenuti rigidamente conservatori apparvero improvvisamente come i portavoce del progressismo – ma era farina del loro sacco?

( Card. J. Ratzinger, La mia vita. Ricordi/1927-1977, ed. San Paolo, 1997, pp. 97-99. )


 Occhi al cielo bella domanda!!! alla quale però io credo che l'allora Ratzinger rispose già prima di scrivere questo libro, in un altro testo usato per delle conferenze e dalle quali ne è scaturito un libro: PERCHE' SONO RIMASTO NELLA CHIESA CATTOLICA?
 Occhiolino

Resta comunque palese che non è un caso che la Provvidenza ci abbia donato quale Successore di Pietro colui che ebbe il coraggio di dire come stavano le cose.... Occhiolino

Non voglio fare collage di pezzi estrapolati dai loro contesti, ma le parole di san Pio X nella Pascendi, dove ci chiarisce l'idea di come agiscono I MODERNISTI, ci aiuta a capire quale razza velenosa si sia INFILTRATA nel Concilio e giustifica le stesse parole di Ratzinger....

«Negli scritti e nei discorsi essi [i modernisti] sembrano non rare volte sostenere ora una dottrina ora un'altra, così che si è facilmente indotti a giudicarli vaghi ed incerti. Ma tutto ciò è fatto di proposito […]. Quindi avviene che nei loro libri s'incontrano cose che ben direbbe un cattolico; ma, al voltare della pagina, se ne trovano altre che si stimerebbero dette da un razionalista»
(san Pio X Pascendi Dominici Grecis:
http://www.vatican.va/holy_father/pius_x/encyclicals/documents/hf_p-x_enc_19070908_pascendi-dominici-gregis_it.html )


C'è un altra considerazione da fare....

TUTTI SONO CONCORDI nel dire che il C.Vaticano II era e fu un Concilio PASTORALE, NON dottrinale, NON DOGMATICO... ma ci si impone una domanda seria e grave: come mai allora quel Concilio divenne la roccaforte DEI TEOLOGI modernisti? La stessa "riforma LITURGICA" non avrebbe dovuto esserci per come venne fatta essendo esso un Concilio PASTORALE: cosa c'entrava LA MESSA CON LA PASTORALE?
Inoltre se i Messali erano da poco stati RIFORMATI da Giovanni XXIII, perchè si decise di RIFARE I MESSALI ? E' ovvio che rifare i Messali dopo appena essere stati riformati poteva significare solo due scelte:

1) SOSTITUIRLI A QUELLI RIFORMATI:
2) DARE ORIGINE, con i NUOVI MESSALI, ad una nuova Liturgia....

Certo, indietro NON si torna, i danni sono stati fatti, inutile ripetere le solite lamentele Ghigno ma non sarebbe nè saggio, tano meno onesto non porsi queste domande....e soprattutto ignorare i fatti e ignorare anche coloro che dissero queste cose....


...affermava infatti il p. Henrici – «fa capire chiaramente con quanta durezza si scontrassero [durante il Vaticano II] due diverse tradizioni teologiche, che erano radicalmente incapaci di comprendersi. E dato che la maggioranza dei Padri conciliari, nel periodo dei loro studi, direttamente o indirettamente erano stati introdotti nella tradizione dottrinale ’romana’, diventa chiara, ancora una volta, la funzione dei teologi durante il Concilio: non pochi Vescovi dovevano farsi dire e indicare da loro come poteva presentarsi un ‘aggiornamento’ teologicamente e pastoralmente responsabile dell’annuncio della dottrina della Chiesa»
( Da " Communio "  Num. nov-dic. 1990, articolo La maturazione del Concilio – Esperienze di teologia del preconcilio, pp.13/28 )

Communio....è una rivista internazionale di teologia,
fondata nel 1972 e pubblicata in diciassette edizioni.
Fondata da Joseph Ratzinger, Hans Urs von Balthasar, Henri de Lubac  e altri teologi, è una delle più conosciute pubblicazioni cattoliche, di impianto maggiormente ponderato rispetto alla rivista Concilium
. Alla redazione italiana partecipa il sacerdote appartenente all'ordine dei Carmelitani scalzi Antonio Maria Sicari.

Il Concilio Vaticano II fu allora un Concilio TEOLOGICO?  Occhi al cielo

Tra l'altro basta leggere anche le intenzioni con le quali Giovanni XXIII aprì il Concilio senza alcuna intenzione di modificare la TRADIZIONE.... dunque è lecito dire serenamente che i Papi del concilio hanno dichiarato essere loro intento quello di non cambiare la dottrina, di non imporre un insegnamento vincolante, ma solo di presentare la medesima dottrina cattolica in maniera principalmente pastorale o pratica.
.... il Papa, se vuole, può cercare modalità sempre più atte e convincenti per predicare la stessa verità. Tuttavia de facto questo tentativo (come ha riconosciuto anche Benedetto XVI, rispondendo ad un parroco della Val d’Aosta, ill 24 luglio del 2007) è fallito.



dice così Benedetto XVI (ma leggetevi dal collegamento tutta la risposta, è l'ultima del testo) Occhiolino

Anch’io ho vissuto i tempi del Concilio, essendo nella Basilica di San Pietro con grande entusiasmo e vedendo come si aprivano nuove porte e pareva realmente essere la nuova Pentecoste, dove la Chiesa poteva nuovamente convincere l’umanità, dopo l’allontanamento del mondo dalla Chiesa nell’Ottocento e nel Novecento, sembrava si rincontrassero di nuovo Chiesa e mondo e che rinascesse nuovamente un mondo cristiano ed una Chiesa del mondo e veramente aperta al mondo. Abbiamo tanto sperato, ma le cose in realtà si sono rivelate più difficili. Tuttavia rimane la grande eredità del Concilio, che ha aperto una strada nuova, è sempre una magna charta del cammino della Chiesa, molto essenziale e fondamentale. Ma perché è andata così?
(...)
Ma finita questa generazione si vedevano anche tutti i fallimenti, le lacune di questa ricostruzione, la grande miseria nel mondo e così comincia, esplode la crisi della cultura occidentale, direi una rivoluzione culturale che vuole cambiare radicalmente. Dice: non abbiamo creato, in duemila anni di cristianesimo, il mondo migliore. Dobbiamo ricominciare da zero in modo assolutamente nuovo; il marxismo sembra la ricetta scientifica per creare finalmente il nuovo mondo. E in questo – diciamo – grave, grande scontro tra la nuova, sana modernità voluta dal Concilio e la crisi della modernità, diventa tutto difficile come dopo il primo Concilio di Nicea.
Una parte era del parere che questa rivoluzione culturale era quanto aveva voluto il Concilio, identificava questa nuova rivoluzione culturale marxista con la volontà del Concilio; diceva: questo è il Concilio. Nella lettera i testi sono ancora un po’ antiquati, ma dietro le parole scritte sta questo spirito, questo è la volontà del Concilio, così dobbiamo fare.
E dall’altra parte, naturalmente, la reazione: così distruggete la Chiesa. La reazione – diciamo – assoluta contro il Concilio, la anti-conciliarità e – diciamo – la timida, umile ricerca di realizzare il vero spirito del Concilio.

E come dice un proverbio “Se cade un albero fa grande rumore, se cresce una selva non si sente niente perché si sviluppa un processo senza rumore” e quindi durante questi grandi rumori del progressismo sbagliato, dell’anti-conciliarismo cresce molto silenziosamente, con tante sofferenze e anche con tante perdite nella costruzione di un nuovo passaggio culturale, il cammino della Chiesa.
E poi la seconda cesura nell’89. Il crollo dei regimi comunisti, ma la risposta non fu il ritorno alla fede, come si poteva forse aspettare, non fu la riscoperta che proprio la Chiesa con il Concilio autentico aveva dato la risposta. La risposta fu invece lo scetticismo totale, la cosiddetta post-modernità.
Niente è vero, ognuno deve vedere come vivere, si afferma un materialismo, uno scetticismo pseudo-razionalista cieco che finisce nella droga, finisce in tutti questi problemi che conosciamo e di nuovo chiude le strade alla fede, perché è così semplice, così evidente. No, non c’è nulla di vero.
La verità è intollerante, non possiamo prendere questa strada.

Ecco: in questi contesti di due rotture culturali, la prima, la rivoluzione culturale del ’68, la seconda, la caduta potremmo dire nel nichilismo dopo l’89, la Chiesa con umiltà, tra le passioni del mondo e la gloria del Signore, prende la sua strada. Su questa strada dobbiamo crescere con pazienza e dobbiamo adesso in un modo nuovo imparare che cosa vuol dire rinunciare al trionfalismo.
Il Concilio aveva detto di rinunciare al trionfalismo – e aveva pensato al barocco, a tutte queste grandi culture della Chiesa.
Si disse: cominciamo in modo moderno, nuovo. Ma era cresciuto un altro trionfalismo, quello di pensare: noi adesso facciamo le cose, noi abbiamo trovato la strada e troviamo su di essa il mondo nuovo. Ma l’umiltà della Croce, del Crocifisso esclude proprio anche questo trionfalismo, dobbiamo rinunciare al trionfalismo secondo cui adesso nasce realmente la grande Chiesa del futuro. La Chiesa di Cristo è sempre umile e proprio così è grande e gioiosa.

*************************

Buona meditazione........[SM=g1740717]
 

P.S.

Mi domandate che penso dell’avvenire? Penso che dipenderà dal presente e, cioè, che se noi ci lasciamo istruire dall’esperienza e ritorniamo cristiani fedeli, il nostro avvenire potrà ricostituirsi su solide basi. Ma se ci si limita a rendere omaggi esteriori alla religione senza farla penetrare nelle leggi, nei costumi, nell’educazione, nelle dottrine e soprattutto nei cuori, semineremo solo vento, e raccoglieremo nuove tempeste.

P. M. Théodore Ratisbonne, ebreo convertito, 23 luglio 1848[SM=g1740721]

...trovo importante che nel nuovo sito di ecclesia Dei:

http://www.ecclesiadei-pontcommissio.org/

si stia dando spazio ALLA CRITICA corretta contro gli abusi avvenuti alla Liturgia....

E' così pubblicato, oltre l'articolo interessante di mons. Bux che vi suggerisco di scaricare... anche il seguente del quale prendo solo questa parte...

http://www.clerus.org/clerus/dati/2008-09/09-20/LITURGIA.html

Il Santo Padre nel suo libro Lo spirito del Concilio ha spiegato che quando ci si siede attorno, guardando ognuno la faccia dell' altro, si forma un circolo chiuso. Ma quando il sacerdote e i fedeli insieme guardano l' Oriente, verso il Signore che viene, è un modo di aprirsi all' eterno».

Si vuole contrastare una banalizzazione della messa?

«In alcuni luoghi si è perso quel senso di eterno, sacro o di celeste. C' è stata la tendenza a mettere l' uomo al centro della celebrazione e non il Signore. Ma il Concilio Vaticano II parla chiaramente della liturgia come actio Dei, actio Christi. Invece in certi circoli liturgici, vuoi per ideologia vuoi per un certo intellettualismo, si è diffusa l' idea di una liturgia adattabile a varie situazioni, in cui si debba far spazio alla creatività perché sia accessibile e accettabile a tutti. Poi magari c' è chi ha introdotto innovazioni senza nemmeno rispettare il sensus fidei e i sentimenti spirituali dei fedeli».

 A volte anche vescovi impugnano il microfono e vanno verso l' uditorio con domande e risposte.

«Il pericolo moderno è che il sacerdote pensi di essere lui al centro dell' azione. Così il rito può assumere l' aspetto di un teatro o della performance di un presentatore televisivo. Il celebrante vede la gente che guarda a lui come punto di riferimento e c' è il rischio che, per avere più successo possibile con il pubblico, inventi gesti ed espressioni facendo da protagonista».

Quale sarebbe l' atteggiamento giusto?

«Quando il sacerdote sa di non essere lui al centro, ma Cristo. Rispettare in umile servizio al Signore e alla Chiesa la liturgia e le sue regole, come qualcosa di ricevuto e non di inventato, significa lasciare più spazio al Signore perché attraverso lo strumento del sacerdote possa stimolare la coscienza dei fedeli».


Cerchiamo di dire una parola VERA....[SM=g1740722]

Benedetto XVI spiega LA VERA MUSICA PER LA MESSA

Liturgia e Musica Sacra, di J.card. Ratzinger[SM=g1740721]

Gruppo o Chiesa?

Cerchiamo brevemente di conoscere questa concezione nelle sue li­nee maestre. Il punto di partenza della liturgia — così ci viene detto —è il riunirsi di due o tre che stanno insieme nel nome di Cristo (199 a). Questo riferimento alla parola del Signore (Mt 18, 20) di primo acchito sembra innocuo e tradizionale. Ma tale parola acquista una portata ri­voluzionaria per il fatto che la citazione biblica è tolta dal suo contesto e viene fatta risaltare per contrasto sullo sfondo di tutta la tradizione liturgica. Perché i «due o tre» sono messi ora in opposizione nei con­fronti di un’istituzione con ruoli istituzionalizzati e nei confronti di ogni «programma codificato ». Così tale definizione significa quanto segue: non è la Chiesa che precede il gruppo, bensì il gruppo precede la Chiesa. Non la Chiesa nel suo insieme fa da supporto alla liturgia dei singoli gruppi e comunità, bensì il gruppo stesso è il luogo dove di volta in volta nasce la liturgia.

La liturgia perciò non si sviluppa neppure par­tendo da un modello comune, da un «rito» (ridotto, in quanto «pro­gramma codificato», all’immagine negativa della mancanza di libertà); la liturgia nasce nel momento e nel luogo concreto grazie alla creatività di quanti sono riuniti.

In tale linguaggio sociologico il sacramento del sacerdozio viene considerato un ruolo istituzionalizzato che si è procu­rato un monopolio (206 w) e, grazie all’istituzione (cioè alla Chiesa) ha dissolto l’unità primitiva e la comunitarietà dei gruppi. In tale contesto la musica, così ci viene detto, come pure il latino, sono divenuti un lin­guaggio da iniziati, «la lingua di un’altra Chiesa, cioè dell’istituzione e del suo clero».

Due Chiese?

L’aver isolato il passo di Mt 18, 20 dall’intera tradizione biblica ed ecclesiale della preghiera comune della Chiesa, come si vede, mostra ora gravi conseguenze: a partire dalla promessa che il Signore ha fatto a quanti pregano in ogni luogo, si è fatta una dogmatizzazione dei gruppi autonomi. La comunanza della preghiera è stata esasperata sino a divenire un appiattimento che considera lo sviluppo del ministero sacerdo­tale il sorgere di un’altra Chiesa. Da questo punto di vista ogni propo­sta che viene dalla Chiesa universale è giudicata una catena contro cui bisogna insorgere per amore della novità e libertà della celebrazione li­turgica.

Non l’ubbidienza di fronte a un tutto, bensì la creatività del mo­mento diviene la forma determinante.

Errata interpretazione del Concilio

Permangono così elementi di continuità nella grossa rottura: essi permettono il dialogo e infondono speranza che si possa ritrovare l’unità nella comprensione basilare della liturgia che tuttavia minaccia di sfug­gire, quando si fa derivare la liturgia dal gruppo invece che dalla Chie­sa — non soltanto sul piano teoretico, bensì nella prassi liturgica con­creta. Non mi dilungherei tanto su questo testo pubblicato in un dizio­nario prestigioso, se pensassi che tali idee siano da attribuire unicamente ad alcuni singoli teorici. Ancorché sia fuori dubbio che essi non si pos­sono appoggiare a nessun testo del Vaticano II. in alcuni uffici e orga­ni liturgici si è consolidata l’opinione che lo spirito del Concilio orienta in tale direzione. Un’opinione fin troppo diffusa suggerisce oggi le con­cezioni or ora esposte che, cioè, le categorie proprie della comprensione conciliare della liturgia siano appunto la cosiddetta creatività, l’agire di tutti i presenti e il riferimento a un gruppo di persone che si conoscono e interpellano a vicenda. Non solo giovani preti, ma talvolta anche ve­scovi hanno la sensazione di non essere fedeli al Concilio, se pregano tutto così come sta nel Messale. Deve esserci almeno una formula «crea­tiva», per banale che sia. E il saluto «civile» dei presenti, possibilmen­te anche i cordiali saluti al congedo, sono già divenuti parti d’obbligo dell’azione sacra, cui quasi nessuno osa sottrarsi.




******************

CONTINUA IL DISCORSO.........[SM=g1740733]

[SM=g1740739] [SM=g1740739] [SM=g1740739] [SM=g1740739] [SM=g1740739]

Il cattolicesimo dei SENSI DI COLPA [SM=g1740732]

Un giorno ho letto un breve saggio dove si spiegava il concetto dei SENSI DI COLPA... ossia, si spiegava come una certa esplosione (o implosione visto che è interna alla Chiesa) modernista si è avuta a causa dei sensi di colpa di molti cattolici (preti, laici e suore) i quali, ignorando il PROPRIO PASSATO O ABBARBICATI SULLA PROPAGANDA PROTESTANTE ed anticlericale, SI VERGOGNAVANO DEL PASSATO DELLA CHIESA interpretando così il Concilio come un VOLTARE PAGINA e RICOMINCIARE DA NUOVO TUTTO... l'articolo era molto convincente poichè riportava anche fatti concreti, testimonianze e opinioni di molte di queste persone, anche di vescovi fra i quali vi erano discussioni sulle opportunità o meno di atti pontifici durante i tempi delle due Guerre Mondiali.

C’è del vero in tutto questo... e lo vedemmo quando infatti uscì fuori il Mea Culpa per il quale il Papa dovette modificare il testo come racconta il card. Biffi nel suo libro... e che dovette impegnare il card. Ratzinger per una spiegazione sul senso e sul significato....

MOLTI CATTOLICI NON AMANO IL PROPRIO PASSATO, SI VERGOGNANO DEL PASSATO DELLA CHIESA[SM=g1740729]  altri si rifiutano perfino di approfondire questo passato, altri ancora pensano che la Chiesa sia esclusivamente quella narrazione fatta di Crociate ed Inquisizione interpretate dalla stampa anticattolica del ‘700 e dell’800, rifiutando di aggiornare le proprie conoscenze attraverso saggi odierni sulle rivisitazioni di storici credibili con l’apprendimento di nuovi documenti....

Molti sacerdoti non sono da meno, anzi molti di loro credono di poter fare del bene quanto più presentassero UNA CHIESA NUOVA, APERTA, SENZA DOTTRINE....le dottrine sono viste come lacci, come impedimenti, come obblighi di una Chiesa del passato, una Chiesa MATRIGNA… il concetto di CHIESA NUOVA è quanto più di diabolico possa essere uscito NON dal Concilio, ma dalla sua strumentalizzazione... per questo Paolo VI non avrebbe dovuto fare nessuna riforma liturgica, l'aveva fatta già Giovanni XXIII.... Occhi al cielo. cambiare la Liturgia, la Messa, CONFERMO' A MOLTI FEDELI L'IDEA ERRATA DI UNA CHIESA NUOVA... e una chiesa NUOVA necessita DI NUOVE DOTTRINE.... Attenzione però, perché Paolo VI al tempo stesso INSEGNAVA che le cose non stavano così… mercoledì del 12 gennaio 1966 così si esprimeva Paolo VI all’Udienza generale:

Bisogna fare attenzione: gli insegnamenti del Concilio non costituiscono un sistema organico e completo della dottrina cattolica; questa è assai più ampia, come tutti sanno, e non è messa in dubbio dal Concilio o sostanzialmente modificata; ché anzi il Concilio la conferma, la illustra, la difende e la sviluppa con autorevolissima apologia, piena di sapienza, di vigore e di fiducia. Ed è questo aspetto dottrinale del Concilio, che dobbiamo in primo luogo notare per l’onore della Parola di Dio, che rimane univoca e perenne, come luce che non si spegne, e per il conforto delle nostre anime, che dalla voce franca e solenne del Concilio sperimentano quale provvidenziale ufficio sia stato affidato da Cristo al magistero vivo della Chiesa per custodire, per difendere, per interpretare il «deposito della fede»
(cfr. Humani generis, A.A.S., 1960, p. 567)[SM=g1740721]

Non dobbiamo staccare gli insegnamenti del Concilio dal patrimonio dottrinale della Chiesa, sì deve vedere come in esso si inseriscano, come ad esso siano coerenti, e come ad esso apportino testimonianza, incremento, spiegazione, applicazione. Allora anche le «novità» dottrinali, o normative del Concilio appariscono nelle loro giuste proporzioni, non creano obbiezioni verso la fedeltà della Chiesa alla sua funzione didascalica, e acquistano quel vero significato, che la fa risplendere di luce superiore.

Perciò il Concilio aiuti i fedeli, maestri o discepoli che siano, a superare quegli stati d’animo - di negazione, d’indifferenza, di dubbio, di soggettivismo, ecc. - che sono contrari alla purezza e alla fortezza della fede. Esso è un grande atto del magistero ecclesiastico; e chi aderisce al Concilio riconosce ed onora con ciò il magistero della Chiesa; e fu questa la prima idea che mosse Papa Giovanni XXIII, di venerata memoria, a convocare il Concilio, come Egli ben disse inaugurandolo: «ut iterum magisterium ecclesiasticum . . . affirmaretur»; «fu nostro proposito, così si esprimeva, nell’indire questa grandissima assemblea, di riaffermare il magistero ecclesiastico» (A.A.S. 1962, p. 786). «Ciò che più importa al Concilio ecumenico, Egli continuava, è questo: che il sacro deposito della dottrina cristiana sia più efficacemente custodito ed esposto» (ibid. p. 790).[SM=g1740717]

Non sarebbe perciò nel vero chi pensasse che il Concilio rappresenti un distacco, una rottura, ovvero, come qualcuno pensa, una liberazione dall’insegnamento tradizionale della Chiesa, oppure autorizzi e promuova un facile conformismo alla mentalità del nostro tempo, in ciò ch’essa ha di effimero e di negativo piuttosto che di sicuro e di scientifico, ovvero conceda a chiunque di dare il valore e l’espressione che crede alle verità della fede. Il Concilio apre molti orizzonti nuovi agli studi biblici, teologici e umanistici, invita a ricercare e ad approfondire le scienze religiose ma non priva il pensiero cristiano del suo rigore speculativo, e non consente che nella scuola filosofica, teologica e scritturale della Chiesa entri l’arbitrio, l’incertezza, la servilità, la desolazione, che caratterizzano tante forme del pensiero religioso moderno, quand’è privo dell’assistenza del magistero ecclesiastico.
(Paolo VI http://www.vatican.va/holy_father/pa...660112_it.htm  )[SM=g1740722]

*************************************

In un Blog l'amico Stephanos78 ha detto...


Nelle Parole del Santo Padre Paolo VI, mi sembra di scorgere quasi una "mezza risposta" ai miei dubbi. E chiedo il vostro aiuto.

Sembra quasi che si sia PERMESSA (perchè questo è! E' stata PERMESSA! C'è poco da fare!) questa temperie per "evitare" di peggio!

*****************************

La mia risposta che ritengo utile anche per noi qui  Sorriso :

Un amico lefebviano un giorno mi disse: "visto che scrivi queste cose e che quindi hai capito il problema, come fai a non giudicare Paolo VI?"

gli risposi: "non sono stata battezzata per fare processi a qualcuno o nientemeno che al Ponetfice.....sono stata chiamata per essere SERVA DEI SERVI DI CRISTO  e non è vero che "ho capito tutto" mi sforzo piuttosto per cercare di NON USCIRE io dalla Chiesa....il che di questi tempi non è facile  [SM=g1740727]

Valutare l'operato di un Pontefice si, questo lo possiamo fare, ma sempre con il dovuto DISCERNIMENTO perchè se quel Pontefice disse chiaramente come stava il Concilio, è un dovere divulgare queste parole e farci NOI un esame di coscienza per capire che cosa è andato storto E QUANTO SIAMO RESPONSABILI....[SM=g1740733]

Non pochi nomi illustri hanno ripetuto la grave responsabilità che pesa sui PASTORI che non furono affatto dei buoni Pastori e abbandonarono il gregge all'esposizione DI NUOVE DOTTRINE....
Magari lo fecero anche in buona fede, ma vediamo tutti i danni che ne sono derivati....

Se poi NON si è voluto o non si è potuto, la differenza è sottile ed oggi è superata....ciò che conta è che se ne parli e che emergano questi problemi per poter fare discernimento su ciò che è buono e su ciò che è male...

Credo infine che abbiamo perduto LA MEMORIA...

Si, nel tentativo (sublime) di Giovanni Paolo II di fare il Mea Culpa, troppe persone, vescovi compresi, hanno malamente interpretato il gesto ome un COLPO DI SPUGNA e cancellare così la memoria....ossia hanno accolto il Mea Culpa del Pontefice, MA HANNO IGNORATO LA CATECHESI DI RATZINGER SUL SIGNIFICATO DI TALE GESTO....
Ecco perchè parlo di SENSI DI COLPA E DI QUEL VERGOGNARSI DEL NOSTRO PASSATO
... [SM=g1740730]

Perchè dunque il Signore ha permesso tutto questo?

Io credo anche un pò per "colpa" nostra.....[SM=g1740733]


Nel ricostruire le recenti vicende della Chiesa a partire anche dal secolo scorso, probabilmente la fede era anche diventata un atto AUTOMATICO...UNA ABITUDINE: abitudinario definirsi Cattolico; abitudinario e scontato accedere ai Sacramenti, andare alla Messa....abitudinario accorrere in fiumi in piena a san Pietro quando il Papa "chiamava" (basta vedere i filmati di Pio XII, di Giovanni XXIII....), tutto abitudine perchè quando invece si è dovuto chiamare i Cattolici ad assumersi le responsabilità CON I PRIMI PLEBISCITI DEMOCRATICI sul divorzio e sull'aborto per esempio....
ecco che il Cattolico è uscito allo scoperto RINNEGANDO LA PROPRIA FEDE
.... [SM=g1740732]

Qui non c'entra affatto il Concilio attenzione.... Occhiolino il Concilio stesso semmai HA SUBITO QUESTA APOSTASIA... i gruppi di cattolici che determinarono la SCONFITTA della Chiesa sulla morale e sull'etica sull'aborto e divorzio, furono gruppi FORMATI PRIMA DEL CONCILIO [SM=g1740733]

Anzi....quelli che vennero dopo che chiamiamo "carismatici" o CAMMINI....fondarono, effettivamente, i propri Statuti sulla CORRETTA DOTTRINA ETICA E MORALE DELLA CHIESA e questo determinò anche una buona parte del loro successo
Non a caso anche Benedetto XVI, nel rivolgersi aiMovimenti del dopo Concilio parla di: RISVEGLIO...

Chi tradì la Dottrina della Chiesa negli anni '70 NON furono i giovani Movimenti, gruppi o associazioni venuti dopo il Concilio, al contrario...furono Vescovi, Sacerdoti... GESUITI, DOMENICANI, FRANCESCANI ecc... attraverso le cui SINGOLE PERSONE hanno predicato malamente esponendosi CONTRO il Pontefice.... gruppi laicali quali DELL'AZIONE CATTOLICA...che costrinsero l'allora Patriarca di Venezia Albino Luciani, futuro Giovanni Paolo I, A DOVER CHIUDERE LA SEZIONE VENETA per la forte propaganda abortista e divorzista...e la lista continuerebbe  [SM=g1740733]
Non dimentichimo anche la Teologia della Liberazione e il gruppo di Vescovi OLANDESI che a momenti davano origine veramente ad un altra chiesa
.....

Molto caos ha regnato nella Chiesa....e in questo caos taluni hanno cercato di INFILTRARSI SPACCIANDOSI PER NUOVI PROFETI E MAESTRI.. Occhi al cielo
Il Papa LO SA... altrimenti non avrebbe neppure concesso la revoca dellascomunica alla FSSPX[SM=g1740722]

Tutte cose che si dovrebbero sapere, ma che sono state CANCELLATE....cancellate dall'aver cancellato LA MEMORIA DELLA NOSTRA TRADIZIONE...
Quanto il Papa sta facendo nella Messa infatti, va detto che NON E' NULLA DI NUOVO  Occhiolino al contrario, il Papa sta riportando alla luce quanto avevamo tentato di cancellare...

Il problema è dunque: perchè NON si riesce a far capire questa VERITA' e non si riesce a farla applicare?

Bè....chiediamoci chi è colui AL QUALE è STATO PERMESSO DA DIO DI PROVARCI AL CROGIOLO....[SM=g1740732] [SM=g1740730] [SM=g1740725]  Ghigno
ergo, SIAMO PROVATI PROPRIO NELL'OBBEDIENZA.... e Satana rende tutto OSCURO.... lui principe delle tenebre offusca LA VERITA' così che molti Cattolici NON RIESCONO A VEDERLA....

Ma chi ha ricevuto la Grazia di vedere e capire, DEVE SOFFRIRE... soffrire per non insuperbirsi...e pr supplicare Dio che anche gli altri possano alla fine un giorno VEDERE... Occhiolino


Al momento mi fermo qui....perchè vi è tanto da approfondire...[SM=g1740720]










Caterina63
00mercoledì 28 gennaio 2009 12:03
Segnalo da Rinascimento Sacro la pubblicazione di questo articolo che interessa il tema fin qui trattato:

http://www.rinascimentosacro.com/2008/11/itinerario-verso-il-fatto-compiuto.html

ITINERARIO VERSO IL FATTO COMPIUTO ossia l'abuso della comunione alla mano....[SM=g1740730]

Si legge:

Non è un caso, del resto, che proprio in uno dei primi luoghi dove la Comunione sulla mano s’introdusse abusivamente fosse stato pubblicato poco tempo prima un “Nuovo Catechismo” (il noto “Catechismo Olandese”) al quale la Santa Sede dovette imporre numerose modifiche (14 principali e 45 minori).

In questo testo, commissionato dall’episcopato olandese e presentato mediante una “lettera pastorale collettiva”, si metteva in dubbio la presenza reale e sostanziale di Cristo nell’Eucaristia, si dava una spiegazione inammissibile della transustanziazione e si negava qualsiasi forma di presenza di Gesù Cristo nelle particelle o frammenti staccatisi dall’Ostia dopo la Consacrazione. D’altra parte si faceva confusione fra il sacerdozio comune dei fedeli e il sacerdozio gerarchico.

********************

...... mi chiedo se a fronte di queste che erano e sono VERE ERESIE sia stato sufficiente "imporre" solo delle correzioni o non fosse stato più utile BANDIRLO INSIEME AGLI AUTORI se non avessero ritrattato.... Occhi al cielo

L'insieme di un episcopato caduto nell'eresia....mi fa tornare a mente il periodo ariano: il medico pietoso fa imputridire la piaga....davvero NON riesco a capire in quale modo si possa difendere un tale SILENZIO attraverso il quale vi fu l'infiltrazione di una falsa interpretazione del Concilio SPACCAIATA PER DOGMA, negarlo non fa bene a nessuno....[SM=g1740729]


Che cosa accadde durante il Concilio V.II e cosa accadde negli anni successivi?

ne più ne meno di ciò che accadde negli altri Concilii.... Occhiolino non dimentichiamo che prima e durante ed anche dopo il Concilio di Trento, molti sacerdoti e Vescovi ABBANDONARONO LA CHIESA rifugiandosi nell'anglicanesimo e nel protestantesimo... [SM=g1740729]

Un esempio di cosa ha sempre vissuto la Chiesa durante e dopo un Concilio ce lo dice san Cipriano...[SM=g1740721]

Così disse a ragione :


3. - Ora, bisogna guardarsi non solo dai pericoli aperti e manifesti, ma pure dalle insidie tese con l’astuzia sottile dell’imbroglio. Ed ecco, cosa può esserci di più astuto e sottile? Il nemico, smascherato e abbattuto dalla venuta di Cristo, dopo che la luce venne alle genti e irraggiò il suo splendore per la salvezza degli uomini sicché i sordi ricuperavano l’udito della grazia spirituale e i ciechi aprivano gli occhi al Signore e gli infermi si rinvigorivano della sanità eterna e gli zoppi accorrevano alla Chiesa e i muti articolavano con chiara voce le loro preghiere: quel nemico, vedendo i suoi idoli abbandonati, e disertati i suoi templi e le sue sedi a causa del gran numero dei credenti, ha escogitato un nuovo inganno quello cioè di far cadere gli imprudenti presentandosi con l’etichetta del nome cristiano. Ha inventato, cosi, le eresie e gli scismi per sovvertire la fede, per corrompere la verità, per spezzare l’unità.

In questo modo, coloro che egli non può più tenere nel vicolo cieco dell’antico errore, li raggira e li inganna per una nuova via. Strappa gli uomini proprio dalla Chiesa e, mentre essi credono di essersi già accostati alla luce sfuggendo alla notte del mondo, li avvolge ancora in altre tenebre senza che essi se ne accorgano. Cosi costoro finiscono per chiamarsi cristiani senza però osservare la legge del Vangelo di Cristo; e mentre camminano nelle tenebre, pensano di stare nella luce. Tutto ciò è opera appunto dell’avversario, il quale attira con lusinghe nell’errore, e — come dice l’Apostolo (2 Corinzi 11,14) — si trasforma in angelo di luce, e spaccia i suoi ministri per ministri di giustizia: costoro chiamano giorno la notte, salvezza la morte, e insinuano la disperazione con l’appannaggio della speranza, e l’incredulità sotto il pretesto della fede, e dicono Cristo l’Anticristo, cosicché frustrano sottilmente la verità con menzogne verosimili. Ma ciò accade, fratelli carissimi, quando non ci si rifà all’origine della verità, quando non se ne ricerca il principio, quando non si osserva la dottrina del magistero celeste...(...)


6. - La sposa di Cristo non sarà mai adultera: essa è incorruttibile e pura. Ha conosciuto una sola casa, ha custodito con casto pudore la santità di un sol talamo. Lei ci conserva per Dio, lei destina al regno i figli che ha generato. Chiunque, separandosi dalla Chiesa, ne sceglie una adultera, viene a tagliarsi fuori dalle promesse della Chiesa: chi abbandona la Chiesa di Cristo, non perviene certo alle ricompense di Cristo. Costui sarà un estraneo, un profano, un nemico. Non può avere Dio per padre chi non ha la Chiesa per madre. Se avesse potuto salvarsi chi restò fuori dell’arca di Noé, allora potremmo dire che si salverà chi è fuori della Chiesa (Genesi 7,1). Ecco quanto il Signore ci dice ammonendoci: «Chi non è con me, è contro di me; e chi non raccoglie con me, disperde» (Matteo 12,30). Colui che spezza la concordia, la pace di Cristo, è contro Cristo; e colui che raccoglie fuori della Chiesa, disperde la Chiesa di Cristo. Il Signore dice: «Io e il Padre siamo uno» (Giovanni 10,30). E ancora sta scritto del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo: «E i tre sono uno» (1 Giovanni 5,7). Ebbene, può forse esserci qualcuno che creda si possa dividere l’unità nella Chiesa, questa unità che viene dalla stabilità divina e che è legata ai misteri celesti, e penserà che si possa dissolvere per la divergenza di opposte volontà? Chi non si tiene in questa unità, non si tiene nella legge di Dio, non si tiene nella fede del Padre e del Figlio, non si tiene nella vita e nella salvezza.


san Cipriano martire da "L'Unità della Chiesa" (reperibile nelle librerie, Edizioni Studio Domenicano)



Vissuto nel 200 d.C. vescovo di Cartagine nel 248

Questo celebre testo venne letto dallo stesso Cipriano di fronte al concilio che si tenne in aprile nel 251, quello in cui poté ottenere il supporto dei vescovi contro lo scisma originato da Felicissimo e da Novato, che avevano un grande seguito. L'unità di cui san Cipriano si stava occupando non era tanto l'unità dell'intera chiesa, la necessità della quale comunque postulava, quanto l'unità da mantenere all'interno di ogni diocesi tramite l'unione con il vescovo; l'unità della chiesa, infatti, era garantita dall'unione dei vescovi che "sono incollati l'uno all'altro", quindi chiunque non è con il suo vescovo è fuori dalla chiesa e non può essere unito a Cristo; il prototipo del vescovo è San Pietro, il primo vescovo al quale tutti gli altri devono essere legati attraverso l'obbedienza....Il testo rituonò nell'aula conciliare e fu accolto con fragorosi applausi e arginò lo scisma novaziano che nel frattemo era stato nominato antipapa a fronte della legittima nomina diel vescovo Cornelio a successore di Pietro.....

ecc....eccc....ecc.....tanti c'hanno provato a distruggere la Chiesa o a volerla cambiare, ma hanno ottenuto solo divisioni e scismi.....hanno diviso la Chiesa.....
C'è stato chi ha regalato a Giovanni Paolo II niente meno che un libro sul
come CAMBIARE IL RUOLO PETRINO...
.Giovanni Paolo II LO CESTINO'...[SM=g1740745] [SM=g1740739]

Benedetto XVI spiega tre chiavi di lettura del primato petrino

Nell’omelia in occasione della solennità dei Santi Pietro e Paolo

CITTA’ DEL VATICANO, venerdì, 30 giugno 2006 (ZENIT.org).- Pronunciando l’omelia della celebrazione eucaristica che ha presieduto questo giovedì in occasione della solennità dei Santi Pietro e Paolo, Benedetto XVI ha indicato tre chiavi di lettura del primato petrino, riferite ai Vangeli di Matteo, Luca e Giovanni.

Il Pontefice ha voluto approfondire il significato della frase “Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa” (Mt 16, 18): “che cosa dice propriamente il Signore a Pietro con queste parole? Quale promessa gli fa con esse e quale incarico gli affida? E che cosa dice a noi – al Vescovo di Roma, che siede sulla cattedra di Pietro, e alla Chiesa di oggi?”, ha chiesto.

“Se vogliamo comprendere il significato delle parole di Gesù, è utile ricordarsi che i Vangeli ci raccontano di tre situazioni diverse in cui il Signore, ogni volta in un modo particolare, trasmette a Pietro il compito che gli sarà proprio”, ha spiegato.

Nel Vangelo di Matteo (16, 13-19) letto in occasione della solennità, “Pietro rende la propria confessione a Gesù riconoscendolo come Messia e Figlio di Dio. In base a ciò gli viene conferito il suo particolare compito mediante tre immagini: quella della roccia che diventa pietra di fondamento o pietra angolare, quella delle chiavi e quella del legare e sciogliere”.

Il Pontefice ha voluto richiamare l’attenzione “sul luogo geografico e sul contesto cronologico” delle parole di Cristo: “la promessa avviene presso le fonti del Giordano, alla frontiera della terra giudaica, sul confine verso il mondo pagano”, e il suo momento “segna una svolta decisiva nel cammino di Gesù”, che ora “s'incammina verso Gerusalemme e, per la prima volta, dice ai discepoli che questo cammino verso la Città Santa è il cammino verso la Croce”.

“Ambedue le cose vanno insieme e determinano il luogo interiore del Primato, anzi della Chiesa in genere – ha spiegato il Papa –: continuamente il Signore è in cammino verso la Croce”, “ma al contempo è sempre anche in cammino verso la vastità del mondo, nella quale Egli ci precede come Risorto”.

“La Chiesa – ed in essa Cristo – soffre anche oggi – ha riconosciuto il Pontefice –. In essa Cristo viene sempre di nuovo schernito e colpito; sempre di nuovo si cerca di spingerlo fuori del mondo”.

Nonostante questo, “proprio nella Chiesa sofferente Cristo è vittorioso”, e “la fede in Lui riprende forza sempre di nuovo”.

Questo si constata “anche nel ministero di Pietro”, in cui “si rivela, da una parte, la debolezza di ciò che è proprio dell'uomo, ma insieme anche la forza di Dio: proprio nella debolezza degli uomini il Signore manifesta la sua forza; dimostra che è Lui stesso a costruire, mediante uomini deboli, la sua Chiesa”.

Benedetto XVI ha quindi ricordato il racconto dell’Ultima Cena riportato nel Vangelo di San Luca (22, 31-33): Gesù si rivolge a Pietro subito dopo l'istituzione dell’Eucaristia, che rappresenta “il vero e proprio atto fondativo della Chiesa”.

In questa situazione, Gesù “parla di ciò che l'essere discepoli, il ‘ministero’, significa nella nuova comunità: dice che esso è un impegno di servizio, così come Egli stesso si trova in mezzo a loro come Colui che serve. E allora si rivolge a Pietro”, pregando affinché non venga meno la sua fede.

Il compito di Pietro, ha proseguito il Vescovo di Roma, è “non lasciare mai che questa fede diventi muta, rinfrancarla sempre di nuovo, proprio anche di fronte alla croce e a tutte le contraddizioni del mondo”.

Cristo “non prega soltanto per la fede personale di Pietro, ma per la sua fede come servizio agli altri. È proprio questo che Egli intende dire con le parole: ‘E tu, una volta ravveduto, conferma i tuoi fratelli’”.

“Il Signore affida a Pietro il compito per i fratelli attraverso la promessa della sua preghiera. L'incarico di Pietro è ancorato alla preghiera di Gesù. È questo che gli dà la sicurezza del suo perseverare attraverso tutte le miserie umane”.

Il terzo riferimento al primato petrino si ritrova nel Vangelo di San Giovanni (21, 15-19), nel brano in cui il Signore risorto affida a Pietro il suo gregge.

“Anche qui si compenetrano a vicenda la Croce e la Risurrezione. Gesù predice a Pietro che il suo cammino andrà verso la croce. In questa Basilica eretta sopra la tomba di Pietro – una tomba di poveri – vediamo che il Signore proprio così, attraverso la Croce, vince sempre”.

Il potere divino, infatti, non è “secondo le modalità di questo mondo. È il potere del bene – della verità e dell'amore, che è più forte della morte”.

“Sì, è vera la sua promessa – ha concluso il Papa –: i poteri della morte, le porte degli inferi non prevarranno contro la Chiesa che Egli ha edificato su Pietro e che Egli, proprio in questo modo, continua ad edificare personalmente”.

[SM=g1740717] [SM=g1740720] [SM=g1740717]

Ritornando agli abusi dopo il Concilio.....[SM=g1740730]

TE DEUM LAUDAMUS....
non siamo una voce fuori del coro...quanto segue conferma le denuncie sollevate da questo forum Ghigno....
 
Speciale Sinodo dei Vescovi - La denuncia di Monsignor Burke:
I fedeli non rispettano la liturgia e le altre Leggi della Chiesa
 
posterò solo un passo....il resto leggetelo dal collegamento
 
http://www.papanews.it/news.asp?IdNews=9856
 
CITTA’ DEL VATICANO

                                         
 
I fedeli spesso ignorano o disattendono le norme relative alla liturgia e piu' in generale le leggi della Chiesa costituite dal diritto canonico, a sua volta fondato sulla legge naturale. E' del resto il diritto canonico strumento attraverso il quale ''la vita di Cristo puo' crescere e diffondersi''.

E' questo il severo richiamo rivolto al Sinodo generale dei Vescovi da Monsignor Raymond Burke, Prefetto del Supremo tribunale della segnatura apostolica; Monsignor Burke (nella foto), gia' Arcivescovo di Saint-Louis, di recente e' stato chiamato a ricoprire l'incarico in Curia da Benedetto XVI.

(..)


In merito poi ''al rapporto fra la Parola di Dio e la legge, e' importante sottolineare il servizio che il diritto canonico svolge nella Chiesa, mediante il quale la vita di Cristo puo' crescere e diffondersi nell'intera Chiesa. Nella sua Costituzione Apostolica ‘Sacrae disciplinae leges’, Papa Giovanni Paolo II, descrivendo il servizio del Diritto Canonico nella Chiesa, si e' riferito a un lontano patrimonio di diritto contenuto nei libri del Vecchio e Nuovo Testamento dal quale, come dalla sua prima sorgente, proviene tutta la tradizione giuridico-legislativa della Chiesa''.

Quindi, ha sottolineato Monsignor Burke, ''nella Chiesa, come nella societa', la comprensione della legge e' stata oscurata e, in alcuni casi, ha condotto a effetti gravemente dannosi come, per esempio, la diffusa inosservanza delle leggi liturgiche e l'insuccesso dei procedimenti attraverso i quali i fedeli rivendicano i propri diritti e i reati ecclesiastici non vengono dovutamente puniti''.

Al contrario, ''una maggior conoscenza del servizio della legge nella Chiesa, mediante lo studio della Parola di Dio, non solo aiuta la Chiesa a comprendere e a far tesoro del dono della disciplina canonica per il compimento della missione divina, ma aiuta tutta la societa' in generale a comprendere e a far tesoro del servizio insostituibile della legge per il compimento del bene comune''.
 
 
  GRAZIE MONS. BURKE...[SM=g1740721] ...

 Ghigno oserei dire che "qualcuno....ci legge"......... Felice

riporto da:
http://www.rinascimentosacro.com/2008/10/dal-culto-divino-osservazioni-piene-di.html


Mons. Ranjith, lucido osservatore della realtà: dal Culto Divino un ottimo servizio al Papa e alla Chiesa.
L’innovazione controproducente delle “ministranti femmine”, ministri straordinari dell’Eucaristia fuori controllo, sacerdoti “attori”: Monsignor Malcom Ranjith, segretario della Congregazione del Culto Divino, fotografa alcune diffuse derive liturgiche.


di Andrea Galli

«In molti luoghi non si celebrava in modo fedele alle prescrizioni del nuovo Messale, ma esso addirittura veniva inteso come un'autorizzazione o perfino come un obbligo alla creatività, la quale portò spesso a deformazioni della Liturgia al limite del sopportabile». Così Benedetto XVI descriveva, nella lettera di accompagnamento al motu proprio Summorum Pontificum, il clima che accompagnò in molte chiese locali la riforma liturgica. Un clima che i - ne parliamo con monsignor Malcolm Ranjith, numero due della Congregazione che si i occupa di liturgia e disciplina dei sacramenti - è lungi dall'essere scomparso.




Eccellenza, qual'è è la posizione della Chiesa riguardo alle ministranti femmine, alle chierichette, che nel giro di pochi anni si sono diffuse a macchia d'olio in tutte le diocesi italiane?

«Si tratta di una prassi diffusasi in diversi Paesi, nata nell'atmosfera di una rivendicazione di pari diritti tra uomo e donna, un movimento di opinione che accanto a punti condivisibili ne presenta altri che possono essere problematici. La Congregazione ha pubblicato nella sua rivista Notitiae, nel numero di gennaio-febbraio 2002, una lettera inviata ad un vescovo in cui non si opponeva a tale prassi, ma ne parlava con toni cauti. Voleva che il vescovo, esercitando il suo ruolo di moderatore della liturgia nella sua diocesi, giudicasse bene la situazione locale, la sensibilità dei fedeli e le ragioni per introdurre le chierichette.

Nei Paesi in cui questa abitudine si è radicata si è infatti notato negli anni un aumento delle femmine fra i ministranti e una corrispondente diminuzione dei maschi. Questo probabilmente perché durante l'infanzia e la prima adolescenza molti maschi non si sentono a loro agio nello svolgere il servizio all'altare insieme alle coetanee femmine. Ma se si pensa che il servizio all'altare è sempre stato un momento molto importante per la nascita di vocazioni - è lì che un bambino percepisce, spesso in modo molto profondo, l'importanza dell'Eucaristia e il mistero della liturgia - si può capire quale sia l'effetto negativo di questo allontanamento dei maschi dall'altare. Difatti nella lettera sopra citata la Congregazione, alludendo ad una sua precedente lettera circolare sull'argomento, ricordava «l'obbligo di promuovere gruppi di fanciulli ministranti, non da ultimo, per il ben noto aiuto che, da tempo immemorabile, tali iniziative hanno assicurato nell'incoraggiamento di future vocazioni sacerdotali» (Litterae Congregationis, Prot. N. 2451/00/L del 27 luglio 2001, in Notitiae 38 [2002] 48). Essa raccomandava di consultare la Conferenza Episcopale, anche se il parere di quest'ultima non doveva togliere «la necessaria libertà di azione del singolo vescovo diocesano» (Ibid. p. 47). Inoltre, non si può dire che il maggior protagonismo delle bambine incrementi le vocazioni femminili alla vita consacrata: al contrario, l'esperienza insegna che dove si è diffusa questa pratica le vocazioni femminili sono calate ancor più della norma. In sostanza, anche solo per una ragione di prudenza o lungimiranza pastorale, direi che questa prassi è da scoraggiare».




Accanto alla "novità" delle chierichette, si nota sempre più spesso una sciatteria nel servizio all'altare dei chierichetti in generale.

«Questo è un riflesso della crisi del senso della liturgia fra il clero, che è il vero problema. Non sono ovviamente i ministranti a decidere come devono vestirsi, come devono atteggiarsi, cosa devono fare. Il servizio del ministrante, quando io ero un ministrante, era curato con grande scrupolo dai sacerdoti. Si organizzavano dei ritiri appositi, c'erano prove rigorose prima delle cerimonie, ecc. Se un sacerdote ama il proprio sacerdozio si impegnerà nel curare la liturgia in tutti i suoi aspetti, compresa la formazione dei ministranti. Se non ama il proprio sacerdozio, che è incentrato sull'evento eucaristico, avrà un atteggiamento superficiale e approssimativo per quanto riguarda la liturgia. E ciò è una vera disgrazia per la Chiesa».



Un'abitudine che si è diffusa tra i sacerdoti che celebrano con il Novus Ordo è quella di intercalare con propri commenti o battute qualsiasi momento della Messa.

«Qui c'è un problema che va al di là del protagonismo o del carattere estroso del singolo sacerdote: l'essere rivolto verso il popolo fa sì che il sacerdote si senta e sia percepito come il protagonista principale della Messa. È un po' come se salisse su un palcoscenico e si mettesse di fronte al pubblico: l'esigenza di soddisfare la platea diventa spontanea, è una dinamica psicologica. A questo punto, però, l'assemblea rischia di trasformarsi in un raduno puramente umano, dove l'elemento divino passa in secondo o terzo piano.

D'altronde quella di celebrare rivolti verso il popolo non è stata un'indicazione del Concilio e si può dire, dopo ormai molti anni, che ha causato diversi problemi per la liturgia. Penso che bisognerà fare qualcosa a questo riguardo. Ci possono essere certamente delle parti della Messa in cui il sacerdote si rivolge al popolo, come le letture o l'omelia, ma bisogna recuperare quell'orientamento al Signore che il Santo Padre ci sta indicando con la reintroduzione del crocifisso sopra l'altare. Nell'essere rivolto al Signore insieme all'assemblea, il sacerdote smette di essere l'attore principale sul palcoscenico e diventa un umile servo di fronte a Dio. Se non si fa questo cambiamento, il problema del celebrante che cerca di accattivarsi la simpatia dei fedeli e che improvvisa, insomma il problema di una liturgia "do it yourself" (fai da te) continuerà. Allo stesso tempo, mi permetta una sottolineatura, è necessario tornare ad insegnare anche ai fedeli cos'è la liturgia, è necessario spiegare loro perché il sacerdote attore o presentatore, che va di qua e di là durante la Messa con la chitarra al collo o il microfono in mano, e che magari a loro piace, è una figura che non ha nulla a che fare con la liturgia cattolica. Il protagonista principale di ogni atto liturgico non è nessun altro che Cristo, perché, come definisce la Sacrosanctum Concilium, la costituzione liturgica del Concilio Vaticano II, la liturgia è "Actio Christi Sacerdotis" (SC 7)».




Può dirci qualcosa sugli avvisi dopo la Messa, che sembrano diventati a tutti gli effetti una parte della liturgia romana?

«Qui va seguito il buon senso. Direi che la cosa migliore è verificare se questi avvisi possono essere fatti appena prima dell'inizio della Messa, magari da un laico, oppure attraverso l'uso di notiziari o bollettini parrocchiali. Se non si possono adottare queste soluzioni, nel leggere gli avvisi dopo la comunione bisognerà usare sobrietà e poche parole».



In molte parrocchie si nota un uso regolare dei ministri straordinari dell'Eucaristia nel distribuire la comunione durante la Messa. Non si tratta di un abuso?

«Le norme emanate dalla Congregazione nel gennaio 1973, Immensae Caritatis, sono chiarissime: il ministro ordinario della comunione è il vescovo, a seguire il sacerdote e il diacono, (C/C 910 §1). Ministro straordinario può essere un accolito o un lettore, un seminarista, un religioso o una religiosa. Il catechista o un fedele, uomo o donna, lo possono diventare solo dopo un'apposita formazione e uno speciale permesso/mandato del vescovo. Ma, una volta che lo sono diventati, devono attenersi al loro ruolo, che è appunto straordinario. Intanto devono presentarsi all'altare vestiti in modo decoroso, ma soprattutto non devono distribuire la Comunione là dove non ce ne sia strettamente bisogno. Come dice il documento sopra citato, tale ministero viene esercitato solo se manchino il presbitero, il diacono o l'accolito, se non possono distribuire la Santa Comunione perché impediti da un altro ministero pastorale, o perché vecchi o malati, e se i fedeli desiderosi di comunicarsi sono talmente tanti da far prolungare in modo eccessivo la Messa. Devo dire che a questo riguardo spesso non si vede molta serietà. Capita di assistere a Messe con 50 parrocchiani e 4 o 5 ministri straordinari dell'Eucaristia che corrono all'altare al momento della distribuzione della Comunione, con il sacerdote che magari delega a loro il compito: una prassi completamente erronea. I ministri straordinari, lo dice il nome, devono essere impiegati in occasioni davvero eccezionali. E non tutti insieme».



Ci può ricordare quali sono i modi opportuni per comunicarsi?

«Quando ci si comunica stando in piedi, le norme stabiliscono che prima di ricevere il sacramento si faccia un atto di reverenza (Institutio Generate Missalis Romani, 160), per esempio un inchino o una genuflessione: perché non si sta andando a prendere un pezzo di pane, ma a ricevere Cristo in persona. La prassi più opportuna resta comunque quella di ricevere la comunione in bocca e preferibilmente in ginocchio, come il Santo Padre ci sta mostrando nelle liturgie che presiede. Quando un thailandese va dal suo re. deve andarci in ginocchio, anche se è il primo ministro del Paese. Così se un giapponese viene ricevuto dall'imperatore, gli si avvicina con un alto senso di riverenza, dopo aver fatto inchini su inchini. Gesù Cristo è il Re dei re, il Signore Onnipotente. Ci si domanda: non si merita lui più di tutti un gesto di amore e riverenza?».



Fonte Il Timone settembre-ottobre 2008


[SM=g1740739] [SM=g1740739] [SM=g1740739] [SM=g1740739] [SM=g1740739] [SM=g1740739] [SM=g1740739] [SM=g1740739] [SM=g1740739] [SM=g1740739]

aggiungo la lettera di Ratzinger del 1992:


Communionis Notio - Lettera, Congregazione per la Dottrina della Fede


orbene in essa viene spiegata l'erronea interpretazione di molti testi del Concilio... [SM=g1740733]
facciamo dunque attenzione anche noi a non interpretare forzatamente nei testi del Concilio, una volontà atta a distruggere il Primato di Pietro, perchè non è così... Occhiolino

suggerisco di approfondire l'argomento, munendovi di un bel tascabile: "Pietro ama e unisce - la responsabilità DEL PAPA per la Chiesa universale" ....in questo libro si affronta proprio la questione della collegialità e delle FALSE INTERPRETAZIONI che hanno scalfito (si legge proprio così) lo stesso dialogo Ecumenico rischiando, molte volte di confondere il Primato di Pietro con la Collegialità dei Vescovi...

a pag. 19, per esempio, vi è riportato un disappunto dell'allora card. Ratzinger proprio su queste false interpretazioni.....Ratzinger fa emergere e denuncia I MALINTESI sorti con un altra affermazione al tempo del grande Giubileo del 2000: per una comprensione di COMUNIONE BASTEREBBE ACCOGLIERE LA TRINITà......si dice Ratinger in sostanza, riconoscere la Trinità è importante, ma NON è sufficiente per parlare di COMUNIONE..... Occhi al cielo

e dice: " Nella misura in cui communio divenne un facile slogan, essa fu appiatita e travisata...." e aggiunge che lo stesso "malinteso" avvenne per il concetto di POPOLO DI DIO e così anche l'Eucarestia cominciò a ridursi alla problematica del rapporto fra chiesa locale e Chiesa Universale, che a sua volta ricadde sempre più nel problema della divisione di competenze fra l'una e l'altra...."

Così Ratinger cercò di citare la Lettera ai Vescovi "Communions notio" del 28.5.1992 la quale insegna espressamente la precedenza ontologica e temporale della Chiesa Universale sulla Chiesa particolare....

Ratzinger nel raccontare quei momenti denuncia con profondo rammarico di come "SI ABBATTE' UNA GRANDINATA DI CRITICHE, DA CUI BEN POCO RIUSCI' A SALVARSI".... ..in sostanza ci fu un AMMUTINAMENTO DI TUTTI I VESCOVI...nè Giovanni Paolo II nè Ratzinger nulla poterono.... Occhi al cielo

Ratzinger rispose allora provando il suo testo sulla Scrittura e sulla Patristica e confessò di non riuscire a comprendere le obiezioni che, disse il Prefetto di allora: " potebbero sembrare possibili solo se non si vuole e non si riesce più a vedere la GRANDE CHIESA IDEATA DA DIO CON A CAPO CEFA, per rifugiarsi in una immagine empirica DELLE CHIESE nelle loro relazioni reciproche e nelle loro conflittualità arbitrate più o meno dal collegio dei vescovi, ma questa non è la Chiesa!"

E ancor Ratzinger non mancò così di trarre la seguente e grave conclusione:

"Questo però significa che la Chiesa come tema teologico VERREBBE CANCELLATA. Se si può vedere la Chiesa ormai solo nella organizzazione umana e nella gestione collegiale, allora in realtà rimane soltanto DESOLAZIONE. Ma allora non è abbandonato solo l'ecclesiologia dei Padri, ma anche quella del Nuovo Testamento e la stessa concezione di Israele nell'A.T...."

Un altra denuncia portata da Ratzinger nel chiarire i vari aspetti dell'Ecumenismo, è quella secondo la quale basterebbe la presenza di un vescovo e di una chiesa-comunità per stabilire una qualche forma di unità senza soffermarsi sull'essenza dottrinale!
Ratzinger denuncia quel relativismo secondo il quale non pochi teologi, erroneamente, si sono posti la domanda " Con quale diritto la Chiesa cattolica si pesenta quale unica Chiesa di Cristo?"
La replica di Ratzinger è precisa: la Chiesa di Cristo esiste realmente. Egli (Gesù Cristo) l'ha voluta, ha posto Pietro alla guida e lo Spirito Santo pur di fronte ad ogni fallimento umano la crea continuamente a partire dalla Pentecoste e la sostiene nella sua identità...
(...) di qui è fondamentale sostenere che la Chiesa NON è e non deve essere intesa come la somma di tutte le chiese o come la somma delle cominità cristiane con i loro vescovi.....la Chiesa Cattolica sussite pertanto UNA E INDIVISA NELLA CHIESA CATTOLICA CON A CAPO PIETRO....".. Occhiolino

E come venne eletto Pontefice, successore di questo Pietro, Cefa, Benedetto XVI disse il 23 agosto 2005 all'incontro ecumenico di Colonia:
"Non può esserci un vero dialogo a prezzo della VERITA'; il dialogo deve svolgersi nella carità, certamente, ma soprattutto nella VERITA'.."

Il suo modo di applicazione della LG(=Lumen Gentium) lo stiamo vedendo: egli ASCOLTA i Vescovi, poi emana le conclusioni alle quali i Vescovi devono sforzarsi di applicare ognuno nel proprio contesto diocesano...un esempio lo abbiamo visto con il Nuovo Lezionario Ambrosiano... Occhiolino

Per ritornare nel tema....metto qui un breve articolo messo da Sandro Magister per ricordare il rapporto fra l'allora Ratzinger e il Guardini....sulla questione LITURGICA E GLI ABUSI... [SM=g1740729]

LA QUESTIONE LITURGICA



Un punto cruciale d'incontro tra l'attuale papa e Guardini è indubbiamente la liturgia. Entrambi sono uniti dalla comune passione per essa. Per chiarire il suo debito nei confronti di Guardini, Ratzinger titolò il suo libro sul tema liturgico, uscito nella festa di sant'Agostino del 1999 e che ebbe uno straordinario successo (4 edizioni in un anno), "Introduzione allo spirito della liturgia", proprio ricordando il celebre "Lo spirito della liturgia" di Guardini uscito nel 1918.

Scrive lo stesso Ratzinger nella premessa al suo libro: "Una delle mie prime letture dopo l'inizio degli studi teologici, al principio del 1946, fu l'opera prima di Romano Guardini 'Lo spirito della liturgia', un piccolo libro pubblicato nella Pasqua del 1918 come volume inaugurale della collana 'Ecclesia orans', a cura dell'abate Herwegen, più volte ristampato fino al 1957. Quest'opera può, a buon diritto, essere ritenuta l'avvio del movimento liturgico in Germania. Essa contribuì in maniera decisiva a far sì che la liturgia, con la sua bellezza, la sua ricchezza nascosta e la sua grandezza che travalica il tempo, venisse nuovamente riscoperta come centro vitale della Chiesa e della vita cristiana. Essa diede il suo contributo perché si celebrasse la liturgia in maniera 'essenziale' (termine assai caro a Guardini); la si voleva comprendere a partire dalla sua natura e dalla sua forma interiori, come preghiera ispirata e guidata dallo stesso Spirito Santo, in cui Cristo continua a divenire a noi contemporaneo, a fare irruzione nella nostra vita".

E il confronto prosegue. Ratzinger paragona il proprio intento a quello di Guardini e lo ritiene del tutto coincidente nello spirito anche se in un contesto storico radicalmente diverso: "Vorrei arrischiare un paragone, che come tutti i paragoni è in gran parte inadeguato, ma che aiuta a capire. Si potrebbe dire che la liturgia era allora — nel 1918 — per certi aspetti simile a un affresco che si era conservato intatto, ma che era quasi coperto da un intonaco successivo: nel messale, con cui il sacerdote la celebrava, la sua forma era pienamente presente, così come si era sviluppata dalle origini, ma per i credenti essa era ampiamente nascosta da istruzioni e forme di preghiera di carattere privato. Grazie al movimento liturgico e — in maniera definitiva — grazie al Concilio Vaticano II, l'affresco fu riportato alla luce e per un momento restammo tutti affascinati dalla bellezza dei suoi colori e delle sue figure".

Dopo la ripulitura dell'affresco, però, il problema dello "spirito della liturgia" per Ratzinger oggi si ripropone.
Rimanendo nella metafora: per l'attuale papa diversi ed errati tentativi di restauro o di ricostruzione, disturbo arrecato dalla massa dei visitatori, hanno fatto sì che l'affresco sia stato messo gravemente a repentaglio e minacci di rovinare se non si prendono le misure necessarie per porre fine a tali dannosi influssi.
Non si tratta per Ratzinger di tornare al passato e infatti egli dice: «Naturalmente non si deve tornare a coprirlo di intonaco, ma è indispensabile una nuova comprensione del messaggio liturgico e della sua realtà, così che l'averlo riportato alla luce non rappresenti il primo gradino della sua definitiva rovina. Questo libro vorrebbe proprio rappresentare un contributo a tale rinnovata comprensione. Le sue intenzioni coincidono quindi sostanzialmente con ciò che Guardini si era proposto a suo tempo; per questo ho volutamente scelto un titolo che ricorda espressamente quel classico della teologia liturgica". E anche nel prosieguo del testo, soprattutto nel primo capitolo, egli si confronta con le tesi di Guardini e con la sua celebre definizione della liturgia come "gioco".

Nell'intervento commemorativo del 1985 Ratzinger si soffermava invece sulla fondazione storico-filosofica del rinnovamento liturgico proposto da Guardini. Nell'opera "Formazione liturgica" del 1923 il filosofo salutava con spirito liberatorio la fine dell'epoca moderna giacché essa aveva rappresentato lo sfacelo dell'essere umano e, più in generale, del mondo, una divaricazione schizofrenica tra una spiritualità disincarnata e menzognera e una materialità abbrutita che è solo uno strumento nelle mani dell'uomo e dei suoi obiettivi. Si aspirava al "puro spirito" e si incappò nell'astratto: il mondo delle idee, delle formule, degli apparati, dei meccanismi e delle organizzazioni.
 
L'allontanamento dal moderno coincideva in Guardini – sottolineava Ratzinger – con l'entusiasmo rivolto al paradigma medievale ben illustrato nel libro del martire del nazismo Paul Ludwig Lansberg, "Il Medioevo e noi", uscito nel 1923. Ciò non significava per Guardini abbandonarsi a un romanticismo del Medioevo ma coglierne la permanente lezione. Nell'atto liturgico è il vero autocompimento del cristiano e allora nella lotta sul simbolo e sulla liturgia ciò che è in gioco – annota Ratzinger sulla scia della lezione di Guardini – è il divenire stesso dell'uomo nella sua dimensione essenziale.

Il futuro papa andrà poi anche a soffermarsi sulle affermazioni espresse da Guardini nella famosa sua lettera inviata nel 1964 ai partecipanti al terzo Congresso liturgico di Magonza, che conteneva la celebre domanda: "L'atto liturgico, e con esso soprattutto quello che si chiama 'liturgia', è forse tanto storicamente vincolato all'antichità o al Medioevo che per onestà lo si dovrebbe oggi abbandonare del tutto?". Una domanda che nascondeva in realtà un quesito drammatico: l'uomo del futuro sarà ancora in grado di compiere l'atto liturgico che richiede un senso simbolico-religioso ormai in estinzione oltre che la sola obbedienza della fede?

Senza più il pàthos ottimistico della prima ora, Guardini intravedeva il volto del postmoderno con tratti ben diversi da quelli da lui in precedenza auspicati. Un vero e proprio choc spirituale dovuto alla civilizzazione tecnica invasiva di tutto, come già testimoniavano le sue "Lettere dal Lago di Como" del 1923. Per questo, sottolinea Ratzinger, "qualcosa della difficoltà degli ultimi tempi si trova, nonostante la gioia per la riforma liturgica del Concilio sviluppatasi a partire dal suo lavoro, nella sua lettera del 1964. Guardini esorta i liturgisti radunati a Magonza a prendere sul serio l'estraneità di coloro che considerano la liturgia come non più eseguibile e a riflettere su come si possa — se la liturgia è essenziale — avvicinarli a essa".


[SM=g1740739] [SM=g1740739] [SM=g1740739] [SM=g1740739] [SM=g1740739] [SM=g1740739] [SM=g1740739] [SM=g1740739] [SM=g1740739]

Un supporto dell'amico Daniele D.S.[SM=g1740722]

A proposito di quanto affermato da Ratzinger nel 1965 occorre osservare due cose.

Primo, che il futuro pontefice, in quel periodo, aderì effettivamente a correnti di ispirazione progressista (senza però mai arrivare all'eresia vera e propria, come molti suoi colleghi), dalle quali poco tempo dopo prese le distanze. Non è corretto, quindi, fare uso di tali citazioni come se esse esprimessero il pensiero dell'attuale Pontefice.

Secondo, che nel caso in questione l'affermazione di Ratzinger è corretta: la Chiesa è sì monarchica, nel senso che la sua forma di governo (si allude ovviamente al governo spirituale, non a quello temporale dello Stato del Vaticano) ha al vertice un solo capo (il Papa, vicario visibile del Capo invisibile, Cristo), ma non nella forma della monarchia assoluta. In nessun documento pontificio o conciliare promulgato prima del Concilio Vaticano II si troverà scritto che il Papa è sovrano della Chiesa nello stesso modo in cui Luigi XIV lo era della Francia. La differenza tra le due forme di governo è essenziale. Nella monarchia assoluta la totalità del potere è detenuta dal sovrano, il quale di fatto identifica se stesso con la società che governa (Luigi XIV diceva "Lo Stato sono io"). La società, in altre parole, esiste in funzione del sovrano. Ai sudditi, qualunque sia il loro ordine e grado, non spetta di diritto alcun potere: e se essi esercitano una qualche forma di autorità (ministri della corona, governatori locali, ecc.), lo fanno solo per concessione del sovrano, che delega ad essi una parte del proprio potere.

Un regime del genere, secondo la dottrina cattolica, è dannosa per lo Stato civile, nel quale se la forma di governo è monarchica, il sovrano deve essere capo e guida della società, e non esaurire in sé la società stessa (cfr. Raimondo Spiazzi, Contributi tomistici alla politica, Presbyterium 1960). Per la Chiesa sarebbe addirittura impensabile. La dottrina del Corpo Mistico, distinguendo tra un capo e un corpo, non intende affatto assorbire il corpo nel capo o affermare che quello esista in funzione di questo. Non si è mai detto, in altre parole, che la Chiesa è il Papa.

La Chiesa, come affermano tutti i manuali di teologia dogmatica, è una società monarchica e gerarchica al tempo stesso. Il che significa che in essa il potere è detenuto ed esercitato in grado supremo e assoluto dal Papa e soltanto dal Papa, in grado inferiore e subordinato da altre persone, che nella fattispecie sono i Vescovi. Ora, se la Chiesa fosse una società solo monarchica, sarebbe errato parlare di gerarchia: in tal caso, infatti, i Vescovi sarebbero soltanto dei rappresentati locali del Papa, senza possedere di diritto nessun potere. Questo modo di pensare è del tutto estraneo alla dottrina cattolica di ieri, di oggi, di sempre.

Il passo citato del Concilio Vaticano I non si oppone in nulla alla dottrina della Lumen gentium e quindi non risponde al mio precedente intervento. La Lumen gentium, infatti, ribadisce e conferma (se mai ce ne fosse stato bisogno) che il Papa possiede ed esercita un vero e proprio primato di giurisdizione su tutto l'episcopato (cfr. anche il nuovo codice di diritto canonico, che a proposito del primato del Papa usa le stesse espressioni del vecchio), tanto che il collegio episcopale non esiste senza il Papa. Tale primato è di diritto divino e non deriva affatto al Papa per concessione del resto della Chiesa. In nessun passo della Lumen gentium si afferma una cosa del genere.

Tuttavia, il Concilio Vaticano I afferma che il Papa detiene un primato, non un'esclusiva. Ciò implica che i poteri che il Papa detiene in forma eminente e in grado supremo (di ordine e di giurisdizione) sono detenuti in forma circoscritta e in grado subordinato anche dai Vescovi. Questo - lo ripeto - non significa che i Vescovi, considerati da soli o riuniti in collegio, abbiano lo stesso potere del Papa, ma che essi possiedono per diritto una parte di questo potere e lo esercitano a norma dei sacri canoni e subordinatamente al Papa.

Fare dei Vescovi dei semplici delegati del Papa, dal quale deriverebbero tutti i loro poteri, significa di fatto eliminare la dignità conferita da Gesù Cristo agli Apostoli e ai loro successori. E sostenere una dottrina che, in questa forma, non esiste in alcun testo, né magisteriale né teologico, scritto prima del Concilio.

------------------- BOTTAE RISPOSTA----------------------------[SM=g1740722]

L'amico Fufi:

Non sono ancora convinto, anche perchè non penso che si possa liquidare così facilmente l'opposizione che vi fecero 35 Cardinali e 5 Superiori generali, tra cui Mons. Lefebvre.

Anche perchè penso di saper leggere.


Lumen gentium
Il collegio o corpo episcopale non ha però autorità, se non lo si concepisce unito al Pontefice romano, successore di Pietro, quale suo capo, e senza pregiudizio per la sua potestà di primato su tutti, sia pastori che fedeli. Infatti il romano Pontefice, in forza tutta la Chiesa, ha su questa una potestà piena, suprema e universale, che può sempre esercitare liberamente. D'altra parte, l'ordine dei vescovi, il quale succede al collegio degli apostoli nel magistero e nel governo pastorale, anzi, nel quale si perpetua il corpo apostolico, è anch'esso insieme col suo capo il romano Pontefice, e mai senza questo capo, il soggetto di una suprema e piena potestà su tutta la Chiesa [63] sebbene tale potestà non possa essere esercitata se non col consenso del romano Pontefice. Il Signore ha posto solo Simone come pietra e clavigero della Chiesa (cfr. Mt 16,18-19), e lo ha costituito pastore di tutto il suo gregge (cfr. Gv 21,15 ss); ma l'ufficio di legare e di sciogliere, che è stato dato a Pietro (cfr. Mt 16,19), è noto essere stato pure concesso al collegio degli apostoli, congiunto col suo capo (cfr. Mt 18,18; 28,16-20) [64]. Questo collegio, in quanto composto da molti, esprime la varietà e l'universalità del popolo di Dio; in quanto poi è raccolto sotto un solo capo, significa l'unità del gregge di Cristo. In esso i vescovi, rispettando fedelmente il primato e la preminenza del loro capo, esercitano la propria potestà per il bene dei loro fedeli, anzi di tutta la Chiesa, mente lo Spirito Santo costantemente consolida la sua struttura organica e la sua concordia. La suprema potestà che questo collegio possiede su tutta la Chiesa, è esercitata in modo solenne nel Concilio ecumenico. Mai può esserci Concilio ecumenico, che come tale non sia confermato o almeno accettato dal successore di Pietro; ed è prerogativa del romano Pontefice convocare questi Concili, presiederli e confermarli [65]. La stessa potestà collegiale insieme col papa può essere esercitata dai vescovi sparsi per il mondo, purché il capo del collegio li chiami ad agire collegialmente, o almeno approvi o liberamente accetti l'azione congiunta dei vescovi dispersi, così da risultare un vero atto collegiale.


Concilio Vaticano I
Al solo Simone Pietro, inoltre, dopo la resurrezione, Gesù conferì la giurisdizione di sommo pastore e rettore su tutto il suo ovile, dicendo: Pasci i miei agnelli; pasci le mie pecore (41). A questa dottrina così chiara delle sacre scritture, com’è stata sempre intesa dalla chiesa cattolica, si oppongono apertamente le false opinioni di coloro che, fraintendendo la forma di governo istituita da Cristo signore nella sua chiesa, negano che il solo Pietro, rispetto agli altri apostoli, sia presi singolarmente che tutti insieme, abbia ricevuto un vero e proprio primato di giurisdizione da Cristo;o quanti affermano che questo primato immediatamente e direttamente sarebbe stato conferito non allo stesso beato Pietro, ma alla chiesa e, per mezzo di essa, a lui, come a suo ministro.



***************
Si vede come il Vaticano I dica chiaramente che "...il solo Pietro, [...], abbia ricevuto un vero e proprio primato di giurisdizione da Cristo". Solo il Papa ha la pienezza del potere supremo. Non si parla di questo collegio, tranne nel caso eccezzionale in cui il Papa decida di convocare un concilio ecumenico e quindi lo rendesse partecipe del suo potere supremo.


*****************************************************

Risposta di Daniele:


Non si può sostenere una tesi per il solo principio di autorità: "siccome la persona X, che io stimo, si è espressa a favore (o contro), anch'io mi esprimo a favore o contro". Oltre tutto, gli stessi Prelati menzionati da fufi, dopo una prima obiezione, finirono poi per firmare il documento. Si può credere che l'avrebbero fatto, se vi fossero contenuti espliciti errori? Si può credere che la totalità dei Vescovi cattolici fosse tanto sciocca o tanto traviata da mettere la firma in calce a un documento nel quale si enunciava l'eresia?

Ho già risposto alle tue obiezioni nei miei interventi. Ne sintetizzo i punti fondamentali.

1) Il collegio dei Vescovi unito al Papa gode della suprema potestà su tutta la Chiesa ed ha la prerogativa dell'infallibilità. Virtualmente il collegio detiene sempre questo potere (Casali parla giustamente anche di "Vescovi sparsi per il mondo"), ma realmente lo esercita solo nel Concilio Ecumenico (Codice di diritto canonico del 1917).

2) Il collegio non esiste senza il Papa (Nota explicativa praevia della Lumen gentium), quindi l'esercizio dei suoi poteri deriva di fatto da Lui.

3) Solo il Papa detiene l'effettivo primato di giurisdizione su tutta la Chiesa, potendo esercitarlo come e quando vuole, ed essendo causa efficiente dell'esistenza del corpo episcopale. Il Tanquerey, infatti, precisa che Papa e collegio episcopale non sono due soggetti distinti del potere supremo, ma un unico soggetto che può agire in due modi distinti (Papa da solo o Papa insieme al collegio episcopale).

4) I Vescovi, tuttavia, hanno un potere di giurisdizione limitato e condizionato che deriva loro per diritto divino. Non sono semplici rappresentati del Papa (come i nobili di un sovrano assoluto), tant'è vero che gli stessi Vescovi scismatici mantengono, com'è sempre stato riconosciuto, certi poteri di giurisdizione. Ovviamente la pienezza di questo potere e l'autorità di regolare, accrescendo o aumentando, le prerogative dei Vescovi, è propria solo ed esclusivamente del Papa.

Piccola chiosa. Ragioniamo per assurdo.

Noi sappiamo che a un Concilio Ecumenico hanno sempre avuto diritto di voto soltanto i Vescovi (anche quelli senza alcuna giurisdizione territoriale) e i Prelati tradizionalmente equiparati ai Vescovi (Cardinali, Abati, Superiori religiosi).

Ora, se il Papa possedesse non la pienezza, ma la totalità del potere giurisdizione (come un sovrano assoluto del XVII secolo), potrebbe demandarlo come vuole a qualunque persona, non importa se vescovo, sacerdote o laico.

Quindi, mantenendosi in quest'ordine di idee, domani il Papa potrebbe convocare un'assemblea di laici, dire che egli le attribuisce la suprema potestà su tutta la Chiesa, approvarne l'operato, e tale assemblea avrebbe di fatto la stessa autorità di un Concilio ecumenico. Per quanto la cosa non abbia precedenti storici, se sosteniamo che i Vescovi, per quanto riguarda i loro poteri di giurisdizione (non di ordine), sono identici ai laici, una simile ipotesi non dovrebbe apparire strana.



[SM=g1740739] [SM=g1740739] [SM=g1740739] [SM=g1740739] [SM=g1740739] [SM=g1740739] [SM=g1740739] [SM=g1740739] [SM=g1740739] [SM=g1740739]
la mia osservazione:


 Ghigno Daniè...tu però me le fai strappare le cose.....[SM=g1740725]

il tuo esempio non è tanto assurdo....abbiamo un laico anzi due, che nella Chiesa da 40 anni hanno inventato una liturgia e nessuno riesce a fargliela smettere.... Ghigno anzo, sono stati approvati, MA NON LA LORO LITURGIA seppur in passato trovò consensi e altri prelati vi hanno concelebrato quando ancora NON erano stati riconosciuti...
furono convocati dal Papa si, il quale li accarezzò ma li ha anche ammoniti circa la Liturgia con una lettera specifica, ma ancora ad oggi nessun risultato....le giurisdizioni le hanno, sono le parrocchie e in certe Diocesi hanno il governo locale della chiesa....[SM=g1740732]

[SM=g1740717] [SM=g1740717] [SM=g1740717] [SM=g1740717] [SM=g1740717]

Il Pap nel ricevere  il personale del Cetro Televisivo Vaticano, fra le altre cose e le congratulazioni, ha detto esplicitamente:


Nel vostro servizio siete chiamati molto frequentemente a riprendere e diffondere le immagini di importanti e splendide celebrazioni liturgiche che hanno luogo al centro della cristianità. La liturgia è veramente il culmine della vita della Chiesa, tempo e luogo di rapporto profondo con Dio. Seguire l'evento liturgico attraverso l'occhio attento della telecamera, per permettere una vera partecipazione spirituale anche a coloro che non possono essere fisicamente presenti, è compito alto e impegnativo, che richiede anche da voi una preparazione seria e una vera sintonia spirituale con ciò di cui siete - in certo modo - il tramite. La buona collaborazione con l'Ufficio delle Celebrazioni Liturgiche, che coltivate da molto tempo, vi aiuterà a crescere sempre più in questo prezioso servizio spirituale ai telespettatori di tutto il mondo.


[SM=g1740722] [SM=g1740722] [SM=g1740722]


Caterina63
00mercoledì 28 gennaio 2009 12:37
Il Vaticano II nella storia dei Concili

Fonte:
Zenit(Di Walter Brandmüller*)

Il Vaticano II (1962-1965) è stato il Concilio dei superlativi. Mai nella storia della Chiesa un Concilio era stato preparato così intensamente. Certo, anche il Vaticano I (1869-1870) è stato molto ben preparato e probabilmente la qualità teologica dei suoi schemi preparatori era addirittura migliore. Ma il numero delle sollecitazioni e delle proposte inviate da tutto il mondo e la loro utilizzazione nel Vaticano II superarono quanto che c'era stato fino ad allora.

Il Vaticano II si è dimostrato visibilmente il Concilio dei superlativi già quando l'enorme numero di 2440 vescovi entrarono nella basilica di San Pietro. Se il Vaticano I con i suoi 642 padri circa aveva trovato posto nel transetto destro della basilica, ora aula conciliare era l'intera navata centrale. Nel secolo intercorso fra i due Concili la Chiesa non rivendicava soltanto il ruolo di Chiesa universale ma lo era diventata davvero. E mai si era verificato, come nel 1962, che un migliaio di giornalisti di tutto il mondo fosse accreditato al Concilio. Così il Vaticano II è stato anche il Concilio più conosciuto di tutti i tempi, divenendo un evento mediatico mondiale di prima grandezza.
Altre particolarità di questo Concilio lo fanno spiccare sugli altri.

I Concili esercitano le supreme funzioni magisteriali, legislative, giudiziarie, sotto e con il Papa, al quale tutte queste funzioni spettano anche senza Concilio.
Non tutti i Concili hanno esercitato ciascuna di queste funzioni. Se il primo Concilio di Lione (1245), con la scomunica e deposizione dell'imperatore Federico II, ha agito come tribunale e ha emanato leggi, il Vaticano I non ha giudicato né emanato leggi, ma ha deliberato esclusivamente su questioni di dottrina. Il Concilio di Vienna (1311-1312) invece ha giudicato, emanato leggi e deliberato su questioni di fede, e lo stesso hanno fatto i Concili del Quattrocento.

Il Vaticano II invece non ha giudicato né emanato leggi e neppure deliberato in modo definitivo su questioni di fede
e piuttosto ha realizzato un nuovo tipo di Concilio [???], considerandosi un Concilio pastorale, quindi spirituale, che voleva avvicinare la dottrina del Vangelo in modo attraente perché facesse da guida al mondo di oggi. In particolare non ha espresso condanne dottrinali, come disse con chiarezza Giovanni XXIII nel discorso di apertura: «La Chiesa si è sempre opposta alle eresie. Spesso le ha condannate con la massima durezza»; oggi invece «la Chiesa preferisce fare uso della medicina della grazia», perché «crede che essa corrisponda alle esigenze dell'epoca attuale, preferendo dimostrare la validità delle sue dottrine piuttosto che esprimere condanne».

Anche se, alla luce degli sviluppi storici, il Vaticano II si sarebbe rivelato lungimirante se, sulle orme di Pio XII, avesse trovato il coraggio di condannare espressamente il comunismo.
Invece il timore di pronunciare condanne dottrinali e definizioni dogmatiche ha fatto sì che alla fine i testi conciliari risultino tra loro diversi: così, per esempio, le costituzioni dogmatiche Lumen gentium sulla Chiesa e Dei Verbum sulla rivelazione divina possiedono il carattere e la natura di documenti dottrinali, ma senza definizioni vincolanti, mentre secondo il canonista Klaus Mörsdorf la dichiarazione sulla libertà religiosa Dignitatis humanae «prende posizione senza un contenuto normativo evidente». I testi del Vaticano II possiedono quindi un grado molto diverso di obbligatorietà e anche questo è un elemento assolutamente nuovo nella storia dei Concili.

Paragoniamo poi il Vaticano II con il primo Concilio di Nicea (325), con il Tridentino (1545-1563) e il Vaticano I tenendo conto delle rispettive conseguenze. Salta agli occhi che dopo i due Concili vaticani si è arrivati a uno scisma. Nel 1871 i "vecchi cattolici" per protesta contro le definizioni del primato e dell'infallibilità del Papa si separarono dalla Chiesa, e nel 1988 l'arcivescovo Lefebvre e i suoi sostenitori hanno scelto lo scisma. Per quanto appaiano opposti, i due movimenti concordano nel rifiuto dei legittimi sviluppi nella dottrina e nella vita della Chiesa, fondato su un rapporto distorto con la storia. La speranza deve scaturire proprio dall'esperienza della storia e i Concili hanno bisogno di un lungo respiro, il respiro della storia.

Dopo il primo Concilio di Nicea sono cominciate lotte religiose che crebbero di asprezza e violenza prima che alla fine s'imponesse il dogma niceno confermato dal Concilio di Calcedonia (451), attraverso vicende durate oltre un secolo. Si può fare un paragone anche con la fase successiva al Tridentino, che ha avuto come conseguenza una straordinaria fioritura missionaria, religiosa e culturale dell'Europa rimasta cattolica: Hubert Jedin ha parlato di "miracolo di Trento". Ma sbaglieremmo se ritenessimo che questa fioritura si sia prodotta di colpo: dopo la conclusione del Concilio passò quasi un secolo prima che i suoi decreti dogmatici e di riforma mostrassero efficacia su larga scala.

Quasi ogni Concilio, e naturalmente anche il Vaticano II, per struttura, svolgimento e contenuto possiede la sua inconfondibile peculiarità, ma ha in comune con tutti gli altri il fatto che sotto l'aspetto formale in ognuno è stata esercitata collegialmente la suprema autorità dottrinale e pastorale. Dal punto di vista dei contenuti si tratta della presentazione, dell'interpretazione e dell'applicazione della tradizione, alla quale ogni concilio dà il suo contributo specifico. Questo non può ovviamente consistere in un'aggiunta di nuovi contenuti al patrimonio di fede della Chiesa


E neppure in un'eliminazione delle dottrine fino a quel momento tramandate.
.
È piuttosto un processo di sviluppo, chiarimento e distinzione che si sta compiendo, con l'assistenza dello Spirito Santo, e attraverso questo processo ogni concilio con il suo definitivo annuncio dottrinale s'inserisce come parte integrante nella tradizione complessiva della Chiesa. Per questo i Concili guardano sempre avanti, verso un annuncio dottrinale più ampio, più chiaro, più attuale, mai all'indietro. Un Concilio non può contraddire i suoi antecedenti, ma solo integrare, precisare, proseguire. Tutto ciò vale anche per il Vaticano II[Sì o no?] .

Anch'esso non è né più né meno che un Concilio fra gli altri, accanto e dopo altri, non al di sopra né al di fuori, ma all'interno della serie dei Concili generali della Chiesa. Anche il Vaticano II riconosce la sua collocazione nel solco della tradizione. La quantità di richiami alla tradizione nei testi del Vaticano II è impressionante. Il Concilio accoglie diffusamente la tradizione citando i Concili, in particolare il Fiorentino (1439-1442), il Tridentino e il Vaticano I, le encicliche di numerosi Papi, la letteratura patristica e i grandi teologi, primo fra tutti Tommaso d'Aquino, come fonti alle quali attinge.


Il cardinale Joseph Ratzinger
, in un incontro di qualche anno fa, ha parlato di «un isolamento oscuro del Vaticano II» e ha detto: «Alcune descrizioni suscitano l'impressione che dopo il Vaticano II tutto sia diventato diverso e che tutto ciò che è venuto prima non potesse essere più considerato o potesse esserlo soltanto alla luce del Vaticano II. Il Vaticano II non viene trattato come una parte della complessiva tradizione vivente della Chiesa, ma come un inizio totalmente nuovo. Sebbene non abbia emanato alcun dogma e abbia voluto considerarsi più modestamente al rango di Concilio pastorale, alcuni lo rappresentano come se fosse per così dire il superdogma, che rende tutto il resto irrilevante», mentre «possiamo rendere davvero degno di fede il Vaticano II se lo rappresentiamo molto chiaramente così com'è: un pezzo della tradizione unica e totale della Chiesa e della sua fede».

In effetti, negli anni postconciliari era di moda paragonare la Chiesa a un cantiere, in cui si facevano demolizioni e nuove costruzioni o ricostruzioni. Spesso l'ordine di Dio ad Abramo di andarsene dal suo paese era interpretato come un'esortazione alla Chiesa ad abbandonare il suo passato e la sua tradizione. Si parlava con entusiasmo di partenza della nave di Pietro e del suo viaggio verso nuove sponde. Si predicava la partenza in direzione dell'ignoto, del lontano, del nuovo e la parola tradizione era diventata un insulto.

Al contrario, bisogna ribadire con forza che un'interpretazione del Vaticano II al di fuori della tradizione contrasterebbe con l'essenza della fede
.
Su questo sfondo anche la distinzione così in voga tra "preconciliare" e "postconciliare" è molto dubbia sul piano teologico e su quello storico. Un Concilio non è mai un punto di arrivo o di partenza sul quale possa essere scandita la storia della Chiesa o addirittura la storia della salvezza.

Ci sarà un Vaticano III?
Non sorprende che alcuni abbiano avanzato una richiesta di questo tipo, anche da parti opposte. Secondo alcuni dovrebbe riunirsi un nuovo Concilio che finalmente abbatta le barriere, realizzi la democratizzazione della Chiesa, consenta l'accesso ai sacramenti a coloro che dopo un matrimonio fallito hanno contratto una nuova unione, apra la strada al matrimonio dei sacerdoti e al sacerdozio femminile, e porti alla riunificazione dei cristiani divisi. Altri pensano che la confusione e la crisi dell'irrequieto periodo postconciliare avrebbero bisogno urgentemente di un Vaticano III che metta ordine e faccia da guida.

Una cosa è certa: anche questo nuovo eventuale concilio - magari Nairobiense o Moscoviense - si collocherebbe nel solco della tradizione e sarebbe solo un altro elemento di questa venerabile serie. In ogni caso il Vaticano II non è stato né l'inizio né la fine della storia conciliare e abbiamo il compito di realizzarlo, prima di parlare del futuro.


*presidente del Pontificio Comitato di Scienze Storiche
[SM=g1740721]

Caterina63
00venerdì 30 gennaio 2009 16:52

Ratzinger in Cile: Lefebvre, il Concilio e la dignità del Sacro.

Indirizzo di Sua Eminenza il Cardinal Ratzinger, Prefetto della Congrezione della Dottrina della Fede, alla Conferenza Episcopale Cilena il 13 Luglio 1988.




di Joseph Razinger

Negli ultimi mesi abbiamo lavorato molto intorno al
caso Lefebvre, con l'intenzione sincera di creare per il suo movimento un spazio all'interno della Chiesa, spazio che sarebbe stato sufficiente perché esso potesse vivere. La Santa Sede è stata criticata per questo.

Si dice che non ha difeso il Concilio Vaticano II con energia sufficiente; che, mentre ha trattato i movimenti progressisti con severità grande, ha mostrato una simpatia esagerata con la rivolta tradizionalista.

Lo sviluppo degli eventi è sufficiente per confutare queste asserzioni. L'[accusa di] rigorismo del Vaticano di fronte alle deviazioni dei progressisti, presentato in modo mitico, è apparsa essere soltanto un discorso vuoto. Finora, infatti, sono stati pubblicati soltanto dei moniti; in nessun caso ci sono state pene canoniche rigorose in senso stretto. Ed il fatto che, quando le cose si sono messe male, Lefebvre ha ritrattato un accordo che già era stato firmato, indica che la Santa Sede, se ha fatto concessioni davvero generose, non gli ha garantito quella licenza completa che egli desiderava. Lefebvre ha visto che, nella parte fondamentale dell'accordo, era obbligato ad accettare il Vaticano II e le affermazioni del Magistero post conciliare, secondo l'autorità propria di ogni documento.

C'è una contraddizione evidentissima nel fatto che è proprio chi non ha perso occasione per far conoscere al mondo la propria disobbedienza al Papa ed alle dichiarazioni magisteriali degli ultimi 20 anni, che pensa di avere il diritto di giudicare che questo atteggiamento è troppo blando e che desidera che si fosse insistito su un'obbedienza assoluta al Vaticano II.

Così pure costoro sostengono che il Vaticano ha concesso il diritto di dissentire a Lefebvre, diritto che è stato rifiutato ostinatamente ai fautori di una tendenza progressista. In realtà, l'unico punto che è affermato nell'accordo, secondo Lumen Gentium 25, è il fatto limpido che
non tutti i documenti del Concilio hanno la stessa autorità.
Per il resto, è stato indicato esplicitamente, nel testo che è stato firmato, che le polemiche pubbliche devono essere evitate e che è richiesto un atteggiamento di rispetto positivo per le decisioni ufficiali e le dichiarazioni.

È stato concesso, in più, che la Fraternità San Pio X possa presentare alla Santa Sede - la quale si riserva l'esclusivo diritto di decisione - le sue difficoltà particolari rispetto alle interpretazioni delle riforme giuridiche e liturgiche. Tutto ciò mostra che in questo dialogo difficile Roma ha unito chiaramente la generosità, in tutto quello che è negoziabile, alla fermezza nel necessario. La spiegazione che Mons. Lefebvre ha dato, per la ritrattazione del suo accordo, è indicativa. Ha dichiarato che infine ha capito che l'accordo che ha firmato mira soltanto ad integrare la sua fondazione "nella Chiesa Conciliare". La Chiesa Cattolica in unione con il Papa è, secondo lui, "la Chiesa Conciliare", che ha rotto con il suo passato. Sembra effettivamente che non riesca più a vedere che qui si tratta della Chiesa Cattolica nella totalità della sua Tradizione e che il Vaticano II appartiene ad essa.

Senza alcun dubbio, il problema che Lefebvre ha posto non è finito con la rottura del 30 giugno. Sarebbe troppo semplice rifugiarsi in una specie del trionfalismo e pensare che questa difficoltà abbia cessato di esistere dal momento in cui il movimento condotto da Lefebvre si è separato con una rottura formale con la chiesa.
Un cristiano non può mai, o non dovrebbe, compiacersi di una rottura. Anche se è assolutamente certo che la colpa non può essere attribuita alla Santa Sede, è un dovere per noi esaminarci, tanto circa quali errori abbiamo fatto, quanto quali, persino ora, stiamo facendo. I criteri con cui giudichiamo il passato nel decreto del Vaticano II sull'ecumenismo devono essere usati - come è logico - per giudicare pure il presente.

Una delle scoperte fondamentali della teologia del ecumenismo è che gli scismi possono avvenire soltanto quando determinate verità e determinati valori della fede cristiana non sono più vissuti ed amati all'interno della chiesa. La verità che è marginalizzata diventa autonoma, rimane staccata dal tutto della struttura ecclesiastica ed è allora che un nuovo movimento si forma intorno ad essa.

Dobbiamo riflettere su questo fatto: che tantissimi cattolici, lontani dalla cerchia stretta della fraternità di Lefebvre, vedono questo uomo come guida, in un certo senso, o almeno come alleato utile.
Non bisognerà attribuire tutto a motivi politici, a nostalgia, o a fattori culturali di importanza secondaria.
Queste cause non sono capaci di spiegare l'attrattiva che è sentita anche dai giovani, e particolarmente dai giovani, che vengono da molte nazioni davvero differenti e che sono immersi in realtà politiche e culturali completamente diverse. Certamente mostrano ciò che è, da ogni punto di vista, una prospettiva limitata e parziale; ma non c'è alcun dubbio che un fenomeno di questa portata sarebbe inconcepibile se non ci fossero qui all'opera dei valori, che generalmente non trovano sufficienti possibilità di realizzarsi all'interno della Chiesa di oggi.

Per tutti questi motivi, dobbiamo considerare tutta la questione soprattutto come l'occasione per un esame di coscienza. Dovremmo non avere apura di farci noi stessi domande fondamentali, circa i difetti della vita pastorale della Chiesa, che emergono da questi fatti. Così dovremmo poter offrire un posto all'interno della chiesa a coloro che lo stanno cercando e domandando e riuscire a eliminare ogni ragione per uno scisma. Possiamo rendere tale scisma privo di motivazioni rinnovando le realtà interne della chiesa. Ci sono tre punti, io penso, che è importante considerare.

Se ci sono molti motivi che potrebbero condurre tantissima gente a cercare un rifugio nella liturgia tradizionale, quello principale è che trovano là conservata la dignità del Sacro.

Dopo il Concilio, ci sono stati molti preti che hanno elevato deliberatamente la "desacralizzazione" a livello di un programma, sulla pretesa che il nuovo testamento ha abolito il culto del tempio:
il velo del tempio che è stato strappato dall'alto al basso al momento della morte di Cristo sulla croce è, secondo certuni, il segno della fine del sacro.

La morte di Gesù, fuori delle mura della città, cioè, dal mondo pubblico, è ora la vera religione. La religione, se vuol avere il suo essere in senso pieno, deve averlo nella non sacralità della vita quotidiana, nell'amore che è vissuto. Ispirati da tali ragionamenti, hanno messo da parte i paramenti sacri; hanno spogliato le chiese più che hanno potuto di quello splendore che porta a elevare la mente al sacro; ed hanno ridotto il liturgia alla lingua e ai gesti di una vita ordinaria, per mezzo di saluti, i segni comuni di amicizia e cose simili.

Non c'è dubbio che, con queste teorie e pratiche, hanno del tutto misconosciuto l'autentica connessione tra il vecchio ed il nuovo testamento: s' è dimenticato che questo mondo non è il regno di Dio e che
"il Santo di Dio" (Gv 6,69) continua ad esistere in contraddizione a questo mondo;
che abbiamo bisogno di purificazione prima di accostarci a lui; che il profano, anche dopo la morte e la resurrezione di Gesù, non è riuscito a trasformarsi nel "santo". Il Risorto è apparso, ma a quelli il cui il cuore era ben disposto verso di Lui, al Santo; non si è manifestato a tutti.

È in questo modo un nuovo spazio è stato aperto per la religione a cui tutti noi ora dobbiamo sottometterci; questa religione che consiste nell'accostarci alla famiglia del Risorto, ai cui piedi le donne si prostravano e lo adoravano. Non intendo ora sviluppare ulteriormente questo aspetto; mi limito sinteticamete a questa conclusione: dobbiamo riacquistare la dimensione del sacro nella liturgia.

La liturgia non è un festa; non è una riunione con scopo di passare dei momenti sereni. Non importa assolutamente che il parroco si scervelli per farsi venire in mente chissà quali idee o novità ricche di immaginazione. La liturgia è ciò che fa sì che il Dio Tre volte Santo sia presente fra noi; è il roveto ardente; è l'alleanza di Dio con l'uomo in Gesù Cristo, che è morto e di nuovo è tornato alla vita.

La grandezza della liturgia non sta nel fatto che essa offre un intrattenimento interessante, ma nel
rendere tangibile il Totalmente Altro,
che noi [da soli] non siamo capaci di evocare. Viene perché vuole.

In altre parole, l'essenziale nella liturgia è il mistero, che è realizzato nel ritualità comune della Chiesa; tutto il resto lo sminuisce. Alcuni cercano di sperimentarlo secondo una moda vivace, e si trovano ingannati: quando il mistero è trasformato nella distrazione, quando l'attore principale nella liturgia non è il Dio vivente ma il prete o l'animatore liturgico.

Oltre alle questioni liturgiche, i punti centrali del conflitto attualmente sono la presa di posizione di Lefebvre contro il decreto che tratta della libertà religiosa ed al cosiddetto spirito di Assisi. È qui che Lefebvre stabilisce le linee di demarcazione fra la sua posizione e quella della chiesa cattolica.

C'è poco da dire: ciò che sta dicendo su questi punti è inaccettabile. Qui non vogliamo considerare i suoi errori, piuttosto desideriamo chiederci dove vi è mancanza di chiarezza in noi stessi. Per Lefebvre la posta in gioco è la battaglia contro liberalismo ideologico, contro il relativizzazione della verità. Non siamo ovviamente in accordo con lui sul fatto che - capito secondo le intenzioni del Papa - il testo del Concilio o la preghiera di Assisi inducano al realtivismo.

È un'operazione necessaria difendere il Concilio Vaticano II nei confronti di Mons. Lefebvre, come valido e come vincolante per Chiesa. Certamente c'è una mentalità dalla visuale ristretta che tiene conto solo del Vaticano II e che ha provocato questa opposizione. Ci sono molte presentazioni di esso che danno l'impressione che, dal Vaticano II in avanti, tutto sia stato cambiato e che ciò che lo ha preceduto non abbia valore o, nel migliore dei casi, abbia valore soltanto alla luce del Vaticano II.

Il Concilio Vaticano II non è stato trattato come una parte dell'intera tradizione vivente della Chiesa, ma come una fine della Tradizione, un nuovo inizio da zero. La verità è che questo particolare concilio non ha affatto definito alcun dogma e deliberatamente ha scelto rimanere su un livello modesto, come concilio soltanto pastorale;
ma
molti lo trattano come se si fosse trasformato in una specie di superdogma che toglie l'importanza di tutto il resto.

Questa idea è resa più forte dalle cose che ora stanno accadendo. Quello che precedentemente è stato considerato il più santo - la forma in cui la liturgia è stata trasmessa - appare improvvisamente come la più proibita di tutte le cose, l'unica cosa che può essere impunemente proibita. Non si sopporta che si critichino le decisioni che sono state prese dal Concilio; d'altra parte, se certuni mettono in dubbio le regole antiche, o persino le verità principali della fede - per esempio, la verginità corporale di Maria, la Resurrezione corporea di Gesù, l'immortalità dell'anima, ecc. - nessuno protesta, o soltanto lo fa con la più grande moderazione. Io stesso, quando ero professore, ho visto come lo stesso Vescovo che, prima del Concilio, aveva licenziato un insegnante che era realmente irreprensibile, per una certa crudezza nel discorso, non è stato in grado, dopo il Concilio, di allontanare un professore che ha negato apertamente verità della fede certe e fondamentali.

Tutto questo conduce tantissima gente chiedersi se la Chiesa di oggi è realmente la stessa di ieri, o se la hanno cambiato con qualcos'altro senza dirlo alla gente.

La sola via nella quale il Vaticano II può essere reso plausibile è di presentarlo così come è: una parte dell'ininterrotta, dell'unica tradizione della Chiesa e della sua fede.

Non c'è il minimo dubbio che, nei movimenti spirituali dell'era post-conciliare, vi è stato frequentemente un oblio, o persino una soppressione, della questione della verità: qui forse ci confrontiamo con il problema oggi cruciale per la teologia e per il lavoro pastorale.

La verità è ritenuta essere una pretesa che è troppo elevata, un trionfalismo che non può essere assolutamente ancora consentito.
Vedete chiaramente questo atteggiamento nella crisi che colpisce la pratica e l'ideale missionario.
Se non facciamo della verità un punto importante nell'annuncio della nostra fede e se questa verità non è più essenziale per la salvezza dell'uomo, allora le missioni perdono il loro significato.

In effetti la conclusione è stata tirata, ed è stato tirata oggi, che in futuro dobbiamo soltanto cercare che i cristiani siano buoni cristiani, i buoni musulmani dei musulmani, i buoni Indù dei buoni Indù, e così via. E se arriviamo a queste conclusioni, come facciamo a sapere quando uno è "un buon" cristiano, o "un buon" musulmano?

L'idea che tutte le religioni sono - a prenderle sul serio - soltanto i simboli di ciò che finalmente è incomprensibile, sta guadagnando terreno velocemente in teologia e già ha penetrato la pratica liturgica. Quando le cose giungono a questo punto, la fede è lasciata alle spalle, perché la fede realmente consiste nell'affidarsi alla verità per quanto è conosciuta. Dunque, in questa materia, ci sono tutte le ragioni per ritornar sulla retta via.

Se ancora una volta riusciremo a evidenziare e vivere la pienezza della religione cattolica circa a questi punti,
possiamo sperare che lo scisma di Lefebvre non sia di lunga durata.


Fonte Rinascimento Sacro 6/12/2007.


Proprio la Provvidenza ci ha mandato l'autore di qesto testo quale Pontefice, ora la scomunica è stata tolta, ora si chiede ai fedeli tutti di applicare le ichietse del Pontefice....obbediscano soprattutto sacerdoti e VESCOVI....[SM=g1740720]
Caterina63
00martedì 10 marzo 2009 22:24
....bè io credo proprio che il Signore stesso stia facendo calare molti veli.... Occhiolino

leggete quanto segue....ne vale la pena.... Ghigno

Padre Giovanni Scalese (Roma, 1955) appartiene all'Ordine dei Chierici Regolari di San Paolo (Barnabiti). È sacerdote dal 1981. Ha conseguito il baccalaureato in filosofia e in teologia alla Pontificia Università San Tommaso (Angelicum) e la licenza in teologia (specializzazione in teologia biblica) alla Pontificia Università Gregoriana.

http://querculanus.blogspot.com/2009/01/il-concilio-la-scomunica-e-lolocausto.html

venerdì 30 gennaio 2009

Il Concilio, la scomunica e l'Olocausto

Alcuni mesi fa, precisamente nel giugno 2008, avevo sentito il bisogno di scrivere alcune riflessioni sul Concilio Vaticano II e le avevo inviate a un paio di siti web, solitamente attenti a tale tipo di problematiche, nella speranza di vederle pubblicate. Ma in un caso fui completamente ignorato; nel secondo caso ricevetti solo un gentile riscontro. OK, pensai, forse le mie riflessioni non interessano a nessuno. Devi pur essere pronto ad accettare che il mondo è piú grande di te e che quello che tu pensi non sia poi cosí importante.
Ma quelle riflessioni mi sono tornate in mente in questi giorni, dopo la revoca della scomunica ai quattro Vescovi lefebvriani, con tutte le polemiche che tale remissione e soprattutto le dichiarazioni negazioniste del vescovo Williamson hanno comportato
.

Permettetemi perciò di pubblicare oggi quelle riflessioni. Se avrete la pazienza di leggerle, alla fine capirete perché.

CONCILIO E “SPIRITO DEL CONCILIO”

A oltre quarant’anni dalla conclusione del Vaticano II (8 dicembre 1965), e soprattutto dopo l’ormai famoso discorso di Benedetto XVI alla Curia Romana (22 dicembre 2005) e il motu proprio “Summorum Pontificum” (7 luglio 2007), mi sembra che possa considerarsi non solo legittimo, ma in certa misura doveroso procedere a un ripensamento del Concilio. Naturalmente, le seguenti note non hanno alcuna pretesa di definitività; esse vogliono essere solo una riflessione ad alta voce, aperta a qualsiasi ulteriore contributo. La riflessione sarà caratterizzata da estrema franchezza, ma allo stesso tempo da profondo attaccamento alla Chiesa. Per esigenze di chiarezza, dividerò la trattazione in quattro punti: opportunità, valore, interpretazione e “spirito” del Concilio.

L’opportunità del Concilio


Fino a qualche tempo fa ero fermamente convinto dell’utilità del Concilio. Nonostante gli innegabili abusi, dicevo: “Ce n’era bisogno”. La mia convinzione si basava sull’esperienza — diretta (per quel che può valere l’esperienza di un bambino) e indiretta (attraverso gli studi e le testimonianze di quelli un po’ piú vecchi di me) — della Chiesa pre-conciliare. Oggi direi piuttosto: “C’era bisogno di un profondo rinnovamento della Chiesa”. Il fatto è che di tale rinnovamento c’è ancora bisogno. Ciò significa che l’auspicato rinnovamento non c’è stato. Dunque, il Concilio ha fallito il suo obiettivo. Il Concilio, è vero, ha promosso tutta una serie di riforme: talvolta, a seconda dei casi, utili, opportune o necessarie; talaltra inutili, se non addirittura dannose (si pensi alla burocratizzazione della Chiesa con l’istituzione dei vari sinodi, consigli pastorali, commissioni, e quantaltro).

Ma tali riforme strutturali non hanno prodotto ipso facto il rinnovamento della Chiesa, che rimane un fatto eminentemente spirituale ed esclusivamente dipendente dalla grazia dello Spirito Santo e dalla nostra personale conversione. È stata una pia illusione pensare che bastasse un concilio per rinnovare la Chiesa. Anzi, sembrerebbe che gli effetti del Concilio siano stati opposti a quelli sperati: la riforma liturgica ha rese deserte le chiese; il rinnovamento della catechesi ha diffuso l’ignoranza religiosa; la revisione della formazione sacerdotale ha svuotato i seminari; l’aggiornamento della vita religiosa sta mettendo a rischio l’esistenza di molti istituti; l’apertura della Chiesa al mondo, nonché favorire la conversione del mondo, ha significato la mondanizzazione della Chiesa stessa.

È vero che dobbiamo guardare a queste cose con un certo distacco e con senso storico: la Chiesa ha affrontato nel passato ben altre difficoltà e le ha sempre felicemente superate. Per cui, se crediamo, non c’è da preoccuparsi piú di tanto. Ma un fatto è certo: aspettavamo la “nuova Pentecoste”, ed è arrivata la settimana santa; aspettavamo la “primavera dello Spirito”, e sono arrivate le nebbie dell’autunno.

Dirò di piú. Solitamente si guarda al Concilio (sia da parte tradizionalista, sia da parte progressista) come a un fungo spuntato durante la notte. Dimenticandosi che esso si situa sulla scia di un cammino di riforma della Chiesa in corso già da alcuni decenni: pensiamo al movimento liturgico, al rinnovamento degli studi biblici, al movimento ecumenico, ecc., che erano già in corso da lunga data. I Papi solitamente piú ammirati dai conservatori (Pio X e Pio XII) sono stati tra i maggiori esponenti di tali movimenti. Tanto per fare un esempio, la riforma liturgica non è incominciata con il Vaticano II, ma era già in corso da svariati anni. Pio XII aveva dato un notevole contributo a tale riforma (si pensi alla revisione dei riti della settimana santa). Certo, essa era appena iniziata e avrebbe dovuto proseguire. Ma si rende inevitabile una domanda: era proprio necessario un concilio per continuare una riforma già egregiamente avviata, gradualmente attuata e, quel che piú conta, condivisa da tutti? Mi sembra assai significativo che nessuno tra i tradizionalisti abbia mai avuto nulla da eccepire sul Messale riformato dal Beato Giovanni XXIII nel 1962, che pure si differenzia da quello promulgato da San Pio V.

Lo stesso discorso potrebbe farsi sulla rivalutazione della Sacra Scrittura nella vita della Chiesa o sulla promozione del dialogo ecumenico. Dunque, c’era proprio bisogno di un concilio? Le stesse riforme promosse dal Vaticano II non avrebbero potuto essere attuate (forse meglio, perché condotte con piú prudenza e tenute sotto maggiore controllo) dalla Sede Apostolica, come era avvenuto fino a quel momento? Non posso ancora dare una risposta definitiva a tali domande; ma, da quel che ho detto finora, appare evidente la mia propensione per una risposta negativa alla prima domanda e affermativa alla seconda.

Mi rimane solo una perplessità. Forse era opportuno, se non addirittura necessario, convocare un concilio per continuare il lavoro iniziato dal Vaticano I. Non dimentichiamo che tale Concilio era stato interrotto; in piú occasioni si era pensato di riprenderlo, senza poi farne nulla. A quanto pare, Pio XII lasciò il progetto nel cassetto, perché si rendeva conto di quel che sarebbe potuto accadere alla Chiesa convocando un concilio. Ci volle la santa incoscienza di Giovanni XXIII per riprendere quel progetto e darvi attuazione (anche se poi, non so per quale motivo, egli preferí convocare un nuovo concilio, il Vaticano II appunto, piuttosto che riprendere il Vaticano I). In ogni caso, era evidente a chiunque che l’opera del Vaticano I era rimasta incompiuta: la sua “Costituzione dogmatica prima sulla Chiesa di Cristo” Pastor æternus aveva trattato del primato e dell’infallibilità del Romano Pontefice, ma non aveva avuto tempo (forse provvidenzialmente) di considerare gli altri aspetti del mistero della Sposa di Cristo. Anche in questo caso la riflessione sulla Chiesa era continuata nei decenni successivi (si veda l’enciclica Mystici Corporis di Pio XII) e sfociò nel Vaticano II, che cercò di dare una visione piú completa ed equilibrata della Chiesa rispetto a quella forzatamente sbilanciata del precedente Concilio.

Giustamente Paolo VI, nel suo discorso del 21 novembre 1964 (quello in cui proclamò Maria “Madre della Chiesa”), ebbe a dire che con la promulgazione della Lumen gentium era stata « compiuta l’opera del Concilio Ecumenico Vaticano I ». Va detto peraltro che tale opera non può ancora dirsi del tutto esaurita: dopo il Vaticano II la riflessione sulla Chiesa è continuata, dando ulteriori apprezzabili frutti. Si pensi alla cosiddetta “ecclesiologia di comunione”, che può realmente costituire un ripensamento radicale della teologia sulla Chiesa, che permette a tutti gli aspetti (anche a quelli apparentemente contrapposti come collegialità e primato, Chiese particolari e Chiesa universale) di trovare il loro posto.

Il valore del Concilio

Veniamo al secondo aspetto, quello del valore del Concilio. Il Vaticano II è stato convocato e si è autocompreso come un “concilio pastorale”. Che io sappia, era la prima volta nella storia della Chiesa che veniva convocato un concilio pastorale. Al massimo si erano avuti dei concili disciplinari, guarda caso tutti clamorosamente falliti (come avvenne per il Concilio Lateranense V, che solo pochi anni prima del Concilio di Trento aveva tentato invano di riformare la Chiesa del tempo); ma concili pastorali, mai. Solitamente i concili venivano convocati per definire la dottrina in cui credere; questa volta invece ciò veniva escluso ex professo: « Lo scopo principale di questo Concilio non è la discussione di questo o quel tema della dottrina fondamentale della Chiesa ... Per questo non occorreva un Concilio ... È necessario che questa dottrina certa e immutabile, che deve essere fedelmente rispettata, sia approfondita e presentata in modo che risponda alle esigenze del nostro tempo ... Si dovrà ricorrere a un modo di presentare le cose che piú corrisponda al magistero, il cui carattere è preminentemente pastorale » (Giovanni XIII, Discorso di apertura del Concilio, 11 ottobre 1962).

Dunque, il problema non era definire la dottrina (in quanto già definita), ma trovare un modo nuovo di presentarla. Obiettivo piú che legittimo per la Chiesa, che ha non solo il compito di definire e custodire la verità, ma anche quello di diffonderla. Ma si potrebbe obiettare ancora una volta, usando le stesse parole del Pontefice: Per questo occorreva un concilio? Non ci si rendeva conto che, non trattandosi di questioni dottrinali, ma solo di strategie pastorali, si correva il rischio di fare uno sforzo immane, destinato a essere presto superato dall’evolversi degli eventi? Non ci si rendeva conto che, cosí facendo, si dava a quel Concilio un carattere assolutamente contingente, legato alla transitorietà di quel momento storico? Non è chi non veda che il mondo di oggi è totalmente diverso da quello di quaranta anni fa. Possiamo considerare ancora attuale nel mondo d’oggi, segnato dal disincanto se non dal pessimismo e dalla disperazione, la Costituzione Gaudium et spes col suo ingenuo ottimismo?

Anche qui, però, una perplessità. Una perplessità che scaturisce da un’osservazione sulla Chiesa d’oggi. Se facciamo un raffronto tra le diverse Chiese locali, ci accorgiamo che il Concilio è stato applicato in esse in maniera alquanto differenziata. Ebbene, in quesi paesi dove piú che il Concilio è stato applicato (vedremo piú avanti la distinzione) lo “spirito del Concilio” (si pensi alla Francia o all’Olanda), il risultato è stato... il deserto. La situazione però non può dirsi migliore in quei paesi, come la Polonia o l’Irlanda, dove il Concilio è stato attuato senza molta convinzione e solo in maniera formale. Solo in quei paesi, come l’Italia, dove, pur fra mille limiti e contraddizioni, ci si è sforzati di promuovere il rinnovamento pastorale voluto dal Concilio, la Chiesa continua a registrare una certa vitalità. Dunque, forse non è stato del tutto inutile un concilio pastorale.

L’interpretazione del Concilio


Mi sembra particolarmente importante definire con chiarezza il valore del Concilio, perché da esso dipende la sua corretta interpretazione. Opportuno o inopportuno che fosse, il Concilio c’è stato. È un dato di fatto. Se anche fosse stato un errore, mi sembra abbastanza impensabile che oggi lo si possa ignorare o addirittura, come qualche tradizionalista vorrebbe, abrogare. Non resta che interpretarlo correttamente. È la posizione assunta dal Papa Benedetto XVI nel discorso alla Curia Romana del 22 dicembre 2005, a pochi mesi dalla sua elezione, in occasione del 40° anniversario della conclusione del Vaticano II. La posizione del Papa è chiara: una “ermeneutica della riforma” in contrapposizione a una “ermeneutica della discontinuità e della rottura”. Il Concilio va interpretato alla luce della ininterrotta tradizione della Chiesa. Nulla da eccepire su questo. Semmai andrebbero indicati alcuni ulteriori criteri ermeneutici.

Primo fra tutti, appunto, la considerazione del carattere specifico del Concilio: se vogliamo interpretare correttamente il Vaticano II, dobbiamo sempre ricordare che si tratta, come dicevamo, di un concilio pastorale: questo significa che esso ha un carattere contingente, legato alle condizioni della Chiesa e del mondo del tempo in cui esso si è svolto. Non possiamo assolutizzare il Vaticano II. E invece questo è esattamente ciò che è successo: quello che era voluto essere, ed effettivamente era stato, un concilio pastorale (e quindi con tutti i limiti che ciò comportava), a un certo punto è diventato piú vincolante di un concilio dogmatico.

Si potevano mettere in discussione tutti i dogmi della fede cattolica, ma guai a mettere in discussione il Vaticano II. Un esempio di questo assurdo: la riconciliazione coi lefevriani a tutt’oggi viene dai piú subordinata a un’accettazione incondizionata del Concilio. Ma non ci si rende conto dell’assurdità? Nel dialogo ecumenico ci si sforza giustamente di individuare l’essenziale su cui tutti possiamo ritrovarci d’accordo (in necessariis unitas), trascurando le diversità accidentali (in dubiis libertas); all’interno della Chiesa cattolica ciò che ci unisce non sarebbe piú la stessa fede, ma l’accettazione di un Concilio autodefinitosi pastorale!

Secondo criterio: il Concilio ha emanato svariati documenti, non tutti con il medesimo valore: ci sono quattro costituzioni, nove decreti e tre dichiarazioni. Non sarebbe corretto mettere sullo stesso piano una dichiarazione e una costituzione. Le stesse costituzioni non hanno tutte lo stesso valore: una, quella sulla liturgia, non è definita da alcun aggettivo; due, quella sulla Chiesa e quella sulla divina rivelazione, si dichiarano “dogmatiche” (sebbene non definiscano alcun nuovo dogma); l’ultima, la Gaudium et spes, si presenta come una costituzione “pastorale”. Credo sia importante fare ricorso a tale criterio ermeneutico, perché di fatto le principali contestazioni di parte tradizionalista al Concilio vertono, guarda caso, su dichiarazioni, non su costituzioni dogmatiche: ciò che i lefevriani maggiormente criticano del Concilio è la libertà religiosa (Dichiarazione Dignitatis humanæ) e il rapporto con le religioni non-cristiane (Dichiarazione Nostra ætate). Mi sembra che, sulla base dei criteri ermeneutici su esposti, sia piú che legittimo mantenere su tali argomenti posizioni differenziate.

Lo “spirito del Concilio”

Un ultimo punto. Quando si interpreta un testo, uno dei criteri ermeneutici fondamentali è quello di stabilire l’intenzione dell’autore; se il testo è giuridico, si ricerca la mens del legislatore (cf can. 17 CJC). Non hanno allora ragione i progressisti (fra loro, in primis, la cosiddetta “Scuola di Bologna”), a far riferimento allo “spirito del Concilio”, che si situerebbe al di là della lettera dei suoi documenti e di cui loro stessi sarebbero i depositari? Se devo essere sincero, sono giunto alla conclusione che i “dossettiani” (chiamiamoli pure cosí per comodità, senza con ciò voler esprimere alcun giudizio su Don Giuseppe Dossetti) non hanno tutti i torti ad appellarsi allo “spirito del Concilio”. Voglio dire: quello “spirito” non è una loro fantasia; quello era veramente lo spirito di buona parte dei padri conciliari; non saprei dire se della maggioranza o solo di un’agguerrita minoranza (oggi diremmo: una potente lobby).

A leggere le cronache del Concilio, c’è da rimanere allibiti (molto interessante in proposito può risultare la lettura, sul sito Una vox, del resoconto “Il Concilio giorno per giorno”: www.unavox.it/doc89.htm). Ricordo che Mons. Ettore Cunial una volta ci confidò di non aver mai sentito nella sua vita tante eresie come durante il Concilio: se non ci fosse stata l’assistenza dello Spirito Santo e se avessero prevalso quelle posizioni, si sarebbe distrutta la Chiesa in pochi giorni. Ma, per l’appunto, c’era lo Spirito Santo (Dio sa scrivere diritto sulle righe storte) e, aggiungiamo pure, c’era anche il buon Paolo VI, che tenne in pugno la situazione e seppe guidare il Concilio alla sua conclusione.

Anche considerando le cose da un punto di vista puramente umano, le discussioni tra i diversi gruppi presenti in Concilio portò a onorevoli compromessi, che trovarono espressione nei documenti conciliari, equilibrati e fondamentalmente condivisi da tutti (a quanto mi risulta, anche Mons. Lefebvre firmò tutti i documenti, compresa la Dignitatis humanæ). Ma proprio perché frutto di umani compromessi, i dossettiani hanno continuato ad appellarsi allo “spirito del Concilio” (vale a dire allo spirito della lobby progressista del Concilio) come all’unica legittima chiave di lettura del Concilio. Dal loro punto di vista, non hanno tutti i torti: i documenti conciliari sono frutto di un compromesso; essi non riflettono lo spirito di chi aveva voluto il Concilio e avrebbe voluto un ben diverso esito di esso.

Il problema è: siamo sicuri che quello “spirito” coincida con lo Spirito di Dio? Siamo proprio sicuri che lo Spirito Santo si sia espresso attraverso lo “spirito del Concilio” e non piuttosto attraverso la lettera dei documenti conciliari, quella lettera frutto di umani compromessi?


Il problema è tanto piú grave, in quanto quella mentalità (lo “spirito del Concilio” identificato con l’intentio auctoris o mens del legislatore) non era diffusa solo fra i circoli progressisti della Chiesa, ma influenzò in certa misura la stessa attuazione del Concilio da parte delle supreme gerarchie. Faccio un esempio tratto dalla riforma liturgica. Il Concilio aveva previsto la conservazione dell’uso della lingua latina nella liturgia in genere (Sacrosanctum Concilium, n. 36), nella celebrazione della Messa (ibid., n. 54) e nella recita dell’ufficio divino (ibid., n. 101). Ebbene, non è stato qualche prete ribelle a disattendere tali norme, ma è stato lo stesso Sommo Pontefice ad autorizzare la traduzione integrale della liturgia nelle lingue volgari (con conseguente, inevitabile abbandono della lingua latina). Perché questo? Perché, sebbene contro la lettera del Concilio, ciò sembrava corrispondere alla sua mens.

È questo che ha rovinato la Chiesa. La colpa della crisi della Chiesa non può essere addebitata al Concilio in quanto tale, o per lo meno ai documenti che ne sono scaturiti, e neppure alla mancata attuazione di esso da parte di qualche irriducibile contestatore, ma alla diffusione a tutti i livelli di quello che si credeva essere il vero “spirito del Concilio”, ma era in realtà, per usare l’immagine di Paolo VI, il “fumo di Satana” che si stava insinuando nella Chiesa. Con questo non si vuole criminalizzare nessuno, tanto meno il povero Paolo VI, che fece di tutto per opporsi alle interpretazioni estremistiche del Concilio. Ma purtroppo il clima era quello; tutti ne furono in qualche modo contagiati e, magari in buona fede, furono portati a discostarsi dalla lettera del Concilio. Lo “spirito del Concilio” è stato come un veleno che ha ammorbato la Chiesa in tutte le sue fibre. Se ora vogliamo risanare la Chiesa, non dobbiamo annullare il Concilio, ma liberarla dal preteso “spirito del Concilio”. Quale l’antidoto? Tornare alla lettera del Concilio, nella quale si esprime il vero spirito del Concilio, che è poi lo spirito dell’ininterrotta tradizione della Chiesa.

Questo può comportare, se necessario, anche la revisione di alcune riforme, laddove queste si siano discostate dalla volontà esplicita del Concilio. Si parla con sempre maggiore insistenza di una “riforma della riforma” liturgica. Perché no? L’attuale soluzione (la coesistenza di due forme del medesimo rito) può essere accettata solo come soluzione transitoria, ma non può certo essere considerata la soluzione ideale e definitiva. Si rende sempre piú necessaria quella reciproca interazione dei due usi liturgici, prevista dal Santo Padre nella lettera ai Vescovi accompagnatoria del motu proprio: « Le due forme dell’uso del Rito Romano possono arricchirsi a vicenda: nel Messale antico potranno e dovranno essere inseriti nuovi santi e alcuni dei nuovi prefazi ... Nella celebrazione della Messa secondo il Messale di Paolo VI potrà manifestarsi, in maniera più forte di quanto non lo è stato finora, quella sacralità che attrae molti all’antico uso ».

Ancor piú esplicita si rivela la lettera del 23 giugno 2003 dell’allora Card. Ratzinger al Dott. Heinz-Lothar Barth: « Credo che a lungo termine la Chiesa romana deve avere di nuovo un solo rito romano. L’esistenza di due riti ufficiali per i vescovi e per i preti è difficile da “gestire” in pratica. Il rito romano del futuro dovrebbe essere uno solo, celebrato in latino o in vernacolo, ma completamente nella tradizione del rito che è stato tramandato. Esso potrebbe assumere qualche elemento nuovo che si è sperimentato valido, come le nuove feste, alcuni nuovi prefazi della Messa, un lezionario esteso con più scelta di prima, ma non troppa, una “oratio fidelium”, cioè una litania fissa di intercessioni che segue gli Oremus prima dell’offertorio dove aveva prima la sua collocazione ». Piú o meno quanto aveva previsto il Concilio.

Pertanto, per quanto sia legittimo discutere sul Concilio, dobbiamo ammettere che, se si vuole trovare un punto di equilibrio tra le diverse anime della Chiesa, probabilmente quel punto non lo si troverà se non nella lettera del Concilio stesso, frutto degli sforzi dei padri conciliari, della sapiente mediazione di Paolo VI e, soprattutto, dell’assistenza dello Spirito Santo.



Fin qui le mie riflessioni del giugno scorso. Orbene questa mattina, aprendo la mia posta elettronica, leggo sull'agenzia ZENIT la dichiarazione dei Vescovi tedeschi sulla vicenda della remissione della scomunica ai Vescovi lefebvriani: "Esprimiamo la chiara e grande aspettativa e la richiesta urgente che nel corso dei colloqui, i quattro Vescovi e la Fraternità di S. Pio X manifestino in modo inequivocabile e credibile la loro fedeltà al Concilio Vaticano II e in particolare alla dichiarazione Nostra Aetate, le cui istanze vennero fatte proprie da Papa Giovanni Paolo II nel suo lungo pontificato in maniera insistente e con risultati benefici".

Come volevasi dimostrare! Ciò che ci rende cattolici non è l'accettazione dello stesso Credo, ma la "fedeltà al Concilio Vaticano II e in particolare alla dichiarazione Nostra Aetate". Non solo tale dichiarazione conferma le preoccupazioni da me espresse sei mesi fa, ma mi fa venire un altro cattivo pensiero: sta' a vedere che ora, per essere riammessi alla comunione (e forse, chissà, anche per rimanere in comunione) con la Chiesa cattolica, sarà necessaria un professione di fede nell'Olocausto...




Caterina63
00venerdì 16 ottobre 2009 23:25

domenica 5 aprile 2009 (blog Messainlatino)

cliccare sul link del titolo:

Mons. Marchetto: "La scuola di Bologna ha dato un'immagine del Concilio distorta e mistificatrice"


L’arcivescovo Agostino Marchetto, segretario del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti e storico del Concilio Vaticano II, è intervenuto oggi all’Accademia dei Ponti a Firenze con una relazione sulle letture ermeneutiche dell’assise conciliare. Ce ne parla Sergio Centofanti.

Mons. Marchetto ha affrontato la questione di “una ermeneutica veritiera, cioè di una interpretazione fondata e rispettosa” di ciò che è stato il Concilio. Una “corretta esegesi” che – se vuole essere tale - si deve basare sugli Atti ufficiali raccolti in ben “62 grossi tomi”.

Molti però – ha rilevato – sono ricorsi a scritti privati e diari personali di padri ed esperti conciliari al fine di diminuire l’importanza dei documenti finali per far emergere il cosiddetto “spirito” del Concilio: tutto questo in contrasto con gli esiti ufficiali dell’assise che sarebbero stati egemonizzati dagli uomini di Curia e che quindi non rappresenterebbero l’anima vera del Vaticano II. Si tratta – ha detto – di una tendenza storiografica “ideologica”, che “punta solo sugli aspetti innovativi, sulla discontinuità rispetto alla Tradizione” quasi che col Concilio fosse nata “una nuova Chiesa”, fosse cioè avvenuto il passaggio “ad un altro Cattolicesimo”.

In particolare gli studiosi del Gruppo di Bologna – ha sottolineato mons. Marchetto – “sono riusciti con ricchezza di mezzi, industriosità di operazioni e larghezza di amicizie, a monopolizzare ed imporre” un’immagine del Concilio “distorta e contraddittoria, del tutto mistificatrice”. Secondo questi studiosi da quell’evento sarebbe dovuta nascere una Chiesa “democratizzata” con l’abbandono “del riferimento alle istituzioni ecclesiastiche, alla loro autorità e alla loro efficienza come il centro e il metro della fede”.

Il Concilio avrebbe partorito cioè un nuovo tipo di fedele cattolico non più legato “alla dottrina, e soprattutto a una singola formulazione dottrinale”: premessa “per un superamento dell’ecclesiocentrismo, e perciò per una relativizzazione della stessa ecclesiologia”.“Ancora più radicale” del “vortice ideologico” del gruppo di Bologna – nota il presule - è la posizione di Hans Küng.

Corretta ermeneutica invece – sottolinea – è vedere nel Concilio una “sintesi di Tradizione e rinnovamento” non “una rottura, una rivoluzione sovvertitrice” ma una “evoluzione fedele” come ha ricordato Benedetto XVI
nel celebre discorso alla Curia Romana, il 22 dicembre 2005: “l’ermeneutica della discontinuità e della rottura” - disse – “si è potuta avvalere della simpatia dei mass-media” ma “ha causato confusione”. Invece, “l'ermeneutica della riforma, del rinnovamento nella continuità dell'unico soggetto-Chiesa … che cresce nel tempo e si sviluppa, rimanendo però sempre lo stesso”, “silenziosamente ma sempre più visibilmente, ha portato frutti”


Fonte, Radio Vaticana


Caterina63
00giovedì 25 marzo 2010 23:02
Il Sito Vaticano ha messo in rete i famosi "Acta Apostolicae Sedis" (entrate nel sito alla pagina principale, li trovate li, poi cliccate sulle date che vi interessano, sono moltissimi, tutti  in pdf)

poichè avevo un brano del saluto  di Giovanni XXIII all'allora Capo del Governo Fanfani, nel 1961, il quale mi interessava per una frase importante, ecco che finalmente ho il testo integrale... Ghigno giusto per testimoniare come con i Patti Lateranensi e alle soglie del Concilio Vaticano II, non c'era assolutamente alcun progetto conciliare di ROTTURA CON L'INSEGNAMENTO DELLA CHIESA... Occhi al cielo

Leggiamo cosa disse Giovanni XXIII a Fanfani, il testo integrale è questo e parla appunto dei Patti Lateranensi, alla fine dice:

Questo semplice tocco rievocativo, che Ci siamo permessi di offrirLe,
Signor Presidente, è come un fiore di campo sull'aprirsi della primavera.
Esso è accompagnato dal voto che quotidianamente eleviamo innanzi
al Signore per il Capo dello Stato — che in questi giorni seguiamo
con viva simpatia e con paterni auguri —, eleviamo per Lei e per quanti
con Lei dividono le responsabilità nel governo della pubblica cosa, come
l'abbiamo invocato nella liturgia della Settimana Santa : « religionis
integritas et patriae securitas ».

Qui sta, invero, la sostanza dei Patti
Lateranensi : esercizio della religione libero e rispettato ; ispirazione
cristiana della scuola; nozze sacre; espansione di apostolato per la
verità, per la giustizia, per la pace.


.......................

E ancora....Giovanni XXIII in un memorabile Discorso:

N U N T I U S R A D I O P H O N I C US
Omnibus orbis terrarum christifidelibus ac gentibus datus ob celebranda
Nativitatis Domini Nostri Iesu Christi sollemnia.
(sempre del 1961)

conclude con queste parole  dopo aver parlato dell'antidecalogo:

Diletti figli, no, non prestatevi mai alla contraffazione della verità :
abbiatene orrore.
Non servitevi di questi meravigliosi doni di Dio, che sono la luce, i
suoni, i colori e le loro applicazioni tecniche e artistiche — tipografiche,
giornalistiche, audiovisive — per travolgere la naturale inclinazione
dell'uomo alla verità, da cui si innalza l'edificio della sua nobiltà e grandezza
; non servitevene per sospingere a rovina le coscienze non ancora
formate o vacillanti.
Abbiate il sacro terrore di diffondere quei germi, che dissacrano
l'amore, dissolvono la famiglia, deridono la religione, scuotono le fondamenta
dell'ordinamento sociale, che si regge sulla disciplina degli
impulsi egoistici, e sulla fraternità concorde e rispettosa del diritto di
ciascuno. Collaborate anzi a rendere sempre più pura e meno infetta
l'aria che si respira, della quale le prime vittime sono gli innocenti e i
deboli; sappiate costruire con serena perseveranza e impegno instancabile
le premesse per tempi migliori, più sani, più giusti, più sicuri.


****************************************


e al cardinale Decano del Sacro Collegio, così risponde agli auguri per quel Natale:

Vogliamo ora ripetere le arcane parole del Salmista per noi qui presenti
: Papa, Cardinali, Vescovi, e clero dell'Urbe, tutti seriamente
applicati al trionfo della verità, alla sua irradiazione, nel servizio umile
e preciso della Chiesa.
Viviamo in un'ora importante. Ci accostiamo al punto della testimonianza
più alta, della vera e personale preparazione nostra al Concilio
Ecumenico. Questa vuol essere una risposta individuale e collettiva al
Figlio di Dio fatto uomo perchè gli uomini ridiventino figli di Dio.
Ecco allora le parole del Salmo 84, che danno nuova luce a questo
sforzo comune di adeguazione a ciò che il Signore aspetta da ciascuno
di noi.
Veritas de terra orta est : la verità, ossia la fedeltà a Dio, alla sua
religione ed ai sacri doveri propri di ciascun sacerdote e di tutti i fedeli,
germoglia dalla terra, deve sbocciare dalla volontà degli uomini.
Questo è l'ansioso palpito Nostro quotidiano, il motivo dominante
delle Nostre conversazioni intime e pubbliche : che i Nostri figli, nel culto
più seguito della verità, facciano onore al loro nome e alla loro vocazione
soprannaturale.
In questa gara è ben giusto che debba distinguersi il sacerdozio, santo
e santifìcatore in tutti i suoi gradi : e accanto ai sacerdoti, (( sale della
terra e luce del mondo » , 2 tutte le anime consacrate all'ideale di perfezione
e di sacrificio, di cui si nutre e si allieta la Chiesa di Dio : infine i
fedeli tutti, dai rappresentanti delle autorità più alte ai più umili e
nascosti credenti, concordemente impegnati à fare onore alla Chiesa
che tutti affratella nel Sangue di Cristo : generosi nella pratica della
virtù, nel rispetto della verità.


 Sorriso
Caterina63
00venerdì 9 luglio 2010 00:36
La falsa interpretazione al Concilio in un testo del 1973 quando i danni erano già visibili a tutti....


Il "modernismo" aziendale.


È un gioco da bambini, oggi, individuare in Vaticano un suo profilo dominante, una sua "maniera", in altre parole un suo "kitsch".

Si dirà di più. Se i papi che verranno dovessero por mano a una "restaurazione" in seno alla Santa Sede e le cose in Vaticano dovessero tornare così come erano negli anni di Pio XII (è una pura e forse folle ipotesi), allo storico del costume che volesse tracciare una sintesi del Vaticano dell'ultimo mezzo secolo, questi nostri anni ruggenti di "progressismo" suonerebbero come un brano di musica dodecafonica inserito, senza soluzioni di continuità, in un pezzo di musica classica. È semplicemente inimmaginabile la trasformazione che dieci anni di "nuovi orientamenti" hanno impresso al volto del Vaticano, fin nelle sue pieghe più intime. Nelle cose e negli uomini.

Con metodo e puntigliosità, temerarietà e spregiudicatezza, si è portato a termine un "trapianto cardiaco" nel secolare organismo che respira, solenne, al di là del Portone di Bronzo.

Con fredda, abbagliante, scientifica decisione si è affondato il bisturi nel gran torace inviolato di una tradizione "temporale" che ebbe solo l'eguale, nella storia del mondo, in quella carolingia dell'impero.

Tante mani fameliche, in isterica gara, hanno frugato nelle cavità fino ad afferrare l'antico cuore e strapparlo, e calare al suo posto un perfetto ordigno di plastica, capolavoro di funzionalità e tecnologia, che ha cominciato a pompare con furore nelle arterie la nuova linfa del "progressismo".

Il grande organismo ha avuto un lungo sussulto e in quel supremo, vano tentativo di "rigetto" la sua parte più bella, più significativa si è staccata dalla vita e si è rovinosamente distrutta.

Il piccolo, ma così potente lembo di "regno temporale" ("quel tanto di territorio") del papa, sopravvissuto ai miserabili eventi della storia degli uomini, il cui stile e le cui regole erano stati per secoli esempio di inaccessibile immutabilità, cominciò a trasformarsi, ad assumere la fisionomia di un colossale organismo "aziendale" nel senso più laicamente burocratico della espressione.

Di pari passo si cambiò volto all'ambiente. Con un accanimento iconoclasta che non ha risparmiato i più piccoli dettagli, si cancellò l'impronta "sovrana" della sede apostolica. Via tutto quanto poteva soltanto lontanamente odorare di "trionfalismo", senza riguardo a valori d'arte e a significati storici, via qualsiasi ricordo "tangibile" di una potenza sovrana che, pur ridotta dagli eventi a quei quarantaquattro ettari di territorio, faceva piegare il ginocchio ai più potenti della terra.

L'antica corte pontificia (sempre per "élite" la prima corte del mondo) fu sciolta con la delicatezza e il riguardo con cui si licenziano i domestici infedeli, e con l'impegno e la dovizia di spese con cui nel Rinascimento si rese il Vaticano supremamente bello e prezioso si profusero favolosi capitali per renderlo irrimediabilmente brutto.

Per quale necessità? Perché si era venuti meno a quella consuetudine che ormai era divenuta "regola" tacitamente rispettata dai pontefici, di conservare e tramandare intatto, al successore, quanto era stato lasciato dal predecessore conservato ed intatto? Eppure, anche senza ricorrere a clamorose trasformazioni, ogni papa aveva avuto la sua precisa fisionomia, la sua spiccata personalità (anche e forse soprattutto nel campo artistico estetico: nei monumenti romani è facile distinguere fin nei dettagli uno "stile Barberini", uno "stile Albani", o Altieri, o Chigi, o Pamphili e via dicendo).

Ma, evidentemente, e in sconvolgente contraddizione con quanto oggi ci si sbraccia ad affermare, il papa può tutto.

Una nuvola di arredatori e di architetti "modernisti" offuscò il sole del Vaticano, calando fracassona con operosità sulla più bella, preziosa e irripetibile dimora regale che mai si vide nel mondo.

Quando i supertecnici dell'habitat umano - come si dice oggi, e che saranno uno per uno additati alla storia - se ne andarono tutti soddisfatti di aver potuto "dare in testa" ai più grandi artisti e "addobbatori" del cinquecento europeo, loro cresciuti nel mito dei designers e con l'occhio "fatto" agli abominevoli scorci di certa architettura industriale lombarda, lo spettacolo che si offrì alla vista del visitatore fu terrificante.

Il "Palazzo Apostolico" era stato sfigurato, trasformato in una "funzionale" sede di rappresentanza qualsiasi, di un qualsiasi grosso organismo finanziario o industriale di tipo svizzero o americano.

Velluti beige e grigi alle pareti, moquette sui pavimenti, pezzi di "arte" moderna ovunque in conturbante contrasto con qualche preziosa opera d'arte sopravvissuta alla "purga"; illuminazione al neon. Nemmeno a San Pietro sono stati risparmiati i brutti altarini imposti dalla nuova liturgia insieme con gli arredi, lisci, di metallo stampato. E su questo sfondo quasi angoscioso si muove la nuova "corte" in auge, che ha in odio l'uniforme, la dignità esteriore, qualsiasi parvenza di solennità. Cosicché nessuna uniforme attornia più, in atto di solenne protezione, il Santo Padre (e più d'una volta i sassi sono rimbalzati impuniti intorno alla sua persona). Perfino la Guardia Svizzera è stata sfrattata dalla Sala Clementina. I visitatori del papa arrivano al suo appartamento in ascensore, accompagnati da impiegati che il più delle volte si esprimono soltanto in stretto dialetto romano o settentrionale. Ma si farà caso che si tratta in parte di giovanottoni zazzeruti, dallo sguardo sfuggente, dai modi curiosamente e significativamente poco franchi e virili.

E il visitatore avrà l'impressione, per la verità poco edificante, di essere in procinto di far visita a un ragguardevole presidente o amministratore delegato di un'azienda qualsiasi. Il "kitsch" degli Anni 70 in Vaticano è tutto in queste impressioni insieme. Prelati in clergyman o addirittura in borghese, "habitué" di night e ristoranti alla moda, vi rammentano che i tradizionali atteggiamenti "preteschi" appartengono al passato o son rimasti commovente sopravvivenza in qualche vecchio monsignore. Oggi, i preti che circolano nell'"entourage" hanno automobili costose e si incontrano ovunque a Roma e nelle ore più impensate.

Vi capiterà a esempio di notare, un pomeriggio d'inverno, fermo all'angolo dell'Excelsior in via Veneto, un grosso signore intabarrato in un cappotto scuro con sciarpa e cappello che sta squadrando con attentissima insistenza il capannello di marines seduti a bere al Doney. Quando gli passerete davanti, vi accorgerete con una certa emozione che quel distinto "commendatore" altri non è che un vostro conoscente monsignore che ha il suo ufficio laggiù oltre il Tevere... Nella vostra ingenuità, quando gli passerete davanti, gli farete tanto di cappello, e allora vi accorgerete che lui fingerà di non conoscervi e con un moto di stizza si allontanerà, le mani affondate nelle tasche e il cappello calato sugli occhi.

Salta agli occhi, inoltre, un certo gusto ossessivo per il "laico malmesso". Capelloni e capelloncini si sprecano negli organici del Vaticano e sono messi in mostra a ogni cantone, nei musei, negli uffici, mentre il "permissivismo" trionfa in piazza San Pietro dove, specie d'estate, bivaccano folle di sbandati, di hippy seminudi sdraiati senza alcun ritegno fin sull'ultimo gradino della scalinata della basilica. Il sagrato di San Pietro in alcune ore del giorno è un mare immondo di mozziconi di sigarette, carta straccia, sputi salivosi, lattine di Coca Cola, stracci buttati dappertutto.

E quando si attraversa quella folla che par si compiaccia di profanare quelle pietre col suo sozzume e la sua scompostezza, per entrare nella basilica, ci si dovrà tappare il naso tanto è il tanfo di umanità sporca e sudata.

Per salvare la faccia si è dovuti arrivare all'assurdo di far indossare agli sporcaccioni discinti che entrano in basilica un lungo saio di plastica nera, per nascondere le brutte nudità ostentate e imposte in giro con sfrontata presunzione.

E quei ceffi, chiusi nei sacchi di plastica che ricordano quelli dell'immondizia o, peggio, quelli usati dalla Morgue per "incartarci" i mortiammazzati, si aggirano in San Pietro, con la plastica che fruscia rumorosamente ad ogni passo; poi, all'uscita, riconsegnano il "saio" - inzuppato, ovvio, di sudore - che i custodi, all'ingresso, faranno indossare al prossimo Robinson Crusoe in arrivo.

Per concludere non si tralascia occasione per mostrare con malcelata soddisfazione il mutato volto della Santa Sede, sottolineandone l'estrema "essenzialità", quasi dimessa, del suo nuovo aspetto esteriore. Ma "l'abito non fa il monaco", ammonisce l'antico proverbio...

Eppure, quanto è costata quell'"impronta personalissima" che si è voluta a ogni costo imprimere al Vaticano! Un vecchio vescovo straniero che si trovò a visitare il palazzo apostolico dopo la "trasformazione" esclamò, sbigottito e turbato fino alle lacrime:
"Cosa hanno fatto... quanti irreparabili sfaceli... Hanno speso fiumi di miliardi per vestirsi da poveri!".


(da Zappegno-Bellegrandi, Guida ai misteri e piaceri del Vaticano, Milano, Sugar, 1973)

Caterina63
00martedì 31 agosto 2010 16:46

I malintesi del Concilio: già nel 1967!

Un cortesissimo lettore ci fa l'onore di inviarci non solo una gradita mail di apprezzamento, ma anche la recensione di un testo rivelatore, poiché mette in guardia contro le disinterpretazioni del Concilio nel... 1967. La deriva era già ben cominciata, prima ancora del mitico '68. Ecco qui il testo della mail e della recensione:

Gentile redazione di Messainlatino,

prima di tutto volevo farvi i complimenti per il vostro lavoro e incoraggiarvi a continuare su questa strada; siete un dono della provvidenza!!! [Caspita! Qui si esagera...] Continuate ad annunciare e a gridare al mondo la verità!!

Leggo sempre con molto piacere tutti i vostri interventi sul Blog che in questi tempi sono uno spiraglio di luce e di serenità in questa vita ecclesiale che si trova oramai allo sbando. Sostenete con forza e coraggio il Magistero del Santo Padre Benedetto XVI, che Dio lo conservi e lo protegga "ad multos annos" [Amen!].

Io lavoro come bibliotecario e archivista per un ente religioso e tra le migliaia di volumi che mi trovo a catalogare ho trovato una pubblicazione molte interessante, "Concilio senza malintesi".

L'autore, un gesuita morto qualche anno fa, un certo Padre Aldo Aluffi, metteva in guardia, prima di tutti i sacerdoti e religiosi, di non fraintendere i documenti conciliari e le loro affermazioni!!!

E siamo già nel 1967!!! Io vi allego un'estrapolazione di questo lavoro, se lo ritenete valido da pubblicarlo sul Blog fate pure.

Vi ringrazio ancora per la vostra attenzione e rinnovo i miei più sentiti ringraziamenti per il vostro prezioso lavoro, che Dio vi benedica.

Pier Luigi

Concilio senza Malintesi
La dinamica del Concilio esaminata a fondo
contro le deviazioni di oggi

di Padre Aldo Aluffi s.j.
Ed. Paoline, 1968

Circolano tante idee che minacciano di sviare la stessa impostazione del rinnovamento. Notiamo che perfino la dinamica conciliare, nella sua estrema ricchezza di azione e di pensiero, può facilmente indurre a deviazioni. L’autore inizia così a esporre false interpretazioni e a farne la diagnosi, percorrendo le novità più evidenti del Concilio Vaticano II: rinnovamento, apostolato, dialogo, personalità, libertà, valori umani, movimento eucaristico. Conclude la sua presentazione con le seguenti parole: “Nostra intenzione era solo questa: metterci alle varie svolte essenziali della vita cristiana e, con in mano il testo del Vaticano II, additare, con voce modesta, quello che, per nostra esperienza, crediamo il cammino giusto”.

Afferma:
Sì al rinnovamento eucaristico, ma non nel rinnegamento del passato.
Sì al rinnovamento, ma da realizzare in noi, più che fuori di noi.
Sì a una carità a dialogo, ma senza cadere nello spirito della critica e della rivolta.
Sì a un’obbedienza-dialogo, ma senza sostituirsi all’autorità.
Sì al dialogo ecumenico, ma senza compromessi con la verità verso i lontani.
Sì al mondo e ai valori umani, ma nella prospettiva di un’ascetica cristiana.
Sì alla partecipazione attiva alla Messa, ma più con l’animo che con la sola bocca.

A riguardo del rinnovamento padre Aluffi si rifà alle parole dello stesso Paolo VI: “Rinnovamento non come strappo alle radici; non azione sovvertitrice, ma rinnovatrice”. Egli volle (Paolo VI) anche dimostrare la necessità del rinnovamento appellandosi ai concetti di vita e di progresso. “La vita è perenne novità; novità di coscienza, novità di virtù, novità di opere, novità di amore… Non vi offenda questo invito (al rinnovamento) quasi supponga nei monasteri un decadimento, è piuttosto un incoraggiamento. Quanto alla pratica siate tenacemente fedeli alle linee maestre della vostra tradizione”. Tutto dunque ci porta a concludere che abbiamo faticato non poco ad assimilare un nuovo modo di pensare sullo stesso concetto di “rinnovamento”. Ci pareva proprio che per rinnovarci, dovessimo rinnegare qualcosa di importante (usi, tradizioni, preghiere, pratiche) che faceva parte del nostro passato religioso. Invece dobbiamo soltanto reintegrarci, aprirci di fronte a nuovi valori, senza cancellare i vecchi; aggiungere nuove componenti a quelle solite. Impostata così la stessa idea del rinnovamento (cioè come integrazione), bisogna non cadere dalla parte opposta, cioè: sentire fastidio del passato. C’è dunque il pericolo di non partire o di partire con troppa precipitazione. Noi per “troppo” qui intendiamo un istintivo disgusto per tutto quello che non ha il carisma della novità, e che ha ancora le radici del passato. Non sottovalutiamo questo rischio. Nei giovani e nelle giovani minaccia di divenire un’ossessione. Basta che un libro sia stato scritto prima del Concilio per doverlo scartare; basta che quella preghiera, quella pratica religiosa, sia anteriori al Concilio, perché non meritino più la nostra fiducia. Da tener molto ben presente che questa idea ce la propina lo spirito materialista imperante oggi. Dicono: il passato è ipocrisia, il passato è il nemico che ci ha sfruttato; il passato (anche se è di pochi anni addietro) è l’era delle caverne! Tra noi queste idee non circolano, ma possono circolare le equivalenti: finalmente ecco il rinnovamento che ci fa buttare a mare le anticaglie! E’tempo di svecchiarsi e camminare con i tempi. Guai se per arroganza di rinnovamento, volessimo demolire gli altri piani sui quali si fonda la nostra consistenza di oggi…. Così per un Sacerdote in una Associazione, in una Parrocchia o in qualsiasi campo di apostolato: non partire dal principio che tutto debba essere soppiantato per il semplice fatto che quello che si faceva prima del Concilio, non è né logico, né giusto.

Il rinnovamento non si fonda sulla “demolizione” ma sull’arricchimento. Se hai un po’ di esperienza, sai quanto è difficile creare una tradizione spirituale. In base a questo principio non sarai di quelli che non curano più né Quarantore, né Confraternite, ecc. perché non rispondono più esattamente ai nostri tempi, ma cercherai di inserire in quelle stesse operazioni spirituali, che durano da secoli, l’arricchimento voluto dal Concilio.

Quanti, entrando nuovi in un ambiente o in un apostolato, hanno commesso l’errore di cancellare quello che fu fatto da altri e ricominciare tutto su basi nuove, facendo tabula rasa del passato.

Oltre all’essere espressione di poca umiltà, ciò è anche segno di poca discrezione. Perciò imposta bene il tuo rinnovamento, quando lo devi vedere da vicino e tu stesso ci sei in mezzo. Il “vecchio” che pensi di soppiantare, non è necessariamente il “passato”, ma forse, con maggior esattezza, è quello che l’ascetica cristiana ha sempre chiamato l’uomo vecchio.

Per quanto riguarda il rinnovamento nel Movimento eucaristico padre Aluffi, descrive questo fatto: “Mi ero accorto che in quella parrocchia, qualcosa non andava. Avevo raccomandato ai piccoli di fare ogni giorno la loro visita a Gesù eucaristico per il buon esito della missione e lo stesso parroco si era mostrato freddo e non mi seguiva nell’iniziativa. Me lo fece capire poi: “Sa, questa visita eucaristica, non è più tanto conforme al movimento liturgico di oggi”, mi disse. Anche a questo modo di pensare bisogna saper reagire con prontezza, come del resto ha fatto Paolo VI nella sua Enciclica Mysterium fidei, dove dice al n° 35: “Durante il giorno i fedeli non omettano di far visita al SS. Sacramento… la visita è prova di gratitudine, segno di amore e debito di riconoscenza Cristo Signore là presente”. Non esagera oggi, (siamo nel 1968!) chi per amore della Messa comunitaria, vorrebbe quasi nascondere il SS. Sacramento e mettere da parte la stessa presenza reale? Padre Aluffi racconta: Entro in una chiesa e vedo la scritta a fianco della porta: “Il SS. Sacramento è nella cripta”. Sicché, in quella chiesa avevano risolto il problema, depositando il Santissimo nella cripta. L’altare era una semplice mensa.

Il vero problema non è mai fuori di noi, ma in noi, non nelle cose, ma nello spirito. Bisogna, anzitutto, guardarsi da una forma di conciliarismo, molto ben precisata da Paolo VI: “Il pericolo è il conciliarismo, cioè un concilio permanente… Alludiamo allo stato d’animo di coloro che vorrebbero mettere in discussione permanente, verità, leggi ormai chiare e stabilite…. Mettere in discussione, mettere in dubbio e sotto inchiesta le cose insegnate, invece di metterle in pratica” (25 dicembre 1966).
Caterina63
00venerdì 3 settembre 2010 20:08

BASTA COL CONCILIO!
(Lo disse Padre Pio) san padre Pio

Il Cardinale Bacci, reduce da una visita a Pietralcina, riferì al Papa l’ esortazione del frate. La clamorosa rivelazione contenuta in una biografia di Padre Pio pubblicata dal Centro Culturale Francescano.

Un Papa, un frate, un cardinale loro tramite.
L’aneddotica della Chiesa si è arricchita, inaspettatamente, di una clamorosa rivelazione. E’ stato Padre Pio di Pietralcina, il cappuccino venerato come un santo dai fedeli ancor prima che fosse introdotta la sua causa di beatificazione e ostegggiato in vita dalla Curia romana (subì due inchieste, due “persecuzioni”), a indurre Paolo VI ad anticipare la chiusura del Concilio Ecumenico Vaticano II.

Papa Montini, assalito dal dubbio che i padri conciliari si stessero avventurando pericolosamente verso una imprevedibile svolta, inviò a S. Giovanni Rotondo un suo autorevole ambasciatore segreto, il grande latinista recentemente scomparso cardinale Antonio Bacci, “per sentire cosa ne pensasse Padre Pio”.

Molte voci.

Sotto Papa Giovanni XXIII erano corse molte voci, e talune malevoli sul pensiero di Padre Pio a proposito del Concilio. Una volta aveva sentenziato con burbanza contadina, parlando con un monsignore del Santo Uffizio: “Il pesce puzza dalla testa”. Un’altra volta si era lamentato con un giornalista dell’ Osservatore Romano: “La Chiesa è senza nocchiero”.

Per i più sospettosi, alla “seconda persecuzione” subita proprio sotto Papa Roncalli non era estranea la drasticità di questi giudizi, anche se la spedizione motivata del visitatore apostolico monsignor Maccari, inviato come epuratore a San Giovanni Rotondo, veniva attribuita al segretario-factotum del Pontefice, monsignor Loris Capovilla, ora in disgrazia ma allora potentissimo e intimo del Vescovo di Padova Bortignon, inguaiato con lo scandalo Giuffrè e avversario di vecchia data di Padre Pio da Pietralcina. “Il Concilio? Per carità, lo chiuda al più presto”, fu il responso ottenuto dal cardinale Antonio Bacci.

L’ultimo colloquio avvenne nella cella n° 5 del convento di Santa Maria delle Grazie, il porporato latinista era venuto anche per portare al cappuccino abitudinario la dispensa vaticana dall’obbligo, sancito appunto dal Concilio (una delle tante innovazioni non condivise) di celebrare la Messa in italiano. Poteva continuare a dirla ogni mattina all’alba nel suo latino, come aveva sempre fatto da oltre mezzo secolo. Padre Pio pianse di gratitudine. All’incontro erano presenti alcuni frati, che orecchiarono e riferirono.

Ma a rivelare pubblicamente l’episodio è stato Padre Carmelo da Sessano, sguardo azzurro e barba da Patriarca, che fu prima compagno di studi e poi guardiano di Padre Pio dal 1953 al 1958. Si è sbilanciato nel corso di una conferenza stampa passata pressoché inosservata (un po' lo sciopero dei giornali, un po la solita congiura del silenzio) e indetta per la presentazione del libro Padre Pio da Pietralcina, un Cireneo per tutti, edito dal Centro Culturale Francescano e scritto da Padre Alessandro da Ripabottoni, della provincia monastica di Foggia.

Si tratta di una biografia di 890 pagine, la prima ufficiale e autorizzata, compilata utilizzando documenti e testimonianze del Dossier per la causa di beatificazione del cappuccino stigmatizzato: “non tutti però”, confessa l’autore, “perché si è dovuto trattare in modo limitato dei difficili rapporti tra Padre Pio e la Santa Sede e si è preferito non scrivere sopra fatti sui quali certi convincimenti nostri non collimavano con l’orientamento ufficiale”. Testimone l’incontro, con pochi giornalisti e molti devotissimi, si è svolto in un' atmosfera catacombale nello scantinato dell'Hotel Alicorni, vicino a S. Pietro, già prescelto per certe riunioni di preti del dissenso e di avanguardisti sinodali.

Questa volta, però, il protagonista era un prete dell'assenso e un tradizionalista. Padre Pio, difatti, è sempre stato considerato un prete della vecchia Chiesa (un tradizionalista). E' appunto in nome della vecchia Chiesa che Padre Pio scongiurò di chiudere il Concilio.

"Il nostro confratello", ha spiegato Padre Carmelo da Sessano, "non era tanto contrario al Concilio, quanto preoccupato della piega che aveva preso. Temeva le innovazioni irrompenti, diffidava del fronte olandese che con austriaci ed altri si era già costituito".

Questo articolo è tratto dalla rivista
"Il Settimanale" del 04-01-1975

Caterina63
00lunedì 18 ottobre 2010 00:45

A proposito delle due ermeneutiche del Vaticano II: mito o realtà?

Due ermeneutiche, una sola fregatura:
Il Concilio pastorale Vaticano II.

di Matteo D’Amico



Siamo tutti ormai abituati a sentir parlare delle “ermeneutiche del Vaticano II”, ovvero delle due interpretazioni dei testi conciliari che si sono combattute nel sofferto periodo post-conciliare, nel tentativo di imporre due letture molto diverse, se non opposte, degli stessi documenti.

L’ermeneutica della rottura.

La prima lettura sarebbe quella progressista, incarnata in Italia, in modo particolare, dalla scuola di Bologna, erede della tradizione dossettiana. È questa la prospettiva che potremmo convenzionalmente definire rivoluzionaria, quella cioè che enfatizza i tratti di rottura, anche drastica, del Vaticano II con la Chiesa preconciliare o, tout court, con la Chiesa di Pio XII: su alcuni temi chiave (Primato Petrino; poteri del vescovo; sacerdozio; libertà religiosa; ecumenismo; ruolo del popolo di Dio; matrimonio e morale sessuale; liturgia) ma in definitiva sul grande tema che li sintetizza e li riassume tutti – l’ecclesiologia- il Concilio avrebbe permesso una “nuova pentecoste”, una rifondazione radicale della Chiesa, una sua purificazione dalle tante macchie che ne deturpavano il volto e ne ostacolavano l’apostolato. La nuova Chiesa sarebbe una Chiesa più spirituale, più pneumatica, già tutta implicitamente raccolta nel celebre discorso conclusivo del Concilio di Paolo VI e nella “simpatia” per il mondo moderno e la sua cultura negatrice di Dio ivi manifestata. L’ecclesiologia sottesa all’ermeneutica della rottura ha avuto e ha come suo asse strategico quella che chiamerei la laicizzazione del clero e la clericalizzazione del laicato cattolico, alla luce di una (rovinosa, a nostro modo di vedere) utopia: il pensare che una via per una ripresa del fervore e dell’intensità nella vita di fede (l’uscita dalla sindrome del cosiddetto cinquantismo) consistesse nel confondere prima, e nell’infrangere poi del tutto i confini fra clero, consacrati e laici, fino a sovrapporre i due mondi e a farne infine un’unica indistinta realtà gerarchica, egualitartista e agnosticamente iperdemocratica. In questa prospettiva, andavano e vanno virtuosamente messi in crisi alcuni aspetti teologicamente centrali e simbolicamente decisivi della “vecchia” Chiesa: il celibato dei preti e il potere di Pietro e dei vescovi. È, però, anche evidente che in tale prima ermeneutica la nuova idea di “popolo di Dio” non avrebbe potuto imporsi se non passando anche attraverso la desacralizzazione della Santa Messa, troppo chiaramente evocante, nel Messale di San Pio V, la maestà di Dio e la Regalità di Nostro Signore Gesù Cristo.

Nella prospettiva dossettiana, che stiamo evocando per sommi capi, la nuova Chiesa post-conciliare è pensata come vera nella misura in cui trova la sua norma di significato nei valori emersi con l’Illuminismo, con la Rivoluzione Francese e con le istanze politiche socialiste e democratico-liberali moderne. La salvezza non è più pensata come realtà, in ultima istanza, soprannaturale, come risultato cioè dell’operare della Grazia e del libero cooperare ad essa del libero battezzato; ma, alla luce di un processo – non importa se solo implicito – di immanentizzazione dell’éschaton cristiano, come prassi politico-sociale intramondana di redenzione dell’umanità dalla guerra, dalle ingiustizie, dalla povertà, dalle divisioni, dalla mancanza di diritti o di lavoro. La salvezza diviene così il risultato della prassi dell’uomo, della quale Gesù diviene solo il simbolo perfetto o l’archetipo umano, e la Chiesa si pensa come l’avanguardia cosciente e più illuminata di questo processo. Tale messianesimo secolarizzato rappresenta, però, non si può non notarlo, una forma violenta e insidiosissima di giudaizzazione del Cristianesimo, ed è questo che spiega la subordinazione teologica e teoretica, in particolare a partire dal pontificato di Giovanni Paolo II, della Chiesa alla sinagoga, e la grottesca centralità di Auschwitz nella riflessione teologica cattolica dell’ultimo cinquantennio.

Per l’ermeneutica della rottura, o della Rivoluzione, la crisi della Chiesa nel post-concilio non è fattore preoccupante per due motivi: come ogni visione rivoluzionaria della storia essa si regge sulla convinzione che la distruzione del passato e di ogni suoi segno sia la condizione indispensabile all’istaurarsi del Mondo Nuovo, alla piena incarnazione del Bene nella storia, anzi coincida con l’avvento stesso del mondo utopico che il rivoluzionario sogna. In secondo luogo, le forme che stanno soccombendo o estinguendosi (sacerdozio ministeriale, clausura e monachesimo, liturgia e confessione, autorità dei vescovi, scuole cattoliche, etc…) erano pesantemente imperfette ed impediscono con il loro permanere il pieno sbocciare della nuova chiesa pneumatica, racchiusa esotericamente nei testi del Vaticano II. Se la Chiesa era malata, la sua attuale crisi è in realtà un segno di guarigione e di rinascita, e non è per mala fede che non bisogna lamentarsene o parlarne (si sa che c’è la crisi, ma si sceglie tatticamente di non dirlo), ma perché in realtà si pensa che non stia accadendo nulla di negativo.

Resistere nella difesa delle vecchie forme, ormai patetiche di manifestazione della fede, non è fare katéchon, cioè trattenere il dilagare dell’errore e dell’iniquità, ma impedire l’avvento chiliastico dell’Età dello Spirito Santo. Chi chiede, sulla scia del card. Martini, un Concilio Vaticano III, chiede appunto che si ratifichi essotericamente, cioè pubblicamente, la “nuova chiesa”, annunciata ancora in modo oscuro ed equivoco – dagli iniziati e per gli iniziati – nei testi del Vaticano II.

L’ermeneutica della rottura è fondata, inevitabilmente, su una teologia di ispirazione pienamente modernista, ovvero sottomessa alla filosofia, all’antropologia e alla filosofia della politica moderne e, dunque, non vede alcun problema nel parlare di rottura, di superamento, di rivoluzione, di cambiamento a livello magisteriale, teologico, dogmatico e morale: l’essenza della cultura moderna, infatti, è la negazione stessa di immutabilità ed eternità della Verità, e quindi il rifiuto, in generale, del fatto che i problemi possono essere posti in termini di verità o di falsità, ovvero di non contraddittorietà. Ma se l’essenza della modernità è, dunque, la negazione della Verità in generale, che, se è, è immutabilmente ed eternamente uguale a se stessa; allora la sua essenza è la negazione del Verbo, la negazione di Dio, l’ateismo.

Ora, è evidente sul piano teologico, che l’ermeneutica della rottura è insostenibile, perché se, per assurdo, potesse valere, ciò significherebbe che per quasi duemila anni la Chiesa ha insegnato l’errore – il che è impossibile, stante la sua santità e infallibilità – o che una verità di fede, un dogma, può mutare, il che è assurdo solo sul piano logico. La “rottura” significherebbe di fatto che la Chiesa non è un’istituzione divinamente fondata e che la fede cristiana è quindi falsa. Sostenere formalmente un’ermeneutica della rottura implica, quindi, la perdita della fede; significa de facto già essere fuori dalla Chiesa.

L’ermeneutica della continuità.

Quella che ci viene presentata come ermeneutica della continuità mira, invece, a proporre la tesi che fra la grande Tradizione, il Magistero precedente al Concilio Vaticano II, e le dottrine sostenute durante e dopo detto concilio, non vi sia alcuna frattura, alcuna discontinuità; anzi, il Vaticano II andrebbe tutto letto e interpretato alla luce della Tradizione, come sviluppo omogeneo del dogma, come aggiornamento e riproposizione delle stesse verità in un linguaggio e secondo modalità culturali adatte all’uomo moderno. Secondo questa prospettiva non c’è stato alcun salto, alcuna frattura qualitativa decisiva fra il Magistero conciliare e post-conciliare. In questa prospettiva, infatti, vi è stata solo, da parte di alcuni teologi e uomini di Chiesa, l’applicazione di una cattiva ermeneutica, che ha distorto lo spirito e la lettera del Vaticano II e che ha disorientato i fedeli, facendo appunto credere loro che ci si trovasse di fronte a una chiesa nuova, e non semplicemente rinnovata.

L’ermeneutica della rottura viene qui astrattamente condannata come erronea, senza, però, - la cosa va notata con molta attenzione – che vengano presi provvedimenti disciplinari contro i suoi sostenitori da parte dell’episcopato e delle autorità romane. L’aderire all’ermeneutica della continuità è scelta comprensibile e propria tendenzialmente di persone pie e oggettivamente desiderose di fare il bene della Chiesa, anzi spesso mosse da un sincero zelo religioso e da un’intensa vita di pietà. Ma un prezzo molto alto non può non essere pagato anche da adotta questa strategia interpretativa, quando la distruzione della Chiesa passa soprattutto attraverso gli stessi uomini di Chiesa. Infatti, in questa prospettiva lentamente, giorno dopo giorno, verranno accettate anche le dottrine o le pratiche che più ripugnano a un sentire veramente cattolico: prima le si tollererà a malincuore, poi ci abituerà ad esse, quindi le si accetterà con convinzione, diminuendo l’intensità della battaglia contro le novità che distruggono la fede, cedendo interiormente sul piano delle forme culturali e delle modalità di pensiero filosofico sottese alla nuova teologia eterodossa; infine, convincendosi che davvero non vi è nulla di negativo nella dottrina modernista professata ormai universalmente da interi episcopati, da moltitudini di sacerdoti. Di fronte a vere eresie o alle posizioni più estreme non ci si scandalizzerà, rifiutando di vedere in queste posizioni il risultato del Concilio, il suo esito inevitabile, ma rifugiandosi nel mito che ne hanno distorto il significato o che ne hanno frainteso la mens.

Sono facili gli ambiti dottrinari nei quali lentamente il seguace di questa ermeneutica si allinea con convinzione alla nuova dottrina: ecumenismo, libertà religiosa e concezione liberale del rapporto Chiesa- Stato, morale matrimoniale. La carità, in tal modo, inevitabilmente si raffredda.

Se nel caso dell’ermeneutica della rottura il rischio è la perdita della fede, nel caso dell’ermeneutica della continuità il pericolo è rinunciare al principio di non contraddizione, ad ogni rigore logico, a pensare in modo corretto, perche devo, orwellianamente convincermi che siano la stessa cosa, cose poste in rapporto formale di contraddittorietà, come l’ecumenismo postconciliare e la condanna dell’ecumenismo da parte dei papi precedenti; la visione tradizionale del rapporto con l’Ebraismo e la nuova concezione eterodossa del dialogo ebraico-cristiano; la condanna delle libertà religiosa e del Liberalismo del Sillabo e la nuova concezione cattolico-liberale della politica. Si è in tal modo costretti ad un degrado del pensiero che non può, nel lungo periodo, non incidere sulla vita di fede.

Inoltre, in tale prospettiva si rinuncia, o meglio, si evita di mettere l’accento sulla vita della Chiesa; la si minimizza, non se ne parla, per l’ovvio motivo che si escluso in linea di principio, che la crisi possa essere originata dal Vaticano II. Sulle poche riviste cattoliche più “di destra”, segretamente avverse alle novità conciliari, ma legate all’ermeneutica della continuità, si troveranno articoli splendidi (e pur lodevoli e necessari) contro il comunismo o contro l’aborto, ma nessun costo si oserà parlare dei limiti del Concilio, della eterodossia di tante prese di posizione da parte della gerarchia conciliare, delle posizioni a volte palesemente eretiche o sacerdoti o teologi cattolici; mai si troverà la condanna di una presa di posizione o di una dichiarazione gravemente erronea da parte di un vescovo e di un cardinale: la crisi verrà proiettata psicoticamente sul mondo, sulla secolarizzazione, sul laicismo, sulla cultura di sinistra, dimenticando che il trionfo di queste posizioni anticristiane in paesi cattolici da quindici o sedici secoli è l’effetto, e non la causa della crisi: dimenticando che nel meccanismo ad orologeria messo appunto nelle Logge e nei circoli più esclusivi del potere, le leggi a favore del divorzio, dell’aborto, della pornografia, dell’omosessualismo e contro ogni principio d’ordine e di autorità, sono state fatte passate in paesi di antica tradizione cristiana nel decennio successivo al Vaticano II, perché per i nemici della Chiesa è stato fin troppo chiaro che con il Concilio, la Chiesa – o meglio gli uomini di chiesa che la rappresentavano in quel momento – rinunciava a combattere con il mondo e contro la sua perversità.

In questa prospettiva, per un smentire l’assurdo mito della continuità fra Tradizione e Concilio, di tutti i documenti del Concilio e successivi, si fanno esegesi mirate a valorizzare in ogni modo la coerenza fra l’insegnamento di sempre e le nuove dottrine che vengono professate, estrapolando elementi comuni, e non mettendo mai l’accento sulle sostanziali differenze, sia nella lettera, che nella spirito, che dividono e differenziano in modo irriducibile Tradizione e Vaticano II.

La crisi imbarazza, infatti è lei la vera prova che il Concilio non solo non è stato fecondo, ma ha generato un crollo senza precedenti nella vita della fede, nella pratica dei sacramenti, nelle vocazioni, negli Ordini Religiosi, nella prassi liturgica. Ammettere o sottolineare la crisi implicherebbe interrogarsi sulla presunta continuità tra il Vaticano II e il Magistero precedente. In tal modo ci si pone in un vicolo cieco: da un lato, appunto, si minimizza o si nega la crisi; dall’altro, quando la si ammette, si rinuncia a spiegarla nell’unico modo sensato, ovvero riconducendola al Concilio Vaticano II e alla sua sottile, ma pervasiva, eterodossia. Insomma, o si rinuncia alla fede, o si rinuncia alla ragione.

Perché due ermeneutiche?

Siamo pronti ad accedere ad una prima sintesi, e lo facciamo interrogandoci su quali siano le condizioni di disponibilità del permanere all’interno della Chiesa, per ben quarant’anni, di due ermeneutiche fra loro radicalmente diverse. Infatti, è cosa normale che dopo un Concilio si dia una fase attuativa in cui apposite commissioni sono investite ufficialmente del compito di risolvere i punti di più difficile interpretazione e di dare risposta ai dubbi e alle domande che una parte dell’episcopato o del clero può manifestare; e ben presto, del resto, l’esercizio del magistero, in tutti i suoi possibili gradi di autorevolezza, concorre ad imprimere una chiara – ed univoca – interpretazione ai testi conciliari: Roma locuta est, causa finita est. Il Magistero papale, come norma prossima della Rivelazione (Sacra Scrittura e Tradizione), deve svolgere proprio, e innanzitutto, questo compito: impedire che si insinuino elementi eterodossi, o erronei, o eretici nell’interpretazione teologica dei testi della Tradizione, inclusa di quella eventualmente rappresentata da un recente o dall’ultimo Concilio. Ma la stabilizzazione teologica delle interpretazioni di un Concilio non può durare quarant’anni ed essere ancora in pieno svolgimento (sembra, infatti, di trovarsi di fronte ad un’ermeneutica infinita e a un conflitto irrisolvibile tra interpretazioni opposte nel caso dell’ultimo post-concilio). Ciò che sta accadendo è chiaramente uno dei segni – e uno dei più importanti – dell’attuale crisi della Chiesa; infatti, il Magistero da norma prossima della Rivelazione, sta diventando “norma prossima della norma prossima”: sta ormai esercitandosi sterilmente su se stesso; non sta più interpretando la Rivelazione, ma la propria stessa interpretazione, sullo sfondo di un dubbio scettico circa la propria competenza a riguardo. Ma un magistero così inteso non è più Magistero: ripiegandosi trascendentalmente, dubitativamente, in modo interlocutorio, dialogico e circolare su se stesso, e non su tutta la grande Tradizione, si trasforma gradualmente in un gesto vago ed incerto, affascinante, forse, sul piano culturale, ma incapace di guidare ed orientare i fedeli. Inoltre, va osservato che, essendoci due visioni opposte del Vaticano II, che si escludono reciprocamente, almeno una delle due dovrebbero apparire all’autorità pontificia non solo diverso dall’unica ortodossa, ma, appunto, del tutto erronea e pericolosa per la fede. Ora, ad un errore non si può opporre solo l’interpretazione corretta, perché ciò non è sufficiente a sradicare l’errore stesso; se chi sbaglia rifiuta di recedere dal suo errore, dovrebbe essere necessario che venga colpito dai provvedimenti e dalle sanzioni previsti dal Codice di Diritto Canonico.

Dunque, l’innaturalità, l’anormalità per la Chiesa di “due ermeneutiche” allegramente coesistenti da quarant’anni ci costringe a fare un altro passo avanti.

Oltre il mito delle “due ermeneutiche”.

Abbiamo finora considerato in modo astratto il tema dell’ermeneutica del Concilio Vaticano II, accettando di porre il problema in termini di conflitto delle interpretazioni, di scontro fra opposte scuole di pensiero. Alcune precisazioni sono, però, doverose: in primo luogo, se da un punto di vista “accademico” è vero che ci sono due ermeneutiche, è soprattutto vero che l’ermeneutica vincente finora è risultata essere quella della rottura; infatti, a livello del sentire ecclesiale medio e vago, delle opinioni largamente maggioritarie tra il popolo dei fedeli, delle convinzioni sempre più radicate nel corpo sacerdotale, siamo ormai di fronte – è doloroso doverlo riconoscere – a una nuova chiesa, ove si è diffuso un insieme di dottrine sempre meno riconoscibili come cattoliche. L’eterodossia in ogni campo e a tutti i livelli è ormai così diffusa, da essere vissuta da tutti come stato normale, e non gravemente patologico della vita della Chiesa. Su materie decisive per la loro importanza dottrinale, come ad esempio, la teologia del matrimonio e la morale sessuale, la larga maggioranza dei fedeli (e parte del clero) dissente dall’insegnamento della Chiesa, e agisce secondo personali e eterodosse visioni, incurante di ogni autorità, convinta che sia appunto la Chiesa a “essere indietro” e a dover fatalmente modificare la propria dottrina. Ciò equivale a dire che il concetto di sacerdozio universale luterano e l’anarchismo settario protestante è ormai diventato un habitus proprio della maggioranza dei cattolici. Mentre, dunque, è sparuto e ridottissimo il numero di coloro che si gingillano accademicamente con l’ermeneutica della continuità, è di fatto materialmente trionfante, nel cuore del popolo cattolico, l’ermeneutica della rottura. Non è, dunque, la “Scuola di Bologna” che è causa della deriva dottrinale: essa si limita a cavalcarne ideologicamente la tigre e a seguire l’onda neomodernista che ha trovato, in realtà, la maggioranza degli uomini di Chiesa, vertici inclusi. Nella crisi senza precedenti che travaglia la Chiesa, non è discettando di ermeneutiche e del loro valore che si uscirà dalla crisi stessa, ma denunciando le interpretazioni eretiche o errate, escludendo gli autori di esse da ogni ruolo ecclesiale o attività d’insegnamento, abrogando i testi all’origine di tanta confusione, come la Dignitatis Humanae o la Gaudium et spes o, soprattutto, la Nostra Aetate.

L’infallibilità in materia di fede o di morale non è una prerogativa dei teologi di Tubinga, degli editorialisti de La Repubblica o di Avvenire o di qualche “storico” della Scuola di Bologna, ma del Sommo Pontefice Romano, che è Vicario di Nostro Signore Gesù Cristo sulla Terra e che, unico, ha il potere, l’autorità, i mezzi, il dovere – e l’assistenza dello Spirito Santo – per distruggere infallibilmente l’eresia e l’errore e illuminare, quale faro di luce incorrotta, il popolo di Dio, il Nuovo Israele, la Santa Chiesa Cattolica. Il fatto che, dopo quattro decenni, si stia ancora discutendo di quale sia l’ermeneutica giusta del Vaticano II è la prova che in questi quarant’anni si è avuta solo l’apparenza di un’attività magisteriale, ma non veri atti di Magistero; infatti, se è vero che vi sono due ermeneutiche in lotta fra loro, e se ammettiamo – come siamo costretti ad ammettere – che almeno una di esse è del tutto errata, non è possibile avere un atto di Magistero nemmeno autentico se lo stesso non è accompagnato, o non co-implica come a sé immanente, la condanna dell’errore che sarebbe necessario confutare. Ma gli errori – a partire, simbolicamente, dalla scandalosa mancata denuncia della tirannia comunista durante il Vaticano II – dal Concilio in poi sono stati lasciati sussistere accanto all’insegnamento di Roma: ciò è sufficiente a falsificare tale insegnamento e a rilevarne il volto interlocutorio e non autentico, incerto e privo di una vera volontà d’imporsi coercitivamente, con autorità indiscussa e universale, a tutta la Chiesa militante e ad ogni uomo.

Dunque, Pietro, che dal Concilio in poi è stato e continua ad essere Pietro, pur non agendo in quanto Pietro, da ora in poi – questo è il nostro augurio e la nostra speranza più viva – non si limiti ad essere, ma agisca da Pietro: a tal fine, in quest’ora d’incertezza e di speranza, tutti abbiamo il dovere di pregare con rinnovato fervore.

Memento:

“Supponiamo, caro amico, che il Comunismo [uno degli “errori della Russia” menzionati dal Messaggio di Fatima] fosse solo uno degli strumenti più evidenti di sovversione usati contro la Chiesa e le tradizioni della Rivelazione Divina … Sono preoccupato per il messaggio che ha dato la Beata Vergine a Lucia di Fatima. Questo insistere da parte di Maria, sui pericoli che minacciano la Chiesa è un avvertimento divino contro il suicidio di alterare la Fede, nella Sua liturgia, la Sua teologia e la Sua anima. … Sento tutto intorno a me questi innovatori che desiderano smantellare la Sacra Cappella, distruggere la fiamma universale della Chiesa, rigettare i suoi ornamenti e farla sentire in colpa per il suo passato storico. … Verrà un giorno in cui il mondo civilizzato negherà il proprio Dio, quando la Chiesa dubiterà come dubitò Pietro. Sarà allora tentata in credere che l'uomo è diventato Dio ... Nelle nostre chiese, i Cristiani cercheranno invano la lampada rossa dove Dio li aspetta. Come Maria Maddalena, in lacrime dinanzi alla tomba vuota, si chiederanno: “Dove Lo hanno portato?”

Cardinale Eugenio Pacelli
Questa è la versione 'lo-fi' del Forum Per visualizzare la versione completa clicca qui
Tutti gli orari sono GMT+01:00. Adesso sono le 00:52.
Copyright © 2000-2024 FFZ srl - www.freeforumzone.com