Cari Sacerdoti: il Confessionale è per voi un dovere ed un servizio non un opcional

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Caterina63
00sabato 20 giugno 2009 12:11
Il tema della Confessione e dei Confessionali fu untema già molto caro a Giovanni Paolo II ed oggi, Benedetto XVI, lo riporta alla ribalda con l'Anno Sacerdotale, additando quale esempio san Giovanni Maria Vianney, il Curato d'Ars....

Su questo Sacramento cliccate anche qui:
Il Sacramento della Confessione-Riconciliazione

Al termine dell'intervista, molto interessante, posto il mio commento per la vostra riflessione...



È il dialogo diretto con Dio il pericolo che contagia i fedeli

Repubblica — 19 giugno 2009 pagina 43 sezione: CRONACA

CITTÀ DEL VATICANO

ORAZIO LA ROCCA

«Se la confessione è in crisi la colpa è anche di quei sacerdoti che, troppe volte, non si mostrano eccessivamente disponibili all´ascolto nel confessionale perché presi da altre questioni».
È un mea culpa autorevolissimo quello che arriva dal vescovo Gianfranco Girotti, prelato reggente della Penitenzieria Apostolica, il dicastero vaticano preposto alla supervisione del sacramento della confessione nella Chiesa.
Apparentemente, il vescovo non sembra sorpreso dalla lettera scritta dal Papa per l´Anno sacerdotale, nella quale Ratzinger invoca - tra l´altro - un mea culpa ancora più severo per la pedofilia tra i preti, «crimine abominevole mai abbastanza deplorato».

Monsignor Girotti, ma quali sono le vere cause che stanno alla base della grande fuga dai confessionali?

«Credo che anche questo sacramento paghi lo scotto dei mutamenti in corso nella società e all'affermarsi di una nuova forma di mentalità che ha inevitabilmente portato all'appannamento della pratica della confessione».

Eppure, durante le messe, le comunioni vengono ugualmente distribuite in abbondanza. Come lo spiega?

«Penso che tra la gente si stia insinuando un nuovo modo di concepire il peccato che, eliminando la mediazione del sacerdote, porta a momenti di autoassoluzione con presunte forme di dialoghi diretti con Dio, "scorciatoie" mistiche che non fanno bene a nessuno. Circa il 34 per cento dei fedeli ragiona così e rifiuta la mediazione sacerdotale nella confessione. È un fenomeno nuovo che stiamo monitorando da tempo, anche se parlare di statistiche esatte è ancora prematuro».

È cambiato il modo di concepire il peccato?

«Dirò di più: si è indebolito il senso del peccato e della colpa. Al confessore non vengono denunciate le mancanze, i casi specifici, ma solo il senso di afflizione dell'anima, lo smarrimento generico, senza entrare nel merito delle colpe commesse. Si chiede solo aiuto».

Di chi è la maggiore responsabilità di questa situazione?

«Si deve prima di tutto al cambiamento di mentalità, ma anche alla poca disponibilità che gran parte dei sacerdoti mostrano verso la confessione. Per cui fa benissimo Benedetto XVI a riportare al centro dell'interesse dell´Anno sacerdotale anche questo sacramento.
 
Giovanni Paolo II spesso diceva che il sacerdote quando in confessionale assolve commette l'atto più grande dopo la celebrazione dell'Eucarestia. È bene non dimenticarlo. Il Santo Padre, quindi, ha fatto benissimo a sollevare un tema così delicato come è la scarsa pratica del sacramento della Riconciliazione, cioè la confessione. E'  un problema che anche io ho sollevato in più occasioni».

Quali sono i peccati che vengono maggiormente confessati?

«Non è mai lecito rivelare quel che si dice in confessionale. In linea di massima, però, si può dire che accanto ai classici peccati mortali - non uccidere, non rubare, non commettere atti impuri... - ci sono altri nuovi peccati legati alla droga, alla bioetica, all´Aids, all´ecologia, alla cattiva amministrazione. Ma, al di là delle colpe vecchie e nuove, l´importante è tornare ad avere fiducia nella confessione».

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La mia breve riflessione:

È cambiato il modo di concepire il peccato?

«Dirò di più: si è indebolito il senso del peccato e della colpa. Al confessore non vengono denunciate le mancanze, i casi specifici, ma solo il senso di afflizione dell´anima, lo smarrimento generico, senza entrare nel merito delle colpe commesse. Si chiede solo aiuto».

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Concordo con le risposte dell'intervista....solo mi dispiace constatare che quando si parla di confessori e di confessioni, non si legge mai come sia cambiato ANCHE IL MODO DI CONCEPIRE IL PECCATO DA PARTE DEL SACERDOTE....



cosa vuol dire questo?
che molti sacerdoti hanno una idea ERRATA del peccato...non credono nell'inferno, sottovalutano il Purgatorio (infatti NON si prega quasi più, pubblicamente, per le Anime del Purgatorio), deridono chi parla di Satana... giustificano i conviventi permettendo loro di di accostarsi all'Eucarestia "purchè si vogliano bene"...
a questo punto, se posso AUTOGIUSTIFICARMI davanti a Dio, o se vado a confessarmi vengo assolta seppur sono divorziatao convivente, o se ho frodato l'operaio perchè essendo in tempo di crisi ho dato lavoro in nero, ma pagandolo...e quindi è la legge che è sbagliata non la mia intenzione di dare lavoro in nero...
a questo punto a che mi serve andarmi a confessare?
ecco che diserto il confessionale, tanti sacerdoti in passato erano loro stessi ad invitare i fedeli a non insistere CONFESSANDO PECCATI STUPIDI, sminuendo il così detto PECCATO VENIALE....

diceva a ragione san Padre Pio:
"ogni peccato veniale non assolto CON LA DOVUTA PENITENZA, diventerà prima o poi un peccato mortale con la dannazione dell'impenitente e del sacerdote che l'ha assecondato quando doveva distruggerlo sul nascere...."


Coraggio Sacerdoti, riscoprite il valore del Confessionale con la sua corretta dottrina, per voi e per NOI!




Caterina63
00sabato 20 giugno 2009 23:51
L'amico Daniele dal forum Oriens dove ho postato lo stesso argomento, ha contribuito con quanto segue che condivido pienamente:

Nelle parrocchie dove si parla spesso del peccato e si raccomanda la confessione frequente, la gente si accosta al sacramento.

Nelle parrocchie dove non si parla mai del peccato (io ho sentito deformare perfino le preghiere per evitare la parola "peccato": "Liberaci, o Signore, da tutti i mali... saremo sempre liberi dalle nostre debolezze umane e sicuri da ogni turbamento"...) e la confessione viene fatta passare come una specie di seduta psicologica, utile, sì, ma non necessaria alla salvezza, i confessionali sono vuoti.

Quel che ostacola, poi, è anche la mancanza di disponibilità del prete, sia fisica che morale. Nella chiesa dei Barnabiti, mentre un padre celebra Messa, gli altri confessano. Non vi dico quante volte mi è venuta l'idea di confessarmi solo perché ce ne era la possibilità pratica. E non è un caso che moltissime persone si accostino al sacramento proprio durante la Messa. Andare in chiesa apposta costituisce per molti un deterrente. Tanto più che il sacerdote è spesso introvabile o confessa ad orari assurdi o solo previo appuntamento. E allora si rimanda, si rimanda, si rimanda, e la confessione si riduce a una o due volte l'anno. Non dico, poi, di quanto scoraggia la pratica moderna di confessare fuori dal confessionale, seduti su una panca, a tu per tu. Manca tutto: il raccoglimento, la riservatezza, l'impressione esteriore che si tratti di un sacramento e non di una chiacchierata.

Altro punto dolente: l'impreparazione assoluta dei sacerdoti. È nella confessione che emergono più vistosamente le carenze dell'istruzione seminariale, dogmatica, certo, ma anche spirituale. Molti preti di oggi ignorano del tutto la (vera) teologia ascetica e mistica, o la confondono con la psicologia sperimentale. Inoltre, essendo la loro vita spirituale molto carente, non hanno neppure l'esperienza necessaria per consigliare gli altri. Di solito, l'ammonizione dopo la confessione, importantissima per il penitente, è ridotta a un discorsetto di circostanza sulla necessità di voler bene a Dio. A me una volta fu detto: "un'accusa così dettagliata è indice di per sé di una coscienza viva", senza aggiungere altro. Peccato che io non fossi andato lì per sentirmi fare i complimenti, ma per ricevere buoni consigli, oltre all'assoluzione (la cui efficacia, per fortuna, non dipende dalla preparazione del prete). La carenza di buoni confessori è tale, che per trovare un direttore spirituale mi sono occorsi diversi anni e solo allora ho sperimentato l'utilità della confessione frequente.

I progressi spirituali che ho fatto da allora sono immensi. E non c'è da stupirsene, visto che la confessione frequente, unita ad una buona direzione spirituale, è il presupposto imprescindibile per una vita spirituale che non voglia essere statica e pericolosamente esposta ad allontanarsi dallo stato d grazia.

Non è un caso che il santo curato d'Ars e il santo frate di Pietrelcina passassero giornate intere in confessionale. C'è da stupirsi se i loro fedeli avessero in tanta stima la confessione frequente? Se i preti vogliono i confessionali pieni, siano loro ad entrarci per primi. È da quando la confessione avviene previo appuntamento e intorno al tavolo che non interessa più a nessuno.




Daniele ha condensato bene il nocciolo del problema:

Nelle parrocchie dove si parla spesso del peccato e si raccomanda la confessione frequente, la gente si accosta al sacramento.

Nelle parrocchie dove non si parla mai del peccato (io ho sentito deformare perfino le preghiere per evitare la parola "peccato": "Liberaci, o Signore, da tutti i mali... saremo sempre liberi dalle nostre debolezze umane e sicuri da ogni turbamento"...) e la confessione viene fatta passare come una specie di seduta psicologica, utile, sì, ma non necessaria alla salvezza, i confessionali sono vuoti.


ho avuto piacere constatare che nel sito ufficiale di:
http://www.vocazione.org/content-aq52.htm

si insegna ancora L'ATTO DI DOLORE PERFETTO.... Occhiolino

Il mezzo ordinario per ricevere il per­dono dei peccati è il Sacramento della Confessione.

Il mezzo straordinario è l'atto di do­lore perfetto, con il proposito di confes­sarsi al più presto.

Che cosa è il dolore?
E' il dispiacere delle colpe commesse, che fa proporre di non peccare più.Il dolore è di due specie: imperfetto e perfetto.E' imperfetto se si è pentiti dei pec­cati, più per il timore dei castighi divini che per l'offesa fatta a Dio.E' perfetto quando si è pentiti del ma­le fatto più per il dispiacere dato a Dio, il più buono dei padri, che per il giusto castigo meritato.Quando si emette un atto di dolore perfetto, con la volontà di confessarsi al più presto, restano perdonati tutti i pec­cati, veniali e mortali.

La Santa Chiesa prescrive che, pur ri­mettendosi un'anima in grazia di Dio col dolore perfetto, non ci si accosti ai Sa­cramenti dei vivi, se prima non ci si è confessati. I Sacramenti dei vivi sono: Cresima, Eucaristia, Olio degli Infermi, Ordine Sacro e Matrimonio.

Come eccitarsi all'atto di dolore per­fetto? Riflettendo sulla bontà di Dio, che ci ha creati per renderci eternamente fe­lici in Paradiso, e riflettendo sulla bontà di Gesù, che per nostro amore si è fatto uomo, ha sparso il suo Sangue per noi ed è rimasto vivo e vero nei Tabernacoli per essere nostro sostegno nel pellegri­naggio della vita.Più che tutto spinge al dolore perfetto la vista del Crocifisso, del Corpo di Gesù ricoperto di piaghe. 

 

UTILIZZARLO

 Se è cosi prezioso e potente l'atto di dolore perfetto, giova sapere quando uti­lizzarlo: 1) Se per debolezza spirituale si cades­se in grave peccato, si faccia di tutto per rimettersi al più presto in grazia di Dio, Non si resti in peccato, rimandando la Confessione Sacramentale a tempo inde­terminato, ma si emetta subito l'atto di dolore perfetto. E' dovere di tutti stare sempre in grazia di Dio.

2) E' conveniente rinnovare quest'atto ogni sera, quando si va a letto, perchè nella notte potrebbe avvenire la morte. Infatti, quanti al mattino sono trovati morti!

3) E' necessario compierlo in pericolo di vita e specialmente nelle ore di agonia.
 
4) Si utilizzi per i moribondi, per i col­piti d'infarto, di trombosi, ecc... Si è ri­scontrato che i moribondi d'ordinario conservano l'udito in discrete condizioni, anche quando pare che siano morti per l'immobilità delle membra.

Quando manca il Sacerdote per assi­stere l'ammalato o mentre si attende larrivo del Sacerdote, si suggerisca al moribondo parlandogli all'orecchio a voce un poco elevata. Se il moribondo sente e se­gue col pensiero quanto gli viene suggerito, in un attimo può rimettersi in grazia di Dio e salvare l'anima sua. Mentre si è in argomento, si dà uno schiarimento.

Avvenuta la cosi detta morte, non sem­pre questa è reale, perchè può essere ap­parente; difatti la Legge proibisce di sep­pellire i cadaveri prima delle ventiquat­tro ore.Quando di notte tempo o in pieno gior­no muore qualcuno senza i Conforti Re­ligiosi, si chiami al più presto il Sacer­dote, il quale, entro un paio di ore può dare l'Assoluzione Sacramentale sotto condizione.

Giaculatoria: Gesù Nazareno, Redentore del mondo, pietà degli infedeli! Convertili!





Caterina63
00domenica 23 agosto 2009 22:52

Mons. Juan Esquerda Bifet







COME PAOLO


IL MINISTERO DELLA RICONCILIAZIONE



« Vi ha riconciliati per mezzo della sua morte, del suo corpo di carne per presen­tarvi santi » (Col. 1, 22).

« Tutto questo però viene da Dio, che ci ha riconciliati con sé, mediante Cristo e ha affidato a noi il ministero della riconci­liazione ... Colui che non aveva conosciu­to peccato, Dio lo trattò da peccato in nostro favore, perché noi potessimo diven­tare per mezzo di lui giustizia di Dio » (2 Cor. 5, 18-21).

[SM=g1740717] [SM=g1740720] [SM=g1740717]

Dio Amore si è riconciliato con l’umanità per mezzo di Cristo. Noi siamo i ministri della riconciliazione: di unione con Dio e con i fratelli. Non possiamo liberare l’uomo dalle sue ingiustizie se lo confrontiamo con altri uomini di diversa classe sociale o di altri livelli. Il ministro della riconciliazione, poiché è per tutti, non può allearsi con nessuna «potestà», né quella costituita, né quella che è di moda, né quella che sembra godere il favore dell'ideologia corrente.

Per essere ministro del perdono, bisogna imparare a vivere come Colui che istituì il perdono morendo sulla croce, crocifisso per tutti. Il perdono di Dio Amore è stato realizzato per qualche cosa di molto serio: Cristo si fece responsabile di noi, quasi come il «Peccato» con la maiuscola. Non c’è una responsabilità maggiore di quella che si addossò Cristo; e per questo fu crocifisso ...


La santità cristiana è una continua esigenza. Il mi­nistero non consiste nel buttare il seme all'aria. Dopo aver tutto «organizzato», dopo aver controllato che «tutti» vadano a messa, rimane ancora da fare la cosa più importante: che ogni cristiano si crocifigga con Cri­sto. Conoscere ogni persona, indirizzarla a rendersi di­sponibile all'amore, è compito apostolico che viene ab­bastanza evitato. [SM=g1740722]

A Cristo costò la sua passione e la sua morte perché gli uomini potessero presentarsi al Padre con il suo volto o con la sua fisionomia. Riconciliare gli uomini con Dio e con i fratelli non significa soltanto celebrare un rito, per quanto santo; ma, attraverso que­sto rito sacramentale, aiutare a condurre una vita di continua riconciliazione o di ingresso nella comunione. Siamo ministri del perdono; e questo impegna tutta la nostra vita ed accaparra tutta la nostra attenzione. Il comandamento dell'amore è un obiettivo al quale si arri­va inciampando e rialzandosi con l’aiuto di Cristo reden­tore ... [SM=g1740734]



[SM=g1740738]
Caterina63
00martedì 25 agosto 2009 19:59
Il cardinale Bertone per la settimana nazionale

La liturgia
esperienza di misericordia


La liturgia può infondere "nuovo coraggio e nuova perseveranza" agli "operai della vigna del Signore". Per questo va favorita "una ripresa e un rinnovamento nella celebrazione della misericordia e nell'esperienza significativa del perdono di Dio".
È  quanto  raccomanda  Benedetto XVI ai partecipanti alla sessantesima edizione della Settimana liturgica nazionale in Italia, che si è aperta a Barletta ieri, lunedì 24 agosto, per concludersi venerdì 28.

A dare voce all'auspicio del Pontefice è stato il cardinale Tarcisio Bertone, segretario di Stato, nel messaggio inviato per l'occasione a monsignor Felice di Molfetta, vescovo di Cerignola - Ascoli Satriano e presidente del Centro azione liturgica (Cal) che ha promosso l'appuntamento.

Il Papa, attraverso le parole del cardinale Bertone, ha fatto giungere il suo "cordiale saluto" e l'augurio di un "sereno e proficuo svolgimento dell'incontro". In particolare - si legge nel messaggio del cardinale - il Pontefice ha espresso al Cal "apprezzamento per l'impegno posto in questi decenni, in costante adesione alla dottrina e alle indicazioni della Costituzione conciliare Sacrosanctum concilium, e in sapiente obbedienza all'episcopato e alla Santa Sede, per proporre il mistero della fede, che si dà all'uomo nella Chiesa in quanto celebrato". E ha invitato, allo stesso tempo, tutti coloro che sono impegnati nella pastorale liturgica "a proseguire questo cammino, con la medesima fedeltà e il medesimo spirito".

Nel messaggio il cardinale Bertone ricorda che "in questi sessanta anni le Settimane liturgiche hanno offerto a vescovi, sacerdoti, persone consacrate, studiosi, responsabili diocesani, fedeli amanti della liturgia preziose occasioni di approfondimento, sempre in una prospettiva di servizio ecclesiale, quello cioè di far crescere la comunità nello spirito e nella prassi liturgica".

In questo modo - scrive il porporato - "il mistero è stato accostato nel suo centro (la Pasqua, l'Eucaristia), nelle sue articolazioni (Sacramenti, Parola di Dio, liturgia delle ore, anno liturgico) e nel suo rapporto con la vita, la cultura, l'arte, la musica". Proprio "grazie alla successione ininterrotta delle Settimane e al valido lavoro di quanti le hanno programmate e attuate - evidenzia Bertone - la Chiesa in Italia, e soprattutto le diocesi in cui sono state celebrate, ne hanno tratto grande beneficio, vedendo crescere lo zelo per l'incremento della liturgia".

Per il segretario di Stato il tema della Settimana di quest'anno - "Celebrare la Misericordia. "Lasciatevi riconciliare con Dio" (2 Cor 5, 20)" - aiuta in modo particolare a puntare l'attenzione "sul Sacramento della Penitenza o Riconciliazione, con scelta quanto mai opportuna sia per l'importanza sia per l'attualità, a trentacinque anni dall'entrata in vigore per la Chiesa italiana del nuovo Rito della penitenza, e in felice coincidenza con l'Anno sacerdotale".

La Settimana - mette in rilievo il messaggio del porporato - intende dunque "cogliere l'intero processo penitenziale della vita cristiana, in cui il Sacramento si inserisce quale momento forte, sempre in un contesto ecclesiale". E sarà interessante perciò verificare - aggiunge - "se, al di là del cambiamento rituale, si sia formata un'adeguata mentalità teologica, spirituale e pastorale".

Il cardinale Bertone sottolinea inoltre nel messaggio la necessità di "favorire nei fedeli l'esperienza dell'accompagnamento spirituale" accanto "a un'adeguata formazione della coscienza morale e a un modo maturo di vivere e celebrare il Sacramento".

Proprio per questo - conclude Bertone citando le parole di Benedetto XVI - oggi "c'è bisogno di maestri di spirito saggi e santi" e i preti sono chiamati a "mantenere sempre viva in se stessi la consapevolezza di dover essere degni ministri della misericordia divina e responsabili educatori delle coscienze", ispirandosi all'esempio sacerdotale del santo curato d'Ars, Giovanni Maria Vianney, il cui centocinquantesimo anniversario della morte ha offerto al Papa l'occasione per indire lo speciale Anno sacerdotale che la Chiesa sta vivendo in questi mesi.



(©L'Osservatore Romano - 26 agosto 2009)



LETTERA DEL CARD. TARCISIO BERTONE


Eccellenza Reverendissima,

in occasione della 60.ma Settimana Liturgica Nazionale, che si terrà a Barletta dal 24 al 28 agosto prossimo, sono lieto di far giungere a Lei, ai collaboratori del Centro Azione Liturgica, ai relatori e a tutti i partecipanti il cordiale saluto del Sommo Pontefice, il Quale augura un sereno e proficuo svolgimento dell’incontro e assicura per tutti uno speciale ricordo nella preghiera.

Egli esprime apprezzamento per l’impegno posto in questi decenni, in costante adesione alla dottrina e alle indicazioni della Costituzione conciliare Sacrosanctum Concilium, e in sapiente obbedienza all’Episcopato e alla Santa Sede, per proporre il Mistero della fede, che si dà all’uomo nella Chiesa in quanto celebrato (cfr SC, 6-7).

Invita al tempo stesso il CAL a proseguire questo cammino, con la medesima fedeltà e il medesimo spirito, aiutando ad infondere negli operai della vigna del Signore nuovo coraggio e nuova perseveranza.

In questi 60 anni le Settimane Liturgiche hanno offerto a Vescovi, sacerdoti, persone consacrate, studiosi, responsabili diocesani, fedeli amanti della liturgia preziose occasioni di approfondimento, sempre in una prospettiva di servizio ecclesiale, quello cioè di far crescere la comunità nello spirito e nella prassi liturgica. Il Mistero è stato così accostato nel suo centro (la Pasqua, l’Eucaristia), nelle sue articolazioni (Sacramenti, Parola di Dio, Liturgia delle Ore, Anno Liturgico) e nel suo rapporto con la vita, la cultura, l’arte, la musica. Grazie alla successione ininterrotta delle Settimane e al valido lavoro di quanti le hanno programmate e attuate, la Chiesa in Italia, e soprattutto le Diocesi in cui sono state celebrate, ne hanno tratto grande beneficio, vedendo crescere lo zelo per "l’incremento della liturgia: essa, infatti, è la prima e per di più necessaria sorgente alla quale i fedeli possano attingere uno spirito veramente cristiano" (SC, 14).

Il tema della 60.ma Settimana: Celebrare la Misericordia. "Lasciatevi riconciliare con Dio" (2 Cor 5,20), si inserisce in questo solco puntando l’attenzione sul Sacramento della Penitenza o Riconciliazione, con scelta quanto mai opportuna sia per l’importanza sia per l’attualità, a 35 anni dall’entrata in vigore per la Chiesa italiana del nuovo Rito della Penitenza, ed in felice coincidenza con l’Anno Sacerdotale. Intendimento del vostro incontro è cogliere l’intero processo penitenziale della vita cristiana, in cui il Sacramento si inserisce quale momento forte, sempre in un contesto ecclesiale. E sarà interessante verificare se, al di là del cambiamento rituale, si sia formata un’adeguata mentalità teologica, spirituale e pastorale.

A questo riguardo, il Sommo Pontefice, in un messaggio inviato ai partecipanti al recente XX Corso per il foro interno promosso dalla Penitenzieria Apostolica, affermava: "In questo nostro tempo, costituisce una delle priorità pastorali quella di formare rettamente la coscienza dei credenti, perché… nella misura in cui si perde il senso del peccato, aumentano purtroppo i sensi di colpa, che si vorrebbero eliminare con insufficienti rimedi palliativi. Alla formazione delle coscienze contribuiscono molteplici e preziosi strumenti spirituali e pastorali da valorizzare sempre più" (L’Osservatore Romano, 12.4.2009).

Ed aggiungeva: "Come tutti i sacramenti, anche quello della Penitenza richiede una catechesi previa e una catechesi mistagogica per approfondire il sacramento ‘per ritus et preces’ … alla catechesi va unito un sapiente utilizzo della predicazione che nella storia della Chiesa ha conosciuto forme diverse secondo la mentalità e le necessità pastorali dei fedeli" (ibid.).

Inoltre, accanto a un’adeguata formazione della coscienza morale e a un modo maturo di vivere e celebrare il Sacramento, è necessario favorire nei fedeli l’esperienza dell’accompagnamento spirituale. Proprio per questo – osservava ancora il Papa - oggi "c’è bisogno di maestri di spirito saggi e santi", esortando i sacerdoti a "mantenere sempre viva in se stessi la consapevolezza di dover essere degni ministri della Misericordia Divina e responsabili educatori delle coscienze", ispirandosi all’esempio del Curato d’Ars, san Giovanni Maria Vianney, di cui proprio quest’anno ricordiamo il 150° anniversario della morte. (cfr ibid.).

Sua Santità invoca la celeste intercessione della Vergine Maria, Madre di Misericordia, perché la 60.ma Settimana Liturgica contribuisca a favorire una ripresa e un rinnovamento nella celebrazione della Misericordia e nell’esperienza significativa del Perdono divino,e, grato per il servizio che il Centro Azione Liturgica rende alla Chiesa in Italia, imparte di cuore a Vostra Eccellenza, all’Arcivescovo di Trani–Barletta–Bisceglie e Nazareth, agli altri Vescovi e ai sacerdoti presenti, ai relatori e a tutti i partecipanti una speciale Benedizione Apostolica.

Assicuro da parte mia un ricordo nella preghiera, e mi valgo della circostanza per confermarmi

Suo dev.mo nel Signore

Card. Tarcisio Bertone

Segretario di Stato

[01224-01.01] [Testo originale: Italiano]


www.vatican.va

Caterina63
00giovedì 22 ottobre 2009 18:49
Presentati gli atti del simposio
su «La Penitenzieria Apostolica e il sacramento della Penitenza»

Il salario che basta
anche nell'aldilà


Pubblichiamo un estratto dell'indirizzo di saluto del cardinale segretario di Stato alla presentazione del volume.

di Tarcisio Bertone

Questo volume riveste un notevole interesse perché, riprendendo le tematiche del simposio del gennaio scorso, sistematizza le attuali prospettive pastorali relative al sacramento della Confessione, in questa complessa società post-moderna, dopo aver attentamente ricostruito i percorsi storici, giuridici e teologici maggiormente emersi nel corso della lunga e feconda vita della Penitenzieria Apostolica, soprattutto in riferimento al sacramento della Penitenza. Si tratta - in una parola - di rispondere alla seguente domanda oggi fortemente avvertita:  quale specifico contributo può dare la Penitenzieria alla fedele comprensione e alla pratica attuazione del sacramento della Penitenza? 

PenitenzaL'esperienza del passato è una ricchezza straordinaria. Il suo apporto deve aiutarci a trovare vie nuove, prospettive conformate alle esigenze pastorali di oggi e strumenti operativi con cui offrire all'uomo del terzo millennio, inalterato senza dubbio ma comprensibile e appetibile, il patrimonio circa il sacramento della Penitenza, che la Chiesa, guidata dallo Spirito Santo, ha arricchito nei due millenni della sua storia.

In questi giorni, la liturgia ci fa meditare la lettera dell'apostolo Paolo ai Romani. Egli ci parla proprio quest'oggi delle condizioni e delle lacerazioni alle quali è sottoposto l'uomo, teso fra il peccato e la grazia, fra il dovere di compiere il bene e il desiderio e la possibilità di attuare il male, purtroppo sempre presente. Dio - commenta Paolo - interpella continuamente l'uomo e offre un senso positivo e definitivo alla sua esistenza ferita; ma quest'uomo, rifiutando l'aiuto divino, è sempre tentato di costruirsi autonomamente la propria felicità, alla quale però non arriverà mai definitivamente. È allora portato ad accontentarsi di gioie e felicità parziali ed effimere, spesso fallaci capaci di condurlo pian piano alla morte. Usando il linguaggio paolino, possiamo infatti affermare che l'uomo fatto di carne e abbandonato alle proprie forze, giunge a una situazione limite che è la morte, considerandola in ogni suo aspetto.

Occorre aiutare l'umanità a comprendere - e sta qui il cuore della sfida e della proposta pastorale di oggi - che solo nella scelta di Dio, essa trova la sua piena realizzazione; in Dio che in Cristo ci ha donato per sempre e gratuitamente il suo amore liberante. Con termini figurati ma alquanto mai eloquenti, l'Apostolo afferma che il peccato quando licenzia i suoi soldati, non può offrir loro altra moneta che la "morte". Al contrario, Dio, il Salvatore, "rimunera" l'uomo con un destino che lo fa sussistere anche al di là della morte:  la vita eterna. Si comprende quindi l'urgenza di un rinnovato annuncio evangelico profondo e pervasivo che aiuti innanzitutto i cristiani a vivere con gioia e dedizione la loro fede e a testimoniarla in ogni stato e ambiente di vita.

Il sacramento del perdono e della gioia - permettete che definisca così il sacramento della Penitenza - manifesta in maniera quasi tangibile il trionfo costante dell'amore di Dio sulla potenza del male; genera la forza rinnovatrice della misericordia divina che reca pace e gioia al cuore umano. Aiutare i credenti a riscoprire il valore del Battesimo e della Confessione è pertanto renderli consapevoli della forza loro donata da Cristo per lottare efficacemente contro il peccato e le sue strutture che abbrutiscono il mondo; è offrire loro strumenti spirituali per costruire un'umanità ispirata alla cultura della vita e alla civiltà dell'amore.



 

Una riforma spirituale indispensabile


La Penitenzieria Apostolica si rinnova. Il più antico dicastero della Curia intende aprirsi sempre più ai nuovi linguaggi della comunicazione per rendere vivo anche nel nostro tempo il senso cristiano del peccato e della grazia, del perdono e dell'amore di Dio, tematiche centrali nella predicazione e nella pastorale della Chiesa cattolica. A questo scopo lo scorso gennaio si era svolto il primo simposio che ha consolidato il primato pastorale nelle preoccupazioni della Penitenzieria.

La sera del 21 ottobre, nella Sala del Tribunale della Penitenzieria nel palazzo della Cancelleria, sono stati presentati gli atti del simposio riuniti in un volume edito dalla Libreria editrice vaticana e curati da Manlio Sodi e Johan Ickx con il titolo La Penitenzieria apostolica e il sacramento della penitenza. Percorsi storici, giuridici, teologici e prospettive pastorali. È stata l'occasione pubblica del passaggio del testimone tra il cardinale James Francis Stafford, promotore del simposio, e il suo successore, il nuovo penitenziere maggiore, l'arcivescovo Fortunato Baldelli, il quale continuerà nella via dell'apertura e della sensibilità pastorale.

I tre relatori della serata, il vescovo Sergio Pagano, prefetto dell'Archivio Segreto Vaticano; il domenicano Wojciech Giertych, teologo della Casa Pontificia, e Giuseppe Dalla Torre, rettore della Libera Università Maria Santissima Assunta hanno ben documentato l'interesse del simposio e la rilevanza del volume che ne raccoglie gli atti. In particolare Dalla Torre ha evidenziato l'importanza della conoscenza storica per promuovere sagge normative canoniche nel tempo presente; padre Giertych ha incoraggiato, tra l'altro, un rinnovamento della teologia morale nel segno del concilio Vaticano ii e monsignor Pagano ha offerto una sintesi degli atti del simposio.

Ha concluso l'incontro il cardinale Tarcisio Bertone, che ha partecipato agli atti con una sua relazione su Benedetto xiv e la riforma della Penitenzieria. Nel suo intervento, che qui pubblichiamo quasi per intero, il segretario di Stato ha incoraggiato a valorizzare il contributo dato dal simposio alla riforma spirituale della Chiesa considerata dall'attuale Pontefice premessa indispensabile per rendere credibile l'annuncio cristiano per la giustizia, la pace e la solidarietà. Tra gli altri, erano presenti il cardinale Salvatore De Giorgi e l'arcivescovo Raymond Leo Burke, prefetto del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica.

Il penitenziere maggiore ha annunciato che il suo dicastero ha messo in cantiere un secondo simposio. È stato il vescovo Gianfranco Girotti, reggente della Penitenzieria, a precisarne i contorni. Si svolgerà il 4 e 5 novembre 2010 e avrà come tema "La Penitenzieria tra il primo e il secondo millennio".

c. d. c.



(©L'Osservatore Romano - 23 ottobre 2009)
Caterina63
00martedì 9 marzo 2010 23:56
Il ventunesimo corso sul foro interno alla Penitenzieria Apostolica

La misericordia cristiana è per tutti


"Una pastorale che si ispira al Vangelo non può e non deve mai far disperare nessuno". Ruota intorno a questo principio il ventunesimo corso sul foro interno che, organizzato dalla Penitenziaria Apostolica, si svolge in questi giorni a Roma, nel Palazzo della Cancelleria.

Ai lavori, iniziati lunedì 8 marzo e che si concluderanno venerdì 12, partecipano settecento sacerdoti, in buona parte giovani.

Durante le cinque giornate di approfondimento vengono affrontate realtà e problematiche legate al sacramento della penitenza, che il confessore è chiamato ad affrontare nell'esercizio del suo ministero. Obiettivo del corso, come ha spiegato nella giornata inaugurale il vescovo Gianfranco Girotti, reggente della Penitenzieria Apostolica, è di far capire che la Chiesa in tutti i suoi interventi ha sempre mostrato e mostra "attenzione e premura nel venire incontro anche a situazioni umanamente tanto difficili da sembrare irrisolvibili". Concetto che il presule ha poi ripreso durante la seconda giornata del corso, quando si è soffermato sugli atteggiamenti da assumere nei confronti di alcune categorie speciali di penitenti e in condizioni particolari.

Il vescovo si è riferito in particolare alle situazioni matrimoniali irregolari, dinanzi alle quali la Chiesa sembra trovarsi di fronte a un dilemma insolubile. "Infatti - ha detto monsignor Girotti - se in questi casi amministra i Sacramenti, dà l'impressione di porsi in contrasto con Cristo, che considera e condanna come adulterio le nuove nozze contratte dopo il divorzio:  ma anche se rifiuta i Sacramenti dà l'impressione di non agire secondo lo spirito di Gesù, che ha compassione dei peccatori". Tuttora, ha spiegato, la dottrina e la prassi ufficiale della Chiesa cercano di percorrere "una via fedele al mandato rivoltole dal suo Signore, che è quello di amministrare il perdono e la misericordia di Dio" cercando di sanare, laddove è possibile, e comunque di proporre soluzioni tali da consentire l'accesso ai sacramenti. Nel caso dei divorziati e risposati civilmente, davanti all'impossibilità di ripristinare la situazione precedente, cioè separandosi dal nuovo compagno - perché ci sono magari figli piccoli o in caso di esigenze gravi di carattere economico o in caso di malattia di uno dei due - "il confessore può proporre:  l'impegno di interrompere la reciproca vita sessuale, e in particolare i rapporti coniugali; il pentimento sincero; l'impegno di trasformare in amicizia e aiuto vicendevoli la convivenza "matrimoniale"; la richiesta della comunione eucaristica in una Chiesa ove non sono conosciuti, per evitare lo scandalo. Se vi è scandalo dovranno recarsi in altri luoghi".

Resta comunque il fatto che l'atteggiamento della Chiesa di fronte ai divorziati "è sempre quello della misericordia e dell'amore" perché non si tratta di persone "che devono essere cacciate o scomunicate". In una parola "non devono sentire la Chiesa intollerante, matrigna, ma sempre madre attenta e comprensiva". Quanto all'atteggiamento che deve tenere il confessore in questi casi monsignor Girotti ha ricordato che egli "non può seguire il proprio gusto, ma deve orientarsi secondo criteri oggettivi della dottrina e della vita della Chiesa. Egli è il custode e l'amministratore dei sacramenti della Chiesa e non già il padrone".

Un settore nel quale il confessore ordinariamente deve dimostrare un particolare impegno, è quello che riguarda la categoria di sacerdoti, o di religiosi e religiose, di candidati al sacerdozio o alla vita consacrata. L'atteggiamento che con tali persone ogni confessore deve avere - ha ricordato in proposito il vescovo - è quello che fa di lui un "giusto giudice e un buon medico dello spirito". Ciò significa anche che, di fronte a consacrati soggetti a disordini morali gravi e costanti, è tenuto a divenirne consigliere e cercare di indurlo a chiedere la dispensa.

Infine il reggente della Penitenzieria si è soffermato su alcune condizioni particolari dei penitenti. Si è riferito a quanti manifestano situazioni psicopatologiche, parapsicologiche, o anche diaboliche. Casi nei quali il confessore è tenuto a "non improvvisarsi psicologo" ma a chiedere l'intervento di esperti.
Ha trattato poi il caso di confessione di fenomeni mistici, dinanzi ai quali "sarebbe male sia la credulità superficiale, sia lo scetticismo sistematico. Nell'approccio con i cosiddetti scrupolosi, quelli cioè che continuano a confessare le stesse colpe, anche rivolgendosi a più sacerdoti, nel dubbio continuo di non essere stati ben compresi, in questi casi - ha spiegato - è bene consigliare un confessore stabile nel quale riporre fiducia completa.

Infine il vescovo ha proposto il caso dei recidivi, quelli che ricadono nella stessa colpa. La raccomandazione per il confessore è il discernimento della manifestazione di una benché minima buona volontà a non commettere più lo stesso peccato, poiché, in mancanza di questa manifestazione e a meno che non si tratti di impulsi incoercibili, dunque vera malattia, il confessore non deve concedere l'assoluzione. Non si tratta di un gesto punitivo, ha precisato il vescovo, ma soltanto del compimento del proprio dovere poiché non sussistono le condizioni per la validità del Sacramento. In ogni caso, e questo vale per ogni tipologia di penitente, il confessore deve avere "molta pazienza", deve mostrarsi "accogliente, sereno e non frettoloso" perché dal suo atteggiamento deriva quello futuro del penitente.

Di atteggiamenti aveva parlato, nella giornata inaugurale del corso, il gesuita Ivan Fucek, teologo della Penitenzieria Apostolica, trattando il tema "Il foro interno:  realtà e problematiche". Dopo aver riproposto il criterio di distinzione tra foro interno e foro esterno incentrato sull'esercizio pubblico od occulto della potestà di giurisdizione, ha focalizzato l'attenzione dei corsisti sugli effetti che tale esercizio comporta.

Ha fatto alcuni esempi:  il voto di castità è un impedimento matrimoniale occulto, per cui la dispensa che ne potrebbe derivare dalla Penitenzieria appartiene al foro interno. Ma - ha spiegato - se l'impedimento divenisse pubblico, perché magari la comunità ne viene a conoscenza, allora dal foro interno si passerebbe a quello esterno; non ci sarebbe più bisogno di dispensa per questo foro, solo se venisse presentato il documento di dispensa conservato nell'archivio segreto. Un altro esempio. Se due persone contraggono matrimonio segretamente, esso resta valido come se fosse celebrato pubblicamente, nei due fori. Tuttavia se dal foro interno dovesse passare al foro esterno, cioè dovesse essere conosciuto alla comunità, ci sarebbe bisogno delle prove dell'avvenuta celebrazione e il documento conservato nell'archivio segreto dovrebbe essere pubblicato e trascritto nell'archivio del comune in cui è stato celebrato. Padre Fucek ha poi completato l'illustrazione della disciplina ecclesiastica circa i due fori, si è soffermato sugli organi del foro interno, sulle materie relative e sulla vastità delle problematiche attinenti. E ha concluso con una nota finale in cui ha dettato regole per capire e fare propria la materia, una nota valida, ha avvertito, per ogni studio:  "comprendere, apprendere, esplicare, applicare".

Particolarmente significativo il dibattito con il quale si concludono sempre le giornate di studio. Lo guida l'arcivescovo Fortunato Baldelli, Penitenziere maggiore, il quale presiede tutti i lavori.


(©L'Osservatore Romano - 10 marzo 2010)

Caterina63
00mercoledì 10 marzo 2010 19:36
A colloquio con l'arcivescovo Fortunato Baldelli, penitenziere maggiore

Meno senso di colpa
e più senso del peccato


di Nicola Gori

Diminuire nei fedeli il senso di colpa e far riscoprire il senso del peccato. Sensibilizzare le coscienze nei confronti degli aspetti sociali di una condotta non conforme ai valori evangelici. Far prendere coscienza all'uomo di oggi della sua enorme responsabilità verso quelli che saranno i suoi discendenti sul pianeta. Garantire loro una vita dignitosa e possibilmente migliore dell'attuale, evitando di compiere azioni improntate all'egoismo e al disprezzo delle leggi divine che possano compromettere l'integrità e l'armonia del tessuto sociale. Sono alcuni degli obiettivi che la Penitenzieria Apostolica si propone di raggiungere nel prossimo futuro attraverso varie iniziative. Ne abbiamo parlato con l'arcivescovo Fortunato Baldelli, penitenziere maggiore, in quest'intervista al nostro giornale.

Da qualche mese lei è alla guida della Penitenzieria Apostolica. Quali progetti e impegni avete per l'anno in corso?

I progetti della Penitenzieria Apostolica non sono pochi né di poco conto. Tra questi spicca il corso sul foro interno, giunto alla ventunesima edizione, che si sta svolgendo in questi giorni,  alla  luce  di  quanto  Benedetto XVI ebbe a dire il 16 marzo 2007 ai partecipanti a quel corso:  "Oggi pare che si sia perso il "senso del peccato", ma in compenso sono aumentati i "complessi di colpa"". La sollecitudine di questo dicastero è far riscoprire il senso del peccato e ridurre i complessi di colpa, e di mettere al contempo in rilievo gli aspetti sociali di tale risposta che non possono che contribuire a rapporti più sereni e fecondi. Il che avrà luogo attraverso una seria presa di coscienza della nostra condotta troppo superficiale e simultaneamente attraverso la riscoperta del volto misericordioso di Dio. È il duplice obiettivo che la Penitenzieria Apostolica si propone con le sue iniziative. Tra queste iniziative, di grande respiro, è il secondo Simposio a fine anno - dal 4 al 5 novembre - sul tema "La Penitenzieria tra il primo e il secondo millennio", dopo il primo incontro internazionale, celebrato nel gennaio dello scorso anno intorno ai percorsi storici, giuridici, teologi e alle prospettive pastorali.

Il tema del messaggio di Benedetto XVI per la Quaresima è:  "La giustizia di Dio si è manifestata per mezzo della fede in Cristo". Qual è secondo lei il senso di questo testo paolino?

La giustizia, di cui parla Paolo, sulla quale il Santo Padre ci invita a riflettere in occasione della Quaresima di quest'anno, non è quella retributiva, proporzionata alle opere umane, ma quella che viene concessa gratuitamente a tutti i credenti, senza differenze di statuti etnico-religiosi. La giustizia o meglio la giustificazione non dipende dalle opere dell'uomo, ma dalla morte di Cristo, alla quale corrispondiamo con la nostra fede. Evento-Cristo e fede, come accoglimento:  questi i due momenti attraverso cui si realizza la nostra giustizia. Dunque, si tratta di una giustizia unica nel suo genere, priva di confronti, perché tutta favorevole al peccatore, e dunque estranea ai presupposti delle comuni categorie umane. Questa giustizia non è da attendere, perché si è già "manifestata" in Cristo. Occorre solo disporci a farci lavare da questo sangue che sgorga dalla Croce.

Ha senso parlare di penitenza all'uomo di oggi o parlare di digiuno nel periodo quaresimale? Cosa differenzia quest'ultimo dalla dieta così di moda?

Il digiuno quaresimale è per il potenziamento dello spirito, mentre la dieta è per lo snellimento del corpo. Sono due prospettive, una interiore e una esteriore, una riguarda il nostro rapporto con Dio, l'altra riguarda l'immagine che vogliamo lasciare negli altri. Non è arduo cogliere l'asimmetria tra il digiuno quaresimale e la dieta dimagrante.

Di fronte al dilagare dell'edonismo e dell'egoismo, cosa può indicare un confessore per far crescere nelle coscienze l'attenzione ai bisogni degli altri?

L'edonismo è un modo di interpretare la vita, senza profondità, e l'egoismo una chiusura di sé in sé, senza luce e senza futuro. Il confessore ha il compito di aprire le coscienze e di renderle partecipi delle necessità del prossimo, cercando di fare capire che chi dà non si impoverisce, ma si arricchisce. Resta vero che "si riceve donando". È questa la grande esperienza che il penitente è chiamato a fare sotto la guida illuminata del confessore.

La necessità di dare un'anima etica all'economia è stata più volte raccomandata dal Papa. Quali penitenze dovrebbe fare chi si macchia di peccati che danneggiano i beni comuni dei cittadini?

Dare un'anima etica all'economia è ormai un precetto per tutti. Le conseguenze disastrose di un'economia che persegue il puro profitto sono davvero devastanti. Quanti non favoriscono il bene comune e non operano per incrementarlo, più che ricevere delle particolari penitenze, devono essere indotti a rendersi conto dell'impoverimento della propria coscienza morale e insieme della vita civile che causano e quindi della distorsione dei rapporti sociali che provocano. Qui il problema è il cambio di prospettiva o, meglio, di un'autentica "metanoia" o mutamento del modo di leggere la realtà. È questa la grande penitenza a cui occorre sottoporre chi lascia cadere l'invito del Papa a porre l'economia sui binari del bene comune.

Vi è una maggiore sensibilità tra i fedeli nei confronti dei peccati sociali:  evasione delle tasse, frodi, truffe sul lavoro, inquinamento colpevole dell'ambiente. Secondo lei ciò avviene a scapito dell'attenzione rivolta ai peccati individuali?

La particolare sensibilità per i cosiddetti peccati sociali è indice di un cambio di sensibilità e dunque una crescita di responsabilità. Il che non significa che ci sia minore attenzione per i peccati cosiddetti tradizionali. Si tratta invece di una interpretazione di questi in chiave sociale. Infatti, i peccati hanno sempre delle conseguenze che vanno oltre il circuito della nostra esistenza individuale. Oggi la vita privata è giudicata in questo nuovo registro, e ciò in rapporto ai riflessi sulla vita degli altri o in genere, in relazione al pianeta. Il grande dovere che incombe su tutti è che occorre vivere in modo da garantire a quanti vengono dopo di noi una vita dignitosa e possibilmente più ricca di possibilità della nostra. Questo sguardo al futuro sta penetrando lentamente nel cuore dei cristiani.

Si celebra l'Anno sacerdotale, occasione per riscoprire l'importanza del sacramento della confessione. Quanto tempo ed energie dovrebbero dedicare i preti alla confessione?

L'Anno sacerdotale è propizio per l'approfondimento del sacramento della penitenza. In realtà, l'obiettivo primario che occorre perseguire è la consapevolezza che chi vive in pace con Dio vive in pace con se stesso e con gli altri. Il sacramento della penitenza riguarda questo aspetto profondo del nostro essere, in grado di assicurare questa pace o quiete spirituale, quale premessa per una vita personale e sociale fruttuosa e produttiva. Rimane alla solerzia del pastore, nelle molteplici sollecitazioni ministeriali, dare un tempo privilegiato al confessionale. Dopo l'Eucaristia, questo è l'obbligo prioritario del sacerdote e la consolazione più  alta che possa avere e donare.


(©L'Osservatore Romano - 11 marzo 2010)
Caterina63
00giovedì 11 marzo 2010 20:25
Proseguono le lezioni al Palazzo della Cancelleria

Come aiutare i coniugi in crisi


La confessione non è una scuola di morale e il confessore non è uno psicoterapeuta, con il compito di affermare principi e valori in generale o di rimproverare il penitente. Al contrario la confessione è "una relazione di aiuto per offrire gli strumenti, le conoscenze e le motivazioni" necessarie affinché i fedeli possano comprendere il senso del peccato e assumersi "le proprie responsabilità di cristiani adulti".

Compito del confessore è "di raggiungere le persone lì dove si trovano nel loro cammino di crescita morale e spirituale verso la maturità" e di accogliere ognuno "nella globalità delle sue risorse e dei suoi limiti". La lezione dell'oblato di Maria Immacolata, Giovanni Colombo, durante la quarta giornata del corso sul foro interno - organizzato dalla Penitenzieria Apostolica dall'8 al 12 marzo - nonostante avesse come argomento specifico l'aiuto pastorale che il confessore può dare ai coniugi in situazioni di rischio di fallimento del matrimonio, ha allargato l'orizzonte sul senso vero del sacramento della riconciliazione e sull'approccio del confessore con il penitente.

Padre Colombo infatti, precisato l'ambito del suo intervento e ribadita l'assoluta estraneità del sacramento della confessione alle tecniche psicoanalitiche, ha proposto un percorso di avvicinamento a questa delicata missione - tentare, cioè, di restituire vigore al sacramento del matrimonio in una coppia in difficoltà - che tuttavia mostra come la conoscenza dei basilari concetti della psicologia possa aiutare a penetrare meglio il misterioso ambito della coscienza dell'uomo, dunque della coppia.

Quale aiuto può offrire il confessore a coniugi che sentono venir meno ogni presupposto per la stabilità del loro rapporto matrimoniale? È la domanda che, nella sua semplicità, ha dato origine alla complessa risposta, che è stata poi la nervatura della lezione del prelato consigliere della Penitenzieria. Complessa perché dovendo innanzitutto favorire il discernimento delle ragioni e delle cause che hanno provocato o provocano la crisi coniugale, chiama in causa tutta una serie di implicanze concatenate le une alle altre. Padre Colombo si è riferito, per esempio, agli influssi  del  clima  culturale  odierno, caratterizzato  dal  consumismo  edonistico.

Il malessere etico, come perdita di un senso unitario della vita con punti di riferimento certi - ha detto in sostanza padre Colombo - si associa al malessere e ai conflitti personali, coniugali e familiari. Questi trovano un terreno fertile nella cultura postmoderna, che ha sviluppato tendenze alla disgregazione di valori fondamentali quali la ragione e la fede, l'amore e la famiglia, la dignità e la responsabilità derivanti dal battesimo. A essi si è sostituita la provvisorietà e reversibilità di ogni scelta, la perdita del senso della storia e del legame tra generazioni, l'esaltazione della soggettività.

Ne è risultata una cultura, che è stata definita utilitarista, narcisista, spontaneista e massificata.
Da tutto ciò deriva un impoverimento esistenziale il cui sintomo più grave è la mancanza di progettualità e il distacco da certi valori che finiscono per avere ripercussioni serie e riscontrabili sulla vita coniugale:  dalla perdita del senso della gratuità del dono di sé, al prevalere del provvisorio sul definitivo e all'esaltazione del fattore emotivo. Situazioni che, nella logica esposta dal religioso, portano a carenze nella relazione di coppia - come senso di solitudine, conflittualità, incomunicabilità e risentimento - e carenze di maturità nelle persone come desideri e aspettative infantili, scoraggiamenti frequenti, individualismo narcisistico, rivendicazioni. Si tratta evidentemente di manifestazioni che, sebbene non siano esclusive in un rapporto di coppia, si aggravano proprio nel contesto coniugale.

Cosa può fare il confessore per aiutare la coppia? Padre Colombo ha distinto due ambiti:  fuori e dentro il confessionale. Al di fuori della confessione il cammino da percorrere è quello della pastorale familiare. Nell'amministrare il sacramento della penitenza invece il confessore deve identificarsi con "Gesù medico delle anime", anzi deve "condurre il penitente all'incontro sanante con Gesù". Deve perciò "accogliere il penitente con l'atteggiamento misericordioso di Gesù", aiutarlo nel comprendere il senso della sua vita, quello della sua libertà e della sua responsabilità, da condividere, quest'ultima, con quella dell'altro coniuge. Si tratta sostanzialmente di aiutare le persone a rinnovare la propria vita alla luce della fede affinché possano "camminare verso la santità".


 

L'udienza di Benedetto XVI ai partecipanti al corso promosso dalla Penitenzieria Apostolica

Solo sacerdoti che chiedono perdono
possono insegnare a chiedere perdono


Solo sacerdoti che avvertono "la coscienza del proprio limite" e "il bisogno di ricorrere alla misericordia divina per chiedere perdono" possono annunciare e amministrare, a loro volta, la misericordia e il perdono di Dio. Lo ha detto il Papa giovedì mattina, 11 marzo, ricevendo in udienza i partecipanti all'annuale corso sul foro interno organizzato dalla Penitenzieria Apostolica.

Cari amici,
sono lieto di incontrarvi e di rivolgere a ciascuno di voi il mio benvenuto, in occasione dell'annuale Corso sul Foro Interno, organizzato dalla Penitenzieria Apostolica. Saluto cordialmente Mons. Fortunato Baldelli, che, per la prima volta, come Penitenziere Maggiore, ha guidato le vostre sessioni di studio e lo ringrazio per le parole che mi ha indirizzato. Con lui saluto Mons. Gianfranco Girotti, Reggente, il personale della Penitenzieria e tutti voi che, con la partecipazione a questa iniziativa, manifestate la forte esigenza di approfondire una tematica essenziale per il ministero e la vita dei presbiteri.
 
Il vostro Corso si colloca, provvidenzialmente, nell'Anno Sacerdotale, che ho indetto per il 150° anniversario della nascita al Cielo di san Giovanni Maria Vianney, il quale ha esercitato in modo eroico e fecondo il ministero della Riconciliazione.

Come ho affermato nella Lettera d'indizione:  "Tutti noi sacerdoti dovremmo sentire che ci riguardano personalmente quelle parole che egli, [il Curato d'Ars], metteva in bocca a Cristo:  "Incaricherò i miei ministri di annunciare ai peccatori che sono sempre pronto a riceverli, che la mia Misericordia è infinita". Dal Santo Curato d'Ars, noi sacerdoti possiamo imparare non solo una inesauribile fiducia nel Sacramento della Penitenza, che ci spinga a rimetterlo al centro delle nostre preoccupazioni pastorali, ma anche il metodo del "dialogo di salvezza" che in esso si deve svolgere".

Dove affondano le radici dell'eroicità e della fecondità, con cui San Giovanni Maria Vianney ha vissuto il proprio ministero di confessore? Anzitutto in un'intensa dimensione penitenziale personale. La coscienza del proprio limite ed il bisogno di ricorrere alla Misericordia Divina per chiedere perdono, per convertire il cuore e per essere sostenuti nel cammino di santità, sono fondamentali nella vita del sacerdote:  solo chi per primo ne ha sperimentato la grandezza può essere convinto annunciatore e amministratore della Misericordia di Dio. Ogni sacerdote diviene ministro della Penitenza per la configurazione ontologica a Cristo, Sommo ed Eterno Sacerdote, che riconcilia l'umanità con il Padre; tuttavia, la fedeltà nell'amministrare il Sacramento della Riconciliazione è affidata alla responsabilità del presbitero.

Viviamo in un contesto culturale segnato dalla mentalità edonistica e relativistica, che tende a cancellare Dio dall'orizzonte della vita, non favorisce l'acquisizione di un quadro chiaro di valori di riferimento e non aiuta a discernere il bene dal male e a maturare un giusto senso del peccato. Questa situazione rende ancora più urgente il servizio di amministratori della Misericordia Divina. Non dobbiamo dimenticare, infatti, che c'è una sorta di circolo vizioso tra l'offuscamento dell'esperienza di Dio e la perdita del senso del peccato.

Tuttavia, se guardiamo al contesto culturale in cui visse san Giovanni Maria Vianney, vediamo che, per vari aspetti, non era così dissimile dal nostro. Anche al suo tempo, infatti, esisteva una mentalità ostile alla fede, espressa da forze che cercavano addirittura di impedire l'esercizio del ministero. In tali circostanze, il Santo Curato d'Ars fece "della chiesa la sua casa", per condurre gli uomini a Dio. Egli visse con radicalità lo spirito di orazione, il rapporto personale ed intimo con Cristo, la celebrazione della S. Messa, l'Adorazione eucaristica e la povertà evangelica, apparendo ai suoi contemporanei un segno così evidente della presenza di Dio, da spingere tanti penitenti ad accostarsi al suo confessionale.

Nelle condizioni di libertà in cui oggi è possibile esercitare il ministero sacerdotale, è necessario che i presbiteri vivano in "modo alto" la propria risposta alla vocazione, perché soltanto chi diventa ogni giorno presenza viva e chiara del Signore può suscitare nei fedeli il senso del peccato, dare coraggio e far nascere il desiderio del perdono di Dio.

Cari confratelli, è necessario tornare al confessionale, come luogo nel quale celebrare il Sacramento della Riconciliazione, ma anche come luogo in cui "abitare" più spesso, perché il fedele possa trovare misericordia, consiglio e conforto, sentirsi amato e compreso da Dio e sperimentare la presenza della Misericordia Divina, accanto alla Presenza reale nell'Eucaristia.

La "crisi" del Sacramento della Penitenza, di cui spesso si parla, interpella anzitutto i sacerdoti e la loro grande responsabilità di educare il Popolo di Dio alle radicali esigenze del Vangelo. In particolare, chiede loro di dedicarsi generosamente all'ascolto delle confessioni sacramentali; di guidare con coraggio il gregge, perché non si conformi alla mentalità di questo mondo (cfr. Rm 12, 2), ma sappia compiere scelte anche controcorrente, evitando accomodamenti o compromessi. Per questo è importante che il sacerdote abbia una permanente tensione ascetica, nutrita dalla comunione con Dio, e si dedichi ad un costante aggiornamento nello studio della teologia morale e delle scienze umane.

San Giovanni Maria Vianney sapeva instaurare con i penitenti un vero e proprio "dialogo di salvezza", mostrando la bellezza e la grandezza della bontà del Signore e suscitando quel desiderio di Dio e del Cielo, di cui i santi sono i primi portatori. Egli affermava:  "Il Buon Dio sa tutto. Prima ancora che voi vi confessiate, sa già che peccherete ancora e tuttavia vi perdona. Come è grande l'Amore del nostro Dio, che si spinge fino a dimenticare volontariamente l'avvenire, pur di perdonarci" (Monnin A., Il Curato d'Ars. Vita di Gian-Battista-Maria Vianney, vol. i, Torino 1870, p. 130).

È compito del sacerdote favorire quell'esperienza di "dialogo di salvezza", che, nascendo dalla certezza di essere amati da Dio, aiuta l'uomo a riconoscere il proprio peccato e a introdursi, progressivamente, in quella stabile dinamica di conversione del cuore, che porta alla radicale rinuncia al male e ad una vita secondo Dio (cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1431).

Cari sacerdoti, quale straordinario ministero il Signore ci ha affidato! Come nella Celebrazione Eucaristica Egli si pone nelle mani del sacerdote per continuare ad essere presente in mezzo al suo Popolo, analogamente, nel Sacramento della Riconciliazione Egli si affida al sacerdote perché gli uomini facciano l'esperienza dell'abbraccio con cui il padre riaccoglie il figlio prodigo, riconsegnandogli la dignità filiale e ricostituendolo pienamente erede (cfr. Lc 15, 11-32). La Vergine Maria e il Santo Curato d'Ars ci aiutino a sperimentare nella nostra vita l'ampiezza, la lunghezza, l'altezza e la profondità dell'Amore di Dio (cfr. Ef 3, 18-19), per esserne fedeli e generosi amministratori. Vi ringrazio tutti di cuore e volentieri vi imparto la mia Benedizione.








(©L'Osservatore Romano - 12 marzo 2010)



Caterina63
00martedì 16 marzo 2010 19:00
Intervista al reggente della Penitenzieria Apostolica a margine del ventunesimo corso sul foro interno

Confessori in prima linea


di Mario Ponzi

Non confessori specializzati ma sacerdoti esperti in dottrina cristiana, profondi conoscitori delle scienze umane, sempre aggiornati sull'evoluzione della bioetica. Sono i tratti nuovi della figura del confessore del terzo millennio, delineati durante il xxi corso sul foro interno, svoltosi recentemente alla Penitenzieria Apostolica. Per la prima volta, tra gli argomenti proposti, sono state inserite tematiche legate alla biotecnologia. Di questo e altro parla il vescovo reggente della Penitenzieria, monsignor Gianfranco Girotti, nell'intervista rilasciata al nostro giornale.

L'approfondimento di argomenti come i trapianti di organi, le cellule staminali e l'individuazione del momento della morte significa che presto avremo una nuova lista di peccati?

Non ci sarà assolutamente alcuna nuova lista di peccati. Però è normale che un confessore debba prepararsi coscienziosamente se vuole rispondere nel miglior modo possibile alla sua missione. Quello del confessore è indubbiamente, al giorno d'oggi, un ministero sicuramente non facile da esercitare. La società odierna propone sempre nuove sfide con le quali confrontarsi. Dunque se la preparazione dottrinale resta indispensabile, è tuttavia necessario che il sacerdote sia costantemente aggiornato e informato sulla posizione della Chiesa di fronte a determinate situazioni poiché, immancabilmente, si ripresenteranno durante la confessione. E a volte capita di imbattersi nei casi più impensati. Il sacerdote corre seriamente il rischio di trovarsi spesso impreparato e questo non può e non deve accadere. Ecco perché affrontiamo temi anche così particolari. È indubbio che tra le questioni etiche quelle legate alla bioetica assumono oggi un notevole rilievo nella prassi sacramentale e pastorale. Il confessore deve essere pronto ad affrontarle con cognizione di causa. Deve mostrarsi non solo accogliente e comprensivo nei confronti del penitente, ma deve anche suscitare in lui fiducia con la sua parola autorevole e competente.

Qual è la soglia del peccato nei trapianti di organi?

Non è il trapianto d'organo di per sé a costituire peccato. Abbiamo dovuto a lungo riflettere sulla questione del trapianto da vivo a vivo. Perché, anche se nel donatore non comporta rischio di vita, un trapianto è sempre una mutilazione ingiustificata, nell'ottica della salvaguardia della salute e dell'integrità del corpo del donatore. Nel caso però del dono spontaneo, consapevole e gratuito - fatto come gesto d'amore nei confronti dell'altro - è chiaro che non ci si trova di fronte a nessuna grave mancanza, dunque a nessuna forma di peccato. Ben diverso è il caso in cui entrino in gioco coercizioni e motivazioni economiche. Il confessore deve accertare queste cose.

Ma nel caso del trapianto da morto a vivo?

In questo caso entrano in gioco altre questioni, come per esempio l'accertamento della morte del donatore e l'esistenza di un consenso al prelievo. Sappiamo bene quanti abusi, eticamente inaccettabili, avvengono in questa delicatissima materia. Tra l'altro, si discute ancora molto intorno al tema dell'accertamento della morte. Dunque è bene che il confessore conosca questi argomenti.

Sembra quasi delinearsi la figura del sacerdote specializzato nella confessione...

Non confessore specializzato ma sacerdote specializzato, che ha cioè nel suo dna la cultura umana. Il sacerdote di oggi non può abdicare da certe esigenze conoscitive e culturali.

Lei parla di un sacerdote con uno spessore culturale non indifferente, in grado di addentrarsi in tutte le scienze umane e valutarne i risvolti etici. Durante il corso sul foro interno, però, è stato più volte ripetuto che il confessore non deve fare psicanalisi né trasformarsi in psicoterapeuta.

Ma le due cose non si annullano, anzi si compenetrano. Il sacerdote deve avere per forza di cose una solida cultura di base, nella quale non può mancare l'aspetto della psicologia. Egli è chiamato a interpretare l'anima del penitente. E più conosce i fondamenti della psicologia umana più profondamente può penetrarne l'animo, comprenderlo e aiutarlo a incontrare nuovamente Dio. La formazione è fondamentale.

Anche per affrontare quei delicta graviora di cui tanto si parla in questi giorni?

Vorrei prima precisare che parliamo di delitti commessi da sacerdoti e manifestati nel sacramento della penitenza e della riconciliazione. La loro confessione dunque non può che avere come conseguenza l'assoluzione. Non spetta al confessore renderli pubblici né chiedere al penitente di autoaccusarsi di fronte ai superiori. Questo perché da una parte il sigillo sacramentale resta inviolabile e dall'altra perché non si può ingenerare sfiducia nel penitente. Dal confessore egli non può che attendersi l'assoluzione, non certo una sentenza né l'ingiunzione a confessare in pubblico il suo delitto.

Dunque la Penitenzieria è un tribunale a sentenza unica...

Tecnicamente è così. Anzi, nonostante sia il primo tribunale ecclesiastico la Penitenzieria non emette sentenze, né consente ricorsi. Ovviamente è un tribunale sui generis. Non è burocratico. È piuttosto il tribunale della misericordia, della coscienza, della grazia. I confessori sono i suoi giudici pronti sempre a dispensare il perdono di Dio.

Anche quando raccolgono la confessione di un assassino?

Sì, anche in questi casi. Essi non possono fare altro che assolvere. E ne hanno facoltà.

Perché invece non ne hanno nel caso dell'aborto, definito "delitto abominevole" dalla Evangelium vitae?

Perché il peccato dell'aborto rientra nella fattispecie dei peccati riservati, per la cui assoluzione, cioè, è necessario l'intervento del vescovo. Mentre, per restare all'attualità, quello della pedofilia, almeno sino ad oggi, non rientra in questa categoria. Quindi non è proprio corretto dire che è più facile confessare un assassinio o un abuso sessuale che un aborto. Semplicemente si tratta di due configurazioni diverse di peccato. Inserendo l'aborto nei peccati riservati a una competenza superiore, si è inteso porre l'accento sulla gravità dell'uccisione di un individuo ancor prima che nasca. Si spera anche di far riflettere ancora di più quanti  pensano  all'aborto  per  risolvere una questione personale, anche se grave.

Ma qual è la funzione specifica della riserva?

La riserva ha soprattutto una funzione pedagogica. Per questo certi atti sono classificati come peccati che richiedono l'intervento di una personalità superiore.

Per la gente comune, però, non è sempre facile capire la distinzione. Non ci si spiega perché il sacerdote che può confessare un assassino diventa poi incapace di confessare chi si è reso responsabile di un aborto.

È proprio qui la sottigliezza da capire. La riserva non riguarda la capacità o l'incapacità di assolvere chi si è macchiato di aborto. Tanto è vero che in ogni diocesi il vescovo delega questa sua facoltà a determinate figure sacerdotali, in genere parroci o vice parroci. Anche i confessori che esercitano il ministero nei santuari possono avere la stessa facoltà. Il senso va ricercato in quanto si diceva prima:  l'intervento del vescovo deve servire al fedele soprattutto per avere immediatamente la percezione della gravità del peccato.

Ma quali sono i peccati riservati?

Oggi sono sicuramente meno che in passato. Per esempio quelli riservati alla Santa Sede sono ridotti a cinque:  la profanazione delle Sacre Specie, l'assoluzione del complice, la violazione del sigillo sacramentale, la consacrazione del vescovo senza autorizzazione del Papa, l'offesa al Pontefice; poi ce ne sono altri riservati al vescovo, tra i quali appunto l'aborto.

Cosa significa "riservati alla Santa Sede"?

Significa che la competenza spetta a organi della Santa Sede. In base al peccato si decide poi chi deve intervenire. Se riguarda il foro interno, interviene la Penitenzieria Apostolica; se invece riguarda il foro esterno, cioè se il fatto è notorio, interviene generalmente la Congregazione per Dottrina della Fede.

L'enfasi mediatica delle dolorose vicende che sta vivendo in questi giorni la Chiesa influisce sulla fiducia dei fedeli e, in particolare, sull'affluenza ai confessionali?

Indubbiamente ogni volta che si grida allo scandalo, c'è chi assume atteggiamenti negativi, senza neppure aspettare che si acquisiscano certezze o che si faccia chiarezza. Da parte nostra ogni volta che un fedele si avvicina al confessionale cerchiamo di mostrargli il volto misericordioso della Chiesa. Certamente, è inutile negarlo, c'è una fascia di persone che si sente più disorientata di altre in momenti come questi e mostra disaffezione nei confronti della Chiesa. A prescindere dal male gravissimo e inaccettabile che procurano alle vittime, questo è il danno più grande che la Chiesa subisce da casi del genere. Confidiamo molto nell'opera di tutti quanti si impegnano per mostrare il volto vero della Chiesa di Cristo. Un'opera nella quale i confessori devono essere in prima linea.


(©L'Osservatore Romano - 17 marzo 2010)
Caterina63
00lunedì 22 marzo 2010 19:20
All'Angelus Benedetto XVI ricorda che la giustizia più grande è quella dell'amore

Intransigenti col peccato
indulgenti con le persone


"Impariamo ad essere intransigenti con il peccato - a partire dal nostro! - e indulgenti con le persone". Lo ha raccomandato il Papa all'Angelus di domenica 21 marzo, in piazza San Pietro, ricordando che Gesù insegna "a non giudicare e a non condannare il prossimo".

Cari fratelli e sorelle!
Siamo giunti alla Quinta Domenica di Quaresima, nella quale la liturgia ci propone, quest'anno, l'episodio evangelico di Gesù che salva una donna adultera dalla condanna a morte (Gv 8, 1-11). Mentre sta insegnando nel Tempio, gli scribi e i farisei conducono a Gesù una donna sorpresa in adulterio, per la quale la legge mosaica prevedeva la lapidazione.

Quegli uomini chiedono a Gesù di giudicare la peccatrice con lo scopo di "metterlo alla prova" e di spingerlo a fare un passo falso. La scena è carica di drammaticità:  dalle parole di Gesù dipende la vita di quella persona, ma anche la sua stessa vita. Gli accusatori ipocriti, infatti, fingono di affidargli il giudizio, mentre in realtà è proprio Lui che vogliono accusare e giudicare. Gesù, invece, è "pieno di grazia e di verità" (Gv 1, 14):  Egli sa che cosa c'è nel cuore di ogni uomo, vuole condannare il peccato, ma salvare il peccatore, e smascherare l'ipocrisia.

L'evangelista san Giovanni dà risalto ad un particolare:  mentre gli accusatori lo interrogano con insistenza, Gesù si china e si mette a scrivere col dito per terra. Osserva sant'Agostino che quel gesto mostra Cristo come il legislatore divino:  infatti, Dio scrisse la legge col suo dito sulle tavole di pietra (cfr. Comm. al Vang. di Giov., 33, 5). Gesù dunque è il Legislatore, è la Giustizia in persona. E qual è la sua sentenza? "Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei". Queste parole sono piene della forza disarmante della verità, che abbatte il muro dell'ipocrisia e apre le coscienze ad una giustizia più grande, quella dell'amore, in cui consiste il pieno compimento di ogni precetto (cfr. Rm 13, 8-10). È la giustizia che ha salvato anche Saulo di Tarso, trasformandolo in san Paolo (cfr. Fil 3, 8-14).

Quando gli accusatori "se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani", Gesù, assolvendo la donna dal suo peccato, la introduce in una nuova vita, orientata al bene:  "Neanch'io ti condanno; va' e d'ora in poi non peccare più". È la stessa grazia che farà dire all'Apostolo:  "So soltanto questo:  dimenticando ciò che mi sta alle spalle e proteso verso ciò che mi sta di fronte, corro verso la mèta, al premio che Dio ci chiama a ricevere lassù, in Cristo Gesù" (Fil 3, 14).

Dio desidera per noi soltanto il bene e la vita; Egli provvede alla salute della nostra anima per mezzo dei suoi ministri, liberandoci dal male col Sacramento della Riconciliazione, affinché nessuno vada perduto, ma tutti abbiano modo di convertirsi.

In questo Anno Sacerdotale, desidero esortare i Pastori ad imitare il santo Curato d'Ars nel ministero del Perdono sacramentale, affinché i fedeli ne riscoprano il significato e la bellezza, e siano risanati dall'amore misericordioso di Dio, il quale "si spinge fino a dimenticare volontariamente il peccato, pur di perdonarci" (Lettera di indizione dell'Anno Sacerdotale).

Cari amici, impariamo dal Signore Gesù a non giudicare e a non condannare il prossimo. Impariamo ad essere intransigenti con il peccato - a partire dal nostro! - e indulgenti con le persone. Ci aiuti in questo la santa Madre di Dio che, esente da ogni colpa, è mediatrice di grazia per ogni peccatore pentito.

 



(©L'Osservatore Romano - 22-23 marzo 2010)
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