Chi muore e chi si salva per caso - riflessione seria e importante

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Caterina63
00sabato 4 aprile 2015 14:56
  FOCUS di Giorgio Carbone


Chi governa la nostra vita?

 

Il disastro aereo in Francia ha causato la morte di decine di persone. Ma su quell’aereo c’era una scolaresca scelta per sorteggio, mentre all’ultimo momento una squadra di calcio svedese aveva rinunciato al volo e si è salvata. Queste “casualità” che si ripresentano a ogni incidente (vedi anche l'incidente stradale di Monza con quel ragazzo 15enne travolto e ucciso da un'auto), come leggerle con gli occhi della fede?


 Caso, sfortuna, fortuna, miracolo, sono i termini che normalmente si usano. Noi chiamiamo “caso” quel fatto che sembra non avere alcuna finalità, almeno sotto alcuni punti di vista, fatto che accade senza intenzionalità, ma come convergenza di due linee causali indipendenti che si incrociano accidentalmente (così Tommaso d’Aquino, Somma Teologica I,115,6). E già Aristotele (Fisica I,8) notava che non si possono attribuire al caso i fenomeni costanti.

A una considerazione razionale questi fatti che risultano dalla convergenza di due linee causali indipendenti restano un enigma, un rebus insolubile. La rivelazione divina, e in particolar modo l’avvenimento che si compendia nella concretezza di una persona, Gesù di Nazaret, ci consente di uscire dall’enigma.
Infatti, la rivelazione storico-biblica ci parla dell’esistenza di un disegno eterno  [protesis ton aionon] che [Dio Padre] «ha attuato in Cristo nostro Signore» (Ef 3,11). In 2 Tm 1,9 è detto: «Egli [Dio] ci ha salvati e ci ha chiamati con una vocazione santa, non già in base alle nostre opere, ma secondo il suo progetto [protesis] e la sua grazia. Questa ci è stata data in Cristo Gesù fin dall’eternità, ma è stata rivelata ora, con la manifestazione del salvatore nostro Cristo Gesù». La professione di fede battesimale di 1 Cor 8,6 dice: «C’è un solo Dio, il Padre, dal quale [ex ou] tutto proviene e noi siamo per lui [cioè in vista di lui, eis autou]; e un solo Signore, Gesù Cristo, per mezzo del quale [di’ou] esistono tutte le cose e noi esistiamo grazie a lui [di’autou]».
È una formula usata contro il politeismo pagano e il vano culto degli idoli, ma ha un sicuro valore assoluto. Ha una struttura duplice, perché fonde due professioni di fede: quella tipica del monoteismo ebraico «un solo Dio», e quella della fede pasquale dei discepoli che attribuisce il titolo di Signore [Kyrios] a Gesù Cristo. Al Padre conviene la preposizione ek poiché è all’origine di ogni altra realtà e la preposizione eis, che indica il “per” finale, o “verso” direzionale, perché il Padre è l’approdo cui è orientata ogni esistenza. A Gesù compete la preposizione dia, «per mezzo, in virtù di» per mettere in rilievo la sua funzione di mediazione.

L’ottica di san Paolo è sempre storica: pensa a Gesù crocifisso e risorto, che egli ha incontrato sulla via di Damasco e che ha cambiato la sua esistenza. Le prime generazioni cristiane avevano la persuasione che tutto ciò che il Padre ha pensato e voluto dall’inizio, cioè la sua oikonomia, cioè il suo piano di governo è finalizzato a Cristo, che è il principio dell’umanità radicalmente rinnovata. Questo disegno divino ha alcune precise caratteristiche: è unitario in senso sia spaziale che temporale. Spaziale perché tutto ciò che esiste trova posto, coordinamento e significato in questo proposito, che è l’atto dell’intelligenza e della volontà di Dio. Temporale perché è un unico disegno eterno. Quindi non possono esistere di disegni alternativi diversi che si superino o si succedano nel tempo. Non ci possono essere piani multipli nella mente del Creatore.

Questa verità circa l’unità del disegno e la sua unicità non sempre è stata affermata con la dovuta chiarezza perché:

a) la salvezza è stata presentata come storia e sono stati distinti vari stati di natura:
1) innocenza originale; 2) umanità decaduta; 3) umanità riparata;

b) si è distinto ciò che riguarda la creazione e ciò che riguarda la redenzione, cioè la natura dalla sopra-natura. Queste distinzioni sono legittime e doverose, ma non possono arrivare a negare l’unità del disegno di Dio.
Questo disegno comprende tutte le persone umane, tutti i fatti e gli accadimenti. Anche il fatto più drammatico e peccaminoso della storia umana, cioè l’uccisione del Figlio di Dio, è compreso nel disegno. Luca in At 4,27-28 scrive: «In questa città si radunarono insieme contro il tuo santo servo Gesù, che hai unto come Cristo, Erode e Ponzio Pilato con le genti e i popoli di Israele, per compiere ciò che la tua mano e la tua volontà avevano preordinato avvenisse». E in At 2,23 leggiamo che il Salvatore fu consegnato ai suoi nemici «secondo il prestabilito disegno e la prescienza di Dio».

Il disegno, unitario e unico, del Padre contempla il fatto più atroce della storia umana, l’uccisione dell’Unigenito.
Nulla, neanche il peccato più orrendo e grave, è estraneo al disegno di Dio. Dire «l’uccisione di Cristo è compresa nel disegno eterno salvifico di Dio» non significa affermare che tale uccisione non sia frutto della perversa volontà di coloro che lo hanno crocifisso. Da un lato costoro hanno tutta la loro responsabilità perché hanno agito liberamente.

Dall’altro lato Dio, che essendo eterno è al di là della successione cronologica e quindi è contemporaneo a ciò che per noi si succede nel tempo, conosce questo fatto atroce e non cambia programma, resta fedele al suo disegno e al suo senso.
Questo discorso fatto a proposito del peccato in assoluto più grave della storia umana vale anche a proposito di tutti gli altri singoli peccati disseminati nel corso delle generazioni, stragi, guerre, omicidi, crudeltà efferate.
Questi, essendo fatti, sono parte del disegno divino. Essendo atti umani, sono imputabili in tutto o in parte alla responsabilità umana. In quanto fatti, accadimenti, ricevono dal Creatore l’essere; in quanto peccati, cioè atti umani disordinati, ricevono il disordine dalla non-retta volontà dell’agente.

Rimane la domanda di senso: che senso hanno questi fatti atroci? Così come, che senso ha l’uccisione di Gesù Cristo?

Davanti a un uomo cieco dalla nascita i discepoli chiedono a Gesù: «Rabbì, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché sia nato cieco?». Gesù risponde: «Né lui ha peccato, né i suoi genitori, ma è perché in lui siano manifestate le opere di Dio» (Gv 9,1-3). Dato il poco spazio a disposizione, accenno solo a questo dato che ricaviamo dalla rivelazione: qualsiasi fatto anche il più tragico e qualsiasi condizione infausta è all’interno del disegno divino, e questo disegno ha lo scopo di manifestare le opere di Dio, cioè la sua gloria, e la sua misericordia che salva.
Questo è il supplemento di visione che la nostra fede ci fornisce. Credere significa vedere tutti le persone e tutti gli accadimenti dal punto di vista da cui Dio li vede, cioè all’interno del suo disegno. I fatti della Pasqua che abbiamo la fortuna di celebrare attraverso la mediazione della liturgia ci conducono a vedere in Gesù Cristo, colui che è morto per noi, e che ora è risorto, e quindi ci apre la gloria e la misericordia divine.







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