Chi sono i: LAICI DOMENICANI?

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Caterina63
00sabato 6 dicembre 2008 07:58
IL LAICATO DOMENICANO


Il Laicato Domenicano, ramo della Famiglia Domenicana, esisteva già ai tempi di San Domenico, forse preesistente all'Ordine stesso, nato come «Ordine della Penitenza».


Movimento penitenziale, che gravitava attorno ai conventi, ebbe la sua prima Regola dal Maestro Generale dei Domenicani Munio di Zamora nel 1285. Approvata da Innocenzo VII nel 1405, la regola fu manuale di intere generazioni di Laici che, pur restando nel mondo, si ispiravano e vivevano la spiritualità dell'Ordine, di cui si sentivano membri effettivi.

Dopo varie modifiche, l'ultima stesura della Regola fu elaborata dal Congresso Internazionale dei Laici Domenicani nel 1985 a Montreal, approvata definitivamente dalla Congregazione per i Religiosi e gli Istituti Secolari nel gennaio 1987.

La Regola del Laicato Domenicano si compone di due parti. La prima parte, dal titolo Costituzione fondamentale», riguarda i laici in senso lato, cioè fissa in maniera molto generica le condizioni che una qualsiasi associazione deve osservare per poter venire aggregata alla Famiglia Domenicana.

Ai Laici Domenicani in senso stretto è destinata la seconda parte della Regola, che ha conservato il significativo titolo di «Regola delle Fraternite Laicali di San Domenico».

Le attuali Fraternite fanno capo ad una regola molto generica destinata a tutte le Fraternite sparse nel mondo e ciascuna nella sua situazione nazionale a un Direttorio Nazionale, creato dal Maestro Generale dell'Ordine e destinato ad applicare la regola alle diverse situazioni.

I Laici Domenicani sono, come sottolinea la stessa denominazione, laici, cioè battezzati con una missione e una loro dignità e indipendenza. Sono, però, dei veri domenicani che, in forza della loro professione emessa in nome del Maestro Generale, vengono incorporati all'Ordine accettandone in pieno la giurisdizione, garantendogli anche quella fedeltà alla Chiesa, al Magistero e al Papa. Sono, pertanto, giuridicamente al pari dei frati e delle monache, membri dell'Ordine a pieno titolo.

In quanto laici, come tutti gli altri, devono certo santificarsi vivendo nel mondo; in quanto Domenicani, dovranno farle impostando la loro vita «sull'esempio di San Domenico e di Santa Caterina da Siena,, illustrando la vita dell'Ordine e della Chiesa» (Reg. 5).

Devono vivere il carisma dell'Ordine Domenicano: la predicazione ordinata alla salvezza delle anime. Come ribadisce il Direttorio Nazionale, il Laico Domenicano «si considera e si comporta sempre e dovunque da apostolo di Cristo, secondo il progetto di vita di S. Domenico» (D.N. 14).

Tale progetto si avvale di quattro mezzi essenziali: vita comune, penitenza, studio e preghiera.

La vita comune, nell'intento di S. Domenico, non è importante solo per l'esercizio reciproco della carità fraterna, ma anche per la predicazione che, appoggiata e coordinata da una comunità, risulta molto più efficace dell'attività di un individuo isolato.
Gli incontri della Fraternita diventano così per il Laico, non solo l'occasione per l'esercizio della carità fraterna, ma il luogo della sua formazione dottrinale (D.N. 21), il luogo della sua preghiera comunitaria (D.N. 22), il luogo dove si organizzano le attività apostoliche e caritative secondo lo spirito di S. Domenico (D.N. 17 e 23).

La Regola, pur nella libertà di scelta, impegna i singoli a sentire il bisogno della mortificazione e della penitenza. Per quanto riguarda lo studio, esso è un obbligo anche per i Laici Domenicani, essendo tenuti, in forza della loro professione, ad essere dei predicatori. Questo aspetto si snoda in diversi punti: studio della Parola (la Bibbia, specialmente i Vangeli); studio dei Documenti nati all'interno dell'Ordine Domenicano e che possono anche essere le vite dei Santi dell'Ordine come ad esempio s.Caterina da Siena e il suo Dialogo, come le opere di s.Tommaso d'Aquino; studio del Magistero della Chiesa, specialmente quello specifico sui Laici e sulla loro missione nel mondo come la Christi fidelis Laici; a tutto questo si aggiunga la specifica materia che è data dal culto alla Beata Vergine, prima fra tutti il Rosario che diventa materiale di studio (la Parola) e di Preghiera (contemplazione).



La formazione viene affidata sia all'Assistente ( di solito un frate o una suora) che al Maestro di formazione (laico), ma soprattutto il Priore negli incontri di Fraternita «deve preoccuparsi di dare spazio alla cultura e allo studio, che sono alla base del progresso spirituale, sia individuale che comunitario» (D.N. 21).

S. Domenico volle infine come quarto mezzo, ma il più importante di tutti, la preghiera, sia quella personale che quella comunitaria. Il parlare con Dio, cioè pregare, è indispensabile per parlare di Dio al prossimo, cioè per predicare.

La preghiera permette al Laico Domenicano di mettere in pratica il carisma dell'Ordine sintetizzato da S. Tommaso nel motto: «Contemplata aliis tradere»: portare agli altri il frutto della propria contemplazione.


Essere Domenicani vuol dire sentire come S. Domenico l' ansia della salvezza delle anime, predicando la parola di Dio e testimoniando la Verità, servendosi, per fare ciò, dei mezzi messi a disposizione dal Santo Fondatore.

I Laici Domenicani devono vivere non solo il carisma, ma anche lo spirito dell'Ordine, cioè quello stile di pensiero e di vita che concorre a coltivare e amare di più il carisma. Fanno parte dello spirito dell'Ordine anche le varie devozioni, che sono parte integrante della vita della Famiglia Domenicana: la devozione Eucaristica che è la fonte primaria, la devozione al SS. Nome di Gesù, la devozione alla Passione del Signore e la devozione alla Madonna.

La Vergine Maria, considerata ispiratrice e patrona dell'Ordine, occupa un posto del tutto speciale nella vita dei figli di S. Domenico. E' risaputo che i Domenicani sono stati e sono tuttora sostenitori e diffusori della pia pratica del Rosario, diventata, per merito di Pio V, papa domenicano, preghiera universale della Chiesa.....



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spiritualita' dei
Laici Domenicani
di P. Pasquale C. op


Che dice la Chiesa quando parla dei raggruppamenti laicali legati a “Famiglie religiose”?



I Terz’Ordini - afferma – sono

« Associazioni i cui membri conducono una vita apostolica e tendono alla perfezione cristiana, partecipando nel mondo al carisma di un Istituto, sotto l’alta direzione dell’Istituto stesso» (can.303).

Ma cosa è il carisma di un Ordine?

E’ la meta verso cui il Fondatore, per impulso dello Spirito di Dio, orienta la propria vita e quella del suo Istituto per il bene e le necessità della Chiesa.



Il fine dell’Ordine Domenicano
L’idea di Domenico: un Ordine, dotto e mendicante, totalmente dedito alla predicazione e alla salvezza delle anime, per combattere le eresie del suo tempo, ma soprattutto per impedire che ne sorgessero di nuove; un Ordine che, sulle tracce dell’attività degli Apostoli, percorresse allo stesso modo i sentieri del mondo.

Quali furono i mezzi che Domenico escogitò? Anzitutto la “vita comune”, poi “una vita sotto una regola con rigorose pratiche monastiche”, ancora “una liturgia corale” e, come coronamento del tutto, “lo studio".

Il carisma domenicano e il laicato



La predicazione del Laico Domenicano

La Costituzione Fondamentale esige che i Laici Domenicani “si distinguano in modo peculiare nella Chiesa, sia per la propria vita spirituale, sia per il servizio di Dio e del prossimo”, perché “quali membri dell’Ordine ne partecipino la missione apostolica…secondo la condizione propria dei laici”(n.4) e “rendono innanzitutto testimonianza della propria fede, si dimostrano disponibili alle necessità dei loro contemporanei e lavorano al servizio della verità”(n.5).



Allora ne deriva da ciò che i Laici Domenicani devono distinguersi nella Chiesa in una maniera particolare, sia per la propria vita spirituale che per il servizio di Dio e quello del prossimo. Queste tre attività si possono sintetizzare nel binomio “contemplazione – predicazione”.

Incominceremo dal secondo termine: “La predicazione”. “La predicazione” deve rendere efficace ed effettiva, seguendo le linee della Costituzione Fondamentale, la disponibilità dei Laici Domenicani ad andare incontro alle necessità dei loro contemporanei e a mettersi a servizio della verità. L’intera Famiglia Domenicana, quindi, Laici compresi, è chiamata ad essere una comunità di predicazione, in cui tutti sono membri attivi con carismi e ministeri differenti.

Oggi, frati, monache, suore e laici, tutti si è chiamati a potenziare le scelte di sempre o inventarne di nuove per il bene spirituale e materiale degli uomini del nostro tempo. Il tutto va realizzato assumendo ognuno la propria responsabilità, seguendo il carisma personale nella diversità dei molti ministeri. Non tutti possiamo fare tutto, ma ciascuno il suo. Ma una cosa tutti possiamo e dobbiamo fare: anteporre alle nostre abitudini, buone o cattive, alle nostre comodità e alle nostre paure la causa del Vangelo.

A questo punto si affaccia un interrogativo. L’azione apostolica domenicana richiede in buona parte un dispendio d'energie fresche, di cuori generosi ed entusiasti, in poche parole, di elementi giovanili che fermentino le energie più calme e sopite delle persone di più matura età. E dove sono i giovani nelle file del Laicato Domenicano? Non credo ci si possa rifugiare nel luogo comune sui giovani che pensano solo a divertirsi e a vagabondare. Contraddicono tale affermazione la presenza massiccia giovanile nei gruppi ecclesiali sorti dopo il Concilio e l’immenso stuolo di giovani che affollano i luoghi di Taizé, e i grandi santuari mariani quali Lourdes e Fatima. Non è allora la fede che manca e neppure l’impegno. Occorre perciò ripensare e orientare in modo nuovo i gruppi del Laicato Domenicano, in consonanza con i nuovi indirizzi pratici della Chiesa circa il posto e la missione dei laici nella stessa Chiesa e nel mondo.

Noi dovremmo predicare il Vangelo al mondo d’oggi. E quali sono le caratteristiche di tale mondo? Anzitutto esso è contrassegnato da profondi e continui mutamenti. Pensate a ciò che è avvenuto nei Paesi dell’Est, in Africa e recentemente in Jugoslavia e in Albania. Ancora, il nostro è un mondo diviso tra ricchi e poveri, classi sociali, interessi economici, ecc. E’ un mondo in cui l’idolatria del denaro è al primo posto, un mondo dove, tra tanto sperpero dei paesi ricchi, esiste ancora la fame.

Come potremmo capire veramente i bisogni del nostro tempo ed essere per esso mediatori di salvezza, se non siamo capaci di condividere le condizioni degli uomini e metterci attivamente dalla parte dei poveri, dei deboli, degli abbandonati? Dobbiamo essere profeti del Regno, predicando con la nostra vita come con la nostra parola. Lo stile di vita di ognuno di noi deve riflettere quello evangelico.

Spiritualità domenicana e contemplazione
Esiste un altro impegno della Famiglia Domenicana ed è quello della contemplazione come fonte d'apostolato. La Regola del Laicato esorta i componenti della Famiglia a “tenere presente che l’azione apostolica sgorga dalla pienezza della contemplazione”( n.7 ) e che “la loro propria specifica vocazione è ad un tempo, in modo inscindibile, contemplativa e apostolica”( n.10 ).

E’ possibile per i Laici vivere la contemplazione? Essa consiste nell’esercizio pieno delle virtù teologali (fede, speranza e carità), potenziate dai corrispondenti doni dello Spirito Santo ed è possibile a tutti, perché i doni dello Spirito Santo sono sempre a disposizione di tutti e se essi non agiscono in noi, non è per difetto dello Spirito di Dio, ma è per colpa nostra e a causa della nostra fiacchezza che impedisce il loro funzionamento nella nostra vita....


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Sito di grande affidabilità

www.domenicani.net/


Caterina63
00sabato 6 dicembre 2008 08:00
Fraternite Laicali di San Domenico



"I laici, sono veri "predicatori"

nella realtà in cui vivono ed operano.

Nel preoccupante processo di secolarizzazione

la loro missione oggi

è quanto mai attuale ed urgente"



(Atti Capitolo Provinciale di Soriano, 70)


REGOLA DELLE FRATERNITE LAICHE

DI SAN DOMENICO


Per evitare confusioni, ripetiamo ancora una volta che, a differenza della Costituzione Fondamentale, la Regola che segue - come pure il Direttorio Nazionale e le Dichiarazioni del Maestro dell'Ordine - riguardano invece soltanto le Fraternite Laiche, quelle, per intenderci, chiamate un tempo Terz’Ordine.

VITA DELLE COMUNITÀ

Le Fraternite vivano con tutte le proprie forze in vera comunione fraterna lo spirito delle beatitudini, e ne diano prova mettendo in pratica le opere di misericordia con il rendere volontariamente partecipi dei propri beni gli altri membri, specialmente poveri e ammalati, e offrano suffragi per i defunti, in modo che in tutti ci sia sempre un cuore solo e un'anima sola in Dio (Atti 4, 32).

Partecipi con i frati e le suore dell'apostolato dell'Ordine, i membri delle nostre Comunità prendano parte attiva alla vita della Chiesa, disponibili sempre a collaborare con altre associazioni apostoliche.

Le fonti principali da cui i laici di S. Domenico attingono energie per progredire nella propria e specifica vocazione, che è a un tempo, in modo inscindibile, contemplativa e apostolica, sono le seguenti:

a) l'ascolto della Parola di Dio e la lettura della Sacra Scrittura, soprattutto del Nuovo Testamento;

b) la partecipazione, possibilmente quotidiana, alle celebrazioni liturgiche e al sacrificio eucaristico;

c) il frequente ricorso al sacramento della riconciliazione;

d) la celebrazione della liturgia delle ore in comunione con tutta la Famiglia Domenicana, e l'orazione in privato, come la meditazione e il Rosario;

Le Fraternite vivano con tutte le proprie forze in vera comunione fraterna lo spirito delle beatitudini, e ne diano prova mettendo in pratica le opere di misericordia con il rendere volontariamente partecipi dei propri beni gli altri membri, specialmente poveri e ammalati, e offrano suffragi per i defunti, in modo che in tutti ci sia sempre un cuore solo e un'anima sola in Dio (Atti 4, 32).

Partecipi con i frati e le suore dell'apostolato dell'Ordine, i membri delle nostre Comunità prendano parte attiva alla vita della Chiesa, disponibili sempre a collaborare con altre associazioni apostoliche.

Le fonti principali da cui i laici di S. Domenico attingono energie per progredire nella propria e specifica vocazione, che è a un tempo, in modo inscindibile, contemplativa e apostolica, sono le seguenti:

a) l'ascolto della Parola di Dio e la lettura della Sacra Scrittura, soprattutto del Nuovo Testamento;

b) la partecipazione, possibilmente quotidiana, alle celebrazioni liturgiche e al sacrificio eucaristico;

c) il frequente ricorso al sacramento della riconciliazione;

d) la celebrazione della liturgia delle ore in comunione con tutta la Famiglia Domenicana, e l'orazione in privato, come la meditazione e il Rosario;

LA FORMAZIONE

Scopo della formazione domenicana è preparare dei veri adulti nella fede, che siano cioè atti ad accogliere, celebrare, annunciare la parola di Dio. Spetta a ciascuna Provincia formulare un progetto:

a) di formazione progressiva per i candidati;

b) di formazione permanente per tutti, compresi i membri isolati.

Ogni Domenicano deve rendersi capace di predicare la Parola di Dio. In questa sua predicazione si effettua così il compito profetico, che è proprio del cristiano battezzato. Nel predicare la Parola di Dio nel mondo contemporaneo, deve tendere specialmente alla tutela della dignità della persona umana, e al tempo stesso alla difesa della vita e della famiglia.

Rientra ancora nella sua vocazione domenicana promuovere l'unità dei cristiani e il dialogo con i non cristiani e non credenti.

Le fonti precipue per realizzare la formazione domenicana sono:


a) la Parola di Dio e la riflessione teologica;

b) la preghiera liturgica;

c) la storia e la tradizione dell'Ordine;

d) i documenti più recenti della Chiesa e dell'Ordine;

e) la conoscenza dei segni dei tempi.

LA PROFESSIONE

Per essere incorporati all'Ordine, i candidati sono tenuti a impegnarsi formalmente con la professione a vivere lo spirito di S. Domenico, secondo l'impostazione prescritta dalla Regola.

La professione è temporanea oppure perpetua.

La professione viene espressa con la seguente formula o con un'altra sostanzialmente analoga:

A onore di Dio onnipotente, Padre Figlio e Spirito Santo, e della Beata Maria Vergine e di San Domenico io... davanti a te ... Priore, e davanti a te ... Assistente di questa Fraternita, rappresentante del Maestro dell'Ordine dei Frati Predicatori, prometto di voler vivere secondo la Regola dei Laici di S. Domenico (per tre anni) (per tutta la vita).

STRUTTURA E GOVERNO DELLE COMUNITÀ

La Fraternita è il luogo adatto per nutrire e rendere matura la vocazione di ognuno. Gli incontri periodici e la loro frequenza varia da una comunità all'altra. La partecipazione assidua è indice della fedeltà dei singoli membri.


L'ammissione dei candidati, in conformità alle norme del Direttorio relative ai requisiti personali e al tempo di ammissione, viene demandata al Priore della Fraternita il quale, previa votazione deliberativa del Consiglio della stessa, procede con l'Assistente religioso, all'accettazione del candidato, secondo il rito determinato dal Direttorio.

Concluso il periodo di prova, determinato dal Direttorio, dopo il voto del Consiglio della Fraternita, il Priore della medesima, insieme con l’Assistente religioso, riceve la professione temporanea o perpetua del candidato.

I LAICI DI SAN DOMENICO

ART. 5 - REQUISITI DEI CANDIDATI

I requisiti per essere ammessi alla Fraternita laica di S. Domenico (in seguito indicata brevemente con la parola "Fraternita"), sono:

desiderio di progredire nella perfezione evangelica secondo il proprio stato;

maturità psicologica e morale;

consapevolezza della propria vocazione come chiamata dello Spirito a vivere, nel mondo, la vita laica secondo il progetto di S. Domenico;

interesse per l'acquisizione dello stile di vita, della mentalità e della spiritualità dell'Ordine, e per il carisma di S. Domenico;

età minima di anni 18, salvo dispensa del Consiglio su proposta del Priore della Fraternita;

non appartenenza attuale ad altro Ordine e intenzione analoga per il futuro.

ART.6 - AMMISSIONE DEI CANDIDATI

L'ammissione dei candidati alla Fraternita avviene, di norma, dopo un periodo di tempo che va da tre a sei mesi dalla domanda ufficiale.

In tale periodo il Priore, l'Assistente e i Consiglieri si accertano delle qualità del candidato, e il Maestro di formazione lo inizia alla proposta di vita di S. Domenico e alla conoscenza della Regola e degli impegni - personali e comunitari - propri dei Laici di San Domenico.

Al termine di questo periodo la domanda viene presentata dal Priore al Consiglio che, per la sua accettazione, decide a scrutinio segreto.

ART. 7 - ACCOGLIENZA NELLA FRATERNITA

Il candidato ammesso dal Consiglio viene aggregato alla Fraternita locale con apposito rito di accoglienza approvato dall'Ordine.

ART. 8 - FORMAZIONE DI BASE

Con il rito dell'accoglienza ha inizio il periodo di formazione di base del candidato - della durata di almeno un anno - sotto la guida del Maestro di formazione e dell'Assistente.

In casi particolari l'incarico formativo può essere assolto anche dal Priore o da un altro confratello o da una consorella professi, da lui incaricati.

Durante il periodo di formazione il Maestro o chi per lui, attua un programma di studio:

a) della teologia del Laicato secondo i documenti ufficiali della Chiesa;

b) della Regola e del Direttorio nazionale dei Laici di S. Domenico;

c) della propria vocazione e missione dei Laici predicatori, alla luce del carisma di S. Domenico fondatore e di S. Caterina da Siena, modello e patrona del Laicato Domenicano;

d) della Famiglia Domenicana: la sua missione apostolica, la sua storia e la sua legislazione, sulla base di fonti autorevoli, nonché la sua collocazione nella Chiesa e la sua presenza nei diversi ambiti della convivenza civile.

V. I candidati sono progressivamente aiutati alla maturazione spirituale di cui all'art. 13.

ART. 9 - INCORPORAZIONE TEMPORANEA ALL'ORDINE: LA PROFESSIONE TEMPORANEA

Dopo il periodo di formazione di almeno un anno dal giorno dell'accoglienza, il candidato ammesso a scrutinio segreto dal Consiglio, viene incorporato all'Ordine mediante la Professione temporanea alla presenza della Fraternita.

Con la Professione il candidato s'impegna alla sequela di Cristo, nello spirito di San Domenico, sia in famiglia che in ogni ambiente in cui opera.

La Professione temporanea impegna il candidato per un periodo di tre anni.

La formula della Professione è quella contenuta nel n. 14 della Regola.

Allo scadere del triennio, il candidato può chiedere di emettere la Professione perpetua o di rinnovare quella temporanea per un altro triennio. Sulla richiesta decide il Consiglio della Fraternita.

ART. 10 - INCORPORAZIONE DEFINITIVA ALL'ORDINE

Con la Professione perpetua, il candidato si vincola per sempre all'Ordine, con una vita di servizio e di testimonianza nel mondo, secondo le indicazioni della Regola dei Laici di S. Domenico, sia in famiglia che in ogni altro ambiente in cui opera.

La Professione perpetua viene emessa sempre in pubblico e in forma solenne essendo un'espressione ufficiale testimonianza davanti a Dio, alla Chiesa e all'Ordine.

La Professione perpetua rappresenta l'evento conclusivo della formazione iniziale e dà l’avvio a un nuovo cammino di maturazione nella vocazione domenicana. A esso contribuisce l'assiduo rapporto con la vita e la missione dei frati.

Il neo-professo trascrive la formula in apposito registro, apponendovi la propria firma, seguita da quella del Priore dell'Assistente.

E ammesso a portare l'intero abito dell'Ordine, e in particolari occasioni e per sempre, su speciale concessione del Maestro dell'Ordine e licenza dell'Ordinario del luogo, e soltanto per coloro che vivono in celibato.

ART. 11 - ANNIVERSARIO DELLA PROFESSIONE

È consigliabile che ogni Laico di S. Domenico rinnovi, privatamente, nel giorno anniversario, la Professione durante la S. Messa.

ART. 12 - PROFESSIONE IN PERICOLO DI MORTE

Nel caso che il candidato si trovi in pericolo di morte, l'Assistente ha facoltà di accettarne la Professione senz'altra formalità.

ART. 13 - VITA SPIRITUALE DEL LAICO DI S. DOMENICO

Laico Domenicano, consapevole della importanza dei sacramenti, vive in uno stato di riconciliazione con Dio e con i fratelli, mediante la pratica costante della Penitenza e partecipa con assidua frequenza all'Eucaristia (Reg. n. 10 -b.e.).

Per alimentare la propria vita di unione con Dio, prega in comunione con l'Ordine e con la Chiesa, recitando possibilmente le parti precipue della Liturgia delle Ore (Lodi e Vespri) o dell'Ufficio della Madonna. E anche fedele alla meditazione, alla preghiera del S. Rosario e alla lettura della Sacra Scrittura secondo le possibilità di tempo (Reg. 10 - a.d.).

Nello spirito della Regola e in accordo con il proprio confessore, si impegna in opere di penitenza.

Memore della sua condizione secolare, si impegna a vivere responsabilmente una intensa spiritualità nel mondo, nella famiglia, nel proprio ambiente di lavoro, secondo il messaggio di Cristo e le indicazioni della Chiesa e a comportarsi secondo i principi della morale professionale cattolica.

ART. 14 - VITA APOSTOLICA DEL LAICO DI S. DOMENICO

Il Laico di S. Domenico è consapevole che con il Battesimo è stato reso partecipe dell'ufficio sacerdotale, profetico e regale di Cristo e della Chiesa (LG n. 30), convinto che con la Cresima lo Spirito Santo lo ha effettivamente impegnato al compito apostolico proprio di ogni cristiano, persuaso che in virtù della propria vocazione domenicana è stato associato alla missione dell'Ordine (Reg. n. 4), egli si considera e si comporta sempre e dovunque da apostolo di Cristo secondo il progetto di vita di S. Domenico.

ART. 15 - APPARTENENZA INDIVIDUALE ALL'ORDINE

L'ammissione al Laicato Domenicano in forma privata, e quindi senza impegni comunitari, essendo un fatto eccezionale, spetta al Priore provinciale, che ne terrà l'elenco in apposito registro.

San Domenico e san Francesco in un fraterno abbraccio
Caterina63
00sabato 6 dicembre 2008 08:04
METODO DI FORMAZIONE

I temi fondamentali in base a cui scegliere le letture possono essre i seguenti:


1) CENTRALITA' DELLO STUDIO

Senza lo studio non ci si può rivolgere all'intelligenza, nè propria nè altrui. Il modo dello studio sarà adeguato alle capacità personali, ma sempre imperniato sulla lectio divina e sulla riflessione teologica. Ad entrambe il candidato dovrà essere iniziato. Non si tratta di creare una élite intellettuale, ma di saper rivolgere la Parola di Dio alle concrete inquietudini che ciascuno incontra nel proprio ambiente e che deve poter discernere e giudicare.

2) CONTEMPLAZIONE

La famigliarità con Dio e con la sua Parola dovrà essere presentata come la fonte dell'apostolato ed intesa non come uno stato passivo, come nelle mistiche orientali, ma come un dinamismo dell'intelletto che cerca l'adesione alla Verità Rivelata.
Sua componente indispensabile è lo spirito sapienziale, cioè l'abitudine a ricondurre tutte le realtà al loro fondamento, cioè la Creazione.
Sua spinta interiore è l'esperienza della salvezza, della « scientia salutis », ossia della Redenzione, ad opera di Gesù Cristo, Verbo di Dio e Signore della Storia, specialmente in rapporto con il mistero del male e del peccato.
Condizione indispensabile per la vita contemplativa domenicana, anche in condizione laicale, è poi imparare a santificare il riposo, la quiete : nella misura del possibile, ed anche a costo di sacrificio, riservare uno spazio, nella propria vita, all'"otium sanctum", alla riflessione, al silenzio : prendere le distanze dalla propria attività, non lasciarsi monopolizzare dal fare, ma equilibrare azione e pensiero, opera e studio : l'esercizio della teologia è orazione.

Le fonti precipue per realizzare la formazione saranno (Regola, art. 13, a, d) :


– la Parola di Dio e la riflessione teologica ;
– i documenti più recenti della Chiesa e dell'Ordine ;

La Regola indica anche tra le fonti della formazione la conoscenza dei segni dei tempi: pensiamo tuttavia che sia più consono all'itinerario di formazione, affrontare questo aspetto nel terzo anno, dedicato alla Predicazione, concentrando nel secondo anno lo sforzo di comprensione del fondamento e del modo dello studio, piuttosto che del suo contenuto.

I testi da prendere in considerazione quali strumenti principali potranno essere scelti tra i seguenti :

Una sezione del Catechismo della Chiesa Cattolica o eventualmente di quello della CEI, La verità vi renderà liberi.
Un testo del Nuovo Testamento, accompagnandosi con un commento o con una Introduzione alla Sacra Scrittura tra quelle indicate nella lista dei libri consigliati.:
P. Timothy Radcliffe O.P., Lo studio, perenne sorgente della Speranza.
P. Pietro Lippini, Spiritualità Domenicana, per il quale esiste una scheda di lettura ; il capitolo sulla contemplazione dovrebbe essere letto integralmente.
Raimondo da Capua, Vita di S. Caterina da Siena.

Importante per illustrare il senso del misticismo domenicano.

Una scelta dalle Lettere ai Laici di S. Caterina da Siena, per rendersi conto del legame tra la quotidianità e la più alta vita interiore.
Anche la meditazione al Dialogo della Divina Provvidenza sarà, per il Laico domenicano, fonte inesauribile di santità e azione nell'apostolato.

Giuseppe Savagnone, Parole umane e Verbo di Dio: scheda di lettura.
P. Jean–Pierre Torrell O.P., Tommaso d'Aquino, Maestro spirituale: scheda di lettura


Come, dove, quanto studia un Laico Domenicano?

Il Religioso libera il suo tempo
per metterlo a disposizione dello studio
Il Laico amministra il suo tempo
libero per ordinarlo allo studio

Il Religioso abbandona il suo spazio
per entrare nella cella dello studio
Il Laico trasforma il suo proprio
spazio in una cella di studio

Il Religioso studia per raggiungere
la competenza stabilita dall'Ordine
Il Laico studia per raggiungere
la comprensione necessaria al suo stato

Il Religioso ha per materia specifica
di studio la Teologia:
Parola rivolta da Dio all'uomo
Il Laico ha per materia specifica
di studio i Segni teologici dei Tempi:
Supplica rivolta dall'uomo a Dio




LA REGOLA
(Lo Studio come "proposito di vita")

Sarebbe auspicabile iniziare il programma facendo riferimento alla Regola di S. Agostino, in particolare agli artt. 3 e 48, che ne inquadrano meravigliosamente lo spirito 1 . Ciò è importante, perchè il Laicato, se non è chiamato ad osservare la lettera dei consigli evangelici e quindi della Regola, è invece chiamato, e appunto per questo in maniera particolarmente pressante, ad osservarne lo spirito : « Il motivo essenziale per cui vi siete insieme riuniti è che viviate unanimi nellla casa e abbiate unità di mente e di cuore protesi verso Dio » (art. 3). Questa « unanimità » i confratelli la vivranno « con amore », «quali innamorati della bellezza spirituale, esalanti il buon profumo di Cristo, liberi sotto la grazia…» (art. 4Cool.

– innamorati della bellezza spirituale, che è la bellezza della sapienza, lo splendore del vero e come tale un trascendentale, uno dei volti dell'Essere. Si tratta di un invito all'interiorità : non certo all'intimismo, bensì alla purificazione dell'occhio interiore, per renderlo atto alla contemplazione (Trapè, op. cit., pagg. 55 – 60).

– esalanti il profumo di Cristo, secondo le parole di S. Paolo ai Corinzi (2a Cor. 2, 15) : è la missione di diffondere nel mondo e nella storia la forza dello Spirito, di difendere le ragioni della trascendenza, di manifestare la presenza della divinità nella creazione e nelle vicende della vita, personale e sociale. E' un invito a coltivare in modo particolare la teologia morale (Trapè, op. cit., pagg. 60 - 65).

– liberi sotto la grazia, animati da sete di giustizia, preparati al suo servizio tramite lo studio e non assillati dalle pratiche e dalle osservanze : queste sono solo degli strumenti, mai dei fini in se stesse e non devono essere imposte dalla e alla Comunità come pesi, ma piuttosto offerte come sostegni al progresso spirituale : « l'uomo giusto è nel cuore stesso della legge ed è diventato perciò norma a se stesso » (Trapè, op. cit., pagg. 65 – 69).

Fondamentale è l'art. 7 della Costituzione Fondamentale del Laicato, che proclama come la vita contemplativa sia la condizione assoluta perchè possa realizzarsi la Predicazione. La contemplazione non è uno strumento, sia pure privilegiato, in vista della Predicazione, ma costituisce la vetta della vita domenicana, dalla quale può allora sgorgare come un frutto la grazia della predicazione, la "Grazia della Parola", concessa in vista di una vocazione che è « inscindibilmente contemplativa e apostolica » ( art. 10, Regola delle Fraternite).

La Costituzione mette bene in chiaro che la vita dei Laici Domenicani non è una vita di devozione e di pietà (anche se, evidentemente, la presuppone), ma una vita di Predicazione: « Scopo della formazione (…) è preparare dei veri adulti nella fede (…) atti ad accogliere, celebrare, annunciare la parola di Dio. » (Regola delle Fraternite, art. 11)

L'indicazione ricca e dettagliata delle fonti della vita spirituale e della formazione domenicana è contenuta negli art. 11, 12 e 13: rappresenta un programma molto chiaro ed equilibrato, offerto a tutti onde evitare le improvvisazioni ed i programmi influenzati dalle sensibilità o gusti personali.

Il Consiglio ha elaborato una lista di testi consigliati per la formazione e questa lista è appunto strutturata secondo l'indicazione del citato art. 13.

Gli articoli 21 a 24 del Direttorio enunciano infine i quattro volti della vita del Laico Domenicano, che ben corrispondono ai quattro aspetti descritti nella regola di S. Agostino : la vita di studio (art. 21), la vita di preghiera, l'impegno di predicazione e la carità fraterna. Viene in proposito ricordato, all'art. 20, l'art. 4 della Costituzione Fondamentale: « la Fraternita curi di realizzarsi come Comunità di studio, di preghiera e di predicazione ».

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1) Cfr. l'introduzione di Agostino Trapè in "S. Agostino - La Regola", Città Nuova, 1986.


Pier Giorgio Frassati, Laico Domenicano


"Se sarete quello che dovete essere, incendierete l'Italia e il mondo intero"

(S.Caterina da Siena )

Caterina63
00venerdì 11 dicembre 2009 23:33
Sorriso un pò di storia sana non fa male...




Da Padre Angelo OP di AMICIDOMENICANI

Ho letto di una compagnia MILITIA IESU CHRISTI, nata all'inizio per difendere i conventi domenicani

Gentili padri

mi chiamo Jonathan, ho 24 anni, scrivo dalla Toscana e volevo chiedervi un'informazione: in alcune biografie di santi e in alcune riviste cattoliche ho letto di una compagnia MILITIA IESU CHRISTI, nata all'inizio per difendere i conventi domenicani e poi successivamente trasformata in associazione mariana laica per la difesa della fede cattolica.
Ho provato fin da subito vivo interesse e desideravo conoscere un po' la storia di questa "compagnia", ho provato a chiedere ad alcuni amici domenicani del convento di San Marco e Santa Maria Novella di Firenze ma non la conoscevano, ho chiesto anche ad altre suore, ma anche loro non sapevano nulla.
Per caso voi mi sapete dire qualcosa? se ancora esiste e se in Toscana ci sono appartenenti ad essa? O a chi posso rivolgermi???
Vi ringrazio moltissimo. E come dicono i vostri "cugini":
Pace e bene
Jonathan





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Risposta del sacerdote



Caro Jonathan,

1. mi sembra strano che i frati di san Marco e di santa Maria Novella non abbiano mai sentito parlare della Milizia di Gesù Cristo.
Questa Milizia è la prima forma di quello che poi venne chiamato il Terz’Ordine della Penitenza di san Domenico, o anche semplicemente Terz’Ordine domenicano. Oggi si parla di Laicato domenicano.

Il webamster del nostro sito è un terziario domenicano, che ha fatto la sua professione perpetua il 1 dicembre 2007 nella fraternita laicale domenicana di Alessandria.
I beati Pier Giorgio Frassati e Bartolo Longo sono due terziari del XX secolo: Potremmo definirli successori dei fratelli della Milizia di Gesù Cristo.



2. Ti riporto la storia di questa Milizia di Gesù Cristo tratta da volume di R. SPIAZZI, San Domenico di Guzman, Edizioni Studio Domenicano 1999:

La chiamata dei laici

“Stando agli storici e biografi più sicuri, una certa Milizia di Cristo venne promossa e riunita da Domenico al tempo della sua missione in Lombardia,infestata dagli eretici. Il primo a parlarne è il beato Raimondo da Capua, il quale, nel documento che tra poco riporteremo, dopo aver detto che le notizie da lui riferite le apprese" da persone degne di fede in diverse parti d'Italia", aggiunge che furono appunto le miserevoli condizioni religiose dell'Italia che diedero a Domenico argomento di ideare la sua Milizia.

Nella sua testimonianza Raimondo parla di "alcuni laici timorati di Dio e che Domenico ben conosceva", tanto da enumerarli frai suoi, e del suo proposito di "accordarsi" con loro al fine di "creare una milizia santa" e lanciarli nell'apostolato, una volta che fossero stati ben formati spiritualmente. Essi dovevano restare laici tra laici, senza il vincolo del triplice voto religioso e della vita comune, per agire nella società dall'interno delle famiglie e delle strutture da bonificare. Portavano però come segno distintivo un vestito speciale sul quale era visibile "una croce di colore bianco e nero".

Raimondo fa anche notare che la motivazione della "Milizia" non era solo la difesa della fede dall'eresia e la pratica di una vita più cristiana nella famiglia e nella società, ma anche la liberazione della Chiesa e delle popolazioni dalle conseguenze temporali delle divisioni e delle lotte religiose, poiché "l'errore aveva talmente corrotto le anime... che in molli luoghi, e per somma sventura anche in Italia, i laici si erano impadroniti dei beni della Chiesa, trasmettendoli in eredità quali patrimoni privati; al punto che i vescovi, ridotti a mendicare, non avevano modo né di resistere all'errore né di assicurare il debito sostentamento ai loro chierici". Era una risposta alle necessità dei tempi, nei quali la Chiesa, e i cattolici rimasti fedeli alla sua dottrina e alla sua disciplina, si trovavano in condizione di guerra.
Se vogliamo citare Cesare Cantù, egli ci dice che, "oltre scassinare i dogmi inerenti all'unità del sacerdozio, per costituire società religiose speciali, gli eretici facevano guerra accanita alla Chiesa esterna".
 
Ora, "contro le eresie la Chiesa drizzò la santità e lo zelo dei frati... che anche fra i disordini correnti avevano sempre mantenuto fervore più operoso e rigidezza più esemplare". I frati di S. Domenico "divennero il più valido sostegno della Santa Sede", e proprio per questo erano anche "i più osteggiati dagli avversari della Chiesa" perché, appunto nel "rinunziare volontariamente al creato per amore del Creatore", esprimevano "non solo lo spogliamento, ma l'amore dello spogliamento": in guisa che, "non avendo cosa da perdere, sfidavano i potenti o i rapaci a far loro paura".

Ma ciò non bastava. Occorreva che una milizia composta di "uomini timorati" si impegnasse a "riprendere e tutelare i diritti di santa Chiesa... e resistere con tutta fermezza all'eresia", anche a costo del "sacrificio della loro persona e dei loro averi", come scrive Raimondo da Capua, che tra poco citeremo più diffusamente. Egli fa notare che le malversazioni contro la Chiesa erano opera di laici a servizio dell'eresia: era dunque naturale che la difesa e il recupero di beni usurpati fossero affidati a laici fedeli alla Chiesa.

Questa è la ragione della costituzione della "Milizia di Cristo", che il Beato Raimondo attribuisce a Domenico, forse anticipando di alcuni decenni la costituzione delle "fraternite" che fra il XIII e il XIV secolo si affidarono agli Ordini Mendicanti, trovando in essi appoggio e organizzazione concreta del movimento evangelico laicale che durava da più di un secolo. Riportiamo ora nella sua interezza la pagina del beato Raimondo, un po' enfatica ma pur sempre significativa, come testimonianza resa a Domenico d'esser stato l'iniziatore o quanto meno il seminatore di quel movimento: "A quanti amano leggere do notizia in questo capitolo di quello che ho io stesso letto ed appreso da persone degne di fede in diverse parti d'Italia e che testimoniano le stesse opere del beatissimo nostro Padre...

"Per quanto già il beato Domenico, glorioso soldato della fede, atleta di Cristo e vero santo apportatore di benessere alla Chiesa militante, avesse egli stesso e con la cooperazione dei suoi religiosi trionfalmente debellato gli eretici nei territori di Tolosa e di Lombardia (di maniera che, come fu regolarmente provato nel processo di canonizzazione alla presenza del sommo Pontefice, ben centomila eretici furono convertiti nella sola Lombardia dalla sua dottrina e dai suoi miracoli); tuttavia l'errore aveva talmente corrotto le anime con la perfidia dei suoi insegnamenti, che in molti luoghi, e per somma sventura anche in Italia, i laici si erano impadroniti dei beni della Chiesa, trasmettendoli in eredità quali patrimoni privati; al punto che i vescovi, ridotti a mendicare, non avevano modo né di resistere all'errore né di assicurare il debito sostentamento ai loro chierici. A consimile stato di cose non seppe reggere il beato Padre: e perciò egli, che per sé e per i suoi seguaci aveva scelto la povertà, si diede con grande ardore a ingaggiare battaglia perché alla Chiesa fossero conservati i suoi averi.

"Chiamati adunque a sé alcuni laici timorati di Dio e che egli ben conosceva, s'accordò con loro per creare una milizia santa la quale si adoprasse a riprendere e tutelare i diritti di santa Chiesa, e a resistere con tutta fermezza all'eresia. Fatto questo, volle rafforzare con giuramento le promesse di quanti ebbe a trovare a ciò disposti, facendoli dichiarare che vi si sarebbero attenuti anche col sacrificio della loro persona e dei loro averi; e perché le loro consorti non avessero in verun modo a opporsi a opera tanto degna, indusse anch'esse a giurare che, lungi dal distogliere i loro mariti, li avrebbero invece coadiuvati secondo la loro possibilità; agli uni e alle altre promettendo il premio dell'eterna vita.

"Li chiamò poscia Fratelli della Milizia di Gesù Cristo: e, perché un segno li avesse a distinguere dagli altri laici, e potessero alle loro consuete opere di pietà aggiungere un'opera surrogatoria, diede loro il colore del proprio abito; dispose cioè che tanto gli uomini quanto le donne, qualunque fosse la foggia del loro vestire, portassero i colori bianco e nero in significazione di innocenza e di umiltà, pubblicamente; e assegnando loro un numero fisso di Pater noster e di Ave Maria volle che ogni giorno li recitassero a tempo fissato per le ore canoniche, in luogo appunto dell'officio divino"."

È da tener presente che Raimondo da Capua, nato verso il 1330, prese l'abito domenicano verso il 1350.11 Egli conobbe quindi in Italia e particolarmente a Bologna, dove fu stimato "lettore", molti religiosi vissuti al tempo in cui resse l'Ordine Munio de Zamora, Maestro Generale deposto dal suo ufficio nel 1291. Egli si riallaccia pertanto, come trascrittore delle testimonianze, se non direttamente ai religiosi che conobbero Domenico, ai loro discepoli immediati: e perciò le sue affermazioni appaiono degne di attenzione e rispetto. Scrivendo verso il 1380, egli aveva sotto gli occhi l'evoluzione che v'era stata nella lotta contro l'eresia e nelle istituzioni che la conducevano. In particolare, l'Inquisizione, che esisteva solo in germe ai tempi di Domenico, in quelli di Raimondo era pienamente in azione.

Ed era, come scrive Cesare Cantù, una milizia di popolo intitolata "della fede di Gesù Cristo o della croce di San Pietro martire", i cui adepti "portavano una croce inquartata di nero e di bianco" e "obbligavansi a esporre anche la vita per la diffusione della fede e la distruzione dell'eresia": e in realtà altro non erano che "famigliari della santa inquisizione". Ma in una tale forma di milizia Raimondo da Capua non poteva certo riconoscere la paternità di Domenico, se non nel senso di un primo esperimento di azione laicale sul piano temporale, in difesa dei diritti della Chiesa messi in discussione, come sarebbe avvenuto tante altre volte, fino al XIX e al XX secolo con i movimenti e partiti di "ispirazione cristiana". Tuttavia Raimondo sapeva bene che Gregorio IX, amico, protettore ed esaltatore di S. Francesco e di S. Domenico, e interprete dei loro pensieri, aveva affidato particolarmente ai Frati Minori e ai Frati Predicatori il compito di condurre la lotta contro gli eretici.

In una bolla del 22 dicembre 1227, indirizzata ai "Fratelli della Milizia di Gesù Cristo", il pontefice scriveva:
"Voi scegliete di soccombere piuttosto che soffrire consimili mali, facendo in voi rivivere i forti Maccabei allorché, entrati nella Milizia di Domenico, vi date a combattere e gli eretici e i nemici della Chiesa. Per questo, consentendo con voi - che, usciti dalle vane schiere delle milizie del secolo per darvi al servizio di Gesù Cristo, avete promesso alla santa Sede Apostolica e ai vescovi delle vostre diocesi obbedienza, non solo, ma vi siete offerti di vincere con tutte le vostre forze la folle pervicacia dell'eresia e di difendere contro tutti, nell'ambito del nostro volere e di quello dei nostri successori, la santa libertà della Chiesa - e aderendo alle vostre giuste domande, accogliamo le vostre persone e i vostri beni (quelli che già possedete e quelli che in avvenire con equi e giusti mezzi verrete a possedere) sotto la protezione nostra e dei beati Apostoli Pietro e Paolo...".

Gregorio IX continuò poi ad animare quei "crocesignati" della Milizia domenicana, e da Perugia, il 18 maggio 1235, emanò ben quattro importantissimi documenti che dimostrano quanta cura si prendeva di quei soldati di Cristo.
Nel primo - che comincia con le parole Experimentis multiplicibus ed è diretto al Maestro dell'Ordine, Giordano di Sassonia - raccomandava che il destinatario, sia personalmente che per mezzo dei suoi frati, istruisse i fratelli e le sorelle della Milizia.

Nel secondo - aperto dalle parole Devotionis vestrae - accordava a tutti coloro che avevano dato nome e azione a tale Milizia la facoltà di partecipare ai divini uffici anche in tempo di interdetto generale.
Col terzo - che inizia con Quos pietate sua - intima a tutti di evitare ogni molestia a quei "militi ".
Col quarto e ultimo - Est angelis gaudium - elargisce loro copiose indulgenze.

In quel tempo avvenne la costituzione della Milizia di Parma, dovuta - secondo la testimonianza degli storici e biografi - a Fra Bartolomeo da Vicenza. Ad essa Gregorio IX, con apposito atto datato sempre al 18 maggio 1235, dimostra subito la sua benevolenza accogliendola sotto la sua protezione. Il documento esordisce con le parole Sacrosancta Romana Ecclesia. Il successivo 24 maggio la stessa Milizia di Parma riceve dal papa una sorta di regolamento (o norma vivendi) allegato alla bolla Quae omnium Conditoris honorem.
 
Tale norma vivendi si può riassumere nei punti seguenti:

1) ognuno dei fratelli e delle sorelle che vengono a dar nome e azione alla Milizia devono innanzi tutto esaminar bene la loro coscienza intorno al compito che si assumono, e purificarsi, al fine di ben adempiere ai loro obblighi, da ogni peccato;

2) perseverare nel bene, evitando ogni usura e ogni contatto con gli usurai, non solo, ma anche soltanto di cedere, sia con parole che con opere, al male;

3) contenersi nel più rigoroso tenore di vita, liberi da ogni
concupiscenza, e condursi, se coniugati, nella santità del matrimonio;

4) rompere ogni allettamento della gola, vivendo sobri, lontani da qualsiasi esorbitanza sia nel bere che nel mangiare.

Per quanto poi riguardava la loro azione positiva, era fatto obbligo di:

1) essere ossequienti e obbedienti alla Sede Apostolica, ai vescovi diocesani e ai legittimi loro superiori;

2) tenersi sempre pronti a difendere la fede cattolica contro qualunque errore o qualsiasi setta ereticale che all'errore avesse dato origine;

3) sostenere la libertà della Chiesa, particolarmente nelle loro città e nell'orbita della loro azione;

4) apprezzare giustamente e quindi rispettare l'opera della Chiesa, osservarne le leggi e disposizioni (anche penali), tutelarne le manifestazioni sia riguardo alle azioni, sia riguardo alle persone;

5) far uso delle armi nei modi consentiti dalla legge, attendere bene a non prevaricare in questo campo, ma attenersi, nei casi dubbi, al consiglio dei maggiori;

6) mantenersi fedeli nell'osservanza delle debite prescrizioni circa le feste, i digiuni e le preghiere; essere ossequienti alle norme stabilite intorno all'abito e ai segni religiosi da portare;

7) rispettare i propri superiori, e in modo speciale le autorità della Chiesa, e farsi obbligo di conferire loro le decime stabilite;

8 ) darsi impegno d'ascoltare la parola di Dio, e particolarmente - nei convegni sociali - gli ammonimenti degli ecclesiastici, deputati alla loro assistenza;

9) leggere ogni mese e meditare queste loro norme salutari;

10) adoperarsi per l'assistenza dei confratelli infermi, e fare in modo che nessuno di loro abbia a passare alla vita eterna senza il conforto dei santi Sacramenti.

Vi era in quella regola di vita l'anima profonda di una spiritualità nella quale si poteva scorgere la più genuina eredità di Domenico. Essa doveva prevalere.
Ed ecco che cosa avvenne, secondo la testimonianza del beato Raimondo da Capua:

"Canonizzato San Domenico, i fratelli e le sorelle della Milizia di Gesù Cristo, animati dal desiderio di testimoniare omaggio e gratitudine alloro ormai glorioso Fondatore, deliberarono di mutar nome e di chiamarsi Fratelli della Penitenza di San Domenico. A ciò li indusse anche il fatto di vedere ormai caduto il contagio dell'eresia, per i meriti e i prodigi del loro beatissimo Padre e, insieme, per il sapientissimo apostolato proseguito dai suoi religiosi. Non ritenendo quindi più oltre necessaria l'azione combattiva esteriore, si dedicarono interamente, con le armi della penitenza, alla guerra interiore: e per questo scelsero appunto di essere chiamati Fratelli della Penitenza".
Non mancarono nella Chiesa altri movimenti o associazioni di Fratelli della penitenza: ve n'erano moltissimi, ed è memorabile la loro fioritura nei secoli XIV-XV. Un filone importante di quel movimento laicale fu quello che portava, in aggiunta alla denominazione di fratelli della penitenza, il nome di S. Domenico” (pp. 431-439).



3. Di fatto i successori di questa milizia sono i terziari domenicani che gravitano in genere attorno ai nostri conventi e ci sono senz’altro anche a Firenze.
Giorgio La Pira, il Sindaco Santo di quella città e che ci auguriamo sia presto proclamato Beato, apparteneva alla fraternita di San Marco e abitava addirittura in Convento.
Sarei ben contento se anche tu diventassi un suo e un mio confratello.

Ti prometto una preghiera e ti benedico.

Padre Angelo da Amicidomenicani


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